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Visualizza Versione Completa : I pacifisti: «Picchiati ed espulsi senza una ragione»



Roderigo
05-04-02, 22:52
ROMA - «Denied entry». Il timbro di espulsione sul passaporto non è l?unico segno, raccontano. «Mi hanno portato in una stanza in quattro, sbattuto su una panca di ferro, uno di loro mi è salito sulla schiena mentre gli altri mi sferravano colpi sul viso, ovunque. Quando ho capito che avrebbero chiuso la porta, ho temuto il peggio». Tranne un?ombra sotto l?occhio sinistro, Vittorio Agnoletto non mostra ematomi né cicatrici. «Ero lì, ci eravamo seduti in terra per non essere espulsi, ho assistito al pestaggio e quello che è accaduto, a lui e a tutti noi - dice al suo fianco il senatore del Pdci, Gianfranco Pagliarulo - è inaudito, indecente, vergognoso». La delegazione - ventuno pacifisti tra parlamentari, sindacalisti, e «disobbedienti» di varie associazioni - era giunta all?alba di ieri a Tel Aviv: ma nel pomeriggio è di nuovo a Roma, aeroporto Leonardo Da Vinci, arrivi internazionali. Ci sono ragazzi con la kefiah, ad accoglierli. Alcuni sono tornati ieri da Ramallah. Altri fanno sventolare una bandiera della Palestina. Ma senza gioia: «Denied entry», quel timbro senza appelli è nei pensieri di tutti. Anche i ricordi, sono gli stessi: «Siamo stati trascinati, picchiati, minacciati, ci hanno espulso senza una ragione», ripetono quelli appena sbarcati. Lo status di parlamentare italiano, non è servito a molto: «A niente - racconta il senatore dei Verdi Francesco Martone - visto che siamo stati minacciati anche sull?aereo». Con lui, anche Luana Zanella, deputato (Verdi), che accusa: «Siamo stati maltrattati per ore, abbandonati, senza neanche un rappresentante della diplomazia. Il nostro passaporto di parlamentari? Ridotto a carta straccia».
Qualche ora prima dell?alba, a Tel Aviv era giunta un?altra delegazione: stesse scene, stesso timbro, «Denied entry». Tra loro, «per puro caso», anche l?ottantatreenne Rosario Caccamo, che dopo aver fatto «almeno quaranta viaggi con il Papa», mai avrebbe pensato di ricevere un simile trattamento: «Ero lì solo per portare il discorso pasquale del Santo Padre a Sharon e Arafat». «Di quella delegazione, una decina di persone, solo i parlamentari diessini, Minniti, Folena, Sereni e Crucianelli, sono riusciti a entrare - racconta il verde Paolo Cento - e ciò che è accaduto è vergognoso. Il nostro governo deve richiamare l?ambasciatore, e interrompere i rapporti commerciali con Israele». Agli arrivi internazionali, anche Oliviero Diliberto (Pdci): «Un comportamento simile non è tollerabile, i parlamentari devono essere rispettati». In serata, poi, altri 120 pacifisti sono giunti a Roma: hanno passato gli ultimi giorni a Ramallah, parlano di «esecuzioni sommarie» e di «scene impossibili da dimenticare». Come un marchio indelebile.

Alessandro Capponi
Corriere della Sera 5 aprile 2002

Jan Hus
06-04-02, 01:34
Non esiste alcun generico diritto di entrare in un paese straniero.

Correlativamente, Israele era nel suo pieno diritto quando ha rifiutato l'ingresso nel paese ad Agnoletto ed ai suoi compagni di merende.

Curioso che chi sguazza nell'ambiente dei centri sociali, i quali sono pronti ad ingaggiare scontri contro chiunque si azzarda a manifestare nei loro pressi su posizioni che essi, a loro insindacable giudizio, considerano provocatorie, si lamenti per essere stato picchiato.

