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Visualizza Versione Completa : L'Ungheria sceglie in un clima da guerra fredda



Roderigo
20-04-02, 20:50
Il candidato socialista Medgyessy, ex ministro delle Finanze, è favorito dai sondaggi. In caso di vittoria formerà un governo con una forte presenza di tecnici

Alla vigilia del secondo turno elettorale la destra del premier Orban punta a demonizzare i postcomunisti

BUDAPEST - Discussioni accanite, contrapposizioni feroci, polemiche roventi in famiglia, a scuola, in ufficio. Mai nella breve storia dell?Ungheria postcomunista elezioni sono state così segnate da tensione e scontri, con la destra, sconfitta al primo turno, che lancia appelli da ultima spiaggia e i socialisti, che sentono profumo di vittoria, che la accusano di seminare nel Paese divisioni e discordia. Ne risulta un?attesa febbrile, carica di nervosismo, che farà con ogni probabilità registrare nel turno di ballottaggio un?affluenza record come quella di due domeniche fa.
Il primo ministro Viktor Orban arringa le folle, demonizza una volta di più gli avversari ex comunisti, disegna scenari disastrosi per l?Ungheria «governata dal grande capitale» in caso di vittoria socialista, fa rullare i tamburi nazionalpatriottici in un «momento cruciale» per i destini del Paese. «Sicuro di vincere il centro-destra appare disorientato e dà l?impressione di non avere un piano di riserva per contrattaccare efficacemente - afferma il sociologo Zsoltan Somogyi -, la Borsa reagisce positivamente davanti alla prospettiva di un governo di centro-sinistra e Orban non trova di meglio che accusare gli ex comunisti di voler governare con il capitale straniero. Difficile capirlo, visto che sono stati gli investimenti stranieri a favorire il boom dell?economia ungherese e l?arricchimento del ceto medio che vota a destra».
Se il leader conservatore galvanizza con i suoi slogan populisti le centinaia di migliaia di sostenitori assiepati nella piazza del Parlamento, il candidato socialista Peter Medgyessy, ex banchiere ed ex ministro delle Finanze, mantiene la sfida sui binari di un confronto pacato, insistendo sulla necessità del dialogo e di una pace sociale che dovrà sanare all?indomani del voto l?ostilità e le ferite causate dalla campagna elettorale.
Non è personaggio da infiammare il pubblico, non ha il talento oratorio di Orban, non buca il video. Eppure, nonostante la ridotta visibilità sui media, lo scarso carisma e lo stile dimesso, è riuscito a ridimensionare le ambizioni della destra, a catturare il voto degli strati sociali, soprattutto nelle regioni povere della parte orientale del Paese, che inseguono un miglioramento del tenore di vita e a cui il governo di centro-destra ha elargito solo promesse.
In testa in 75 dei 131 collegi rimasti in lizza, i socialisti sono dati largamente favoriti dai sondaggi. Hanno siglato un patto di desistenza con i liberali che dovrebbe metterli al riparo da sorprese. In caso di vittoria le due formazioni che hanno governato assieme dal 1994 al 1998 daranno vita, anche se nessuno parla per il momento di accordi politici, a una coalizione di centro-sinistra in cui Medgyessy, fortemente voluto dai quadri più giovani che spingono per una modernizzazione del partito, intende cooptare più di un tecnico.
«I toni esasperati, la polarizzazione del voto, la mobilitazione emotiva della destra hanno creato un clima da guerra civile fredda - dice il politologo Andras Bozoki dell?Università del Centro Europa -. La strategia di Orban di unificare la destra in un grande blocco per evitare la frantumazione subita da Solidarnosc in Polonia è fallita. La Fidesz ha guadagnato qualcosa sul fronte dell?estrema destra ma ha perso i voti del centro. Ora non sa più dove pescare nuovi suffragi. Il sostegno delle chiese, delle campagne e della media borghesia non le basta per rovesciare la situazione. In difficoltà, Orban pigia sul tasto del patriottismo inasprendo pericolosamente le spaccature».
La fede patriottica è ostentata dai distintivi tricolori che gli ungheresi sono soliti portare in occasione della festa nazionale del 15 marzo, anniversario della rivoluzione del 1848 e che gli attivisti e i simpatizzanti della Fidesz hanno deciso di mostrare per l?intera durata della campagna elettorale come segno di attaccamento ai valori nazionali. «Dividendo ancora una volta gli ungheresi in buoni e cattivi - nota Bozoki - da una parte i veri patrioti che difendono i valori più sacri, dall?altra gli avversari che non hanno a cuore la democrazia. Una politicizzazione eccessiva».
Il flirt con l?estrema destra del corpulento Csurka non ha portato i dividenti sperati, eppure Orban non rinuncia alla retorica nazionalista, accusa i socialisti di contrastare l?idea di allargare la patria agli ungheresi che vivono al di là dei confini.
«Traendo conclusioni errate dall?esito del voto - puntualizza Bozoki - alla maggior parte degli ungheresi non interessa cosa succede in Transilvania, non si lasciano sedurre dal futuro radioso e dalla riunificazione spirituale della nazione. Sono egoisti e realisti. Non vogliono che i connazionali che vivono in Romania e Slovacchia vengano a portargli via il posto di lavoro. Orban sta investendo nel lungo periodo. Spera che gli ungheresi d?oltre frontiera tornino i patria e lo ricompensino con il voto».

Sandro Scabello
Corriere della Sera 20 aprile 2002

Roderigo
23-04-02, 13:31
In controtendenza rispetto al risultato francese, in Ungheria l'opposizione socialista e liberale ha vinto le elezioni nazionali per il rinnovo del parlamento e si appresta ora a formare il nuovo governo. Il successo è arrivato alla fine di un confronto elettorale dai toni molti accesi, soprattutto da parte del Fidesz, il partito di centrodestra finora al potere con il premier Viktor Orban. I socialisti (Mszp) ed i liberali di sinistra (Szdsz) possono contare su 198 dei 386 seggi del Parlamento monocamerale ungherese. Peter Medgyessy, lo sfidante socialista del premier uscente Orban, si è presentato già nella serata di domenica davanti alle telecamere per rivendicare al suo partito la guida del prossimo governo dell'Ungheria.
Il partito dei Giovani Democratici (Fidesz), secondo i dati ufficiali diffusi dal Centro elettorale nazionale, si è fermato a 188 seggi (che lo classifica comunque come primo partito singolo), nonostante una furiosa campagna elettorale, nella quale non ha rinunciato a nessun tipo di argomentazione per cercare di rimontare il vantaggio dei socialisti, che erano già usciti vincitori di misura dal primo turno elettorale svoltosi il 7 aprile.

Liberazione 23 aprile 2002
http://www.liberazione.it