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Tomás de Torquemada
21-04-02, 04:03
Sciamanismo, funghi psicotropi e stati alterati di coscienza: un rapporto da chiarire

di Giorgio Samorini

(Originalmente pubblicato nel Bollettino Camuno Studi Preistorici, vol. 25/26, pp. 147-150, 1990)

Mircea Eliade, trattando dell’uso di sostanze inebrianti da parte degli sciamani di varie popolazioni eurasiatiche al fine di procurarsi l’estasi (utilizzo che in alcuni casi si è protratto sino ai nostri giorni), offre un’interpretazione del fenomeno che, a seguito di ricerche piè approfondite e dell’acquisizione di nuovi dati archeologici, si mostra non corretta e sviante:

"Presso gli Ugri, l’intossicazione a mezzo di funghi speciali propizia anch’essa un contatto con gli spiriti, benché in forma passiva e brutale. Ma noi abbiamo già rilevato che questa tecnica sciamanica sembra tardiva e importata. L’intossicazione produce in modo meccanico e sovvertitore l’‘‘estasi’’, l’‘‘uscita da se stessi’’: essa cerca di realizzare un modello di esperienza preesistente che però aveva avuto punti di riferimento diversi" (Eliade 1972, p. 247).

In realtà il rapporto fra sostanze inebrianti ricavate da certe piante, in particolare l’Amanita muscaria, e il fenomeno dello sciamanismo è più intimo di quanto appaia dagli studi di Eliade e questa contrapposizione ha già dato luogo a dispute letterarie (Wellmann 1981, p. 315; Warren 1982, pp. 21-24; DeRios 1984, p. 35). Nuovi dati iconografici avvallano sempre più l’ipotesi che l’utilizzo umano dell’Amanita muscaria per scopi religiosi, socializzanti e terapeutici, si perda nella notte dei tempi, risalendo all’uomo cacciatore, inseguitore di branchi di quadrupedi, piè volte disperso in immense foreste, affamato, in cerca di una qualche radice, frutto o fungo per affievolire i morsi della fame (e l’Amanita muscaria, dal cappello rosso ricoperto di puntini bianchi è uno dei funghi piè vistosi nei boschi di conifere e di alcune latifoglie, un tempo molto più diffusi nei territori eurasiatici).

Ricordo brevemente alcuni dei più importanti reperti archeoetnomicologici sinora individuati.

Nelle estreme zone orientali della Siberia, nel territorio che si estende nei mari di Ciukci e di Bering, sulle rive del fiume Pegtymel, è stata rinvenuta una ricca stazione di petroglifi, per lo più del periodo paleolitico locale; fra di essi si riconoscono immagini di raccoglitori di funghi (Dikov 1979, fig. 51). In alcuni casi appaiono figure femminili (o effeminate) dotate di vistosi "orecchini" e di un grosso e corposo fungo in testa. Sono stati ritrovati motivi di funghi anche nei petroglifi degli insediamenti paleolitici sulle rive del lago Ushokovo, nella penisola della Kamciatka; in questi casi i motivi di funghi sono rappresentati all’interno di capanne, visti in prospettiva (Dikov 1979, p. 90). Entrambe le iconografie micologiche del fiume Pegtymel e del lago Ushokovo fanno intrinsecamente parte di scene ritualistico-simboliche e non è azzardato associarle con l’utilizzo di funghi "magici", probabilmente l’Amanita muscaria, come già suggerito da altri autori (Wasson 1979).

Da più autori è già stata posta in evidenza la relazione simbolica fra rospo e fungo sacro (A. muscaria) nell’etnomicologia popolare europea ed asiatica; essa è evidente anche da semplici osservazioni etimologiche (Wasson 1968, p. 174 e segg.). La simbologia del rospo, insieme a quelle relative al fungo muscario e al fulmine, è di probabile origine pre-indoeuropea, legata ad arcaici e diffusi culti agrari e di fertilità o proveniente, ancor prima, dalle culture pastorizie e di raccoglitori di frutti.