Israele ha fatto benissimo a non far entrare loschi figuri come Agnoletto, Pagliarulo e Cento; e la nostra diplomazia ha fatto benissimo a non proteggerli.

gribisi
06-04-02, 13:10
Giusto espellere Agnoletto e Casarin, perchè sono antisraeliani che compiono azioni antisraeliane, come cercare di forzare posti di blocco dell' IDF come se Betlemme fosse Genova.
Le loro posizioni (ma non so le loro azioni) saranno pure legittime in Italia, ma non vedo perchè Israele dovrebbe accettarli sul suo territorio, tanto più quando Israele è aggredito, essendo stranieri ostili.

Roderigo
06-04-02, 16:38
Originally posted by Jan Hus
Non esiste alcun generico diritto di entrare in un paese straniero.
Correlativamente, Israele era nel suo pieno diritto quando ha rifiutato l'ingresso nel paese ad Agnoletto ed ai suoi compagni di merende.
Curioso che chi sguazza nell'ambiente dei centri sociali, i quali sono pronti ad ingaggiare scontri contro chiunque si azzarda a manifestare nei loro pressi su posizioni che essi, a loro insindacable giudizio, considerano provocatorie, si lamenti per essere stato picchiato.
Israele ha fatto benissimo a non far entrare loschi figuri come Agnoletto, Pagliarulo e Cento; e la nostra diplomazia ha fatto benissimo a non proteggerli.
Di losco ci sono soltanto il tuo linguaggio.
Il diritto si misura in rapporto alla legge e si applica per procedure certe e trasparenti, non ad hoc per singole persone, a secondo delle situazioni. Al di fuori di ciò, sono le autorità israeliane che esprimono una cultura giuridica e una pratica da black bloc.

R.

Roderigo
06-04-02, 16:40
Originally posted by gribisi
Giusto espellere Agnoletto e Casarin, perchè sono antisraeliani che compiono azioni antisraeliane, come cercare di forzare posti di blocco dell' IDF come se Betlemme fosse Genova.
Le loro posizioni (ma non so le loro azioni) saranno pure legittime in Italia, ma non vedo perchè Israele dovrebbe accettarli sul suo territorio, tanto più quando Israele è aggredito, essendo stranieri ostili.
Quel che è giusto si può dichiarare pubblicamente e per iscritto. Cosa che Israele non ha fatto nell'espellere, dopo aver picchiato, i pacifisti. Ad essere ingiusti ed illegittimi sono i posti di blocco israeliani al di fuori del territorio israeliano.

R.

benny3
06-04-02, 18:10
giusto perfar capire ome la penso su tizi del genere ri-posto un bell`articolo letto sul Nuovo

Non confondiamo i pacifisti con i pacifondai


di Diego Gabutti

C’è un pacifismo che lotta contro qualsiasi guerra
E poi un altro nemico dell’equidistanza
Oggi ci sono troppi "pacifondai"
E, se potessero, farebbero scoppiare altre guerre
Come tutte le storie, anche il pacifismo ha due facce, una dispari e una pari. C’è un pacifismo pari – il pacifismo propriamente detto – la cui tradizione è nobile e antica. È il pacifismo che parla con autorità, attraverso gesti forti e solenni: il digiuno, la controinformazione, l’evento imprevedibile, l’agitazione non violenta. Questo pacifismo, che la sa lunga e conosce le sue mascherine, ha per stella polare l’equidistanza: il suo nemico è la retorica, lo scetticismo è il suo organo di senso. Non si sogna neanche d’appoggiare una delle parti in conflitto (le cui buone ragioni non lo incantano), ma scende in campo contro il conflitto in sé e per sé (ciò in nome della Ragione, di cui le “buone ragioni” non sono neppure la caricatura). In giorni come questi, di fronte all’ennesima catastrofe mediorientale, il pacifismo “pari” farebbe da scudo umano anche contro gli attacchi dei kamikaze palestinesi ai supermercati di Tel Aviv e Gerusalemme, non soltanto contro l’arroganza dei carri armati israeliani nei territori. Questo per non passare al nemico: la propaganda.


