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Visualizza Versione Completa : Mazzini batte Marx



Roberto (POL)
09-04-02, 21:55
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Da "Il Messaggero Veneto" del 9 aprile 2002

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MAZZINI BATTE MARX

di CARLO SGORLON

L’assassinio del professor Marco Biagi, ucciso per una folle utopia, ha riaperto molte piaghe nel nostro spirito. Anch’io mi sono sentito subito risucchiato dentro il burrone pauroso del lato assurdo del mondo.
Ho una piccola ragione in più per essere vittima di questa sensazione. Infatti l’assassinio di Marco Biagi presenta coincidenze impressionanti con quello di Massimo D’Antona. È stato ucciso per le medesime ragioni e perfino con la stessa pistola.
La sera del venti maggio 1999, al telegiornale delle diciannove, sullo schermo della terza rete vidi ciò che non mi sarei mai aspettato. Venne mostrata una lista di persone che il misterioso “Partito comunista combattente” aveva condannato a morte. In cima alla lista vi era il mio nome. Perché? Per il motivo che non appartengo al gruppo degli intellettuali progressisti? Perché non sono mai entrato nei territori della dogmatica marxista? Perché sono un uomo libero?
Il nuovo delitto delle Brigate rosse nasce da ragioni ben precise, lo scontro di due concezioni, quella vetero-comunista e quella liberista. Benché il comunismo rivoluzionario abbia assistito alla sua bancarotta e sia stato pressoché dissolto dalla storia, vi sono ancora pochi individui che sognano la grande utopia dell’uguaglianza totale e forzata, conseguita con la lotta di classe, lo scontro armato, la dittatura del proletariato, l’abolizione della proprietà privata, e così via. Di intesa tra “operai” e “imprenditori” proprio non ne vogliono sentir parlare. Ma anche nelle sinistre perfettamente democratiche vi sono ancora residui di schemi marxisti e concezioni che, secondo me e secondo molti, contribuiscono in modi determinanti a creare climi di tensione sociale e dispute esasperate e infinite, in cui la violenza finisce sempre per inserirsi, in un modo o nell’altro. Lo sfruttamento dell’operaio nel Settecento e nell’Ottocento era disumano. Le dottrine di Marx furono allora perfettamente giustificate da situazioni reali. Marx da giovane non si occupava nemmeno del problema sociale. Cominciò a farlo quando il suo giornale lo mandò a osservare il mondo dei minatori di ferro e di carbone nella Ruhr.
Ken Follett ce ne dà un’idea spaventosa nel romanzo Un luogo chiamato libertà. È vero che il libro è ambientato nel Settecento, ma un secolo dopo ancora quasi nulla era cambiato. Esule a Londra, Marx vide come venivano sfruttati nel lavoro bambini di sei o sette anni. Di orrori di quel genere vi è un riflesso non trascurabile anche in più romanzi di Dickens. Da queste esperienze scioccanti nacquero il Manifesto del Partito comunista (1848) e Il capitale (1863). Allora non si sarebbero potute formulare dottrine diverse dal marxismo, perché le ideologie nascono come reazione alla realtà.
La storia però è mutazione perenne. Oggi le cose sono molto cambiate e le condizioni dell’operaio sono radicalmente differenti. Oggi esiste in Italia una legislazione del lavoro dalla quale l’operaio è superprotetto. Non vorrei essere capito male. La protezione in linea teorica non è mai eccessiva. Ma sul piano pratico lo diventa quando essa frena pesantemente l’economia, e quindi si rovescia dannosamente contro i lavoratori medesimi, e quando va al di là delle possibilità economiche reali di una determinata società. A questo mondo non si può ragionare e decidere secondo principi astratti, ma sulla base di ciò che la situazione reale consente di fare.
Marx fu un grande pensatore, economista e sociologo, che costruì un’ideologia in difesa dell’uomo. Ma oggi non è più attuale. Per più di un secolo fu ritenuto un profeta dalle masse di tutto il pianeta. Oggi però nel mondo occidentale il suo pensiero è un meccanismo che perde i pezzi per la strada. Può essere ancora utilizzato nel Terzo mondo, dove, per esempio, il lavoro minorile avviene come nella Londra ottocentesca. Ma da noi il pensiero del grande di Treviri non riesce più a mordere la realtà. Non è più vero che operai e imprenditori debbano essere fatalmente nemici e affrontarsi in eterno. Sinceramente, provo un netto rifiuto spirituale per coloro che sostengono la necessità della lotta di classe.
Che quella capitalista e borghese sia una classe “maledetta”, condannata “ab aeterno”, e per essa non ci possa esistere redenzione è una sorta di assurdo calvinismo applicato alle cose sociali. Per esempio al film Teorema, di Pier Paolo Pasolini, dove i borghesi sono tutti condannati senza appello, e chi si salva è soltanto una mistica servetta popolana, ho sempre pensato con fastidio. Tra l’altro grandi o piccoli imprenditori sono quasi sempre ex operai più dotati degli altri, più ambiziosi e ricchi di idee.
Strano a dirsi: oggi, nella questione sociale, il vero profeta ottocentesco non appare più Marx, bensì Mazzini, che parlò non di “lotta” ma di “collaborazione” di classi. Nell’Ottocento, le polizie degli Stati assoluti, o assoluti a metà, temevano veramente non Marx, assai poco noto, bensì Mazzini. Il grande genovese era il nemico numero uno delle polizie ed era visto come temibile fomentatore di rivolte liberali. All’Internazionale socialista di Londra del 1864 Marx e Mazzini parteciparono entrambi. Si conobbero? Si parlarono? Polemizzarono tra di loro? Chi lo sa!
Ma è certo oggi che i problemi sociali vanno risolti nella linea mazziniana. Operai e imprenditori devono intendersi, sforzarsi di capire ciò che è il meglio per ambedue e quindi per la società universale. Chi vuol restare legato agli schemi marxisti e leninisti fatalmente è oggi tagliato fuori dalla storia. E coloro che credono alla lotta armata di classe, alla conquista violenta del potere e alla dittatura del proletariato sono individui persi nella palude dell’utopia. Non sono presi sul serio da nessuno. Per sentirsi ancor vivi e far ancora parlare di sé, devono mettere mano alle armi e spegnere, in forza di un’idea astratta, uomini di grande ingegno, e gettare nel lutto le loro famiglie e l’intera società.

Carlo Sgorlon

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Saluti

Roberto

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nuvolarossa
10-05-02, 23:41
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MAZZlNI SUPERA DEFINlTIVAMENTE MARX
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di Luigi Salvatorelli

Relazioni personali fra i due non ce ne furono mai: non cre- do, anzi, si siano mai incontrati. Ove si pensi che per lunghi anni essi dimorarono contemporaneamente a Londra, e che
per ambedue, nella seconda metà della loro vita, l'Inghilterra fu la seconda patria; se si riflette che ambedue furono agitatori rivoluzionari europei, questa totale assenza di rapporti perso-nali è significativa. Più significativa ancora del giudizio pacato, ma severo, pronunciato da Mazzini su Marx: «uomo d'inge-gno acuto, ma dissolvente: di tempra dominatrice, geloso del-l' altrui influenza, senza forti credenze filosofiche o religiose e, temo, con più elemento d'ira, s'anche giusta, che non d'amore
nel core»; e dei termini violenti, fino alla volgarità, in cui Marx a sua volta si espresse sul conto di Mazzini. Vi fu tra i due una incompatibilità di spirito totale.
Ciò è stato riconosciuto da un pezzo, e non vale la pena di insistervi. Ma anche il confronto fra i loro programmi, le loro i-deologie, i loro metodi politici, è stato fatto ripetutamente: ri-corderemo l'ottimo capitolo dedicato, più di trent'anni fa, da Alessandro Levi nella sua Filosofia politica di C. M., alla posi-
zione di lui nei rispetti del socialismo in genere, del marxismo in specie. La conclusione del Levi in sostanza è questa: Mazzi-ni può dirsi socialista, ma di un socialismo radicalmente diffe-rente da quello marxista, e quindi da tutto il socialismo con-
temporaneo, che dal marxismo deriva. E, al tempo in cui il Le-vi scriveva, non soltanto ciò ch'egli diceva era esatto (lo è an-che adesso); ma conteneva «in nuce» tutto quello che importa-va dire sull'argomento.
Oggi, al lume di una più lunga esperienza storica, è possi-bile fare qualche passo ulteriore, partendo dalle conclusioni stesse del Levi. Possiamo, cioè, comprendere meglio l'intreccio e la lotta fra mazzinianesimo e marxismo, e valutare con qual-
che diversità il valore attuale e le chances rispettive dei due sistemi.
Se per socialismo s'intende la concezione, la fede, per cui u-nico ordinamento sociale legittimo è quello fondato sul lavoro, unico fondamento legittimo di proprietà è il lavoro, praticato nell'interesse non solo individuale, ma sociale; se si riassume la morale dell'economia sociale nel detto di S. Paolo: «chi non
vuoI lavorare, non mangi»: se il programma socialista fonda-mentale è la riunione di capitale e lavoro nelle stesse mani: al-lora, bisogna dire che Mazzini è stato nettamente, cosciente-mente socialista, e che il socialismo fa parte integrante del suo credo, fino dal periodo anteriore al Quarantotto; potremmo,
anzi, aggiungere: specialmente nel periodo anteriore al Qua-rantotto.
Già lo statuto della Giovine Europa affermava che «l'Egua-glianza esige... che ogni uomo partecipi, in ragione del suo la-voro, al godimento dei prodotti, risultato di tutte le forze socia-li poste in attività». Ma specialmente nel primo periodo di di-mora inglese le affermazioni sociali, e diciamo pure socialiste,
di Mazzini, si fanno precise nella sostanza, incalzanti nella for-ma: al cospetto delle condizioni sociali inglesi, specialmente degli operai, egli proclama che «la società attuale è non sola- mente una cosa senza senso, ma un'infamia»; e afferma addi-
rittura: «non sono uomo d'opinioni o passioni politiche». Ac-centi questi che sono ancora più significativi (per chi conosca la psicologia mazziniana) di un programma socialista particola- reggiato, in articoli e paragrafi. Come significativo è il fatto, i-
gnorato dai più, che a Londra egli sostenne (ed attuò) il princi-pio dell'organizzazione operaia, a parte, in seno all'organizza-zione generale della Giovine Italia, con la motivazione espressa
del contrasto di classe fra capitalisti e operai: e a questo princi-pio, a questo metodo tenne fenno anche contro le obbiezioni degli operai italiani di Parigi, ai quali una simile organizzazio-ne a parte sembrava un trattamento d'inferiorità. Non riuscì
tuttavia, in forza appunto della loro opposizione, a impiantare a Parigi una sezione dell'Unione operaia di Londra.
Detto tutto questo, bisogna anche riconoscere che ne la socializzazione integrale e forzata delle proprietà apparteneva al programma mazziniano, ne la lotta sistematica di classe al suo metodo. La mira, per lui, non era la soppressione o divisione o
collettivizzazione del capitale, ma l'unione di capitale e lavoro nelle stesse mani. Mezzo per arrivarvi, le associazioni di lavoro libere e volontarie (cooperative di produzione), assicuranti ai lavoratori stessi il frutto integrale del proprio lavoro. Ai capitali
necessari per il loro impianto e mantenimento avrebbe dovuto contribuire direttamente in prima linea lo Stato, con la creazio-ne di banche di credito operaio, e la costituzione di un fondo
nazionale formato dalle terre incolte e dai beni ecclesiastici e
demaniali. Avrebbero poi dovuto agevolare le associazioni e
migliorare le condizioni operaie la concessione di lavori da
parte dello Stato alle associazioni medesime; una radicale rifor-
ma tributaria, sopprimente i tributi indiretti e costituente un u-
nico tributo sul reddito, con esenzione completa del minimo
necessario alla vita; la semplificazione delle forme giudiziarie;
lo sviluppo dell'istruzione obbligatoria per tutti e provveduta
dallo Stato.
A differenza del programma politico di Mazzini, che aveva
carattere ideale, sintetico, rivoluzionario, il suo programma so-
ciale era di riforme particolari e graduali.
Certamente, la prima spiegazione di ciò -prima, almeno,
sul piano psicologico -va ricercata nel primeggiante interesse
nazionale, nella traboccante passione per la risurrezione unita-
ria italiana. E quando sentiamo Mazzini (v. sopra) affermare la
sua indifferenza per le questioni politiche, di fronte alle sociali,
possiamo anche esser tentati di sorridere, visto che suprema-
mente politici erano il suo programma e la sua azione per l'u-
nità italiana. Ma il sorriso, appena abbozzato, vien meno, se si
pensa che la questione nazionale per lui aveva, al fondo, carat-
tere morale e religioso: e che nell'unità morale e religiosa -pos-
siamo ben dire, nell'unificazione mistica -del popolo si risolve-
va nel suo spirito anche la questione sociale.
Sotto questo aspetto, il socialismo di Mazzini si distingue
da quello di tutti i suoi contemporanei, salvo al più la Men-
nais. Se ne distingue; ma non possiamo dire propriamente che
-fino alla comparsa di Marx -vi si contrapponga, in vera e
propria antitesi. L'ispirazione morale, l'affiato religioso non so-
no estranei agli altri agitatori politico-sociali per periodo pre-
quarantottesco e quarantottesco: si possono dire, anzi, una ca-
ratteristica loro comune, sebbene in nessun altro raggiungano
l'intensità, la fondamentalità di Mazzini.
Mazzini, come gli altri socialisti premarxisti, è gradualista,
umanitario, idealistico. la fraternità delle classi e non la lotta di
classe è il loro ideale supremo: la società nazionale superante la
divisione di classi, l'obbiettivo comune. Mazzini, insomma, va
compreso -per chi vuoI confrontarlo con Marx su una base di
fatto, entro un inquadramento storico -in quel socialismo «u-
topistico» contro cui scese in campo proprio alla vigilia della ri-
voluzione quarantottesca il Manifesto dei comunisti.
A chi dette ragione la rivoluzione del Quarantotto? Bisogna
distinguere la prima dalla seconda fase.
Nella prima fase il socialismo mazziniano parve vittorioso,
ove si guardi non tanto all'Italia -in cui prevalse su tutto la lot-
ta nazionale -quanto alla Francia. La seconda repubblica fran-
cese si presentò con una faccia «sociale»: il principio dell'inter-
vento statale nell'economia, per l'elevazione del proletariato, e
del diritto al lavoro furono proclamati ed ebbero un principio
di attuazione. Reciprocamente, le classi lavoratrici si interessa-
rono al programma democratico «borghese» come a cosa loro.
E di questa associazione fra borghesia nazionale progressiva e
proletariato fu proprio Carlo Marx uno dei più ardenti sosteni-
tori, nel suo organo giornalistico, la Neue Rheinische Zeitung, an-
che se per lui essa rappresentava un momento transitorio.
La seconda fase capovolse le posizioni; annullando i risul-
tati della prima. Dopo le giornate parigine del giugno '48 la
reazione sociale in Francia fu completa, trascinandosi dietro, in
larga misura, anche quella politica. Il socialismo fu un termine
di maledizione; il proletariato, un oggetto di odio e di spaven-
to. Qualsiasi idea di politica sociale fu bandita. Trionfò, quasi
sghignazzando, l' egoismo tradizionalista borghese di Thiers,
l'uomo per cui la proprietà doveva rimanere in perpetuo il
“jus utendi et abutendi», e l'autorità statale esistere innanzi tut-
to per l'assicurazione di quella.
In tale reazione il socialismo prequarantottesco -idealistico,
umanitario, gradualista, -il socialismo mazziniano, insomma,
andò travolto. A Roma Mazzini triumviro gli rimase fedele e
ne avviò l'applicazione; ma la caduta della repubblica romana
troncò il tentativo in sul nascere. Per quasi venti anni non si
sentì più parlare, in Europa, di socialismo. Mazzini stesso, pur
mantenendo fede alle sue idee, pure impiantando e sviluppan-
do la sua azione in senso alle associazioni operaie italiane, non
ritrovò più gli spiccati accenti sociali prequarantotteschi. Più
che mai straripante fu in lui la passione nazionale.
Alla riscossa proletaria, iniziata con la fondazione della Pri-
ma Internazionale a Londra nel 1864, il mazzinianesimo non
fu estraneo. Nello statuto della nuova organizzazione, redatto
da Carlo Marx, questi si adattò a introdurre un paio di frasi di
sapore mazziniano; ma col deliberato intento di affogarne lo
spirito in quello marxistico. E ci riusci’: l'influenza di Mazzini
nella Internazionale fu nulla, ed egli se ne staccò, entrando infi-
ne, negli ultimi anni di vita, in aperto conflitto con essa. In Ita-
lia veramente la lotta si svolse non tanto fra Mazzini e Marx,
quanto fra Mazzini e Bakunin; ma questo non cambiò sostan-
zialmente la situazione, che fu quella di un conflitto aperto, a
fondo, tra socialismo mazziniano, idealistico e solidaristico, e
socialismo rivoluzionario, classistico-comunistico. E quando
l'intemazionalismo bakuniniano in Italia (e fuori) venne meno
di fronte alla vittoriosa socialdemocrazia marxistica, ciò signi-
fico’ non una riviviscenza di socialismo mazziniano, ma anzi la
sua sconfitta definitiva. Logicamente: poichè, fra Marx e Maz-
zini l'incompatibilità era ancora maggiore, molto maggiore,
che fra Mazzini e Bakunin.
La sconfitta di Mazzini -travalicante i limiti della sua vita
empirica -non va considerata isolatamente, ma inquadrata in
quella più generale del vecchio socialismo idealistico per parte
del nuovo, «scientifico». Tuttavia, con sue caratteristiche parti-
colari. Accanto al «mito» nazionale dell'Unità repubblicana,
mancò nel pensiero e nella propaganda di Mazzini un corri-
spondente «mito» sociale. Colui che aveva visto in tutta la sua
portata il movimento delle nazionalità, e aveva saputo collo-
carvisi dentro, nel punto centrale, non valutò con altrettanta e-
sattezza il movimento di classe del proletariato, e lo guardò
sempre piuttosto dal di fuori. Tutto intento alla Santa Alleanza
dei popoli, gli sfuggì la formazione dell'internazionale proleta-
ria. Quando l' ebbe innanzi, non riuscì a fronteggiarla e a domi-
narla. Anche un genio non può vedere e far tutto; e il movi-
mento proletario crebbe e si avviò a divenire protagonista
quando da lungo tempo Mazzini aveva concluso il suo svolgi-
mento spirituale.
La storia, però, non finisce qui. La fase marxista è stata an-
ch'essa transitoria. Dopo un mezzo secolo, la socialdemocrazia
marxista si è sdoppiata, in laburismo e leninismo. il laburismo
ha sconfessato Marx, a parole e più ancora in fatto. il leninismo
lo ha messo nel tabernacolo, ma l'ha interpretato a modo suo,
sostituendo alla dittatura del proletariato quella di una ristretta
oligarchia rivoluzionaria, trasformatasi in assolutistica burocra-
zia statale.
Lasciamo da parte il leninismo, che in Occidente non ha
trionfato ne trionferà (salvo, tutt'al più, il caso di una terza
guerra mondiale terminante in una catastrofe europea). il so-
cialismo ancora vivo nell'Europa occidentale è il laburista: ma
esso mostra pèr chiari segni la sua incompiutezza. Con empiri-
smo a lungo andare insostenibile, esso vorrebbe accoppiare de-
mocrazia e classismo, in un parlamentarismo riformistico che
finisce per associare il privilegio di oligarchie sindacali alla
consacrazione di un nazionalismo autoritario. Alla prova dei
fatti esso risulta inadeguato alle esigenze interne non meno
che a quelle internazionali: e non è un caso che l'attuale infelice
periodo di politica estera inglese coincida con un governo la-
burista.
il punto fondamentale è che il socialismo oggi va inquadra-
to nella democrazia, e non viceversa; che democrazia significa
equilibrio e accordo di classi lavoratrici e produttive diverse -
«multae sunt mansiones in domo Patris mei» -e non dittatura
o privilegio di una sola; che pertanto il socialismo non può es-
sere ormai se non un metodo per la vita economica e morale
della nazione entro un ordinamento internazionale.
Questi sono i principi stessi e gli ideali del socialismo maz-
ziniano e del mazzinianesimo: formulati nei termini richiesti
dalle nuove esigenze, adattati e sviluppati secondo le nuove
realtà. Se nell'ultimo terzo del secolo decimonono Marx aveva
sconfitto Mazzini, nella seconda metà del ventesimo Mazzini
supera definitivamente Marx.
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nuvolarossa
12-05-02, 22:54
MAZZINI e MARX…..moltissimi ideali in comune….ma visioni molto diverse per realizzarli.

La Lotta di Classe e la Dittatura del Proletariato fu sempre avversata dall’Apostolo Laico, fino alla sua morte……coerentemente con la condanna delle teorie marxiane pronunciata nei “Doveri dell’Uomo”, aveva tenuto il movimento operaio delle origine al riparo da ogni ispirazione classista, ma aveva anche trasformato completamente, ammodernandola, la fisionomia paternalistica e corporativa delle prime Societa’ Operaie sorte in Piemonte, ad opera di mazziniani, agli inizi degli anni cinquanta. Di piu’: aveva creato una struttura che, coordinando le Societa’ man mano che si venivano fondando, le aveva raccolte attorno ad un programma che era stato discusso in regolari congressi pubblici, dai quali era anche emersa una linea di decisa democratizzazione della Societa’ Italiana attraverso la partecipazione di tutti i lavoratori alla lotta politica e la rivendicazione di diritti (gia’ allora) quali il suffragio universale (votavano solo pochi eletti, nobili o ricchi e non le donne) e l’istruzione laica gratuita.
Il pericolo del marxismo, che fino ad allora era stato per l’Italia, piu’ teorico che reale, comincio’ a concretizzarsi dopo la creazione, avvenuta a Londra nel 1864, della prima Internazionale. Nata sotto il controllo diretto di Mazzini, l’Internazionale non ne ricevette l’inconfondibile impronta UMANITARIA e religiosa solo perche’ fu Carlo Marx a redigerne lo Statuto, conferendogli quel carattere di preambolo ideologico all’affermazione del proletariato che discendeva in linea diretta dal Manifesto del Partito Comunista del 1848.
Tra Mazzini e Marx, tra l’agitatore romantico e il lucido economista, tra l’italiano estroverso e il freddo tedesco la distanza culturale, temperamentale, filosofica e politica non poteva essere maggiore.
“Quanto era delicata la sensibilita’ dell’uno – scrisse Nello Rosselli – tanto era pesante, sorda la sensibilita’ dell’altro, priva di quel senso accorato d’umanita’, di quella larga simpatia umana per cui Mazzini e’ sentito in ogni parte del mondo e, se pur lo si discute e nega, lo si comprende ed ama: Marx lo si studia (anzi lo si studiava) e si ammira. Mazzini, riluttante ad ogni disciplina scientifica, profondamente pervaso di spirito religioso, concquistava i suoi ascoltatori e i suoi lettori (ha scritto piu’ lui che 10 Montanelli, Bocca e Scalfari insieme) non tanto o non solamente con il calore della sua convinzione, con frequenti e sapienti ricorsi al sentimento, all’intuito, alla fede, col tono ispirato della parola…….
Rovesciamo Mazzini ed avremo qualcosa di molto simile a Marx: freddo preciso, logicamente impeccabile, concreto (oggi si direbbe pragmatico); cervello assai piu’ acuto che non sensibile cuore. Dall’uno non poteva venire che predicazione di amore: il sogno della SOLIDARIETA’ fra le classi sociali (l’opposto della lotta di classe) con una dottrina di EDUCAZIONE e di ELEVAZIONE Morale. L’altro dalla secolare esperienza dell’Umanita’ doveva trarre una ferrea legge economica, prima regolatrice d’ogni vicenda, legge che non nega, ma innegabilmente attenua l’influenza dei valori morali (infatti ammette la violenza a “fini” educativi)”.
Cio’ fra parentesi quanto, riassunto, affermava Nello Rosselli…che si puo’ accettare o respingere ma, resta il fatto che Mazzini, mentre influenzo’ solo relativamente l’Internazionale, mantenne, come ho scritto sopra, il peso rilevante che gia’ si era assicurato sulla nascita e sullo sviluppo del movimento operaio italiano. Si dovette percio’ attendere la sua scomparsa, perche’ si profilasse sulla scena politica d’Italia la prima leva dei marxisti/socialisti, peraltro formatisi in gran parte alla scuola di chi – G.Carducci ad esempio – aveva sempre inteso valorizzare al massimo la tradizione mazziniana (saltando di palla in frasca…da ragazzo, alle medie, gia’ mazziniano, feci una china di Giosue’ che regalai alla Preside delle Medie a lui intitolate)…e fu un socialismo/marxismo in cui era ragguardevole la componente anarchiggiante (non quella nobile del pensiero) ma quella alla Mikhail Bakunin (diciamo prosaica e materialista) che gia’ aveva tentato di trasformare l’Internazionale in uno strumento dell’Italia arretrata e rurale di meta’ anni sessanta.
Non a caso una buona conoscenza del marxismo si comincio’ ad avere solo dopo la parte finale dell’Ottocento, e cio’ perche’ l’ambiente continuava, nonostante tutto, ad essere permeato da una tradizione insurrezionalistica assai difficile da estirpare…..gia’ allora si cavalcavano le varie “tigri” legate alla poverta’ contadina ed operaia slegate pero’ dalla emancipazione culturale e morale di queste classi.
Nel complesso quindi fu prevalente il messaggio mazziniano sino al 1871. Dopo tale periodo ci fu’ la Comune di Parigi (marzo-maggio 1871), un’evento che esercito’ un influsso e suggestione enorme sul proletariato, giovani, intellettuali, posti per la prima volta di fronte ad una esperienza di governo autenticamente popolare ed operaia e trascinati anche da una valutazione positiva di Garibaldi che aveva cominciato a “vacillare” rispetto ai suoi principi mazziniani “precedenti”.
Per Mazzini, invece, l’esempio della Comune era da respingere perche’ non gli risultava accettabile una forma di governo il cui fondamento teorico e pratico postulava il MATERIALISMO ATEO, la LOTTA di CLASSE, l’abolizione della proprieta’ privata e la rottura della unita’ nazionale francese ( alle varie Patrie in concorso per formare l’Europa dei Popoli …. Mazzini gia’ allora era sensibile) il gtutto racchiuso in un programam che, alla luce dei collaudati parametri mazziniani, non era la fine del “vecchio mondo”…pre creare un “Mondo Tutto Nuovo”….ma era l’ultima conseguenza dell’antico principio dell’individualismo……..un po’ come oggi mi sembra di vedere nell’edonismo ed introversione della politica che proviene da certe vallate nebbiose del Po’.
La “Roma del Popolo”, il settimanale che Mazzini fondo’ nel 1871, ospito’ per un anno i suoi articoli, gli ultimi in cui la sua voce risuonava, con una nota febbrile per opporre, alla minaccia incombente del socialismo/marxismo e al pericolo di una disgregazione morale e materiale che dalle lotte di classe conseguenti sarebbe derivato alla Societa’ Italiana,…..per opporre i principi sempre validi dell’associazione, della solidarieta’, del progresso civile. Il PATTO di FRATELLANZA, approvato a fine 1871, dalle Societa’ Operaie in Roma ,riprendeva queste idee da Mazzini, le raccoglieva organicamente in un documento finale che disegnava il futuro della CLASSE OPERAIA come opera collettiva da compiersi “dentro” e non “contro” la Nazione, per “perfezionarla” e non per “distruggerla”, in una direzione che, autodefinendosi umanitaria e patriottica, si confermava chiaramente incompatibile con l’internazionalismo.
Mazzini mori’ consapevole che i semi da lui profusi nel campo operaio avrebbero dato dei frutti che “altri” avrebbero colto…….ed anche in questo fu profetico…..ad opera e per conto dei politici di questo dopoguerra gli Italiani misconoscono la verita’ storica e ritengono che la CLASSE OPERAIA sia la giusta organizzazione derivante dallo studio delle teorie marxiane……..
Spero di non aver causato troppe incomprensioni con il tentativo di contemperare la brevita’ dello spazio con la lunghezza degli argomenti….nel caso, avremo modo di riparlarne.
Un saluto agli amici di buona volonta’.

nuvolarossa

nuvolarossa
25-05-02, 18:10
Bilancio su Mazzini e Marx

ORBETELLO.

Interessante iniziativa culturale dell'Associazione Mazziniana Italiana che ha organizzato per oggi, con inizio alle ore dieci dibattito pubblico sul tema, assai stuzzicante: «Due proposte a confronto:
Mazzini e Marx, quale bilancio?».

Parteciperanno: il professor Massimo Scioscioli, saggista, membro della Direzione A.M.I. e il prof. Giacomo Marrameo, ordinario di filosofia politica dell'Università di Roma e direttore della Fondazione Basso. Moderatrice: dottoressa Claudia Aldi.
Il dibattito si svolgerà presso l'Auditorium Comunale di Piazza della Repubblica in Orbetello sabato 25 maggio 2002 con inizio alle ore 10.00.

Garibaldi
29-05-02, 10:48
Che Mazzini vinca sumarx me lo ha dimostrato un caro amico di Manarola da anni professore all'universita' di Parma che mi ha detto che le tesi su marx sono quasi scomparse e adesso stanno uscendo tesi su mazzini, sui temi del repubblicanesimo ed anche sul risorgimento.
I socialcomunisti devono mettersi il cuore in pace ma, purtroppo per loro, marx e' "opassato di moda".
Ecco spiegato anche perche' gli ex-pci rinnegano marx e cercano di "fregarci" i nostri eroi repubblicani, antichi e moderni

Roderigo
29-05-02, 12:11
Per meglio comprendere il capitalismo ed il futuro, dagli Stati Uniti si leva un’esortazione a riconsiderare il pensiero di Marx. Molte delle contraddizioni notate dallo stesso Marx nel capitalismo vittoriano sono riapparse prepotentemente in questo fine secolo. Globalizzazione, disuguaglianza, corruzione politica e progresso tecnologico compaiono già nei suoi scritti e sono gli stessi temi con i quali si stanno confrontando gli attuali economisti, talvolta senza rendersi conto di camminare sulle orme del filosofo ed economista tedesco. Per quanto concerne la globalizzazione dei mercati, parola d’ordine di quest’ultima parte del XX secolo, Marx stesso ne ha delineato alcune possibili conseguenze negative. Il capitalismo è ormai sul punto di trasformare il mondo in un mercato globale. Ma, come intuiva Marx fin dalla metà del secolo scorso, a risentire di tali cambiamenti non sarà solo il mercato locale ma intere culture che rischiano di essere spazzate via dall’implacabile affermarsi delle forze di omologazione dei consumi e di integrazione internazionale. Testimonianza dell’attualità di queste considerazioni si trova nella recente costituzione di movimenti politici populisti e xenofobi in Francia, Russia e in molti altri paesi. Persino alcuni economisti, finora fermamente convinti della validità delle istanze della globalizazione, iniziano a considerare con maggiore attenzione i pericoli e le conseguenze che ne potranno derivare.

