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Visualizza Versione Completa : Dal 21 aprile 1895, 114 anni di STORIA del Partito Repubblicano



nuvolarossa
05-04-02, 17:46
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STORIA DEL PARTITO REPUBBLICANO
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L'espressione della democrazia
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Delle tre correnti politico-culturali che hanno caratterizzato l’evoluzione dell’Europa e dei mondo occidentale nel XIX e nel XX secolo: il pensiero liberale, quello democratico e quello socialista, il Partito repubblicano durante tutta la sua storia si è sempre sforzato di rappresentare l’espressione della democrazia nel suo significato più pieno.Mentre i gruppi conservatori aderirono tardivamente, senza alcun entusiasmo, al moto per l’indipendenza e l’unità dell’italla, e per di più lo fecero nella speranza di poter annullare quanto in esso vi era di progressivo sul terreno economico e politico, gli uomini della democrazia repubblicana guardarono alla soluzione dei problema nazionale come alla condizione essenziale perché il Paese potesse liberarsi da uno stato di torpore e di indifferenza che stava spegnendo le sue energie, lo allontanava dall’Europa e dai fermenti di progresso diffusi in tutto il continente, ed in particolare in Francia e in Inghilterra.Questa esigenza comune non impedì che all’interno della democrazia risorgimentale si registrassero divergenze talvolta sensibili sulle strategie e sulle prospettive stesse della lotta per l’unità nazionale. La concezione unitaria di Giuseppe Mazzini si scontrò spesso con il federalismo di Carlo Cattaneo, mentre Carlo Pisacane indicò soluzioni originali che si richiamavano più di quanto non fosse nel pensiero di Mazzini e Cattaneo ai princìpi della democrazia diretta.Al di là di queste differenze (che d’altra parte erano la necessaria conseguenza dell’impegno, tormentato e al tempo stesso spregiudicato, con cui la democrazia italiana ricercava le sue strade), l’unità del movimento si ricomponeva non soltanto sul terreno dell’azione, ma soprattutto al più alto livello ideale del rifiuto dello storicismo intransigente che doveva caratterizzare tutto - o quasi tutto - il pensiero sociale dei XIX secolo, non escluso quello marxiano.Mazzini e Cattaneo non negarono l’esistenza dei conflitti sociali, riconobbero anzi che questi conflitti avevano influenzato il corso della storia, ma respinsero con decisione l’idea che dalla loro esistenza potessero ricavarsi leggi rigide che avrebbero vincolato in modo meccanico ed esclusivo il futuro dell’umanità, senza tener conto dei caratteri distintivi di ciascun popolo.Mazzini e Cattaneo rifiutavano anche le conseguenze che il socialismo faceva discendere dalle costanti della lotta di classe: la dittatura dei proletariato; e sostenevano che le istituzioni democratiche non potevano esse stesse diventare strumento di oppressione di un gruppo sull’altro, ma dovevano essere costruite in funzione della necessità di "incivilire" la lotta politica, garantire, cioè, il libero confronto tra i diversi interessi rappresentati all’interno della società.Partendo da queste premesse, si deve riconoscere che l’associazionismo mazziniano esprime una linea di pensiero che non sempre è stata divulgata felicemente con la pura e semplice ripetizione della formula del "capitale e lavoro nelle stesse mani". Nella mente di Mazzini questa formula non aveva nulla di assoluto, ma si legava ad una concezione che non esclude né la libera iniziativa, né la partecipazione dello Stato a quelle attività non gestite dai privati, e nello stesso tempo riaffermava un’esigenza di democrazia anche all’interno delle strutture economiche.L’associazionismo mazziniano, al di là delle formule, esprime la convinzione che la costruzione della democrazia e lo sviluppo dell’economia sono strettamente legati tra di loro e richiedono uno sforzo solidale di tutte le classi sociali che abbia di mira, nello stesso tempo, una più equa distribuzione della ricchezza e lo sviluppo della produzione.Ma qual era, in conclusione, il tipo di Stato proposto dalla democrazia repubblicana?" La Repubblica - afferma Mazzini rivolgendosi all’Assemblea Costituente della Repubblica romana del 1849 - è conciliatrice ed energica. Il Governo della Repubblica è forte. Quindi non teme: ha missione di perseverare intatti i diritti e il libero compimento dei doveri d’ognuno. Il suo Governo deve avere la calma generosa e serena, non gli abusi della vittoria. Inesorabile quanto al principio, tollerante e imparziale cogli individui: aborrente dal transigere e dal diffidare: né codardo né provocatore; tale deve essere un governo per essere degno dell’istituzione repubblicana. Economie negli impieghi; moralità nella scelta degli impiegati. Ordine e severità di unificazione e di censura nella sfera finanziaria, guerra ad ogni prodigalità, attribuzione d’ogni denaro del paese all’utile dei paese; esigenza inviolabile d’ogni sacrificio, ovunque le necessità del paese lo impongano. Non guerra di classe, non ostilità alle ricchezze acquistate, non violazioni improvvise o ingiuste di proprietà; ma tendenza continua al miglioramento materiale dei meno favoriti dalla fortuna, e volontà ferma di ristabilire il credito dello Stato e freno a qualunque egoismo colpevole di monopolio, d’artificio o di resistenza passiva dissolvente o procacciante alterarlo. Poche e caute leggi. Ma vigilanza decisa nell’esecuzione ".

Dopo l’unità d’Italia

Con il compimento dell’unità, il movimento della democrazia repubblicana venne a trovarsi in una condizione di grave difficoltà, solo in parte determinata dalla conclusione del moto risorgimentale, che aveva visto il prevalere delle correnti liberalconservatrici raccolte attorno alla monarchia sabauda.Oltre che da questi motivi, la crisi che colpì il movimento repubblicano all’indomani di Porta Pia traeva origine in misura consistente dai meccanismi elettorali imposti dal regime monarchico, i quali limitavano l’esercizio del diritto di voto a poche centinaia di migliaia di privilegiati. In queste condizioni una forza popolare, come quella rappresentata dai repubblicani, non poteva praticare altra strada, se non quella dell’astensionismo elettorale. A prescindere da ogni altra considerazione sui metodi con i quali i governi liberalconservatori, cui non bastava la ristrettezza dei suffragio elettorale, usavano gestire le elezioni, la partecipazione avrebbe comportato una divaricazione fra i vertici, che inevitabilmente avrebbero dovuto tener conto degli interessi e degli umori dei corpo elettorale, e la base dei movimento, le cui aspirazioni nulla potevano avere in comune con quelle dei privilegiati ammessi al voto. Non di meno questa scelta, pur essendo largamente giustificata da ragioni politiche e da ragioni ideali, impediva ai repubblicani di esercitare in Parlamento il loro ruolo naturale di forza riformatrice e nello stesso tempo contribuiva ad accentuare quel senso di smarrimento che aveva colpito tutto il movimento alla morte di Giuseppe Mazzini, avvenuta proprio nel momento in cui più aspra si era fatta la polemica con gli internazionalisti, il cui rigoroso sovversivismo veniva oltre tutto legittimato dall’indirizzo ciecamente conservatore dei gruppi dominanti.Pur in presenza di tali difficoltà, acuite da uno stato di arretratezza del Paese tale da non lasciare spazi ad un’azione che, proprio per essere riformatrice, richiedeva un’opera paziente e di lungo respiro, che l’opinione pubblica non sempre poteva essere in grado di valutare in tutta la sua complessità, il movimento repubblicano seppe trovare un punto di equilibrio tra le aspirazioni rivoluzionarie verso le quali tentava di sospingerlo la monarchia, e l’inserimento nel regime, che lo avrebbe inevitabilmente portato a svolgere una funzione subalterna rispetto agli interessi dominanti proprio perché nel Paese mancavano forze capaci di sostenere adeguatamente il suo tentativo.I repubblicani compresero di doversi preparare a svolgere un’opera lunga e paziente per liberare, in primo luogo, il mondo operaio e contadino dall’egemonia esercitata da ambienti conservatori incapaci di andare oltre la pura e semplice filantropia. In altre parole bisognava abituare il proletariato all’esercizio e alla tutela dei propri diritti, ma nello stesso tempo occorreva evitare che lo spettro della Comune parigina potesse indurre anche i settori più avanzati della borghesia a stringersi attorno alla corona e ai gruppi conservatori da questa rappresentati. Fu così che, alla fine dei 1871, per iniziativa dello stesso Mazzini, veniva fondato a Roma il Patto di fratellanza tra le Società operaie.I repubblicani portarono nel Patto di fratellanza la loro abitudine a confrontarsi con la realtà quale essa effettivamente è, e non quale piacerebbe che fosse. Di fronte alla predicazione sovversiva dei nuclei internazionalisti, questo rigoroso senso della realtà fu spesso scambiato per espressione di un astratto solidarismo. In realtà, ai repubblicani non sarebbe stato difficile lasciarsi andare all’entusiasmo dell’improvvisazione e contrastare la crescita degli internazionalisti, facendo ricorso ai loro stessi mezzi.C’è però da domandarsi, se così fosse stato, quali contraccolpi avrebbe subito la vita dei Paese, la sua lenta evoluzione e, soprattutto, la sua non ancora sperimentata unità.Per circa venti anni il Patto di fratellanza rappresentò il punto di incontro - talvolta anche di scontro - di tutte le forze più avanzate del Paese. Tra le sue lotte più significative va ricordata quella condotta a tutela della dignità femminile; così come va sottolineato l’impegno per la realizzazione delle prime strutture economiche del proletariato italiano: quasi tutte le prime cooperative; quasi tutte le prime casse mutue e di resistenza; quasi tutte le prime scuole popolari sono opera dei Patto di fratellanza e furono dirette e gestite dagli stessi lavoratori, a differenza di quanto accadde in seno alle organizzazioni cattoliche.Ma il Patto di fratellanza non è l’unica realizzazione che i repubblicani abbiano portato a termine in questi anni di lenta e difficile crescita, contraddistinti da un senso di precarietà al quale i conservatori reagiscono opponendosi ad ogni segno di apertura. La presenza repubblicana in questi anni si afferma nel Paese attraverso una fitta trama di iniziative, per lo più condotte a livello locale, che hanno lo scopo di mantenere vivi i contatti con la società civile.Il movimento repubblicano non si limitava a svolgere una stanca predicazione astensionista, né viveva sulla propaganda irredentista, che acquistava consistenza e spessore politico con la denuncia del significato conservatore della politica estera della dinastia, ma tentava di richiamare l’attenzione della pubblica opinione sui problemi reali del Paese, ed in particolare sui vincoli posti allo sviluppo da un sistema di governo in cui tutto concorreva a far sì che le magre risorse nazionali fossero destinate alle spese improduttive richieste dall’accentramento burocratico e dal militarismo.Con il passare degli anni, e con il progressivo aprirsi della società alle esigenze di crescita sociale ed economica, il compito dei repubblicani doveva diventare più facile e si attenuava l’impegno astensionistico. I primi deputati repubblicani fecero il loro ingresso in Parlamento intorno al 1880 e non è un caso che accanto ad uomini di cultura come Giovanni Bovio e Napoleone Coiajanni si potessero contare operai come il genovese Valentino Armirotti e, più tardi, il milanese Pietro Giuseppe Zavattari.Tra la fine del secolo e l’inizio del ‘900Il Partito repubblicano italiano si costituiva come forza politica organizzata, dotata di proprie strutture permanenti, alla fine dei 1895, in un momento di grave crisi per il Paese, da troppo tempo costretto a misurarsi con le difficoltà crescenti poste dalla velleitaria politica espansionistica voluta dai circoli reazionari raccolti attorno alla corona.Rispetto a questi circoli i repubblicani, negli anni di fine secolo, rappresentarono, sul terreno politico e sul terreno ideale, una valida forza di alternativa che, proprio per il suo rifiuto del dogmatismo ideologico, si dimostrava assai più decisa e assai più concreta di quella che i socialisti tentavano di costruire.A dispetto delle ricorrenti accuse di formalismo, la pregiudiziale istituzionale (il rifiuto, cioè, di collaborare con la monarchia), che il Pri mantenne ferma nonostante la fine dell’astensionismo, era l’espressione di un progetto di riforma dello Stato che né i radicali né i socialisti erano ancora riusciti ad enucleare, gli uni perché timorosi di compromettere la loro marcia di avvicinamento verso le istituzioni, gli altri perché incapaci di guardare alla situazione reale dei Paese al di fuori dei rigidi schemi dell’ideologia classista. All’agnosticismo istituzionale nel quale socialisti e radicali si erano rifugiati, i repubblicani replicarono sostenendo che le aspirazioni di giustizia e di eguaglianza rischiano di essere vane se non si collegano ad una strategia mirante alla creazione di un nuovo modello istituzionale capace di garantire, attraverso la libertà dei cittadini e l’autonomia dei corpi associativi e degli enti locali, il civile confronto delle classi.Le vivaci polemiche tornate ad accendersi nei primi anni dei secolo all’interno della sinistra, preannunciarono il determinarsi di quella condizione di difficoltà in cui i repubblicani si sarebbero venuti a trovare durante tutto il decennio giolittiano.Il giuoco degli schieramenti e delle alleanze, non sempre chiare, che si formarono in questo periodo, dovevano far sì che il Partito repubblicano - l’unico a mantenersi al di fuori di qualunque compromesso - fosse indicato come forza estranea e contraria al sistema in nome di ideali astratti. Nulla di meno esatto di questo giudizio che pretendeva di liquidare il Partito repubblicano come forza politica attiva.In questi anni il Pri, riprendendo una tematica a lungo sviluppata da Napoleone Colajanni, sottolineò con vigore che la questione meridionale non poteva essere affrontata secondo l’ottica delle leggi speciali (un’ottica che oggi si potrebbe definire di tipo assistenziale), ma poteva essere risolta solo attraverso una coraggiosa politica che, facendo leva sulle autonomie regionali fosse capace di risvegliare nelle popolazioni meridionali quelle capacità di intrapresa che la politica fiscale dei governi monarchici e l’accentramento autoritario di stampo sabaudo avevano spento.I repubblicani avvertirono anche che il periodo di prosperità e di pace sociale di cui il Paese stava godendo grazie alla più duttile politica giolittiana era un periodo che non avrebbe potuto avere lunga durata, giacché lo sviluppo del Paese, oltre ad essere rallentato dalle spese improduttive che si mantenevano su livelli non compatibili rispetto alle sue reali risorse, poggiava su un sistema che combinava il prelievo fiscale sui ceti più deboli, ad una politica di aiuti a ben individuati settori industriali e agrari, ed era pertanto destinato ad accentuare gli squilibri tra le diverse categorie e tra le diverse aree dei Paese.Il Pri si batteva perché anche sul terreno economico il Paese si aprisse ai princìpi della libertà, ma avvertiva che questo terna si legava strettamente ai più ampi problemi istituzionali e sottolineava che il protezionismo e la politica di aiuti al capitalismo parassitario erano scelte strettamente funzionali al tipo di Stato che l’alleanza tra riformisti e giolittiani era andata costruendo.

La Prima Guerra Mondiale e la crisi della società italiana

Nell’autunno dei 1911 la guerra di Libia provocò una crisi politica di vaste dimensioni, che attraversò tutti i partiti della sinistra, all’interno dei quali si manifestava la presenza di uomini e gruppi i quali dichiararono più o meno apertamente di condividere le scelte dei governo. Anche i repubblicani videro aprirsi una grave contraddizione tra i vertici dei gruppo parlamentare, inclini ad accettare la tesi del fatto compiuto, e la base, che non era disposta a fare concessioni di sorta. Ma nel 1912 il Congresso nazionale di Ancona troncò ogni dubbio, ribadì la condanna nei confronti dei libici (così furono definiti gli uomini che avevano giustificato l’impresa coloniale) ed affidò la guida dei partito a Giovanni Conti ed Oliviero Zuccarini. La nuova dirigenza, formatasi alla scuola di Arcangelo Ghisleri, iniziò un’opera di chiarimento, troppo presto interrotta dalla guerra.All’indomani dello scoppio della Prima guerra mondiale - mentre i gruppi conservatori e militaristi premevano perché l’Italia entrasse nel conflitto al fianco dell’Austria e della Germania - il Pri, - che sempre si era opposto all’alleanza con i due Imperi centrali denunciandone la natura conservatrice e reazionaria soprattutto sul piano interno, lanciò la campagna per l’intervento diffondendo un manifesto che poneva l’alternativa: "0 sui campi di Borgogna per la sorella latina, o a Trento e Trieste", e sottolineava che l’intervento non avrebbe avuto solo delle finalità nazionali; ma si collocava in una prospettiva europeistica: costruire "la nuova Santa Alleanza dei popoli... gli Stati Uniti d’Europa ".La linea interventista, che i repubblicani sosterranno con serenità e fermezza di fronte all’ambiguità di tutte le altre forze politiche, non era stata frutto di scelte facili. Il Pri, partito che aveva sempre combattuto il militarismo e i suoi miti, giudicandoli in contrasto con i valori della cultura e dell’unità nazionale, partito che si era sempre battuto contro la politica di potenza e di sopraffazione, sostenendo che anche la politica estera va assoggettata ai princìpi della democrazia, non sottovalutava né i pericoli né gli orrori della guerra. Ma i repubblicani sentirono che era la natura stessa dei conflitto ad imporre tale scelta, giacché questa volta erano in gioco le sorti dell’umanità.Posti di fronte all’interrogativo: "Che cosa accadrà se la guerra sarà vinta dalla Germania e dall’Austria, i due imperi che si fondano sui princìpi dei militarismo feudale e dell’autoritarismo statale, e dove prevale una concezione di vita di per se stessa in contrasto coi princìpi della democrazia"?, i repubblicani non potevano avere esitazioni.A guerra finita il Pri, avvertendo che il Paese si stava avviando verso un periodo di rivolgimenti politici e sociali che avrebbe comportato difficoltà forse ancora più gravi di quelle sopportate durante il lungo e sanguinoso conflitto, tentò di riannodare il dialogo con le altre forze della sinistra, nella consapevolezza che le dure polemiche divampate durante tutta la guerra non avessero ormai più alcuna ragione di prolungarsi. Secondo i repubblicani la sinistra non poteva e non doveva esaurire il suo slancio in una contesa sterile sulle cause dell’intervento, ma doveva fare ogni sforzo per trovare un punto di intesa che permettesse di utilizzare la volontà di giustizia dei combattenti al fine di edificare la democrazia.Al Convegno di Firenze, che si svolse poco dopo la firma dell’armistizio, i repubblicani, oltre a riconfermare la loro piena adesione ai princìpi di Wilson, invitarono tutte le forze democratiche a battersi per la convocazione dell’Assemblea Costituente. Ma l’appello, prontamente accolto dall’Unione socialista di Leonida Bissolati, dalla Confederazione generale dei lavoro e dall’Unione italiana del lavoro, l’organizzazione sindacale dei lavoratori interventisti, fu respinto dal Psi, ormai preda dei massimalismo.I socialisti, lanciati da un’irrazionale volontà di rivalsa in una dura campagna di violenza, talvolta morale, talvolta fisica, nei confronti degli interventisti, non si avvedevano che l’indebolimento dei fronte interventista democratico poteva avere il solo risultato di rafforzare i gruppi nazionalisti e militaristi, che già andavano organizzandosi con la complicità dei poteri dello Stato.Nasceva il fascismo, che i repubblicani non ebbero esitazione a condannare, malgrado il suo iniziale "tendenzialismo repubblicano". La lotta tra repubblicani e fascisti si colorò ben presto di toni drammatici. Bande fasciste, dopo aver devastato, alla fine dei 1920, la sezione di Gorizia, attaccarono il 14 luglio 1921 la sezione di Treviso, che fu distrutta dopo un breve ma duro combattimento. I repubblicani furono costretti a difendersi dagli attacchi quotidiani dei fascisti e dei nazionalisti, ormai lanciati alla conquista dei Paese. l’Italia si vide calata in una contesa che si presentava quanto mai difficile per tutta la sinistra. Ci si è spesso domandati, in tutti questi anni, come mai il fascismo sia riuscito ad avere partita vinta pur disponendo, almeno fino al 1921, di forze relativamente ridotte. Ora, se è vero che il fascismo potè contare sulla complicità attiva dei poteri dello Stato, è altrettanto vero che la sinistra si apprestò allo scontro con il fascismo in condizioni di disarmo morale a causa dell’errore storico commesso dai socialisti con il loro ostinato rifiuto di riconoscere i valori della democrazia cosiddetta borghese. Con una tradizione politica e culturale di questo tipo era dunque prevedibile che la lotta contro il fascismo, che era sì anche una lotta di classi, ma era innanzitutto una lotta di libertà, avesse delle probabilità di riuscita assai modeste. Se poi si considera che nemmeno dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti la sinistra fu capace di imprimere alla sua azione contenuti drammatici e rivoluzionari, quale solo una decisa lotta antimonarchica avrebbe potuto dare, si può spiegare come mai l’Aventino abbia fallito i tutti i suoi obiettivi e non sia riuscito a suscitare un solo fremito di ribellione nelle masse popolari, alle quali, evidentemente, non era possibile chiedere di battersi e di morire in nome di ideali per tanti anni derisi.

Il Pri contro il fascismo

Dopo la marcia su Roma i repubblicani cercarono di favorire la formazione di movimenti che in qualche modo potessero rimediare alla rigidità e alla pesantezza degli schemi secondo i quali nel dopoguerra si erano mossi quasi tutti i partiti politici. Così, mentre Oliviero Zuccarini tentava di fare della sua rivista, La Critica Politica, il punto di aggregazione di tutte le forze autonomistiche, Randolfo Pacciardi fondava la associazione combattentistica Italia Libera, alla quale aderì la parte migliore e più decisa dell’antifascismo militante, da Carlo Rosselli a Ernesto Rossi, e che sarà una delle prime organizzazioni antifasciste a subire i rigori della linea dura lanciata da Mussolini con il discorso dei 3 gennaio 1925.In questi anni l’obiettivo dei Pri fu quello di unire attorno al tema delle libertà del Paese forze e settori che si richiamavano ai princìpi dei liberalismo.Ai repubblicani non sfuggiva, infatti, che la battaglia contro il fascismo poteva essere vinta solo se i partiti della democrazia fossero riusciti a ricuperare terreno presso quei settori della società - i combattenti e il ceto medio - che si erano lasciati attrarre dal fascismo anche a causa dell’ostinazione con cui i massimalisti avevano rifiutato la riconciliazione tra neutralisti e interventisti. Ma anche in questo caso lo sforzo dei repubblicani era uno sforzo disperato, che doveva fare i conti con un liberalismo nettamente conservatore, che aveva sì esaltato i valori della libertà ma, sottovalutando il dato istituzionale, si era chiuso nell’astrattezza, non aveva saputo allargare i propri orizzonti ad una concezione attiva e dinamica delle libertà, né era stato in grado di riconoscere il vincolo solidale che tutte le unisce, sia quelle economiche, sia quelle politiche.Questo spiega come mai solo alcuni settori, per altro marginali, dei liberalismo, trovarono la forza e la capacità di opporsi al fascismo, mentre altri, ben più consistenti, non solo votarono la fiducia al primo governo Mussolini, ma aderirono addirittura al listone fascista, in occasione delle elezioni dei 1924: quelle stesse elezioni che si svolsero in un clima di violenza tale da indurre il Pri a sospendere ogni attività di propaganda e che Giacomo Matteotti denuncerà nel suo ultimo discorso parlamentare, poco prima di essere ucciso proprio a causa di questa sua coraggiosa denuncia.

