Wyatt Earp
16-04-02, 21:44
a favore della modifica dell'art.18????
Tre anni fa
era la Uil a volerlo riformare
di Marco Biagi
Anche la Uil non vuol sentire parlare di riforme dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Peccato che questa organizzazione, oggi così risoluta nel non voler discutere di eventuali riforme della materia dei licenziamenti individuali, sia stata fautrice poco tempo addietro di una proposta molto simile a quella avanzata dal Governo. Il 25 novembre 1999 il segretario dell'epoca, Pietro Larizza, inviò una lettera a D'Alema, allora Presidente del Consiglio, proponendo di non applicare lo Statuto dei lavoratori (con particolare riferimento al licenziamento per giusta causa) alle imprese che superassero i 15 dipendenti, soglia al di sotto della quale le imprese sono esentate dall'arcinoto art. 18. L'argomentazione usata era quella secondo cui le imprese rinunciano a crescere per evitare l'applicazione dello Statuto dei lavoratori e quindi si poteva sperimentare, soprattutto al Sud, una soluzione che consentisse di assumere nuovi dipendenti senza assumere ulteriori vincoli. Una tesi che trovò consenziente lo stesso D'Alema che la ripropose in un famoso discorso tenuto all'Università Bocconi di Milano. L'allora segretario della Uil tenne a dichiarare che non si trattava affatto di introdurre una norma generale sulla libertà di licenziamento nelle imprese che occupano più di 15 dipendenti, ma soltanto di fornire un elemento di flessibilità aggiuntiva per chi volesse investire e far crescere la propria azienda. L'attuale segretario della Uil, Luigi Angeletti, si è ieri espresso in termini ben diversi. L'art. 18 è tornato ad essere un tabù. Tuttavia bisognerebbe anche osservare un minimo di coerenza: com'è possibile farsi promotori di una proposta di revisione dell'art.18 e poi, tre anni dopo, dichiararsi a favore dello sciopero generale se questa stessa norma venisse in qualche modo rivista? La Uil così facendo assume di fatto un atteggiamento intrasigente non troppo diverso da quello della Cgil, mettendo ancora più in difficoltà la Cisl. Ma queste, si potrebbe osservare, sono questioni interne al movimento sindacale alle quali occorre guardare con rispetto. Certo, ma vuole il caso che il sindacato sia un soggetto di tale rilevanza sociale da poter bloccare progetti di riforma a lungo attesi.
In altri Paesi i sindacati sono elementi di modernizzazione. Pensiamo all'Olanda, alla Spagna, a tanti altri paesi dell'Unione Europea dove di recente sono state varate importanti riforme con il consenso dei rappresentanti dei lavoratori. Perché questo non dovrebbe essere possibile anche in Italia? Sta ora al Governo assumere un'iniziativa affinché il no dei sindacati sull'art. 18 non diventi la scusa per opporsi a tutte le riforme sul mercato del lavoro che già sono all'esame del Parlamento. Ci sono questioni ben più importanti che incombono: bisogna rendere il part-time più accessibile alle lavoratrici, occorre regolare le collaborazioni coordinate e continuative, è necessario riformare il collocamento dando ai privati maggiori spazi. Queste ed altre sono le vere priorità. Un Governo che dichiara di operare nell'arco di una legislatura non dovrebbe temere di affrontare i problemi uno alla volta.
da "Il Giorno" - 05/03/2002
Mah....misteri!
Saluti Padani
Tre anni fa
era la Uil a volerlo riformare
di Marco Biagi
Anche la Uil non vuol sentire parlare di riforme dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Peccato che questa organizzazione, oggi così risoluta nel non voler discutere di eventuali riforme della materia dei licenziamenti individuali, sia stata fautrice poco tempo addietro di una proposta molto simile a quella avanzata dal Governo. Il 25 novembre 1999 il segretario dell'epoca, Pietro Larizza, inviò una lettera a D'Alema, allora Presidente del Consiglio, proponendo di non applicare lo Statuto dei lavoratori (con particolare riferimento al licenziamento per giusta causa) alle imprese che superassero i 15 dipendenti, soglia al di sotto della quale le imprese sono esentate dall'arcinoto art. 18. L'argomentazione usata era quella secondo cui le imprese rinunciano a crescere per evitare l'applicazione dello Statuto dei lavoratori e quindi si poteva sperimentare, soprattutto al Sud, una soluzione che consentisse di assumere nuovi dipendenti senza assumere ulteriori vincoli. Una tesi che trovò consenziente lo stesso D'Alema che la ripropose in un famoso discorso tenuto all'Università Bocconi di Milano. L'allora segretario della Uil tenne a dichiarare che non si trattava affatto di introdurre una norma generale sulla libertà di licenziamento nelle imprese che occupano più di 15 dipendenti, ma soltanto di fornire un elemento di flessibilità aggiuntiva per chi volesse investire e far crescere la propria azienda. L'attuale segretario della Uil, Luigi Angeletti, si è ieri espresso in termini ben diversi. L'art. 18 è tornato ad essere un tabù. Tuttavia bisognerebbe anche osservare un minimo di coerenza: com'è possibile farsi promotori di una proposta di revisione dell'art.18 e poi, tre anni dopo, dichiararsi a favore dello sciopero generale se questa stessa norma venisse in qualche modo rivista? La Uil così facendo assume di fatto un atteggiamento intrasigente non troppo diverso da quello della Cgil, mettendo ancora più in difficoltà la Cisl. Ma queste, si potrebbe osservare, sono questioni interne al movimento sindacale alle quali occorre guardare con rispetto. Certo, ma vuole il caso che il sindacato sia un soggetto di tale rilevanza sociale da poter bloccare progetti di riforma a lungo attesi.
In altri Paesi i sindacati sono elementi di modernizzazione. Pensiamo all'Olanda, alla Spagna, a tanti altri paesi dell'Unione Europea dove di recente sono state varate importanti riforme con il consenso dei rappresentanti dei lavoratori. Perché questo non dovrebbe essere possibile anche in Italia? Sta ora al Governo assumere un'iniziativa affinché il no dei sindacati sull'art. 18 non diventi la scusa per opporsi a tutte le riforme sul mercato del lavoro che già sono all'esame del Parlamento. Ci sono questioni ben più importanti che incombono: bisogna rendere il part-time più accessibile alle lavoratrici, occorre regolare le collaborazioni coordinate e continuative, è necessario riformare il collocamento dando ai privati maggiori spazi. Queste ed altre sono le vere priorità. Un Governo che dichiara di operare nell'arco di una legislatura non dovrebbe temere di affrontare i problemi uno alla volta.
da "Il Giorno" - 05/03/2002
Mah....misteri!
Saluti Padani