The New Yorker" 1997

Garibaldi
29-05-02, 13:50
La parola "globalizzazione" non e' di per se una parola disdicevole.
Noi mazziniani siamo per globalizzare il benessere e la crescita socoiale e civile di tutti i popoli e crediamo che, se ben gestiti, i fenomeni legati alla globalizzazione siano piu' positivi che negativi.
Nutro parecchi dubbi che a cio' possa servire meglio il marxismo anche se riconosco che in certe realta' miserrime del globo terrestre il messaggio mazziniano, di fronte ai bisogni immediati della fame, sia difficilmente comprensibile come risulterebbe incomprensibile qualsiasi altro dettato ideale.
Allora in questi casi non servono tanto gli idealismi di alcun tipo ma serve rimboccarsi le maniche, poche chiacchere da parte di tutti e tanta farina da impastare!

la_pergola2000
29-05-02, 14:12
Roderigo traduci il New yorker del '97? dì la verità dove lo hai letto?
per quanto riguarda la globalizzazione, nell'ultimo anno sono usciti migliaia di libri, ognuno vuol dire la sua, ma quello che ne esce fuori è che le nazioni ricche sfornano migliaia di miliarid di dollari per le nazioni povere e non si sa dove vanno a finre quei soldi.
Qualcuno dice in Svizzera, alle Caiman (Tortuga), Liechtenstein, alle Barbados e chissà in quali altri posti.
I dittatori, a decine, delle nazioni povere si divertono un "mondo" bisogna incidere lì ase si vuol cambiare qualcosa.
Ciao.

nuvolarossa
25-06-02, 21:35
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GRANDEZZA ED EREDITA' DI MAZZINI
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di Egidio Reale

Chi, a tanta distanza di tempi ed in un clima storico così
diverso da quello in cui si svolsero la sua vita ed il suo aposto-
lato, lontano dalle tempeste delle passioni, dagli odii e dagli a-
mori che accompagnarono e seguirono l'azione, ricerchi, con
animo pacato e mente serena, quale sia stata la vera grandez-
za di Giuseppe Mazzini e quel che sopravviva del suo inse-
gnamento e della sua opera, non può non restare perplesso e
sorpreso. Teorie e dottrine che egli formulò e diffuse, con fer-
vore e tenacia, appaiono -e talvolta sono -superate dall'e-
voluzione e dalle mutate circostanze del tempo e degli eventi.
Previsioni che al suo spirito si presentarono come sicure sono
state smentite dalla realtà. Problemi che si ponevano alla sua
mente come essenziali sono risoluti o non più appassionano i
popoli, assillati da altre esigenze e da altre aspirazioni. Il corso
della storia s'è svolto e si svolge seguendo in parte linee e di-
rettive diverse da quel che il fondatore della «Giovine Italia»
gli assegnava. Eppure, anche coloro che con maggiore severità
o con più viva acredine ne hanno giudicato o ne giudichino il
pensiero e l'azione non possono disconoscere l'enorme in-
fluenza che Mazzini ha esercitato sulla vita e sui destini d'Ita-
lia, nè ignorare la forza e l'efficacia del suo apostolato nè nega-
re il fascino che il suo ricordo ed il suo esempio continuano e
suscitano non solo fra coloro che più fedeli restano al suo pen-
siero, ma anche fra molti che, per educazione e temperamen-
to, per opinioni e dottrine professate, più lontani si sentono e
sono da lui e dai suoi insegnamenti.
Se l'unificazione dell'Italia si realizzò forse più per la forza
delle armi e gli accorgimenti di uomini di governo e di diplo-
matici, nel concorso di favorevoli circostanze internazionali,
che per le cospirazioni e le insurrezioni mazziniane, pure non
v'è dubbio che essa sarebbe rimasta un sogno od una vaga a-
spirazione senza l'apostolato e la passione di chi primo ne su-
scitò l'idea e l'impose agli Italiani. Che cosa era l’Italia, quan-
do Mazzini apparve sulla scena politica, se non un'espressio-
ne geografica, se non una terra di ricordi e di rovine, nella
quale un popolo giaceva inerte, senza anima, senza impulsi di
rivolta, senza sentimento di indipendenza, senza desiderio di
libertà? Peregrino errante di un ideale che ai suoi contempora-
nei doveva apparire tutto al più come la visione di una mente
allucinata non d'altro patrimonio ricco e non d'altra potenza
provvisto se non della fiamma inestinguibile della sua fede
nella resurrezione della patria e della libertà, Giuseppe Mazzi-
ni seppe farsi il profeta -idolatrato od odiato -di una nuova
religione più forte di ogni dubbio e di ogni sconforto e quella
religione riusci’ ad infondere negli Italiani. Parlando al cuore
più che all'intelligenza, con poche e scarse formule che a chi le
consideri freddamente appaiono vuote di un sostanziale con-
tenuto, egli seppe dare un'anima ad un popolo di morti, far
vibrare di entusiasmo intere generazioni, destare la fede che
conduce al martirio. La sua «Giovine Italia» non fu dapprima
che un soffio, un respiro, che sorprendevano gli Italiani agli
angoli delle strade, mormoravano ad essi nei sogni, additava-
no nuovi scopi alla vita, facevano vibrare gli spiriti, rendevano
seducente persino la morte. Poi quando i tempi si volsero pro-
pizi si trasformarono in tempesta, che astuzie di governi armi
di polizia, forze di eserciti non riuscirono a placare, una tem-
pesta nella quale l’Italia conquistò, con l'unità, l'indipendenza
e la libertà.
Sono la fiamma di passione e di fede che non si estingue se
non con la morte, la dedizione più assoluta e completa di ogni
pensiero e di ogni sentimento, d'ogni agio e d'ogni aspirazio-
ne all'ideale propugnato, la perfetta continua rispondenza del-
l'azione al pensiero, l'integrità della vita nella fiera dignità del
carattere che, con l'intransigenza delle idee e la severità del co-
stume privato e politico, costituiscono gli elementi essenziali
della nobile figura di Mazzini e sole possono spiegarne l'irre-
sistibile fascino. E' in quelle virtù -delle quali tanto maggiore
bisogno si sente quanto più rare si fanno -che occorre ricerca-
re il grande patrimonio ideale che Mazzini ha lasciato in ere-
dità agli Italiani.
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nuvolarossa
26-06-02, 21:58
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MAZZlNI DI FRONTE ALL'ECONOMIA
E AL PROBLEMA SOCIALE
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di Oliviero Zuccarini

Collocare Mazzini tra gli economisti non è certo possibile.
E' invece interessante vedere quale fosse la sua posizione di
fronte alla economia, agli economisti e ai problemi sociali del
suo tempo. Credo che ne risulti un Mazzini più vivo e attuale
di quello che ci è stato sin qui presentato. Non perchè siano
mancati studi sulle sue idee sociali. Anzi se ne è scritto molto
con spirito di comprensione e alle volte addirittura di esalta-
rione. Che egli non fosse affatto indifferente alla questione so-
ciale è stato largamente riconosciuto. Scrittori autorevoli di
parte socialista gli hanno perfino accordato un posto tra i pre-
cursori della loro idea. Tutti però si sono lasciati guidare dalla
preoccupazione, alle volte esclusiva, di stabilire le relazioni, le
derivazioni, le affinità del suo pensiero con le varie scuole di
socialismo, da quelle degli utopisti a quella marxista, conside-
rata come scientifica. E in tal modo non sono riusciti a metter-
lo in giusta luce. E' avvenuto cioè che si desse maggiore risal-
to, e quindi maggior peso, a quanto a quelle scuole poteva av-
vicinarlo che a ciò che da esse lo allontanava e lo differenzia-
va. E dove si vollero rilevare i dissensi si finì col presentare un
Mazzini esitante, moderato nelle soluzioni e perfino un po'
conservatore. Altra profonda deformazione di Mazzini che
non si sarebbe verificata ove al socialismo nella sua più comu-
ne e conosciuta interpretazione non si fosse assegnata senz'al-
tro la dizione più radicale e avanzata. Ad una migliore valu-
tazione servirebbe assai più stabilire dove e in che consistesse-
ro le differenze. E potrebbe accadere di trovare sulla questione
economico-sociale la dizione assunta da Mazzini più in a-
vanti che indietro, diversa ad ogni modo, e corrispondente ad
una visione meno unilaterale di tutto il problema verso una
soluzione più ampia, più armonica e più umana.
Non è qui il caso, appunto per le ragioni dette sopra, di un
esame di tutto ciò che si è scritto sulle idee sociali ed economi-
che di Mazzini. Essendosene scritto molto e da molti, un lavo-
ro del genere, fatto con intenti critici, sarebbe troppo lungo e
non so se e quanto potrebbe riuscire conclusivo. Cercherò
quindi di limitarmi a indicare del suo pensiero economico e
sociale, e colle sue stesse parole, alcuni tratti caratteristici.
Il primo è che Mazzini sente vivissirna la esigenza e la im-
minenza di una grande rivoluzione sociale. il problema è per
lui il problema dell'epoca: un aspetto, ma il più vivo e preoc-
cupante dell'altra, in corso, della libertà politica. E' una affer-
mazione a cui ricorse spessissimo durante la sua predicazione
e che è al centro delle sue preoccupazioni. Vede l'irrefrenabile
potenza del moto operaio. Ne prevede gl'inevitabili sviluppi.
E ne paventa i pericoli quando una idea, in principio, non lo
ispiri e diriga. La rivoluzione non può essere esclusivamente
politica, o sarà anche sociale e riuscirà ad una trasformazione
profonda nei rapporti economici della società, o non sarà. Sarà
sommossa, rivolta, insurrezione. Rivoluzione, no. «Se non si
trattasse -dichiara -in una Rivoluzione di un ordinamento ge-
nerale in virtù di un principio sociale, di una dissonanza da
cancellarsi, negli elementi dello Stato, di un'armonia da rista-
bilirsi, di una unità morale da conquistarsi, noi, lungi dal di-
chiararci rivoluzionari~ crederemmo debito nostro di opporci
con ogni sforzo al moto rivoluzionario (1836»>. Esiste per lui
una esigenza di riordinamento politico in quanto ne esiste una
di riorganizzazione sociale. Le rivoluzioni non devono più
«consumarsi in questioni di forme meramente politiche a be-
neficio di una sola classe». Non quindi rivoluzione a carattere
esclusivamente politico ma politico e sociale ad un tempo. La
sua democrazia, il suo Stato, la sua Repubblica è la libertà rea-
lizzata nella giustizia sociale, in comunità e in eguaglianza di
diritti e di doveri. Chiama gli operai alla riscossa, e li vuole al-
la testa del movimento rivoluzionario. «Avete combattuto -
dice ad essi -per le altre classi, date ora il vostro program-
ma» e non combattete se non per quello. Nessun dubbio e
nessuna titubanza in lui in tale impostazione: dagli inizi alla
fine del suo apostolato. Gli ultimi anni della sua vita lo vedo-
no fervidamente e quasi esclusivamente occupato verso gli o-
perai cercando alloro moto una iniziativa in Italia.
E' in relazione alla profonda trasformazione che nei rap-
porti economici e sociali determinerà la fatale ascesa del moto
operaio, che può stabilirsi quale sia la posizione di Mazzini di
fronte all'economia, come dottrina, e agli economisti del suo
tempo. Si è posto in dubbio che egli abbia conosciuto e ap-
profondito le opere degli economisti maggiori. Approfondito
forse no, salvo forse che per l' opera fondamentale di A. Smith;
conosciuto sufficientemente certo sì. E' possibile stabilirlo at-
traverso i suoi scritti, anche se in materia di economia si pre-
sentino in modo frammentario. Tale frammentarietà si riscon-
tra del resto, anche per il suo pensiero etico-politico. E non è
da far meraviglia se egli vede l'economia in funzione ispiratri-
ce e direttiva, dal momento che l' economia era allora riguar-
data e trattata come politica economica: non si era arrivati alla
separazione netta tra scienza pura ed economia applicata che
è avvenuta invece molto più tardi. L'economista allora, se an-
che pretendeva di voler rimanere estraneo alla politica per
considerare il fenomeno economico in se stesso, finiva poi
sempre col fare politica, contribuendo molto spesso a invali-
dare o a convalidare quanto intanto esisteva o avveniva. Maz-
zini non concepisce invece l'economia come scienza pura, che
fosse fine a se stessa. Lo studio economico, lo sviluppo delle
dottrine economiche dovrebbe, secondo lui, intendersi e vol-
gersi in funzione dell'avvenire. «L'economia -egli lamenta,
proprio per stabilire che la intende diversamente -non è nella
sua essenza se non una esposizione scientifica del fatto esi-
stente senza valore al futuro (1849»>. E parlando degli econo-
misti, già nel '36, li definisce cosi: «secte impuissante dont tou-
te la science se reduit à procIamer qu'elle n'a rienà faire si ce
n'est de laisser faire». E' appunto tale posizione d'indifferenza
di fronte alla realtà economica esistente che a Mazzini riesce
incomprensibile e inammissibile. Che quando invece gli eco-
nomisti mettono la loro scienza o il loro consiglio a servizio di
una politica economica attiva in senso liberale e per modifica-
re una situazione, non esita a riconoscere, per esempio, che «la
scuola pacifica di Manchester, la scuola di Cobden e di Brist
ebbe, per servizi importanti resi al paese nella questione eco-
nomica, influenza predominante» (1867). E' in questo senso
infatti che egli vuoI vedere la scienza economica. “Una rifor-
ma sociale è viziata ~i suoi principii -scrive nel '32 -se non
comprende e rappresenta i bisogni di tutte le classi”. E ciò non
può che essere compito della scienza economica! «Non so -
dirà più tardi, nel '38 -se i nostri giorni vedranno sorgere urta
nuova scienza economica che insegni a distruggere o a scema-
re almeno con una più giusta distribuzione della ricchezza, le
sorgenti della miseria»: E, nel 71 “senza una determinata dot-
trina economica che la renda capace di agire... non esiste poli-
tica”. Non mi sembra che possano cader dubbi sul suo modo
di concepire la economia, e cioè non come -sono sue parole
del' 49 –“fredda, arida e imperfetta” indagine scientifica, ma
come dottrina, volta ad apportare un contributo di esperienze
e di soluzioni nella preparazione dell'avvenire.
Per quanto le sue attitudini mentali male potessero adat-
tarsi alle esigenze degli accertamenti minuti e delle pazienti
investigazioni, egli ne seppe valutare l'importanza e non vi ri-
fuggì quando gli sembrò che potessero contribuire ad un' ope-
ra di critica e di preparazione costruttiva, o alla sua battaglia
politica. Lo dimostrano gli studi che nel'44 pubblicò in ingle-
se e su giornali inglesi intorno alle condizioni economiche,
amministrative e finanziarie degli Stati pontifici e quelli, pub-
blicati, nel'45 riguardanti il Lombardo- Veneto. Non è quindi a
pensare che non desse peso e valore alle ricerche e agli accer-
tamenti fatti con metodi scientifici. Valutava tanto l'importan-
za di certe indagini che perfino nella sua scuola di Londra -
che in fondo era solo una scuola elementare e gratuita -stabili-
sce che s'insegni «la geografia connessa con la statistica». Ne è
a dire che gli mancasse il senso della realtà e delle cose possi-
bili. Quando si trattò per lui di trasformarsi in uomo di gover-
no -sia pure per un periodo di pochi mesi e in circostanze e di
fronte a necessità eccezionali come quelle in cui si svolse la
breve e luminosa vita della Repubblica Romana -dimostrò
eccezionali qualità d'intuito e di prontezza nel concretare nella
legislazione provvedimenti conformi al suo modo d'intendere
la politica economica. Il manifesto-programma della Repub-
blica è mirabile di precisione e di saviezza per un governo che
voleva essere degno della istituzione repubblicana. E' difficile
trovarne un altro altrettanto preciso e sintetico, segno d'idee
chiare in chi si accinge a governare: “economia negli impieghi;
moralità nella scelta degli impiegati; capacità accertata dovun-
que si puo’”; “ordine e severità di verificazione e censura”;
«tendenza continua al miglioramento materiale del paese”;
«poche e caute leggi; mà vigilanza decisa nell'esecuzione”. u-
no dei primi provvedimenti, il primo anzi, è quello relativo al-
le abitazioni sottoposte ai danni, di abitazioni troppo ristrette e
insalubri, e s'inizia con la considerazione che “dovere e tutela
di una bene ordinata repubblica è il provvedere al progressivo
miglioramento delle classi più disagiate”. Ed è in adempimen-
to dei fini e dei doveri sociali della repubblica che seguono su-
bito dopo gli altri decreti, come quello per la distribuzione di
terre ai contadini (immediato inizio di quella riforma agraria
di cui stiamo discorrendo da anni) e quelli riguardanti l'ali-
mentazione del popolo coll'abolizione della tassa sul sale. La
von Meysenbug, nei suoi ricordi su Mazzini col quale ebbe a
discutere spesso di questioni sociali (è lei che lo dice) parla del
«socialismo pratico» che Mazzini aveva cercato d'instaurare a
Roma. E si riferisce evidentemente alla legislazione e agli altri
provvedimenti con cui la Repubblica, per iniziativa e volontà
di Mazzini, si preoccupava di modificare migliorandola la si-
tuazione economica delle classi più numerose e più povere.
Lo Stato, nella concezione di Mazzini, è infatti la Nazione
stessa democraticamente organizzata, il suo compito sociale è
di portare i cittadini ad uno stesso livello, quindi di elevare
quelli che sono in basso in modo che tutti siano resi egual-
mente liberi e responsabili nell'esercizio dei loro diritti come
dei loro doveri. L'azione dello Stato non può essere repressiva
o restrittiva, ma liberatrice. Se c'è una funzione sociale dello
Stato è in tal senso; come ce n'è una morale, educativa, spiri-
tuale. Allo stesso modo che c' è una missione di ogni nazione
nel mondo, nella unità e nella eguaglianza di tutte le patrie.
Lo Stato deve agire e facilitare la strada all'ascesa delle classi
che lavorano, non imporla. I poteri e i doveri dell'operaio qua-
le cittadino non dovrebbero trovarsi in alcun modo menomati
per una particolare posizione d'inferiorità, di subordinazione
o di soggezione. E il progresso economico non deve in nessun
caso ottenersi col sacrificio della libertà politica o della dignità
umana. la legislazione del lavoro stessa non deve in nessun
caso risolversi in una menomazione dei diritti dell'operaio. A
questo riguardo Mazzini ha parole assai vivaci per quanto si
era verificato in Francia, nel' 49 e '50, con Luigi Filippo. Panem
et circenses, dice, no! Nel presentarsi poi, l'azione dello Stato
volta a dirimere le disuguaglianze sociali Mazzini si spinge
molto innanzi. Non solo fa sua la formula: “Lo Stato deve l'e-
sistenza e il lavoro per essa a ciascuno dei suoi membri”, Co-
me in altra occasione aveva detto: «pane e lavoro per tutti, O-
zio e fame per nessuno”. Arriva a concepire e a propugnare la
costituzione, attraverso una “imposta della democrazia”, di
un Fondo Nazionale del Lavoro destinato ad aiutare il sorgere e
lo svilupparsi di organizzazioni volontarie, operaie natural-
mente, manifatturiere, agricole, artigiane. Una idea questa che,
nel modo e per gli scopi a cui Mazzini la voleva destinata,
può considerarsi veramente rivoluzionaria e che ancora, no-
nostante gli sviluppi raggiunti dalla politica sociale, deve tro-
vare proposte e tentativi di applicazione.
Quello che è comunque caratteristico della politica econo-
mica e sociale dello Stato quale la pensava Mazzini è che essa
non è volta a rafforzare il potere politico (come sempre è avve-
nuto e si è voluto) e tanto meno a dar vita ad un sistema pro-
tezionistico nazionale. A torto qualcuno ha pensato di riavvici-
nare il pensiero mazziniano, per ciò che si riferisce alla conce-
zione delle funzioni economiche dello Stato, a quella scuola e-
conomica tedesca che ebbe a fondatore in Germania Federico
List e che tanto ha contribuito alla degenerazione nazionalista
ed imperialistica di quel paese. Nel pensiero di Mazzini il fine
economico e sociale dello Stato è quello di allargare il campo
delle libertà, di tutte le libertà. Scrive a Kossuth nel 1851: “vo-
gliamo uno Stato nel quale ad ogni uomo sia aperta la via per
lo sviluppo ordinato delle sue facoltà morali e fisiche, aperta
la via perchè tutte le sorgenti di educazione e di ricchezza gli
siano, secondo le opere sue, accessibili, aperta la via a sicuro e
perenne lavoro, liberamente scelto a misura dei suoi godimen-
ti». Il compito dello Stato cioè non è quello di elevare barriere
o di stabilire limiti alle attività del cittadino; è quello di elimi-
nare i vincoli, di spezzare i monopoli, di distruggere i privile-
gi, di lasciare libero campo alla iniziativa, alla capacità, alla di-
versità di attitudini e di scelta nella produzione e negli scambi.
Una concezione del tutto diversa da quella ora prevalente del
dirigismo di Stato, secondo la quale si vorrebbe assegnare allo
Stato proprio quella funzione esecutiva, determinatrice e rego-
latrice degli atti economici che Mazzini invece gli voleva nega-
ta. Limiti, barriere, dazi erano da rifiutarsi ai confini come al-
l'interno degli Stati. Mazzini voleva la diversità delle patrie in-
sieme alla unità delle patrie. Egli è perciò aperto fautore della
libertà di commercio e di scambio. “Un peuple ne peut vivre
dans l'isolement», scrive nel '36. E aggiunge «nous croyons
q'une plus grande unite est dans l'interet de notre commerce,
de notre industrie, menacee de toutes parts, de nos communi-
cations errtravees a l'interieur et à l'esterieur”. Si riferisce con
queste parole alla situazione d'Italia. Ed è piena di efficacia, e
di evidenza riguardo al modo come considerava il problema
doganale, la descrizione che egli faceva nel' 45 della situazione
allora esistente dovuta alle varie dominazioni che dividevano
territorialmente l'Italia: «Otto linee doganali, senza numerare
gl'impedimenti che spettano alla triste amministrazione inter-
na di ogni Stato, dividono i nostri interessi materiali, inceppa-
no il nostro progresso, ci vietano ogni incremento di manifat-
tura, ogni vasta attività commerciale. Proibizioni o enormi di-
ritti colpiscono l'importazione e l'esportazione. Prodotti terri-
toriali o industriali abbondano in una provincia d’Italia o di-
fettano in un'altra, senza che si possa per noi ristabilire l'equi-
librio, vendere o permutare il superfluo». Sulla politica doga-
nale Mazzini è ritornato molto spesso, nelle più diverse occa-
sioni, perchè possano cadere dubbi sul suo modo di pensare
in una materia che ha formato sempre oggetto di vivaci e forti
contrasti tanto su essa s'imperniano due concezioni anche
dottrinalmente opposte. Ai fautori di protezioni doganali os-
serva (1839): La Svizzera fa a meno di proibizioni e di restri-
zioni. La Russia ne fa senza. La Francia non ne aveva nel XIV
e XV secolo e prosperò. In Francia le grandi manifatture degli
scialli, il commercio della carta da parati, di ebanisteria, quello
della moda e degli articoli di galanterie, degli strumenti ottici,
bronzi e porcellane ne fanno a meno e sono fiorenti. il com-
mercio della lana fiorì in Francia mercè il libero scambio con la
Spagna, ma declinò dal momento che fu applicato un dazio
Protettore”. Sulla interdipendenza delle produzioni e degli
scambi economici tra nazione e nazione, rivolgendosi agli O-
perai nel '60, avverte: “Voi vivete di scambi, d'importazione e
di esportazione. Una nazione straniera che s'impoverisca, nel-
la quale diminuisca la cifra dei consumatori, è un mercato di
meno per voi. Un commercio straniero che, in conseguenza di
cattivi ordinamenti ( donde la necessità secondo lui di buoni
ordinamenti, che è interesse europeo) soggiaccia a crisi o a ro-
vina, produce crisi e rovina nel vostro. I fallimenti d'Inghilter-
ra e d' America trascinano fallimenti italiani. il credito è in oggi
istituzione non nazionale, ma europea”. Non si può dire dopo
ciò -e mi si perdonerà l' abbondante citazione dal momento
che ha un valore probativo -che Mazzini non avesse idee
chiare su uno dei problemi fondamentali della vita economica
che anche oggi si presenta di viva e immediata attualità. I pro-
getti in corso per ricostituire l'economia delle nazioni su piani
di solidarietà e di collaborazione, non hanno purtroppo sapu-
to fino a questo momento eliminare le cause della controver-
sia e non è affatto detto che quei piani non si trovino già com-
promessi in partenza per i sistemi doganali e che i particolari-
smi economici che ciascuna nazione si ostina a mantenere e a
sviluppare in casa sua non minaccino di demolire da un lato
quanto dall'altro ci si mostra infervorati a costruire.
il pensiero di Mazzini sul problema economico in generale
e alla funzione che di fronte ad esso spetta allo Stato trova poi
particolare rilievo e conferma nel suo modo di voler soddisfar-
re le aspirazioni sociali del moto Operaio. E' a questo riguardo
che egli si pone su un terreno diverso, anzi in netto contrasto,
con le varie scuole di socialismo le quali tutte, o attraverso l'i-
deazione di complicati e artificiosi sistemi o per una conquista
violenta del potere resa possibile coll'inasprimento della divi-
sione e della lotta di classe, pensano di poter determinare dal-
l'alto le nuove basi della società. Vede e denuncia il fonda-
mento autoritario di quelle dottrine e ne teme gl'inevitabili
sviluppi. E le combatte ugualmente tutte per questo. Non cre-
de alle improvvisazioni “Penso, dice, che il problema nostro è
meno quello di definire le forme del progresso futuro che non
quello di collocare l'individuo in condizioni siffatte che gli ren-
dano agevole l'intenderlo e il compierlo” La sua originalità sta
appunto in questo, nel non aver pensato, anzi nell'essersi ri-
fiutato di offrire un sistema in un'epoca in cui di sistemi se ne
inventavano tanti e ci si rifiutava di ammettere che potesse ar-
rivarsi al socialismo senza un sistema prestabilito. La stessa
critica marxista, che poneva il problema del proletariato in ter-
mini di lotta di classe portata all'estremo doveva infatti nella
interpretazione di coloro che se ne affermavano seguaci, con-
cludersi in un sistema, il collettivismo, di società disciplinata e
governata dall'alto e in cui tutta la proprietà sarebbe passata
allo Stato. A tale sistema di cui prevede le conseguenze e i di-
fetti -con preciso intuito economico, anche quando i bisogni
economici fossero per sortirne meglio soddisfatti, Mazzini non
pensa si possa arrivare. In esso, osserva, “la vita fisica può es-
sere soddisfatta; la vita morale, la vita intellettuale sono can-
cellate, e con esse, l'emulazione,la libera scelta del lavoro, la li-
bera associazione, gli stimoli a produrre, le gioie della pro-
prietà, le cagioni tutte che adducono a progredire. La famiglia
umana è in quel sistema un armento al quale basta essere con-
dotto a una sufficiente pastura» (1860). In questo senso «chiu-
de la via al progresso e impietra, per cosi dire,la società”.
Mazzini intuì quello che tutti i teorici del socialismo, Marx
stesso, non hanno mai compreso e si rifiutano (come nel siste-
ma di Lenin) di comprendere: che il problema sociale è pure
un problema di libertà e che agli effetti economici non potrà e-
sistere vera libertà senza strutture politiche che la esprimano,
la realizzino e la garantiscano, per una recisione di vincoli dal-
l' alto e per una progressiva ascesa dal basso. Come, su quali
basi, con quali mezzi, attraverso quale sviluppo di capacità e
di volontà, con quali forme di solidarietà, questo era il proble-
ma.Il presupposto ne era intanto l' organizzazione dei lavora-
tori.
Nessuno ha parlato agli operai con tanto appassionato fer-
vore come Mazzini. Li chiama a uniirsi, a darsi un programma
e a non combattere se non per quello. Nell'associazione degli
uomini del lavoro, nel suo progressivo sviluppo, vede il fulcro
della società futura, la quale non poteva sorgere che così. Non
già per l'improvvisazione di un giorno, o come risultato di un
colpo di forza, bensì per lo sforzo di elevazione, metodico,
consapevole, continuato del proletariato nelle sue associazioni
libere, volontarie, facilitate, aiutate, sorrette nel loro cammino
anzichè ostacolate e combattute. Ecco, secondo lui, la funzione
sociale della Repubblica.
E' significativo -ed è indicativo del suo orientamento oltre
che della sua fede nel moto operaio -il fatto che dopo il '59,
quando il problema dell'unità nazionale era vicino a risolver-
si, Mazzini abbia decisamente puntato sulle classi lavoratrici
per le sorti stesse della libertà italiana. Da allora la sua attività
si volge principalmente, e più tardi quasi esclusivamente, a
promuovere l'organizzazione degli operai a.diffondere fra essi
le sue idee, a farle penetrare tra le associazioni apolitiche già e-
sistenti. L’Italia ha visto, per merito suo, moltiplicarsi il nume-
ro delle associazioni operaie: si forma un movimento organiz-
zativo colle Fratellanze artigiane i congressi delle quali saran-
no, durante un ventennio, la sola manifestazione visibile del-
l'attività mazziniana. il movimento s'imposta su finalità politi-
che e sociali ben precise di cui le principali sono la indissolubi-
lità della questione sociale da quella politica (cioè democrazia
sociale e politica) e l'associazione come principio base di ogni
trasformazione sociale. l' associazione intesa cioè come mezzo
e come fine (società economica in formazione) e la trasforma-
zione sociale come risultato di uno sforzo di elevazione consa-
pevole e progressiva dei lavoratori stessi associati per questo.
Nella formula «libertà e associazione» Mazzini vede il
principio costruttivo di una nuova società: liberamente orga-
nizzata ed economicamente produttiva. Tale società, come egli
la vagheggia, si presenta costituita da una vasta e fitta rete di
associazioni di produttori ugualmente liberi, padroni degli
strumenti della produzione e dei frutti del loro lavoro. L'aboli-
zione del salariato, l'unione del capitale e del lavoro nelle stes-
se mani è quanto con essa verrebbe a realizzarsi ed è il fine
che gli operai debbono proporsi e riuscire a raggiungere. Lo
Stato deve aiutare, facilitare il raggiungimento di quel fine.
“Vidi che a voi bisognava sottrarsi al giogo del salario e fare a
poco a poco, con la libera associazione padrone il lavoro del
suolo e dei capitali d'Italia”. E' chiaro. Non dunque associa-
zione del capitale da una parte e del lavoro dall'altra, come
qualcuno ha, alle volte, creduto d'intendere. «il diritto ai frutti
del lavoro è lo scopo dell'avvenire» -scrive allo spagnolo Gar-
rido nel '62. E spiega: “La riunione del capitale e dell'attività
produttiva sarà un vantaggio immenso, non solo per gli ope-
rai ma per l'intera società perchè aumenterà la solidarietà, la
produzione ed il consumo». Più tardi, rivolgendosi agli ope-
rai, Mazzini dirà: “L'emancipazione degli operai è una rivolu-
zione che si compierà, in nome del principio di associazione,
nell'epoca nostra. Esso darà, compiendosi, un nuovo elemen-
to di vita al progresso morale delle affiacchite generazioni, un
nuovo pegno di forza al nostro sviluppo politico, un nuovo
impulso alla produzione». Il carattere dell'economia nuova che
egli auspica e della quale vuole contribuire a gettare le basi -
a parte il lato sociale che ha pure la sua straordinaria anzi de-
cisiva importanza -è appunto in questo maggiore impulso
che la produzione ne avrebbe ritratto: Mazzini si rende cioè
conto, altrettanto esattamente di un economista della scuola
più ortodossa, che l'abbondanza dei prodotti da ripartire e de-
cisiva per la loro ripartizione sia «il lavoro ordinato ad unifor-
mità di decreti» non contribuisce alla maggiore produzione,
ma “perde ogni stimolo di emulazione e di progresso, d'inte-
resse legittimo”.
Nelle parole “libertà e associazione” è il principio informa-
tore dell'idea sociale di Mazzini, la formula base della nuova
economia come egli la vagheggia. Egli stesso spiega perchè vi
faccia così insistente richiamo. «L' epoca dovendo sommini-
strare un grado di sviluppo maggiore all'associazione civile, è
necessaria 'l'esistenza e l'ammissione di un principio nella cui
fede gli uomini possano riconoscersi affratellarsi, associarsi -
che questo principio dovendo porsi a base della riforma sociale
deve essere necessariamente ridotto ad assioma: e, dimostrato
una volta, sottrarsi all'incertezza e all'esame individuale che
potrebbe, ricavandoli in dubbio ad ogni ora, distruggere ogni
stabilità di riforme: -che a rimanere inconcusso, è d'uopo ri-
vesta aspetto di verità di un ordine superiore, indistruttibi-
le...». Quanto al valore che alla formula «libertà e associazione
così ridotta, ad assioma, può attribuirsi esso è certamente
grande. Non è una formula negativa. E' invece costruttiva. Si
può accettare o rifiutare. Ma quando fosse accettata e applica-
ta come principio di vita segnerebbe un cammino sul quale si
troverebbero anche le soluzioni, tutte le soluzioni.
Il mondo non ha camminato secondo le idee e verso le so-
luzioni pensate da Mazzini. Un esperimento di socialismo di
Stato, anzi di capitalismo di Stato, è praticamente in atto in u-
na parte assai larga del mondo, con il naufragio di ogni princi-
pio di libertà, con la soppressione di ogni forma di autonomia,
d'indipendenza individuale così politica come sociale. Nulla
autorizza ancora a concludere che con esso si realizzi almeno
un più largo ed effettivo benessere: se si realizzasse ciò avreb-
be riferimento allo stomaco mentre il problema sociale non
può ridursi ad un problema di cucina. Sono queste, espressio-
ni di Mazzini. Anche così considerato il problema, non si trat-
terebbe di una cucina molto variata. Mazzini aveva prevedu-
to, come si è detto, a quali risultati avrebbe condotto lo svilup-
po delle dottrine socialiste del suo tempo e come si sarebbe
con esse arrivati ad una nuova schiavitù, forse più assoluta ed
esclusiva dell'antica. Se si pone fin dal principio in netta oppo-
sizione con quelle dottrine, è non già nel fine, e lo dice, ma sul
metodo, sulla via da seguire, sui mezzi e sui modi. La sua
concezione della società economica -fondata sul principio del-
l'associazione e governata dalla libertà -è infatti una concezio-
ne democratica, anzi la sola democratica possibile. Economi-
camente è tutt'altro che imprecisa: risponde, oltre che ad una
tendenza naturale e sviluppatasi nonostante tutto, alle molte..
plici esigenze di una società produttiva e che voglia esserlo
progressivamente. Che la proprietà si diffonda, si generalizzi e
ogni cittadmo acquisti il diritto di possederla, non costituisce
una soluzione meno avanzata dell'altra che vuole che tutti ne
siano spogliati perchè venga assegnata allo Stato. La organiz-
zazione della vita economica in innumerevoli società di pro-
duttori e di consumatori non offre d'altra parte maggiori diffi-
coltà di attuazione di quella che si pensa di organizzare e di
governare burocraticamente dall'alto. Ed è la sola forma di or-
ganizzazione che può salvare il mondo dal despotismo.
************************************

nuvolarossa
03-08-02, 22:07
Il secolo dei comunismi, Milano, Marco Tropea Editore, pp. 542, euro 20,14

“E se il libro nero non avesse detto tutto...”? Il totalitarimo come denominatore per classificare il nazismo e lo stalinismo. In questo libro, vari prestigiosi autori cercano di individuare i tratti distintivi, anziché i punti accomunanti le forme dei regimi fascisti e comunisti. Lo fanno partendo dall’ipotesi che il comunismo possa essere classificato tra le utopie del XX secolo
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tratto dal sito web del
http://www.domusmazziniana.it/ami/
Pensiero Mazziniano

nuvolarossa
06-09-02, 18:55
IL GIUDIZIO DELLA STORIA

di Roberto Mirabelli

Il Kautsky dice e vuoI provare che la verità della dottrina
marxista dipende non tanto dalla verosimiglianza maggiore
o minore delle catastrofi politiche e sociali, o dalla celerità del
processo evolutivo, quanto dalla traiettoria sua, che segna in
avvenire l' eclissi degli strati medi, tra la base e il vertice della
piramide sociale; e per necessità storica il trionfo del colletti-
vismo.
Ma la storia contraddice la teoria di Marx. Ciò sia detto
con tutta la reverenza dovuta ad un valentuomo, di cui altra
volta io ho ricordato che, nella storia del socialismo, occupa
lo stesso posto che Smith in economia politica e Kant nella fi-
losofia o, come ha scritto il Iacoby, Darwin nella biologia.
La storia dà ragione, invece, a Giuseppe Mazzini.
La grande industria non assorbe appunto le piccole e me-
die aziende le quali, per converso, progrediscono.
E così anche gli scambi.
Ma sopra tutto, nell'agricoltura -se consultiamo le statisti-
che europee e transatlantiche -l'evoluzione contemporanea
della proprietà non è in antitesi con i piccoli e medi possessi.
L'industria e il commercio chiariscono un moto di ascensione
più lento verso la grande azienda; -l'agricoltura, dice il Bern-
stein, mostra o l'arresto o una regressione diretta -.
Ed è questa la colossale importanza di Giuseppe Mazzini nella
storia; che il gran movimento della società contemporanea si
svolge in una direttiva economica conforme alla concezione sua
ed antitetica con la concezione marxista.
Onde non hanno, o io m'inganno, guardato bene in fondo
coloro –e, tra questi, anche il Bolton King –i quali credono
che la cooperazione sociale di Giuseppe Mazzini sia transito
al collettivismo marxista.
No. La cooperazione sociale, sotto le varie forme del con-
sumo, della produzione e del decreto -compresa, insieme al-
la mutualità e alla resistenza, nella grande dottrina mazzinia-
na dell'associazione -aborre dal giacobinismo collettivista,
dalla famosa leggenda divoratrice, nella sua forma classica,
di Marx. Il collettivismo non è, per la dottrina di Giuseppe
Mazzini, il termine logico e necessario del movimento socia-
le: la piccola e media proprietà non saranno -come crede lo
Laurès, confutando il Bourguin che ribadisce la tesi del Bern-
stein e del Davis -enveloppèes dans l' atmosphère de la propriètè
collective et sommise au rhythme de la production sociale.
Tra Marx e Mazzini non c'è passaggio, c'è salto; c'è antite-
si -con tendenza di trionfo, nella evoluzione economica del
mondo moderno, per la concezione mazziniana contro la
dottrina marxista.
Ciò rampolla dall'analisi serena, obbiettiva, scientifica de'
fatti sociali, dallo studio positivo delle cose.
E la storia del mondo -diceva lo Schiller -è il giudizio del
mondo.

nuvolarossa
06-09-02, 18:55
IL GIUDIZIO DELLA STORIA

di Roberto Mirabelli

Il Kautsky dice e vuoI provare che la verità della dottrina
marxista dipende non tanto dalla verosimiglianza maggiore
o minore delle catastrofi politiche e sociali, o dalla celerità del
processo evolutivo, quanto dalla traiettoria sua, che segna in
avvenire l' eclissi degli strati medi, tra la base e il vertice della
piramide sociale; e per necessità storica il trionfo del colletti-
vismo.
Ma la storia contraddice la teoria di Marx. Ciò sia detto
con tutta la reverenza dovuta ad un valentuomo, di cui altra
volta io ho ricordato che, nella storia del socialismo, occupa
lo stesso posto che Smith in economia politica e Kant nella fi-
losofia o, come ha scritto il Iacoby, Darwin nella biologia.
La storia dà ragione, invece, a Giuseppe Mazzini.
La grande industria non assorbe appunto le piccole e me-
die aziende le quali, per converso, progrediscono.
E così anche gli scambi.
Ma sopra tutto, nell'agricoltura -se consultiamo le statisti-
che europee e transatlantiche -l'evoluzione contemporanea
della proprietà non è in antitesi con i piccoli e medi possessi.
L'industria e il commercio chiariscono un moto di ascensione
più lento verso la grande azienda; -l'agricoltura, dice il Bern-
stein, mostra o l'arresto o una regressione diretta -.
Ed è questa la colossale importanza di Giuseppe Mazzini nella
storia; che il gran movimento della società contemporanea si
svolge in una direttiva economica conforme alla concezione sua
ed antitetica con la concezione marxista.
Onde non hanno, o io m'inganno, guardato bene in fondo
coloro –e, tra questi, anche il Bolton King –i quali credono
che la cooperazione sociale di Giuseppe Mazzini sia transito
al collettivismo marxista.
No. La cooperazione sociale, sotto le varie forme del con-
sumo, della produzione e del decreto -compresa, insieme al-
la mutualità e alla resistenza, nella grande dottrina mazzinia-
na dell'associazione -aborre dal giacobinismo collettivista,
dalla famosa leggenda divoratrice, nella sua forma classica,
di Marx. Il collettivismo non è, per la dottrina di Giuseppe
Mazzini, il termine logico e necessario del movimento socia-
le: la piccola e media proprietà non saranno -come crede lo
Laurès, confutando il Bourguin che ribadisce la tesi del Bern-
stein e del Davis -enveloppèes dans l' atmosphère de la propriètè
collective et sommise au rhythme de la production sociale.
Tra Marx e Mazzini non c'è passaggio, c'è salto; c'è antite-
si -con tendenza di trionfo, nella evoluzione economica del
mondo moderno, per la concezione mazziniana contro la
dottrina marxista.
Ciò rampolla dall'analisi serena, obbiettiva, scientifica de'
fatti sociali, dallo studio positivo delle cose.
E la storia del mondo -diceva lo Schiller -è il giudizio del
mondo.