La lotta alla dittatura

Fallito anche l’ultimo tentativo fatto dai repubblicani nella seconda metà dei 1925, dopo l’inevitabile sfaldamento dell’Aventino, allo scopo di promuovere la formazione di una Concentrazione repubblicano - socialista, per la cui realizzazione si batté anche Carlo Rosselli, il 30 ottobre 1926 il fascismo assestava alle forze di opposizione il colpo decisivo. Tutti i partiti e tutti i giornali dell’opposizione furono soppressi. Per sfuggire all’arresto numerosi militanti e dirigenti dei Pri furono costretti a prendere la via dell’esilio, mentre non pochi erano i repubblicani inviati al confino o arrestati per la loro attività antifascista. Nella lotta contro il regime il Pri non si chiuse in se stesso, ma cercò di stabilire le più larghe alleanze tra tutte le forze democratiche, mostrandosi disponibile a rinunziare alla propria autonomia. I repubblicani sentirono che la lotta per la riconquista della libertà non poteva essere subordinata a interessi di parte. Sicché, proprio mentre altri partiti si chiudevano nel settarismo più cieco che screditava tutto l’antifascismo e rafforzava il regime, il Pri invitava i suoi iscritti rimasti in Italia ad aderire al movimento di Giustizia e Libertà, che nasce e si sviluppa come movimento di lotta grazie al contributo dei militanti repubblicani, la cui presenza in numerose zone è senz’altro prevalente.Nella primavera dei 1927 i repubblicani aderirono alla Concentrazione Antifascista, anche se avvertivano i limiti di una organizzazione che sembrava intenzionata a muoversi secondo gli schemi dell’Aventino. Di qui la lotta costante perché la Concentrazione abbandonasse l’illusione legalitaria, la speranza, cioè, che l’Italia potesse riconquistare la propria libertà, non con le forze dei suo popolo, ma in virtù dell’intervento della dinastia. Grazie a quell’idealismo pratico che li ha sempre contraddistinti, i repubblicani, prima e meglio di ogni altra forza politica, compresero che la lotta contro il fascismo era una lotta che non sarebbe stata né breve né facile e andava condotta anche a prezzo di sacrifici che potevano sembrare sproporzionati rispetto agli obiettivi immediatamente raggiungibili. Tra il 1927 e il 1932 tutte, o quasi tutte, le azioni di lotta contro il fascismo furono azioni portate a termine col contributo determinante dei repubblicani. Ma i repubblicani compresero anche che la lotta per la riconquista della libertà era subordinata al consolidamento delle democrazie europee, quasi dovunque minacciate da ricorrenti tentativi autoritari. Per sconfiggere il nazionalismo, diventato il punto di coagulo di tutti gli autoritarismi, bisognava intensificare l’impegno europeista; ed è così che il patto unitario stretto con i repubblicani spagnoli nell’ottobre dei 1928 si conclude con l’impegno di lavorare per la formazione degli Stati Uniti d’Europa, premessa indispensabile di ogni più vasto ordinamento della vita internazionale dei popoli.Gli anni dei fascismo non segnarono un arresto dei dibattito interno e il Pri non mancò di interrogarsi sui problemi posti dalla nascita della società industriale. La testimonianza di questo dibattito ci viene da un documento approvato dalla sezione di Parigi nel 1931, dove si legge: "Lo Stato moderno, con gli sviluppi formidabili della tecnica produttiva, coi ritmo più celere della distribuzione dei consumi. coi moltiplicarsi indefinito delle forme di attività dei singoli e dei gruppi, non può restare assente dal gioco degli interessi contrastanti. Quando si manifesta, come nei tempi moderni, con frequenza preoccupante, il fenomeno dei gruppi economici che assumono proporzioni gigantesche e minacciano di imporre la loro potenza plutocratica all’autorità stessa degli Stati e che diventano pericoli per gli istituti della democrazia e per la pace fra le nazioni, è chiaro che lo Stato deve essere munito di ampi poteri di controllo, per impedire le possibili sopraffazioni di queste forze particolari sui diritti e le libertà collettive".

Oggi in Spagna, domani in Italia

Dei tre partiti antifascisti che conservarono la propria struttura durante tutto il ventennio, il Pri fu l’unico a non poter contare su appoggi di natura internazionale. Ma proprio questo permise ai repubblicani di superare la crisi esplosa negli "anni dei consenso".Fu grazie ad una completa indipendenza da ogni condizionamento di carattere internazionale, che gli esuli repubblicani poterono essere i primi a raccogliere l’appello lanciato da Carlo Rosselli nell’estate dei 1936: "Oggi in lspagna, domani in Italia!". Accorrendo in difesa della libertà della Spagna i militanti repubblicani rinnovarono un’antica tradizione garibaldina e resero onore al monito pronunciato da Eugenio Chiesa in punto di morte: "Soprattutto pensate all’azione". Ma la loro partenza non avveniva esclusivamente all’insegna di romantici impulsi emotivi. I repubblicani non accorrevano verso la Spagna alla ricerca di una "bella morte". Aveva infatti questa spontanea, non sollecitata risposta all’appello di Carlo Rosselli (con il quale, pure, essi avevano avuto polemiche assai dure), un profondo significato politico, giacché si accompagnava ad un ben più cauto atteggiamento dei partiti di massa, che solo dopo la morte del leader dei Pri Mario Angeloni si sarebbero decisi all’intervento. E proprio nel momento in cui con la travolgente avanzata nazista più oscuro si faceva l’orizzonte politico dell’Europa, si ricostruiva una solidarietà di forze democratiche che non a caso vedeva in prima fila i repubblicani e gli uomini di Giustizia e Libertà, un movimento che si richiamava, al pari del Pri, ai princìpi della democrazia risorgimentale. Dei resto una significativa conferma della centralità dei Pri nella lotta contro il fascismo verrà proprio dai partiti di massa che vorranno al comando dei Battaglione Garibaldi il repubblicano Pacciardi.Con la guerra di Spagna l’Europa si avvicina alla seconda guerra mondiale. Nel 1940 l’invasione nazista della Francia provocò la dispersione dei gruppo dirigente repubblicano. I contatti, già tanto precari e difficili, tra i diversi gruppi ancora operanti furono interrotti, e i militanti repubblicani si trovarono ad affrontare la dura realtà della guerra senza un centro operativo capace di unificare e dirigere la loro volontà di riscossa democratica. Di conseguenza, attorno al 1942, mentre in alcune regioni uomini delle vecchie e delle nuove generazioni confluivano nel Partito d’Azione, che venne visto quasi come un prolungamento di Giustizia e Llibertà e di un impegno unitario di cui per primi proprio i repubblicani avevano avvertito l’esigenza, in altre zone la base ritenne di non poter sacrificare l’autonomia politica del vecchio partito della democrazia risorgimentale ad un esperimento, generoso e suggestivo, ma destinato a cadere al momento della normalizzazione della vita politica. Giovanni Conti e Oliviero Zuccarini furono con Cino Macrelli i più decisi a sostenere questa seconda soluzione. La loro volontà di ricostruire il Pri doveva dei resto trovare una prima conferma nelle ambiguità che vennero a manifestarsi in seno al partiti antifascisti dopo il Congresso di Bari dei gennaio 1944, che segnò il passaggio della coalizione antifascista dalla tesi della decadenza della monarchia a quella della tregua istituzionale, secondo una imposizione che veniva dai governi alleati, nessuno escluso.

Dalla Liberazione alla Repubblica

Dopo la liberazione di Roma il Pri non ebbe altra strada se non quella di ribadire la sua volontà di mantenersi estraneo al Comitato di Liberazione Nazionale, ma riconfermò la sua attiva presenza nei Cln provinciali delle zone occupate, nella convinzione che là dove si trattava di combattere i nazifascisti i repubblicani dovevano essere elemento di coesione e di unità.Tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 i repubblicani dettero il loro pieno contributo alla lotta di liberazione sia nelle brigate di Giustizia e Libertà sia nelle formazioni di partito, le Brigate Mazzini.Nell’Italia liberata la politica dei Pri si caratterizzò, invece, per una serrata denuncia dell’indirizzo seguito dai governi dei Cln: una denuncia che non si fondava soltanto sulla pregiudiziale repubblicana, ma traeva motivo dalla considerazione secondo cui non aver interrotto la continuità dello Stato monarchico, del quale era stata per di più mantenuta inalterata la struttura, significava porre il Paese in una condizione non facile rispetto agli Alleati che quella continuità avrebbero fatto valere sul tavolo delle trattative di pace.L’uscita dal conflitto mondiale poneva al Paese grandi e numerosi problemi. Il tessuto economico e sociale dell’Italia era stato troppo a lungo dilacerato dagli anni di guerra, soprattutto nel Nord, dove più cruento era stato lo scontro con le truppe nazifasciste, e dove molte vie di comunicazione erano saltate e molte industrie distrutte. La liberazione restituiva agli italiani, dopo venti anni di dittatura, la libertà di decidere il proprio destino di popolo civile, ma apriva interrogativi ai quali era difficile rispondere se prima non fosse stato definito il problema istituzionale.La posizione intransigente e radicale del Pri sulla questione istituzionale influì non poco a smuovere gli altri partiti che tutti, tranne il Partito d’Azione, sia pure con accenti e motivazioni diverse, si mostravano alquanto possibilisti nei confronti della monarchia. Ma i repubblicani avevano posto sul tappeto un problema fondamentale per il futuro del Paese, sul quale non erano possibili compromessi. E questa linea essi mantennero sino al referendum, rifiutando di partecipare a qualsiasi coalizione di governo, sostenendo che monarchia e fascismo erano a tal punto inscindibili che, fino a quando fosse stato in vita l’una sarebbe stato sempre presente l’altro.Avvicinandosi il referendum istituzionale, i repubblicani, certi della scelta dei popolo italiano, chiamarono le altre forze politiche a confrontarsi, fuori dei dogmatismi ideologici, su quale Italia si dovesse costruire. Nel febbraio dei 1946 il Partito repubblicano dedicava i lavori dei suo congresso nazionale all’esame di un Progetto di Costituzione repubblicana dello Stato, elaborato da Giovanni Conti con la collaborazione di Tomaso Perassi durante l’occupazione nazista. Il Progetto riaffermava la necessità di uscire dalle formulazioni vaghe e generiche e indicava quali princìpi da porre a base dei nuovo patto costituzionale: "un mutamento dei rapporti sociali che renda possibile la moralizzazione della vita pubblica"; "la realizzazione dell’autogoverno effettivo della nazione"; "una democrazia realizzata come organizzazione di libertà locali e generali"; "il principio che la sovranità risiede nel popolo degli italiani".Il 2 giugno 1946 è la Repubblica. Il Partito repubblicano, che aveva guidato la battaglia per la Repubblica portava alla Costituente 23 parlamentari; nell’autunno gli eletti della lista della Concentrazione Democratico Repubblicana (nata dalla scissione del Partito d’Azione), Ugo la Malfa e Ferruccio Parri, riconoscendo nel Pri la forza politica che più di ogni altra rappresentava gli ideali di intransigenza democratica che erano stati alla base della nascita dei Partito d’Azione, entravano nel Partito repubblicano.Caduta la monarchia, i repubblicani accettarono per la prima volta di partecipare al governo della nazione assieme ai tre grandi partiti di massa: Cino Macrelli e Cipriano Facchinetti dovevano rappresentarli nel secondo ministero De Gasperi.La Costituente che deve elaborare la Carta fondamentale della democrazia italiana trova in prima fila i repubblicani, gli unici che già durante la Resistenza si siano posti il problema della costruzione dei nuovo Stato democratico. La scelta tra repubblica presidenziale e repubblica parlamentare avviene a favore di quest’ultima, quando l’Assemblea approva un ordine dei giorno presentato dal repubblicano Perassi. La nascita delle Regioni (che dovranno attendere oltre un ventennio per essere realizzate) quale riaffermazione dei princìpi dell’autonomia e dei decentramento contro lo Stato accentratore espressione dei regime monarchico e fascista, è sostenuta vittoriosamente da Giovanni Conti e da Oliviero Zuccarini contro lo stesso Partito comunista che allora si dichiarava contrario alle autonomie regionali.

Gli anni della ricostruzione

L’Italia ha di fronte in quegli anni tutti i gravi problemi che derivano dalla necessità di riassestare il sistema produttivo e di combattere la crescente inflazione postbellica E’ il repubblicano Ugo la Malfa che sottopone all’attenzione della Assemblea Costituente i problemi della politica economica e finanziaria secondo una linea di rigore che pone in evidenza la necessità di lottare contro la disoccupazione e di riattivare i meccanismi produttivi. Sono i repubblicani a chiedere che gli aiuti del piano Marshall siano indirizzati verso gli investimenti pubblici produttivi e per riequilibrare gli squilibri economici territoriali. Le scelte dei repubblicani sono così sempre consequenziali alla loro concezione della democrazia intesa come conquista quotidiana e crescita collettiva, al di fuori di schematismi e di griglie ideologiche, proprie di altri partiti che si sforzano di interpretare e misurare la realtà entro canoni prefissati. Il Partito repubblicano si riallaccia in questo modo alle battaglie e alle tradizioni più significative della democrazia repubblicana dei Risorgimento. Vuole essere ed è il partito della ragione. Quando la divisione dei mondo in due blocchi provoca la guerra fredda e questa porta alla scelta di campo senza mezze misure, il Partito comunista italiano riafferma la sua solidarietà e fratellanza con il Paese che ha realizzato il socialismo, l’Unione Sovietica; a sua volta il Partito socialista, che sente prevalere la scelta di classe, conferma il Patto di unità d’azione che lo lega al Pci.Il Presidente dei Consiglio, De Gasperi, forma un nuovo governo senza i comunisti e i socialisti, che passano all’opposizione. L’unità nazionale è rotta. Il Paese è ormai diviso in due schieramenti: centrismo e frontismo. Il segretario dei Partito repubblicano, Pacciardi, scrive su La Voce Repubblicana: "Il Paese si è polarizzato verso gli estremismi: comunismo e anticomunismo. Noi ci rifiutiamo di dividere il mondo così e di lasciarci trascinare su questo terreno. I repubblicani operano per tentare di ricucire una frattura di cui avvertono tutti i pericoli per la democrazia italiana". "Noi - scrive ancora Pacciardi - creeremo una forza di equilibrio, una zona di ragione dove l’aria sarà irrespirabile per tutti i faziosi".A rendere incolmabile l’abisso tra i due schieramenti intervenne la scissione dei Partito socialista, con l’uscita dei gruppo raccolto attorno a Giuseppe Saragat, che contava quasi sul 50 per cento del partito. Nasceva il Partito socialdemocratico. Fu in questo quadro che il Partito repubblicano decise di assicurare la propria partecipazione alla formula centrista. Il pericolo di involuzioni dell’asse politico, provato dall’elezione dei sindaco di Roma, Salvatore Rebecchini, avvenuta con i voti determinanti della destra, l’impossibilità di avviare un qualsiasi discorso a sinistra, convinsero i repubblicani a collaborare con la Democrazia cristiana, con il disegno di spingere questo grosso partito, carico di contraddizioni e solcato da forti tendenze conservatrici, verso obiettivi di progresso sociale. I repubblicani entravano nel quarto governo De Gasperi con Randolfo Pacciardi, Carlo Sforza e Cipriano Facchinetti. Questo governo arrivò alle elezioni del 18 aprile 1948. L’accentuarsi delle frizioni internazionali tra Est ed Ovest, determinato dal dramma dilacerante vissuto a Praga e la presenza in Italia di un forte Partito comunista sempre più saldamente legato al mito dei socialismo sovietico, sviarono l’attenzione degli italiani: gli appelli dei Pri alla ragione, a non dividersi tra comunisti e anticomunisti, caddero nel vuoto.La paura dell’orso sovietico che poteva invadere il Paese da un momento all’altro era alimentata dalla stessa Democrazia cristiana e dalle gerarchie cattoliche, sempre pronte a cogliere l’occasione per spostare a destra la Dc. Anche molti democratici si lasciarono prendere da questo spirito di crociata in attesa dell’ora x che avrebbe salvato o perduto l’Italia.Il 18 aprile 1948 segnerà a fondo il sistema politico italiano, creando quel bipartitismo imperfetto che avrebbe caratterizzato tutta la vita della nostra Repubblica. I partiti della democrazia laica furono pesantemente ridimensionati nel loro stesso ruolo; la Democrazia cristiana aveva ottenuto la maggioranza assoluta. Così alterati i rapporti di forza, non vi era altra alternativa alla partecipazione al governo se non una sterile opposizione senza prospettive. Ma i repubblicani, pur ridotti nella loro rappresentanza parlamentare, seppero mantenere viva l’attenzione sul problemi reali dei Paese e sulle loro soluzioni. Pur presenti in uno schieramento centrista, essi tentavano di indicare lo spazio che si apriva ad una sinistra non velleitaria e riformatrice. Era il richiamo alla ragione e al pragmatismo democratico.

Si preannuncia la svolta lamalfiana

"La considerazione dei problemi economici e finanziari - dirà Ugo la Malfa nel 1949 - non può astrarre dal tempo cui essi si riferiscono, e una politica che può apparire errata in una certa fase economica, risulta giusta in un’altra e viceversa".Il Partito repubblicano si caratterizzava in questi anni come il più tenace assertore di soluzioni pragmatiche per affrontare i grossi nodi dei Paese e aiutarlo a liberarsi dagli stretti vincoli delle vecchie strutture e delle anguste visioni ideologiche che attanagliavano in una situazione irrazionale la società italiana. Il Partito repubblicano non ha modelli preconfezionati da offrire, né palingenesi da auspicare, la sua attenzione è rivolta verso quei Paesi anglosassoni che in nome di una democrazia intesa come ragione, vanno costruendo quella che più tardi verrà definita la società dei benessere.Questo riferimento è essenziale per comprendere tutta l’azione politica dei repubblicani, che, pur nei vari aspetti, dalla politica economica a quella estera a quella delle Istituzioni, può essere ricondotta a questo unico punto di partenza che è l’appartenenza dell’italia all’Occidente democratico.Non si comprende bene quanto è avvenuto negli anni dei centrismo senza aver presente l’azione svolta dai repubblicani: la necessità di rivitalizzare il nostro sistema agricolo, caratterizzato ancora dal latifondo, di sviluppare un moderno sistema industriale, di aprirci all’Europa e costruire contemporaneamente un nuovo Stato, imponevano scelte precise e improcrastinabili, alle quali forze politiche e interessi economici rilevanti si opponevano. Ciò nonostante il rigore dell’impostazione repubblicana fu decisivo per la realizzazione di questi obiettivi riformatori che costituivano il nuovo volto dell’italia industriale. Nel 1949 il Pri con l’impegno di La Malfa pose alla Dc in termini alternativi la scelta per una moderna riforma agraria che debellasse il latifondo parassitario esteso soprattutto nel Mezzogiorno. Fu una battaglia non facile a fronte di una Democrazia cristiana maggioritaria e nella quale molti erano gli interessi latifondistici, e di un Partito liberale che si andava caratterizzando come forza conservatrice e di destra.La Democrazia cristiana dovette accettare l’impostazione repubblicana e il Partito liberale passò all’opposizione rimanendovi per l’intera legislatura, contrastando tutte le principali realizzazioni: riforma agraria, liberalizzazione degli scambi, Cassa per il Mezzogiorno.Battaglie non facili da condurre in un quadro politico che vedeva i comunisti e i socialisti pregiudizialmente ancorati al mito della rivoluzione socialista, sostanzialmente indifferenti a quanto si poteva realizzare nel Paese; i partiti della destra monarchica e fascista in crescente risalita; il Partito liberale a difesa degli interessi più conservatori; la Democrazia cristiana sempre sensibile ai richiami integralistici del Vaticano.Pur in presenza di tante difficoltà, la riforma agraria, primo decisivo passo verso la modernizzazione delle strutture economiche fu realizzata; e nello stesso anno, nel 1950, fu creata la Cassa per il Mezzogiorno, primo tentativo di dare centralità al problema dei Mezzogiorno e alla soluzione dei suoi storici problemi attraverso un massiccio intervento di capitale pubblico.L’esperienza alla quale il Partito repubblicano guardava era quella della Tennessee Valley Authority che il governo democratico di Roosevelt aveva realizzato nel quadro delle iniziative per uscire dalla grande depressione. Non furono poche le opposizioni e i timori di quanti non credevano e non volevano l’intervento dello Stato, fermi ad una concezione ottocentesca dello Stato liberale. A questi i repubblicani contrapponevano una concezione moderna dell’economia che doveva fare i conti con i problemi endemici rappresentati da gravi squilibri territoriali."Voi volete trasformare il Mezzogiorno col liberalismo economico, con la libertà economica? - dirà Ugo la Malfa - Ma cosa volete che la libera iniziativa possa creare nel Mezzogiorno quando gli elementi strutturali e fondamentali, dalle case alle bonifiche, dall’acqua alle fognature, ai mezzi di comunicazione non vi sono?".Erano le premesse di quella politica di programmazione che i repubblicani porranno a base della svolta di centrosinistra e che riproporranno negli anni dell’emergenza come unica via per uscire dall’inflazione e ridare vigore al sistema economico. Ma il provvedimento sul quale più si accanirono i ceti conservatori fu la liberalizzazione degli scambi. Gli industriali temevano che l’apertura delle frontiere avrebbe colpito a morte l’industria nazionale e si sentivano più sicuri dietro i vecchi schemi corporativi. La stessa Confederazione Generale del Lavoro, temendo per l’occupazione, si schierò contro. Ma la posizione dei repubblicani e di Ugo la Malfa, che ricopriva l’incarico di ministro del Commercio con l’estero, prevalse sulle opposizioni e sulle titubanze. Nell’agosto del 1951 l’Italia, prima in Europa, si apriva all’Europa."Fui mosso da due convincimenti - dirà più tardi La Malfa - La visione meridionalista, ossia l’idea di stimolare con la concorrenza il sistema economico, favorendo il Mezzogiorno, e l’intuizione della capacità nazionale di andare sui mercati, della possibilità di dare finalmente respiro, sprigionare energie compresse".Erano così fissate quelle riforme che assicureranno la nascita di un’Italia industriale e che porteranno agli anni dei boom economico. L’economia italiana iniziava a progredire grazie a interventi legislativi riformatori che le forze moderate tenacemente avevano osteggiato. Parallelamente alla nuova impostazione di politica economica, che i repubblicani cercavano di assicurare al Paese, marciava l’impegno per dare all’Italia una politica estera democratica; al repubblicano Carlo Sforza, ministro degli Esteri, si deve la grande vittoriosa battaglia per porre il Paese al fianco delle nazioni dell’Occidente democratico. Per portare l’Italia nell’Alleanza Atlantica fu necessario vincere le numerose titubanze che emergevano nell’ambito della stessa Democrazia cristiana, sulla quale premevano le gerarchie vaticane, propense ad attribuire al nostro Paese un destino di neutralità. Un’Italia non allineata, inevitabilmente destinata a subire un progressivo distacco dalle democrazie dell’Occidente era l’aspirazione di molti cattolici ed era, nello stesso tempo, l’obiettivo del socialcomunismo.Ma De Gasperi condivise la scelta occidentale dei repubblicani, di Sforza e di La Malfa: l’Italia entrò nella Nato, una alleanza militare difensiva che i democratici interpretarono sempre come premessa per la realizzazione dell’Unità europea, bene supremo che avrebbe garantito la pace. Lo stesso Sforza portò l’Italia ad aderire al nascente Consiglio d’Europa.La prima legislatura repubblicana portava così impresso il segno dei Partito repubblicano, che da una posizione di minoranza aveva indicato la via da percorrere per assicurare il progresso dei Paese. Ma la Democrazia cristiana rimaneva il partito della maggioranza assoluta, mentre la protesta qualunquistica e corporativa ingigantiva la destra monarchica e fascista che nuovamente assurgeva al ruolo di protagonista. Sul fronte dell’estrema sinistra proseguiva l’opposizione dei socialisti e comunisti in attesa dei fatidico evento della rivoluzione. In questa situazione i repubblicani, consapevoli dei pericoli reali per le sorti dello Stato democratico che venivano dalla possibilità di uno scivolamento reazionario dell’asse politico, grazie alle crescenti lusinghe dei partiti di destra nei confronti della Dc, proposero una Costituente programmatica che unisse tutti i partiti laici.L’idea non fu accolta. Si pensò allora ad una modifica della legge elettorale che assicurasse ai partiti "apparentati" un premio di maggioranza nel caso in cui avessero ottenuto il 51 per cento dei voti. La legge fu definita dall’estrema sinistra un provvedimento liberticida e si coniò il termine di "legge truffa".Anche l’estrema destra monarchica e fascista si oppose con furore alla legge. I repubblicani l’accettarono, ben sapendo che non si trattava di dare alla Democrazia cristiana una maggioranza che già aveva, quanto di legarla con vincoli maggiori ai partiti laici, così da bloccare quelle possibili involuzioni sulla destra che l’operazione Sturzo, il tentativo cioè di costituire nel Comune di Roma una maggioranza di centrodestra, sventato dalla ferma azione della segreteria dei Pri, affidata ad Oronzo Reale, aveva lasciato intravvedere.La legge fu approvata, ma nelle elezioni politiche dei 1953 il quorurn richiesto non scattò. Con quelle elezioni si chiudeva un ciclo politico.Iniziava il lento cammino per allargare l’area della partecipazione democratica alla ricerca di nuove forze che potessero contribuire a dare maggiore vigore al processo di trasformazione della società italiana.

