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Visualizza Versione Completa : Kamikaze o extraterrestri?



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13-04-02, 12:20
Ci chiediamo come tanti giovani palestinesi possano decidere di farsi esplodere. Ci consoliamo pensando che sono di un altro mondo, lontano. Ne siamo proprio sicuri?


di
ADRIANO SOFRI 5/4/2002



Nuovo secolo, nuovo millennio, tutto già ingoiato dal vecchio orrore. È difficile, nel momento in cui scrivo (è martedì mattina), pensare ad altro che a Gerusalemme e Betlemme, Ramallah e Tel Aviv. Chissà che cosa sarà ancora successo quando questa pagina uscirà, fra tre lunghissimi giorni e notti. Mi piacciono i volontari che in nome della pace sono andati a mettersi in mezzo in Palestina. Gente che non si fa i fatti propri. Mi piacciono anche quando non sono d'accordo con loro. Proteggere Yasser Arafat con la propria presenza, coi propri corpi: proposito benedetto. Solo l'accecamento dell'odio o della disperazione o della potenza può indurre Ariel Sharon a rischiare, se non a cercare, la morte di Arafat, che sarebbe in realtà una resurrezione del vecchio e già accantonato leader, e una bandiera di infiniti lutti a venire.
Penso questo benché pensi fermamente, a differenza di molti coraggiosi volontari, che Arafat abbia di nuovo ceduto, in questo tempo supplementare della sua lunga partita, alla demagogia e all'avventurismo. Non so se sia sensato accusarlo di essere il patrono dell'oltranzismo del terrore suicida e omicida. Probabilmente è una sopravvalutazione. Probabilmente Arafat ne è un ostaggio di fatto e ha solo deciso di cavalcarlo con le parole alterne, tornando al principio del tanto peggio tanto meglio. Il tanto peggio del vicino Oriente nessuno può misurarlo. Il tanto meglio è, per quella concezione, la distruzione di Israele. Nessuno può ignorare come essa sia diventata di nuovo plausibile: un programma politico e non una bestemmia dell'odio e della vendetta. Di nuovo plausibile la guerra santa contro il «sionismo» e il suo protettore americano, l'antisemitismo senza ebrei nel mondo povero, l'antisemitismo contro gli ebrei in Europa. I giornali di oggi danno notizia di un sondaggio fra i cittadini Usa: il 37 per cento degli interpellati non crede alla sopravvivenza dello stato di Israele. Poco fa sarebbe parsa un'enormità impensabile.

Le percentuali hanno una singolare eloquenza, in questa tragedia. Israele aveva dalla sua, più che una potenza militare e tecnica soverchiante, una borsa della vita incomparabile con quella dei suoi nemici arabi. Alte quotazioni contro bassissime. Nel conto dei morti e dei vivi. Scambi di prigionieri, anni fa, in cui per 1 israeliano venivano restituiti 100 palestinesi. In questa seconda intifada il conto dei morti è arrivato a 1 a 3: 1 israeliano per 3 palestinesi. Disparità, sempre, ma ridotta spettacolarmente: e in una quotazione del valore della vita terrena che resta senza confronto. La vera dirompente novità sta nella strategia, disgustoso nome, per una cosa simile, degli attentati suicidi. Il futuro. Il nuovo millennio
Ancora poco fa, anche questo era impensabile. Ancora oggi, è impensato: non abbiamo voglia di pensarci davvero. Facciamo come se ci fossimo abituati. Leggiamo: altri 100 kamikaze sono pronti ad andare a farsi esplodere in Israele. Altri mille. Più di mille. Ecco, è già una cosa normale. Le ragazze curde si fanno esplodere in Turchia, e ora preferiscono lasciarsi morire di digiuno. Siamo a 50 morti di digiuno. Ragazzi e ragazze palestinesi spezzano da un giorno all'altro la propria vita abituale, studi, lavoro, compagnie, progetti, incombenze minute, perseguite fino a un momento prima, registrano il messaggio d'ordinanza e vanno. Disperazione, umiliazione: certo, e governanti israeliani hanno fatto molto per nutrirle. Ma non è solo disperazione. C'è, ci deve essere, qualcosa di più, di più «naturale» e di più ambizioso, per così dire. Qualcosa che si fa insieme, contagiosamente, sentitamente. Per giunta, negli attentati suicidi la proporzione fra la morte propria e le morti altrui è rovesciata, salvi incidenti per maldestrezza, o per chissà quale esitazione estrema.

Ci abbiamo pensato abbastanza? Alla mutazione di esseri umani che non mettono la propria possibile morte nel conto della causa per cui si battono, della morte dei nemici, in sostanza, ma scelgono e usano la propria morte? Se ci pensassimo abbastanza, che fine farebbe l'entusiasmo, per chi ce l'ha, per la pena di morte? Se ci pensassimo abbastanza, dovremmo anche, soprattutto, chiederci se questa mutazione, così vicina e così esotica insieme, non sia destinata in qualche variante ad arrivare fra noi. Noi ridiscutiamo delle nostre recidive terroriste, in modo allarmato e rassicurante insieme. L'Anonima assassini, invecchiata e poco meno che sindacalizzata, coi suoi omicidi a cadenza triennale, i suoi illeggibili documenti, le sue valutazioni di mercato. Agli attentatori suicidi accettiamo di pensare solo come ad altri, gente venuta da fuori, emissari dell'altro mondo. Da noi i bambini non crescono nel culto del martirio. Da noi la vita vale: costa cara. Bambini ne abbiamo, in proporzione, pochi. Non che manchino i soldi per metterli al mondo. Ci sono i soldi, tanto vale goderseli senza spartire con la prossima generazione. Noi siamo longevi, altro che kamikaze. Se avessimo davvero bisogno di manodopera pronta alla morte, come dice l'inno nazionale, la faremmo venire extracomunitaria.
È davvero così? Facciamo davvero un così attento conto della vita nostra e altrui? Il terrorismo, dizione vasta e mobile, ha un limite nella proporzione che i suoi adepti stabiliscono fra costi e ricavi. Proporzione che può ridursi fino a diventare irrilevante. Ricavo enorme, costo irrisorio come un'ùalzata di spalle: come in uno sport estremo per vacanza, come nella strage di un bravo capo famiglia, come nella corsa del sabato notte. Manca, dite, la Grande Causa che pretenda il sacrificio di sé e altrui? Forse: ma le cause, anche le grandi, sono soprattutto un pretesto. Un pretesto si trova.


http://www.mondadori.com/panorama/area_3/area_3_10165.htm

Sir Demos
13-04-02, 17:24
Interessante, ma alcune "forzature" mi sembrano un tantinello poco obiettive...

Ciao.