Garibaldi
09-09-02, 08:44
Marx e' passato di moda!!!!!!

Garibaldi
09-09-02, 08:44
Marx e' passato di moda!!!!!!

nuvolarossa
31-10-02, 20:00
Sezione G. Ghidoni Riccione – Valconca
Seminari di “ Cultura Politica e Comunicazione”

Due volti, due utopie rivoluzionarie :
Mazzini e Marx


Relatori: Prof. Roberto Balzani (Docente Universitario- Storico)
“Comitato Promotore busto di Carlo Marx di Riccione”
Dott. Orio Rossetti - Presidente Bruno Cesarini
Moderatore: Dott. Thomas Casadei (Redattore del “Pensiero Mazziniano”)

Divisi su tutto, grandi nemici, solo una questione li unì, ma per poco:
La questione operaia.
Infatti furono assieme nella costituzione della Prima Internazionale operaia di Londra, ma non d’accordo.

Per Marx il capitale era un furto, uno sfruttamento dei salariati da parte del capitalista.
Per Mazzini invece, collaborazione tra impresa e lavoro; Capitale e lavoro nelle stesse mani. Per cui vi è l’idea dell’interclassismo.

Fra i due vi furono offese, insulti e calunnie.

Marx materialista ed ateo, Mazzini spiritualista, personalista, inclinato alla questione morale.

A chi la storia abbia dato ragione ?

LUNEDI’ 4 NOVEMBRE
ore 21.00
HOTEL CORALLO
RICCIONE VIALE GRAMSCI 113
(Zona Terme)

Per informazioni ed iscrizioni
tel. (338-9070123)

agaragar
31-10-02, 22:35
Originally posted by Garibaldi
I socialcomunisti devono mettersi il cuore in pace ma, purtroppo per loro, marx e' "opassato di moda".

ocerto, oinfatti oanche in ogalera oci osono opiù orepubblicani che omarxisti....

nuvolarossa
31-10-02, 23:16
ocerto, oinfatti oanche oin ogalera oci osono opiù orepubblicani oche omarxisti....
----------------------------------------------------------------------------
omissioni volute o invidia degli errori grammaticali di Garibaldi ?

agaragar
01-11-02, 00:11
Originally posted by nuvolarossa
ocerto, oinfatti oanche oin ogalera oci osono opiù orepubblicani oche omarxisti....
----------------------------------------------------------------------------
omissioni volute o invidia degli errori grammaticali di Garibaldi ?
era errore di ortografia non grammaticale :rolleyes:

Alberich
01-11-02, 04:12
Originally posted by Garibaldi
Marx e' passato di moda!!!!!!

speriamo che, finalmente, Mazzini diventi di moda, allora... ;)

nuvolarossa
02-11-02, 11:50
Questa richiesta e' di Clara Ermeti....chi ha soluzioni, proposte o suggerimenti puo' mettersi in contatto con lei al numero (338-9070123)
---------------------------------------------------------------------------------
RICCIONE - Nella mia città, nel parco comunale, è stato predisposto uno spazio denominato "L'angolo dei grandi filosofi" nel quale si potranno posare dei busti di grandi pensatori della storia. Naturalmente i Marxisti ne hanno uno pronto che deporranno presto.
Noi, in qualche vecchia sezione repubblicana o mazziniana,
ne abbiamo uno di Mazzini da installare a Riccione ??
Sarebbe bello, fare così anche una cerimonia a Mazzini.

Fatemi sapere!
Grazie e fraterni Saluti

Clara Ermeti

nuvolarossa
03-11-02, 16:05
Ami: faccia a faccia tra
Mazzini e Marx


Faccia a faccia tra mazziniani e marxisti! Non è il nuovo film di Almodovar ma una serata, aperta a tutti (domani alle 21 all'hotel Corallo, zona Terme), organizzata dall'Ami, Associazione mazziniana. Titolo: «Due volti, due utopie rivoluzionarie: Mazzini e Marx» (Carl). Relatori Roberto Balzani (storico e docente universitario), Orio Rossetti e Bruno Cesarini (presidente del Comitato pro-busto di Marx a Riccione), Thomas Casadei (redattore de 'Pensiero mazziniano').

nuvolarossa
04-08-03, 11:43
Emilio Costa, L’archivio della Società Operaia di Mutuo soccorso universale “Giuseppe Mazzini” di Sampierdarena, in “Rassegna storica del Risorgimento”, gennaio-marzo 2002

Un analitico e documentatissimo saggio sulla storia della Società operaia di Sampierdarena, interprete concreta del motto mazziniano “Pensiero e Azione”. In calce al saggio sono riprodotte lettere di Mazzini, Saffi, A. Cairoli, Campanella, Gnocchi Viani.

tratto dal sito web del
PENSIERO MAZZINIANO (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
09-03-04, 11:38
Dietro quella barba austera si celava un uomo dalla personalità tormentata e complessa, ma anche un amante appassionato

Che errore ridurre Mazzini a un santino

di SERGIO LUZZATTO

Nella grande mostra sui Macchiaioli appena chiusa a Padova, un quadro merita più di ogni altro d’essere guardato con attenzione e - in fondo - con venerazione. È il Mazzini morente dipinto da Silvestro Lega nel 1873. Il 10 marzo dell’anno prima, quando l’indomito leader repubblicano si era spento a Pisa, dove abitava sotto mentite spoglie per ingannare la polizia sabauda, il più dotato dei Macchiaioli si era precipitato sul posto da Firenze. Pellegrino fra i tanti nella camera ardente, Lega aveva abbozzato sul posto un ritratto funebre cui aveva rimesso mano durante i mesi successivi, scegliendo però, retrospettivamente, di fare del morto un morituro: di Mazzini cadavere, appunto un Mazzini morente . Ciò che rende straordinaria questa tela è la scelta - consapevole quanto coraggiosa - di rappresentare il trapasso di un capo politico nel più impolitico dei modi, come la fine di un uomo qualunque. Proprio in quanto mazziniano fervente, Lega volle sottrarre Mazzini alla retorica dell’uomo d’eccezione. Lontanissimo il morente di Lega dall’icona dell’eroe caduto per la causa, come il famoso Marat di David sanguinante nella vasca da bagno. Per ascendere all'Olimpo della storia, il Mazzini macchiaiolo non ha bisogno di morire ammazzato, né ha bisogno di subire il martirio con la scandalosa nudità del Nazareno; chino sul fianco e ravvolto in uno scialle, il vecchio rivoluzionario può ben cercare un po' di calduccio prima di incontrare il freddo della morte.
Da subito dopo essere stato dipinto, il quadro di Lega incontrò scarso favore di pubblico. Orfani del loro leader, i mazziniani stessi faticarono ad apprezzare l'icona di un anti-eroe. In quegli anni Settanta dell'Ottocento, in quell’Italia unita di fresco sotto lo scettro di Casa Savoia, i devoti del credo repubblicano - pochi o tanti che fossero - preferirono aggrapparsi al santino del Mazzini nerovestito, monaco laico, pensoso predicatore di un'integerrima Repubblica a venire. Il medico patriota Agostino Bertani promosse addirittura l'imbalsamazione dei resti mortali di Mazzini, cercando (invano) di fare del corpo del leader un pietrificato monumento. Quanto al ritratto di Lega, neppure una colletta promossa dagli amici dell'artista bastò a procurare un compratore italiano. Il Mazzini morente finì per imboccare - come già il suo soggetto - la strada dell'esilio. Passando dall'Inghilterra, approdò infine negli Stati Uniti d'America. Ora che la mostra padovana dei Macchiaioli ha chiuso i battenti, chi vorrà vederlo dovrà raggiungere il remoto museo di Providence, nel Rhode Island.
La prolungata sfortuna del quadro di Lega può ben valere da metafora della difficoltà generale di guardare alla figura di Mazzini senza le lenti del mazzinianesimo. Perché, dell'agitatore genovese, i seguaci hanno perlopiù veicolato un'immagine stereotipata e, da ultimo, involontariamente caricaturale: l'immagine fatta propria già da Giosuè Carducci, dell'«uomo / che tutto sacrificò / che amò tanto / e molto compatì / e non odiò mai». Mentre il vero Mazzini fu personaggio tutt'altro che lacrimevole e dolciastro: al contrario, fu sanguigno e pugnace. Soprattutto - di là dai risvolti di carattere - fu un uomo non semplice, ma complicato; a volte coerente, più spesso contraddittorio. Ed è proprio attraverso le sue contraddizioni che Mazzini continua a parlarci, e ad avere cose da dirci.
Oggi più ancora che in passato, la ragione prima dell'attualità di Mazzini risiede nell'originalità di una scelta di vita che fece di lui il più europeo fra gli italiani dell'Ottocento, e insieme il più italiano degli europei. Fin da quando la militanza repubblicana lo costrinse a lasciare la madrepatria, dapprima per la Francia, poi per la Svizzera e l'Inghilterra, l'orizzonte di Mazzini fu quello continentale. Nell’immaginazione o nella realtà, nell’astratto degli scenari ideali o nel concreto delle mene politiche, nella poesia dei progetti o nella prosa delle insurrezioni, il suo mondo si andò popolando non soltanto di italiani, ma di polacchi, tedeschi, scandinavi, slavi… Tuttavia, la generosa visione di un'Europa federale e democratica non liberò Mazzini dall'angustia di una prospettiva nazionalistica, che lui stesso contribuì anzi a nobilitare: quella di un'Italia egemone grazie ai rinnovati fasti di Roma. Il suo problema era il nostro: non sempre, la volontà di sentirci europei vince la voglia di scoprirci italiani.
Una seconda ragione per cui Mazzini continua a parlarci è la singolare sua condizione di cristiano senza Chiesa. Naturalmente, noi non possiamo sapere che cosa egli avrebbe voluto scrivere, se mai avesse potuto, nel preambolo di una Costituzione europea: se oggi si direbbe favorevole o contrario alla menzione nella Carta del nome di Dio, o all’esplicito riconoscimento del patrimonio giudaico-cristiano come struttura identitaria dell'Europa moderna. In compenso, sappiamo che più a fondo di qualunque altro uomo politico dell’Ottocento Mazzini si impegnò per fondare una religione civile che accomunasse cattolici e laici, musulmani ed ebrei. A un secolo e mezzo di distanza, le cronache quotidiane - dalla Francia del velo all'Italia del crocifisso - ci ricordano quanto la battaglia mazziniana resti dura da vincere.
Perfino nei suoi rapporti con le donne, la personalità di Mazzini guadagna dall'essere riscoperta come ardente piuttosto che ascetica, e intricata piuttosto che risolta. Niente di più falso, né di più noioso, dell'icona risorgimentesca di un Mazzini che dall'esilio londinese unicamente pensava alla vecchia madre lontana; movimentata, al contrario, la vita sentimentale (e sessuale) di questo rivoluzionario di professione. Del resto, l'esule di Londra non esitò a organizzare politicamente le donne che gli erano intorno, né a reclamare per loro il diritto all’istruzione e il diritto di voto. Il che non basta certo a farne un «femminista», se è vero che della donna Mazzini coltivò soprattutto l'immagine della produttrice e dell'allevatrice di bambini, altrettanti figli della patria.
Un ulteriore ingrediente della personalità di Mazzini merita di venire ricordato, a testimonianza della sua stupefacente attualità: le grandi doti di comunicatore. Con netto anticipo sui tempi della politica ottocentesca, l'agitatore repubblicano misurò l'importanza del ruolo che i nuovi media - dalle fotografie ai giornali popolari - erano destinati a rivestire nell’età delle masse. Così, Mazzini promosse, dall'Inghilterra, qualcosa come un merchandising della sua propria immagine: ritratti, autografi, cimeli la cui vendita era intesa a finanziare il movimento repubblicano. Idea geniale, che finì tuttavia per alimentare anche troppo la devozione dei seguaci verso il leader carismatico.
L'anno prossimo, saranno passati duecento anni dalla nascita di Giuseppe Mazzini. C'è da augurarsi che le celebrazioni di rito non si riducano ancora a gesti rituali. In fondo, sarebbe bello che gli italiani del 2005 sapessero volgersi verso la figura storica di Mazzini con la libertà di sguardo di un Silvestro Lega. Per riconoscere in lui non un eroe da monumento, ma un uomo in carne e ossa; e per ritrovare nei suoi tratti l'incarnazione sofferta di tanti problemi del nostro tempo.

nuvolarossa
26-03-04, 11:29
Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara
Associazione Mazziniana Italiana (O.N.L.U.S.) Sez. di Massa-Carrara
Con il Patrocinio di
Provincia di Massa-Carrara. Assessorato alla Cultura.
Comune di Massa. Assessorato alla Cultura e Promozione della città.
Comune di Carrara. Assessorato alla Cultura.

Invitano alla presentazione del volume di

Michele Finelli

Il monumento di carta. L’Edizione Nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini
Pazzini Editore, Rimini, 2004.

Realizzato con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara

Massa, Sala della Resistenza, sabato 3 aprile 2004

Ore 16.00

Saluto delle autorità.

Interventi di:

Prof. Roberto Balzani, docente di Storia Contemporanea, Università degli Studi di Bologna; Presidente Nazionale Associazione Mazziniana Italiana

Prof. Giuseppe Marchetti Tricamo, Eri-Rai, pubblicista.

Prof. Giuseppe Talamo, Presidente Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano

Prof. Alessandro Volpi, docente di Geografia Economica e Storia Economica, Facoltà di Scienze Politiche, Università degli Studi di Pisa.

Conclusioni di:

Michele Finelli

nuvolarossa
06-02-05, 12:09
LA PROFEZIA DI MAZZINI SUL COMUNISMO

RUGGERO GUARINI

Cari mazziniani romani, suppongo che in questi giorni anche voi, come tutti i vostri confratelli, stiate cercando di farvi venire un’idea per offrire un contributo originale alle celebrazioni previste in tutta Italia per il bicentenario della nascita del loro eroe eponimo. Ebbene, un’idea potrebb’essere questa: perché non indite una giornata di studi dedicata interamente all’analisi e al commento di quella che a mio sommesso parere è la più memorabile delle sue pagine? Temo che i mazziniani che conoscono questa pagina siano quattro gatti. Si tratta infatti di uno dei tanti articoli che Mazzini scrisse negli anni del suo esilio inglese e sui quali solo molto di recente è caduta l’attenzione degli studiosi. In quell’articolo (l’ultimo dei sei che pubblicò fra l’agosto del ’46 e l’aprile del 1847 sul "People's Journal" di Londra) Mazzini assestò una micidiale mazzata a tutti quegli scrittori politici che durante il dibattito sul comunismo, in quegli anni vivacissimo in Europa, tendevano a escludere che l’idea comunista potesse sfociare in un una perfetta tirannia. Ma ecco la frase più stupefacente di quello scritto: «Con il comunismo avrete una centralizzazione con una gerarchia arbitraria di capi con l’intera disponibilità della proprietà comune, con il potere di decidere circa il lavoro, la capacità, i bisogni di ciascuno. E questi capi, imposti od eletti, poco importa, saranno, durante l’esercizio del loro potere, nella condizione dei padroni di schiavi degli antichi tempi; e influenzati essi medesimi dalla teoria dell’interesse che rappresentano, sedotti dall’immenso potere concentrato nelle loro mani, si sforzeranno di riassumere per mezzo della corruzione la dittatura delle antiche caste». Queste poche righe abbaglianti per la loro esattezza, concisione e lungimiranza le ho appena lette sfogliando un librettino fresco di stampa dello storico Salvo Mastellone (ìPensieri sulla democrazia in Europa”, Feltrinelli). Esso contiene i sei articoli citati e un saggio introduttivo in cui si dimostra che Mazzini, con questi testi, dei quali si è finora misconosciuto il valore, si inserì con grande autorità nel grande dibattito sulla democrazia, che allora ferveva in Europa, accanto alle grandi star (Tocqueville, Proudhon, Cabet, Blanqui) di quella disputa memorabile. Sempre Mastellone sostiene fra l’altro che il ìManifesto dei comunisti” di Marx nacque in parte come reazione all’influenza che a suo parere Mazzini, dal suo esilio londinese, esercitava in quegli anni su tutti i movimenti democratici europei. Ipotesi, questa, non meno inedita che verosimile. Sulla sua fondatezza non ho però nessun titolo per pronunciarmi. Credo invece di averne più di uno per sostenere che la frase sopra riportata, per la sua concisa esattezza diagnostica, sia la più strepitosa profezia che sia mai stata pronunciata sul miraggio comunista. «Oltre centocinquanta anni fa – dice Salvo Mastellone – Mazzini previde la formazione della nomenklatura sovietica”. Be’, fece qualcosa di più. Previde l’esito fatalmente totalitario di ogni possibile forma di comunismo e di socialismo. E di quel tragico morbo tracciò una diagnosi non meno succinta che perfetta ed esaustiva circa un secolo prima che producesse tutti i suoi tragici effetti.

nuvolarossa
10-02-05, 22:06
Mazzini avversario di Marx: una prospettiva rimossa

di Riccardo Bruno

E’ stato un convegno importante quello che il Partito repubblicano ha dedicato a "Mazzini nostro contemporaneo", in occasione della ricorrenza della Repubblica Romana, a Roma, presso la Sala delle Colonne della Camera dei deputati.

La lezione di Salvo Mastellone, che resta il più importante studioso dell’opera mazziniana al mondo, era tesa a dimostrare la rilevanza internazionale che Mazzini aveva assunto presso l’élite intellettuale britannica in anni cruciali, quali quelli dal 1844 al ‘47. Anni che precedettero i principali moti insurrezionali, politici e culturali in Europa. Mastellone sostiene che in quel il momento si apre lo scontro fra Mazzini e Marx, in maniera talmente aspra da provocare una frattura nel filone democratico rivoluzionario, che non sarà mai più ricomposta. Non solo, ma che l’opera politica di Marx, il Manifesto del partito comunista, muove dalla necessità di una risposta all’iniziativa di Mazzini e dal suo tentato appeal presso le classi emergenti, inclusa quella operaia.

Il problema storico assume un rilievo importante. Se Mazzini avesse dovuto mai seguire pedissequamente lo schema rivoluzionario marxiano, vista l’esiguità del movimento operaio nel nostro paese, e l’arretratezza del suo mondo agrario, egli avrebbe solo potuto sognare l’indipendenza italiana. Se mai Mazzini avesse pensato di appoggiarsi al proletariato contro la borghesia, nemmeno in cent’anni si sarebbe fatta l’unità d’Italia. Per cui non è per lui possibile accettare lo schema della lotta di classe, senza compromettere la stessa possibilità di unità nazionale. Marx ha di fronte a sé la realtà di grandi paesi già indipendenti ed industrializzati, e dunque punta direttamente ad una trasformazione radicale del loro equilibrio interno, considerando, in verità, un solo riflesso meccanico: il capitalismo produce miseria, perché sono pochi i proprietari dei beni di produzione, e molti gli sfruttati. Un argomento che su Mazzini non eserciterà mai nessuna fascinazione, non per ragioni di insensibilità sociale, ma perché il suo giudizio è più positivo sulla capacità di evoluzione del capitalismo. Quello che a Marx appare un furto (la proprietà privata) a Mazzini sembra una condizione di realizzazione, mentre ciò che per Marx è un peso, per Mazzini è un motore. Visioni contrastanti che non possono stare insieme nemmeno un momento. "Le riflessioni sulla democrazia in Europa" avranno la caratteristica di fissare il massimo punto polemico con le nuove dottrine propugnate da Karl Marx. Da qui la risposta del Manifesto comunista. Non abbiamo molte possibilità di conoscere presso di noi con esattezza tutto questo percorso storiografico, perché l’opera di Mastellone "Mazzini e Marx" è pubblicata - e con successo - in America, ma non in Italia. Nel nostro Paese il professor Mastellone è fondamentalmente boicottato da editori ed istituzioni. Ha fatto piacere la dichiarazione d’intenti dell’onorevole Adornato, durante il convegno, volta a voler affrontare questo caso. E’ però evidente che la scelta di aver seguito lo sviluppo del pensiero mazziniano, discriminato dalla cultura antifascista nel suo complesso, che lo ha letto come una provinciale anticipazione del nazionalismo, ha penalizzato anche l’attività di chi lo ha studiato profondamente con qualche frutto. A questa marginalizzazione del pensiero mazziniano hanno infatti contribuito Gobetti, Croce, Gramsci, Togliatti e, per ovvie ragioni, tutti gli intellettuali cattolici. Le manifestazioni che il comitato ha affidato alla guida sapiente e partecipe dell’amico Stelio De Carolis, promosse nell’arco di quest’anno, tendono a colpire questo sentimento di avversione che è stato fatto calare su Mazzini, non soltanto per la sua idea nazionale, che solo una forzatura può tradurre nel nazionalismo, ma in quanto oppositore del socialismo e del potere del papato, in una Italia in cui i socialisti ed i seguaci della chiesa erano almeno il 70 per cento della popolazione. In certi casi l’80. Magari Mazzini non diventerà mai patrimonio di tutti, anche se lo spessore di uno dei principali protagonisti dell’800 è tale da poter avere - una volta posto nella sua giusta luce storica - ragioni di maggior successo. Il professor Balzani, durante il convegno romano, ha parlato di "secolarizzazione" di Mazzini. Un processo che potrebbe per lo meno consentire di restituirlo nella sua piena integrità ai repubblicani.
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA/STARTREK.mid

nuvolarossa
11-02-05, 00:26
Il profeta repubblicano/Riportare il grande esule genovese in una esatta prospettiva storica

Punto di riferimento dopo la crisi del socialismo

Intervento pronunziato durante il convegno "Mazzini nostro contemporaneo", che si è svolto a Roma, Sala delle Colonne, Camera dei deputati, il 9 febbraio 2005.

Ieri abbiamo pubblicato l’intervento del segretario nazionale del Pri Francesco Nucara. Nella stessa giornata si sono succeduti gli interventi di Salvo Mastellone, Ferdinando Adornato, Roberto Balzani, Luigi Lotti, Luigi Marino.

di Giorgio La Malfa

Nel suo messaggio di fine anno il Presidente della Repubblica ha ricordato che ricorre nel 2005 il bicentenario della nascita di Giuseppe Mazzini ed ha invitato a ricordarne la figura e l’opera. Per il Partito repubblicano italiano, che è l’erede diretto del mazzinianesimo, il 9 febbraio - ricorrenza della Repubblica Romana - è da sempre occasione per il ricordo di Giuseppe Mazzini. Ed è questo che abbiamo voluto fare anche quest’anno. Ma, invitando un folto gruppo di studiosi, intellettuali e politici, molti dei quali - e noi li ringraziamo particolarmente per la loro presenza qui oggi - non provengono dalle nostre file e appartengono a filoni culturali diversi dal nostro, abbiamo voluto evitare una semplice celebrazione.

Noi riteniamo che vi siano due aspetti del pensiero di Giuseppe Mazzini, ovviamente fra loro connessi, che debbono però essere esaminati con grande attenzione e tenuti distinti.

Vi è da un lato il Mazzini apostolo dell’unità nazionale italiana o della repubblica, pensatore e nello stesso tempo organizzatore dei moti risorgimentali, strettamente legato al problema italiano, idealista nel fissare i traguardi della propria azione, ma anche realista nell’apprezzare tutte le possibilità di progresso della causa. Questo è il Mazzini più noto e più studiato nell’Italia liberale ed anche nel secondo dopoguerra, che ha avuto ed ha i suoi estimatori ed i suoi detrattori, ma che comunque occupa un posto ben definito sia nella storia della formazione d’Italia, sia in quella delle idee che hanno preceduto ed accompagnato il moto risorgimentale. Ma vi è un secondo Mazzini pensatore politico, a contatto con il pensiero europeo del suo tempo, critico da un lato del liberismo individualista di Bentham, e dall’altro delle idee socialiste di Proudhon, di Fourier e, soprattutto, Carlo Marx. Noi vogliamo approfondire il pensiero di questo Mazzini, intellettuale europeo e pensatore sul tema della democrazia, dal punto di vista dei suoi fondamenti, dei suoi contenuti e dei suoi valori. Questo secondo Mazzini, che ovviamente gli studiosi conoscono, ma che è stato sovrastato nella ricostruzione del suo pensiero dalla figura dell’apostolo del Risorgimento, è - noi crediamo - un pensatore moderno che può parlare dei problemi delle democrazie dell’oggi. Per questo motivo abbiamo chiesto al professor Salvo Mastellone, che a questo aspetto del pensiero di Mazzini ha dedicato da molti anni la sua attenta opera di studioso, di voler introdurre la nostra discussione.

Questo Mazzini pensatore politico "in inglese" - per usare il titolo del libro recente di Mastellone, che è anche il curatore dei "Pensieri sulla democrazia in Europa", edito da Feltrinelli - a noi appare, dopo la crisi dell’idea socialista, come un polo, un punto di riferimento importante. Del resto, qualche anno fa, fui colpito dal titolo di copertina dell’austero "Times Literary Supplement" che, sotto ad una stampa raffigurante Mazzini, usava l’espressione "Mazzini nostro contemporaneo". In sostanza, il tema sul quale oggi vorremmo ascoltare i nostri cortesi interlocutori è se, e in che misura, Mazzini possa essere considerato un nostro contemporaneo, e come certi suoi pensieri, non solo quelli sull’unità d’Italia, né solo quelli sull’unità europea, ma quelli sui valori sociali che debbono improntare le democrazie, rivestano un perdurante interesse.

nuvolarossa
09-05-05, 10:53
L’altro Mazzini: l’Europeismo democratico

Dal 1860 gli studiosi del Risorgimento si sono posti l’interrogativo: “Chi è Mazzini?”. Come storico del pensiero politico europeo mi permetto di ricordare che nel giugno 1844 nel Parlamento inglese – Camera dei comuni e Camera dei lords – si aprì un dibattito sulle lettere aperte dalla polizia a Joseph Mazzini, che era a Londra dall’inizio del 1837, e l’opinione pubblica inglese si chiese se l’esule piemontese fosse veramente “a dangerous conspirator” come sosteneva l’ambasciatore austriaco. La “Westiminster Review” all’interrogativo “Who is Joseph Mazzini?” nel numero di settembre del 1844 rispose che l’etica di Mazzini non era l’etica dei politici (Mazzini and the Etics of Politicians): “He was rejoying the confidence and personal friendship of many of our ablest literary men”. Nessun profugo aveva ricevuto un simile elogio. Come mai? Mazzini, da quando nel 1839 aveva cominciato a pubblicare in inglese, ebbe due grandi centri d’informazione politico culturale: Thomas Carlyle, che inviò nel giugno 1844 una lunga lettera al “Times”, e John Bowling, deputato in Parlamento, fondatore con Mill della “Westminster Review”, curatore delle opere di Bentham. Il dibattito in Parlamento si prolungò fino all’aprile 1845, ed il ministro Graham dovette formulare delle scuse a questo scrittore politico.
Nel giugno 1845 Mazzini per fare conoscere agli Inglesi il suo pensiero politico scrisse e pubblicò un lungo saggio di 136 pagine Italy, Austria and Pope. Si ripete, erroneamente, che questo scritto non ebbe circolazione, ma in otto numeri, dal 19 luglio al 27 settembre 1845, lunghi brani del testo di Mazzini, tutti favorevolmente commentati, furono pubblicati dal “Northern Star”, il settimanale cartista, che sembra tirasse a cinquantamila copie a numero. Il “Northern Star” nel numero del 2 novembre 1845 su quattro colonne, così presentava Mazzini: “One of the principal representatives of the democratic principles; the working classes sympatise with Mazzini”. Egli era, ormai, uno scrittore politico democratico in lingua inglese. Per avere notizie più precise di questo scrittore mi sono andato a leggere pazientemente “The Northern Star”, che nessuno studioso di Mazzini mi risulta abbia consultato, ed in particolare per conoscere i rapporti di Mazzini con il condirettore del “Northern Star” Julian Harney, giovane cartista di sinistra, il cui nome non compare nell’indice dei nomi dell’Edizione nazionale degli Scritti di Mazzini, anche se esiste una corrispondenza di Harney con Mazzini, che recentemente ho pubblicato in onore dell’amico Scirocco. E’ da notare che Engels e Marx, dall’agosto del 1845, erano in relazione con Harney, il quale nell’ottobre 1845 fondò l’associazione inglese dei “Fraternal Democrats”, come risulta dagli Harney Papers. Per tali circostanze il triangolo tradizionale marsigliese Sansimonismo-Buonarroti-Mazzini, dal 1845 diventa a Londra il triangolo Cartismo-Marx-Mazzini. Su questo triangolo ho insistito nel volume Mazzini and Marx,1837-1847 (Westport Praeger, 2003), polemico verso gli studiosi del Cartismo e del Manifesto comunista.
I cartisti, dopo la pubblicazione in inglese dell’opera di Tocqueville (Democracy in America, London 1835), dal 1837 sostenevano che era possibile introdurre la democrazia – forma di società e non forma di governo – in Inghilterra, se il Parlamento avesse accolto i sei punti sottoscritto dalla “Working Men’s Association”. Mazzini era convinto, come aveva scritto in inglese nel 1840, che la democrazia in Europa sarebbe nata da una rivoluzione, e non da sei articoli costituzionali. Con lo scritto Italy Austria and the Pope, Mazzini, precisando in inglese che in Italia la rivoluzione sarebbe stata nazionale e politica, come la “Glorious Revolution” del 1688, avviò un dibattito tra i profughi politici sul tipo di rivoluzione che avrebbe dato vita in Europa alla democrazia. I democratici polacchi rifugiati a Londra, con un Poland’s Appeal to Europe, pubblicato nel “Northern Star” del 13 dicembre, risposero, infatti: “The next revolution in Poland must and will be social, as well as political and national”, in quanto i nobili avevano “the full and inconditional property of the soil”. La finalità antinobiliare fu confermata dal Cracow Manifesto, emanato il 22 febbraio 1846 in polacco, e pubblicato in inglese nel numero del 14 marzo dal “Northern Star”: “The nation shall have the absolute property of the land which today is only enjoyed by some”; la nazionalizzazione della terra avrebbe prodotto un comunismo agrario.
Il ventottenne Marx e il ventisettenne Engels, che leggevano il “Northern Star”, ed erano in rapporti epistolari con Harney, ritennero opportuno intervenire da Bruxelles nel dibattito londinese sulla nascita rivoluzionario della democrazia in Europa per precisare la posizione del comunismo critico tedesco: la rivoluzione sarebbe scoppiata in Inghilterra, il paese della produzione industriale e fatta dal proletariato contro la borghesia. Il “Northern Star” del 25 luglio 1846, in prima pagina, pubblicò Address of the German Democratic Communists of Brussels to Mr. Feargus O’Connor, firmata Engels e Marx, in cui si affermava: “The working class will become the ruling class of England”. Mazzini replicò con una Letter to John Saunders, direttore del “People’s Journal” e con otto articoli dal titolo Thoughts upon Democracy in Europe. Nel primo articolo, pubblicato nel “People’s Journal” del 29 agosto 1846, che è una specie di Address to John Saunders, Mazzini affermava: “Un innegabile movimento democratico sta spingendo l’Europa, e con l’Europa il mondo, verso nuovi destini; la democrazia non solo può fornire le idee fondamentali necessarie per l’avvenire dell’Europa, ma può liberare i popoli dal dispotismo, ed orientare ‘ever country’ verso la ‘Humanity’”. Questi Thoughts upon Democracy, che uscirono dall’agosto 1846 al giugno 1847, sono stati tradotti da me per Feltrinelli e la seconda edizione è appena uscita. Nel Pensieri sulla Democrazia in Europa, che richiamano alla memoria la Democracy in America di Tocqueville, tradotta in inglese, Mazzini non è il patriota che esorta i giovani italiani in nome della patria contro lo straniero: è lo scrittore politico democratico europeo, che discute con Carlyle e con Mill, con Bowling e con Cooper, con Harney e con O’ Condor, ma anche con i democratici polacchi e con i democratici comunisti tedeschi. E’ da aggiungere che nel maggio 1846 Mazzini scriveva allo svizzero Schneider, a Berna, che intendeva costituire un Comitato europeo democratico e tenere un congresso che si sarebbe concluso con un Manifesto, forse in polemica con i Fraternal Democrats, che si erano trasformati in un’associazione europea. Certo è che nel numero del 2 settembre 1846 del “Northern Star” era espresso un giudizio negativo sul primo articolo di Mazzini, ed era pubblicato un Address of the Fraternal Democrats of the Democrats of all Nation. Da parte sua Mazzini nel corso del 1847 diede vita alla People’s International League. Il 2 ottobre 1847 il “Northern Star” pubblicò un Manifesto to the Democracy of Europe dei Fraternal Democrats in polemica con la mazziniana League. Engels e Marx lessero e commentarono questo Manifesto inglese; così si spiega perché Marx polemizzò con Mazzini nel Manifest der Kommunistischen Partei, pubblicato a Londra nel febbraio 1848, ma non sottoscritto. Per tutta la questione rimando al mio saggio: Nortern Star, Fraternal Democrats e Manifest der Kommunistichen Partei, che uscirà nel prossimo numero della rivista “Il pensiero politico”. Se si trascura il dibattito londinese sulla democrazia non si può intendere il valore europeo della costituzione della “Roma Democratic Republic”, promulgata il 3 luglio 1849 e così recepita in inglese: “The democratic regime has, as its rule, equality, liberty and fraternità; the democratic republic promotes the amelioration of moral anda material conditions for alla citizens; the government of the local councils have equal rights”.
Il dibattito in inglese sulla democrazia andò avanti dopo il 1848, come si potrà rilevare da volume Mazzini scrittore politico in inglese, pubblicato da Olschki. Né gli studiosi di Marx, né quelli di Mazzini hanno notato che nella rivista inglese “The Red Republican” si legge a pagina 94 un Mazzini’s Manifesto (numero di settembre 1850) che è la traduzione in inglese del Manifesto scritto dai “citizens Marx and Engles”, ed è sottolineato in corsivo, quasi in risposta: “The conquest of Democracy is the elevation of Proletariat to the state of the ruling class”. Aggiungo che, nel gennaio 1851, uscì a Londra una rivista inglese mazziniana. In conclusione ritengo valido il giudizio dato su Mazzini 150 anni fa dalla pubblicistica inglese: “uno scrittore politico democratico europeo”. E’ triste dire che l’Oxford English Dictionary (volume IV, pagina 44) alla voce “Democracy” ricorda: “Progress of all through all under the leading of the best and wisest was Mazzini’s definition of democracy”. Nessun dizionario enciclopedico italiano riporta questa definizione della democrazia data da Mazzini. Come autore della Storia della democrazia in Europa, della quale Utet pubblica la terza edizione, ricordo che per Mazzini “the final aim of Democracy” in Europa deve essere “the development” della “social life” per “the future prospects” della “Humanity” (XXXIV, p.127).