Gli anni del centrosinistra e la crisi delle speranze riformatrici

Gli anni della seconda legislatura repubblicana vedono questo sforzo dei repubblicani teso a cogliere ogni occasione per stimolare nell’estrema sinistra socialista e comunista una revisione politica ed ideologica che consenta di uscire dal ghetto nel quale si erano relegate, ma sono anche gli anni nei quali essi si pongono il problema di come garantire, e con quali strumenti, un più accelerato ritmo di sviluppo ed una maggiore soddisfazione delle esigenze sociali di una moderna democrazia. E’ costante il loro richiamo ad aver presenti i dati della realtà italiana ed una visione globale dei suoi problemi. Su questo terreno il Pri chiede ai sindacati di verificare le loro azioni rivendicative.Il sindacato doveva avere il coraggio di impostare i problemi generali e di chiamare i lavoratori ad assumere le loro responsabilità nel quadro dei programmi generali. Programmazione e politica dei redditi sono i contenuti di una politica riformatrice che i repubblicani additano alle forze politiche e sociali già nella prima metà degli anni ‘50.Il XX Congresso dei Pcus nel 1956, incrinando il mito staliniano e rivelando la realtà dei socialismo sovietico, apre le speranze alla possibilità che la sinistra socialista e comunista in Italia riveda finalmente le proprie posizioni. I repubblicani avevano più volte sottolineato come l’impedimento alla creazione di una forte sinistra democratica nascesse dalla presenza degli stretti legami internazionali che i partiti dell’estrema mantenevano con l’Unione Sovietica."Il comunismo - dirà La Malfa - in un Paese di civiltà occidentale è concezione astratta di per se stessa. Esso pone i problemi della trasformazione sociale e politica in termini che non avranno mai possibilità di attuazione in tali Paesi". Contemporaneamente il Partito liberale, arroccato sempre più su posizioni conservatrici, subisce una scissione che porta alla nascita dei Partito radicale. E’ il Partito radicale di Mario Pannunzio, direttore de Il Mondo, di Ernesto Rossi, di Francesco Compagna, Vittorio De Caprariis, Mario Paggi. La nascita di questa nuova formazione viene salutata con simpatia dai repubblicani che vedono allargarsi l’area di democrazia laica progressista.Radicali e repubblicani affrontano insieme l’analisi dei principali nodi dei Paese, economici, istituzionali e di costume, indicando risposte all’insegna della ragione, contestando sempre le fughe illusorie nell’utopia. Sono quelle indicazioni e la ferma volontà di perseguirle in un chiaro disegno politico, che caratterizzano la presenza repubblicana. Ma l’allargamento della partecipazione democratica, se è premessa indispensabile per un grande disegno riformatore, non può non marciare contemporaneamente al conseguimento di nuove tappe verso il grande obiettivo dell’unificazione europea. L’importanza che le attribuiscono i repubblicani è fondamentale. L’insegnamento di Mazzini e degli uomini più avanzati della democrazia risorgimentale viene portato avanti con tenacia. I repubblicani sono in prima linea con Randolfo Pacciardi a sostenere, d’intesa con il Movimento federalista europeo di Altiero Spinelli, la nascita della Comunità Europea di Difesa, progetto non realizzato a causa dell’opposizione della Francia.La seconda legislatura repubblicana si avviava così alla fine, e il Partito repubblicano, verificata la convergente impostazione con il Partito radicale, decideva di presentare liste in comune.Nel novembre dello stesso anno il Pri si riunisce a Firenze per il XXVI Congresso Nazionale, che sancisce nel documento finale la necessità per il Paese di perseguire la ricerca di nuove formule politiche. Nel frattempo, il distacco del Partito socialista dal Pci diviene sempre più marcato e Pietro Nenni contribuisce a riportare il suo partito su posizioni riformistiche, le uniche che abbiano possibilità di mutare il volto dei Paese. L’allargamento dell’area democratica per il quale i repubblicani si battono con tenacia, rischia di essere compromesso nel 1960, con la costituzione dei governo Tambroni, che proprio mentre il neofascisrno riprende vigore, tenta di allargare la scissione tra Paese reale e Parlamento, presentandosi come governo forte della nazione. La reazione popolare è immediata e l’Italia si ritrova in un clima di guerra civile, con il pericolo di una "irrefrenabile radicalizzazione dello lotta politica ", come la definì il segretario dei partito Oronzo Reale.In questo clima il Partito repubblicano si batte con decisione per bloccare il processo di degenerazione in atto, e la sua iniziativa, in un momento di straordinaria tensione e di generale smarrimento, fa sì che la crisi venga superata con la costituzione di un monocolore Dc che ottiene la maggioranza, grazie al voto favorevole dei partiti laici e all’astensione dei Partito socialista.Il ritorno a condizioni di normalità permette al Pri di riprendere l’iniziativa per la costituzione del centrosinistra. Nell’autunno dei 1960 il XXVII congresso Nazionale del Pri a Bologna dichiara esaurita la formula centrista.Si arriva così alla costituzione di quel primo centrosinistra nel 1962, con Ugo La Malfa ministro dei Bilancio. Il terreno sul quale si gioca la svolta politica è quello economico, dove i repubblicani cercano di trarre le conclusioni di quanto avevano prospettato negli anni precedenti. Nasce la programmazione. Nel 1962 la Malfa presenta al Parlamento e al Paese la Nota aggiuntiva al bilancio dello Stato e indica nella collaborazione di tutte le forze sociali intorno ad obiettivi prioritari quali il Mezzogiorno e la piena occupazione, lo strumento indispensabile per assicurare continuità a quello sviluppo economico del quale si intravvede l’esaurimento; i repubblicani chiedevano l’impegno dei sindacati intorno al tavolo della programmazione.Prima realizzazione di quel governo fu la nazionalizzazione dell’energia elettrica che avrebbe dovuto garantire soprattutto nel Mezzogiorno la disponibilità di energia necessaria al suo sviluppo. Ma l’incomprensione e l’immaturità dei mondo imprenditoriale e del lavoro decretarono il fallimento della politica di piano. La Confindustria temeva il soffocamento dell’iniziativa privata, i sindacati la limitazione della loro libertà di azione. La spinta riformatrice che i repubblicani avrebbero voluto imprimere al centrosinistra, veniva così bloccata da queste tensioni. L’economia italiana si avviava verso una fase critica, mentre si allargava la spesa pubblica corrente a danno degli investimenti produttivi.Nel 1967, in occasione della crisi di governo il Pri poneva quali punti irrinunciabili: il contenimento della spesa pubblica corrente per garantire le finalità della programmazione; l’avvio concreto della riforma dello Stato e delle strutture autonomistiche, nel cui quadro inserire l’attuazione regionale; il problema delle priorità. Temi sui quali i repubblicani si batteranno con tenacia negli anni successivi, rimanendo pressoché inascoltati.Le insufficienze dei centrosinistra, la mancanza di una visione globale dei problemi dei Paese, erano il principale oggetto della loro attenzione. La stagione contrattuale del 1969, sull’onda delle agitazioni studentesche e dell’autunno caldo, fece saltare qualsiasi ipotesi di programmazione. La stabilità, ancora precaria, dei sistema economico italiano, caratterizzato dalla presenza di una vasta fascia di disoccupazione, alla quale si aggiungerà pochi anni più tardi l’aumento dei costi energetici a seguito della crisi petrolifera, fu compromessa, e l’Italia si trovò in una condizione di crisi crescente che dal piano economico si spostò sempre più sul piano sociale e istituzionale.Il Partito Repubblicano intravvedendo tutti questi pericoli, richiamò l’attenzione delle forze politiche sulla necessità di considerare contemporaneamente i problemi dell’economia e i problemi dello Stato."Lo Stato - dirà La Malfa - non è per noi il meccanismo di potere che bisogna conquistare, ma è una organizzazione al servizio dei cittadini, che si deve servire con umiltà e disinteresse, mettendolo al di sopra di qualsiasi ragione di parte. Nella concezione repubblicana lo Stato, come organizzazione di interessi collettivi, deve sovrastare, e noi non dobbiamo, in alcun caso, sovrastare lo Stato e le sue ragioni".In questa linea il Pri si batte perché leggi civili e moderne siano realizzate: la legge istitutiva del divorzio porta la firma dei ministro della Giustizia, il repubblicano Oronzo Reale, e una legge, fondamentale per uno Stato moderno, come quella della riforma tributaria, porta la firma dei repubblicano Bruno Visentini.In questa linea il Pri, partito storico delle autonomie, si astiene nel voto per l’istituzione delle Regioni, nel 1970, perché queste non si inserivano in un quadro generale di riforma dell’assetto istituzionale, come dimostrava il rifiuto di accettare la proposta repubblicana di sopprimere, contestualmente al nascere delle Regioni, i consigli provinciali, limitati ormai nei poteri e nelle funzioni.L’aggravamento della situazione economica spinge i repubblicani a chiedere la presentazione in Parlamento di un Libro bianco sulla spesa pubblica e, nel 1971, essi denunciano la presenza di un sistema di strutture pubbliche costoso e inefficiente. - "Quando un sistema di strutture pubbliche - dirà La Malfa alla Camera - diventa parassitario, il costo di questo parassitismo cade sulla classe operaia e sul sistema direttamente produttivo"Le condizioni di crescente e inarrestabile crisi dell’intera economia italiana destano nei repubblicani la preoccupazione che l’Italia possa uscire dal novero dei Paesi occidentali e "sprofondare nel Mediterraneo". Il problema principale diviene rapidamente quello della stessa sopravvivenza dei nostro sistema.

La crisi dello Stato e l’emergenza

Esaurita ormai da tempo l’esperienza di centrosinistra, i repubblicani indicano quale unica via di salvezza un accordo di emergenza fra tutte le forze politiche e sindacali, che consenta di bloccare il processo di degenerazione che investe ormai tutte le strutture economiche, sociali e istituzionali.Il disavanzo pubblico si allarga sempre più, raggiungendo i 14mila miliardi di deficit nel 1975 e i 25mila nel 1978, mentre l’inflazione cresce ad un tasso elevatissino e il settore pubblico, dall’Eni, all’Iri, all’Egam, si trasforma in un pozzo di passività senza fondo che ingoia tra deviazioni e degenerazioni centinaia di miliardi.Il Paese è alla "Caporetto economica" come denuncia La Malfa, mentre si profila una Caporetto morale con la crisi delle stesse istituzioni e dei valori che sorreggono ogni convivenza sociale. La democrazia italiana appare inerme di fronte all’attacco di un terrorismo dilagante che colpisce con spavalda sicurezza ogni elemento vitale dello Stato.I repubblicani denunciano la situazione - frutto di crisi ricorrenti e sempre più gravi - e il rischio che ci si avvìi verso una spirale degenerativa. La gravità è tale da richiedere misure eccezionali, di qui il richiamo dei repubblicani all’emergenza, con il contributo di tutte le forze politiche e sociali. Ma emergenza significa programmazione e scelte prioritarie, responsabilità e rigore; emergenza significa anche consolidare la permanenza dell’Italia nel sistema economico a fianco delle democrazie occidentali. In questa prospettiva i repubblicani pongono la premessa per una politica di rigore che, attraverso il rilancio della programmazione riduca la spesa pubblica controllando il processo inflattivo. L’adesione dell’Italia al Sistema Monetario Europeo è in questa linea una tappa importante e una battaglia che i repubblicani conducono sino in fondo, tra le oscillazioni e i tentennamenti di tutti gli altri partiti."Chi voglia spiegarsi - dirà la Malfa - perché il Pri si è battuto per l’ingresso immediato dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo, e ha minacciato di ritirarsi dalla maggioranza, ove ciò non fosse avvenuto, deve considerare l’importanza che il Pri ha annesso a questo confronto, perché si arrivi a una valutazione comune dei problemi e dell’atteggiamento da assumere verso il modo capitalistico di produzione, in vista di dargli la maggiore produttività ed efficienza. L’aggancio dell’Italia allo Sme non ha avuto il carattere della ricerca di un vincolo esterno, di un rigore di politica economica e monetaria, impostoci da altri Stati. Ha avuto bensì il carattere di un vincolo comunitario, cioè di un vincolo che noi stessi, partecipi della Comunità europea abbiamo accettato e ci siamo creato".Il richiamo dei repubblicani al rigore e alla ragione prosegue. Ed è così che nei primi mesi dei 1979, il Capo dello Stato affida a Ugo La Malfa l’incarico di formare il nuovo governo. Il tentativo non riesce, e il 21 marzo viene varato il governo Andreotti, del quale la Malfa è vicepresidente. Cinque giorni dopo, l’uomo che aveva così grandemente contribuito al pensiero e all’azione dei repubblicani, e naturalmente al progresso dell’Italia tutta per oltre un trentennio, scompare colto da un male improvviso.Nel settembre dello stesso anno, il Pri elegge Bruno Visentini presidente e Giovanni Spadolini segretario del partito. Spadolini nel suo intervento potrà affermare: "Nessuna pregiudiziale per il futuro, amici, ma soprattutto pregiudiziali contro qualunque pregiudiziale, perché questo che è il partito della ragione, non può avere pregiudiziali".

Giorgio La Malfa segretario

Nonostante il periodo di stabilità di cui fruiscono i governi Craxi, restano inalterati, anzi tendono ad aggravarsi, gli squilibri di fondo che caratterizzano la società italiana, soprattutto nel divario di condizioni tra Nord e Sud del Paese.Si può dire che tali anni rappresentano un’altra occasione storica mancata per incidere sui fattori strutturali che continuano a rendere costantemente precaria la situazione italiana. La diminuzione del prezzo del petrolio e della quotazione del dollaro non viene sfruttata per affrontare un piano di rientro dall’indebitamento pubblico, sollecitato inutilmente dai repubblicani. La spesa pubblica appare come una sorta di "variabile incontrollata".All’indomani delle elezioni del 14 giugno 1987, Spadolini, dopo aver guidato per nove anni il Pri, viene eletto alla carica di presidente del Senato, ulteriore dimostrazione del ruolo centrale che i repubblicani svolgono nella vita politica, un ruolo che va ben al di là di quanto potrebbe comportare un puro calcolo di consistenza numerica.Il 12 settembre il Consiglio nazionale elegge quasi all’unanimità, a scrutinio segreto, Giorgio La Malfa segretario politico del Pri. "Noi - dichiara La Malfa nel suo primo intervento dopo la sua elezione - consideriamo nostro compito vedere più avanti, proporre soluzioni anticipatrici, ascoltare le voci della società, del suo mondo intellettuale e produttivo, in uno sforzo di rendere uniforme lo sviluppo del Paese e più giusta la distribuzione dei redditi e delle possibilità all’interno di esso".I repubblicani non si tirano indietro di fronte alle loro responsabilità e partecipano al nuovo governo Andreotti, assumendo tre importanti ministeri: Riforme istituzionali, con Antonio Maccanico, Industria, con Adolfo Battaglia, Poste e Telecomunicazioni, con Oscar Mammì.
Nel maggio del 1989 si svolgono a Rimini i lavori del XXXVII Congresso nazionale repubblicano, al termine del quale La Malfa è riconfermato alla segreteria e Bruno Visentini alla presidenza. E' un congresso di grande importanza per i repubblicani, che ha per tema "Gli anni '90 che vogliamo". Il congresso conferma l'originalità e la peculiarità del Pri, il suo essere espressione diretta della tradizione politica democratica, portatore di una cultura economica moderna, sostenitore di una pubblica amministrazione che risponda non ad esigenze di assistenzialismo ma ad una domanda di efficienza e di corretto funzionamento più aderente ai bisogni dei cittadini. Ha una ferma visione della laicità e sovranità dello Stato. E' portatore di una linea politica estera chiara e costante che vuole l'Italia integrata nell'Europa e nell'Occidente senza esitazioni o cedimenti. Con queste premesse programmatiche e ideali il congresso di Rimini decide di presentare alle elezioni europee liste comuni con il partito liberale e il partito radicale.
Nel luglio dello stesso anno il partito repubblicano, in occasione della formazione del nuovo governo guidato da Andreotti sostiene che "non essendo numericamente determinante si riserva "un'ultima volta" di sostenere un governo fondato sull'alleanza tra DC e PSI.
Nel gennaio del 1990, pur approvando l'adesione del governo alla banda stretta dello SME, i repubblicani rilevano che occorre costruire le condizioni adeguate di politica economica e finanziaria e criticano fermamente il provvedimento di legge sugli extracomunitari.
Nell'aprile dello stesso anno con la formazione del VII governo Andreotti, il Pri si dissocia dalla maggioranza e passa all'opposizione.

La crisi della Repubblica

Mentre gli anni '80 si erano chiusi con il crollo dei regimi dell'Est, che si richiamavano ai miti e alle dottrine del socialismo reale, una sorta di vittoria di Mazzini su Marx, come ha notato Sergio Romano, gli anni '90 sono stati gli anni della grande crisi della Repubblica, travolta dal ciclone giudiziario di Tangentopoli, che ha provocato in breve tempo la dissoluzione di quasi tutti i partiti italiani e in particolare delle forze politiche che avevano guidato la rinascita dell'Italia dal dopoguerra.
La grande trasformazione internazionale e una serie di cambiamenti, a cominciare dalla legge elettorale maggioritaria per il Parlamento, per continuare con le inchieste della magistratura, incidono profondamente sul sistema politico italiano, senza, tuttavia, garantire né un nuovo fondamento costituzionale - giacché falliscono tutti i tentativi di revisione della Costituzione - né un nuovo equilibrio politico.
Nel febbraio del 1992 il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, in polemica con il Parlamento decide lo scioglimento anticipato della Camere. Le elezioni (aprile) registrano una flessione di tutti i partiti di governo e del Pds (erede del vecchio partito comunista) e l'affermazione della Lega che, soprattutto nel nord, raggiunge percentuali elevate. Il partito repubblicano ottiene il 4,4% alla Camera e il 4,7% al Senato.
Poco dopo, Cossiga si dimette, dopo aver polemizzato con il consiglio superiore della Magistratura ed i vertici militari. Nella nuova elezione del capo dello Stato i repubblicani sostengono sino alla fine la candidatura di Leo Valiani contro quella di Oscar Luigi Scalfaro.
Nel mese di giugno '92 si costituisce il nuovo governo presieduto da Giuliano Amato, ma i repubblicani decidono di nono votargli la fiducia, riservandosi di valutare l'azione del governo sui singoli provvedimenti.
In ottobre nasce una nuova formazione politica, Alleanza Democratica, promossa dallo stesso PRI, con lo scopo di accelerare il cammino delle riforme istituzionali.
Nel mese di novembre si svolge a Carrara il XXXVIII congresso del partito repubblicano. Nella sua relazione, Giorgio La Malfa mette in luce come a fronte della crisi dell'intero sistema politico occorra "costruire un nuovo equilibrio politico che sia espressione di un rinnovamento delle idee, degli uomini e degli schieramenti politici". "Per queste ragioni Ðsosterrà La Malfa- la questione è insieme istituzionale e politica". In questa prospettiva, i repubblicani, portatori da sempre delle istanze autonomistiche, si dichiarano favorevoli ad un più ricca articolazione decentralizzata dello Stato.
Ma, per affrontare con efficacia la grande crisi politico-istituzionale dell'Italia, i repubblicani propongono la realizzazione di un governo temporaneo svincolato dai partiti, sostenuto da un'ampia maggioranza, dalla Lega sino al Pds, con l'ingresso nell'esecutivo dei capigruppo parlamentari, per impegnarsi in una azione dura di risanamento economico e finanziario. Contestualmente i gruppi parlamentari dovrebbero concentrarsi nella realizzazione delle necessarie riforme elettorali e costituzionali.
I repubblicani si interrogano anche sulla necessità o meno di partecipare alla realizzazione di nuove aggregazioni partitiche nella prospettiva di una semplificazione del quadro politico. Nel dibattito che si apre tra tutti i repubblicani Il segretario La Malfa si esprime in termini prudenti, non escludendo la possibilità di dare vita ad rassemblement sul tipo dell' UDF in Francia, che negli anni '60 aveva rappresentato il terreno di incontro tra cattolici, liberali, repubblicani e radicali di destra.
Nel Consiglio nazionale del 4 dicembre Giorgio La Malfa è rieletto segretario del partito, mentre i repubblicani chiedono le dimissioni del governo Amato.
Ad aprile del 1993 il governo Amato si dimette e il 28 aprile si insedia il nuovo governo presieduto da Carlo Azeglio Ciampi, che durerà sino al gennaio dell'anno successivo. Nello stesso mese di aprile un referendum sulla legge elettorale decreta una larga scelta popolare a favore del sistema maggioritario e nel gennaio dell'anno successivo il Presidente della Repubblica decide di sciogliere anticipatamente le Camere.

Gli anni dell'alternanza

Nel marzo del 1994 si svolgono le elezioni politiche con il nuovo sistema elettorale maggioritario. Si confrontano tre schieramenti, uno di centrodestra, guidato dalla nuova formazione politica, Forza Italia, fondata da Silvio Berlusconi, uno di centrosinistra e un terzo, il Patto per l'Italia, che vede riuniti il partito popolare, il patto per l'Italia, guidato da Mario Segni e il partito repubblicano. Il programma di questo schieramento prevede una riduzione della pressione fiscale, la riforma del sistema pensionistico, la regolamentazione dei flussi di lavoratori extracomunitari, la creazione di un sistema federalista basato sul criterio della sussidiarietà.
Il risultato elettorale è deludente. Gli italiani preferiscono dividersi tra i due schieramenti estremi, penalizzando quello di centro. Con la vittoria della Casa delle Libertà assume la guida del governo il leader del centrodestra, Berlusconi, che resta in carica sino a dicembre, quando l'uscita dalla maggioranza della Lega ne determina la caduta.
Preso atto della impossibilità di dare vita ad una alternativa centrista, il partito repubblicano, così come lo stesso partito popolare, decide di avvicinarsi alle forze di centrosinistra con l'intendimento di creare uno schieramento di unità nazionale che sappia affrontare i problemi del paese.
Nel gennaio del 1995, anziché sciogliere le Camere, Scalfaro affida la guida del nuovo governo a Lamberto Dini (gennaio '95- gennaio '96), che era stato ministro del tesoro nel precedente governo Berlusconi. Il repubblicano Guglielmo Negri viene chiamato a ricoprire l'incarico di sottosegretario alla Presidenza per i rapporti con il parlamento.
A marzo dello stesso anno si svolgono a Roma i lavori del XXXIX congresso del partito repubblicano, che confermano le motivazioni della scelta di schieramento come unità nazionale e pongono al centro dell'azione politica, nella generale indifferenza delle altre forze, il problema europeo, ovvero della necessità di uno sforzo straordinario per colmare la distanza dell'Italia rispetto alle condizioni poste dal trattato di Maastricht. A conclusione del congresso Giorgio La Malfa è riieletto segretario nazionale, mentre Guglielmo Negri assume la presidenza del partito.
A conferma delle scelte congressuali, in occasione delle elezioni politiche, ancora una volta anticipate, che si svolgono a maggio del 1996, il Pri decide di presentarsi nell'alleanza di centro-sinistra e nella quota proporzionale con il partito popolare. Condizione pregiudiziale per i repubblicani è la politica europea e l'ingresso dell'Italia nell'euro.
L'alleanza di centro-sinistra vince le elezioni grazie anche ad un accordo di desistenza con Rifondazione Comunista e si costituisce il governo Prodi (maggio '96- ottobre '98). I repubblicani impongono l'adesione dell'Italia all'euro, nonostante la tiepidezza del presidente del consiglio. Ma la vita del governo è stentata proprio per la contraddizione dovuta ai continui veti di Rifondazione. Il tentativo di riformare lo stato sociale e di porre mano alle sue opportune riforme viene bloccato da Bertinotti, mentre sul piano della politica estera l'intervento italiano in Albania, fermamente avversato dai partiti di estrema sinistra, è reso possibile dal voto favorevole del centrodestra. Finchè nell'ottobre del 1998 il ritiro della fiducia da parte di Rifondazione comunista porrà fine al governo Prodi, vittima delle indissolubili contraddizioni della sua maggioranza.
Nel mese di novembre, grazie al contributo di voti di una nuova formazione politica, l'UDR, guidata da Francesco Cossiga, nasce il governo D'Alema (novembre '98- dicembre '99). I repubblicani non vi partecipano e nel voto di fiducia si astengono.
Nel mese di aprile 1999 si svolgono a Roma i lavori del XL Congresso nazionale. Nella sua relazione il segretario La Malfa sottolinea come "sul piano delle decisioni politiche il congresso si presenta come uno dei più difficili e complessi nella ormai lunga storia del partito repubblicano. Esso dovrà prendere atto che è in pieno svolgimento la crisi della coalizione alla quale abbiamo partecipato dal 1995 in avanti e che questa crisi è di portata tale da condizionare negativamente la capacità della coalizione di guidare autorevolmente il paese". Il forte richiamo dei repubblicani ad impegnarsi sul problema prioritario dell'occupazione e la chiara denuncia dei limiti del centro-siinistra, vengono accolti dal presidente del consiglio D'Alema che interviene ai lavori sottolineando la validità della presenza del PRI e impegnandosi a realizzare le richieste repubblicane in tema di politica dell'occupazione.
Con questi chiarimenti il congresso si conclude confermando la continuità della collaborazione del partito al governo, ma ribadendo la sua "autonomia politica e programmatica", che li porterà a presentarsi con il loro simbolo nei turni elettorali amministrativi e nelle elezioni europee dello stesso anno.
Ma, nonostante l'apertura di credito accordata dai repubblicani, l'eterogenea alleanza di centro-sinistra mostra tutti i suoi limiti ed una palese incapacità ad avviare un processo riformatore. Il partito repubblicano accentua le sue critiche nei confronti della politica governativa e insieme ai socialisti, che escono dal governo, e alla nuova formazione guidata da Cossiga, l'URP, danno vita al "trifoglio" e determinano con il loro voto contrario al decreto sulla "par condicio", che vorrebbe impedire alle reti Mediaset di parlare di politica, la crisi del governo e la formazione di un secondo governo D'Alema.
A gennaio del 2000 si svolgono a Chianciano i lavori del XLI congresso del partito, che registra una crescente insoddisfazione dei repubblicani nei confronti dello schieramento di centrosinistra."Il Congresso Ðdirà La Malfa nella sua relazione introduttiva Ð parte dalla constatazione, fatta propria dal consiglio nazionale, del progressivo esaurimento del respiro strategico dell'esperienza dell'ulivo" e nella mozione conclusiva si impegnano i nuovi organi eletti "ad avviare nel paese e con tutte le forze politiche italiane inserite in Europa nelle tradizioni politico-culturali socialista e popolare una approfondita riflessione ed un dialogo in vista della definizione di un programma di governo per la prossima legislatura capace di assicurare in prospettiva quel salto di qualità assolutamente indispensabile per vincere le sfide poste dalla nuova situazione internazionale".
Dopo il risultato negativo per la maggioranza di centro-sinistra nelle elezioni regionali dell'aprile 2000, D'Alema rassegna le dimissioni e il Capo dello Stato affida la formazione del nuovo governo a Giuliano Amato. Anche nei confronti di questo governo i repubblicani si astengono dopo averne verificato l'inadeguatezza ad affrontare i problemi dell'occupazione e degli investimenti e dopo aver registrato l'insofferenza degli altri partiti della coalizione nei confronti del PRI.
Il giudizio dei repubblicani sull'esperienza di centrosinistra dell'intera legislatura è, alla fine, estremamente negativo. La maggioranza ha bruciato nell'arco di cinque anni tre governi, mostrandosi incapace di esprimere una chiara leedership, ma anche incapace di affrontare i problemi reali per garantire lo sviluppo del paese in conseguenza delle molte contraddizioni che contrappongono i partiti della coalizione, espressione di valori e programmi tra loro alternativi e inconciliabili.