È sorprendente constatare la relazione fra fungo sacro, rospo e fulmine anche fra le antiche civiltà mesoamericane. Sono noti oltre un centinaio di cosiddetti "funghi-pietra" (mushroom-stones) provenienti da diversi siti archeologici del Messico e del Guatemala. Molti di essi sono copie artigianali di archetipi che potrebbero risalire ai tempi precolombiani dell’America centrale. Difatti i più antichi sinora accertati avrebbero origine nel periodo pre-classico antico (2000-1000 a.C.) (Lowy 1971), di altezza variabile fra i 15 e i 30 cm, queste statuette di pietra rappresentanti funghi sono a volte sorrette alla base da figure antropomorfe femminili rannicchiate o da rospi; addirittura in un caso il fungo pare uscire dalla bocca del rospo. Sono state evidenziate anche dirette associazioni, sia dal punto di vista filologico che da quello folcloristico, fra il fungo muscario e il fulmine, fra le stesse culture guatemalteche e messicane (Lowy 1974). Ricordo, inoltre, le frequenti rappresentazioni fungine inserite nelle complesse scene dei "codici" Maya. Varie di queste mostrano individui in atto di adorazione e di offerta ad una divinità e l’oggetto offerto ha tutte le sembianze di una schematica Amanita muscaria, dotata di evidenti e spigolosi "puntini" sul cappello (Lowy 1972). L’iconografia simbolica del fungo sacro, quella relativa agli stadi preistorici dell’umanità è dunque caratterizzata da specifici elementi di culto; il rospo e il fulmine sono i più importanti e diffusi. E’ probabile che anche il simbolo fallico, associato a culti di fertilità e di fecondità così come il concetto archetipo dualistico maschio-femmina, individuabile nella stessa immagine fungina, possano rientrare nell’iconografia simbolico-religiosa del fungo sacro. In effetti il fungo, per la sua forma, composta di un gambo (fallo) e di un cappello (vulva), è già stato sinteticamente associato all’atto della fecondazione, della fusione, della nascita (es. popolazioni mesoamericane, Furst 1981, p. 226).

In effetti è proprio questo il fulcro della questione; simbologia femminile, emblema fallico o fungo? L’uomo primitivo associava oggetti ed eventi in maniera alquanto differente dai modi attuali, basandosi più sull’associazione diretta di una coppia di eventi vicini nel tempo o dotati di affinità percettivo-sensoriali, che sulla deduzione logica, per noi ora così importante nella valutazione dei più svariati fenomeni. Espongo un esempio: nota è la leggenda che vede ogni fulmine caduto nel bosco dare origine ad un’Amanita muscaria. La troviamo, tramandata dal folclore delle tradizioni popolari, nella valle dell’Indo, in Siberia, in Europa, in America centrale (Lowy 1974, p. 188 e segg.). Noi dedurremmo, con logica, dal fulmine il temporale e la pioggia, la quale porta umidità necessaria perché nascano i funghi. L’uomo primitivo invece non pensa a tutto questo, non è in grado di farlo o, forse, non gli interessa; si avvale di una più diretta associabilità degli eventi per la valutazione dei fenomeni (la "simpatia" del Frazer, 1922, p. 23 e segg.), in questo caso si basa sul ritrovamento di Amanita dopo la tempesta piena di fulmini; in effetti fulmine e fungo sacro sono "simpaticamente" associati fra loro poiché entrambi manifestazioni del sacro (ierofanie) e manifestazioni di forza (cratofanie) (Eliade 1976, p. 146 e segg.). In una visione più allargata è possibile notare come la mente primitiva si avvalga ampiamente delle affinità geometrico-visive degli oggetti e dei paesaggi osservati; oggetti che hanno funzioni diverse, ma simile forma e/o colorazione sono visti dall’uomo antico più vicini, anche nel significato (valore simbolico) di quanto noi, o la sola nostra razionalità vedrebbe ora. E’ anche per questo che "fungo" e "fallo" (e "fallo" e "vulva") sono così vicini nella visione della mente primitiva.

Reperti iconografici archeologici relativi all’Amanita muscaria sono sparsi nelle più disparate zone del globo; viene da domandarsi se siano presenti simili reperti nei territori europei con maggior concentrazione dell’arte rupestre, in zone caratterizzate da una quasi perenne (nei millenni) presenza naturale del fungo. A tal proposito, come già notato dal Marro (1945), il motivo "cornuto", tipico dell’espressione artistica di Val Meraviglie, è probabilmente da associare con il fenomeno del fulmine, potenza naturale dominante dalle vette di Monte Bego, e lo stesso fulmine, come si è visto, rientra nella simbologia e tradizione culturale del fungo sacro. V’è comunque da tenere in considerazione il fatto che la mancanza di iconografie etnomicologiche fra le ricche incisioni rupestri dell’arco alpino possa essere dovuta più all’attuale carenza di specifici studi a riguardo, che e alla sua effettiva non presenza.