Salvo Mastellone

nuvolarossa
19-05-05, 12:09
Nuova tesi che sarà illustrata dallo studioso Salvo Mastellone in un convegno domani a Firenze

Marx nel Manifesto rispondeva a Mazzini

Scontro fra comunismo e democrazia sui giornali inglesi dell'epoca

Maurizio Naldini

Q uali furono i veri rapporti fra Marx e Mazzini? Nella Londra di metà Ottocento, luogo di incontro di esuli e pensatori politici di ogni parte d'Europa, quale ruolo svolse il fondatore della Giovine Italia? Salvo Mastellone, docente di storia delle dottrine politiche a Firenze, dopo lunghe ricerche nei giornali “cartisti” della sinistra operaia londinese di allora, si è convinto che Mazzini —Joseph Mazzini per i suoi lettori inglesi — fu il punto di riferimento nel dibattito politico di allora. E per dimostrarlo, documenti alla mano, fa una dichiarazione “rivoluzionaria”: «Il Manifesto di Marx e di Engels fu scritto proprio in risposta alla tesi mazziniane sulla democrazia». Perché una scoperta di questo spessore viene rivelata solo adesso? Mastellone, che domani a Firenze nella sala del Gonfalone della regione Toscana inaugura un convegno su Mazzini a 200 anni dalla nascita, di certo non si sottrae alla riposta: «Perché i colleghi che mi hanno preceduto — ci dice — hanno studiato il Mazzini italiano, lo hanno inserito nell'epopea risorgimentale, ma a quanto pare non sono andati a Londra a leggere i testi originali nei giornali dell'epoca.» Bene. Ci spieghi allora come lei ha svolto la ricerca. «Nel 1845, a sue spese, per far conoscere agli inglesi il suo pensiero, Mazzini pubblicò un volumetto dal titolo “Italy, Austria and the Pope”. Questo libro non fu diffuso, non ebbe seguito alcuno, e così gli storici si erano rassegnati a non poterlo consultare. E invece il Northern Star, un settimanale dei “cartisti”che tirava 50mila copie e si ispirava all'associazione “Working classes” dal luglio al settembre del 1945 pubblicò in otto puntate una larghissima parte di quel volume. Non solo, all'ultima puntata il direttore del giornale si fece avanti in prima persona con un articolo di elogio delle idee mazziniane».
– Quali conseguenze ebbe la pubblicazione? «Divenne il punto di riferimento del dibattito politico di quei giorni. Mazzini sosteneva che la rivoluzione non avrebbe potuto che essere politica e democratica. Il direttore della rivista, Julian Harney era sicuramente in contatto con i giovani Marx e Engels, e anzi quest'ultimo, si era proposto di fare il corrispondente dalla Germania. Alla fine del '45, in Polonia, fu sottoscritto il “Manifesto di Cracovia”, anch'esso pubblicato sul Northern Star e guarda caso vi si sosteneva che la rivoluzione in Polonia avrebbe dovuto essere sociale oltre che politica e democratica».
– Vuol dire che avevano letto gli articoli di Mazzini? «Non c'è dubbio. Così come posso dimostrare che li avevano letti Marx e Engels i quali, subito dopo, nel luglio 1846 pubblicarono sulla solita rivista la posizione dei comunisti sulla rivoluzione. Per loro, come è noto, la rivoluzione non poteva che essere di classe, e quindi il luogo migliore per farla esplodere sarebbe stata l'Inghilterra dove la classe operaia poteva diventare la classe dominante».
– E Mazzini lesse questi articoli? «Sicuramente, perché il direttore della rivista, lo rivela una lettera autografa, glieli inviò. Lesse e replicò, con altri 7 articoli apparsi fra il '46 e il '47 sul People's Journal».
– Che cosa sosteneva ? «Che la rivoluzione comunista aveva bisogno di un gruppo di intellettuali che la guidassero, una sorta di sacerdoti che poi avrebbero creato una nuova casta. Confutava il partito unico. E per la prima volta parlava di dittatura».
– Marx non si convinse. «Certo. E difatti pochi mesi dopo, nel febbraio del 1848 ecco apparire il Manifesto, che per buona parte scandisce, punto per punto, risposte alla tesi di Mazzini. Basta confrontare i testi per rendersene conto. E questo ci dimostra non solo che il Manifesto non nasce nel deserto, ma che il dibattito che lo provocò era in qualche modo diretto proprio da Mazzini». Ma poi Mazzini riprenderà quei temi, li pubblicherà anche in Italia e sono testi ben noti, nei quali il confronto con il comunismo non porta a queste conclusioni. «Giusto, perché quando pubblica in Italia Mazzini pensa alla situazione italiana, ai moti del '48, insomma localizza le sue idee. Purtroppo gli storici si erano fermati a quei testi e non erano andati a completare le ricerche nelle biblioteche londinesi. Così i tedeschi avevano studiato Marx e Engels, gli inglesi avevano studiato il cartismo, e Mazzini nei testi originali inglesi era rimasto pressoché sconosciuto».

nuvolarossa
19-05-05, 19:27
Col “Manifesto” Marx rispose a Mazzini

Una risposta indiretta a Giuseppe Mazzini, le cui idee erano da confutare perché pericolose: ci sarebbe anche una feroce polemica contro il patriota italiano, all'epoca il più celebre tra i rivoluzionari europei, nel ''Manifesto del partito comunista'' di Karl Marx e Friedrich Engels. La seconda parte del ''Manifesto'', pubblicato nel 1848, conterrebbe infatti anche una puntuale replica, punto per punto, a quanto il fondatore della ''Giovine Italia'' - pur senza mai essere citato - aveva scritto poco tempo prima, tra l'agosto 1846 e il giugno 1847, sul periodico inglese ''People's Journal''. È quanto sostiene il professor Salvo Mastellone, docente di storia delle dottrine politiche all'Università di Firenze e direttore della rivista ''Il pensiero politico'', autore del libro ''Mazzini scrittore politico in inglese'' (Olschki editore). Le scoperte inedite di Mastellone saranno illustrate al convegno ''Giuseppe Mazzini dalla 'Giovine Europa' alla Lega internazionale dei popoli'', che si terrà domani, dalle ore 9,30 a Firenze, nella Sala Gonfalone del Consiglio regionale della Toscana. Le polemiche di Marx contro Mazzini sono note: dal filosofo tedesco di Treviri fu definito sprezzantemente ''vecchio somaro'' e ''imbecille''. Quello che invece non era mai stato chiarito era la confutazione delle idee sulla democrazia del patriota genovese nascoste tra le righe del ''Manifesto''. Dalla consultazione delle edizioni dei periodici inglesi conservati alla British Library di Londra, città nella quale Mazzini si trovava in esilio, il professor Mastellone ha potuto ricostruire con precisione che l'oggetto delle riflessioni del fondatore del partito comunista era anche la contestazione del progetto politico democratico di Mazzini. Mastellone ha accertato che alle critiche rivolte da Mazzini al comunismo nell'articolo apparso sul ''People's Journal'' del 17 aprile 1847, corrispondevano nello stesso ordine le risposte di Marx nel secondo capitolo del ''Manifesto del partito comunista'', stampato a Londra nel febbraio 1848. Giuseppe Mazzini, nel 1850, aveva tradotto in italiano e rivisto il contenuto dei suoi articoli sul tema ''Thoughts upon Democracy in Europe'' (Pensieri sulla democrazia in Europa), apparsi sul foglio 'The People's Journal''. Gli storici, perciò, non hanno potuto cogliere - sostiene Mastellone - la relazione filologica del dibattito politico tra l'attacco che Mazzini aveva condotto contro il comunismo e il collettivismo e la risposta a quelle tesi che Marx fece pochi mesi dopo. Il contenuto degli articoli in inglese ora ritrovati da Salvo Mastellone è infatti concettualmente diverso dalla traduzione italiana fatta successivamente dallo stesso Mazzini, in quanto egli pensò ad una loro revisione a causa dei moti rivoluzionari che nel frattempo avevano infiammato l'Italia e l'Europa nel 1848. Al convegno di Firenze di venerdì prossimo, organizzato dal Consiglio regionale e dalla Fondazione Spadolini, non sarà questa l'unica novità che sarà messa in luce su Giuseppe Mazzini, di cui ricorre quest'anno il duecentesimo anniversario della nascita (22 giugno 1805 a Genova). ''Anche il periodo precedente alla fondazione della Giovine Italia è anticipatore di tutto il percorso di vita dell'eroe repubblicano. Infatti, Mazzini, con i suoi scritti su Dante Alighieri, scoprì ancora prima di Alessandro Manzoni che quella era la lingua nazionale capace di fare l'Italia unita'', ha ricordato lo storico Ceccuti, presidente della Fondazione Nuova Antologia - Giovanni Spadolini. Il professor Ceccuti ha poi messo in luce l'importanza della terza fase politica mazziniana, quella in cui fu esule a Londra dal 1837: partendo dallo scritto di Tocqueville ''Democracy in America'', Mazzini divenne uno dei più grandi teorici delle dottrine politiche europee, soprattutto sul superamento della democrazia classica liberale. Non a caso nel 1840 Mazzini fondò in Inghilterra la ''Union'' degli operai italiani e l'anno successivo la ''Scuola per italiani sprovvisti d'istruzione''. Un dibattito finora poco conosciuto, in quanto le fonti storiografiche ignoravano i testi di Mazzini o quelli di altri autori sulla Giovine Italia pubblicati dai giornali inglesi.

nuvolarossa
21-06-05, 18:17
«Lo psicologo delle plebi» Parola di Arcangelo Ghisleri

Nel 1920 Arcangelo Ghisleri pubblicava in Roma un libricino dal titolo: Giuseppe Mazzini e gli operai. Ghisleri affermava che Mazzini era lo psicologo delle plebi e mirava ai suoi fini politici formando le anime. E soggiungeva: «Questa è la singolarità del Mazzini e la ragione della perenne attualità dei suoi insegnamenti. E’ il conforto, l’eccitamento alla fede, il confortatore delle delusioni, il pascolo dell’anima per chiunque crede in un grande ideale di progresso umano. Ben possono contraddirlo i comunisti in nome di altre dottrine storiche ed economiche; ma ogni volta che dalla astratta sfera delle idee vorranno scendere nella realtà circostante delle cose, per organizzare le moltitudini e disciplinarle a un fine, cui non sorride la probabilità di benefici immediati, cui minaccia invece la certezza d’immediate disdette, di persecuzioni, di sacrifici, essi dovranno riproporsi i medesimi problemi che resero tante volte crucciata la sua pensosa fisonomia». (v.g.)

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nuvolarossa
01-07-05, 19:51
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nuvolarossa
01-07-05, 19:52
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nuvolarossa
01-07-05, 19:53
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nuvolarossa
06-07-05, 21:49
LA PRESENZA DI MAZZINI NEL MONDO

di Giuliana Limiti

La comunità internazionale si confronta oggi con realtà e prospettive che confermano la validità delle intuizioni e delle articolazioni del pensiero mazziniano. Da un lato l'istanza del governo mondiale come frutto della affermazione congiunta del principio di nazionalità e della fratellanza universale dei popoli, dall'altro lato l'aspirazione alla giustizia sociale come compimento di una sinergia tra libertà individuale ed interesse collettivo, sono gli obiettivi verso cui si indirizzano le attese dell'umanità nella presente crisi d'identità e di rappresentanza.
Le idee mazziniane contengono la chiave di volta di tale crisi, se si studia la loro formazione nell' Europa del secolo scorso e soprattutto la loro diffusione in tutto il mondo. Esse sono state alla base dell'affermazione della democrazia, della nazionalità, dei movimenti del lavoro, dell' emancipazione femminile, dell'educazione e della diffusione della cultura, in ogni paese in cui hanno avuto l'occasione di venire a contatto con le rispettive tradizioni di progresso e amalgamarvisi.
Il programma sociale, democratico e repubblicano di Giuseppe Mazzini ha ispirato il costituzionalismo moderno e si ritrova nelle Carte fondamentali di molti Stati europei ed extraeuropei.
La Giovine Europa, delineata a Berna nel 1834 fra esuli italiani, tedeschi, polacchi, ed il successivo Comitato Democratico Europeo, composto dei rappresentanti anche delle altre nazionalità, rappresentano il più organico precedente dell'Unione Europea.
La Santa Alleanza dei Popoli, immaginata nella lotta alle tirannie e al confessionalismo, prefigura l'organizzazione delle Nazioni Unite ed i principi dei diritti umani che ne sono a fondamento.
Invero la concezione del positivismo giuridico riguardo ai diritti umani ne ha colto solo un aspetto, quello normativo, mentre nella concezione mazziniana se ne ritrova il fondamento etico-religioso.
La religione dell'umanità, e cioè il nesso spirituale che lega l'individuo all'universo, porta a considerare ogni essere umano nella sua irripetibile dignità e possibilità d'espressione e quindi il suo rispetto laicamente non strumentalizzabile.
Riannodare i fili del presente e del passato per l'avvenire è la lezione di Giuseppe Mazzini, la cui presenza storica appare inimmaginabile, data la rimozione e la riduzione operata da indirizzi storiografici autoritari e ideologizzati ai danni di un pensiero scomodo perché non inquadrabile in schemi prefabbricati e strumentali. In tal senso, la dimensione sovranazionale di Mazzini era senz'altro sottostimata, pur essendo noti i suoi rapporti interpersonali con i maggiori personaggi del suo tempo.
Mazzini appare come l'ineludibile termine di confronto per tutti i politici e gli intellettuali che puntano alla creazione di uno Stato nazionale che costituisca l'ordinamento liberale e democratico e che realizzi la giustizia sociale. Egli è il pensatore europeo degli ultimi due secoli che più di ogni altro incarna l'idea stessa di Europa, come frutto dell'apporto di ciascuna nazionalità e come piattaforma comune di progresso civile.
La nazionalità è intesa come partecipazione dell'individuo alla sua matrice storica, come fondamento del processo di identificazione collettiva di ciascun popolo, tuttavia ogni nazionalità non viene appunto vista nel suo isolamento secondo una prospettiva che porterebbe a concepire progetti di espansione o di egoismo, bensé si colloca nel panorama di una convivenza fraterna. Sia che dia vita ad uno Stato-Nazione o prenda parte ad una Confederazione in cui siano tutelati i diritti delle minoranze, la nazionalità mazziniana tende sempre ad una dimensione sovranazionale che realizzi un armonioso concerto delle nazionalità componenti. La Repubblica Federativa Europea viene ad essere il punto d'arrivo di questo sviluppo destinato peraltro ad abbracciare l'intera umanità.
L'insistenza sull'unitarismo fortemente voluto per l'Italia ha fatto sottovalutare le proposte federalistiche suggerite da Mazzini per la penisola iberica, gli Stati danubiani, o Balcani e la Russia.
L'idea di nazione, come coscienza delle origini e degli obiettivi che vi sono connessi in termini di missione nazionale, poggia nel pensiero mazziniano su una intelaiatura religiosa che si sostanzia nelle categorie di fede e avvenire nella prospettiva del risorgimento dei popoli europei, come riscatto e frutto dell'autocoscienza. La visione etico-religiosa della vita, incentrata sulla dignità dell'uomo nel suo rapporto con Dio, conduce Mazzini alla valorizzazione della storia, non come l'inevitabile tratto terreno di un destino non modificabile, ma come campo per realizzare il mondo ideale in cui gli uomini si devono unire su ciò che deve essere e non su ciò che è. Dal confronto con gli spiriti religiosi del suo tempo emerge il carattere profetico del messaggio mazziniano che, al di là dei confessionalismi, attinge alla più alta misura della religiosità come nella lettera sull'immortalità dell'anima, che Leone Tolstoj tanto amò da tradurla in russo poiché vi ritrovava la più fedele testimonianza di una missione individuale unificata sino a elevarsi in chiave universale. Dalla dimensione religiosa viene a Mazzini l'urgenza dell'eguaglianza fra gli uomini in termini universali che superano le rivendicazioni individualistiche della Rivoluzione francese e si concretizzano in una prospettiva di giustizia sociale che fa a pugni con l'utilitarismo e con il materialismo storico.
Valori religiosi, etici e storici sostanziano una sensibilità verso la questione sociale che è vissuta in termini di doverosità. In tale contesto è finalmente documentato il grande debito che il movimento operaio inglese ha con Mazzini per essersi liberato dalle posizioni corporative e per essersi preservato dai condizionamenti autoritari del marxismo, così come emerge la paternità mazziniana delle prime organizzazioni di lavoratori in Europa e in America Latina.
Fra i pionieri del sindacalismo e del cooperativismo mazziniano furono gli emigrati italiani, che per la loro sottoscrizione eressero il primo monumento a Giuseppe Mazzini nella città di Buenos Aires.
L'emancipazione operaia si realizza secondo Mazzini per il tramite dell'educazione, che è qualcosa di più della semplice istruzione, perché si svolge non solo a livello della conoscenza ma anche della coscienza.
Il metodo educativo è in certo modo la chiave di volta che integra il pensiero con l'azione, costituendo così la cifra dell'impostazione mazziniana. Solo apparente è la somiglianza con la pur nobile tradizione moderata in cui l'educazione viene dispensata dall'alto e secondo una graduazione gerarchica. L'educazione mazziniana è soprattutto conquista critica progressiva dell'autocoscienza alla luce di una missione da compiere a titolo individuale e collettivo.
In quest'ottica emerge il ruolo della letteratura nell'educazione nazionale e della linguistica nella riscoperta delle identità e radici popolari.
Nazionalità e socialità, religione ed educazione, sono i quattro pilastri su cui Giuseppe Mazzini edifica la sua concezione della politica. Egli è il padre delle idee democratiche e repubblicane del secolo XIX e con la sua instancabile opera è all'origine anche metodologica delle forme di associazione e di propaganda dei partiti e dei giornali. Ma la sua è una politica morale che gli conferisce ben presto il ruolo di punto di riferimento cui guardano movimenti politici ed intellettuali di molti paesi.
In conclusione, il termine "mazziniano" viene ovunque ad identificare, ora positivamente, ora polemicamente, quella parte politica rivoluzionaria e progressiva che si rifà alla democrazia e al radicalismo repubblicano.

Paddy Garcia (POL)
14-07-05, 17:55
Marx al primo posto tra i più grandi filosofi della storia
di Umberto Curi

Si è chiuso pochi giorni fa un sondaggio davvero singolare. La rete radiofonica della Bbc, Radio 4, nella rubrica «In Our Time», ha organizzato un concorso fra tutti gli ascoltatori, con l'intento di definire «il più grande filosofo della storia», fra una lista di 20 autori. L'esito finale del sondaggio non è stato ancora reso noto. Ciò che è trapelato è che, a due settimane dalla conclusione, la prima posizione era saldamente occupata da Karl Marx, seguito da Wittgenstein, Hume, Platone e Kant. Nelle ultime posizioni, Epicuro, Hobbes e Heidegger. A ridosso dei primi, anche se irrimediabilmente tagliati fuori dalla «zona podio», San Tommaso, Aristotele, Nietzsche e Kierkegaard.

Fra qualche giorno si saprà se la campagna promossa dal quotidiano «Economist», che ha sollecitato i suoi lettori a votare per Hume, in modo da scongiurare la vittoria di un candidato così pericoloso quale l'autore del «Capitale», ha avuto o meno successo. Ma prima di esprimere qualche valutazione in margine ad una iniziativa per molti versi stravagante, può essere istruttivo, oltre che talora anche divertente, andare a spulciare nel repertorio delle risposte fornite (consultabile in rete al sito della Bbc), oltre che delle motivazioni che accompagnano le diverse nominations.

Trascurando le indicazioni più scontate, riguardanti pensatori comunque noti e più volte votati, colpisce anzitutto l'insistenza con la quale vengono proposti i nomi di filosofi orientali - gli indiani Ghandi, Patanjali e Nagarjuna, i cinesi Lao-Tzu e Confucio, il persiano El Ghazali, proposti in esplicita polemica con l'impostazione eurocentrica dominante nella lista dei 20 nomi selezionati. Merita di essere sottolineata, in questo contesto, la motivazione addotta per la scelta di Averroè, grande esponente dell'aristotelismo arabo, fautore del dialogo interculturale e della tolleranza contro ogni forma di fanatismo, di cui si dice che «abbiamo bisogno di ricordare quest'uomo oggi più che mai».

Una seconda annotazione riguarda la filosofia italiana, che risulterebbe del tutto assente, se non fossero avanzate le candidature di due grandi autori, i quali non rientrano tuttavia fra i filosofi in senso stretto, quali sono Dante e Machiavelli. Tipicamente britannico il senso dell'umorismo che ha ispirato, fra le altre, le nominations di Guglielmo di Occam («Per il suo celebre rasoio. Ah, se solo la gente si ricordasse di usarlo di più!») e di Montaigne («Perché mi fa ridere e perché non è nella lista dei 20 che lo farebbe ridere!»). Più corrosive, al limite della provocazione, altre proposte: quella relativa a Kervit the Frog («almeno i suoi epigrammi ci fanno ridere»), o quella che vorrebbe incoronare come maggiore filosofo della storia il calciatore Eric Cantona, noto per le sue intemperanze violente dentro e fuori i campi da football.

Infine, non prive di arguzia, e perfino di una sottile verità, alcune proposte «estremistiche», per certi versi coincidenti, quali quella che indica «nessuno» quale maggior filosofo della storia («Perché ha ragione il poeta giapponese Basho quando ammonisce a non cercare i saggi del passato, ma a cercare piuttosto ciò che essi hanno cercato»), o quella che nomina se stesso, perché «non si deve credere ai filosofi più di quanto si debba credere ai politici o a qualunque altro, in quanto ciascuno dovrebbe essere per se stesso il proprio filosofo favorito».

Nel complesso, il sondaggio promosso dalla Bbc può essere giudicato semplicemente come un giochino bizzarro ma innocuo, derivato principalmente dalla tendenza tipicamente estiva a ricercare nuove forme di intrattenimento. D'altra parte, da questa competizione emergono anche alcuni elementi un po' più seri, che meritano qualche riflessione.

Stupisce, anzitutto, la mobilitazione promossa dall'Economist in favore di Hume, al solo scopo di evitare l'incoronazione di Marx quale maggior filosofo. Segno evidente della persistenza di paure e pregiudizi tutt'altro che superati, in un paese, e in un giornale, che pure dovrebbe essere perfettamente in grado di distinguere fra l'opera di un filosofo (certamente fra i più grandi, comunque la si pensi) e la tragedia del comunismo realizzato. Ma non meno rilevante è anche una considerazione di insieme, riguardante un fenomeno già emerso in Italia da alcuni anni a questa parte, vale a dire il crescente interesse per la filosofia, ben al di fuori della cerchia ristretta degli specialisti e degli studiosi. Un indizio - così almeno si auspicherebbe che fosse - del diffondersi di un'esigenza di verità e di autenticità, alla quale sarebbe importante riuscire a corrispondere.

www.kataweb.it

nuvolarossa
14-07-05, 19:05
Originally posted by Paddy Garcia
.... L'esito finale del sondaggio non è stato ancora reso noto. Ciò che è trapelato è che, a due settimane dalla conclusione, la prima posizione era saldamente occupata da Karl Marx, seguito da Wittgenstein, Hume, Platone e Kant . Nelle ultime posizioni, Epicuro, Hobbes e Heidegger. A ridosso dei primi, anche se irrimediabilmente tagliati fuori dalla «zona podio», San Tommaso, Aristotele, Nietzsche e Kierkegaard .... ... ecco cosa pensava dei sondaggi e delle relative statistiche
il noto Trilussa ... (Carlo Alberto Salustri, 1871-1950)

Sai ched'è la statistica? È 'na cosa
che serve pe' fa' un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che sposa.

Ma pe' me la statistica curiosa
è dove c'entra la percentuale,
pe' via che, lì, la media è sempre eguale
puro co' la persona bisognosa.

Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d'adesso
risurta che te tocca un pollo all' anno:

e, se nun entra ne le spese tue,
t'entra ne la statistica lo stesso
perché c'è un antro che ne magna due.

Paddy Garcia (POL)
16-07-05, 05:51
Comunque la si veda, caro Nuvola, per un pensatore consegnato unanimemente e definitivamente all'oblio, iquesto primo posto è senz'altro molto lusinghevole.

P.G.

marcejap
17-07-05, 11:46
Originally posted by Roberto
MAZZINI BATTE MARX



Seeee, ti piacerebbe... :D

http://www.evl.uic.edu/pape/Marx/Groucho.jpg

marcejap
17-07-05, 11:49
Originally posted by Garibaldi
Marx e' passato di moda!!!!!!


Ma veramente non ricordavo di essere passato da quelle parti...
http://www.cordis.lu/infowin/acts/analysys/products/handbook/groucho_max.gif

jmimmo82
19-07-05, 10:16
"pochi" conoscono le profezie di Mazzini, ma consoliamoci con quei "molti" che finalmente si sono resi conto del fallimento socio-economico dell'egualitarismo comunista e delle enormi potenzialità in termini di sviluppo economico che il capitalismo può offrire.

Oggi la Cina, terra dello spietato socialista Mao Tse Tung, ne è un esempio palese.

brunik
19-07-05, 10:52
Originally posted by jmimmo82
"pochi" conoscono le profezie di Mazzini, ma consoliamoci con quei "molti" che finalmente si sono resi conto del fallimento socio-economico dell'egualitarismo comunista e delle enormi potenzialità in termini di sviluppo economico che il capitalismo può offrire.


Tipo Calvin e Lincoln.

Benvenuti nel nostro sistema dove comandiamo noi padroni e voi ubbidite dietro compenso mensile e 30 giorni di ferie, amici ex-post-comunisti

nuvolarossa
19-07-05, 11:37
... certi padroni ... di solito sono solo dei pidocchi rifatti ... degli ex-comunisti anticapitalisti che, una volta fatti i soldi, sono peggio che i vecchi fascisti romagnoli ....

brunik
19-07-05, 12:31
Taci, proletario.

nuvolarossa
19-07-05, 17:48
Originally posted by brunik
... Taci, proletario .... ... nel senso che ho "prole" ... e con gli schiavi del denaro come te manco a scopone ci gioco ....

nuvolarossa
19-07-05, 17:51
Originally posted by jmimmo82
... "pochi" conoscono le profezie di Mazzini ... Oggi la Cina, terra dello spietato socialista Mao Tse Tung, ne è un esempio palese. .... ... per parafrasare la rivoluzione culturale cinese .... sarebbe necessario portare i "Doveri dell'Uomo" come materia di insegnamento nelle scuole della Res Publica .... sarebbe la cosa piu' intelligente e piu' utile che si potrebbe fare nell'interesse del divenire umano delle giovani generazioni e del progresso civile dell'uomo ...

jmimmo82
21-07-05, 19:35
Le scuole, i genitori ed i mass media sono i nostri principali educatori. Se i docenti insegnassero ai propri allievi "valori" come la solidarietà mazziniana, l'impegno e la competizione nel rispetto delle regole e del prossimo, tutto andrebbe meglio nel nostro paese.

jmimmo82
21-07-05, 19:39
Originally posted by jmimmo82
Le scuole, i genitori ed i mass media sono i nostri principali educatori. Se i docenti insegnassero ai propri allievi "valori" come la solidarietà mazziniana, l'impegno e la competizione nel rispetto delle regole e del prossimo, tutto andrebbe meglio nel nostro paese. Aggiungo il "patriottismo"! Utilissimo al fine di renderci più uniti.

nuvolarossa
12-08-05, 18:17
Mazzini assolto con formula piena
a San Mauro Pascoli: non fu il “cattivo
maestro” del Risorgimento

Finale buonista per il processo a Giuseppe Mazzini, assolto dall’ accusa di essere un cattivo maestro precursore dell’uso del terrorismo politico, al termine di un processo pubblico che si è tenuto a Villa Torlonia di San Mauro Pascoli, nel cesenate, davanti a una platea di un migliaio di persone. L’accusa, sostenuta dal prof. Giovanni Belardelli, è stata smontata dal prof. Roberto Balzani, “difensore” di Mazzini. La sentenza?
«Non si può condannare un padre della Patria che è stato un vero maestro della democrazia europea del XX e XXI secolo».

nuvolarossa
17-08-05, 17:51
L’altro Mazzini: l’Europeismo democratico

Dal 1860 gli studiosi del Risorgimento si sono posti l’interrogativo: “Chi è Mazzini?”. Come storico del pensiero politico europeo mi permetto di ricordare che nel giugno 1844 nel Parlamento inglese – Camera dei comuni e Camera dei lords – si aprì un dibattito sulle lettere aperte dalla polizia a Joseph Mazzini, che era a Londra dall’inizio del 1837, e l’opinione pubblica inglese si chiese se l’esule piemontese fosse veramente “a dangerous conspirator” come sosteneva l’ambasciatore austriaco. La “Westiminster Review” all’interrogativo “Who is Joseph Mazzini?” nel numero di settembre del 1844 rispose che l’etica di Mazzini non era l’etica dei politici (Mazzini and the Etics of Politicians): “He was rejoying the confidence and personal friendship of many of our ablest literary men”. Nessun profugo aveva ricevuto un simile elogio. Come mai? Mazzini, da quando nel 1839 aveva cominciato a pubblicare in inglese, ebbe due grandi centri d’informazione politico culturale: Thomas Carlyle, che inviò nel giugno 1844 una lunga lettera al “Times”, e John Bowling, deputato in Parlamento, fondatore con Mill della “Westminster Review”, curatore delle opere di Bentham. Il dibattito in Parlamento si prolungò fino all’aprile 1845, ed il ministro Graham dovette formulare delle scuse a questo scrittore politico.
Nel giugno 1845 Mazzini per fare conoscere agli Inglesi il suo pensiero politico scrisse e pubblicò un lungo saggio di 136 pagine Italy, Austria and Pope. Si ripete, erroneamente, che questo scritto non ebbe circolazione, ma in otto numeri, dal 19 luglio al 27 settembre 1845, lunghi brani del testo di Mazzini, tutti favorevolmente commentati, furono pubblicati dal “Northern Star”, il settimanale cartista, che sembra tirasse a cinquantamila copie a numero. Il “Northern Star” nel numero del 2 novembre 1845 su quattro colonne, così presentava Mazzini: “One of the principal representatives of the democratic principles; the working classes sympatise with Mazzini”. Egli era, ormai, uno scrittore politico democratico in lingua inglese. Per avere notizie più precise di questo scrittore mi sono andato a leggere pazientemente “The Northern Star”, che nessuno studioso di Mazzini mi risulta abbia consultato, ed in particolare per conoscere i rapporti di Mazzini con il condirettore del “Northern Star” Julian Harney, giovane cartista di sinistra, il cui nome non compare nell’indice dei nomi dell’Edizione nazionale degli Scritti di Mazzini, anche se esiste una corrispondenza di Harney con Mazzini, che recentemente ho pubblicato in onore dell’amico Scirocco. E’ da notare che Engels e Marx, dall’agosto del 1845, erano in relazione con Harney, il quale nell’ottobre 1845 fondò l’associazione inglese dei “Fraternal Democrats”, come risulta dagli Harney Papers. Per tali circostanze il triangolo tradizionale marsigliese Sansimonismo-Buonarroti-Mazzini, dal 1845 diventa a Londra il triangolo Cartismo-Marx-Mazzini. Su questo triangolo ho insistito nel volume Mazzini and Marx,1837-1847 (Westport Praeger, 2003), polemico verso gli studiosi del Cartismo e del Manifesto comunista.
I cartisti, dopo la pubblicazione in inglese dell’opera di Tocqueville (Democracy in America, London 1835), dal 1837 sostenevano che era possibile introdurre la democrazia – forma di società e non forma di governo – in Inghilterra, se il Parlamento avesse accolto i sei punti sottoscritto dalla “Working Men’s Association”. Mazzini era convinto, come aveva scritto in inglese nel 1840, che la democrazia in Europa sarebbe nata da una rivoluzione, e non da sei articoli costituzionali. Con lo scritto Italy Austria and the Pope, Mazzini, precisando in inglese che in Italia la rivoluzione sarebbe stata nazionale e politica, come la “Glorious Revolution” del 1688, avviò un dibattito tra i profughi politici sul tipo di rivoluzione che avrebbe dato vita in Europa alla democrazia. I democratici polacchi rifugiati a Londra, con un Poland’s Appeal to Europe, pubblicato nel “Northern Star” del 13 dicembre, risposero, infatti: “The next revolution in Poland must and will be social, as well as political and national”, in quanto i nobili avevano “the full and inconditional property of the soil”. La finalità antinobiliare fu confermata dal Cracow Manifesto, emanato il 22 febbraio 1846 in polacco, e pubblicato in inglese nel numero del 14 marzo dal “Northern Star”: “The nation shall have the absolute property of the land which today is only enjoyed by some”; la nazionalizzazione della terra avrebbe prodotto un comunismo agrario.
Il ventottenne Marx e il ventisettenne Engels, che leggevano il “Northern Star”, ed erano in rapporti epistolari con Harney, ritennero opportuno intervenire da Bruxelles nel dibattito londinese sulla nascita rivoluzionario della democrazia in Europa per precisare la posizione del comunismo critico tedesco: la rivoluzione sarebbe scoppiata in Inghilterra, il paese della produzione industriale e fatta dal proletariato contro la borghesia. Il “Northern Star” del 25 luglio 1846, in prima pagina, pubblicò Address of the German Democratic Communists of Brussels to Mr. Feargus O’Connor, firmata Engels e Marx, in cui si affermava: “The working class will become the ruling class of England”. Mazzini replicò con una Letter to John Saunders, direttore del “People’s Journal” e con otto articoli dal titolo Thoughts upon Democracy in Europe. Nel primo articolo, pubblicato nel “People’s Journal” del 29 agosto 1846, che è una specie di Address to John Saunders, Mazzini affermava: “Un innegabile movimento democratico sta spingendo l’Europa, e con l’Europa il mondo, verso nuovi destini; la democrazia non solo può fornire le idee fondamentali necessarie per l’avvenire dell’Europa, ma può liberare i popoli dal dispotismo, ed orientare ‘ever country’ verso la ‘Humanity’”. Questi Thoughts upon Democracy, che uscirono dall’agosto 1846 al giugno 1847, sono stati tradotti da me per Feltrinelli e la seconda edizione è appena uscita. Nel Pensieri sulla Democrazia in Europa, che richiamano alla memoria la Democracy in America di Tocqueville, tradotta in inglese, Mazzini non è il patriota che esorta i giovani italiani in nome della patria contro lo straniero: è lo scrittore politico democratico europeo, che discute con Carlyle e con Mill, con Bowling e con Cooper, con Harney e con O’ Condor, ma anche con i democratici polacchi e con i democratici comunisti tedeschi. E’ da aggiungere che nel maggio 1846 Mazzini scriveva allo svizzero Schneider, a Berna, che intendeva costituire un Comitato europeo democratico e tenere un congresso che si sarebbe concluso con un Manifesto, forse in polemica con i Fraternal Democrats, che si erano trasformati in un’associazione europea. Certo è che nel numero del 2 settembre 1846 del “Northern Star” era espresso un giudizio negativo sul primo articolo di Mazzini, ed era pubblicato un Address of the Fraternal Democrats of the Democrats of all Nation. Da parte sua Mazzini nel corso del 1847 diede vita alla People’s International League. Il 2 ottobre 1847 il “Northern Star” pubblicò un Manifesto to the Democracy of Europe dei Fraternal Democrats in polemica con la mazziniana League. Engels e Marx lessero e commentarono questo Manifesto inglese; così si spiega perché Marx polemizzò con Mazzini nel Manifest der Kommunistischen Partei, pubblicato a Londra nel febbraio 1848, ma non sottoscritto. Per tutta la questione rimando al mio saggio: Nortern Star, Fraternal Democrats e Manifest der Kommunistichen Partei, che uscirà nel prossimo numero della rivista “Il pensiero politico”. Se si trascura il dibattito londinese sulla democrazia non si può intendere il valore europeo della costituzione della “Roma Democratic Republic”, promulgata il 3 luglio 1849 e così recepita in inglese: “The democratic regime has, as its rule, equality, liberty and fraternità; the democratic republic promotes the amelioration of moral anda material conditions for alla citizens; the government of the local councils have equal rights”.
Il dibattito in inglese sulla democrazia andò avanti dopo il 1848, come si potrà rilevare da volume Mazzini scrittore politico in inglese, pubblicato da Olschki. Né gli studiosi di Marx, né quelli di Mazzini hanno notato che nella rivista inglese “The Red Republican” si legge a pagina 94 un Mazzini’s Manifesto (numero di settembre 1850) che è la traduzione in inglese del Manifesto scritto dai “citizens Marx and Engles”, ed è sottolineato in corsivo, quasi in risposta: “The conquest of Democracy is the elevation of Proletariat to the state of the ruling class”. Aggiungo che, nel gennaio 1851, uscì a Londra una rivista inglese mazziniana. In conclusione ritengo valido il giudizio dato su Mazzini 150 anni fa dalla pubblicistica inglese: “uno scrittore politico democratico europeo”. E’ triste dire che l’Oxford English Dictionary (volume IV, pagina 44) alla voce “Democracy” ricorda: “Progress of all through all under the leading of the best and wisest was Mazzini’s definition of democracy”. Nessun dizionario enciclopedico italiano riporta questa definizione della democrazia data da Mazzini. Come autore della Storia della democrazia in Europa, della quale Utet pubblica la terza edizione, ricordo che per Mazzini “the final aim of Democracy” in Europa deve essere “the development” della “social life” per “the future prospects” della “Humanity” (XXXIV, p.127).