La segreteria di Francesco Nucara

Mentre la legislatura si avvia alla fine, nel mese di gennaio del 2001 si svolge a Bari il XLII Congresso del partito. Nonostante le perplessità avanzate da una parte dei delegati, la maggioranza considera ormai chiusa per i repubblicani l'esperienza di centrosinistra.
Nelle elezioni politiche, che si svolgono nel mese di maggio, il PRI si presenta nella coalizione della Casa delle libertà e dopo la vittoria elettorale partecipa alla formazione del nuovo governo guidato da Silvio Berlusconi, assumendo con Francesco Nucara il sottosegretariato al Ministero dell'ambiente, mentre il presidente del partito, Giorgio La Malfa, è eletto alla presidenza della commissione finanze della Camera.
Il 6 ottobre 2001 Giorgio La Malfa, dopo 14 anni, lascia la segreteria del partito per assumerne la Presidenza. Il consiglio nazionale del partito elegge come nuovo segretario nazionale l'on. Francesco Nucara.
Ad ottobre del 2002 il XLIII Congresso nazionale del partito che si svolge a Fiuggi conferma le scelte del congresso di Bari e la collocazione del partito nell'alleanza della Casa delle libertà, pur ribadendo l'irrinunciabile valore della sua autonomia. Il consolidamento della presenza repubblicana è confermato dalla ripresa delle pubblicazioni, a giugno del 2003, de La Voce Repubblicana, sotto la direzione di Francesco Nucara, dalla definizione di un organigramma operativo con la nomina di Italico Santoro alla vicesegretaria nazionale e con i risultati elettorali dei turni amministrativi, che registrano una nuova e combattiva presenza del PRI nelle amministrazioni locali.

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Ad oltre cento anni dalla sua costituzione l'unico simbolo immutato nel panorama politico italiano rimane quello dell'Edera e del Partito repubblicano: indice che le idee da cui questo partito trae alimento non sono mai appartenute al volatile dominio degli slogan dal respiro corto o delle utopie astratte la cui realizzazione poggia su basi artificiali e dunque periture, ma alla consolidata tradizione della democrazia senza aggettivi che da Mazzini in poi si è alimentata con il collettivo contributo di tanti uomini e donne che hanno voluto partecipare con la loro azione e il loro pensiero alla costruzione di un'Italia libera, democratica, laica e civile, ancorata ai valori dell'occidente.

CONGRESSI PRI DAL 1895 AL 2002

I Bologna (1 novembre 1895)
II Firenze (27 e 29 maggio 1897)
III Lugano (8 - 9 settembre 1899)
IV Firenze - Rifredi (1 - 3 novembre 1900)
V Ancona (19 febbraio 1901)
VI Pisa (6 - 8 ottobre 1902)
VII Forli' (3 - 5 ottobre 1903)
VIII Genova (22 - 24 giugno 1905)
IX Roma (3 - 5 maggio 1908)
X Firenze (9 -11 aprile 1910)
XI Ancona (18 - 20 maggio 1912)
XII Bologna (16 - 18 maggio 1914)
XIII Roma (13 - 15 dicembre 1919)
XIV Ancona (25 - 27 settembre 1920)
XV Trieste (22 - 25 aprile 1922)
XVI Roma (16 - 18 dicembre 1922)
XVII Milano (9 - 10 maggio 1925)

I congressi dell'esilio:

- Lione (30 giugno - 1¡ luglio 1928)
- Parigi (29 -30 giugno 1929)
- Annemasse (28 - 29 marzo 1931)
- St. Louis (27 -28 maggio 1932)
- Parigi (23 -24 aprile 1933)
- Lione (24 -25 marzo 1934)
- Parigi (3 febbraio 1935)
- Parigi (11 - 12 giugno 1938)
- Portsmouth (9 -10 ottobre 1943)
Congresso clandestino dell'Alta Italia Milano (5 dicembre 1943)

XVIII Roma (9 - 11 febbraio 1946)
XIX Bologna (17 - 20 gennaio 1947)
XX Napoli (16 - 18 febbraio 1948)
XXI Roma (5 - 8 febbraio 1949)
XXII Livorno (18-21 maggio 1950)
XXIII Bari (6 - 8 marzo 1952)
XXIV Firenze (29 aprile - 2 maggio 1954)
XXV Roma (16 - 19 marzo 1956)
XXVI Firenze (20 - 23 novembre 1958)
XXVII Bologna (3 - 6 marzo 1960)
XXVIII Livorno (31 maggio - 3 giugno 1962)
XXIX Roma (25 -29 marzo 1965)
XXX Milano (7 - 10 novembre 1968)
XXXI Firenze (11 - 14 novembre 1971)
XXXII Genova (27 febbraio - 2 marzo 1975)
XXXIII Roma (14 -18 giugno 1978)
XXXIV Roma (22 - 25 maggio 1981)
XXXV Milano (27 - 30 aprile 1984)
XXXVI Firenze (22 - 26 aprile 1987)
XXXVII Rimini (11 - 15 maggio 1989)
XXXVIII Carrara (11 - 14 novembre 1992)
XXXIX Roma (4 - 6 marzo 1995)
XXXX Roma (9 - 10 - 11 aprile 1999)
XLI Chianciano (28-29-30 gennaio 2000)
XLII Bari (26 - 28 gennaio 2001)
XLIII Fiuggi (25 - 27 ottobre 2002)
XLIV Fiuggi (4 - 6 febbraio 2005)


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Tratto dal sito web:www.pri.it

lucifero
21-04-02, 22:51
Avvenne il 21/4/1895
Nasce il partito dei repubblicani

Viene fondato a Milano il Partito Repubblicano Italiano dal concorso delle Federazioni Regionali lombarda e romagnola.


copyright Repubblicanesimo.it

echiesa
22-04-02, 21:06
Giusto!!!!! Era il nostro compleanno . Auguriiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii:K
saluti
echiesa:fru

nuvolarossa
12-06-02, 18:47
Repubblicani e Camere di Commercio

Secondo un uso ormai consolidato, al termine delle campagne elettorali americane, il nuovo Presidente degli Stati Uniti premia i suoi grandi elettori nominandoli ambasciatori. Si tratta di un riconoscimento di prestigio che li ripaga per il consistente contributo finanziario assicurato a sostegno del candidato Presidente. In quel sistema, tutto è trasparente e tutto avviene alla luce del sole.

Non possiamo dire altrettanto per alcuni avvenimenti di casa nostra, che nulla hanno a che fare con la politica e che possiamo definire soltanto squallide vicende di malcostume.

La posizione politica del Partito Repubblicano e del PRI, come definita dai suoi deliberati congressuali, è chiara e precisa e si pone nella continuità di una azione tesa alla difesa dei valori di libertà, democrazia e laicità, propri della sua tradizione.

Come è noto, per tutta la scorsa legislatura, questi valori della tradizione repubblicana sono stati derisi dai leaders della sinistra e in particolare dall'on. D'Alema, che amava sostenere l'inutilità del partito repubblicano. Una teoria, non a caso, ripresa in questi giorni dal prof. Parisi, inventore della Margherita.

Di fronte a tanto disprezzo coerenza vorrebbe che i repubblicani fossero capaci di rispondere per le rime. Così avviene a livello nazionale e così avviene in quasi tutta Italia. Diciamo quasi, perché in alcune realtà territoriali gli strateghi della sinistra, dopo tante dichiarazioni di inutilità del Pri e pur di ottenere il consenso dei repubblicani locali, cercano di comprarne i favori promettendo presidenze di Camere di Commercio.

Certo, non si tratta di ambasciate, ma è pur sempre qualcosa. Qualcosa che i repubblicani, se tali fossero veramente, non potrebbero accettare. Non si svende il Pri per un piatto di lenticchie, né può esistere per i repubblicani una messa che valga bene Parigi.

Su questo non transigiamo e per essere chiari sino in fondo, lo diciamo subito, non siamo disposti a considerare più repubblicano chi dovesse infangare con squallide compravendite il nome del Pri, per tornaconto personale, camuffato da autonoma scelta politica. Non siamo disposti a tollerare oltre rivendicazioni di autonomia dagli organismi nazionali del Pri che si rivelano, alla fine, atti di prezzolata subordinazione nei confronti di altri partiti
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tratto dal sito web nazionale
http://www.pri.it

lucifero
13-06-02, 14:25
di che si parla?

nuvolarossa
13-06-02, 17:06
..........se son rose....fioriranno.........

nuvolarossa
20-10-02, 14:03
...

nuvolarossa
29-11-04, 23:43
http://www.pri.it/immagini/fotobio/mazzini.jpg

Giuseppe Mazzini

"Io era già inconsciamente educato al culto dell'uguaglianza dalle abitudini democratiche dei due miei parenti e dai modi identici ch'essi usavano col patrizio e col popolano; nell'individuo essi non cercavano evidentemente se non l'uomo e l'onesto. E le aspirazioni alla libertà, ingenti nell'animo mio, s'erano alimentate dei ricordi di un periodo recente, quello delle guerre repubblicane francesi, che suonavano spesso sulle labbra di mio padre". Così ebbe a scrivere Giuseppe Mazzini dei suoi primi anni. L'apostolo dell'unità italiana nacque a Genova il 22 giugno 1805, figlio di un noto medico.
Nel 1827 si iscrive alla Carboneria; nella "vendita" genovese fu uno dei più validi propagandisti. Nel 1830 accetta un incarico importante: compie un viaggio in Toscana alla ricerca di affialiati. Tornato, per la denuncia di Raimondo Doria, che aveva rivelato i nomi degli affiliati genovesi e lombardi, fu arrestato fino al gennaio 1831. Dopo, è costretto all'esilio: parte per Ginevra.
Fu però a Marsiglia che Mazzini dettò le Istruzioni generali per gli affratellati nella Giovane Italia, che riuscì a distribuire in Liguria e in Piemonte. Allo stesso modo fondò e distribuì il periodico omonimo. Successive delazioni portarono alla scoperta di vari "fratelli": Iacopo Ruffini fu arrestato e si suicidò in carcere.
Nel 1834 lo troviamo a Berna: qui, nel 1834, detta il patto della Giovine Europa. Nel giugno del '35, fra incredibili difficoltà riesce a fondare il periodico La Jeune Suisse che, secondo alcuni storici, contiene alcuni dei migliori articoli da lui scritti, dove esprime i concetti fondamentali del suo apostolato repubblicano europeo.
Nel 1836 gli viene intimato l'esilio perpetuo dalla Svizzera; solo nel gennaio 1837 si reca a Londra. In mezzo alla miseria e alla "tempesta del dubbio", collabora a numerosi periodici inglesi. Poi, mosso da "proposito incrollabile, quasi feroce", decide di riprendere il lavoro della Giovine Italia, diramando nuove istruzioni generali.
Mazzini mostrò diffidenza per l'elezione al Pontificato di Pio IX, nonché verso le parziali riforme concesse da alcuni governi italiani: gli apparivano atti che spostavano il fulcro dell'azione rivoluzionaria così come egli la concepiva. Passato da Londra a Parigi, ebbe notizia dell'insurrezione di Milano; giunge nella città lombarda il 7 aprile del 1848; al ritorno degli austriaci lascia la città, il 3 agosto, arruolandosi come soldato semplice in una colonna di volontari. Fu di nuovo in Svizzera, poi a Marsiglia, poi a Livorno. Il 5 marzo 1849 è a Roma; il 29 marzo è eletto triumviro con Saffi e Armellini. Forma un comitato di guerra. Caduta la città, ripara a Losanna. Nel maggio del '50 è a Parigi, nel luglio successivo a Londra, dove fonda il Comitato democratico europeo. Un nuovo tentativo insurrezionale lombardo da lui progettato fallisce, insieme ad altri episodi dall'esito infelice. Intanto ha fondato il Partito d'Azione, nome che sarà ripreso da una nota formazione coordinata da Ugo La Malfa durante la Resistenza.
Nel 1857 accetta la proposta giuntagli da un comitato napoletano e prepara una spedizione costiera, affidandone il comando a Pisacane. Il tentativo di Sapri fallisce, insieme ad un altro moto insurrezionale genovese. Mazzini è condannato a morte in contumacia.
E' del 1858 la pubblicazione del periodico londinese Pensiero e azione; in seguito, in Svizzera, stampa l'opuscolo Ai giovani d'Italia. I suoi più stretti amici avevano cominciato ad allontanarsi da lui sin dal 1853. Nel '57 aveva scritto: "Son più debole, tetro che mai; e ciò spiega come la mia mente sia sempre incline a credere che io sia una fonte perenne di male". Visse gli ultimi anni di vita fra Londra e Lugano, con furtivi soggiorni a Genova e Milano. Nel 1870 fu arrestato e condotto nel forte di Gaeta. Qui, apprese l'avvenuta unione di Roma al regno d'Italia, ma deplorò che si fosse realizzata sotto la monarchia. Nel febbraio del 1872 pensò di trasferirsi a Genova, ma poi accettò l'ospitalità di Giannetta Nathan Rosselli: a Pisa si spense il 10 marzo 1872, dopo esservi vissuto col nome Brown. La salma fu trasportata a Genova e tumulata a Staglieno, presso la tomba della madre.
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA/ILCLARINETTO.mid

nuvolarossa
29-11-04, 23:48
http://www.pri.it/immagini/fotobio/saffi.jpg

Aurelio Saffi

Nacque a Forlì il 13 ottobre 1819. Si laureò all'università di Ferrara nel 1841.
In seguito si trasferì a Roma per compiervi la pratica forense; tornato a Forlì fu eletto consigliere comunale e segretario provinciale.
Verso la metà degli anni '40 del secolo, Saffi era forte dei sui studi storici che lo avevano emancipato dall'ambiente religioso e politico nel quale era cresciuto; all'arrivo nella sua terra dei legati, monsignori Janni e Ruffini, stese una rimostranza che valse come requisitoria contro il malgoverno della Romagna.
Ben presto gli entusiasmi che aveva manifestato dopo le concessioni costituzionali ad opera di Pio IX, vennero in lui diminuendo, e Saffi si accostò alla fede mazziniana, alla quale rimase fedele fino alla morte. Nel 1848 invocò le necessità di un'assemblea costituente italiana, necessità già proclamata da Montanelli ma, prima ancora, da Mazzini.
Fu eletto deputato alla Costituente per Forlì; andò a Roma. All'interno della Repubblica romana fu nominato ministro dell'Interno; in seguito acclamato triumviro con Mazzini e Armellini.
Caduta la Repubblica, l'11 luglio 1849, prese la via dell'esilio. Dopo un periodo trascorso in Liguria, riparò a Ginevra, poi a Losanna, dove visse con Mazzini, anch'egli rifugiato da Roma.
In esilio scrisse una Storia di Roma (incompiuta) e collaborò all'Italia del popolo. Nel 1851 è costretto a lasciare la Svizzera per Londra, dove si era trasferito anche Mazzini.
Partecipò ai preparativi del moto milanese del 6 febbraio 1853, che comprendeva insurrezioni in altre zone della penisola. Fallito il moto, e condannato in contumacia a venti anni di carcere, ripara ancora in Inghilterra.
Tornerà in Italia nel 1860, raggiungendo Mazzini a Napoli. L'anno dopo fu eletto deputato per il collegio di Acerenza; dopo i fatti di Aspromonte decise di dimettersi.
Nel suo continuo vagare per l'Europa, tornò a Londra, ma nel 1867 fu di nuovo in Italia. Dal 1872, morto Mazzini, attese alla continuazione della pubblicazione degli scritti dello scomparso (fermi all'ottavo volume), giungendo al volume quattordicesimo.
Dal 1877 aveva tenuto lezioni all'Università di Bologna.
Morì a San Varano presso Forlì il 10 aprile 1890.

nuvolarossa
30-11-04, 12:11
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Maurizio Quadrio

Quadrio è tradizionalmente considerato un mazziniano ad oltranza, radicalmente antimonarchico.
Era nato a Chiavenna, presso Sondrio, nel 1800, da una famiglia di piccoli possidenti.
All'università di Pavia ha contatti con un'associazione segreta: i Federati.
Il 16 marzo 1821 Quadro si arruola nel battaglione della Minerva, accorrendo in Piemonte dove erano scoppiati i moti liberali. Fallite le sollevazioni, transita per Genova: è uno dei proscritti che colpirono il giovane Mazzini.
Da Genova passò alla Spagna, poi alla Francia. A piedi nudi ripara in Svizzera. L'amore per la libertà e il patriottismo ne avevano già fatto un eroe, non disposto ad essere un suddito della ìfelix Austriaî.
Torna in Lombardia; fugge di nuovo munito di un passaporto falso.
Lo ritroviamo, nel corso di una vita realmente avventurosa, in Russia, dove svolge il mestiere di precettore dei nobili. Nel 1830 scoppia il moto polacco: Quadrio si arruola di nuovo. Attraverso varie peripezie ripara di nuovo in Russia ma nel 1834 abbandona questo Paese, transita in Svizzera e, tornato in Italia, si consegna agli austriaci. Viene condannato a morte, ma ha la pena commutata in sei mesi di carcere (tale politica del perdono rientrava nei voleri degli austriaci).
Con l'insurrezione della Valtellina alla notizia delle Cinque Giornate, Quadrio si reca a Milano, presso il governo provvisorio che lo elegge commissario per la Valtellina.
Dopo la disastrosa conclusione dell'episodio, Quadro ripara in Svizzera; a Lugano incontra Mazzini.
Nel gennaio del 1949 si recò in Toscana e fu nominato segretario del governo provvisorio; a Roma, fu segretario privato del triumvirato. Dopo la caduta della Repubblica fu a Marsiglia, poi in Svizzera, infine a Londra, aiutato da Mazzini.
Dopo aver partecipato al moto livornese del giugno 1857, costretto all'esilio, tornò a Londra e da qui a Malta, in previsione di un moto rivoluzionario in Sicilia.
Fu di nuovo in Inghilterra, collaboratore di Pensiero ed Azione, di cui divenne direttore dopo che il periodico fu spostato a Genova.
Ardente polemista, fu direttore dell'Unità italiana prima a Genova, poi a Milano.
Nel 1872 si trasferì a Roma, per dirigervi l'Emacipazione.
Si spense a Roma fra il 13 e 14 febbraio 1876.

nuvolarossa
30-11-04, 16:59
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Giovanni Bovio

Giovanni Bovio nacque a Trani, in provincia di Bari, il 6 febbraio del 1837.
Il suo nome è giunto a noi come quello di un filofoso e di sistematizzatore dell'ideologia repubblicana; autodidatta, pubblica nel 1864 il Verbo Novello, un poema filosofico, scritto con intonazione enfatica. Fra i suoi scritti, bisogna ricordare la Filosofia del diritto, il Sommario della storia del diritto in Italia, il Genio, gli Scritti filosofici e politici, la Dottrina dei partiti in Europa, i Discorsi.
Bovio fu anche deputato alla Camera: nel 1876, con il subentrare della Sinistra costituzionale alla Destra, fu eletto nel collegio di Minervino Murge. Il suo atteggiamento, diversamente da quello dei suoi compagni che condividevano l'idea repubblicana, non fu incline all'astensionismo.
Napoli fu la sua città di adozione, dove morì il 15 aprile del 1903.
Come ideologo repubblicano, Bovio ebbe il motto "definirsi o sparire": palesò insomma ai repubblicani l'esigenza urgente di un'impostazione non confusa e non settaria, di una chiara direzione che spinse poi i repubblicani a definirsi in partito di moderno tenore.
Bovio stabilì per il Partito repubblicano nessi e prospettive nazionali ed europee.
Egli considera la monarchia come l'attuale realtà italiana. Ne segue che la repubblica è utopia, e Bovio si dichiara utopista. Nel suo pensiero la monarchia cadrà, proprio quando dovrà risolvere il problema della libertà. Serve comunque un lungo periodo perché la situazione monarchica si deteriori. Colma, evidentemente, di determinismo, la sua filosofia si definiva come naturalismo matematico.
Differentemente dalla teoria socialista, Bovio riteneva che il nuovo Stato a venire avrebbe avuto una "forma storica", non potendo dimensionarsi unicamente sulla base di azioni economiche. Bovio introduceva dunque una concezione formale dello Stato, che si sforzò di divulgare anche presso i ceti operai.
Bovio ebbe comunque anche l'esigenza di definirsi rispetto agli anarchici. La forma repubblicana, scrisse, è a metà strada fra la monarchia e l'anarchia, vale a dire fra l'ipertrofia dello Stato e la sua totale anarchica abolizione. Non a caso, quando l'anarchico Bresci compì l'attentato contro Umberto I, il nostro filofoso invitò tutti gli anarchici a desistere dalla violenza. In sostanza, un'esagerazione utopistica tradotta in atti sanguinari (l'opera degli anarchici), avrebbe prodotto un rafforzamento reattivo dell'autorità costituita, allontanando proprio il momento dell'avvento della repubblica. Troviamo in lui un tentativo di superare l'idealismo della metafisica idealistica e insieme con essa l'approccio empirico del positivismo. Fondamentalmente Bovio introdusse in Italia l'eco delle nuove correnti speculative nella filosofia del diritto.

nuvolarossa
01-12-04, 00:54
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NAPOLEONE COLAJANNI

Napoleone Colajanni, tra i fondatori del Pri, nasce a Castrogiovanni (oggi Enna) nel 1847.
E' attratto precocemente dall'esperienza garibaldina. A tredici anni tenta di raggiungere Garibaldi a Palermo; viene a forza ricondotto nella casa paterna. Quando Garibaldi passa nel 1862 a Castrogiovanni, si arruola nel battaglione Matteotti insieme al cugino. E' fatto prigioniero in Aspromonte.
Nel 1866 si arruola nel battaglione dei carabinieri genovesi: partecipa agli scontri di Lodrone, Condino e Bezzecca. Nel 1867 raggiunge ancora Garibaldi.
E' arrestato a Napoli nel 1869, il 26 febbraio, per cospirazione repubblicana; resta in carcere fino al 20 novembre.
Dopo la laurea in medicina parte per l'America del Sud. Nel 1890 è eletto deputato in Parlamento; viene riconfermato in modo unanime dagli lettori di Castrogiovanni negli anni seguenti. Fra le sue numerose prese di posizione e iniziative: l'inchiesta parlamentare sull'Eritrea (1891); la denunzia degli imbrogli della Banca Romana (1892); la presentazione di un disegno di legge col quale si dà il via alla creazione dell'Ufficio del Lavoro (1901).
Colajanni fu il capo morale e politico dei Fasci dei lavoratori siciliani; nel 1894, per lo stato d'assedio in Sicilia, entrò in violenta polemica con Crispi.
Muore il 2 settembre 1921. La Voce Repubblicana, creata proprio in quell'anno, pubblica il suo necrologio il 4 settembre, descrivendo così i suoi ultimi mesi: "In questi ultimi mesi la visione politica dell'antico combattente si era smarrita dietro alcune sue particolari interpretazioni della lotta politica italiana, alla quale ormai partecipava scarsamente con qualche articolo di giornale. Ma il suo passato è di quelli che rendono il ricordo di un uomo incancellabile nella mente dei cittadini che hanno sempre urgente bisogno di rifarsi ad un esempio intemerato".

nuvolarossa
01-12-04, 21:31
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ARCANGELO GHISLERI