Poi c’è il pacifismo moderno, di scuola soprattutto italiana e postsovietica: un pacifismo “dispari”, inverosimile e taroccato, che ha per stella polare la propaganda, per vocazione il dogmatismo e per nemico l’equidistanza. Pacifismo movimentista, eternamente in marcia come le rivoluzioni e le bande musicali, recluta nelle sue fila quasi esclusivamente le ultime raffiche della guerra di classe: i no pasaran della guerriglia zapatista e della teologia della liberazione, i pifferi e le trombe di tutti i Sessantotti e di tutti i Settantasetti, i sempiterni nemici della globalizzazione e del G8. Agisce a volto scoperto, è vero, ma è un volto in cui si riconoscono le tracce lasciate dal passamontagna: le vene del collo ingrossate e una faccia feroce.


Tra i suoi antenati remoti ci sono qui da noi, nel paese dei campanelli, i “partigiani della pace” stalinisti, che nei primi anni cinquanta inneggiavano al Soviet supremo e urlavano slogan cubisti contro l’imperialismo americano. Antenati più recenti sono i movimenti tardostudenteschi che nei primi anni ottanta, senza aver detto un solo “ba” quando il Patto di Varsavia schierò un putiferio di missili su tutte le sue frontiere, fecero fuoco e fiamme quando anche la Nato schierò prudentemente i suoi. È un pacifismo che abbraccia a colpo sicuro sempre e soltanto la stessa causa: quella “giusta”. Mentre il pacifismo “pari” ha una sola causa da tutelare, la pace, una causa che si difende prendendo con cura le distanze da tutte le ideologie, il pacifismo “dispari” è ideologico fino alla svenevolezza.


Antioccidentale per rivelazione divina, indulgente col terrorismo, sempre pronto alla pace dura senza paura, il pacifismo “dispari” finisce immancabilmente per schierarsi con Saddam Hussein contro Bush sr, con Milosevic contro Clinton e D’Alema, con i taleban e Bin Laden contro Bush jr. è dai ranghi di questo pacifismo sgangherato e corrotto che, dopo gli attentati apocalittici di Washington e New York, si levano le solite voci allucinate: il terrorismo è male, ma anche il capitalismo globale è violento e assassino, quindi per eliminare quello si liquidi per cominciare questo. È un pacifismo astuto e boccalone insieme, che si beve qualsiasi balla gli torni comoda, a cominciare da quella che il superterrorismo moderno, il terrorismo d’al-Qaeda e dei kamikaze palestinesi, sarebbe il prodotto spontaneo e addirittura il frutto inevitabile della rabbia e della disperazione dei “popoli oppressi”, anzi delle “moltitudini”, come immaginificamente le chiama Toni Negri, mentre in realtà è il Golem cannibale delle diplomazie segrete di mezzo mondo, arabe in primis, che si servono della disperazione altrui come d’un pony express per recapitare messaggi anonimi ai loro nemici.

Sempre come vent’anni fa, quando la Nato e il Patto di Varsavia seminavano testate nucleari dall’Alpi alle piramidi e dall’uno all’altro mar, il pacifismo “dispari” continua a coltivare le sue superstizioni antimperialiste. Allora il “pacifismo” non si lasciava distrarre dalle sue idee fisse e stralunate neppure quando la contraerea sovietica abbatteva gli aerei di linea nei cieli dell’Asia centrale. Oggi tuona contro il “fascista” Sharon e finge di credere non solo che gli attacchi dei kamikaze abbiano in fondo un loro onesto perché, ma persino che Arafat sia un martire della causa pacifista. È un pacifismo surreale, italianissimo, e ha per suo campione Giulio Andreotti, il quale ieri ha dichiarato che, se fosse nato palestinese, non avrebbe avuto bisogno d’essere armato dalla Siria per farsi esplodere in un supermercato. È lo stesso Andreotti che vent’anni fa, tornando da Mosca dopo una visita ufficiale, recapitò alla stampa internazionale una velina di Gromiko: “Ricordatevi di Pompei”. Da ieri i pacifisti lo applaudono. Solo che non sono pacifisti. Sono "pacifondai". Non spengono i conflitti: se potessero, li farebbero divampare.