Salvo Mastellone

nuvolarossa
10-11-05, 13:21
CIAMPI A STUDENTI: LEGGETE MAZZINI, DA' INDICAZIONI PER AVVENIRE
In occasione della Giornata Mazziniana nelle scuole

Roma, 10 nov. (Apcom) - Il capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi, ha inviato aun messaggio agli studenti di tutte le scuole di ogni ordine e grado d'Italia in occassione della Giornata Mazziniana che si celebra oggi nell'anno bicentenario della sua nascita.

"Desidero innanzitutto invitarvi a riflettere - scrive il presidente della Repubblica - sul significato della ricorrenza, che coincide con l'anniversario della fondazione della Scuola Italiana di Londra, istituita da Mazzini, il 10 novembre del 1841, per educare nelle ore serali i bambini emigrati e dare loro il conforto della patria lontana. Questa esperienza londinese offrì a Mazzini l'occasione per sottolineare il legame fra i suoi alti ideali di unità nazionale, di emancipazione sociale e di rigore morale e l'educazione intesa come crescita individuale e collettiva".

"L'insegnamento mazziniano - prosegue Ciampi - è profondamente radicato nella consapevolezza dell'inscindibilità dei diritti e dei doveri. E' innanzitutto una lezione umana che ammonisce a vivere non per se stessi ma per gli altri, rendendosi l'un l'altro migliori per combattere ovunque l'ingiustizia e l'errore. Nel richiamare alla coscienza di sè ed alla dignità dell'essere umano, nel proclamare la coerenza tra il pensiero e l'azione, l'educazione assume per Mazzini una valenza etico-politica che va al di là dell'apprendimento ed attiene alla formazione spirituale".

"Per Giuseppe Mazzini - ricorda il capo dello Stato - la socialità costituisce il 'fatto principale dell'umana natura'. L'appartenenza nazionale è parte integrante della dimensione europea e della concezione dell'Umanità, che si fonda sulla libera autodeterminazione, sulla non discriminazione e sulla convivenza pacifica".

Ciampi cita poi una frase di Mazzini:'Lavorando per la patria, lavoriamo per l'umanità'. "Questa dichiarazione in cui Mazzini riassumeva il senso del suo pensiero - è l'invito del presidente della Repubblica - sia per voi fonte di riflessione. Le prospettive universali si nutrono, infatti, dell'affermazione delle singole identità, nel mutuo rispetto le une delle altre".

"Il pensiero di Mazzini ha ispirato il Risorgimento e la Resistenza, l'Italia democratica e repubblicana ritrova in esso, ancora oggi, le ragioni per promuovere lo sviluppo dell'Unione europea e delle Nazioni Unite, guardando alla fratellanza universale dei popoli. Quali cittadini del futuro, voi studenti - scrive Ciampi - avete l'avvenire nelle vostre mani: la vostra generazione ha il compito e la responsabilità di continuare a costruire l'unione politica europea e la pace nel mondo".

"Leggete, dunque, le pagine di Giuseppe Mazzini, - conclude il capo dello Stato - con la preziosa guida dei vostri insegnanti, e vi renderete conto che non sono soltanto nobile testimonianza della storia dell'unificazione nazionale e dell'integrazione europea, ma contengono indicazioni suggestive d'avvenire. Ne è un esempio l'appello del 1834 le cui parole sono certo che vibreranno anche nei vostri cuori: 'Rispettate, o giovani, i sogni della vostra gioventù, perchè essi sono santi ed hanno il segreto del futuro. Rispettate i sogni della vostra gioventù, perchè da essi soli può venirvi entusiasmo, forza, fiducia e quel conforto che può solo mantener viva nell'anima la scintilla di vita e di sacrificio".

nuvolarossa
18-11-05, 20:19
Mazzini e la democrazia/Il patriota ligure fu sempre al centro del dibattito ideologico
Una forma di governo liberamente scelta da tutti

di Widmer Valbonesi

E' veramente strano e deprimente che nel dibattito apertosi sul Partito democratico, sulle sue origini e sui padri ispiratori, nessuno degli interlocutori abbia richiamato con la necessaria forza l'opera di Giuseppe Mazzini, che è un punto di riferimento ineludibile del confronto attorno al concetto di democrazia ed è stato protagonista, soprattutto nel periodo londinese, di dibattiti memorabili con i sostenitori del comunismo, del liberalismo di Bentham, del sansimonismo o dei seguaci utilitaristi di Fourier. Dibattiti che costituiscono un vero patrimonio culturale e politico per chi voglia proseguirne l'opera.

Vorrei ricordare, nel bicentenario della nascita del grande padre del Risorgimento, ad intellettuali come Arturo Parisi o ad Antonio Maccanico - che pure ha contribuito ad alleviare le dimenticanze di cui erano state vittime Giovanni Amendola, Ugo La Malfa, Omodeo, Spadolini ed altri della cultura repubblicana - che sarebbe antistorico e profondamente sbagliato non farne uno dei maggiori ispiratori del Partito democratico italiano ed europeo .

Mazzini vede nella democrazia un momento fondamentale del progresso che vivranno tutte le nazioni europee e quindi lancia l'idea di un Manifesto del partito democratico delle nazioni europee e l'idea della costituzione di una sorta di Comitato centrale internazionale democratico (13 agosto 1846, la prima proposta), che avrebbe avuto il compito di elaborare una lista di principi dottrinari e programmatici. Era il tentativo di opporsi al "Manifesto" comunista annunciato da Engels, ma anche di impedire che l'idea democratica degenerasse o rimanesse legata ad episodi negativi del passato in alcune repubbliche del Medioevo, o al terrore giacobino.

Egli, da grande innovatore, richiama l'attenzione sul fatto che il dibattito e gli sforzi di azione dei democratici debbano essere imperniati sulla "democrazia del futuro, la cui essenza e i cui valori fondanti egli enumera come: "Libertà, eguaglianza, consapevolezza dei propri diritti, dei propri poteri, e della propria dignità, affetto e cooperazione fraterna fra gli individui, e quindi i doveri, fra le città e le nazioni, rifiuto della disuguaglianza e dell'oppressione, religiosità". Dal punto di vista istituzionale, la democrazia europea del futuro deve essere rappresentativa e fondata sul pieno rispetto di una Costituzione democraticamente approvata.

Una prima preoccupazione di Mazzini rivolta ai partiti progressisti europei è quella di escludere un'identificazione tra la democrazia e una visione individualistica della libertà e, a maggior ragione, quella tra democrazia e liberismo economico, la prima fondata sulla dottrina dei diritti individuali, la seconda collegata anche al principio materialistico di utilità.

Mazzini dice chiaramente che la libertà è solo un mezzo della democrazia, non il fine. "Il suffragio elettorale, le garanzie politiche, il progresso dell'industria, il miglioramento dell'organizzazione sociale , tutte queste cose _dice Mazzini - non sono la Democrazia, non sono la causa per cui ci siamo impegnati; sono i suoi mezzi, le sue parziali applicazioni o conseguenze. Il problema che vogliamo risolvere è un problema educativo, è l'eterno problema della natura umana, all'avvento di ogni era, a ogni scalino che noi saliamo, cambia il nostro punto di partenza, e un nuovo obiettivo, dietro a quello appena raggiunto , si apre al nostro sguardo". Quindi, una concezione riformatrice in continua evoluzione che egli indica chiaramente. "Noi democratici, vogliamo che l'uomo sia migliore di quanto egli è, che egli abbia più amore, un maggior senso del bello, del grande, del vero, che l'ideale che egli persegue sia più puro, più alto, che egli senta la propria dignità, e abbia più rispetto per la sua anima immortale". Mazzini sostiene che questa concezione della democrazia confligge con quella dei diritti individuali, perché è vero che non si può disconoscere il merito avuto nella storia del mondo dalla dottrina della libertà. Ma il punto non è qui: la questione importante per la democrazia è il fine, non il mezzo che si usa .Se è così, può il principio dell'"Io", del diritto individuale, posto a base dell'educazione politica e morale - dice Mazzini - guidare l'uomo, può associare gli uomini, a questo fine, per le conquiste ulteriori? Questo è il problema. E conclude: "Esaminando le cose seriamente, la dottrina dei diritti individuali è nella sua essenza e in linea di principio, solo una grande e santa protesta contro l'oppressione di qualunque tipo. Il suo valore, quindi, è puramente negativo . Capace di distruggere, è impotente a fondare. Può rompere le catene, ma non ha il potere di creare vincoli di cooperazione e di concordia. Questo è il problema che la democrazia del futuro desidera risolvere, perché la democrazia non è la libertà di tutti, ma forma di governo liberamente acconsentito da tutti e operante per tutti (…) la dottrina dei diritti individuali è tanto incapace di risolvere la questione così come l'ho posta _sottolinea - che è terrorizzata dall'idea di governo. Nelle pagine dei suoi pubblicisti il governo è un male necessario al quale essi si sottomettono a condizione di dargli il minor potere possibile. Non c'è (…) nessuna società, c'è solo un aggregato di individui, vincolati a mantenere la pace, ma che per il resto seguono i loro propri obiettivi individuali: laissez faire, laissez passer."

Mazzini prevede una caduta in una sorta di abisso degli egoismi in cui rischia di sprofondare l'umanità ed è severissimo almeno come lo è contro, per ragioni opposte, alla prospettiva indicata dai comunisti. Ambedue le concezioni porterebbero al dispotismo, ovvero all'esatto contrario della democrazia.

Mazzini si serve in modo molto efficace della diffusa descrizione di ciò che la democrazia non dovrebbe essere, e di ciò che non è, per smontare le posizioni dei gruppi "democratici" che vede avviati in un "cul de sac", ma anche per esaltare il modello positivo della libertà e della democrazia emergenti dal "suo" Manifesto.

Dice Mazzini: "Che cosa diventano i diritti per quelli che non hanno il potere di esercitarli? Che cosa diventa la libertà di istruzione per chi non ha tempo di apprendere? Che cos'è il libero commercio per chi non ha capitale né credito?".

E lo stesso nega che il comunismo, legato ai valori dell'utilitarismo, possa far trionfare, come pretende, il perseguimento dell'interesse generale rispetto a quello di classe. Il progresso materiale, se inteso come valore esclusivo, comporta la prevalenza del forte sul debole; e per impedire che ciò avvenga occorrerebbe sopprimere la libertà, che del progresso, scrive Mazzini, è la garanzia. Di qui la profezia sugli esiti probabili del comunismo, che non può non colpire per come essa abbia centrato l'evolversi del socialismo reale: "Avrete una gerarchia di capi con l'intera disponibilità della proprietà comune, padroni della mente per mezzo di un'educazione esclusivista del corpo per mezzo del potere di decidere circa il lavoro, la capacità, i bisogni di ciascuno. E questi capi, imposti o eletti, poco importa, saranno durante l'esercizio del loro potere, nella condizione dei padroni di schiavi degli antichi tempi, e influenzati essi medesimi dalla teoria dell'interesse che rappresentano, sedotti dall'immenso potere concentrato nelle loro mani, cercheranno di perpetuarlo, si sforzeranno di riassumere per mezzo della corruzione, la dittatura ereditaria delle antiche caste". Ecco perché l'idea di democrazia futura che Mazzini indica nel Manifesto è chiaramente un'idea di democrazia di popolo educato, è una concezione di democrazia educativa perché questa porta l'uomo ad entrare in comunicazione, attraverso l'associazione, coi suoi simili e a perseguire il fine della democrazia, cioè lo sviluppo morale della società civile. L'insegnamento di Mazzini può essere per tutti i democratici, soprattutto per i giovani, un terreno unificante di educazione culturale e di lotta politica. Per tutti i repubblicani un terreno ancor più unificante, se solo mazzinianamente provassimo a ritrovare la forza morale di un impegno comune per il raggiungimento di questo grande fine e lasciassimo in secondo piano le miserie individuali o di gruppo della contingenza politica.

nuvolarossa
03-03-06, 10:20
Restauraron el monumento al prócer italiano
Honraron a Giuseppe Mazzini

En enero y febrero último fue restaurado el monumento a Giuseppe Mazzini, prócer de la unidad italiana, que se halla en la plaza Roma (en Alem entre Tucumán y Lavalle), con el financiamiento de la Región del Lazio, que comprende a cinco provincias de Italia e incluye a su capital.

El monumento y su base, en mármol de Carrara, fueron limpiados, y sus grietas, reparadas, al tiempo que se les dio un tratamiento contra los hongos, la humedad y los grafitti. Antes, la base había sido afectada por pintadas y varias placas de bronce habían sido robadas. Una verja de hierro rodea ahora al monumento, obra del escultor Giulio Monteverde, que fue donado por la comunidad italiana e inaugurado el 17 de marzo de 1878. Ayer se habilitó la restauración, en un acto al que asistieron el embajador de Italia, Stefano Ronca, y el nuevo director del Instituto Italiano de Cultura, Ennio Bispuri.

El titular de la Asociación Mazziniana en el país, Gianfranco Morsani, dijo que los ideales de Mazzini de Dios, patria, familia, trabajo, respeto de la mujer y ayuda mutua son vividos por sus seguidores en el país. El subsecretario de Relaciones Internacionales de la ciudad, Roberto Laperche, destacó la impronta cultural italiana en Buenos Aires. (...)

McFly
03-03-06, 10:56
... nel senso che ho "prole" ... hai ragione ... perche' ho due bellissime figlie .... per il resto sappi ... caro il mio padroncino sfrutta-segretarie ... che io vivo di rendita .... e seguo il dettato filosofico di Bertrand Russel del poco lavoro (anzi niente, perche' abbiamo gia' dato) e tanto riposo .... e con gli schiavi del denaro come te manco a scopone ci gioco ....

http://www.nuvolarossa.org/
Nuvola :D ma dimmi di Russell dove posso trovare in rete riguardo ai suoi scritti? bella la filosofia del fancazzismo!! l'appoggio in pieno ^_^
Nuvola, curiosità quanti anni hai? sei già in pensione?
Sei un rompi ma simpatico!
Ciao! ^_*

nuvolarossa
03-03-06, 11:46
... McFly ... su Bertrand Russel puoi fare il pieno visitando questi siti ...

http://www.mcmaster.ca/russdocs/russell.htm
http://plato.stanford.edu/entries/russell/
http://de.wikipedia.org/wiki/Bertrand_Russell
http://www.users.drew.edu/~jlenz/brs.html

McFly
03-03-06, 15:53
...azzziee!!! anche se non m'hai risposto sull'età!! ^_*

UPDATE: mmmm..non trovo nulla sulla teoria del fancazzismo!

nuvolarossa
03-03-06, 15:59
..azzziee!!! anche se non m'hai risposto sull'età!! ^_*... puoi sempre vedere il mio profilo ... al link ...
http://www.politicaonline.net/forum/member.php?u=124

nuvolarossa
12-03-06, 20:09
1805 Nasce a Genova il 22 giugno
1820 Studia all’Università di Genova nella facoltà di Medicina che poi lascia per quella di Giurisprudenza
1826 Scrive il suo primo saggio: “Dell’amor patrio di Dante” pubblicato nel 1837
1827 Si laurea in legge. Entra nella società segreta della Carboneria
1830 E’ arrestato per la sua attività patriottica e rinchiuso nella fortezza di Savona
1831 Prosciolto per mancanza di prove gli si impone di scegliere tra il confino e l’esilio. Sceglie la via dell’esilio. In Francia, a Marsiglia, fonda la “Giovine Italia” il cui programma è “Unità, Indipendenza, Libertà, Repubblica”
1832 Per la sua attività rivoluzionaria viene condannato a morte in contumacia dal Consiglio Divisionale di Guerra di Alessandria
1833 Fallisce in Savoia un tentativo di insurrezione. Mazzini si rifugia in Svizzera e con altri patrioti esuli delle nazionalità oppresse fonda a Berna la “Giovine Europa”
1836 La Dieta Elvetica lo esilia in perpetuo dallo Stato perché aveva promosso la costituzione della “Giovine Svizzera”. Si reca a Parigi ove viene arrestato e rilasciato a patto che parta per l’Inghilterra 1837 Si stabilisce a Londra e vive in grande povertà
1840 Ricostituisce la “Giovine Italia” e fonda il periodico “Apostolato popolare”
1841 Fonda il 10 novembre la scuola gratuita per i fanciulli poveri di Londra
1848 Torna a Parigi e redige lo Statuto della Associazione Nazionale Italiana. Il 7 aprile è acclamato a Milano insorta contro gli austriaci e fonda il quotidiano “L’Italia del popolo”. Tornati gli austriaci a Milano si dirige a Bergamo ove milita come alfiere nel battaglione garibaldino e poi ripara in Svizzera
1849 Partecipa come Triunviro (con Saffi e Armellini) al governo della Repubblica Romana. Le truppe straniere chiamate da Papa Pio IX soffocarono con le armi la Repubblica. Mazzini riparte per l’esilio, dapprima in Francia e poi in Svizzera ove vive in clandestinità, spostandosi in continuazione
1851 Ritorna a Londra ove si fermerà fino al 1868 salvo alcuni brevi intervalli. Fonda la società “Amici d’Italia” che raccoglierà i simpatizzanti della causa nazionale
1857 Ritorna a Genova per preparare con Carlo Pisacane l’insurrezione della città. Mazzini viene condannato a morte in contumacia una seconda volta
1859 Si reca clandestinamente a Firenze l’8 agosto, dopo la caduta del governo granducale
1860 Esce a Lugano l’opera “Doveri dell’uomo”. Si reca a Napoli liberata da Garibaldi nella speranza che la rivoluzione prosegua per Roma e Venezia. Con Garibaldi compila tuttavia lo statuto della Associazione Unitaria Nazionale 1865 Elabora il programma dell’Alleanza Repubblicana universale
1866 E’ eletto alla Camera dei Deputati nel Collegio di Messina ma con 181 voti contro 107 la Camera annulla il voto popolare. Il Collegio di Messina lo rielegge ma il 7 febbraio 1867 Mazzini rinuncia all’elezione per coerenza repubblicana
1870 A Palermo, ove si recava per sollecitare il movimento insurrezionale, viene arrestato e portato nel carcere militare del forte di Gaeta. Amnistiato a seguito della presa di Roma, vi si può finalmente recare dopo la luminosa vicenda della Repubblica Romana del 1849. Dopo brevi soste in altre città italiane riprende la via dell’esilio
1871 Promuove il Patto di Fratellanza tra le società operaie italiane, la prima organizzazione unitaria dei sindacati dei lavoratori in Italia
1872 Giunge in incognito a Pisa il 6 febbraio ospite della famiglia Nathan-Rosselli, dove muore il 10 marzo. Esule in Patria, sotto falso nome, ma accompagnato dal rispetto e dall’affetto dei lavoratori che, sia a Pisa che a Genova, partecipano, oltre centomila, ai suoi funerali.
http://www.webandcad.it/AMI/IMMAGINI/mazzini_vita4.jpg

tratto da http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/mazzini.htm

yurj
15-05-06, 12:00
Salve,

se a qualcuno interessa, questo mese il calendario del popolo (www.teti.it) ha un'intera monografia su Mazzini. Penso si trovino delle copie in qualche biblioteca ben fornita o scrivendo all'editore.

Ecco qui le info sul numero:

http://asp.gedinfo.com/teti/portfolio/pubblico/dettaglio_web.asp?dettaglio=31&categoria=35

http://asp.gedinfo.com/teti/portfolio/images/img_1/img_31.jpg

Franco Della Peruta e Tiziano Tussi
GIUSEPPE MAZZINI Una vita per l'unità d'Italia
Nr. 706
numero monografico


Le prestigiose penne di Franco Della Peruta e Tiziano Tussi tracciano per questo numero monografico del Calendario del Popolo, con perizia e dovizia di particolari, il ritratto di Giuseppe Mazzini, che tutto dedicò all’unità d’Italia.
La girandola di avvenimenti, la passione e l’esilio, le cocenti delusioni, gli errori e la testardaggine dell’uomo che idealizzò e volle la nostra nazione sono qui narrate ed analizzate con un giusto senso della critica rivolta ai pregi e ai difetti di colui che visse e morì per l’amata Patria. Una, sola, indivisibile Italia.

Giuseppe Mazzini, una vita per l’unità d’Italia sarà presto anche una Mostra storico-documentaria che andrà a collocarsi nel guarnito carnet di iniziative della casa editrice, affiancando quelle sino ad oggi realizzate (visita la sezione dedicata alle mostre).

Giuseppe Gizzi
15-05-06, 13:05
Grazie della segnalazione

nuvolarossa
13-06-06, 11:15
ROMA: LE CELEBRAZIONI PER LA NASCITA DI GIUSEPPE MAZZINI

Roma, 12 giu. (Adnkronos/Adnkronos Cultura) - Sul piazzale Ugo La Malfa del colle Aventino, affacciato sulla valle Murcia, e' stato sistemato, nel 1949, in occasione del centenario della Repubblica Romana, il monumento dedicato a Giuseppe Mazzini, che lego' il suo nome a Roma nel 1849, partecipando al triumvirato con Carlo Armellini e Aurelio Saffi in occasione della costituzione della Repubblica Romana.

Da qui si gode il panorama sulle rovine dei palazzi imperiali del Palatino e qui, in occasione del 201° anniversario della nascita di Giuseppe Mazzini (Genova, 22 giugno 1805), avverra' la tradizionale cerimonia di deposizione delle corone di alloro ai piedi del monumento nazionale. All'evento, che si terra' il 22 giugno alle ore 10, partecipera' quest'anno la banda della Polizia Municipale del comune di Roma.

tratto da IGN Cultura 13 giugno 2006
http://www.adnkronos.it/3Level.php?cat=Cultura&loid=1.0.466041968

nuvolarossa
21-06-06, 09:52
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


Maturità: Ungaretti e Mazzini tra le tracce

09.20: L'isola di Ungaretti per la traccia letteraria e Giuseppe Mazzini per quella storica. Prime indiscrezioni sui temi della maturità che oggi vedono impegnati quasi 500mila maturandi. Banditi telefoni cellulari, videofonini e pc portatili. Disattivati i collegamenti internet nelle scuole.

tratto da audionews.it
http://www.audionews.it/notizia.asp?id=152713

nuvolarossa
10-07-06, 17:47
GIUSEPPE MAZZINI A LONDRA (I)

Alla fine del 1836 le Potenze riuscirono finalmente ad ottenere che Mazzini fosse espulso dalla Svizzera. Accompagnato dai fratelli Ruffini, all'inizio del 1837 si trasferì a Londra. In quella che sarebbe diventata la sua seconda patria i primi anni di soggiorno furono durissimi: sospesa ogni attività politica, non gli restarono che le lunghe giornate di studio alla British Library, dedicate essenzialmente alle ricerche sugli scritti danteschi di Ugo Foscolo e alla preparazione di articoli per le riviste culturali inglesi. La conoscenza dello storico Thomas Carlyle e la frequentazione della sua casa costituirono per Mazzini il primo approccio con la vita di società inglese.

http://img478.imageshack.us/img478/1888/08011zm.jpg

Rappresentazione di vita londinese intorno agli anni '40

nuvolarossa
10-07-06, 17:48
http://www.mazzini2005.it/mostramazzini/frame_3/Galleria1/immagini/08_02.jpg

La sala di lettura della British Library

nuvolarossa
10-07-06, 17:50
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Giovanni Ruffini, Il dottor Antonio (tratto dall'omonimo film di E. Guazzoni, 1937)

nuvolarossa
10-07-06, 17:52
http://img98.imageshack.us/img98/6211/08040ga.jpg

Edizione degli Scritti di Ugo Foscolo curata da Mazzini (1844)

nuvolarossa
10-07-06, 17:54
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Salotto di casa Carlyle (24 Cheyne Row, Chelsea)

nuvolarossa
23-07-06, 21:26
MAZZINI E IL RISCATTO DEI LAVORATORI

Per Mazzini, l'unificazione nazionale e la forma repubblicana avrebbero gettato le premesse del riscatto del lavoro. La sua concezione, ispirata all'associazionismo, si sviluppò in contatto con il movimento operaio inglese. A Londra, fu tra i fondatori dell'Internazionale dei lavoratori, opponendosi sin dall'inizio alla visione materialistica di Karl Marx. Educati dalla lettura dei "Doveri dell'uomo" - in cui il diritto è presentato come il frutto del dovere adempiuto - i lavoratori italiani si riunirono dopo l'Unità a Roma nel Patto di fratellanza (1871), la loro prima organizzazione nazionale.

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Frontespizio della prima edizione integrale dei "Doveri dell'uomo" (Napoli, 1860)

nuvolarossa
23-07-06, 21:30
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Ritratto di Karl Marx

nuvolarossa
23-07-06, 21:32
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Manifestazione degli operai inglesi aderenti al Cartismo

nuvolarossa
23-07-06, 21:33
http://www.mazzini2005.it/mostramazzini/frame_3/Galleria1/immagini/13_04.jpg

Testo del Patto di Fratellanza tra gli operai italiani (Roma, 1871)

nuvolarossa
23-07-06, 21:34
http://www.mazzini2005.it/mostramazzini/frame_3/Galleria1/immagini/13_05.JPG

Bandiera di società operaia mazziniana

nuvolarossa
28-09-06, 18:22
Quando uno dei "nonni" della sinistra italiana ... l'aveva con il nostro Beppino ...

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Lettera ai compagni d’Italia
Locarno, 13-29 marzo 1872

di Mikhail Bakunin

Questo documento in forma di lettera a Celso Ceretti, fu scritto da Bakunin dal 15 al 27 marzo 1872, pubblicato da Jacques Mesnil nella “Société Nouvelle” di Bruxelles, n. 134 (febbraio 1896), pp. 175-199, ripresa in parte da M. NETTLAU, op. cit., pp. 318-330, tradotta in italiano solo nel 1955, dal gruppo de «L’Impulso», con il titolo Lettera ai compagni d’Italia, Livorno 1955, che noi utilizziamo; ora in ARCHIVES BAKOUNINE cit., I, 2, pp. 233-255.

Mio caro amico,

nel momento stesso in cui mi giungeva la vostra lettera, ho ricevuto la grande, la triste notizia: Mazzini è morto.

L’Italia ha perduto uno dei suoi figli più illustri. Perché per ciascuno di noi non vi può essere dubbio, non vi è dubbio, che Mazzini, con Garibaldi, è stato una delle piu grandi individualità italiane, il secondo eroe del secolo. Eminente intelligenza, cuore ardente, indomabile volontà, devozione immutabile, sublime: ecco certamente delle qualità che nessuno oserà contestargli e che fanno i grandi uomini.

E pertanto, al termine della sua lunga e magnifica carriera, egli ha trovato in noi degli avversari convinti e inconciliabili. Noi l’abbiamo combattuto, non a cuor leggero ma con la tristezza nell’anima e perché il nostro dovere, la nostra religione, la religione dell’umanità, opposta a quella della divinità, ci avevano imposto questa battaglia.

Le idee teologiche di Mazzini, armate di quella potenza liberticida che è propria a tutte le astrazioni divine, avendo alla fine trionfato sul suo temperamento di rivoluzionario e sulla sua natura sostanzialmente liberale d’italiano, lo avevano trasformato negli ultimi giorni della sua vita, in un implacabile nemico della rivoluzione. Egli l’ha maledetta in tutte le sue più grandi manifestazioni del giorno: nella Comune di Parigi, il cui programma demolitore della centralizzazione politica degli Stati e la cui insurrezione e l’eroico martirio hanno inaugurato una nuova epoca nella storia; nell’Internazionale, magnifica organizzazione uscita dal profondo della vita del proletariato europeo e divenuta incontestabilmente oggi il più potente se non l’unico strumento della sua prossima emancipazione; nel Libero Pensiero, questo alter ego, questa espressione ideale, inseparabile dall’emancipazione materiale del genere umano; e nella scienza positiva, astro umano che oggi si leva per soppiantare col suo certo giorno la equivoca luce degli astri divini; infine nell’alleanza generosa e feconda che la parte più viva e più intelligente della vostra gioventù ha concluso col proletariato italiano, sull’unica base della giustizia e della solidarietà umana. Mazzini ci ha attaccato in tutto ciò che ci è sacro e caro ed ha voluto imporci delle idee e delle istituzioni che noi detestiamo dal profondo dei nostri cuori e con tutta la forza delle nostre convinzioni. Noi saremmo stati dei vili e dei traditori se non l’avessimo combattuto ad oltranza. Il profondo sentimento di rispetto, di simpatia e di pietà che non abbiamo mai cessato di nutrire per questo sublime e sincero retrogrado, ci aveva reso assai dolorosa, assai penosa questa battaglia, ma ci era impossibile sottrarci ad essa, senza tradire la nostra causa, la grande causa del trionfo finale dell’umanità sulla divinità e sulla bestialità riunite in una sola azione retrograda, trionfo realizzato attraverso la emancipazione economica e sociale del proletariato.

Novello Giosuè, Mazzini aveva tentato di fermare il corso del sole. Egli ha dovuto soccombere davanti a tale compito. La sua grande anima affaticata, torturata, ha trovato finalmente il riposo che, viva, non conobbe mai. Il grande patriota mistico, l’ultimo profeta di Dio sulla terra è morto, portando nella sua tomba, insieme all’ultima religione, Dio stesso, che questa volta, speriamolo, non risusciterà più.

Il partito di Mazzini non ha più forza per continuare la sua propaganda, ormai impossibile e tale che non trovando alcuna base viva negli istinti reali della nazione italiana, era stata sostenuta dalla sola potenza del suo genio retrogrado. Restano in seno al partito uomini indubbiamente degni di stima: Saffi, Campanella e soprattutto il vecchio Quadrio, il più nobile e il più puro uomo che io abbia incontrato nella mia vita, un vegliardo che io adoro e che probabilmente mi maledice..., alcuni altri ancora i cui nomi mi sono sconosciuti; ma nessuno sarà in grado di raccogliere l’eredità di Mazzini e la costituzione tanto teorica che pratica di questo partito, autoritario più di ogni altro, è tale che per esistere ha bisogno di un capo. Il capo è scomparso, dunque deve dissolversi. Ma non subito. Al contrario è più che probabile che in un primo momento, galvanizzati dalla sciagura che li ha colpiti, essi faranno un estremo sforzo per unirsi ancora meglio; ma passata questa prima ora, siccome non esiste un vero legame fra tutti e siccome il loro partito non ha messo alcuna radice nella vita popolare, i mazziniani non potranno fare a meno di dividersi in molte piccole chiese, che, dirette da diversi capi, diverranno tanti piccoli centri d’intrigo politico... [una parola illeggibile] ...e molto spesso opposti. Molti, e senza dubbio i più vivi, i più sinceri, i più giovani verranno con voi. Voi li accoglierete, senza dubbio, con un sentimento fraterno, ma, vi prego, non lasciatevi metter da parte da loro e non permettete loro d’introdurre nel vostro campo così compatto le loro piccole passioni politiche, ambiziose, fallaci ed autoritarie. Aprite loro una larga porta: ma non li ammettete se non alla condizione di una leale accettazione da parte loro di tutto il programma dell’Internazionale.

Permettete ad un amico di mettervi in guardia contro un altro pericolo. Tutta l’Italia pensante e sensibile, colta da un grande dolore, si unisce oggi in certo modo in un sentimento di adorazione per Mazzini. Se non vi fossero altre prove che questa, essa basterebbe da sola per mostrare come l’Italia, in mezzo alla decadenza generale dell’Europa, è restata ancora una nazione grande e viva. L’Italia si onora e si afferma nel culto che rende ad uno dei suoi grandi, ad uno dei suoi figli e dei suoi servitori più appassionatamente devoti. Quale cosa più naturale che in questo momento di dolore e di commozione generale, mazziniani e internazionalisti italiani, rivoluzionari borghesi e socialisti rivoluzionari, dimenticando per un momento tutte le loro passate divergenze, si tendano una mano fraterna? Ma, vi prego, anche in mezzo a questo abbraccio patriottico, non dimenticate l’abisso che separa il vostro programma dal programma dei mazziniani. Non lasciatevi trascinare da loro - che non mancheranno certo di tentarlo - in una pratica impresa comune, conforme al loro programma, ai loro piani e ai loro metodi di lavoro, non ai vostri. Invitateli a unirsi con voi sul vostro proprio terreno, ma non seguiteli sul loro piano, che voi non potreste accettare senza sacrificare e tradire questa grande causa del proletariato che ormai è divenuta la vostra causa. Non dimenticate che fra la rivoluzione borghese che essi sognano e la rivoluzione sociale che oggi esige il vostro contributo, vi è realmente un abisso, non soltanto quanto agli scopi che sono essenzialmente diversi, ma anche in rapporto ai mezzi che devono essere necessariamente conformi a questi scopi. Accettando i loro piani d’azione, non soltanto voi rovinereste tutto il vostro lavoro socialista e strappereste il vostro paese alla solidarietà rivoluzionaria che l’unisce oggi con tutta l’Europa, ma voi condannereste voi stessi, insieme a tutti coloro che vi seguissero su questa nuova funesta via, a una disfatta certa, ad un smacco [fiasco nel testo] sanguinoso e completo.

È un fatto che tutte le spedizioni intraprese e condotte direttamente da Mazzini, senza eccezione alcuna, hanno sempre fallito. E pertanto chi oserebbe dire che queste imprese siano state inutili? Considerate nel loro insieme, come un sistema di educazione pratica applicato alla gioventù italiana, esse produssero un risultato immenso: quello di ispirare, di svegliare, di formare e rinsaldare questa gioventù patriottica e di farne il vero germoglio della rinascita italiana. Ecco la grande opera, l’opera immortale di Mazzini: egli ha formato questa gioventù e, tramite essa, ha creato l’Italia qual’è oggi, sì, ma soltanto quale è oggi: l’Italia civile, letteraria, borghese, l’Italia politica, l’Italia-Stato, non l’Italia sociale, non l’Italia popolare e viva. All’opera ideale e politica di Mazzini è mancata la consacrazione del popolo, non questa consacrazione formale e artificiosa che si ottiene grazie ai voti politici di quell’astrazione, di quella menzogna che si chiama suffragio universale, ma la consacrazione vasta e feconda che non si ottiene che con la partecipazione reale e con l’azione spontanea della vita popolare. Tutta l’opera di Mazzini è restata fuori di questa vita reale delle masse. Ed ecco perché questa opera gigantesca, intrapresa dal più grande uomo del secolo e compiuta da due generazioni di martiri e di eroi italiani, sembra un’opera morta, apparendo piuttosto come un cadavere in stato di putrefazione che come un corpo vivo e vitale; ed ecco perché, malgrado l’idealismo trascendente del pensiero che l’ha ispirata, l’unità politica creata da Mazzini, già mezza imputridita, è divenuta l’Eldorado dei parassiti e di immonde bestie da preda. Per grande che possa essere il genio di un uomo, esso può ben concepire un pensiero, può anche ispirarlo a centinaia di giovani, ma non può creare la vita, ne la potenza della vita, perché la vita non è mai figlia dell’astrazione, perché la seconda procede sempre a ritroso della prima e non ne è che una espressione incompleta. Il segreto e la potenza della vita non si trovano che nella società, nel popolo. E finché il popolo non avrà dato la sua sanzione ad un’opera sedicente nazionale, quest’opera non sarà mai né realmente nazionale né viva. L’Italia creata da Mazzini ha fatalmente condotto all’Italia dei Lanza, dei Bonghi, dei Correnti e dei Visconti-Venosta, all’Italia dei Crispi, Mordini, Nicotera e tutti quanti [in italiano nel testo]... Questo non è un disgraziato accidente ma una necessità logica e fatale.