Arcangelo Ghisleri nasce il 5 settembre 1855 a Persico, in provincia di Cremona. Sin da giovane si impegna in una intensa attività giornalistica, che durerà fin quando il fascismo porrà fine a ogni libertà di stampa. Sono varie le pubblicazioni a da lui fondate: La rivista repubblicana, Cuore e critica, L'educazione politica, importanti per la messa a punto di una ideologia di scuola repubblicana.
Nel 1881 è impiegato in una società di esportazioni milanese; nel 1884 passa all'insegnamento presso un liceo in Basilicata. Nel 1888 lo troviamo a Bergamo, ancora insegnante. E' da questo momento che inizia la sua attività di cartografo, che gli ha dato nome in Italia, anche al di là dell'attività di politico.
Dal 1895 il repubblicanesimo aveva assunto volto di partito; Ghisleri diede un contributo fondamentale di indirizzo, dimostrando un attaccamento al partito assolutamente straordinario: "Questo nostro partito che io amo più dei miei figli", ebbe a scrivere nel 1903. Riguardo al fascismo, ebbe a riconoscervi una sorta di "marca plutocratica". Scriveva a Giovanni Conti all'indomani del 28 ottobre 1922: "Il colpo di Stato vero l'hanno fatto i pescicani dell'alta banca e i filibustieri delle industrie parassitarie. Richiamate l'attenzione del pubblico sulla vera essenza del governo attuale come dominio della plutocrazia, di cui gli attuali ministri non sono che strumenti e servitori zelanti".
In realtà Ghisleri non fu un ideologo sistematico; una sistematizzazione del suo pensiero è soprattutto opera di Giovanni Conti. Ghisleri contesta la teoria marxista, che considerava straniera all'Italia, ma soprattutto limitata al dato economico, alla cosiddetta "formuletta unica". Come ebbe a scrivere: "Noi vediamo quello che vedono i marxisti, ed anche quello che essi trascurano di vedere".
Il conflitto con i socialisti e i marxisti si accentua in Ghisleri quando si passa al principio istituzionale: se per l'ideologia marxista ogni forma politica è una sovrastruttura, per il pensiero repubblicano la Repubblica è cosa di tutti, il suo governo è formato dal convergere delle comuni volontà. "E' di volgare evidenza che la repubblica democratica qual è da noi concepita non deve essere un'arma offerta agli interessi di un ceto contro altri ceti".
In economia ebbe una visione "federale". Riteneva il sistema federale capace di "triplicare la produzione rimovendo i mille impacci della tutela e della diffidenza attuali, sostituendo con le autonomie la competenza dei direttamente interessati, agli imbrogli, ai ritardi e all'incompetenza degli alti papaveri dell'accentramento".
Si spense nel 1938.

nuvolarossa
02-12-04, 18:27
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GIOVANNI CONTI

Giovanni Conti nasce il 17 novembre 1882 a Montegranaro, in provincia di Ascoli Piceno. Sin da giovane inizia opera di proselitismo, predicando il credo mazziniano, studiando contemporaneamente i grandi politici e filosofi dell' Ottocento: Mazzini, naturalmente, ma anche Cattaneo, Bovio, Ghisleri. Con quest'ultimo intratterrà un rapporto di devota amicizia.
Si laurea a Roma in giurisprudenza; esercita la professione forense.
All'interno del Pri si dichiara contrario alla guerra libica e al colonialismo; svolge indagini sulle condizioni della popolazione dell'Agro romano e della Maremma toscana. Accanto a Salvemini prende una decisa posizione antigiolittiana.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale si dichiara interventista, arruolandosi volontario. Tornato dal fronte si dedica alla ricostruzione del Pri; nel 1921 viene eletto deputato in Parlamento. E' il fondatore de La Voce Repubblicana, quotidiano a cui dedicherà molti anni della sua vita.
In Parlamento si proclama deciso oppositore di Mussolini; la sua intransigenza ha ripercussioni anche sulla testata, che subisce continui sequestri. La Voce, dopo l'assassinio di Don Minzoni ad Argenta, ne attribuisce la responsabilità a Italo Balbo, il quale sporge querela. La testata è assolta in tribunale.
Il 9 novembre 1926, insieme agli altri deputati dell'opposizione, viene dichiarato decaduto dal mandato parlamentare. Diviene un sorvegliato speciale ed è più volte incarcerato. Nella clandestinità cui è costretto, ricostruisce il Pri e riesce a far stampare un numero della Voce, contenente un suo famoso articolo di fondo: Italiani, preparate le vie!
Dopo la liberazione di Roma dà inizio alla sua battaglia per la Repubblica, indicando come via da perseguire quella delle autonomie regionali e comunali. E' eletto alla Costituente; è nominato vicepresidente dell'Assemblea e fa parte della Commissione dei 75 come membro della sottocommissione incaricata dei problemi dell'ordinamento costituzionale dello Stato. In seguito è designato alla Presidenza della Sezione speciale per l'elaborazione delle norme sul potere giudiziario.
Nel 1948 è nominato senatore di diritto con Facchinetti, Macrelli, Parri e Sforza. Elabora un progetto di riforma agraria per la Calabria.
In ultimo assumerà posizioni critiche verso il partito (è avverso alla politica degli "schieramenti" e delle "formule"), ma al Pri rimane sempre fedele (si veda, ad esempio, un lettera inviata a Reale pochi giorni prima della morte).
Si spegne l'11 marzo 1957.

nuvolarossa
03-12-04, 20:26
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CINO MACRELLI

Nacque a Sarsina (Forlì), il 21 gennaio 1887.
La sua prima formazione avviene sotto il segno di Ubaldo Comandini e di Giuseppe Gaudenzi.
E', dal 1911 al 1913, direttore de Il Popolano, periodico dei repubblicani cesenati; durante la Grande Guerra assume posizioni interventiste e si arruola volontario. Viene fatto prigioniero nel '15 e chiuso in un campo di concentramento.
A Cesena, nel primo dopoguerra, lavora per riorganizzare le file del Pri. E' parlamentare, prendendo una netta presa di distanza dal fascismo, denunciando puntualmente le violenze delle squadracce. Fu, di conseguenza, strettamente sorvegliato dalla polizia del duce.
Partecipa a Roma alla Resistenza; viene eletto alla Costituente, svolgendovi importanti interventi a proposito della cooperazione, dell'ordinamento costituzionale, dell'imposta straordinaria patrimoniale, del cambio della moneta, delle funzioni del Senato, del potere giudiziario.
Fu Senatore di diritto fino al 1953, poi membro dell'Assemblea di Montecitorio per la II e III legislatura, nonché vicepresidente della Camera per quattro anni. Sostenitore della svolta di centrosinistra, nel governo Fanfani del 1962 fu ministro della Marina mercantile. Nel 1963 venne eletto senatore del collegio di Ravenna. In quello stesso anno muore il 25 agosto.

nuvolarossa
05-12-04, 13:52
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RANDOLFO PACCIARDI

Nasce il 1° gennaio 1899 a Giuncarico, in provincia di Grosseto. Nel 1915, studente alle scuole normali, partecipa alle manifestazioni irredentistiche organizzate a Grosseto dal Partito repubblicano.
Dopo Caporetto (ha cercato di arruolarsi volontario nel 1916, pur non avendone l'età), entra nel corpo dei bersaglieri. Ottiene vari riconoscimenti per le sue azioni di guerra.
Nel 1920 inizia a collaborare con Etruria Nuova, un periodico repubblicano di Grosseto.
A Roma si laurea in giurisprudenza, iniziando a lavorare nello studio di Giovanni Conti; nel 1923 fonda Italia Libera, un'associazione combattentistica, cui aderiscono vari elementi di diversa natura politica: oltre ai repubblicani, anche amendoliani, socialisti, riformisti, autonomisti (come Emilio Lussu ). Nel '25 l'associazione è colpita dal decreto di scioglimento seguito al discorso di Mussolini del 3 gennaio. Pacciardi è condannato a 5 anni di confino; riesce ad espatriare clandestinamente.
Nel 1927 si stabilisce in Svizzera, diventando l'animatore dell'attività degli esuli antifascisti di Lugano. Il governo fascista riesce comunque a farlo espellere; Pacciardi ripara in Francia. Nel 1933 è nominato segretario del Partito repubblicano.
Durante la guerra civile spagnola gli viene affidato il comando del Battaglione Garibaldi. Nel '37, a Parigi, fonda, con Alberto Tarchiani, il periodico La Giovine Italia - La Jeune Europe. L'anno seguente compie un lungo viaggio di propaganda antifascista negli Stati Uniti.
Nel giugno del 1940 i nazisti occupano Parigi. Il 29 maggio era uscito l'ultimo numero de La Giovine Italia. Pacciardi propone la costituzione di un corpo di volontari italiani da impegnare contro i soldati di Hitler. Col crollo della resistenza alleata, Pacciardi raggiunge Casablanca. Si imbarca alla volta degli Stati Uniti: a New York viene accolto dai membri della Mazzini Society. Non esita a manifestare il suo dissidio con il gruppo dirigente della Mazzini Society, contrari ad impegnare militanti comunisti nella lotta al nazifascismo.
Nella tarda primavera del 1944 rientra in Italia. Il 10 giugno firma l'editoriale del primo numero della rinata Voce Repubblicana. Nel 1946 è confermato alla guida del partito; è eletto deputato all'Assemblea Costituente. Nel 1947 è nominato vicepresidente del Consiglio. Nel quinto gabinetto De Gasperi (1948) è nominato ministro della Difesa. Nel 1949 si batte per accelerare l'adesione dell'Italia al Patto Atlantico.
Dopo le elezioni del 1958 è eletto presidente della Commissione Difesa della Camera. Contrariamente a Ugo La Malfa, Pacciardi ritiene che i socialisti non siano ancora in grado di offrire garanzie di autonomia e di affidabilità democratica. Nel congresso repubblicano del marzo 1960, Pacciardi esprime le ragioni delle sue riserve alla formula del centrosinistra. Pacciardi e la sua corrente decidono di non partecipare al Congresso repubblicano di Livorno del 1962, sede del consolidamento della leadership di Ugo La Malfa. L'anno seguente vota contro il primo governo organico di centrosinistra; viene espulso dal Pri. Nel '64 fonda l'Unione Democratica per la Nuova Repubblica, che annovera, nel suo programma, l'elezione diretta del capo dello Stato. Fonda un settimanale, Folla, che nel '66 cessa le pubblicazioni. Al suo posto esce Nuova Repubblica. L'Unione pacciardiana partecipa senza successo alle elezioni politiche del 1968.
Tornerà nel Pri nel 1981; nello stesso anno fonda il settimanale L'Italia del Popolo.

nuvolarossa
07-12-04, 20:56
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ORONZO REALE

Nasce nel 1902 a Lecce, ultimo di nove figli. Nel 1919 fonda il circolo giovanile "G. Mameli", riuscendo a far riprendere le pubblicazione de Il Dovere, organo repubblicano del Salento. Nel 1920 si trasferisce a Roma per intraprendere gli studi universitari. Al Congresso repubblicano di quell'anno aderisce al gruppo guidato da Conti e Zuccarini. Nel 1914 è nominato direttore dell'Alba repubblicana; diviene segretario nazionale della Federazione giovanile repubblicana. Durante l'Aventino prende una posizione critica nei confronti di tale scelta, seguendo in questo Conti e Zuccarini. Nel '25, all'università, fonda Il Goliardo.
Dal 1926 al 1941 si dedicherà esclusivamente alla professione di avvocato, senza trascurare i contatti con i repubblicani rimasti in patria. Nel 1943 è nominato componente del Comitato esecutivo del Partito d'Azione. Nel 1945 è nominato membro della Consulta, divenendo segretario del gruppo degli azionisti. Durante il famoso congresso romano del PdA, che vedrà l'uscita della corrente Parri - La Malfa, e la vittoria del gruppo socialisteggiante di Lussu, pur schierandosi dalla parte dei primi, decide comunque di restare nel Partito d'Azione, ove rimarrà fino al 1947, quando decide di rientrare nel Pri, di cui diviene segretario. Lascerà l'icarico quando sarà nominato ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo organico di centrosinistra guidato da Moro.
Reale esercita il ruolo di segretario di partito nella più assoluta discrezione, pronta a tradursi in fermezza ogni volta che l'asprezza del confronto politico spinge la coalizione verso soluzioni da lui giudicate non rispettose pienamente dei principi in nome dei quali la Repubblica italiana è sorta.
Nel 1964 viene confermato ministro di Grazia e Giustizia nel secondo governo Moro; mantiene l'incarico di Guardasigilli fino alla conclusione della legislatura nel terzo governo Moro.
E' ai primi governi di centrosinistra che risale il disegno di legge delega al governo per la riforma del processo penale, riforma che verrà completata più avanti, ma che resta storicamente legata al suo nome.
Nelle elezioni del 1968 è rieletto deputato nelle Marche. Il 12 dicembre di quell'anno, dopo aver lasciato la Presidenza della Commissione Giustizia, assume l'incarico di ministro delle Finanze nel primo governo Rumor. Il 27 marzo 1970 è nominato Ministro di Grazia e Giustizia nel terzo governo Rumor. E' confermato nell'incarico anche nel primo governo Colombo dell'agosto '70. Quando la direzione del Pri decide di uscire dalla coalizione di governo, presenta le sue dimissioni. A seguito di tale atto, si dimette il presidente del Consiglio.
Nel 1977 è nominato giudice della Corte Costituzionale.
Muore a Roma il 5 agosto 1988.

nuvolarossa
08-12-04, 23:58
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UGO LA MALFA

Ugo La Malfa nasce a Palermo il 16 maggio 1903. Completati gli studi secondari, nel 1922 si trasferisce a Venezia, iscrivendosi a Ca' Foscari alla Facoltà di Scienze diplomatiche e consolari. Fra i suoi docenti, Silvio Trentin e Gino Luzzatto. Fin dagli anni dell'Università ha contatti con il movimento repubblicano di Treviso e con altri gruppi antifascisti.
Nel 1924 si trasferisce a Roma. Partecipa alla fondazione dell'Unione goliardica per la libertà. Il 14 giugno del 1925 interviene al primo congresso dell'Unione nazionale democratica fondata da Giovanni Amendola. Il movimento amendoliano è in seguito dichiarato fuori legge: il giovane La Malfa figura nella "Pentarchia" che ha lo scopo di porre in liquidazione il movimento. Si laurea nel 1926 con una tesi dal titolo: Di alcune caratteristiche giuridiche del contratto della giurisdizione, dell'arbitrato, della conciliazione nei diritti intersindacale, interindividuale ed internazionale. Il suo relatore è Francesco Carnelutti.
Nel 1926, durante il servizio militare, viene trasferito in Sardegna per aver diffuso la rivista antifascista Pietre. Nel 1928 viene arrestato nel quadro delle retate seguenti all'attentato alla Fiera di Milano.
Nel 1929 entra all'Enciclopedia Treccani come redattore: qui lavora sotto la direzione del filosofo Ugo Spirito; nel 1933 viene assunto da Raffaele Mattioli a Milano, nell'ufficio studi della Banca Commerciale Italiana del quale diviene direttore nel 1938. In questi anni lavora intensamente, soprattutto con funzioni di raccordo fra i vari gruppi dell'antifascismo, per costituire una rete che confluisce nel Partito d'Azione, di cui egli sarà uno dei fondatori. Il 1° gennaio 1943 La Malfa e l'avvocato Adolfo Tino riescono a pubblicare il primo numero clandestino de L'Italia Libera; nello stesso anno La Malfa deve lasciare l'Italia per sfuggire ad un arresto della polizia fascista. Trasferitosi a Roma, prende parte alla Resistenza e rappresenta il PdA in seno al Cnl. Nel 1945 assume il dicastero dei Trasporti nel governo guidato da Ferruccio Parri. Nel seguente governo De Gasperi, è nominato ministro per la Ricostruzione e in seguito ministro per il Commercio con l'estero.
Nel febbraio del 1946 si tiene il primo congresso del Pda, nel quale prevale la corrente filosocialista facente capo a Emilio Lussu: La Malfa e Parri lasciano il partito. A marzo la Malfa partecipa alla costituzione della Concentrazione democratica repubblicana che si presenta alle elezioni per la Costituente del giugno 1946: La Malfa risulta eletto insieme a Parri. Nel settembre dello stesso anno, incoraggiato da Pacciardi, La Malfa aderisce al Partito repubblicano italiano; si scontra, intorno agli indirizzi politico _ economici della storica formazione, con l'ostilità della vecchia guardia, rappresentata soprattutto da Giovanni Conti. Nel giugno del 1947 dichiara che il partito avrebbe dovuto sostituire al "Mazzini mistico", un "Mazzini concreto". Nello stesso anno assume, insieme con Belloni e Reale, la segreteria provvisoria del Pri.
Rieletto parlamentare nel 1948, viene confermato in tutte le successive legislature; è nominato ministro in vari governi. Nel 1950, assume l'incarico di ministro senza portafoglio col compito di procedere alla riorganizzazione dell'Iri. Fondamentale per i destini dell'economia italiana, l'opera da lui portata a termine, nel 1951, in veste di ministro del Commercio estero, per la liberalizzazione degli scambi e per la soppressione dei contingentamenti alle importazioni. Il decreto sulla liberalizzazione apre la strada al "boom" economico italiano.
Nel 1952 propone, senza successo, una "Costituente programmatica" tra i partiti laici; dal '56, insieme al Pri, sostiene l'idea che i due partiti socialisti si riunifichino. Nel 1957 i repubblicani ritirano l'appoggio esterno al governo Segni; Randolfo Pacciardi lascia la direzione del partito. Nel 1959 La Malfa assume la direzione de La Voce Repubblicana. Nel 1962 è nominato ministro del Bilancio nel primo governo di centrosinistra, presieduto da Fanfani con l'astensione socialista. Nel mese di maggio presenta la Nota aggiuntiva, che fornisce una visione generale dell'economia italiana e degli squilibri da cui è caratterizzata, delineando inoltre gli strumenti e gli obiettivi di un regime di programmazione. Deve affrontare l'ostilità dei sindacati e di Confindustria. Nello stesso anno concorre alla decisione del governo di nazionalizzare l'industria elettrica.
Nel marzo del 1965 è eletto segretario del Pri in occasione del 29° congresso repubblicano. Nel 1966, La Malfa e l' amico di antica data, Giorgio Amendola, comunista, figlio di Giovanni, aprono un dibattito di vasta eco: il leader repubblicano invita la sinistra a lasciare la sua vecchia ortodossia, ponendosi dunque come forza in grado di sviluppare un approccio pragmatico.
Nel 1970, dopo la caduta del terzo governo Rumor, La Malfa rifiuta l'invito di Emilio Colombo ad assumere la carica di ministro del Tesoro: per il leader repubblicano il governo non è stato in grado di delineare un piano strategico di finanziamenti per le riforme dell'università, della sanità, dei trasporti e della casa.
Nel quarto governo Rumor (1973), La Malfa assume l'incarico di ministro del Tesoro; blocca la strada alla richiesta di aumento del capitale della Finambro, aprendo la strada al fallimento delle banche di Michele Sindona. Nel febbraio dell'anno seguente si dimette dall'incarico a seguito di contrasti col ministro del Bilancio. In dicembre è vicepresidente del quarto governo Moro (bicolore Dc - Pri). Nel 1975 assume la presidenza del Pri; Biasini ne diviene segretario. Nel 1976, vincendo le resistenze della sinistra repubblicana, La Malfa porta il partito nella Federazione dei partiti liberali e democratici europei. Nel 1978 la sua azione risulta determinante nella decisione italiana di aderire al Sistema monetario europeo.
Nel 1979 è vicepresidente del governo Andreotti e ministro del Bilancio. Il 24 marzo è colpito da emorragia cerebrale.
Muore il 26 marzo del 1979.

nuvolarossa
09-12-04, 22:46
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LEO VALIANI

Nasce il 9 febbraio 1909 a Fiume, città che all'epoca apparteneva al Regno di Ungheria, ma di etnia italiana. Proviene da una famiglia ebrea di madrelingua tedesca. Si trasferisce in seguito con la famiglia a Budapest. Nel settembre del 1919, dopo essere tornato a Fiume, assiste all'occupazione della città da parte di D'Annunzio. Nel 1921 è testimone dell'incendio di una Camera del Lavoro da parte dei fascisti.
Nel settembre del 1926, a Milano, conosce Carlo Rosselli e Pietro Nenni. Il 2 marzo 1928 viene denunciato per delitto contro la sicurezza dello Stato e arrestato; nel dicembre dello stesso anno viene inviato al confino a Ponza; decide di iscriversi all'organizzazione clandestina comunista dell'isola. Dopo un anno di confino fa ritorno a Fiume; nel febbraio del 1931, è arrestato mentre distribuisce manifestini nel porto di Fiume. Il 26 novembre è condannato a 12 anni e sette mesi di carcere. Resta nel carcere di Civitavecchia fino al 1936. Intanto maturano le sue riflessioni critiche nei confronti del comunismo.
Nel marzo del 1936 viene espulso dal Regno d'Italia; si reca a Parigi, dove diviene collaboratore del Grido del Popolo. Si reca in Spagna come inviato del giornale.
La polizia francese lo arresta nel 1939. Viene rinchiuso in un campo di concentramento sui Pirenei. Decide di uscire dal Partito Comunista. Entra in Giustizia e Libertà, accolto da Franco Venturi, al quale sarà legato da stretta amicizia. In seguito raggiunge il Messico.
Dopo l'8 settembre torna in Italia; aderisce al Partito d'Azione, nella cui area "liberaldemocratica" milatano Parri e La Malfa. In Tutte le strade conducono a Roma, scrive: "Era naturale che mi inquadrassi immediatamente nel Partito d'Azione. Esso aveva assorbito il movimento di Giustizia e Libertà, al quale io avevo aderito all'estero. Quel che in Giustizia e Libertà mi aveva affascinato, era la sua audacia intellettuale, il suo sforzo volto a riconciliare, in una sintesi superiore, il marxismo e il movimento operaio con la grande filosofia liberale dell'Ottocento. In sede politica, ciò significava un atteggiamento di ricostruzione europea, al di là dei limiti posti dalle strutture statali esistenti, e quindi una forte critica verso tutti i partiti democratici tradizionali, preesistenti al fascismo e che il fascismo aveva potuto facilmente travolgere".
Valiani diviene segratario del PdA per l'Italia settentrionale. Con Pertini, Longo e Sereni prende la decisione di fucilare Mussolini.
Dal 4 all'8 febbraio partecipa al primo ed unico congresso del PdA. Decide in seguito di abbandonare la vita politica. Si dedica al giornalismo e alla scrittura di saggi storici.
Nel 1980 è nominato senatore a vita. Entra nel gruppo parlamentare repubblicano.
Muore il 18 settembre 1999.

nuvolarossa
11-12-04, 11:00
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MICHELE CIFARELLI

Michele Cifarelli nasce a Bari nel 1913.
Fu membro autorevole del Partito d'Azione, costituendo un prezioso punto di riferimento della parte più illuminata dell'opinione pubblica meridionale. E' nel dicembre del 1944 che egli assume la direzione organizzativa del PdA, che mantiene fino al Congresso del '46. Dopo la scissione, che comportò l'allontanamento di La Malfa e Parri, partecipa alla costituzione di Democrazia Repubblicana. Nell'imminenza delle elezioni per la Costituente tenta una ricostruzioni dei due tronconi azionisti (un'anima socialisteggiante, con Lussu da una parte, la corrente lamalfiana dall'altra).
Dopo la fine del PdA Cifarelli entra nel Pri.
Viene eletto al Parlamento, è sottosegretario all'Agricoltura.
Fu un europeista convinto: dal 1948 è vicepresidente del movimento europeo. Nel 1969 è nominato rappresentante del Partito repubblicano nel Parlamento europeo.
Sostenitore del patrimonio ambientale e artistico italiano, Cifarelli fu uno dei fondatori di Italia Nostra, di cui è stato per molti anni vicepresidente.
Nel 1964 fu il promotore della proposta di legge su ìNorme generali sui parchi nazionaliî e, in sede parlamentare presenterà, nel '70, il disegno di legge - quadro sui parchi nazionali e le riserve naturali.
Il 20 marzo del 1983 è nominato presidente del Parco d'Abruzzo, carica che mantiene per oltre un decennio.
Fu fra i fondatori dell'Associazione Italia - Israele; ne venne eletto presidente e successivamente presidente onorario.
Il suo ultimo impegno pubblico è stato quello, a partire dal 1988, di presidente dell'Associazione per gli interessi del Mezzogiorno d'Italia.
Si è spento il 5 giugno del 1998.

nuvolarossa
13-12-04, 12:44
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BRUNO VISENTINI

Nasce a Treviso il 1° agosto del 1914.
All'università di Padova si unisce ai gruppi di studenti antifascisti. Nel 1933, ad esempio, collabora con altri compagni per far passare la frontiera clandestinamente a militanti comunisti. Nel 1941 espatria in Francia; nel 1943 è arrestato e rilasciato dopo il 25 luglio.
E' tra i fondatori del Partito d'Azione, con Ugo La Malfa, Parri e Ragghianti. Partecipa alla Resistenza nel Veneto e poi a Roma nell'ambito del Cnl. Così Giorgio La Malfa ha ricordato la militanza di Visentini nel PdA: " Quel partito fu la maggior forza dell'antifascismo insieme con il Pci, e il luogo di formazione di un vasto mondo politico e intellettuale. Un sogno e una speranza che si conclusero con la scissione del '46. Allora Ferruccio Parri, mio padre Ugo, Bruno Visentini difesero il ruolo autonomo del Partito d'Azione rispetto a quanti chiedevano che esso si schierasse organicamente con i due partiti della sinistra".
Alla scissione romana del PdA, Visentini entra con la corrente di Democrazia Repubblicana nel Pri.
Professore di diritto commerciale all'Università di Urbino, Visentini debutta in un incarico governativo nel 1945 come sottosegretario alle Finanze nel primo governo De Gasperi.
Nel 1948 è nominato vicepresidente dell'Iri, carica che ricopre per un lunghissimo tempo fino al 1972.
Nel 1963 è presidente dell'Olivetti, mantenendo, con qualche interruzione, l'incarico fino alla fine degli anni Settanta.
Nel 1972 è eletto deputato in Toscana per il Pri.
Nel 1974 è eletto vicepresidente di Confindustria; si dimette pochi mesi dopo, entrando come ministro delle Finanze nel governo Moro.
Dal punto di vista fiscale, il 1974 è un anno importante per l'Italia, con il completamento dell'applicazione concreta di alcuni meccanismi della riforma tributaria; di tale riforma Visentini è stato uno degli ispiratori e protagonisti.
Nel 1979 è ministro del Bilancio nel quarto governo Andreotti. Nello stesso anno viene rieletto senatore e poi membro del Parlamento europeo.
Dal '79 al '92 è presidente del Pri.
Dal 1983 è alla guida del ministero delle Finanze nei governi Craxi.
In polemica con Giorgio La Malfa, Visentini lascia il partito nel '92. Giorgio La Malfa ha scritto che Visentini riteneva che "il maggioritario non consentisse più autonomia alle forze intermedie, io ritenendo che fosse comunque necessario assicurare la continuità di una tradizione politica che, pur come espressione di minoranza, percorre tutta la storia d'Italia dal Risorgimento a oggi". Ma Giorgio La Malfa, ricordando Visentini, si augurava che "ci potessimo ritrovare presto insieme, come del resto si erano ritrovati insieme mio padre e Leo Valiani che pure erano stati su sponde opposte al momento della scissione del Partito d'Azione".
Visentini si è spento il 12 febbraio 1995.

nuvolarossa
16-12-04, 16:49
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CLAUDIO SALMONI

Nasce l'11 agosto 1919 a Ravenna, da famiglia ebraica. Nonostante le leggi razziali riesce a laurearsi a Roma in ingegneria civile nel 1941.
Alcuni membri della sua famiglia vengono deportati nei campi di concentramento da cui non faranno più ritorno.
Salmoni ripara a Bari; qui inizia la sua attività politica aderendo alla gioventù liberale, partecipando al Comitato di Liberazione Nazionale, come rappresentante del quale è inviato ad un raduno della gioventù antifascista in Jugoslavia. Qui si aggregherà alla lotta partigiana.
Tornato in Italia si offre di passare le linee per compiere opere di sabotaggio.
Nel 1945 esce dalla sinistra liberale per poi aderire nel '46 al Partito repubblicano. Dal '47 è segretario provinciale di Ancona, carica che terrà fino al 1969. Fra gli altri incarichi di rilievo: cosegretario nazionale ('64 - '65), vicesegretario politico nazionale ('66 - '70). E' sindaco di Ancona dal 1965 al 1967.
Frutto della sua attività professionale è l'Issem, Istituto per lo Studio dello Sviluppo Economico delle Marche. Negli anni 1962 - '63 è nominato membro della Commissione nazionale d'indagine sulla scuola italiana. Nel 1969 viene nominato vicepresidente della Cassa del Mezzogiorno. Incarico che ricopre per breve tempo, a causa della sua morte prematura, avvenuta il 21 marzo del 1970.
All'interno del Pri, nel 1962, quando il partito è lacerato dalla scissione sulla scelta fra centrismo e centrosinistra, Salmoni si schiera a fianco di Ugo La Malfa, dunque in favore, come ha scritto Giorgio La Malfa, di "una svolta politica carica di speranze".
Nel 1967, è l'artefice dell'ingresso nel Pri di Democrazia '67, movimento giovanile nato dalla costola della sinistra liberale. A lui si deve la paternità, nel 1968, del nuovo statuto del Pri.

nuvolarossa
17-12-04, 19:07
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GIOVANNI SPADOLINI

Nasce a Firenze nel 1925. Giovanissimo, diviene docente di Storia contemporanea presso la facoltà di Scienze politiche dell'Università del capoluogo toscano. Collabora, fin dal primo numero, al Mondo di Pannunzio, divenendo nel 1955 direttore de Il Resto del Carlino. Più tardi, nel 1969, assume la direzione de Il Corriere della Sera, che regge durante gli anni difficili della contestazione e della strategia della tensione.
Nel 1972 è eletto senatore per il collegio di Milano nelle liste del Pri, come indipendente.
Nel 1974, nel governo Moro - La Malfa, è ministro dei Beni culturali; nel governo Andreotti del 1979 è ministro della Pubblica istruzione. Il 23 settembre 1979 è eletto segretario del Partito Repubblicano.
L'11 giugno 1981, il Presidente della Repubblica Pertini affida al senatore Spadolini l'incarico "larghissimo e senza alcun vincolo" di formare il nuovo governo. Un mese dopo, Spadolini ottiene la fiducia delle Camere. E' il primo presidente del Consiglio non democristiano dell'Italia repubblicana.
Il 21 gennaio 1982, presiedendo a Palazzo Chigi una riunione operativa a cui partecipano i responsabili delle forze dell'ordine, Spadolini denuncia l'intreccio perverso fra mafia, camorra e terrorismo. Il Parlamento approva il disegno di legge presentato dal governo per l'attuazione del divieto costituzionale delle associazioni segrete. E' sciolta la loggia P2.
Il 2 settembre 1982 nasce il secondo governo Spadolini.
Il 26 giugno 1983, nelle elezioni politiche, il Pri di Spadolini conquista il 5,2 per cento. I giornali parlano di "effetto Spadolini". Nel 1° governo Craxi dell'agosto 1983, Spadolini è ministro della Difesa.
Nelle elezioni regionali ed amministrative del 12 maggio 1985, il Pri riceve oltre il 4 per cento, contro il 3 per cento del 1980.
Il 1° agosto del 1986, giura il secondo governo Craxi; Spadolini viene confermato al dicastero della Difesa, dove dà inizio alla elaborazione di un'azione riformatrice delle forze armate.
Il 22 aprile 1987 si tiene il XXXVI Congresso repubblicano a Firenze; la grandissima maggioranza si riconosce nella mozione di cui Spadolini è il primo firmatario.
Nelle elezioni del 14 giungo 1987, il Pri consegue alla Camera il 3,7 per cento, e al Senato il 3,8. Il 2 luglio dello stesso anno Spadolini è eletto presidente del Senato; lascia la segreteria del Pri, che viene assunta da Giorgio La Malfa.
Spadolini occupa la presidenza del Senato per tutta la durata della decima e dell'undicesima legislatura.
Nell'aprile del 1994 non ottiene la presidenza del Senato per un solo voto.
E' scomparso il 4 agosto 1994.

nuvolarossa
20-12-04, 13:37
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GUGLIELMO NEGRI

Guglielmo Negri, Dodi per gli amici, era nato a Roma nel 1926. Giurista, politologo e saggista, si era specializzato in Diritto Pubblico Comparato nelle università di Harvard e Oxford. Nei primi anni Cinquanta fu collaboratore diretto di Adriano Olivetti e partecipò attivamente alle temperie intellettuale da cui nacque il movimento di Comunità. Si dimise poi dallíincarico quando, presentandosi il movimento alle elezioni, fu posto davanti all'alternativa se aderire a Comunità o mantenere l'adesione al Pri.
Aveva successivamente vinto il concorso per funzionario della Camera dei deputati, nella quale percorse líintera carriera, prima come consigliere, segretario della Commissione Difesa ed Affari Esteri, poi come capo del Servizio studi, legislazione e inchieste parlamentari e, infine, come Vicesegretario generale vicario. Durante questo periodo aveva mantenuto impegni accademici quale professore di Diritto Pubblico alla facoltà di Magistero dell'Università di Roma e di Diritto Comparato presso la sede di Firenze della Syracuse University.
Consigliere di Stato dal 1985 e professore ordinario di Diritto Costituzionale alla Luiss, Negri è stato Direttore della Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione dal 1994 al 1998. In questíultimo anno è stato commissario straordinario della Federazione del nuoto del Coni. E' stato inoltre membro del Consiglio direttivo e presidente della delegazione di Roma del Touring Club Italiano.
Nel 1995, Negri è stato chiamato a ricoprire la carica di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con l'incarico dei rapporti con il Parlamento in seno al Governo Dini, funzione nella quale egli mostrò doti esemplari di equilibrio e di correttezza che gli valsero il riconoscimento e l'apprezzamento sia dei banchi della maggioranza sia di quelli dell'opposizione.
Collaboratore assiduo del Corriere della Sera e de Il Messaggero, Negri ha avuto una vasta attività di scrittore. Il suo romanzo La gabbia ha vinto nel 1973 il premio Forte dei Marmi per la satira politica. Le sue memorie sono raccolte in tre volumi: Testimone di mezzo secolo (Il Mulino), Il quindicennio Cruciale. 1972-1987 (Luni Editore), Un anno con Dini. Diario di un governo "eccezionale" (Il Mulino). Aveva appena completato la stesura di un quarto volume, dal titolo La Transizione Incompiuta (Luni Editore, novembre 2000).
Intensa la sua partecipazione alla vita politica italiana. Giovanissimo aderì al Partito d'Azione, entrando poi nel Partito Repubblicano a fianco di Giovanni Conti, di Oronzo Reale e di Ugo La Malfa. Membro della Direzione Nazionale, venne eletto presidente del PRI nel 1995, e riconfermato in questo incarico all'indomani del 41° Congresso di Chianciano del gennaio 2000.
E' scomparso improvvisamente, all'età di 74 anni, il 18 ottobre 2000.

nuvolarossa
20-12-04, 13:37
.... sono stati aggiunti tre capitoli alla
"Storia del Partito Repubblicano" .
Inoltre e' stato aggiunto l'elenco
di tutti i Congressi (43), svolti sino
ad oggi ... torna a capo ... e scorri
sino in fondo al primo post ...........

http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=4830

LIBERAMENTE
30-12-04, 14:29
Bellissimo questo thread sulla storia repubblicana. Sono un appassionato della storia dei partiti politici, e credo che thread come questo siano utilissimi.
Da liberale ho sempre apprezzato il rigore dei repubblicani nel settore economico , oltre a condividere con voi il glorioso passato Risorgimentale.
Auguri di buone feste a tutti gli amici del Partito Repubblicano e speriamo in un 2005 felice e pieno di soddisfazioni.

Saluti liberali, LIBERAMENTE

nuvolarossa
30-12-04, 15:38
LIBERAMENTE ... grazie per gli auguri per un proficuo 2005 ... che contraccambiamo.
Ti segnalo, qua sotto, il thread specifico, per gli auguri di vario tipo ....

http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=9568

nuvolarossa
04-01-05, 17:27
il 1° novembre 2005 saranno 110 anni compiuti ... qualcuno si ricordi di avvisarmi ... che c'e da cambiare il titolo ....

nuvolarossa
08-01-05, 13:41
Il PRI movimento della democrazia e della tolleranza

Ritengo che il Pri sia il partito della tolleranza per antonomasia.
Lo dimostra il fatto che, in seno al PRI, ci siano in maggioranza
repubblicani che si schierano a favore della CDL, ma anche
repubblicani che si collocano in modo dialettico ed alternativo
rispetto ai due poli ed altri ancora che vorrebbero ritornare nel
centro - sinistra. Reputo fermamente che la diversità di posizioni
non si debba interpretare come incertezza sulla linea politica o,
peggio,come opportunismo politico, bensì, hegelianamente, come
una "Aufhebung", un innalzamento di alto respiro, che porterà a
fondere i momenti dialettici della moné, del prodos e della
epistrophé, in una sintesi superiore, alla alètheia, che
inevitabilmente sgorgherà dal dibattito repubblicano.
La questione non concerne strettamente la posizione politica del PRI,
bensì la fedele custodia dei valori del repubblicanesimo mazziniano,
del riformismo illuminista, laico, razionale, logico, consequenziale,
tollerante, kantianamente aperto al dialogo, moderato nei toni e
nell'atteggiamento, progressista nel senso del sociale, ma pragmatico
e realista sulla scia del neolaburismo inglese di Tony Blair.

Massimo Bandini

.............................
tratto dal Gruppo "I Repubblicani"
http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/

nuvolarossa
26-04-05, 23:08
I "vinti dalla storia"

Un riconoscimento importante alla battaglia svolta dai repubblicani

Nel 1994, l'ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando Cascio, esponente democristiano di lungo corso prima, leader della Rete poi, senza all'apparenza nessuna particolare ragione, ritenne di dover dire che il segretario del Pri, Giorgio La Malfa, a causa di problemi giudiziari, non si poteva candidare alle elezioni politiche. Una tale presa di posizione sarebbe bastata per chiudere immediatamente i rapporti con la sinistra da parte di un partito che, confermata la sua leadership in un Consiglio nazionale, vedeva un possibile alleato dettare le condizioni tecniche dell'alleanza stessa. Al contrario, un consistente numero di dirigenti repubblicani preferì ritenere finita la ragione storica del Partito repubblicano, piuttosto che interrompere i rapporti con la coalizione di cui Orlando Cascio era rappresentante: la macchina da guerra dell'onorevole Occhetto.

La crisi del Pri iniziò così, con un attacco violento e gratuito contro la sua legittima segreteria e la dirigenza si mostrò incapace di difendere l'autonomia del partito, fino al punto di dire: il Pri non ha più ragione di esistere. Ne avevano invece, di ragioni, la Rete, Alleanza Democratica, Rinnovamento Italiano e quant'altro non sia stato in grado di occupare uno spazio decoroso nella storia di quegli anni.

Eppure l'attacco di Orlando Cascio non rappresentava una voce di sen fuggita. Esso era espressione della voglia di normalizzare la sinistra italiana che aveva visto nell'intero secolo scorso il confronto fra due diverse famiglie: quella socialista, che poi si differenziò al suo interno dal 1921 nel Pci e nel Psi, e quella democratica, a cui apparteneva il Pri.

E la normalizzazione, attraverso lo strumento tecnico del sistema elettorale maggioritario, appariva particolarmente favorevole a chi contava su un forte sostegno di massa contro chi era stato una indipendente, resistente e dunque fastidiosa formazione di minoranza. I rapporti politici per tutto il secolo, fra socialisti e repubblicani prima, e nel dopoguerra fra socialisti, comunisti e repubblicani, non erano stati pacifici. Ma fino a quando l'Unione sovietica ed il modello che essa proponeva avevano una propria credibilità, i repubblicani si potevano anche sopportare, magari come diceva Togliatti, quali "vinti dalla storia". Più difficile sopportare i repubblicani, quando il modello socialista era entrato in crisi e l'Unione sovietica dissolta, e tutto il suo bagaglio ideale ed ideologico condizionato da un errore catastrofico non più occultabile da realizzazioni tragiche e previsioni sballate.

Perché, di fronte a questo terremoto, l'unica sinistra degna e credibile restava quella democratica che il Pri, con i suoi scarsi voti, aveva rappresentato più che degnamente, dalla fine dell'Ottocento in avanti. Ma evidentemente questo non era sopportabile per chi - persa la fede - aveva comunque strutture imponenti e conquistato spazi di potere a cui non si voleva per nessun costo, e a nessuna condizione, rinunciare.

In questa situazione, meglio puntare sulla scomparsa del Partito repubblicano: una giocata che vellicò molti. Basta vedere gli esponenti di questo partito sparpagliati nei Ds, nella Margherita, in Forza Italia, e financo in Alleanza nazionale.

Tanti più furono gli amici, anche molto cari, che ci lasciarono, tanto più forte la nostra voglia di resistere in una difesa che appariva impossibile. Non era solo la tenacia - che pure ha avuto una parte rilevante - a farci tirare avanti. Era la convinzione che quando si possiede un'eredità politica e morale di principale importanza per la storia nazionale, non la si distrugge a causa delle condizioni avverse. E se il Paese che il Pri ha inteso servire nella sua azione politica secolare (in clandestinità negli anni del fascismo o al governo nella Repubblica democratica) non esce dalla sua crisi, una forza come quella che noi abbiamo rappresentato, può rendersi utile e avere una nuova occasione.

Possiamo dire con una certa tranquillità, dopo il ritorno di Giorgio La Malfa al governo, che questo problema della sopravvivenza sia ormai alle spalle, perché è stato riconosciuto il valore della nostra lotta. Magari siamo ancora lontani dall'affermazione repubblicana e dei suoi principi fondanti, ma un passo determinante è stato compiuto. Andremo avanti, con buona pace dei tanti che ci davano, già nel 1994, per morti.

Roma, 26 aprile 2005

nuvolarossa
22-07-05, 09:22
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


http://www.ilcannocchiale.it/blogs/bloggerarchimg/Repubblicani/PRIanni50.JPG

nuvolarossa
26-07-05, 19:42
Intervista a Francesco Nucara/I valori dell'Edera e le sfide di un mondo in evoluzione

Mantenere le coordinate della nostra linea politica

Il giornale di informazione on line "Diario 21" pubblica la seguente intervista al segretario del Pri Francesco Nucara.

Gli attentati terroristici di Londra hanno creato allarme in Italia e in tutta Europa: secondo lei cosa va fatto per sconfiggere il terrorismo internazionale?

Parliamo di un fenomeno molto complesso che si è manifestato in forme diverse a New York, a Madrid, a Londra, a Sharm el Sheikh. Tutti episodi dolorosissimi, ma con una riduzione di spettacolarità. Evidentemente i controlli e le misure prese hanno diminuito i rischi su alcuni obiettivi, gli aerei ad esempio, ma la potenza del terrorismo è che può diversificare e far saltare i treni, i vagoni della metropolitana, gli alberghi. Il rafforzamento dell'intelligence è fondamentale, come è fondamentale un dialogo aperto con la comunità musulmana. Non so se esiste un Islam più o meno moderato, ma vedo che il terrorismo colpisce anche gli islamici, tutti quelli che convivono pacificamente con l'occidente, per lo meno, o quelli che vogliono conviverci, vedi gli iracheni. E mi faccio una domanda: senza un conflitto aperto in Iraq, sarebbe stato più facile colpire per i terroristi l'America o l'Inghilterra? Credo che la guerra in casa loro l'abbia allontanata dalle nostre case. Se ne sono accorti e si riorganizzano. Data la vastità dei luoghi da difendere subiremo altri colpi. Ma per vincere il terrorismo, bisogna non cedere al ricatto. Oggi vogliono che andiamo via dall'Iraq, domani dall'Afghanistan, dopodomani che lasciamo sola Israele. Se le coordinate della nostra politica internazionale restano salde, se non ci spaventiamo, sconfiggeremo il terrorismo, altrimenti la vittoria sarà sua.

La storia repubblicana italiana oggi è divisa. E' possibile ipotizzare, nel futuro, una ricomposizione dell'unità repubblicana?

Noi abbiamo mantenuto un partito unito, lo stesso che ci hanno consegnato i padri storici del repubblicanesimo. E' un valore che alcuni amici non hanno ritenuto di condividere e se ne sono andati. Capisco che molte scelte che abbiamo preso siano state difficili, ma mi sono sempre stupito che potessero portare all'abbandono del Pri, la casa della tradizione risorgimentale, del patriottismo, della laicità dello Stato. La mia preoccupazione è che questa casa resti aperta e chi se ne è andato possa tornare. Accadde per Pacciardi. Può accadere per altri.

Cosa pensa dell'idea di Berlusconi di dar vita al partito unitario?

Credo che Berlusconi voglia far fare un salto di qualità alla coalizione, rafforzarne la coesione. Il difetto di questo progetto è che le tradizioni europee non sono solo moderate e socialiste. Sono anche liberali. Un appassionato azionista come Mario Vinciguerra ci ha insegnato negli anni '50 che il repubblicanesimo e la democrazia erano elementi propri della tradizione liberale, non moderati. Io credo che questi vadano rappresentati nella loro autonomia. Del resto mi pare che Berlusconi da un partito unitario sul modello dei repubblicani statunitensi, sia più propenso ad una unificazione delle forze che si richiamano o si potrebbero richiamare nel Ppe. Non noi, quindi, che a Bruxelles siamo una forza fondante dell'Eldr e intendiamo restare tali.

Lei condivide lo strumento delle primarie come metodo di scelta del futuro leader della coalizione di centrodestra?

Se si facesse un partito unico, questo strumento delle primarie avrebbe un senso. Ma se c'è una coalizione di forze è giusto che, salvo un accordo di tipo diverso, il premier sia il leader del partito più grande. Le primarie del centrosinistra sono necessitate dalla debolezza di Prodi. Se i Ds indicassero un loro candidato, Prodi difficilmente potrebbe vincerle. Per questo mi sembrano sostanzialmente una perdita di tempo.

La situazione economica italiana non è delle più rosee: quale la ricetta del partito Repubblicano italiano per rilanciarla?

Oggi è necessario pensare ad individuare degli strumenti per la crescita economica. Liberalizzazioni, riforme del mercato del lavoro per una maggiore flessibilità, possibilità di investimenti, riduzione delle imposte, privatizzazioni. Lisbona è la grande occasione di rilancio dell'economia europea, in cui inserire l'Italia. Il solo rigore non basta. Tony Blair è l'esempio da seguire, in quanto il vecchio modello franco - tedesco, basato sul protezionismo industriale e agricolo è in una crisi irreversibile. Ho visto che la migliore qualità di zucchero è di una piccola produzione sudafricana a costi infinitamente inferiori rispetto a quelli delle grandi aziende francesi finanziate lautamente dallo Stato. Senza contare il confronto con i mercati emergenti in cui il costo del lavoro è praticamente nullo. Pensare a diventare competitivi con queste realtà è la sfida che ci sta dinanzi. Se si vagheggia invece il modello svedese degli anni '50, come ha fatto l'onorevole Fassino al congresso del suo partito, non si va da nessuna parte. Si finisce travolti. Questo governo ha fatto meno di quello che si sperava, è vero. Ma almeno in esso c'è ancora un'idea di evoluzione economica da perseguire. Di là vogliono cancellare la legge Biagi. E ad alcuni appare poco, visto che preferirebbero prima abolire la proprietà privata.

nuvolarossa
20-03-06, 12:21
... Interessante scheda pubblicata da RaiNet.It ... al link ...

http://www.rainet.it/news/articolonews/0,9217,121469,00.html

nuvolarossa
24-03-06, 20:42
Lettera a Nucara
Caro segretario la tua forza si chiama passione

Caro direttore, nel tuo lungo ed interessante editoriale, "Estendere gli spazi democratici e scuotere le energie vitali del Paese", che hai firmato per le colonne della "Voce Repubblicana" il 14 marzo scorso, si incontrano cose assai significative e veritiere, denotanti l'ammirabile passione che da diversi anni ti vede impegnato nella difficile e coraggiosa salvaguardia del Pri. "[...] Grazie ad un manipolo di ‘resistenti' che non hanno voluto - hai scritto nel tuo bellissimo fondo - ammainare le loro bandiere e con esse i loro ideali repubblicani siamo ancora (e per fortuna, aggiungo io), pur in condizioni di estrema debolezza, sulla scena politica". Una scena che ci spetta di diritto, ma davvero molto sudata che continuerà a vederci protagonisti chissà ancora per quanto tempo, questo almeno è quanto vivamente spero. Del resto, grazie appunto alla tua forte volontà e al preziosissimo impegno da parte di quel manipolo di ‘resistenti', si notano già non pochi confortanti risultati. La foglia dell'Edera se oggi continua a verdeggiare lo si deve proprio a questo tuo (e vostro) incessante lavorio. Per questo, carissimo Nucara - per quanto possano servire le mie modeste parole - voglio ringraziarti (e ringraziarvi) per tutto quello che hai fatto e vai facendo per la vita del Pri. Abbracciandoti, ti saluto con le parole che Giovanni Spadolini pronunciò al 32° Congresso nazionale del Partito repubblicano, svoltosi a Genova nel lontano 1975: "[...] Il Pri è il partito dell'indipendenza nazionale, è per eccellenza il partito del Risorgimento e mai rinuncerà alla sua funzione nella lotta per la libertà, contro ogni oppressore, contro ogni totalitarismo...".

Con molta cordialità

Luciano Masolini

nuvolarossa
15-11-06, 19:30
SEMINARIO DI FORMAZIONE POLITICA

FIUGGI, 19 - 24 novembre 2006

Il Partito Repubblicano Italiano, insieme alla Federazione Giovanile Repubblicana, organizza, nelle giornate dal 19 al 24 p.v., un corso di formazione per giovani aderenti e simpatizzanti del PRI.
Crediamo fermamente nell'importanza di iniziative come queste, in grado di coinvolgere i giovani, di stimolarli a ragionare sui problemi del nostro Paese laicamente, cioè senza pregiudizi, senza barriere ideologiche.
Il processo che il PRI, da qualche tempo, ha intrapreso è quello di un compiuto quanto improcrastinabile ricambio generazionale. Tuttavia siamo convinti che per essere efficace il ricambio generazionale deve condursi nel modo meno improvvisato possibile e deve essere guidato da una strategia complessiva che miri ad un rilancio dell'azione politica del nostro partito.
Per queste motivazioni quell'iniziativa che tanto successo aveva riscosso due anni fa a Chianciano si rinnova quest'anno. Stavolta però l'appuntamento è a Fiuggi, domenica 19 nel tardo pomeriggio, presso l'Hotel Oxford.
Di seguito pubblichiamo il programma delle giornate di studio.