Nessuno l’ha avvertito meglio di Mazzini. Così voi ritrovate il nome del popolo in tutti i suoi scritti; esso costituisce anche il secondo termine della sua famosa formula: Dio e Popolo [in italiano nel testo], e Mazzini ha sempre dichiarato che egli non avrebbe considerato la sua opera definitivamente compiuta, se non quando essa fosse stata sanzionata dal popolo. Ma il popolo di cui parla Mazzini non è il popolo reale considerato nella sua realtà spontanea e vivente; il suo popolo è un essere fittizio, astratto, teologico per cosi dire. Le masse popolari prese nella loro esistenza naturale, reale e viva, non costituiscono ai suoi occhi che la moltitudine: e perché questa moltitudine divenga popolo, bisogna che accetti anzitutto la legge di Dio, il pensiero di Dio rivelato dai profeti, uomini di genio coronati di virtù. Questo pensiero che ha la facoltà di trasformare la moltitudine in un popolo non è dunque l’espressione della vita stessa di questa moltitudine, esso nasce al di fuori di essa, e le è conseguentemente conferito ed imposto dal di fuori. Questo è il vero significato della formula: Dio e Popolo [in italiano nel testo]. Dio [in italiano nel testo] è il pensiero dogmatico, aristocratico, extrapopolare e per conseguenza antipopolare, che si deve ad ogni costo imporre alla moltitudine perché quest’ultima, con una parvenza di voto spontaneo, lo sanzioni e sanzionandolo divenga popolo. Il popolo di Mazzini è una moltitudine magnetizzata, sacrificata e facilmente rappresentata nei concilî e nelle costituenti da uomini che hanno attinto le loro ispirazioni non negli interessi delle masse, non nella vita reale delle masse, ma in una astrazione teologica-politica, assolutamente estranea a queste masse.

Il nostro principio, invece, è del tutto opposto; al di fuori della scienza positiva, noi non riconosciamo nessun’altra fonte di verità morali che la vita stessa del popolo, poiché la stessa scienza positiva non è in verità che il compendio metodico e ragionato dell’immensa esperienza storica dei popoli. La società, considerata nel senso più largo del termine, il popolo la vile [in italiano nel testo] moltitudine, la massa dei lavoratori, non produce soltanto la potenza e la vita, essa produce anche gli elementi di tutto il pensiero moderno; e un pensiero che non è estratto dal suo seno e che non è la fedele rappresentazione degli istinti popolari a mio giudizio, è un pensiero nato-morto. Di qui io traggo la conclusione che il compito della gioventù colta ed appassionata non è quello dei rivelatori, dei protetti dei precettori dei dottori, non quello di creatori, bensì di ostetrici del pensiero partorito dalla vita stessa del popolo; penso cioè che i giovani che vogliono servire il popolo devono cercare le loro ispirazioni non al di fuori di lui, ma in lui, per esprimere in una forma chiaramente definita ciò che esso porta nelle sue inconsapevoli ma potenti aspirazioni.

Fra le idee popolari, quella che oggi incontestabilmente occupa il primo posto come aspirazione delle masse di ogni paese, è l’emancipazione materiale o economica. I mazziniani, dall’alto del loro idealismo extra popolare e trascendente, disprezzano molto questa tendenza, e se essi si sono visti obbligati a farle certe concessioni in quest’ultimi tempi, essi lo hanno fatto con una sorta di sdegnosa condiscendenza per la vile brutalità di queste masse incapaci di dimenticare il loro ventre e di vivere nella sola contemplazione dell’ideale. Il loro sprezzante socialismo è una specie di esca per la moltitudine che la bellezza di quell’ideale non commuove. Accecati dalle loro idee teologiche e politiche, idee che rappresentano in fondo tante catene antiche e nuove per il popolo, essi non hanno visto in questa aspirazione che l’espressione brutale di brutali appetiti, e non hanno compreso che pur nella sua forma incosciente e primitiva, essa contiene la più alta delle idee emancipatrici del secolo: quella che, distruggendo tutte le idealità come astrazioni, come finzioni o come simboli teologici, poetici, giuridici e politici, deve tradurle in viventi realtà popolari: verità, giustizia, libertà, eguaglianza, solidarietà, fratellanza, umanità, tutte queste magnifiche parole finché sono restate allo stato di verità teologiche, poetiche, politiche e giuridiche non hanno servito che a consacrare e coprire la più brutale oppressione e il più duro sfruttamento nella vita reale del popolo, non hanno espresso che la condanna delle masse alla schiavitù e ad una eterna miseria. La base reale, come l’ultima conseguenza di tutte queste splendide astrazioni, non è sempre stata, da che esiste storia, lo sfruttamento del lavoro forzato delle masse a profitto di minoranze privilegiate chiamate classi? La Chiesa cattolica, la più ideale di tutte per principio, non è stata, dopo i primi anni della sua esistenza ufficiale, cioè dopo l’imperatore Costantino il Grande, l’istituzione più rapace e più avida? E tutto il resto in proporzione. Tutti gli splendori della civiltà cristiana, Chiesa, Stato, prosperità materiale delle nazioni, scienza, arte, poesia, tutto questo non ha avuto per sostegno la schiavitù, l’asservimento, la miseria di milioni di lavoratori che costituiscono il vero popolo? Che cosa fa dunque il popolo ponendo questa terribile questione economica? Egli attacca tutta questa civiltà, che l’ha troppo a lungo asservito, nella sua base reale. Egli obbliga gli eterni ideali a scendere dal cielo sia teologico sia politico sulla terra della vita reale e a trasformarsi in realtà viventi e feconde per il popolo. Rivendicando il suo pane quotidiano, il pieno prodotto del suo lavoro, il popolo rivendica dunque per se stesso la scienza, la giustizia, la libertà, l’eguaglianza, la solidarietà, la fratellanza, e per dirla in una parola sola, l’umanità. Donde risulta che il suo materialismo, che i mazziniani disprezzano tanto, è la più alta espressione di idealismo pratico e reale.

Ecco ciò che i mazziniani, finché resteranno fedeli alla dottrina politico-religiosa del loro maestro, non comprenderanno mai. Ma dalla diversità di principi e di scopi deriva inevitabilmente una diversità di mezzi e di pratica rivoluzionaria. I mazziniani, infatuati delle loro idee, tratte fuori della vita e delle reali aspirazioni popolari, si immaginano che loro basti costituirsi in piccoli centri di cospirazione nelle principali città d’Italia, in numero di alcune decine in ciascuna, trascinando con loro al massimo alcune centinaia di operai e di sollevarsi all’improvviso in una insurrezione simultanea, perché le masse li seguano. Ma anzitutto essi non hanno mai saputo organizzare una insurrezione simultanea: inoltre e ciò che più conta, le masse sono sempre restate sorde e indifferenti ai loro appelli, in modo che tutte le imprese mazziniane hanno avuto per invariabile risultato degli insuccessi [fiasco nel testo] sanguinosi ed anche talvolta ridicoli. Ma poiché i mazziniani sono dei dottrinari incorreggibili, sistematicamente sordi alle crudeli lezioni della vita, questa terribile serie di dolorosi aborti, questa stessa esperienza non ha loro insegnato niente e, ad ogni primavera, essi ricominciano di nuovo, attribuendo tutte queste disfatte subite non al vizio inerente al loro sistema, ma ad alcune circostanze secondarie, a sfavorevoli accidenti, accidenti che si incontrano in tutte le imprese della storia ma che non hanno potuto esser vinti che da quelle imprese che emanavano dal profondo della vita reale. [...]

Queste imprese, sempre fallite, avevano una ragion d’essere, malgrado il loro fatale e costante insuccesso, quando si trattava di svegliare e di formare il patriottismo della gioventù italiana. Questa fu, come io ho già detto, l’opera gloriosa di Mazzini. Ma una volta compiuta quest’opera, bisognava assolutamente cambiare sistema, pena la sua distruzione o la sua corruzione. Il vecchio sistema di Mazzini, che era eccellente per creare una prode gioventù, non valeva niente per realizzare una grande rivoluzione vittoriosa. Essendo lui stesso sempre dominato dalle sue astrazioni teologiche, poetiche, politiche e patriottiche, essendo d’altro lato riuscito a imporre più o meno l’entusiasmo dottrinario, di cui egli era stato animato ad un numero d’altronde sempre più ridotto, di giovani suoi discepoli, Mazzini aveva creduto che le sue astrazioni fossero sufficienti per sollevare le masse. Egli non ha mai compreso che le masse non entrano in movimento se non quando vi sono spinte da forze - al tempo stesso interessi e principi - che emanano dalla loro propria vita, e che delle astrazioni sorte al di fuori di questa loro vita non potranno mai esercitare su di esse questa azione.

Ingannato da questa costante illusione della sua vita, egli ha creduto fino all’ultimo momento che si potesse fare una rivoluzione con un colpo di sorpresa e che una ribellione a mano armata spontanea e simultanea di alcune centinaia di giovanotti, sparsi in piccoli gruppi in tutto il paese, fosse sufficiente per sollevare la nazione.

L’insurrezione che egli aveva progettato per questa primavera, preparandola calcolandola organizzandola sempre nello stesso modo, avrebbe avuto inevitabilmente la sorte di tutte le imprese precedenti. Le conseguenze sarebbero state forse ancora più dure; perché l’Italia mi sembra trovarsi in una di quelle situazioni critiche in cui qualsiasi errore può riuscire fatale. Non bisogna invece che la rivoluzione si disonori con un movimento insensato e che l’idea di una insurrezione rivoluzionaria cada nel ridicolo.

Ciò che può e deve salvare l’Italia dallo stato di avvilente e rovinosa prostrazione in cui presentemente si trova, ciò che voi dovete preparare ed organizzare non è, mi sembra, una ridicola sommossa di giovani eroici ma ciechi; è una grande rivoluzione popolare. Per questo non basta far prendere le armi a qualche centinaio di giovanotti, non basta neppure sollevare il proletariato delle città, bisogna che insorga la campagna, bisogna che insorgano anche i vostri venti milioni di contadini.

Dopo il medio evo ed anche dopo Roma antica, dacché l’Italia ha iniziato la sua esistenza storica, si può dire, tutta la sua vita politica e sociale, il moto della sua civiltà si è concentrato nelle città. Durante il medio evo le vostre campagne costituivano dal punto di vista politico e morale un grande deserto muto e arido, in mezzo al quale le vostre città, esuberanti di moto, di ricchezza, di cultura e di vigore brillavano come oasi piene di splendore. Questa non partecipazione della campagna alla prodigiosa vita del e vostre città fu una delle cause principali della decadenza del vostro paese. In questo secolo, la gloriosa rinascita dell’Italia fu ancora opera esclusiva delle vostre città, con l’assenza quasi totale delle campagne. Dunque fino a questo momento i vostri contadini, cioè circa venti milioni d’italiani, sono restati al di fuori della vita storica dell’Italia, non vi hanno partecipato che come servi e come vittime.

Ecco il più grosso pericolo. Tutto l’avvenire del vostro paese dipende dall’atteggiamento che i vostri contadini prenderanno nella prossima rivoluzione. Fino ad oggi essi sono restati passivi ed hanno subito quasi senza resistenza la sorte e le forme di governo che le città hanno voluto loro imporre. Ma voi lo sapete meglio di me, i contadini da voi, come dovunque del resto, e forse più da voi che altrove, non amano le città. Poiché le città sono state più o meno politicamente rivoluzionarie, i contadini sono stati necessariamente reazionari, non tanto a causa della nefasta influenza che i preti esercitano su di loro, quanto a causa di questo rancore assolutamente naturale, e, diciamolo pure, assolutamente legittimo che essi nutrono, per tradizione storica e per loro recente esperienza, contro le città. I contadini detestano i borghesi.

Oggi che il proletariato cittadino si sveglia e si organizza per la rivoluzione in Italia come in tutti gli altri paesi d’Europa, la campagna, la massa compatta dei contadini, è divenuta l’unica via di salvezza e l’unico punto d’appoggio per la reazione. Un punto di appoggio cosi formidabile, che se noi non lo strapperemo nel più breve tempo alla reazione, non potremo mai trionfarne, ne usciremo sempre battuti. Tutta la questione del successo rivoluzionano si riduce dunque a questa: come sollevare, come portare alla rivoluzione i contadini?

Miei amici, non è forse chiaro, tanto per voi come per me, che le formule magiche e mistiche di Mazzini, che hanno fin perduto oggi quella potenza di suggestione che avevano avuto una volta sulla gioventù italiana, sono insufficienti per sollevare non soltanto i contadini, ma anche il proletariato delle vostre città? Il popolo delle campagne e il popolo delle città hanno sete d’emancipazione. Ma quella che si chiama libertà politica non emancipa in realtà che la sola borghesia; e siccome questa specie di libertà è (organizzata) in un grande stato centralista, fosse anche questo stato una repubblica come la vorrebbe Mazzini e come la vogliono ancor oggi i repubblicani; siccome la libertà costa molto cara e siccome tutte le spese dello Stato cadono in fin dei conti sul popolo lavoratore, ne consegue che questa libertà politica schiaccia sotto un nuovo peso il cammello popolare sovraccarico da non poterne più, come ha ben detto il generale Garibaldi.[...]

La reale emancipazione del popolo non potrà essere conquistata che a mezzo della rivoluzione sociale. Questa rivoluzione presenterà necessariamente, come tutte le cose viventi e attive, due facce: un lato negativo e un lato positivo. Il lato negativo consiste nella distruzione di tutto ciò che è, di tutto ciò che rovina ed opprime la vita popolare; questo sarà precisamente l’atto col quale il cammello popolare getterà per terra il fardello sempre più pesante che lo schiaccia da secoli; e questo fardello stesso ha una doppia natura: il fardello propriamente politico e fiscale, che ostacola da una parte lo sviluppo spontaneo, il libero movimento delle masse e che dall’altra le sovraccarica e le sacrifica con tasse ed imposte, cioè il fardello dello Stato. L’altra parte del fardello consiste nello sfruttamento economico del lavoro popolare da parte del capitale monopolizzato nelle mani dell’alta e ricca borghesia. In fondo queste due parti del fardello sono inseparabili, perché lo Stato necessariamente ostile, volto alle conquiste e occupato a rompere la solidarietà umana all’esterno, non ha mai avuto all’interno altra missione che quella di consacrare, legittimare e regolarizzare lo sfruttamento del lavoro popolare a profitto delle classi privilegiate.

Il rovesciamento dello Stato e del monopolio finanziario, questo è dunque il compito negativo della rivoluzione sociale. Quale sarà il limite di questa rivoluzione? In teoria, per sua logica, essa va assai lontano. Ma la pratica resta sempre dietro la teoria perché essa è subordinata a un complesso di condizioni sociali, la cui somma costituisce la situazione obiettiva di un paese, e che pesa necessariamente su ogni rivoluzione veramente popolare. Il dovere dei capi sarà non di imporre le loro proprie fantasie alle masse, ma di andare tanto lontano quanto lo consentiranno o lo imporranno l’istinto e le aspirazioni del popolo. Il compito positivo della rivoluzione sociale sarà la nuova organizzazione della società più o meno emancipata.

Anche sotto questo rapporto l’ideale è assai chiaramente posto in sede teorica. Come organizzazione politica, è la federazione spontanea, assolutamente libera dei comuni e delle associazioni operaie; come organizzazione sociale è l’appropriazione collettiva del capitale e della terra da parte delle associazioni operaie. In pratica sarà ciò che ciascuna sezione, ciascuna provincia, ciascun comune, ciascuna associazione operaia potrà e vorrà, a condizione che a decidere sia veramente la reale volontà delle masse e non il capriccio, la fantasia o la ripugnanza dei capi.

Una delle maggiori cure di coloro che si trovano oggi alla testa del movimento rivoluzionario socialista in Italia, dovrebbe essere, a mio avviso, quella di ricercare e di fissare, per quanto è possibile farlo oggi, almeno le grandi linee del piano e soprattutto del programma della prossima insurrezione rivoluzionaria. Senza perdere mai di vista l’ideale che deve guidarci come la stella polare una volta guidava i marinai, - e con questa parola ideale io intendo la più completa giustizia, la più completa libertà, la più completa eguaglianza economica e sociale, la solidarietà universale e la fratellanza umana - per formulare un programma pratico e realizzabile, bisogna necessariamente tener conto della diversa situazione di ciascuna vostra provincia, come dello stato di certe classi che compongono la vostra società. Non di tutte. Perché se voi volete contentare tutte le classi, voi arriverete necessariamente a zero; infatti gli interessi delle classi dirigenti e superiori sono troppo opposti a quelli degli strati inferiori perché una loro conciliazione sia possibile. lo penso dunque che tutte le classi che, direttamente o condirettamente, sono interessate alla conservazione dello Stato attuale devono essere sacrificate senza pietà: così tutta la nobiltà e tutta l’alta borghesia finanziaria, commerciale e industriale, tutti i grandi proprietari di terre e di capitali, e in gran parte anche la media borghesia: quella i cui rampolli affollano oggi l’esercito come ufficiali e la burocrazia come funzionari. Questa media borghesia, in Italia come dovunque, è una classe vigliacca e stupida, il puntello di tutte le corruttele, di tutte le iniquità, di tutti i dispotismi.

Vi sono in Italia quattro gruppi sociali dei quali, a mio avviso, bisogna tener conto. E anzitutto i due gruppi principali, i più numerosi, quelli che formano la base reale dell’intera nazione: il proletariato delle città e quello delle campagne, gli operai propriamente detti e i contadini. Sono essi principalmente che devono dare il tono e la direzione concreta alla prossima rivoluzione. C’è bisogno di dirvi che gli uni come gli altri sono necessariamente, eminentemente, istintivamente socialisti?

I vostri operai delle città ve ne danno ogni giorno nuove prove. La prontezza con cui essi vengono ad associarsi sotto la bandiera dell’Internazionale dovunque si trovino soltanto alcuni individui di buona volontà, capaci di inalberarla, né è una prova incontestabile. I mazziniani stessi hanno finito per riconoscerlo: così li vediamo oggi fare del socialismo di pessima lega e con molta goffaggine, senza dubbio. Da buoni idealisti essi non saranno mai capaci di fare del socialismo serio. Ma lo spirito socialista che si è impadronito delle masse operaie è troppo potente perché essi lo possano ignorare più a lungo. In questa massa che io ho chiamato proletariato delle città, l’ideale che ho definito è oggetto nella sua integrità di una tendenza assai marcata, molto esplicita, tanto che se esistesse soltanto questa massa, si potrebbe andare molto lontano. La passione che soprattutto la anima è quella dell’eguaglianza e di una assoluta giustizia. Il proletariato delle città vuole che tutti gli uomini lavorino su un piede di parità, alle stesse condizioni economiche e sociali, che il mondo sia un mondo di lavoratori, che non vi siano più signori, che non vi sia più possibilità per alcuno di ingrassare col lavoro altrui. Esso vuole che ciascun operaio fruisca del pieno prodotto del suo lavoro. Mazzini stesso, nei suoi ultimi scritti, ha riconosciuto la legittimità di questa richiesta che è iscritta per prima nel programma dell’Internazionale. Ma sapete ciò che questa domanda significa? Nient’altro che l’appropriazione di tutti i capitali da parte delle associazioni operaie, effettuata in un modo o in un altro. Perché fin tanto che i capitali resteranno monopolizzati in mani individuali come proprietà privata, e fin tanto che, per la stessa ragione le associazioni operaie, che rappresentano propriamente il lavoro, resteranno private del capitale, niente potrà impedire ai capitalisti di prelevare a proprio profitto una parte sempre maggiore dei prodotti di questo lavoro. L’interesse del capitale e tutti i premi da esso guadagnati nelle diverse speculazioni finanziarie, commerciali e industriali che altro significa se non questo iniquo prelevamento? Perché infine se mettete insieme tutti i capitali che volete, questi non figlieranno mai. Dal momento in cui le associazioni operaie saranno liberate dal giogo del capitale, ciò avrà per effetto che, in possesso esse stesse di capitali, non avranno più bisogno di pagare i servizi dei capitali estranei, questi ultimi non daranno più alcun interesse, e i loro attuali possessori li finiranno ben presto. Emancipazione del lavoro dunque non significa altro che espropriazione dei capitalisti e trasformazione di tutti i capitali necessari al lavoro in proprietà collettiva delle associazioni operaie.

Quanto all’ideale politico proprio agli istinti del proletariato cittadino, mi sembra oggi spartito in due tendenze abbastanza fra loro opposte e contraddittorie. Da una parte, l’operaio di città, anche il contadino istruito, liberato per la natura stessa delle sue occupazioni da quella mentalità “locale” che la cultura della terra imprime, comprende facilmente la solidarietà universale fra i lavoratori di tutti i paesi, trova la sua patria piuttosto nel suo particolare mestiere che nel paese in cui è nato. L’operaio di città è più o meno cosmopolita. D’altra parte, evidentemente sotto l’influenza delle dottrine borghesi che egli ha subito così a lungo, egli non è molto avversario della centralizzazione dello Stato. Gli operai tedeschi e inglesi sognano oggi questa centralizzazione di un grande Stato, purché, essi dicono questo Stato sia popolare: lo Stato dei lavoratori, ciò che, a mio avviso, costituisce una utopia, poiché ogni Stato e ogni governo centralista implicano necessariamente una aristocrazia ed uno sfruttamento, se non altro della classe dominante. Non dimentichiamo mai che Stato significa dominazione e che la natura umana è cosiffatta che ogni dominazione si traduce fatalmente e sempre in sfruttamento.

Invece, la massa dei contadini è per natura federalista. Il contadino è appassionatamente attaccato alla sua terra e detesta fortemente la dominazione delle città come ogni governo esterno che gli imponga il suo pensiero e la sua volontà. In Inghilterra e in Germania la rivoluzione che si prepara prende decisamente il carattere di una rivoluzione cittadina, tendente ad una nuova dominazione delle città sulle campagne. In Inghilterra il pericolo che ne deriverà per la rivoluzione stessa non sarà tanto grande, perché in verità, se si eccettua l’Irlanda, non vi esiste una classe di contadini, essendo i lavoratori rurali dei salariati pagati a giornata come gli operai delle città. In Germania, è un’altra cosa; la massa dei contadini vi è numerosa e vi sono molti contadini proprietari, come in Francia. Per colpa dei borghesi che a tre diverse riprese hanno ricacciato indietro e represso l’insurrezione spontanea dei contadini tedeschi: nel 1520 una prima volta, nel 1830 una seconda, nel 1848 una terza, questa enorme massa costituisce oggi la grande fortezza della reazione, il formidabile punto d’appoggio sul quale Bismark fa muovere la sua leva minacciosa contro tutte le libertà d’Europa; e il socialismo astratto dei tedeschi vi incontra una opposizione molto seria, molto pericolosa.

Voi non cadrete nell’errore dei tedeschi e non vi accontenterete di fare del socialismo cittadino; voi non ignorerete lo spirito e le naturali potenti aspirazioni del vostro proletariato rurale, dei vostri venti milioni di contadini. Voi non condannerete la vostra rivoluzione a una disfatta sicura. Volete che io vi dica tutto intero il mio pensiero? Ebbene, io penso che voi avete un elemento rivoluzionario molto più potente e reale nelle campagne che nelle città. Indubbiamente c’è più istruzione fra i vostri operai di città. L’ignoranza, purtroppo, è generale nel vostro paese, ma essa è assai più grande nelle campagne che nelle città. Nel proletariato cittadino c’è più pensiero, maggiore coscienza rivoluzionaria, ma c’è più potenza naturale nelle campagne.

Il vostro popolo delle campagne è rivoluzionario per natura, malgrado i preti la cui influenza non si esercita che sulla sua epidermide. E a questo proposito voglio dirvi ciò che io penso della propaganda del libero pensiero. Questa propaganda è eccellente per correggere l’indirizzo e le tendenze pratiche della vostra gioventù più o meno colta. Ma sul popolo propriamente detto, la sua azione è nulla. Perché la religione del popolo non è tanto l’affetto di una aberrazione teorica quanto la manifestazione di una protesta pratica della vita popolare contro gli angusti limiti che le sono posti, contro la servitù e contro la miseria. Emancipate realmente, largamente il popolo e vedrete automaticamente cadere tutte le superstizioni religiose e tutte le ubriacature del cielo. Non è la propaganda del libero pensiero, è la rivoluzione sociale che ucciderà la religione del popolo.

Il vostro contadino è necessariamente socialista e, dal punto di vista rivoluzionario, si trova in una posizione eccellente, cioè in una situazione economica deplorevole. Ad eccezione dei contadini della Toscana, forse, dove vi sono molti mezzadri - io ignoro la situazione economica dei vostri contadini romagnoli - i contadini del Piemonte, della Lombardia, di tutto l’antico reame di Napoli si trovano in una tale miseria, la loro esistenza è divenuta cosi insopportabile, che una rivoluzione promossa dalle campagne mi sembra inevitabile, anche se non fosse diretta da alcuno. Due anni fa i contadini non si erano sollevati spontaneamente a proposito di questa legge del “macinato”? [in italiano nel testo]. E notate come è stato giusto il loro istinto. In parecchi posti, a Parma ad esempio, essi hanno bruciato tutta la carta bollata, loro mortale nemico. L’autodafè di tutta la carta bollata ufficiale, ufficiosa, penale e civile, mi sembra uno dei più bei mezzi della rivoluzione apertamente socialista. È molto più umano e molto più radicale che tagliare delle teste, alla maniera dei giacobini. [...]

Così, espropriazione dei detentori dei capitali e trasformazione del capitale in proprietà collettiva delle associazioni operaie; e organizzazione della solidarietà generale - questo è l’ideale del proletariato cittadino.

Completa libertà locale e presa di possesso di tutta la terra da parte dei lavoratori della terra, questo è l’ideale del proletariato rurale.

Questi due ideali si possono ben conciliare nel principio della libera federazione dei comuni e delle associazioni operaie coraggiosamente proclamato, un anno fa, dalla Comune di Parigi. E se non vi fossero che questi due gruppi sociali, il programma della rivoluzione sociale sarebbe già rapidamente tracciato.

Ma vi sono altri gruppi di cui bisogna tener conto; anzitutto perché per la loro situazione sempre più disastrosa, essi divengono necessariamente di giorno in giorno più rivoluzionari, e poiché assai numerosi l’uno e l’altro, essi esercitano una reale influenza sul popolo: essi sono nelle città, la piccola borghesia e nelle campagne i piccoli proprietari. Queste due classi non hanno propriamente un programma, essendo completamente disorientate. Per le loro tradizioni e per la loro vanità sociale, esse propendono un po’ verso le classi privilegiate, per i loro istinti sempre più minacciati e sacrificati e per le condizioni reali della loro esistenza, esse sono al contrario sempre più sospinte verso il proletariato. Pertanto esse conservano ancora alcuni interessi che risentirebbero di una applicazione troppo conseguente e troppo logica dei principi socialisti, quali emanano già dalle aspirazioni delle masse: conciliare questi interessi con queste aspirazioni, senza tuttavia sacrificare quest’ultime, questa è l’opera che oggi vi spetta.

Federalismo e socialismo, questi sono i due elementi basilari della prossima rivoluzione. È assolutamente l’opposto del programma mazziniano. Non è chiaro allora che ogni conciliazione fra questi due partiti è impossibile sul terreno dei mazziniani? Voi non potete prender parte alle loro imprese, prima perché esse sono fatalmente condannate sempre a fallire; poi e soprattutto perché i vostri scopi e i vostri mezzi sono assolutamente diversi. Voi volete l’emancipazione completa e definitiva della società italiana e la sua organizzazione è nuova riorganizzazione sulla base del lavoro al tempo stesso libero e collettivo, dal basso in alto, tramite la federazione e l’associazione naturale. Essi sognano invece per questa società una nuova servitù sotto il giogo di un grande stato unitario. Voi volete preparare e organizzare un potente movimento popolare che rovescerà tutto ciò che gli si oppone spezzando le eventuali resistenze e rendendo queste stesse resistenze impossibili. Invece incapaci di organizzare o anche soltanto di concepire un tale movimento, i mazziniani continueranno a sfinirsi in ridicole imprese...

Ciò che io prevedo - ed è forse dal punto di vista di una attività più seria la miglior cosa che possa loro capitare - è che molti di loro cadano, senza nemmeno accorgersene, nelle mani di Agostino Bertani, il solo fra i capi o i promotori di secondo piano dei passati moti patriottici che non si sia completamente fiaccato e che non abbia del tutto compromesso la sua posizione e il suo carattere di vecchio rivoluzionario.

Fra i notabili mazziniani, non ve n’è uno solo che sia realmente capace di dirigere un’impresa. Sono dei dottrinari, non degli uomini d’azione. Quadrio, il più rispettabile e il più simpatico fra loro, può ispirare, entusiasmare i giovani per i quali ha una grande passione, ma non lo credo capace di predisporre e di dirigere un’azione. Saffi è una sorta di sapiente mancato, dottore di una facoltà che non esiste, il Melantone di una religione nata-morta. Petroni, si dice, è uno sciocco gesuita; Campanella, un fondatore di sette, nel partito mazziniano, come Alì lo fu nella religione maomettana. È quello che d’altronde io conosco meno, ma da quanto ho potuto raccogliere sul suo conto, non è certamente lui che potrà rimpiazzare l’azione sempre debole, ma sempre geniale di Mazzini.

Bertani non è affatto mazziniano, ma ha saputo mantenere rapporti più o meno intimi con i mazziniani e con lo stesso Mazzini, come ha saputo mantenerli con i garibaldini, senza essere tuttavia un garibaldino, con i liberi pensatori e con l’anzidetta sinistra democratica - ridotta oggi allo stato del Gorgonzola o del formaggio di Limburgo - i Crispi, i Nicotera e compagnia; Bertani è sempre stato con tutti, l’amico di tutti e non si è mai legato a nessuno; egli è anche amico di Alberto Mario, che è troppo vanitoso per cercare un altro amico all’infuori di se stesso e di cui si può dire, senza dubbio con maggior ragione, ciò che Camillo Desmoulins diceva di Saint-Just: “Quegli porta la sua testa come un santissimo sacramento”.

Bertani è l’uomo politico per eccellenza. Egli ha sempre voluto fare da sé [in italiano nel testo]. Uomini, partiti, cose tutto deve servirgli da mezzo. Malgrado ciò, io lo credo un repubblicano molto sincero. Io penso e ricapitolando alcune conversazioni che ho avuto con lui, or non è molto, sono indotto a credere che egli nutre in fondo all’animo la segreta ambiziosa passione di non voler morire senza aver ristabilito o almeno senza aver potentemente contribuito al trionfo e all’instaurazione della repubblica in Italia. Soltanto, di quale repubblica? Federalista o centralista? Ecco ciò che io non sono riuscito bene a chiarire. Credo che non lo sappia neppure lui. Bertani, che non è un dottrinario, non ha idee precostituite e penso che se anche vi sono delle idee che raccolgono i suoi favori, egli le sacrificherà senza troppa fatica se le circostanze, la natura e l’insieme del movimento glielo imporranno. Egli è amico di Giuseppe Mazzoni di Prato, quello che è chiamato il Catone della Toscana, è amico di Alberto Mario, ed entrambi sono federalisti regionalisti, ciascuno a suo modo; egli è federalista con loro e centralista con i mazziniani, come è costituzionalista con la sinistra parlamentare. In caso di bisogno farà del socialismo e dell’internazionalismo con voi. In una parola egli si tiene al di sopra di tutti i partiti, con l’intenzione, almeno nel suo pensiero, di trar vantaggio da ciascuno per la realizzazione dei suoi scopi più pratici che teorici e dottrinari. È l’uomo di Stato per eccellenza, discepolo più di Machiavelli che di Dante.

Ed è appunto perché egli è un discepolo di Machiavelli che io lo credo oggi chiamato a comandare le sbandate falangi dei mazziniani, discepoli di Dante. Per i mazziniani ciò sarà incontestabilmente assai utile, perché Bertani imprimerà ai loro sforzi rivoluzionari e repubblicani un indirizzo pratico che essi da soli non sarebbero mai capaci di seguire. Ma non bisogna ingannarsi: la repubblica per il cui trionfo lavorerà Bertani, sarà una repubblica esclusivamente borghese; perché lui stesso, borghese nel sangue, per le sue idee e per i suoi istinti, per i suoi interessi, per la sua ambizione e per tutte le sue relazioni di amicizia, non potrà mai agire se non nel senso di un uomo di stato borghese, piuttosto centralista che federalista, piuttosto da sfruttatore che da socialista, che cercherà senza dubbio di conciliare i due opposti ed inconciliabili termini, ma che per sentimento e per consuetudine dello spirito come per necessità della sua posizione, finirà sempre, come conviene d’altronde ad ogni uomo di Stato, per sacrificare le autonomie e le libertà locali alla centralizzazione dello Stato e per sacrificare la prosperità del popolo allo sfruttamento dei capitalisti.

Se come io presumo, Bertani diviene di fatto il capo e l’occulto dirigente delle azioni dei mazziniani, qual è la posizione che voi, socialisti, rivoluzionari, partigiani della vera emancipazione del proletariato, prenderete nei suoi confronti?

Ignorarlo sarebbe un errore; allearsi con lui sarebbe un altro e, secondo me, ancora più grave. Voi non siete dei teorici utopisti, voi volete formare un partito attivo e potente, capace di trasformare, in un termine più prossimo possibile, la vostra bella Italia in un paese di libertà, d’eguaglianza, di giustizia, di benessere e di dignità per tutti. Voi vi organizzate per questa azione: conseguentemente non vi è consentito ignorare nessuno degli elementi che costituiscono la realtà attuale. Voi dovete ben conoscere la forza degli errori che dovrete combattere come la forza degli elementi che senza essere propriamente i vostri, sono obbligati a diventare fino ad un certo punto e durante tutto un periodo di transizione, in qualche modo, vostri alleati, vostri amici, avendo da combattere i vostri stessi nemici. I mazziniani, benché in maniera diversa e per ragioni diverse dalle vostre, sono accaniti nemici di questo governo che, temendovi molto più di loro, comincia a perseguitarvi in tutta Italia e vi perseguiterà penso, molto presto con un accanimento ancora più furioso. Fino ad un certo punto, voi sarete dunque obbligati a marciare parallelamente con loro, a tenervi al corrente delle loro azioni, e non soltanto a lasciarli fare, ma qualche volta anche, in rarissime occasioni senza dubbio ed osservando la massima prudenza, a secondarli indirettamente, in quanto facendolo, voi potete sperare di indebolire e di demoralizzare l’attuale governo che è ormai il vostro più accanito, più molesto e più potente nemico. In tutte le lotte dei mazziniani o dei bertaniani, cioè dei repubblicani borghesi contro il governo, voi certamente vi terrete in dispane nel maggior numero dei casi e nella misura in cui ciò sarà possibile senza suicidarvi moralmente e materialmente; ma tutte le volte che voi vi sentirete obbligati ad uscire da questa apparente passività, voi ne uscirete soltanto, è inutile dirlo, per prendere le loro parti contro il governo.

Voi sarete dunque obbligati ad organizzarvi ed a marciare parallelamente a loro, per poter profittare di ciascuno dei loro movimenti per la realizzazione dei vostri scopi. Ma voi vi guarderete bene, nevvero, dall’allearvi con loro fino a confondervi, voi non permetterete loro mai di entrare nella vostra organizzazione, nella quale essi non potranno mai entrare che per falsarla, per stornarla dal suo scopo, per paralizzarla e per dissolverla. La loro natura è tanto contraria alla vostra che essi lavorerebbero in questo senso, anche se non ne avessero l’intenzione. Mi pare dunque assolutamente necessario che tutte le vostre organizzazioni, tanto pubbliche che segrete, restino completamente al di fuori delle organizzazioni mazziniane e bertaniane.