Domenica 19

Ore 18,00 - Accoglienza dei partecipanti da parte del Segretario Nazionale della Federazione Giovanile Repubblicana, dott. Giovanni Postorino

Redazione breve scheda di presentazione personale

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Lunedì 20

Ore 8,30 - Saluto ViceSegretario Nazionale del PRI, dott. Corrado Saponaro De Rinaldis

Ore 9,00 - Quadro istituzionale ed organizzazione dello Stato. Il nuovo ruolo delle autonomie locali. La riforma dell'ordinamento statale. dott. Michele Eramo

Ore 11,00 - La giustizia nell'amministrazione: la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini. prof. Emidio Frascione

ore 14,00 - La politica energetica e la tutela ambientale. prof. Franco Battaglia

Ore 16,00 - Partiti politici, sindacati e gruppi di pressione (il fenomeno delle lobbies): il loro ruolo nelle moderne democrazie. sen. Antonio Del Pennino

Tavola rotonda sugli argomenti della giornata. Redazione documento di sintesi

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Martedì 21

Ore 9,00 - Strategie di comunicazione politica. dott. Giuliano Torlontano

Ore 11,00 - Principi ispiratori repubblicanesimo. on. Oscar Mammì

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Ore 15,00 - L'unione europea e la tutela della concorrenza dei mercati. avv. Alessandro Nucara

Ore 17,00 - Amministrazione ed organizzazione del Partito repubblicano. Le liste elettorali. Interverranno il dott. Giancarlo Camerucci (Amministratore PRI), il dott. Franco Torchia (responsabile del tesseramento PRI) e Sergio Ferretti (funzionario PRI)

Tavola rotonda sugli argomenti della giornata. Redazione documento di sintesi

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Mercoledì 22

Ore 9,00 - Politica industriale: le condizioni per crescere. prof. Riccardo Gallo

Ore 11,00 - Finanziaria e conti dello Stato. prof. Gianfranco Polillo

Ore 16,00 - Il declino del Sud. sen. Luigi Compagna

Tavola rotonda sugli argomenti della giornata. Redazione documento di sintesi

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Giovedì 23

Ore 9,00 - Politica e finanza. dott. Oscar Giannino

Ore 10,30 - L'Europa ed i Fondi comunitari. prof.ssa Laura Montana

Ore 12,30 - La politica economica nell'età della globalizzazione. prof. Bruno Trezza

Ore 16,00 - Analisi del quadro politico internazionale. Il nuovo ruolo dell'Oriente (Cina e India). Il mondo occidentale e la lotta contro il terrorismo. La globalizzazione e le sfide per lo sviluppo dei "Paesi poveri". Il ruolo dell'Italia. on. Giorgio La Malfa

Tavola rotonda sugli argomenti della giornata. Redazione documento di sintesi

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Venerdì 24

Ore 10,00 - Faccia a faccia con il Segretario del PRI, on. Francesco Nucara

Chiusura del Seminario: analisi e dibattito libero su tematiche d'attualità e su quanto discusso nel corso del Seminario.

Redazione scheda personale conclusiva

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tratto dal sito del Partito Repubblicano
http://www.pri.it

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nuvolarossa
09-01-07, 17:34
aggiornamento in corso

nuvolarossa
09-01-07, 17:36
Partito Repubblicano Italiano
tratto da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il Partito Repubblicano Italiano (PRI) è il più antico partito politico italiano ed è l'unico ad aver sempre mantenuto immutati nome, simbolo ed ideali. Il primo congresso si svolse a Bologna il 12 aprile 1895.

Attualmente aderisce alla coalizione del centrodestra italiano, denominata Casa delle Libertà, in stretto rapporto con il movimento politico di Forza Italia. Il suo segretario nazionale è Francesco Nucara.

Epoca repubblicana: dal 1946

Nel settembre 1946, pochi mesi dopo le elezioni per l'Assemblea Costituente, si verifica l'evento che caratterizzerà il PRI per tutti gli anni a venire: l'adesione al partito di Ugo La Malfa, già esponente di spicco del Partito d'Azione.

Le prime elezioni repubblicane del 1948 e l'alleanza di centro

All'indomani delle elezioni del 1948, con la segreteria di Randolfo Pacciardi, il PRI si sposta al centro. L'alleanza con il centrismo dura fino al 1957, quando i repubblicani ritirano l'appoggio esterno al governo Segni; Randolfo Pacciardi, messo in minoranza, lascia la direzione del partito. Nel 1959 Ugo La Malfa assume la direzione de "La Voce Repubblicana". Nel 1965 diventa segretario del partito.

Anni sessanta e settanta: la guida di Ugo La Malfa

Dai primi anni sessanta il PRI rientra stabilmente nella maggioranza di governo. Tale collaborazione andrà in crisi nel 1974, per dissidi in materia di politica economica. In quell'anno, infatti, La Malfa esce, e con lui il PRI, dalla maggioranza per insanabili divergenze sulla politica economica col ministro del Bilancio. Il politico siciliano era fautore di una gestione rigorosa della finanza pubblica, basata su scelte capaci di privilegiare gli investimenti piuttosto che le spese.

Nei primi mesi del 1979, il capo dello Stato affida a Ugo La Malfa l'incarico di formare il nuovo governo. È la prima volta dal 1948 che un politico non democristiano riceve l'incarico. Il tentativo però non riesce, e il 21 marzo viene varato il quinto governo Andreotti, del quale la Malfa è comunque vicepresidente. Cinque giorni dopo La Malfa muore, colto da un male improvviso. In settembre il Pri elegge Bruno Visentini presidente e Giovanni Spadolini segretario del partito.

Anni ottanta: Spadolini e la nascita del pentapartito

Negli anni ottanta Spadolini prima e il figlio di Ugo, Giorgio La Malfa poi, legano il PRI al pentapartito, che dal 1983 al 1990 governa l'Italia. Il PRI romperà con la maggioranza nel 1991 in merito alla "legge Mammì" sulle telecomunicazioni.

Gli avvenimenti più importanti degli anni ottanta possono esser così riassunti.

Nel giugno 1981 Giovanni Spadolini diventa il primo presidente non DC del Consiglio dei ministri dal 1948. Spadolini assume la direzione de "La Voce Repubblicana". Nel 1983 il PRI raccoglie con Spadolini oltre il 5% dei voti, massimo storico del partito.

Nel luglio 1987, all'indomani delle elezioni politiche del 14 giugno, Giovanni Spadolini viene eletto alla carica di presidente del Senato. Il 12 settembre dello stesso anno il Consiglio nazionale elegge il suo successore: il nuovo segretario politico del PRI è Giorgio La Malfa.

Anni novanta: Giorgio La Malfa segretario

La Malfa porta i repubblicani all'opposizione, non partecipando al governo Andreotti VII (1991), e facendosi portabandiera della questione morale. Dopo lo scoppio di Tangentopoli lo stesso La Malfa risulterà momentaneamente indagato e lascerà l'incarico di segretario che sarà assunto per qualche mese da Giorgio Bogi. Bogi mira a guidare il partito all'interno di una più ampia coalizione di centrosinistra in Alleanza Democratica, ma la linea non è condivisa da tutto il partito.

Nel gennaio 1994, con La Malfa tornato segretario, il partito sceglie di collocarsi al centro, nella coalizione del Patto per l'Italia di Segni e Martinazzoli. Nella quota maggioritaria però nessun seggio va ai repubblicani. Nella quota proporzionale il PRI presenta candidati nelle liste del Patto Segni e risulta eletta solo una esponente repubblicana, Carla Mazzuca Poggiolini. L'ipotesi centrista di fatto fallisce. Con la "discesa in campo" di Berlusconi molti ex-repubblicani aderiscono a Forza Italia. Ha inizio una diaspora repubblicana:

quasi subito aderiscono a Forza italia: Piergiorgio Massidda, Luigi Casero, Guglielmo Castagnetti, Jas Gawronski, Mario Pescante, Denis Verdini e Alberto Zorzoli;
Giorgio Bogi lascia il partito e rimane in Alleanza Democratica, successivamente fonda il movimento della Sinistra Repubblicana che confluirà nei Democratici di Sinistra con altri illustri repubblicani (Stelio De Carolis, Antonio Duva, Andrea Manzella, Libero Gualtieri e Stefano Passigli;
nel corso degli anni '90 altri esponenti repubblicani si collocano in formazioni di centrosinistra: Antonio Maccanico prima fonda l'Unione Democratica poi confluisce nei Democratici, ai quali aderisce anche il sindaco di Catania Enzo Bianco.
Alle elezioni europee del 1994 il PRI si ripresenta col proprio simbolo e raccoglie lo 0,7% dei voti che consentono al segretario La Malfa di entrare nell'europarlamento.

L'adesione all'Ulivo

Nel 1995 il PRI entra nell'Ulivo. Preso atto dell'impossibilità di dar vita a un'alternativa centrista, il partito repubblicano, così come il Partito Popolare Italiano, decide di avvicinarsi alle forze di centrosinistra con l'intento di creare uno schieramento di unità nazionale che sappia affrontare i problemi del paese. Nel frattempo in Parlamento La Malfa riesce a ricostituire una piccola presenza repubblicana: due deputati di origine repubblicana, eletti nelle file dei Progressisti, accettano di tornare nel PRI: si tratta di Luciana Sbarbati e Denis Ugolini. La deputata Carla Mazzuca Poggiolini invece non accetta di lasciare Segni e quindi esce dal partito.

Alle elezioni politiche del 1996, il PRI si presenta quindi nell'alleanza di centrosinistra (nel maggioritario) e con la lista composita Partito Popolare Italiano-Unione Democratica (nella quota proporzionale), sostenendo la candidatura di Romano Prodi a capo del Governo. Due sono i deputati eletti: Luciana Sbarbati e Giorgio La Malfa che subito abbandonano il progetto dell'Unione Democratica di Maccanico (cui aderivano anche Alleanza Democratica e i liberali di Valerio Zanone) e scelgono di andare nel gruppo misto. Nel corso della legislatura poi i due deputati repubblicani si uniranno al gruppo di Rinnovamento Italiano per poi distaccarsene formando un piccolo gruppo denominato "Federalisti, Liberaldemocratici e Repubblicani" con l'adesione al partito anche del deputato Gian Antonio Mazzocchin.

Nel 1997-98 tra gli esponenti ex-repubblicani che non accettano la scelta di centrosinistra del partito nasce un piccolo movimento guidato da Armando Corona (esponente della Massoneria) denominato Unità Repubblicana (adotta come simbolo tre foglie di edera, una verde, una bianca e una rossa) che si colloca nel centrodestra, vicino a Forza Italia. Il movimento nel 1998 aderirà per breve tempo al progetto dell'UDR (Unione Democratica per la Repubblica), ma se ne distaccherà dopo la scelta dell'UDR a favore del Governo D'Alema I, confermando una scelta di centrodestra.

L'ingresso nella Casa delle Libertà

A fine legislatura (dopo cinque anni di governi dell'Ulivo a guida Prodi, D'Alema e Amato) il PRI cambia schieramento: il XLII congresso del partito, che si svolge a Bari nel gennaio del 2001, decreta l'adesione alla Casa delle Libertà.

L'on. Luciana Sbarbati, in aperta polemica con i vertici del PRI per questa decisione, esce dal partito alla guida di un piccolo gruppo di scissionisti (5% dei voti congressuali) che daranno vita al Movimento Repubblicani Europei, alleato del centrosinistra ed oggi membro della Federazione dell'Ulivo.

Alla scissione a sinistra corrisponde però anche un recupero di attrattiva verso destra: in seguito alla scelta di centrodestra riconfluiscono nel PRI gli esponenti del movimento di Unità Repubblicana, tra cui il leader Armando Corona.

La segreteria di Nucara e l'ingresso nel governo

Il 6 ottobre 2001 Giorgio La Malfa, dopo 14 anni, lascia la segreteria del partito per assumerne la presidenza. Il consiglio nazionale del partito elegge come nuovo segretario nazionale l'on. Francesco Nucara.

Ad ottobre del 2002 il XLIII Congresso nazionale del partito che si svolge a Fiuggi conferma le scelte del congresso di Bari e la collocazione del partito nell'alleanza della CdL. A giugno del 2003, riprendono le pubblicazioni de "La Voce Repubblicana", sotto la direzione di Francesco Nucara.

Nel maggio 2004 piove una tegola sul partito da parte della magistratura. Il tribunale di Roma, infatti, annulla temporaneamente i risultati del congresso del 2001 per un presunto mancato rispetto dello statuto del partito. Tali risultati, confermati dal successivo congresso di Fiuggi, saranno infine convalidati dal tribunale.

Nell'aprile 2005, a seguito della crisi di governo determinata dalla sconfitta della CdL alle elezioni regionali, il PRI acquista maggiore visibilità nel nuovo esecutivo: La Malfa viene nominato ministro per le Politiche Comunitarie e Nucara vice-ministro per l'Ambiente.

Nell'ottobre 2005, all'indomani dell'approvazione della nuova legge elettorale proporzionale, ci sono alcune frizioni con la coalizione: il PRI contesta alcuni aspetti della normativa (decisa contro il suo avviso) e cala il gelo nei rapporti con gli alleati, in attesa della conferenza programmatica del 3 febbraio 2006, dove interviene lo stesso Berlusconi con un saluto ed il PRI riconferma la sua alleanza con la CdL ed avvia un legame elettorale con Forza Italia.

Intanto, proprio in vista delle nuove elezioni politiche del 2006, il PRI ottiene il riconoscimento dell'esclusività del simbolo dell'edera: il Tribunale di Roma emette un'ordinanza vietando al Movimento Repubblicani Europei e ai Repubblicani Democratici l'uso contemporaneo del simbolo dell'edera e della parola "Repubblicani", che resta diritto esclusivo del PRI.

Le elezioni politiche del 2006

In occasione delle Politiche 2006 si crea un rapporto elettorale tra PRI e Forza Italia, che gli garantisce un diritto di rappresentanza parlamentare ospitando candidati repubblicani nelle proprie liste alla Camera dei Deputati. Al Senato, il PRI si presenta in alcune regioni con liste e simbolo propri, ma vi è comunque un candidato nelle liste di FI, il senatore uscente Antonio Del Pennino, nella circoscrizione regionale della Lombardia. Il dato complessivo del partito al Senato è di poco più di 45.000 voti pari allo 0,3% (va però considerato che era presente solo in alcune regioni). Questo l'andamento della lista nelle regioni in cui è stata presente, in nessuna supera lo sbarramento necessario per eleggere senatori: il risultato maggiore è lo 0,6% registrato in Calabria.

Il PRI elegge i due deputati repubblicani inseriti a fini elettorali nelle liste di FI, il presidente La Malfa e il segretario Nucara, ma anche il senatore Antonio Del Pennino (anch'egli inserito nella lista di FI), dopo la rinuncia all'elezione di Roberto Formigoni (in quanto presidente della Regione Lombardia), il 12 luglio 2006 rientra in Senato poiché era il primo dei non eletti. Si completa così l'elezione dei tre parlamentari repubblicani previsti.

Le dimissioni di La Malfa

Una bufera nel partito si scatena in occasione del referendum costituzionale del giugno 2006, quando Giorgio La Malfa si dissocia dalla delibera della maggioranza della direzione nazionale che dà indicazione di seguire l'orientamento della Casa delle Libertà di votare "Sì" alla riforma federalista. La Malfa è contrario all'approvazione della riforma costituzionale e, di conseguenza, presenta le proprie dimissioni da presidente del partito, con queste motivazioni:

«Non sono d'accordo con questa decisione. Avevo ricordato che nel corso dell'esame parlamentare avevamo espresso un motivato parere contrario al testo elaborato, senza nostra partecipazione diretta, dai rappresentanti di Forza Italia, An, Udc e Lega, e non avevamo, di conseguenza, espresso un voto favorevole a quel testo. Per questo motivo ritenevo e ritengo che non sia possibile per noi modificare quel giudizio. Faccio osservare che la materia costituzionale riveste per il nostro partito -* che è l'unico fra quelli della Costituente che tuttora vive *- una rilevanza particolare.»

Va comunque notato che il Partito, pur avendo dato indicazione di voto, aveva lasciato libertà di scelta ai propri iscritti.

A luglio il Consiglio Nazionale del Partito "prende atto" dell'irrevocabilità delle dimissioni di La Malfa dalla carica di Presidente (carica peraltro non prevista dallo statuto), dopo che il segretario Nucara gli aveva scritto una lettera per chiedere di ritirare le proprie dimissioni e dopo che il Consiglio Nazionale unanimemente gli aveva fatto direttamente la stessa richiesta. Nucara in Consiglio Nazionale delinea una nuova linea del partito, sostenendo che è "l'ora della tuta":

«Ora è il tempo che qualcuno o molti dismettano gli abiti delle feste quirinalizie e indossino la tuta da lavoro. Il nostro riferimento deve essere la casa comune europea dell'ELDR. Finora abbiamo sottovalutato questa opportunità. Oggi dobbiamo ripartire da lì e trovare con i liberaldemocratici europei un'intesa che ci porti "a pensare europeo" ed a calare nelle nostre teste e in quelle degli italiani un pensare europeo.»

Tale linea si avvicina nettamente (fin quasi a coincidere) alle posizioni espresse da La Malfa e, anche se in maniera minore, a quelle dalla minoranza interna, riaprendo anche le porte ai transfughi.

vedere scheda al link http://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Repubblicano_Italiano

Emoned
09-01-07, 19:38
nuvola puoi postare altri manifesti del pri della prima repubblica se li hai?

grazie

nuvolarossa
09-01-07, 19:46
Emoned ... qualcosa lo trovi in questi archivi ...

http://it.ph.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/photos
http://it.ph.groups.yahoo.com/group/Mazziniani-sul-Web/photos

poi c'e un thread su questo stesso Forum com materiale iconografico vario ... appena lo ritrovo ... ti posto il link ...

nuvolarossa
09-01-07, 19:48
Emoned ... poi c'e un thread su questo stesso Forum com materiale iconografico vario ... appena lo ritrovo ... ti posto il link ...Eccolo qua ...

http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=39750

... ci sono anche varie riproduzioni antiche ... nelle prime pagine ...

Emoned
06-02-07, 19:32
vorrei approfondire questo periodo della storia del Pri dove aveva, ho visto dai risultati delle elezioni, percentuali sempre intorno al 5% circa.
se nuvolarossa mi può aiutare segnalandomi documenti o 3d, gliene sarei molto grato

nuvolarossa
06-02-07, 20:06
emoned ... se leggi dall'inizio questo thread ... trovi quanto ti serve ...
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=4830

Emoned
06-02-07, 20:17
grazie...appena ho tempo lo leggerò attentamente..sei una grande risorsa per tutti i repubblicani

Garibaldi
10-02-07, 13:37
grazie...appena ho tempo lo leggerò attentamente..sei una grande risorsa per tutti i repubblicaniLa Storia per noi continua, il Pci e' sparito, lo stesso la D.C., presto spariranno anche i D.S. e la Margherita!!!!!

Emoned
10-02-07, 14:04
La Storia per noi continua, il Pci e' sparito, lo stesso la D.C., presto spariranno anche i D.S. e la Margherita!!!!!
si...speriamo che però ci veda un po' + protagonisti di adesso...

nuvolarossa
06-09-07, 18:56
Redde rationem
Tra modus operandi e modus vivendi

Chi non ricorda Eduardo De Filippo ed il suo "Gli esami non finiscono mai"? Nella vita politica come nella vita in generale, c'è sempre un momento in cui si deve rendere conto del proprio operato. E può essere il redde rationem di un giorno, di un anno, o anche di un'intera vita. Spesso, può diventare difficile sapere a chi chiederlo o meglio da chi dobbiamo pretenderlo, perché la corresponsabilità può portare dritto, quando le cose non vanno bene, all'arrogarsi il diritto di scaricare le proprie responsabilità.

http://www.radio.rai.it/storiadellaradio/images/intervista_pik.jpg

Ma siccome, appunto, gli esami non finiscono mai, siamo costretti, ognuno per la propria parte a reddere continuamente rationem: il coniuge all'altro coniuge, il contribuente al fisco, il deputato ai suoi elettori, il ministro ai cittadini, il leader politico ai suoi sostenitori.

Il nostro, è un paese governato con il metodo dell'alternanza - alternanza finta e malata alla radice - da rappresentanti di centro-destra o di centro-sinistra che continuano sistematicamente a non reddere rationem.
I governi si alternano, ma lo sviluppo non si avvia, perché è sempre colpa di chi li ha preceduti che ha lasciato i conti in dissesto senza reddere rationem .

Ma quando metteremo punto ed a capo?

Siamo vicini ad una "Babele" politica che impedisce una corretta e responsabile comunicazione, mirata ad una intesa civile e progredita, capace finalmente di far luce su chi ha fatto cosa e soprattutto perché.
Tutto ciò riguarda comunque il complesso delle attività umane, ma a noi, oggi ed ora, interessa il modo di essere uomini e politici. E nessuno può negare che le cose debbano essere strettamente connesse.

Non si può essere uomini corretti e cattivi politici. Le due cose non sono alternative.

Più semplicemente, se non si ha voglia o capacità, non si fa esercizio di politica.
Sono gli stessi motivi per cui un politico ambiguo e sleale non può essere un uomo corretto.
E' ancora peggio quando un uomo (e) "politico" inteso come unica entità, approfitta della fiducia talvolta incondizionata, che viene riposta nella sua persona.

Non crediamo di essere ingenui quando affermiamo che agire sospinti dalla forza dei sentimenti (amicizia, passione politica ecc.) non sia mai un errore.
E allora, quando si pensa di non voler dare o di non saper dare conto agli altri, si deve rendere conto - questo sicuro - alla propria coscienza.

Dobbiamo reddere qualcosa a qualcuno?

Pensiamo proprio di si.
Quando il non farlo diventa modus operandi e, anche peggio, vivendi, il senso letterale del reddere, quello obbligatoriamente etico del consegnare il conto, del darne soprattutto ragione, perde, per autentico malcostume, urgenza e motivazione.
E allora ci può, forse, venire in soccorso la filologia latina, che avvicina, nella grammatica storica della lingua, il verbo reddere al verbo redìre il quale suggerisce una salvifica manovra di, caso mai, reductio ad rationem.

Quante di queste manovre dovrebbero essere messe in atto e, soprattutto, quanti sensi di direzione dovrebbero essere invertiti, per poter arrivare ad una opportuna univoca chiarezza?

L'obbligo morale della "riconsegna" dovrebbe essere patrimonio di tutti, di chi ha avuto poco (ma di questo poco sarà sempre riconoscente) e di chi per caso o per fortuna, ha avuto molto e questo molto ha sprecato.
Pensiamo a governi con maggioranza ampia che non hanno però saputo gestire per riformare lo Stato. Ma pensiamo anche ad altro e ad altri.
Allora ci sembra giusto, più che opportuno, parlare di reddere, ma decidiamo finalmente di reddere jus, quella giustizia che sta sempre più nascosta alla nostra vista.

Una vista che a seconda delle circostanze può essere quella di un miope, capace di vedere da vicino ma non da lontano o quella di un presbite, che intercetta le cose lontane ma non "legge" le cose vicine. Ci vuole un oculista per aiutarci a correggere questi difetti. Ce l'abbiamo già: è il nostro partito.

di Francesco Nucara
Roma, 6 settembre 2007

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

albertsturm
07-09-07, 01:17
il pri è nella storia dell'italia, grandi!
w Spadolini, avete dato una mano fondamentale nella resistenza.

nuvolarossa
07-09-07, 10:52
... avete dato una mano fondamentale nella resistenza.Certo ... pero' non sembra che sia servito a molto ... alle prime elezioni che si sono avute dopo la liberazione ... i catto-comunisti hanno rastrellato tutti i voti ... le dieci milioni di baionette fasciste si sono tramutate in dieci milioni di falci e martello e rosari benedetti ... e la Repubblica che ci siamo ritrovati l'abbiamo oggi, davanti al naso ... non e' certamente la Repubblica di Mazzini e dei Repubblicani Italiani ... e' la Repubblica dello sperpero, del sotterfugio, del fancazzismo e dell'inculera ... da parte di quella che Rizzo e Stella chiamano la "casta dei bramini" ... e che altro pero' non e' che la cartina di tornasole di quella che e' diventata la societa' italiana nel suo insieme ...

nuvolarossa
20-09-07, 19:01
Laici a San Pietro
Un'ostinata concezione critica del potere ai confini dell'eresia

Gli amici repubblicani, che si incontreranno nella tradizionale festa dell'Uva di S. Pietro in Vincoli, a molti nostri concittadini potrebbero apparire come un'ultima riserva indiana. Nel ravennate, infatti, alcuni indossano ancora il nero fiocco al colletto del lutto mazziniano per la patria, quando magari milioni di persone sognano di comprare case immaginarie su Second Life in internet. Parlando chiaramente, oggi, la stessa appartenenza al partito repubblicano appare un'originalità.

http://www.damacastellana.it/images/festuva.gif

Tutti i partiti politici con i quali i repubblicani hanno collaborato o si sono confrontati nel dopoguerra, di fatto non esistono più. E non solo: domani potrebbero non esistere gli stessi partiti che ancora ci sono oggi. Perché mai i repubblicani, a costo di una resistenza estrema, e magari di ulteriori sacrifici, dovrebbero restare attaccati alle loro tradizioni? Perché mai non partecipare ad un processo di confluenza in un soggetto più grande e più rappresentativo del nostro? Non sono argomenti tabù, badate.

Un movimento politico con una tradizione come la nostra è bene che si ponga tutte le necessarie domande. La prima è legata al perché di tanta tenacia. Ma la risposta è semplice: perché il nostro è un partito laico, il cui valore principale ed insopprimibile è la laicità. Non ignoriamo come anche il cattolicissimo De Gasperi si ritenesse un laico; come in generale tutti i democristiani che non aderivano ad un ordine religioso dovevano essere considerati laici. Ma la laicità non è una definizione da vocabolario. La laicità è la principale tradizione storico - politica del nostro paese, senza la quale non ci sarebbe mai stata nemmeno l'idea di un'entità nazionale sovrana come l'Italia.

Come potevano i cattolici, sudditi dello Stato della Chiesa, pensare di fare l'Italia? O i sabaudi, servitori della monarchia piemontese * per quante personalità prestigiose avessero al loro interno - creare qualcosa di diverso dall'espansione dei confini della real casa? La laicità non è dunque un semplice costume civile: la laicità è una condizione dello spirito, molto prossima all'eresia, o per lo meno che si è sviluppata sotto l'influenza del pensiero eretico, diventando eresia anch'essa. Giordano Bruno, che ci è molto caro, non era certo un laico, era un monaco praticante. E' stata la sua eresia nei confronti della Chiesa ed il suo martirio che ce lo hanno reso vicino. Il mazzinianesimo è l'eresia di Giordano Bruno nella modernità: una dottrina coraggiosa ed indipendente che si oppone al conformismo dettato dal potere assoluto dell'epoca.

Quindi la laicità è anche e soprattutto una concezione critica del potere. Ed i repubblicani mazziniani sono quella forza politica che diffida tradizionalmente del potere costituito, quale esso sia. In Romagna tutti ricordano il dibattito tra Ugo La Malfa e Ingrao, e molti lo hanno interpretato come il segno della simpatia politica esistente fra repubblicani e comunisti. Non c'era nessuna simpatia politica fra repubblicani e comunisti, e meno che mai fra Ingrao e La Malfa. Rileggetelo bene, quel dibattito. C'era il senso di diffidenza nei confronti del potere democristiano, che La Malfa conosceva bene, e la necessità di esplorare le possibilità politiche di una forza di opposizione, per quanto questa, nella sua ortodossia sovietica, risultasse più asservita ideologicamente di quanto lo fosse la stessa Democrazia cristiana alla Chiesa. Anzi, per la verità di laici autentici nella Dc ne abbiamo anche visti, nel Pci molti meno.

Un grande partito come quello comunista non si è mai davvero posto il problema della laicità, che avrebbe significato in pratica comprendere le ragioni del dissenso all'Est. Il Pci era semmai preoccupato di fare blocco con la tradizione cattolica, non di curare le sue deficienze ideali. Di questo il paese ha pagato le conseguenze. Quindi, noi cultori della laicità, siamo una minoranza e tali restiamo. E lo dovremo restare se non saremo in grado di aprire una svolta politica e culturale nel paese.

Per orientarvi, guardate anche il dibattito odierno. In Inghilterra gli scienziati stanno cercando di curare delle malattie mortali attraverso l'uso delle cellule animali: e qui da noi, invece di capire le ragioni della scienza, tutti ad urlare che si vogliono creare dei mostri. La laicità serve anche a comprendere il significato della ricerca.

Cosa dice la nostra Costituzione, all'articolo 9: "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica". Non vorremmo che, senza i laici, ce lo scordassimo.

Roma, 20 settembre 2007

tratto da http://www.nuvolarossa.org/modules/news/article.php?storyid=4302

nuvolarossa
06-07-08, 10:29
L'economia italiana è ferma
Un PRI coeso e vivo non rimarrà a lungo ai margini della politica

Sabato 5 luglio 2008 - “Oh no, not again”. Così un articolo del Financial Times intitolava una breve riflessione sulla nostra attuale situazione politica italiana.

Il nostro presidente settantunenne, in tutta onestà, non ci rappresenta egregiamente nel contesto internazionale. Se non ci fosse la Ferrari e la Ducati e i vari campioni nazionali della moda e della buona tavola non credo che l’Italia sarebbe riconosciuta al resto del mondo occidentale industrializzato. Parliamoci chiaro: al popolo italiano, ai milioni di italiani che ogni giorno lavorano e producono e che cercano di vivere decorosamente non importa niente del dibattito sulle intercettazioni telefoniche e sui processi da prescrivere.
Non importa nulla!

La nostra unica fonte di ricchezza è l’economia interna e, come risaputo, la domanda sta ristagnando ormai da parecchio tempo. Ed è inutile nascondersi dietro tecnicismi quali i termini recessione e/o depressione. Il punto è che la nostra economia è ormai ferma. E non c’entrano neppure i fantasmi di una crisi economica internazionale come la crisi dei mutui subprime o l’infinita catena di intermediari commerciali nazionali che gonfiano i prezzi finali al consumatore provocando ingiustificati rialzi dell’inflazione. Sono solo dettagli. Dettagli importanti ma insignificanti per spiegare la (non)dinamica dell’economia italiana. Senza investimenti di grosso calibro, senza una nuova ondata di entusiasmo, senza il minimo impegno di una classe politica non si può far nulla.
Siamo dunque condannati a subire per altri anni al ristagno dell’economia e quindi della crescita? Forse sì. Oppure no. Non lo so. Sta di fatto che sono molto deluso da come è stata impostata la ripresa dell’economia. Con l’inevitabile rischio di disaffezionarsi al dibattito politico.
E come si sta muovendo il nostro glorioso partito repubblicano?

Il Pri è messo all’angolo nell’arena politica, è tramortito dai tumulti interni, è angosciato dal futuro sempre più incerto e costretto da una invisibilità politica sempre più drammatica. Eppure il Pri è sempre presente. Forse ai margini della vita politica ma è sempre presente nella storia democratica del nostro paese. Forse testimone ora. Ma pur sempre attore e mai comparsa. E non è certo poco tutto ciò.
Certo, resistere alla tentazione di lasciare perdere convincendosi che ormai è tutto perduto sarebbe fin troppo facile. Ed è troppo facile e troppo comodo aspettare la fine del nostro partito con la sadica soddisfazione di dire “io ero presente quanto è morto il Pri”.
E ai tanti che vorrebbero dire (mai ad alta voce): “l’avevo detto io!” vorrei segnalare un recente studio del giornalista Renato Mannheimer (Senza più sinistra. L’Italia di Bossi e Berlusconi, Il Sole24Ore). Se è pur vero che stiamo vivendo un cambiamento delle preferenze elettorali che premiamo solo la polarizzazione e la radicalizzazione non è scontato che tale scenario sia lo standard del futuro. Mannheimer afferma che “la vita politica è, come si sa, caratterizzata da andamenti ciclici ed è arduo distinguere in anticipo quelli di breve periodo da quelli a medio termine”.

La semplificazione politica è un obbiettivo da raggiungere ma ricordiamo pure, vorrei aggiungere, che anche la qualità paga.
Il nostro partito ha tanta qualità. Forse manca il coraggio di unificare tutte le posizioni politiche in essere. Bisognerebbe prestare maggiore attenzione alle realtà regionali perché, se non siamo uniti almeno sulle linee programmatiche, allora il quadro si complica leggermente e viene in parte vanificato il tentativo di tenere insieme il gruppo dei repubblicani. Quindi, armiamoci di pazienza e attendiamo lo sviluppo delle vicende politiche senza ansia e senza affanno. Ma facciamo uno sforzo di rimanere uniti e coesi. E soprattutto onesti con tutti quelli che ci hanno proceduto nel cammino della storia repubblicana. Rispetto e ammirazione per chi ha vissuto per e con il Pri credendo negli ideali e sforzandosi, ogni giorno, di fare dell’Italia un grande Paese.
On. Nucara a Lei mi rivolgo direttamente: facciamo in modo che lo spirito repubblicano sopravviva ai tanti delusi del nostro partito. E coinvolgiamo tutti quanti, anche i più critici, convincendoli che c’è un piano preciso per il rilancio.
E a tutti i giovani che stanno leggendo questo articolo un particolare pensiero: forza ragazzi che il futuro del PRI passa attraverso le nostre vite e alle nostre vicende personali.
Traghettiamo il PRI verso il futuro. Magari i nostri sforzi saranno vani. Ma almeno noi ci abbiamo provato.

Fulvio Giulio Visigalli
Consigliere nazionale P.R.I.

tratto da http://www.fgr-fc.it/Home.htm

nuvolarossa
12-01-09, 13:35
E' arrivato, anche quest'anno, il momento di cambiare il titolo del thread ... da 113 anni di STORIA del Partito Repubblicano ... a 114 ... con il ringraziamento piu' sincero e vero a tutti gli amici impegnati a tenere sempre in alto la bandiera del P.R.I. ... e a far garrire l'Edera Repubblicana ...
A dire il vero il 114° anno si compirebbe il 1° novembre 2009 ... ma, come si suol, dire, con il "millesimo", gia' ci siamo dentro ...

Nullo
12-01-09, 13:48
E' arrivato, anche quest'anno, il momento di cambiare il titolo del thread ... da 113 anni di STORIA del Partito Repubblicano ... a 114 ... con il ringraziamento piu' sincero e vero a tutti gli amici impegnati a tenere sempre in alto la bandiera del P.R.I. ... e a far garrire l'Edera Repubblicana ...
A dire il vero il 114° anno si compirebbe il 1° novembre 2009 ... ma, come si suol, dire, con il "millesimo", gia' ci siamo dentro ...
perchè novembre? non dovrebbe essere aprile?

nuvolarossa
12-01-09, 13:56
Hai ragione ... il primo congresso si svolse a Bologna il 12 aprile 1895 ... chissa' perche' mi porto dietro in memoria questa data del Novembre ... boh ...

nuvolarossa
12-01-09, 14:04
Ecco perche' avevo in testa la data del 1° Novembre 1895 ... guarda al link http://utenti.lycos.it/pricodogno/17_I_Congressi_Repubblicani.pdf
la prima riga parla di quella data per il 1° Congresso del Pri ...
mentre invece su Wikipedia ... al link ...
http://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Repubblicano_Italiano
si parla di 12 aprile 1895 (nelle prime righe) ... salvo poi, in fondo alla pagina, dove si riportano le date dei Congressi, riportare nuovamente il 1° Novembre 1895 ...

Roberto (POL)
13-01-09, 00:11
il 21 aprile 1895 i delegati delle federazioni repubblicane già esistenti nella Penisola si ritrovarono a Milano dove :

. . . citazione . . .

"Dopo una lunga discussione i delegati presenti approvarono il seguente ordine del giorno, che è anche l'atto di nascita del Partito Repubblicano Italiano:

"I sottoscritti, in nome loro e come rappresentanti delle associazioni sotto indicate, riuniti oggi, 21 aprile 1895, in Milano, per avvisare alla riorganizzazione del Partito Repubblicano, deliberano quanto segue:
1) le associazioni qui rappresentate si costituiscono fin d'ora in Partito Repubblicano Italiano;"

. . . omissis . . .

cfr.
Luigi LOTTI
I repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915
Fratelli Lega Editori Faenza - 1957
pag. 97

* * * * * * * * * *

A Bologna il 1° novembre successivo si celebrò il I congresso del neonato P.R.I., :-:-01#19


Saluti repubblicani

R.

nuvolarossa
13-01-09, 11:46
vedere anche questa fonte ... al link ...
http://www.storiadimilano.it/cron/dal1891al1900.htm
dove si dice che ...

"Il 21 Aprile 1895 viene fondato a Milano il Partito Repubblicano, di ispirazione mazziniana. Adotta come simbolo l'edera."

nuvolarossa
13-01-09, 11:51
vedere anche questa fonte ... al link ...
http://www.storiadimilano.it/cron/dal1891al1900.htm
dove si dice che ...

"Il 21 Aprile 1895 viene fondato a Milano il Partito Repubblicano, di ispirazione mazziniana. Adotta come simbolo l'edera." Da ricordare che l'Edera sta a simboleggiare la "Giovine Europa", fondata da Mazzini nel 1834 a Berna ...

Nullo
13-01-09, 21:26
Date e circostanze sono quelle indicate da Roberto. Due anni orsono volevo proporre a Nucara la realizzazione di un duplice convegno a aprile e a novembre, uno a Milano e uno a Bologna, per rilanciare su basi storiche, ideali e programmatiche il movimento repubblicano. Avevo immaginato pure il manifesto con un 113 scritto in bella evidenza (anche se la cifra poteva prestarsi a facili ironie). Poi sono stato travolto dalle mie ricerche (ebbene sì anche nell'università italiana c'è ancora qualcuno che lavora) e ho perso di vista la cosa.
L'idea però mi piace molto (per forza, è mia!) ma per realizzarla occorrono tempi tranquilli, lontano da appuntamenti elettorali, l'anno ideale potrebbe essere il 2010, al centro dei manifesti ovviamente un bel 115 (roba da far schiattare d'invidia i partiti che non hanno nemmeno 115 giorni di vita).

Roberto (POL)
13-01-09, 22:05
Date e circostanze sono quelle indicate da Roberto. Due anni orsono volevo proporre a Nucara la realizzazione di un duplice convegno a aprile e a novembre, uno a Milano e uno a Bologna, per rilanciare su basi storiche, ideali e programmatiche il movimento repubblicano. Avevo immaginato pure il manifesto con un 113 scritto in bella evidenza (anche se la cifra poteva prestarsi a facili ironie). Poi sono stato travolto dalle mie ricerche (ebbene sì anche nell'università italiana c'è ancora qualcuno che lavora) e ho perso di vista la cosa.
L'idea però mi piace molto (per forza, è mia!) ma per realizzarla occorrono tempi tranquilli, lontano da appuntamenti elettorali, l'anno ideale potrebbe essere il 2010, al centro dei manifesti ovviamente un bel 115 (roba da far schiattare d'invidia i partiti che non hanno nemmeno 115 giorni di vita).

. . . e pensa che il 15 aprile p.v. sono 175 ANNI dalla fondazione della "Giovine Europa" e siamo in piena campagna elettorale :-01#44 . . .

R.

pilino
14-01-09, 00:44
......lAvevo immaginato pure il manifesto con un 113 scritto in bella evidenza (anche se la cifra poteva prestarsi a facili ironie).......L'anno ideale potrebbe essere il 2010, al centro dei manifesti ovviamente un bel 115 .....

importante che si faccia presto e non si perda troppo tempo...altrimenti ci tocca il 118

Nullo
14-01-09, 13:23
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg



. . . e pensa che il 15 aprile p.v. sono 175 ANNI dalla fondazione della "Giovine Europa" e siamo in piena campagna elettorale :-01#44 . . .

R.
Vogliamo giocare al rialzo? Sono passati 178 anni dalla fondazione della Giovine Italia anzi, per evitare ulteriori rilanci, ti dirò che sono passati 2505 anni da quando Lucio Giunio Bruto guidò la sollevazione contro Tarquinio il Superbo (ti prego, non dirmi che ho sbagliato i calcoli).

Nullo
14-01-09, 13:29
importante che si faccia presto e non si perda troppo tempo...altrimenti ci tocca il 118
La Federazione Lombarda e la consociazione romagnola rappresentano i due maggiori pilastri della nostra storia: sarebbe importante partire da loro per rilanciare l'azione del Partito. Per le scadenze elettorali si possono organizzare cose più veloci, ma due bei convegni per il 2005 dovremmo prepararli con calma, senza l'assillo della ricerca di un consenso immediato e volatile.:-:-01#19

Roberto (POL)
14-01-09, 16:59
. . . sono passati 2505 anni da quando Lucio Giunio Bruto guidò la sollevazione contro Tarquinio il Superbo (ti prego, non dirmi che ho sbagliato i calcoli).



Per quanto (poco) ne sappia:

cacciata di Tarquinio il Superbo (nessun riferimento d'attualità!) e proclamazione della Repubblica Romana = 509 a.c.;

e quindi: 509 + 2009 = 2518. :p :D :-:-01#19

Con simpatia

R.

nuvolarossa
14-01-09, 17:15
... proclamazione della Repubblica Romana = 509 a.c ...Repubblica e' un parolone ... si fa presto a dire Repubblica ... anche Mao Tse Tung era repubblicano ... anche Mussolini si dichiaro' tale poco prima di finire appeso ... il Senatus Populusque Romanus non dava piena cittadinanza agli schiavi ed alle donne ... in tempi piu' recenti, ad esempio, nella Repubblica di Venezia il popolo era escluso dal governo della cosa pubblica ... per non arrivare ai tempi d'oggi ... dove la Repubblica funziona come le frecce segnaletiche ... ora si, ora no ... ora si, ora no ...
La Repubblica Mazziniana e' lontana dal realizzarsi ... speriamo che la vedano i nostri nipoti.

Nullo
14-01-09, 20:15
Per quanto (poco) ne sappia:

cacciata di Tarquinio il Superbo (nessun riferimento d'attualità!) e proclamazione della Repubblica Romana = 509 a.c.;

e quindi: 509 + 2009 = 2518. :p :D :-:-01#19

Con simpatia

R.
Beh, io te l'avevo detto di non rifare i calcoli. Come direbbe un bravo cantautore "non ho il polso di un matematico"! (Ma se preferisci le parole del mio amico postino: "siamo uomini di lettere").

Nullo
14-01-09, 20:25
Repubblica e' un parolone ... si fa presto a dire Repubblica ... anche Mao Tse Tung era repubblicano ... anche Mussolini si dichiaro' tale poco prima di finire appeso ... il Senatus Populusque Romanus non dava piena cittadinanza agli schiavi ed alle donne ... in tempi piu' recenti, ad esempio, nella Repubblica di Venezia il popolo era escluso dal governo della cosa pubblica ... per non arrivare ai tempi d'oggi ... dove la Repubblica funziona come le frecce segnaletiche ... ora si, ora no ... ora si, ora no ...
La Repubblica Mazziniana e' lontana dal realizzarsi ... speriamo che la vedano i nostri nipoti.
Gli studiosi più accreditati del repubblicanesimo (Skinner, Pettit, perchè no Viroli) sostengono che il pensiero repubblicano di età moderna sia un recupero della tradizione repubblicana romana (Skinner parla di repubblicanesimo neo-romano) dalla quale sono tratti il senso dello Stato e della cosa pubblica, la moralità dell'uomo politico, la partecipazione all'attività pubblica e tante altre "virtù repubblicane". Non a caso il repubblicanesimo di Machiavelli emerge nei Discorsi sulla prima deca di Tito Livio. Ci sono poi i repubblicani inglesi del Seicento ... ma il discorso si farebbe troppo lungo. Il Mazzinianesimo si innesta prepotentemente in questa tradizione di pensiero, la ingloba e la rilancia verso il futuro.
Quanto ai limiti delle passate repubbliche, già Aurelio Saliceti a metà Ottocento diceva che negli Stati uniti repubblicani si vendeva l'uomo come schiavo, cosa che non accadeva più nelle monarchie europee. L'uomo esce lentamente dalla caverna ...

nuvolarossa
14-01-09, 21:02
Gli studiosi più accreditati del repubblicanesimo ... sostengono che il pensiero repubblicano di età moderna sia un recupero della tradizione repubblicana romana ...Beh, allora se proprio dobbiamo risalire la corrente ... io mi rifarei a Platone ... e alla Democrazia Ateniese ...

Nullo
14-01-09, 21:19
Beh, allora se proprio dobbiamo risalire la corrente ... io mi rifarei a Platone ... e alla Democrazia Ateniese ...
Ma il punto è proprio questo: il repubblicanesimo, così come lo conosciamo in Occidente, è figlio della cultura politica romana, non di quella greca. Fatte salve, ovviamente, le continue commistioni.

edera rossa (POL)
15-01-09, 03:00
Ma il punto è proprio questo: il repubblicanesimo, così come lo conosciamo in Occidente, è figlio della cultura politica romana, non di quella greca. Fatte salve, ovviamente, le continue commistioni.
o, se non altro, è al mito di Roma repubblicana ed all'idea di virtù repubblicana che alla stessa si rialaccia che , già dal nostro rinascimento, parte il moderno pensiero repubblicano. So che è difficile trovarlo; ma ti consiglio la lettura di Bruto , il bel volume che Giuseppe De Logu scrisse nell'esilio svizzero e con i cui proventi egli sperava di poter finanziare le prime attività del rinascente repubblicanesimo veneziano. Significativamente porta come data di chiusura della redazione: Zurigo , Idi di marzo del 1944. Non è tanto la storia di Bruto . l'uccisore di Cesare, quanto la storia del tirannicidio e della stessa idea repubblicana che al mito di Roma si ricollega, in Italia ed in Europa.
Si tratta di un'opera che, ritengo, sia stato un vero peccato l'averla messa nel dimenticatoio.

Nullo
15-01-09, 14:40
o, se non altro, è al mito di Roma repubblicana ed all'idea di virtù repubblicana che alla stessa si rialaccia che , già dal nostro rinascimento, parte il moderno pensiero repubblicano. So che è difficile trovarlo; ma ti consiglio la lettura di Bruto , il bel volume che Giuseppe De Logu scrisse nell'esilio svizzero e con i cui proventi egli sperava di poter finanziare le prime attività del rinascente repubblicanesimo veneziano. Significativamente porta come data di chiusura della redazione: Zurigo , Idi di marzo del 1944. Non è tanto la storia di Bruto . l'uccisore di Cesare, quanto la storia del tirannicidio e della stessa idea repubblicana che al mito di Roma si ricollega, in Italia ed in Europa.
Si tratta di un'opera che, ritengo, sia stato un vero peccato l'averla messa nel dimenticatoio.
Cercherò di trovare il tempo di leggerla (se la trovo). Comunque qualche sintomo di repubblicanesimo appare anche nel basso Medioevo: germogli, certo, ma vivi e forieri di esperienze brillanti (si pensi all'umanesimo civile fiorentino).

edera rossa (POL)
16-01-09, 01:42
Cercherò di trovare il tempo di leggerla (se la trovo). Comunque qualche sintomo di repubblicanesimo appare anche nel basso Medioevo: germogli, certo, ma vivi e forieri di esperienze brillanti (si pensi all'umanesimo civile fiorentino).
il libro che ho citato parla anche di personaggi medioevali come il padovano Albertino Mussatto ( ilCarducci definirà una sua tragedia contro Ezzelino il primo canto della libertà) , ma cita anche altri come appunto il fiorentino Guido del Palagio o, sempre fiorentino , il Salutati.

Nullo
16-01-09, 20:32
il libro che ho citato parla anche di personaggi medioevali come il padovano Albertino Mussatto ( ilCarducci definirà una sua tragedia contro Ezzelino il primo canto della libertà) , ma cita anche altri come appunto il fiorentino Guido del Palagio o, sempre fiorentino , il Salutati.
Carducci aveva un senso a dir poco grossolano della storia. Comunque Coluccio Salutati è su un altro livello ...

nuvolarossa
18-01-09, 19:35
Gli studiosi più accreditati del repubblicanesimo ... sostengono che il pensiero repubblicano di età moderna sia un ...Per una piu' ampia documentazione si rimanda al link ...
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=2088

nuvolarossa
20-01-09, 18:34
Riceviamo da Franco Torchia

Cari amici, vi trasmetto in allegato le decisioni della direzione nazionale del PRI del 13 gennaio scorso sulla questione relativa alla sede del Partito.

Entro il 28 gennaio occorrerà chiedere il rinvio dell’asta che si svolgerà il prossimo 17 febbraio.

La data del 28 gennaio è quindi tassativa per gli amici repubblicani che vorranno intervenire per salvare la sede del partito.

Nell’allegato sono indicate le coordinate bancarie per effettuare il versamento.

Nella speranza che i repubblicani comprenderanno il valore e l’importanza di tale questione, vi invio cordiali saluti.

Franco Torchia

- Capo della Segreteria Politica - Partito Repubblicano Italiano - Corso Vittorio Emanuele II, 326 - 00186 Roma Tel. 06/6865824 - 06/68307809 - Fax. 06/68300903 www.pri.it - E-mail francotorchia@pri.it cell. 329/9385940

La Direzione Nazionale del partito, nella riunione di martedì 13 c. m., ha deciso di aprire un apposito conto corrente presso la banca dell'AGCI. Per procedere con rapidità il conto è stato intestato a Francesco Nucara nella sua qualità di Segretario Nazionale del PRI. Su tale conto sarà possibile far affluire i contributi che dirigenti, amici e simpatizzanti vorranno dare. Come è noto, infatti, la somma sarà utilizzata per sottrarre la nostra storica sede all'asta pubblica indetta per il prossimo 17 febbraio. Non vi sfuggirà l'importanza di questo passaggio, non solo per i suoi aspetti economici ma anche per il messaggio fortemente negativo che potrebbe essere trasmesso - all'interno come all'esterno del Pri - se il partito dovesse perdere la sua sede.
Accludiamo le coordinate bancarie su cui far pervenire il contributo, indispensabile per poter salvaguardare la nostra stessa esistenza politica. Contiamo, naturalmente, sul vostro massimo impegno. E' appena il caso di sottolineare la massima urgenza con cui il contributo dovrà essere versato.

Banca A.G.C.I. Spa
Via Alessandrini, 15 - 40126 Bologna
Tel: +39 0514211588 Fax: +39 0514228363
Sito Internet: www.bancaagci.it
Codice IBAN: IT88 Z 03357 02400 000010003358
Intestato a: Francesco Nucara