*******

Ed ora una parola sulla vostra organizzazione romagnola, e in generale su quella delle sezioni dell’Internazionale in Italia. Credete che esse potranno resistere e sopravvivere alle persecuzioni del governo, come organizzazioni pubbliche e legali? Nessun dubbio è più possibile, la persecuzione contro l’Internazionale è universale, internazionale. Dopo la disfatta della Francia repubblicana e socialista bisognava certo attenderselo. La Germania imperiale, la Germania di Bismark, teneramente unita allo knut czarista di Russia, si trova, come logico, alla testa della reazione. Bismark sembra far poco da se stesso, ma fa fare gli altri. Egli [dirige] spesso, senza che questi lo sospettino, la politica interna di tutti gli altri governi; e non v’è dubbio che esiste una intesa positiva fra tutti contro l’Internazionale che è la più potente e, si può anche dire, l’unica rappresentante della rivoluzione in Europa, oggi. In Francia, in Italia, in Belgio, in Germania si infierisce contro di essa. Se le cose vanno ancora per un po’ nello stesso senso, anche la Svizzera prenderà presto questa strada. Anzitutto essa è troppo debole per resistere a lungo alla pressione imperativa delle grandi potenze che la circondano e che non domanderebbero di meglio che dividersela fra loro; in secondo luogo bisogna dire che la borghesia sedicente radicale, quella che oggi governa nella maggior parte dei cantoni della Svizzera non domanderà di meglio che vedersi forzata dalla pressione diplomatica delle grandi potenze, a infierire contro l’Internazionale. Questa associazione non ha che un solo riparo in questo momento in Europa: l’Inghilterra. Dovrebbe avvenire una rivoluzione aristocratica, un rovesciamento della Costituzione perché essa ne venisse cacciata. E le associazioni operaie vi rappresentano già una vera potenza, al punto che i partiti politici, tory, whigs e radicali, si vedono obbligati a fare i conti con questa forza. Ma in tutti i paesi del continente europeo, l’esistenza pubblica, palese dell’Internazionale è fortemente minacciata. E in nessuna parte essa è ancora giunta a tale concentrazione di forze da renderla minacciosa a sua volta - io parlo di oggi, non di domani, perché sono certo che il domani è nostro - in nessuna parte, eccettuata la Spagna forse. Le lettere che io ricevo da diverse parti di quest’ultimo paese mi informano, infatti, che gli operai socialisti di Spagna, assai progrediti e ben organizzati, e non soltanto gli operai ma i contadini di Andalusia, fra i quali le idee socialiste sono state propagate con grande efficacia, si propongono di prendere una parte assai attiva alla rivoluzione che si prepara, tendendo questa volta la mano ai partiti politici, senza tuttavia confondersi con loro e con l’intenzione ben ferma di imprimere a questa rivoluzione un carattere francamente socialista. Noi tutti attendiamo con ansietà l’esito degli avvenimenti che si annunciano. Tutto il mezzogiorno della Francia si organizza, fìn’anche a Parigi, malgrado tutte le leggi votate dai rurali di Versailles, e questa organizzazione si fa sotto la direzione dei nostri consociati, e non sotto quella di Londra, la cui propaganda tanto vantata in realtà si riduce a zero. Se la rivoluzione trionfa in Spagna, ciò sarà naturalmente un formidabile appoggio per la rivoluzione in Europa. Se soccombe, la reazione che ci minaccia sarà ancor più formidabile. Ma anche in caso di trionfo della rivoluzione in Spagna, il primo effetto che ne risulterà immancabilmente negli altri paesi dell’Europa, in Francia, in Belgio, in Germania, in Italia e in Svizzera, soprattutto a causa della riforma centralista che minaccia le libertà cantonali di questo paese, sarà una recrudescenza della reazione. Quand’anche il governo di Versailles non fosse capace da solo di reprimere la rivoluzione nel Mezzogiorno della Francia, non dimentichiamo che l’esercito di Bismark occupa ancora il nord-est della Francia; e per me non vi è dubbio che esiste già ora una intesa fra Bismark e il vostro governo italiano e che nel corso delle conversazioni che hanno avuto luogo recentemente, l’ipotesi del trionfo della rivoluzione in Spagna non è stato dimenticato, tanto più che essa interessa direttamente la vostra dinastia regnante.

Infine prevedo in tutti i paesi d’Europa e in Italia soprattutto, delle persecuzioni assai serie contro i socialisti e contro tutte le organizzazioni dell’Internazionale. Ciò che è avvenuto a Milano ne è la prova.

“Il Martello” è un giornale che non s’è mai permessa alcuna eccentricità. Al contrario, molto deciso nella sostanza, esso ha adottato una forma assai prudente e moderata. Sequestrandolo sistematicamente, emettendo dei mandati di cattura contro il gerente e contro il direttore, minacciando di inviare al domicilio coatto [in italiano nel testo] i giovani che fanno parte del Comitato del “Circolo Operaio”, si prova che esiste sistematicamente da parte del vostro governo un partito preso contro l’Internazionale; e non penso che ci si limiti alla sola Lombardia. Io credo che si tratti di una misura fissata per tutta l’Italia. Non dubito che ben presto si prendano delle misure assai energiche nonché assai arbitrarie per sciogliere, per distruggere il vostro “fascio operaio” [in italiano nel testo]. Che farete allora? Una insurrezione? Sarebbe magnifìco se poteste avere la speranza di riuscire. Ma pensate di averla? Siete così ben preparati, così saldamente organizzati per questo? Avete la certezza di sollevare tutta la Romagna, compresi i contadini? Se si, raccogliete il guanto che vi è lanciato. Ma se non avete questa fiducia - io non vi parlo di illusioni ma di una fiducia basata su dei fatti positivi - allora, vi prego, abbiate la forza di comprimere la vostra naturale indignazione, di evitare una battaglia che dovrebbe terminare per voi in una disfatta. Ricordatevi che una nuova disfatta sarebbe esiziale non solo per voi, ma per tutta l’Europa. Io penso che bisogna attendere l’esito del movimento spagnuolo, e allora, quando il movimento di questo paese prenderà un carattere largamente e francamente rivoluzionario, bisognerà sollevarsi tutti insieme, non soltanto la Romagna, ma tutte le parti d’Italia che sono capaci di un moto rivoluzionario.

E, nell’attesa, che fare se vien sciolta violentemente la vostra organizzazione pubblica? Bisogna trasformarla in organizzazione segreta, imprimendole un carattere, dandole un programma molto più rivoluzionario di quello che avete potuto darle fino ad oggi...

Senza dubbio è augurabile che voi possiate conservare l’organizzazione pubblica e legale delle sezioni romagnole e delle altre che costituiscono il fascio operaio [in italiano nel testo]. Ma se le persecuzioni governative vi obbligano a scioglierle come organizzazioni politiche, voi sarete obbligati a trasformarle in organizzazioni segrete, a meno che non vogliate condannare voi e con voi tutti i vostri amici e la vostra causa ad una completa distruzione. Per chiunque vi conosce, come io comincio a conoscervi, quest’ultima supposizione è inammissibile. Dirò di più: anche nel caso in cui voi riusciate, mediante una lotta abile ed energica, a salvaguardare l’esistenza delle vostre sezioni pubbliche, penso che prima o poi arriverete a comprendere la necessità di costituire in mezzo ad esse dei nuclei [in italiano nel testo], composti dei membri più sicuri, più fedeli, più intelligenti e più energici, in una parola dei più intimi. Questi nuclei intimamente collegati fra di loro e con i nuclei affini che si organizzano o si organizzeranno nelle altre regioni dell’Italia o all’estero, avranno una doppia funzione: in primo luogo formeranno l’anima ispiratrice e vivificatrice di questo immenso corpo che si chiama l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, in Italia come altrove; e in secondo luogo si occuperanno delle questioni che è impossibile trattare pubblicamente. Essi costituiranno il ponte necessario fra la propaganda delle teorie socialiste e la pratica rivoluzionaria. Per degli uomini così perspicaci come voi ed i vostri amici, credo di aver detto abbastanza.

È soprattutto dal punto di vista di questa organizzazione intima in tutta l’Italia che io ho molto desiderato che il Congresso della Democrazia italiana, di cui col vostro illustre generale voi avete preso l’iniziativa si riunisca al più presto. Questa sarebbe per tutti i democratici socialisti, per tutti i più seri socialisti rivoluzionari d’Italia una così magnifica occasione di conoscersi, di intendersi e di associarsi sulla base di un programma comune. Naturalmente questa alleanza segreta non ammetterebbe nel suo seno che un ridottissimo numero di elementi, più sicuri, più fedeli, più intelligenti, migliori: perché in questo genere di organizzazioni non è la quantità ma la qualità che bisogna ricercare. Ciò che deve, secondo me, distinguere la vostra pratica rivoluzionaria da quella dei mazziniani, è che voi non avete bisogno di reclutare dei soldati per formare dei piccoli eserciti clandestini, capaci di tentare dei colpi di mano. I mazziniani devono farlo perché essi vogliono e credono di poter fare delle rivoluzioni al di fuori del popolo. Voi invece volete una rivoluzione popolare: perciò non avete da reclutare un esercito, perché il vostro esercito è il popolo. Ciò che dovete formare sono gli stati-maggiori, la rete bene organizzata e ben orientata dei capi del movimento popolare. E per questo non è necessario in alcun modo avere un gran numero d’individui iniziati nell’organizzazione segreta.

Io dunque sono rimasto assai addolorato vedendo che il generale, tediato dalla discordia di opinioni democratiche e socialiste in Italia, ha finito in certo senso per rinunziare alla idea di convocare questo congresso oppure l’ha rinviato a tempo indeterminato, quando vi sarà maggiore armonia nelle idee. Credo che se voi vorrete attendere quel momento, voi attenderete a lungo, per sempre, e che morrete tutti senza veder realizzata questa assoluta armonia. Mio caro amico, lasciatemelo dire, questa armonia è irrealizzabile e non è neppure desiderabile. Questa armonia è l’assenza della lotta, l’assenza della vita, è la morte. In politica, è il dispotismo. Prendete tutta la storia e convincetevi che in tutte le epoche e in tutti i paesi, quando vi è stato sviluppo e esuberanza di vita, di pensiero, di azione creatrice e libera, vi è stato dissenso, lotta intellettuale e sociale, lotta dei partiti politici e che è precisamente in mezzo a queste lotte e grazie ad esse che le nazioni sono state più felici e più potenti nel senso umano della parola. [...]

Vedete come le opinioni possono essere diverse. Molti eccellenti democratici italiani si spaventano delle divisioni che in questi due ultimi anni sono sorte in seno al partito democratico e vi vedono i segni della decadenza del partito. Io vi vedo, al contrario, il segno della sua rinascita e una garanzia della sua potenza feconda e vitale. La consorteria [in italiano nel testo] non è punto divisa. È forse per questo più viva? Finché essa era ancora divisa, in certi casi essa conservava dei residui di vita. Ma oggi che una commovente unità si è stabilita nel suo seno, e che questa concordanza di vedute ha inondato anche il partito della sinistra parlamentare, che non è più diviso che da interessi e da ambizioni personali, non sentite che tutta questa Italia ufficiale è ormai morta? Ebbene! alcuni anni fa, la democrazia italiana addormentata nell’uniformità armoniosa degli stessi preti, era sul punto di morire. Il socialismo gli ha reso la vita e cosi ha suscitato nel suo seno un grande sviluppo di pensieri e di tendenze diverse, e conseguentemente la lotta interna, questa grande educatrice della forza creativa... [...]

Per tornare al congresso della democrazia italiana, vi confesso che non ho mai sperato e neppure desiderato che esso apporti una conciliazione e una armonizzazione impossibili fra tutte le opinioni che sono, o che si credono, o che si dicono avanzate: fra i massoni, Campanella, Stefanoni, Filopanti e tutti quanti da una parte e fra i rivoluzionari socialisti sinceri dall’altra. Una simile conciliazione, se potesse realizzarsi, sarebbe a mio giudizio la maggiore sciagura che possa colpire l’Italia, perché secondo le eterne regole della logica.

+ 1 – 1 = 0. Sarebbe l’annientamento della causa viva, popolare, a vantaggio di alcune formule morte e di alcuni tribuni dottrinali e borghesi. Il vostro congresso sarà, come tutti i congressi, una sorta di torre di Babele: ma vi darà la possibilità di riconoscere i vostri, cioè i socialisti rivoluzionari di tutte le regioni d’Italia e di formare insieme a loro una minoranza seria, bene organizzata e la sola potente, perché esprimerà le aspirazioni e gli interessi popolari: soltanto essa rappresenterà il popolo in questo congresso. [...]

tratto da http://www.fdca.it/storico/bakunin_lettera.htm

kid
29-09-06, 17:02
questo documento di bakunin, allora membro dell'internazionale socialista, non lo conoscevo e lo reputo molto importante come testimonianza diretta dei rapporti che intercorrevano fra il movimento socialista ed il nostro. Mi sono permesso di postarlo sul forum dello mre, perchè discuto spesso, con scarso profitto, dei rapporti conflittuali ed antitetici fra il socialismo e mazzini. Ovviamente andrebbe considerato che nel populista Bakunin c'era ancora un rispetto evidente verso la figura del nostro, rispetto che Marx si preoccupò, una volta cacciato bakunin, di estirpare. Ovviamente la tradizione socialista italiana, escluso il vecchio Turati, che per cultura aveva ancora riflessi bakuniani, è integralmente marxista. Magari con più tempo mi riservo un commento al testo bakuniano.

nuvolarossa
29-09-06, 18:04
... Mi sono permesso di postarlo sul forum dello mre, perchè discuto spesso, con scarso profitto, dei rapporti conflittuali ed antitetici fra il socialismo e mazzini ....... Calvin, ammiro la tua pazienza nel discutere anche con chi non vuol sentir ragione ... ma credo che tu non riesca a confrontarti sul piano dei ragionamenti con chi ha alla base della propria azione politica solo l'obiettivo nichilista della distruzione del lavoro politico altrui ...
Io ho da tempo rinunciato a "fermarmi" per discutere con chi rimane "arretrato" sul piano della comprensione della contingenza dei problemi ... eppoi stare a discutere in eterno di alleanze (io sono di sinistra e quell'altro e' di destra) e lasciare, nel contempo, che i problemi del Paese vadano a ramengo ... e che l'Italia slitti sempre piu' verso la sponda africana ... mi sembra operazione riprovevole verso quello che deve essere l'impegno civico per la nostra Res Publica ...
Comunque ripeto ... apprezzo la tua perseveranza ... ma e' come battere l'acqua nel mortaio ...
Personalmente preferisco andare a "seminare" su altri Forum ... dove si trovano persone "ragionevoli" in percentuali maggiori ...

nuvolarossa
10-10-06, 18:08
duecento anni fa nasceva

GIUSEPPE MAZZINI

Carlo Azeglio Ciampi, un Presidente repubblicano (*) della Repubblica Italiana, ha dichiarato il bicentenario della nascita di Giuseppe Mazzini (22.06.1805) l'evento più importante del 2005.

Mazzini, dopo aver vissuto per l’Italia e per il Popolo, morì a Pisa il 10 marzo 1872, in casa Rosselli col falso nome di George Brown, nascosto perché ricercato dagli sbirri, avendo subito più condanne a morte per amore alla propria Patria, condanne mai revocate dai Savoia.

Tali fatti storici non hanno bisogno di commenti, e ritengo che siano d’accordo tutti i cittadini, che tali si sentono di essere, in Repubblica.

Sorge il problema se l’autorevole invito a non dimenticare un Padre della Patria Italia, aperto all’Europa dei popoli e all’Umanità intera, sarà adeguatamente raccolto.

Se non erro, Ciampi ha lottato e sofferto per la Libertà del genere umano, per la Democrazia non solo italiana, per la Repubblica civile e non autoritaria, e col cuore e la ragione sta auspicando sempre migliori rapporti politici ed economico-sociali fra i popoli d’Europa.

Ci siamo fatti, da anni, un’ottima opinione del nostro Presidente, così come abbiamo razionalmente amato e apprezzato altri Presidenti dell’Italia repubblicana.

Uno per tutti, mi piace ricordare Luigi Einaudi. Sua è la frase che abbiamo pubblicato, dal 1961 in poi, per anni, nel frontespizio di “Evoluzione europea”. La frase è ancora di brutale attualità: “Gli stati europei sono divenuti un anacronismo storico”. Il passaggio storico non si è ancora verificato, trattandosi di parto quasi secolare, lo aspettiamo da vivi? O dovremo “perdere le speranze …” … per circostanze anagrafiche?.

Oggi nelle scuole italiane conoscere Mazzini può essere una difficoltà.

Le Superiori dovrebbero diventare licei, e gli studenti saranno tutti liceali, non importa se non sapranno chi sia Mazzini, ma e forse anche non impareranno più quel un poco di professionalità acquisita dagli Istituti Tecnici negli ultimi cent’anni; ma, con un poco di fumo, onoratamente, verranno chiamati Licei, considerando ininfluente la declassazione professionale.

Non sappiamo se la gentile Ministro Moratti abbia fatto qualcosa di prezioso per correggere il tiro, purché non si tratti di tiro mancino. Ma su Mazzini non si dovrebbe polemizzare, perché è anche Padre della sua, come della nostra Patria Italia, nazionale e non nazionalista, aperta alle associazioni federative di popoli, possibilmente competitiva ma giammai settaria e razzista.

Mio padre, nel 1910, a scuola, aveva in adozione “I doveri dell’uomo”. Non c’era la Repubblica!

Mi domando quanti docenti hanno avuto buona memoria storica ricordando, da gennaio al giugno 2005 Giuseppe Mazzini.

Chiedo agli insegnanti una breve meditazione sull’Uomo che ha seminato per noi, nel XIX secolo, tanto civismo da creare un’opinione mondiale favorevole all’indipendenza nazionale e alla libertà dei popoli, e alla possibile fraterna cooperazione.

A riprova del messaggio sopranazionale, osserviamo i ceki, i rumeni, i polacchi, gli slovacchi, gli ungheresi, gli ucraini … che covavano, per tutto il secolo XX, con l’aiuto del “principio superiore”, il modo di uscire dal nazismo prima, e poi dallo stalinismo, compiacenti i Quisling locali.

Lo ricordano anche fuori dall’Europa tradizionale, dagli indiani fedeli a Gandhi e non, alla Cina; lo commemorano negli Stati Uniti d'America e in vari altri paesi dell'America e dell’Africa, ma anche viene proposto nel Medio Oriente ed oltre, territori ancora troppo caldi, per essere sopportabile civilmente la vita dei rispettivi popoli, che vorrebbero qualcos’altro che guerra sofferenze e terrore!

Oggi, nel rileggere le idee di Mazzini, riscopriamo che la sua concezione di società civile rappresenta un messaggio utile fra le possibili prospettive disponibili ai cittadini di buona volontà per progettare un domani produttivo e pacifico, al servizio della convivenza dei popoli.

L.B.

(*) Repubblicano nel senso più bello della parola, quindi non polemico verso altri, o per appartenenza politica, ma come Cittadino numero uno fra i cittadini della Repubblica Italiana, Ciampi ha sempre rispettato e onorato il tricolore e le istituzioni repubblicane italiane, fedele alla Costituzione entrata in vigore il primo gennaio 1948 e che abbiamo ereditato dai nostri padri dopo la disfatta del nazionalsocialismo. Il suo intervento su Mazzini per noi era scontato anche se ci “illumina d’immenso” per dirla con Ungaretti.

tratto da http://www.cse.e-cremona.it/

nuvolarossa
08-11-06, 12:04
CARATTERISTICHE DELL'INGEGNO MAZZINIANO

di Francesco De Sanctis

Base dell'ingegno di Mazzini é la collettività. Quando un oggetto gli si presenta, sua naturale inclinazione é di scorporarlo, togliergli le differenze particolari, individuali, farne un universale, e l'individuo diventa il collettivo ed il generale, - patria, Dio, religione, famiglia, ecc. - Ottenuto il generale, Mazzini se ne appassiona. Tutto ciò non é opera di astrazione filosofica, fatta a freddo mercé l'intelligenza; tutto ciò fa impressione sulla sua fantasia, fa vibrare le corde del suo cuore. E poiché l'uomo non si può appassionare del genere o della specie, egli forma un individuo metafisico; il generale per lui acquista tutti i particolari di un individuo, e ne fa la descrizione in cui vi par di vedere una persona, mentre non c'é che il generale circondato da apparenze individuali. E quando l'ha riscaldato con l'immaginazione e la passione che ha in sé, avete almeno davanti un individuo dai contorni precisi e determinati, che, se non é il vero, può almeno farne le veci? In queste creazioni fittizie di Mazzini trovate sempre un "di là", qualcosa come nel chiaroscuro, che rappresenta il vago, l'indefinito, qualcosa che non potete mai cogliere: quando siete innanzi a quella Giunone, e volete stringerla fra le mani, vi trovate la nuvola. Se posso dir così, il suo ingegno, quando ha dato apparenze di vita, di sangue, di calore alle sue idee, fa come i sacerdoti, i quali sogliono avvolgere la divinità nel fumo degl'incensi e toglierne la vista per renderla venerabile: egli attornia quell'individuo di immagini e ve ne ruba la vista. Avete davanti come la cima di un monte, la quale potete soltanto intravedere, perché circondata di nuvole. Questo di là dà un'impronta particolare al suo ingegno, nel quale tutti riconoscono un carattere mistico, religioso, profetico.

E qual'é il carattere di Mazzini? Senza dubbio, é una di quelle fisonomie alte sulla volgarità e che, se talvolta non ispirano simpatia ed amore, impongono sempre rispetto. Vi trovate davanti un uomo superiore: nei suoi scritti c'é una certa elevatezza morale che nasce dal concetto suo dell'uomo e della vita.
Prima di Mazzini c'era l'individuo eguale agli altri e libero: per Mazzini é qualche cosa di più, é collaboratore dell'umanità, un uomo che non é tutto chiuso e finito in sé, ma é divenuto membro effettivo dell'umanità con la missione e col dovere di sviluppare le sue forze, di sacrificarsi anche a beneficio di tutti.

Amore e sacrificio sono la base del concetto che Mazzini ha dell'umanità. E capite quanta dignità, oltre la verità, sia in questo concetto, anche dal punto di vista artistico, e quale morale ne nasca. In molti punti é una morale che si incontra con l'evangelo, col sentimento della fratellanza umana, con la legge suprema dell'amore. Manca però a questa morale una parte evangelica, che Manzoni ha saputo appropriarsi con tanta simpatia: la dolcezza, la rassegnazione, l'umanità, la preghiera. Pare che, per questi due, il vangelo sia stato diviso in due parti: uno si ha appropriato quanto c'é di energia, di sacrificio e di amore, l'altro quanto c'é di dolcezza.

Questa morale di Mazzini é troppo alta per noi miseri mortali: in mezzo alla comune degli uomini somiglia alla grancassa che nell'orchestra suona talvolta, non sempre: é una morale eroica, buona in certe occasioni, quando le nazioni si risvegliano per la loro libertà e indipendenza. E mi spiego quale impressione abbia fatto nella generosa gioventù, cui s'indirizzava, questa dottrina del sacrificio della vita imposto come dovere.

Ma noi guardiamo l'influenza di un uomo. E evidente che l'eroismo non si può comandarlo come regola generale della vita; l'umanità rimane molto di sotto a quell'ideale. Eppure in questo, come nell'ideale evangelico, é qualcosa che vi attira e v'ispira rispetto: non sono precetti che un uomo, stando a mensa, dia sulla temperanza o sulla frugalità; sono concetti che Mazzini espone come consigli a tutti, e di cui dà per primo l'esempio. Aggiungete che noi siamo sicuri della sincerità sua. Ora che la morte mette termine alla parzialità ed alle calunnie, ed abbiamo davanti non più un uomo vivo ma una memoria, sentiamo tutti come probità, lealtà, disinteresse, sacrificio di sé alla patria, costituiscano un tipo eroico, da cui egli traeva autorità quando domandava agli altri eroismo.

Certo, se devo rendere conto delle impressioni che ho ricevute leggendo i suoi scritti, non vi é in tutto ciò qualche cosa di vicino a noi, di così reale che noi possiamo sentirci uniti a lui, pieni per lui di amore e di simpatia. Ma c'é sempre ciò che impone rispetto e proibisce la distrazione. Nel suo ingegno c'é un po' troppo del pedagogo, dell'uomo che sta in cattedra ad insegnare: nella sua morale c'é un po' troppo del Catone rigido, il quale domanda troppo e s'irrita di ogni debolezza; c'é del crudo e dell'esagerato, da cui appunto non viene simpatia; ma c'è anche sincerità e dignità che c'impone rispetto.

Quest'uomo, che abbiamo delineato con coscienza ed imparzialità da tutti i punti di vista, che cosa può essere come scrittore? I caratteri della scuola democratica, ve li dissi, sono: partire dalle idee e mettere a base della letteratura un'idea assoluta, stile sintetico e poetico, lingua oratoria, in generale opposizione alla letteratura della scuola liberale. Se dicessi che questi sono i caratteri di Mazzini come scrittore, non avrei detto niente ancora: essi li trovate in tutti gli scrittori democratici italiani, in Guerrazzi, in Niccolini, in Berchet. Sono cose generali. Messe queste prime linee generali, dobbiamo fare la pagina di ognuno, cioè vedere che cosa ognuno ha portato di suo, d'individuale, nella letteratura.

In mezzo alle idee comuni, alle qualità generali della scuola democratica, che cosa ha messo di suo Mazzini?
Egli vede i fatti attraverso il prisma dei suoi concetti. Per spiegarmi, ricorrerò ad un paragone, che piglierete non come adeguato a Mazzini, ma come più efficace a farvi comprendere il mio concetto. C'era un uomo, celebre tabaccone, che, mentre parlava, tirava continuamente tabacco. Un giorno, stando in mezzo alla maggior concitazione di un discorso interessante, ad un tratto, fra un un'apostrofo ed una comparazione, cacciò fuori la sua la tabacchiera e pigliò del tabacco: era una di quelle stonature che tolgono l'effetto alle parole più veementi. Qualcosa di simile vedete in Mazzini.
Alcuni preconcetti sono così fissi nella sua mente, - e d'altra parte, non sono dati fuori come idee ma sempre vestiti di un abito dottrinario e filosofico - che, quando vuol persuadere o concitare, si trova sempre in mezzo a quelle forme ripetute sempre allo stesso modo; sì che ne viene dissonanza e stanchezza.

Vi porterò come esempio un suo lavoro giovanile, perché sapete che più un uomo va innanzi e sempre più diventa simile ad un orologio e ripete se stesso senza avvedersene, mentre al principio sono i momenti della creazione.
Egli stava a Marsiglia, quando già era avvenuta la rivoluzione del 1830 in Francia. In quel fervore di speranze e di timori, scrisse una lettera a Carlo Alberto, il famoso cospiratore del '21 del quale Berchet imprecava al tradimento, sperando che il principe ancora avesse potuto sentirlo. Ricordo a quanti costò la prigionia quella lettera, che girava di nascosto e suscitava le ire della polizia. E quanto entusiasmo destò, voi non potete sentirlo, perché il frutto non lo avete desiderato, ve lo trovate innanzi mondo e fresco. E quante immaginazioni riscaldò! Rileggendo ora quella lettera, in fondo vi ho trovato una specie di sillogismo rivolto a Carlo Alberto: - "Voi siete sul trono, tutta Italia freme: che farete? volete resistere al popolo? col ferro o con la corruzione? se col ferro, ve ne verrà questo; se con la corruzione, ve ne verrà quello. Dunque, una via sola vi resta; pronunziate la grande parola che vi darà gloria imperitura: l'Italia sia libera ed una!"
Questo é il concetto. Leggendo, a volta a volta, fra una apostrofe ed un'altra, compare la dottrina, una maniera filosofica di dire che vi raffredda e produce subito dissonanza.

Poiché il suo ideale é la verità universale, trovate in lui un generalizzare, un personificare, ed un esagerare. Quando si ha davanti, non la verità com'é nella vita, nel complesso della sua esistenza, ma qualche cosa di dottrinario e di assoluto, non potete che esagerare, perché ogni assoluto é esagerazione.
Quindi la tendenza a non dire mai le cose come si presentano all'intelligenza, ma per rapporti e metafore.
Prendete questa stessa lettera. Vuol dire una cosa già detta da Machiavelli.
Ricordate con che magnificenza, con che precisione di contorni, con quanto senso della realtà Machiavelli presenta l'Italia ai Medici nella conclusione del suo celebre Principe. Vedete ora come Mazzini rappresenta l'Italia, il che meglio delle mie osservazioni varrà a mostrarvi i suoi caratteri come scrittore:

"Sire, non avete mai cacciato uno sguardo, uno di quegli sguardi di aquila che rivelano un mondo, su questa Italia, bella del sorriso della natura, incoronata da tanti secoli di memorie sublimi, patria del genio, potente per mezzi infiniti.... E non avete mai detto: la è creata a grandi destini? Non avete contemplato mai quel popolo che la ricopre, splendido tuttavia, malgrado l'ombra che il servaggio stende sulla sua testa, grande per istinto di vita, per luce d'intelletto, per energia di passioni?...
Riunisci le membra sparse e pronuncia : E mia tusta e felice; tu sarai grande siccome è Dio creatore, e venti milioni di uomini esclameranno: Dio è nel cielo, e Carlo Alberto sulla terra."

Qui sentite quel non so di mistico e di religioso che, come ho osservato, egli mette in tutto. L'Italia é presentata come una donna circondata di memorie; il popolo italiano, personificato anche lui, diventa popolo tipo. Non trovate qui l'Italia di allora, ma caratteri poetici e generali, non l'individuo vivente, ma un'Italia alla maniera de Filicaia, come nella giovane età la personificò anche Leopardi. Leggete per esempio: l'Italia patria del genio. Ma il genio non ha patria, e patria del genio potrebbe dirsi anche la Grecia. Sono frasi che escono dall'immaginazione senza quel limite e quella misura in cui é la verità dell'ideale.

MAZZINI COME SCRITTORE

Posta la base e l'ideale, di cui vi ho parlato, che cosa può essere lo stile di Mazzini? Egli vi presenta sempre proposizioni chiuse in se stesse, senza espansione: non fa che ripetere l'antica forma italiana, quando l'analisi non aveva dato ancora movimento alle immaginazioni.
Non é la forma genetica di cui é maestro Manzoni, la quale non vi stanca mai, sì che alla fine del libro sentite dispiacere di non aver altro da leggere e vorreste tornare da capo. Non c'é sviluppo di idee, é un andare da una a un'altra cosa senza cammino intermedio. Quando leggete una serie di sonetti, dopo il primo avete bisogno di riposarvi prima di passare al secondo, che é tutt'altro: così un libro di Mazzini non lo divorate, non lo leggete continuamente dalla prima all'ultima pagina; avete bisogno de riposarvi sempre quando una proposizione finisce e ne viene un'altra. È sintesi questa; ma perché costituisca la grandezza dello scrittore le manca la profondità, perché Mazzini getta le idee come oracolo, non vi si profonda, non ne vede la radice e la sorgente come farebbe un grande pensatore o un grande filosofo. Quando la sua idea l'ha vestita nell'apparenza più splendida, é soddisfatto; né cerca sotto l'apparenza la vita nascosta da cui essa nasce. - È sintesi, manca però di estensione; perché, siccome aborre dal particolare, siccome l'arte per lui é quell'apparenza splendida, vede l'idea solo dall'aspetto che lo ha attirato.
La sua immagine piace, ma rimane semplice immagine, senza la varietà de diversi aspetti, senza la profondità di quel solo. Non avendo l'abitudine di rendere l'idea nel modo immediato, diretto e preciso, con cui si presenta alla mente, si scalda e rende l'idea per via d'immagini che accoglie insieme intorbidandoglisi l'immaginazione. Quindi il suo stile é tutto immagini, ha qualche cosa di comune con quello di Victor Hugo e di Guerrazzi. Ma le immagini bastano a dare interesse all'idea? No, perché non cavate dall'intimo di essa, ma da un repertorio generale, preso specialmente dal Medioevo e dalla Bibbia, e diventato, a poco a poco, sua maniera di esprimersi.
Certe volte, nella concitazione, gli escono forme vivaci ed anche originali.
Quando, per esempio, dice « ciò che ad altri popoli é morte, all'Italia è sonno », sia vero o no, la forma è uscita da una fede viva nella durata d'Italia, é piena di senso e fa impressione. Ma di tali immagini ce n'é poche.
Egli non ha l'osservazione diretta della natura, perché le immagini o vengono dall'intimo stesso d'una cosa che si presenta all'immaginazione, o dalla natura. Con questo si spiega perché ogni immagine di Dante ha qualcosa di suo.
Mazzini ha scritto così sul tamburo, come gli veniva; ed il cerchio angusto delle sue immagini, lasciando stare il Medioevo e la Bibbia, è tutto nella musica e nella luce: quindi spesso vi parla di fede raggiante, di armonia, ecc. Per mostrarvi questo suo modo di rappresentare le cose più semplici, e queste immagini che, a forza di essere ripetute, diventano comuni, e questa povertà di repertorio, vi citerò un suo brano, quantunque basti aprire un suo libro per accertarsene. Vuol dire una cosa assai semplice, cioè che i nostri padri ci hanno lasciato un'eredità di sacrificio e di martirio, e noi non abbiamo dimenticato di raccoglierla: ed ecco come si esprime "Per venti anni di eroismo e di sacrificio non vi è fiume di oblio. - I padri avevano suggellato la fede col sangue; ma, come il secondo Gracco, avevano cacciato una stilla di quel sangue verso il cielo esclamando: frutti il vendicatore.
Quel sangue ardeva nelle vene de' figli, e la fede de' padri si affacciava raggiante, incoronata della palma del martirio, bella di speranze e di eterne promesse".

Ricordate Dante nel Conte Ugolino; - il metter Dante dirimpetto a Mazzini vi dà segno della mia grande venerazione per quest'ultimo - : E se le mie parole esser den seme
Che frutti infamia al traditor ch'io rodo: sono versi stupendi per precisione di immagini. La stessa idea vuole esprimere Mazzini, e lo fa con quel non so che di esagerato e di superlativo, che gli è proprio. Non uno, ma tutti i padri versano sangue, e di quel sangue prendono una stilla e la lanciano al cielo; - questo personificare i padri, e la voce che grida: frutti il vendicatore, e poi di nuovo il sangue che arde, e la fede (altra personificazione) che si affaccia raggiante (Mazzini fa grande uso del raggiare) ecc., tutto ciò sarebbe troppo anche in una tragedia.
Che cos'é la lingua di Mazzini? Scriveva in inglese ed in francese così bene come in italiano, quindi la sua lingua ha un po' della speditezza logica del francese ed è penetrata di elementi stranieri, perché egli vagheggiava una lingua universale, ed é solenne come di chi insegna una verità oratoria, come di chi vuol persuadere. Una lingua siffatta può aprirsi la via in mezzo ad una gioventù intelligente, ma non nel popolo, ed i suoi scritti, come alle colonne d'Ercole, si arrestano nelle università, non vanno oltre, mentre la lingua della scuola manzoniana si fa larga via nel popolo.

MAZZINI E L'ITALIA

Concludendo: che cosa é Mazzini? Non il profeta, come molti l'hanno chiamato; è, come si chiamò egli stesso, il precursore, - uno dei tanti uomini di valore, i quali, chi in un modo, chi in un altro, chi con maggiore, chi con minore efficacia scrivono alcune linee dell'avvenire, credendo che la pagina sarà compiuta secondo quelle linee, sicuri che l'avvenire sarà secondo quelle previsioni. Invece l'avvenire é creato da leggi storiche e naturali.

Avete in lui un primo programma di unità e di libertà nazionale.

Quelle sue linee ora sono la storia, ma storia fatta per altre vie e per altri mezzi lo stesso avvenne al grande precursore della Bibbia; intravide la terra promessa, ma non ci entrò lui, Mosè, ci entrò Giosué.
Rimane un programma ulteriore, più o meno esattamente conforme a quel complesso d'idee; ed é: - l'unità politica é vana cosa senza la redenzione intellettuale e morale, vana cosa é aver formato l'Italia, come disse d'Azeglio, senza gli italiani. - Questo programma non fu dato a lui, non é dato alla generazione contemporanea di compierlo, rimane affidato alla nuova generazione.

E quando si farà qualche passo nella via della libertà e dell' eguaglianza, qualche progresso nella via dell'emancipazione religiosa, qualche cammino nella via dell'educazione nazionale, certo, voi, nella vostra giustizia, guarderete lì in fondo e vedrete l'uomo che aveva levato quella bandiera, lo ricorderete con rispetto e direte: "ecco il precursore"
Questo é il vero carattere, questa è la vera importanza é la vera gloria di Mazzini.

tratto da http://cronologia.leonardo.it/storia/a1835i.htm

nuvolarossa
05-01-07, 18:38
Mazzini oggi ...
Se il grande genovese manda in soffitta Marx
Vecchi valori dell'operaismo e nuovi modi di gestione aziendale

Sul il Sole 24 Ore del 23 novembre è apparso un ampio e documentato articolo sul caso Metalcam, un’azienda metalmeccanica della Valcamonica nel bresciano, che intende cedere una parte (10%) del proprio capitale azionario ai propri dipendenti, attraverso il Tfr o altro strumento finanziario poco oneroso. Si tratta del primo caso di applicazione in Italia del principio, caro alla filosofia sociale di Giuseppe Mazzini, “capitale e lavoro nelle stesse mani”. Dispiace, perciò, che in un’intervista di spalla all’articolo citato, l’ex segretario generale della Cisl Savino Pezzotta rivendichi l’origine del tentativo oggi in atto alla Metalcam all’esperienza del solidarismo cattolico. Ma se è ovvio che il riformismo mazziniano non è nel dna del sindacato di ispirazione cattolica, meno ovvio è che in un articolo del Corriere della Sera del 5 novembre si legge che “sembra un progetto marxiano, benché ricalchi il modello tedesco dei dipendenti azionisti”. Dimenticando o ignorando, l’ignoto redattore del quotidiano di Via Solferino che la cogestione tedesca, che si applica solo ad imprese con più di 2000 dipendenti, più che la partecipazione del lavoratori al capitale sociale, prevede solo la costituzione di consigli di sorveglianza che possono influire su parte delle decisioni aziendali, e che lotta di classe preconizzata dal filosofo di Treviri si contrappone decisamente ad ogni progetto partecipativo. Per molto meno l’esule genovese fu tacciato da Marx come “San Piero l’Eremita” o “leccapiatti della borghesia”, e non a caso sul caso Matalcam, la Cgil, l’organizzazione sindacale di ispirazione marxista, ha espresso le proprie perplessità. Due i fattori che hanno segnato la sfortuna del programma mazziniano “capitale e lavoro nelle stesse mani”, anche in casa repubblicana e mazziniana. In primo luogo è stato confuso con il programma di un vetero socialismo che mirava all’abolizione della proprietà privata, mentre lo spirito e la lettera di Mazzini mirava «ad aprire la via perché i molti possano acquistarla», oggi diremmo ad allargare la base dei ceti medi. In secondo luogo l’evoluzione del capitalismo industriale nella direzione di una parcellizzazione del lavoro, incompatibile con una partecipazione responsabile. Nel modello di produzione invalso dopo la scomparsa di Mazzini la fabbrica era il luogo dove la figura del lavoratore, sia esso addetto a mansioni manuali o intellettuali, era inquadrata in un sistema gerarchico verticale in cui il flusso informativo scorreva unidirezionalmente dalle funzioni superiori a quelle inferiori. In questo modello razional-funzionale, tipico del fordismo, quello che veniva richiesto al lavoratore era, più che la partecipazione consapevole, di mettere a disposizione la propria forza lavoro. E non è un caso che il termine “forza lavoro” sia rimasto a indicare il complesso dei dipendenti. L’omino di Tempi Moderni di Chaplin non è altro che la rappresentazione, esagerata, di un esasperato taylorismo che, attraverso l’analisi Tempi e metodi cercava di definire non solo le sequenze delle operazioni delle macchine ma anche i gesti dell’operatore uomo, considerato alla stregua di un robot programmabile, utile ed utilizzato fino a che la tecnologia non riuscisse ad inventare macchine in grado di compiere le stesse funzioni. Ma per una di quelle imprevedibili astuzie della ragione, proprio l’avvento della tecnologia con l’introduzione della robotica e dei sistemi esperti, ha riscoperto la centralità dell’uomo non solo come prestatore di forza lavoro, ma come protagonista del processo produttivo. Nel contesto della società della conoscenza e delòl’informazione, il lavoratore tende ad essere sempre più imprenditore di sé stesso, e perciò il programma mazziniano, a cui non era estraneo il problema dell’istruzione, ma anche quello di strutture creditizie per agevolare un sistema di crediti agevolati per facilitare il passaggio da lavoratori a proprietari, per non dire di un sistema fiscale che incentivasse e proteggesse il risparmio, acquista un aspetto nuovo rispetto al passato. Un aspetto che non può che suscitare l’attenzione e la riflessione costruttiva e propositiva delle rappresentanze imprenditoriali e sindacali, e perché non di quelle politiche? Oggi è all’attenzione delle direzioni aziendali è il tema della Responsabilità Sociale d’Impresa, il cui fulcro è il ruolo il ruolo degli stakeholder, di coloro, cioè, i cui interessi hanno a che fare con la gestione dell’impresa. Ma se la RSI non vuole essere solo uno strumento di moda attraverso cui l’impresa simulando di farsi carico di tutti i problemi del mondo, dall’effetto serra al lavoro minorile in Pakistan, riesce a sviluppare efficaci politiche di marketing in un mercato sempre più sensibile alle problematiche ambientali e al tema dei diritti umani, (si veda il recente Critica della Social (ir)Responsabilità-edizioni Communitas) è necessario che lavoratori e impresa abbiano la piena consapevolezza che le organizzazioni dei lavoratori prima di essere controparte sono i primi stakeholders dell’impresa. E’ di qualche giorno fa la proposta del Presidente di Confindustria alle organizzazioni dei lavoratori di un Patto per la produttività. Dalle prime avvisaglie pare che il dibattito rischi di arenarsi su quello che le parti intendono come fattori per la produttività. Flessibilità versus investimenti in tecnologie. Poiché la prima responsabilità sociale di una impresa è di garantire la propria crescita, (con la crescita aumenta il benessere collettivo ) il recupero del programma mazziniano che non bisogna dimenticare era basato sul paradigma del Dovere, concetto che spogliato di ogni connotazione sacrificatoria, può essere benissimo declinato come responsabilità sociale, e di cui la formula “capitale e lavoro nelle stesse mani” non ne è che un corollario, può ancora rappresentare la base per un nuovo sistema di relazioni industriali in cui i lavoratori non vendono marxianamente il valore della propria forza lavoro, ma impegnano nel mercato globale le proprie conoscenze, capacità e responsabilità. La contestazione dei vertici sindacali a Mirafiori dei giorni scorsi è avvenuta più sulla base dei valori dell’operaismo che del riformismo e non poteva essere se non così, e continuerà ad essere sempre così fino a quando certa parte della sinistra continuerà a guardare alla fabbrica nell’ottica del film “La classe operaia va in paradiso”.

di Vittorio Bertolini
La Voce Repubblicana del 14 dicembre

nuvolarossa
08-02-07, 22:36
Mazzini nostro contemporaneo/L'attualità del suo pensiero nell'anniversario della Repubblica Romana
Associazione: concetto valido in un mondo globalizzato

di Vittorio Bertolini*

Sul "Corriere della Sera" del 5 gennaio Francesco Giavazzi ha scritto: "Il merito dei buoni risultati sui conti pubblici non è né di Prodi né di Berlusconi ma degli imprenditori e dei lavoratori delle aziende private. I conti vanno bene perché c'è stato un boom inaspettato nelle entrate fiscali, ma le entrate crescono solo se le aziende vendono, guadagnano, assumono nuovi lavoratori e fanno fare più ore a quelli che già impiegavano". Corollario implicito dell'affermazione di Gavazzi è che se la crescita, anche se generata dai fattori spontanei del mercato, se accompagnata da comportamenti virtuosi e convergenti di imprenditori e lavoratori, si trasforma, seppure attraverso la mediazione del miglioramento dei conti pubblici, in un aumento del benessere collettivo. Resta però da chiedersi se la cultura dei comportamenti virtuosi e convergenti fra imprenditori e lavoratori, il cosiddetto patto sociale, abbia un diffuso diritto di cittadinanza nel sistema delle relazioni industriali. Se alla convention della Fondazione Italiani - Europei le dichiarazioni di esponenti autorevoli del governo, come D'Alema e Franceschini, sembrano remare nella direzione del patto sociale, altri episodi, come la contestazione dei vertici sindacali a Mirafiori, paiono indicare che il patto sociale, invece di venire inteso come la prassi delle relazioni industriali, è ancora visto come accordo di vertice che lascia però invariate - se non peggiorate - le condizioni quotidiane dei lavoratori, in parecchi casi "milleuristi" (quelli da mille euro al mese), ai quali non può certo essere addebitata una scarsa comprensione delle alchimie macroeconomiche di Tommaso Padoa - Schioppa.

Ugo La Malfa, al congresso di Roma del 1978, l'ultimo a cui partecipò, lamentava che si parlasse, ancora, di "padroni". Si trattava, per i leader repubblicano, di un linguaggio che, nel rimandare alla lotta di classe di stampo ottocentesco (ma negli scritti sociali di Mazzini il termine "padrone" non compare) dimostrava il ritardo culturale con cui, da parte di una certa sinistra, anche allora di lotta e di governo, si affrontavano i problemi di una moderna società industriale. Recentemente mi è capitato di leggere che Edoardo Sanguineti, nel presentarsi alle primarie dell'Ulivo a Genova, ha testualmente affermato: "I padroni ci odiano e non lo nascondono, noi dobbiamo aiutare i proletari ad avere coscienza della propria classe". Edoardo Sanguineti, egregio intellettuale ed ottimo poeta ma non certo un "milleurista", ha indubbiamente una scarsa dimestichezza con i problemi reali e quotidiani del lavoro salariato da poco più di 1000 euro al mese, ma nonostante ciò è considerato un maitre a pénser per quel vasto demi monde di pseudo o aspiranti intellettuali le cui opinioni fanno breccia anche nel mondo del lavoro dipendente. E qui ritorna di attualità il problema posto da Ugo La Malfa, di una rivoluzione culturale nel governo delle relazioni industriali. Una rivoluzione culturale imperniata sul ruolo dell'impresa. L'impresa, cioè, non come sistema di relazioni fra padrone e servo ma fra "stakeholders" tutti consapevoli che attraverso la loro collaborazione si genera non solo il reciproco benessere, ma anche il benessere collettivo. E in questa rivoluzione culturale ritorna pienamente di attualità il pensiero sociale di Giuseppe Mazzini. Laicamente un Mazzini non ridotto al catechismo di puristi che, simili a quelli di cui narra Francesco De Sanctis nella sua "Autobiografia", mentre era in atto la rivoluzione culturale romantica si attardavano a chiosare i "Fatti di Enea" di frate Guido da Pisa.

Ciò che, dopo un secolo e mezzo, nonostante i cambiamenti radicali avvenuti, dall'Italia preindustriale all'Italia fra le prime potenze industriali e proiettata nel mondo della globalizzazione, ci fa ancora sentire Mazzini come nostro contemporaneo, è l'empatia etica che nutriamo verso il suo pensiero. Alla base del pensiero sociale di Mazzini vi è il principio di Associazione. Per Mazzini il concetto di Associazione ha un significato bivalente. Da un lato è un concetto metastorico, attraverso il quale Mazzini interpreta il processo di civilizzazione dell'umanità, dall'altro quello più usuale, per noi, di condivisione di risorse e responsabilità al fine del conseguimento di un interesse comune. In uno scritto del 1870 leggiamo: "Il segnare una linea ostile di separazione tra le aspirazioni degli operai e i diritti degli agiati è tal cosa che dovrebbe rattristare profondamente tutte le anime oneste e vogliose del bene in Italia…. È tempo che i buoni s'adoprino a intendersi e a cancellare dall'animo le ostili, sospettose, rissose abitudini di partito. Avversi e irreconciliabili a quelle poche centinaia di tipi, che, nascenti dall'avidità o dall'ambizione, fanno bottega del tempio, noi non guardiamo ai dissenzienti sinceri come a nemici; combattiamo idee, non uomini". Da questa seppur breve citazione si evince chiaramente che Mazzini informava la propria azione politica non sull'odio di classe, che Sanguineti e il radicalismo di sinistra - che probabilmente lo appoggia - ha voluto rilegittimare, ma sul patto sociale. Un patto sociale che Mazzini definiva Patto Nazionale e che si basava sulla formula "capitale e lavoro nelle stesse mani". Una formula che sarebbe, però, fuorviante ridurre alla semplice questione degli assetti proprietari. Scrive infatti Mazzini: "La riunione del capitale e dell'attività produttrice nelle stesse mani sarà un vantaggio immenso, non solo per gli operai ma per l'intera Società, poiché aumenterà la solidarietà, la produzione ed il consumo". L'impresa, cioè, come luogo dove si produce la ricchezza nazionale e dove il rapporto fra imprenditore e lavoratore si basa sulla reciproca consapevolezza che l'impresa è un bene comune, ma non solo: è anche un bene sociale. In tempi di globalizzazione e di capitalismo finanziario la formula mazziniana si traduce in partecipazione o partnerariato. La partecipazione può avvenire su diversi piani. Un primo piano riguarda senz'altro il livello retributivo, e Mazzini dice che "l'operaio che, senza interesse alcuno materiale o morale nei risultati della produzione, non dà, generalmente parlando, se non quel tanto di lavoro necessario a rivendicargli il salario pattuito, ha dalla compartecipazione sprone a produrre maggiormente e meglio".

Ma, connesso con il livello retributivo, vi è quello dell'organizzazione del lavoro. Le nuove tecnologie e la sempre maggiore presenza della terziarizzazione anche nell'attività manifatturiera impongono un approccio dove è prioritaria la responsabilità individuale. E' stata coniata la formula "imprenditore di se stesso" nel senso che il lavoratore, attraverso le proprie capacità e conoscenze, riesce a coniugare in modo ottimale i fattori della produzione, per es. attraverso i circoli di qualità o altri modelli che, più che privilegiare la gerarchia, puntano sulla responsabilizzazione della funzione. Ma il passaggio a un modello partecipativo richiede una rivoluzione copernicana nel sistema delle relazioni industriali, dove al centro dell'interesse delle organizzazioni sindacali, siano esse di ispirazione imprenditoriale o dei lavoratori dipendenti, stanno i problemi dell'attività produttiva. Ovviamente, con ciò, non si intende negare che le parti concertino sui grandi aggregati; se il sistema del welfare funziona ed è efficiente, è evidente che anche a livello di impresa le relazioni industriali ne vengono agevolate. Si tratta solo di auspicare che gli accordi sui massimi sistemi non sacrifichino la responsabilità dei singoli attori, trasformando il rapporto fra le parti in una mera gestione burocratica. Ad esempio, un recente decreto del ministro Damiano, auspice la Cgil, ha introdotto gli indici di congruità: un sistema simile a quello degli studi di settore che prevede di prefissare per varie tipologie produttive il rapporto fra addetti e quantità prodotta. Se l'intenzione è ottima, e cioè di contribuire a debellare il lavoro nero, rischia, però, di avere pesanti conseguenze negative sull'aumento di produttività del nostro sistema. Chi vorrà infatti impegnarsi nell'innovazione di processo, quando risulta essere più premiante appiattirsi su valori medi che per le ineludibili leggi della statistica tenderanno a volgere verso il basso? A sua volta, anche la Pubblica Amministrazione, invece di essere stimolata a innovare i controlli antielusivi, viene deresponsabilizzata verso meri controlli di routine.

*segretario sez. Pri "Mazzini", Parma

tratto da http://www.pri.it

nuvolarossa
14-02-07, 11:21
GARANTITECI I NOSTRI DOVERI

«Io voglio parlarvi dei vostri doveri. Voglio parlarvi, come il core mi detta, delle cose più sante che noi conosciamo, di Dio, dell’Umanità, della Patria, della Famiglia». Ma come, ancora la Destra “Dio, Patria e famiglia”? Che cosa arcana e fuori moda. È vero, ma mi si permetta la citazione per amore dei vecchi libri. Questa strana citazione proviene da un libro che a scuola non si legge e non si studia, eppure è scritto da un uomo che nessuno oserebbe non iscrivere tra i padri dell’Italia della coesione, della pace e della giustizia: Giuseppe Mazzini. Proviene da un libro intitolato Doveri dell’Uomo, scritto nel 1860 e dedicato “agli operai italiani”.

Nell’introduzione Mazzini spiega perché voglia parlare agli operai dei loro doveri, anziché dei loro diritti. «Tutte le scuole rivoluzionarie predicarono all’uomo che egli è nato per la felicità, che ha il diritto di ricercarla con tutti i suoi mezzi, che nessuno ha diritto di impedirlo in questa ricerca e ch’egli ha quello di rovesciare gli ostacoli incontrati sul suo cammino», ricorda ai suoi lettori. Tutti chiedono più diritti, tutti promettono più diritti. Ma di diritto in diritto «gli uomini si educarono all’egoismo e all’avidità dei beni materiali esclusivamente. La libertà di credenza ruppe ogni comunione di fede. La libertà di educazione generò l’anarchia morale. Gli uomini, senza unità di credenza religiosa e di scopo, tentarono ognuno la propria via, non badando se camminando su quella non calpestassero le teste de’ loro fratelli, fratelli di nome e nemici di fatto». Il problema che Mazzini voleva esporre, era che mentre più e più diritti “cosmetici”, nobili e aulici, venivano resi accessibili ad alcune élite che potevano goderne per educazione o mezzi superiori, la condizione dei più restava immutata, nell’incertezza delle tutele fondamentali che un governo e la società dovevano loro. Nessuna certezza di potersi sostentare, di vivere in sicurezza o poter costruire per il futuro. E tutto ciò in una progressiva disgregazione di quelle dimensioni collettive che, per gli individui sprovvisti di mezzi e di educazione, rappresentano le uniche certezze: le credenze comuni, la Patria, la famiglia, i rapporti comunitari, le tradizioni. Tutte cose che, non solo a suo dire, servono ai poveri, perché i ricchi sanno benissimo come badare a se stessi. I tempi non cambiano, il progresso galoppa, ma solo per alcuni. Sempre meno ostacoli al benessere individuale e sempre maggiori libertà, per chi ha già quelle basilari e può sognarne di altre. Da settimane si discute di un nuovo diritto: il diritto di alcuni omosessuali di unirsi in un vincolo para-matrimoniale. Lo schema del dibattito ed il suo risultato in realtà è già scritto: chi pone la domanda ha implicita la risposta. «Lei è a favore o contro i diritti degli omosessuali ad avere eguale trattamento…». Chi dice “sì” è in. Chi dice “no” è un reietto. Ma chi sta peggio di tutti è chi vorrebbe argomentare senza dare per scontate le premesse. Non è consentito: le domande sono tutte binarie: è per la pace? Allora è per la guerra? È favorevole all’immigrazione? Allora è razzista? Cosa ne pensa dei matrimoni gay? Allora è contro i diritti individuali? E l’aborto? Allora è contro i diritti delle donne. Il problema è che i diritti, o sono diritti di tutti o sono privilegi. E i diritti veri e propri sono quelli che toccano la quasi totalità dei cittadini. Di questo deve occuparsi la politica, non di trovare una risposta a sempre nuove emergenze, segnalate solitamente - se non imposte - da una casta che ha accesso ai mezzi di comunicazione. Mentre la stampa reclamava a suon di grancassa risposte immediate al problema delle unioni omosessuali e dell’eutanasia (stranamente all’indomani del varo di una finanziaria sui cui esiti moltissimi avevano assai da dire), un timido sondaggio tra gli italiani “qualunque” su quali fossero gli argomenti che avrebbero posto in cima all’agenda politica, la quasi totalità rispondeva: la riforma delle pensioni e della pubblica amministrazione… E anche oggi, ovunque si voglia perdere tempo a prestare orecchio, la gente “qualunque”, alla fermata dell’autobus o al mercato, si chiede: «Ma perché non fanno qualcosa per le famiglie?». Domanda legittima. In termini numerici - e la democrazia è soprattutto numeri - sono più gli italiani che solleciterebbero detrazioni fiscali o qualunque misura di sostegno e incentivo al matrimonio e alla procreazione o quelli che, come Prodi e la Bonino, sostengono che l’introduzione dei Pacs sia da realizzare come priorità assoluta? La famiglia è un dovere, l’unione tra due adulti consenzienti un diritto. Un diritto non va impedito, ma è l’adempimento del dovere civico e sociale che la politica dovrebbe rendere meno gravoso. Lo dice la logica e lo dicono le persone di buon senso. Ma sui giornali no. (...)

Marcello De Angelis

tratto da http://guide.dada.net/

nuvolarossa
09-03-07, 14:23
Riceviamo dal prof. Luigi Bisicchia



ASSOCIAZIONE MAZZINIANA ITALIANA onlus - Sezione di Cremona

X Marzo: ricordiamo Mazzini per un avvenire migliore


Ai Soci AMI di Cremona
Ai Cittadini .....

Cari Amici,
Domani è il X Marzo. Ricorderemo brevemente la scomparsa fisica di Mazzini nel lontano X marzo 1872, e la sua contemporaneità e attualità di pensiero e di azione oggi.
Riteniamo che, chi si sente democratico e mazziniano, abbia ancora impegni di civismo umanitario da sviluppare per il prossimo futuro, essendo ancora in gioco la difesa dell’avvenire democratico dei popoli contro ogni tipo di barbarie e di violenza, e ci vuole assidua e mirata educazione. Giuseppe Mazzini insegnò fratellanza e cooperazione, concetti che superano qualsiasi forma di violenza.
Ritroviamoci ai Giardini pubblici di Piazza Roma e deporremo insieme, simbolicamente, un mazzo di fiori alla base del Busto di Mazzini, da noi collocato il 23 settembre scorso.
Ci sentiremo ancora impegnati, ciascuno con la propria sensibilità, in difesa delle istituzioni democratiche e nel ricordo storico di “fede e avvenire”, sia pure in modo semplice e senza retorica.
Fraterni saluti,

http://www.nuvolarossa.org/modules/xgallery/cache/albums/01-Album-di-Darwin/Logo.jpg

La Sezione A.M.I. di Cremona
ASSOCIAZIONE MAZZINIANA ITALIANA onlus sezione di Cremonac/o C.S.E. onlus - 26100 CREMONA Via Ruggero Manna 3

nuvolarossa
09-03-07, 19:11
Roma: omaggio a Mazzini nell'anniversario della nascita

Domani 10 marzo alle ore 10.30, Piazzale Ugo La Malfa, la Regione Lazio, la Provincia e il Comune della città di Roma rendono omaggio a Giuseppe Mazzini nell'anniversario della sua nascita.
In rappresentanza della Federazione Giovanile Repubblicana parteciperà una delegazione guidata dal Segretario Nazionale Giovanni Postorino, dal segretario cittadino FGR Francesco De Nisi e dal segretario organizzativo cittadino Emanuele Vaccaro.

tratto da http://www.fgr-italia.it/

nuvolarossa
13-04-07, 13:04
Riceviamo da Vittorio Bertolini

Mazzinianesimo e relazioni industriali

CONVEGNO PROMOSSO DAL CIRCOLO BOTTAI SUL MODELLO PARTECIPATIVO IN AZIENDA
Quanto è «mazziniana» la responsabilità sociale

Scioscioli: «Parlò di concordia degli obiettivi». Rodelli: «Così si cresce»

di Andrea Viola

.. Le imprese «ottengono migliori risultati quando basano l'attività sul dialogo. Imprenditori e dipendenti costruiscono qualcosa insieme, con una visione positiva, superando una conflittualità diffusa dalla politica all'economia. Il prezzo che l'1talia sta pagando alla rissosità è quella di un'economia che cresce lentamente - dice Rossella Rodelli Giavarini, amministratore delegato dell'Industria Laterizi Giavarini, vicepresidente dell'Unione industriali e presidente della Finco -. Se ora c'è ripresa non è merito dei governi ma del fatto che noi, imprenditori e lavoratori, ci siamo rimboccati le maniche portando il know-how italiano sul mercato globale».
«.Alimentare le motivazioni dei lavoratori è un problema molto avvertito - aggiunge Laura Grazia Sipala, responsabile relazioni pubbliche di STMicroelectronics -. In una realtà come la nostra è indispensabile che ognuno sappia prendere decisioni in modo veloce e lavori come se fosse un'impresa nell'impresa. Deve esserci condivisione di valori, formazione e informazione su quanto accade in azienda». È' quindi sempre più importante valorizzare le risorse umane: è il messaggio emerso dal convegno a Palazzo Soragna moderato dalla giornalista della «Gazzetta» Patrizia Ginepri e organizzato dal circolo Bottai dell'Associazione mazziniana italiana. Cosa c'entri Giuseppe Mazzini con le relazioni industriali lo chiarisce lo storico Massimo Scioscioli: «Mazzini propone la partecipazione degli operai agli utili dell'impresa. e respinge l'antagonismo di classe. Propone il principio dell'associazione, la concordia negli obiettivi fra tutti i soggetti, anche in economia.». Bisogna valorizzare professionalità e motivazioni del personale.
«Passiamo da un'economia di consumo alla società della conoscenza e, in azienda, dall'autorità all'autorevolezza nei rapporti con il management - spiega la Giavarini -. Nell'economia della conoscenza i lavoratori trovano soddisfazione e si sentono responsabili di ciò che fanno. Sono davvero imprenditori di se stessi».
Il coinvolgimento rientra nel concetto di responsabilità sociale, che a sua volta è un insieme di obblighi delle aziende. verso gli stakholders che il sistema giuridico contempla da tempo: lo sottolinea l'avvocato Lucia Silvagna, docente di Diritto sindacale all'università di Parma.
E anche dal mondo sindacale viene un'esortazione a cambiare mentalità in senso mazziniano. II segretario regionale della Uil Denis Merloni auspica che si diffonda fra le aziende «un insieme di buone pratiche nella gestione dei rapporti con i portatori d'interessi. Il sistema migliore è coinvolgere i lavoratori in modo leale e trasparente nelle strategie. A volte i lavoratori non paiono interessati: per questo i sindacati devono favorire questo salto culturale...

tratto da La Gazzetta di Parma del 3 aprile 2007

nuvolarossa
25-04-07, 15:14
Sulle tracce di Mazzini nell'Europa del novecento

Sulle tracce di Mazzini nell'Europa del novecento è un saggio innovativo e non scontato di Tiziano Arrigoni sulle influenze mazziniane nell'europa novecentesca. “Mazzini è difficile da classificare ideologicamente e politicamente” scrive un suo recente biografo, R.Sarti, così come P. G. Zunino, parlando dell’ideologia fascista, riconosceva a Mazzini “una innegabile poliedricità (che) aveva fatto del genovese un ispiratore di uomini e tendenze diversissime”. Questo ha fatto in modo che nel novecento il pensiero mazziniano abbia seguito strade divergenti e talvolta inaspettate. In base alla documentazione contenuta nel fondo Bartalini dell’Archivio Storico della città di Piombino, Arrigoni cerca di seguirne alcune, che dall’Italia portano verso l’Inghilterra e la Turchia. Il nostro viaggio con Mazzini attraverso il novecento non può non partire da Genova (dove Bartalini ha trascorso la sua giovinezza), in particolare da un simbolo della nuova Italia post risorgimentale, ossia quel monumento a Mazzini, eretto nel Parco della Villetta nel 1882, il Mazzini cantato da Algernon Charles Swinburne (“Italia, mother of the souls of men…”). Il percorso ideale prosegue nell’Italia liberale prefascista e nel primo dopoguerra quando il Mazzini progressista venne in gran parte messo “ai margini dalla crescita del movimento socialista”, tanto che ormai “più di Mazzini era temuto Marx”, così come nella geografia elettorale italiana i repubblicani mazziniani avevano un seguito consistente solo in certe aree del paese come la Maremma toscana, la Romagna e le Marche.

tratto da http://www.kultvirtualpress.com/index.asp

nuvolarossa
15-12-07, 10:33
I “doveri” di Mazzini: un ritorno?

L’articolo di Angelo Panebianco, apparso sulle pagine culturali del “Corriere della Sera” il 22 novembre, segna una tappa importante nel “ritorno” di Mazzini non tanto fra i “padri della patria” (a questo aveva già provveduto il bicentenario del 2005), quanto nel dibattito politico-culturale attuale. Panebianco sostiene che, tutto sommato, i processi in atto nelle democrazie contemporanee, imperniate sulla sopravvalutazione dell’individuo in quanto attore politico e in quanto consumatore, creano un vuoto – sul piano delle identità e dei valori sociali condivisi – riempito in parte dalla ripresa religiosa (pur in forme non sempre tradizionali), in parte dal ripiegamento consolatorio sul locale, in parte da un bisogno di vincoli inter-personali di natura familiare, che però spesso non trovano conferma nei doveri e nel comune sacrificio che lo stesso vincolo familiare comporta.
Non c’è dubbio che Mazzini, sia sul versante della “religione civile”, sia su quello della “cultura civica”, sia, infine, su quello della democrazia come prodotto pre-politico di un’associazione libera di volontà e di passioni, oltre che d’intelligenze, rappresenti un precursore sovente dimenticato. Rispetto al Presidente Ciampi, tuttavia, che a Mazzini ha guardato nel corso del suo settennato come ad un possibile testimonial di una “cultura civica” neo-patriottica e repubblicana, Panebianco si colloca su un terreno diverso: egli, infatti, individua non solo nel dfeficit di valori collettivi, ma nella carente predisposizione a produrre legami non strumentali fra i cittadini, la debolezza del nostro sistema. E ripropone, di conseguenza, la centralità implicita della questione dei “doveri” quale perno per un possibile ripristino di uno spirito di solidarietà comune. D’altronde, Mazzini riteneva che tale spinta dovesse nascere dalla società, in modo autonomo, e che la repubblica dovesse promuoverla premiando atteggiamenti positivi e virtuosi attraverso una pedagogia tutt’altro che autoritaria. Lo stato avrebbe dovuto essere leggero e non invadente (“poche e caute leggi”: era un suo slogan); le libere associazioni avrebbero dovuto rappresentare le autentiche macchine della democrazia; il mercato delle merci e quello delle idee non avrebbero dovuto conoscere vincoli, se non per consentirne a tutti l’accesso (non virtuale, ma sostanziale). Insomma, un modo di ragionare del tutto compatibile con la democrazia politica moderna: cosa che non si può dire di altre tendenze volte al ripristino dei legami comunitari, troppo sovente in aperto conflitto con la modernità di cui siamo tutti imbevuti, fino al punto di sfiorare antistorici (e impossibili) recuperi di posizioni antiscientifiche e ipertradizionaliste. Sarà per questo che Mazzini è piaciuto tanto agli anglo-sassoni, fra Ottocento e Novecento; e che ora piace anche ad un liberale come il professor Panebianco.

tratto da http://www.webandcad.it/AMI/comunicati/2007/18.htm

nuvolarossa
24-11-08, 12:00
I Doveri dell'Uomo

Corrado Ocone Norberto Bobbio amava dire che questa può essere definita «l’età dei diritti». Non a caso scelse l’espressione come titolo di un suo fortunato libro. D’altronde, la stessa parola, «diritti», genera subito un moto d’animo positivo nei cuori: è bella e moderna l’idea che ognuno possa far valere la sua dignità di persona, indipendentemente dalla nascita, dal censo, dalla religione o dalla razza. «I diritti - diceva sempre Bobbio - non vanno fondati, ma affermati»: non sono una questione di filosofia, ma di vivere civile e di buona politica. Negli ultimi anni della sua vita, constatando però che il termine veniva abusato o usato a sproposito, egli tuttavia concepì pure il progetto di scrivere un volume intitolato L’età dei doveri, che facesse da complemento e parziale correzione del precedente. Diritti e doveri, infatti, non possono essere concepiti come opposti indipendenti: essi sono in un rapporto dialettico che li tiene bene avvinti e li rende reciprocamente interdipendenti. Dimenticare questo legame non può che portare a mali e corruzione. A ricordarlo ora, in un piccolo ma edificante volume di facile lettura, è Maurizio Viroli, professore di Teoria politica all’Università di Princeton e allievo di Bobbio: L’Italia dei doveri (Rizzoli, pagg. 173, euro 12). L’intenzione che attraversa il ragionamento è di dimostrare che «una società democratica formata da cittadini persuasi di avere soltanto diritti degenera nel dominio dei prepotenti sui deboli, dei furbi sugli onesti, dei dissennati sui saggi». Ovviamente gli esempi che Viroli fa concernono soprattutto l’Italia odierna, con le sue mille malefatte riconducibili al predominio nella società di un individualismo sfrenato basato sul tornaconto personale: il particulare di cui parlava Guicciardini, per intenderci. Una società, quella italiana, dominata da gruppi di potere autoreferenziali, vere e proprie bande per interesse; familistica e amorale; chiusa e poco dinamica; antimeritocratica in modo sfacciato e impunito. Si veda a tal proposito il fortunato saggio di Roger Abravanel Meritocrazia (Garzanti, pagg. 380, euro 16,50) o, da un’altra angolazione, fra il serio e il faceto, il «manuale politicamente scorretto per aspiranti carrieristi di successo» che Pier Luigi Celli ha recentemente pubblicato con il titolo Comandare è fottere (Mondadori, pagg. 106, euro 15). Non è nemmeno un caso che in Italia la parola «dovere» venga giudicata vetusta e retorica: non riempie il cuore, ma anzi sa di zolfo. Si dimentica che solo il senso del dovere, l’idea di interesse generale, può garantire la libertà: solo se io riconosco l’uguale diritto degli altri a essere liberi come me, la mia libertà è vera e non corre pericoli. La strategia argomentativa di Viroli si muove lungo una duplice traiettoria: da una parte egli dice che a noi manca l’esperienza, che hanno avuto i paesi anglosassoni, dell’individualismo democratico; dall’altra afferma che, nonostante ciò, in certi momenti storici, l’Italia, almeno nelle sue élites migliori, ha saputo esprimere una vera idea del dovere e della libertà. Questi momenti storici sono proprio quelli che il revisionismo odierno tende a mettere in questione, il Risorgimento e la Resistenza: cioè i momenti fondativi dello Stato nazionale prima e della Repubblica poi. Anche per quel che concerne il Risorgimento, in verità, Viroli sembra prediligere l’ala repubblicana del movimento, rappresentata in particolare da Mazzini. Il quale non a caso scrisse un’opera intitolata I doveri dell’uomo: «Mazzini sa benissimo - scrive Viroli - che i diritti civili, politici e sociali sono fondamentali per la libertà di un popolo e degli individui. Ma sa anche che solo individui con un forte senso del dovere possono conquistarli e difenderli». Quanto all’individualismo democratico, esso si fonda sul pensiero di alcuni pensatori statunitensi dell’Ottocento: Emerson, Whitman e Thoreau. «L’individuo democratico - sottolinea Viroli - vuole realizzare relazioni ricche ed esteticamente belle con gli altri, ma non è né un egotista che vive solo per se stesso e con se stesso, né un comunitario, che vive solo per la comunità e nella comunità. Ciò significa che il primo dovere è di non violare i diritti degli altri, ma è altrettanto importante il dovere di agire quando i diritti degli altri sono violati». Al comportamento di Thoureau, che si rifiutò di pagare le tasse e andò in carcere perché non condivideva la politica schiavista del suo Stato, il Massachussets, si contrappone quello dei «molti italiani che non pagano le tasse per sottrarsi al dovere, e sono maestri nell’evitare con la frode e con l’inganno la sanzione della legge» (un campionario dei sotterfugi utilizzati lo si trova ora nella brillante e istruttiva inchiesta sull’evasione fiscale di Roberto Ippolito, Evasori. Chi, come, quanto, Bompiani, pagg. 201, euro 17). Un solo rilievo all’analisi di Viroli. Egli incita ad aprirsi agli altri evitando «di preoccuparsi soltanto per coloro per i quali è facile farlo: noi stessi, i nostri simili, gli amici, i nostri cari». È questa un’idea che si trova espressa anche nell’ultimo volume della filosofa di Chicago, Martha Nussbaum, appena pubblicato in Italia con il titolo Giustizia e aiuto materiale (Il Mulino, pagg. 108, euro 9): fallace è la distinzione, che secondo la Nussbaum risale a Cicerone, per cui in etica «noi dovremmo preferire concretamente chi ci è più vicino e caro, fornendo aiuto materiale a coloro che sono fuori dai confini nazionali solo quando lo si può fare senza alcun sacrificio da parte nostra». Bene, si potrebbe dire, ovviamente, se ciò significa essere giusti e non essere familisti. Male, però, se significa rispolverare le vecchie ideologie, quelle che per fare del bene al mondo intero, così in modo astratto, non esitavano a calpestare i diritti dei più vicini. In quanti per realizzare il Bene dell’Umanità non hanno visto il male che era sotto i propri occhi e sul quale potevano concretamente agire. Nei confronti di costoro, vale sempre il monito di Hannah Arendt, che in una lettera a Hermann Broch scriveva che la sola specie d’amore in cui lei credeva era non l’amore per un’idea ma quello per le persone in carne e ossa.

tratto da http://sfoglia.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20081123&ediz=NAZIONALE&npag=25&file=obj_348.xml