Ricordo ancora i comprovati arcaici rapporti fra sciamanismo e allucinogeni estendentesi ai vari casi, presi qui considerazione, d’utilizzo di altre piante "sacre", quali l’uso cultuale della Datura (Jimsonweed) fra gli sciamani Chumash della California, fonte primaria d’ispirazione della complessa arte rupestre di questa e vicine popolazioni autoctone (We11mann 1981), così come l’uso di funghi allucinogeni differenti, anche nella loro azione farmacologica, dall’A. muscaria (genere

Psilocybe) da parte degli sciamani mesoamericani (Heim 1959).

Riporto infine l’immagine di una scena rupestre sahariana (Tassili) la cui evidente simbologia fungina assume un ruolo centrale nell’intera scena magico-cultuale. A tal riguardo sono in corso miei più approfonditi studi sulla stupenda arte preistorica sahariana, che già da un primo sguardo mostra di possedere una ricca iconografia micologica la quale, tuttavia, non sembra collegabile alla specie di grossa taglia Amanita muscaria (cfr. Lajoux 1964, pp. 68-69 e 70). Verificato l’arcaico rapporto fra sciamanesimo e fungo sacro, in questa sede mediante reperti archeologici, vi sono più deduzioni che rendono inaccettabili le ipotesi di Eliade: "Le droghe non sono che un surrogato volgare della trance "pura". E presso molti popoli siberiani abbiamo già avuto occasione di constatare che le intossicazioni (con alcool, tabacco, ecc.) sono innovazioni recenti, le quali, in un certo modo, accusano una decadenza della tecnica sciamanica. Si è cercato di "imitare’’ con un’ebbrezza a base di droghe uno stato spirituale cui non si è più capaci di giungere in altro modo. Decadenza, oppure - bisogna aggiungere - volgarizzazione di una tecnica mistica" (Eliade 1972, p. 247).

Pur riconoscendo l’inizio della decadenza della tecnica sciamanica con l’introduzione delle intossicazioni alcoliche o ancor prima, si deve far distinzione fra questo o "simili" surrogati di funghi sacri; la voluminosa documentazione scientifica ed empirica relativa a questi ultimi non dovrebbe più lasciare dubbi sul fatto che il loro effetto sull’uomo sia caratterizzato da una tendenza verso esperienze di natura rivelatrici religiose, nella sfera del sacro.

Gli stati mentali indotti con le sostanze psicoattive non sono un’illusoria imitazione di stati di coscienza "puri", bensì si riferiscono con la medesima importanza nelle generali casistiche degli stati alterati di coscienza, e la storia dell’utilizzo di questi composti dimostra come essi siano generalmente impiegati come mezzi per raggiungere le manifestazioni del Sé, obiettivo comune ai vari "continuum" su cui si sviluppano gli stati di coscienza, differenziati fra loro dai "metodi" impiegati (autoindotti, con droghe, ecc.): "Il Sé dell’estasi e dello samadhi sono lo stesso ed unico Sé" (Fischer 1971, p. 902).

Gli stati psichici di sensibilità, creatività, ansietà, così come gli stati acuti schizofrenici e di catatonia, assieme ai rapimenti mistici e agli stati allucinatori stimolati con sostanze psicoattive, sono tutti distribuiti su un continuum di stimoli egotropici che dallo stato "normale" portano il soggetto verso la rivelazione del Sé; anche il continuum degli stimoli trofotropici, caratterizzato dagli stati meditativi, dello Zazen e dello Yoga samadhi, portano il soggetto dallo stato "normale" alla rivelazione dello stesso Sé, e la serietà di questo nuovo (almeno per la cultura occidentale campo della scienza richiede la soppressione di qualunque preferenzialità di carattere moralistico e pregiudiziale.

Difatti, tutti gli stati psichici sopra elencati, sia autoindotti che non, rappresentano, fanno intrinsicamente parte della storia fisica umana, anzi, rappresentano i "mezzi" coi quali è avvenuta e tuttora avviene la sua evoluzione; è poco scientifico dunque, svalutarne alcuni e vederne come "puri" e unici altri.

Inoltre, è ben piè probabile che gli stati allucinatori ed estatici indotti da sostanze psicoattive, così come gli stati di acuta schizofrenia, siano da annoverare fra le piè arcaiche alterazioni psichiche sperimentate dall’uomo. L’origine relativamente recente delle tecniche meditative orientali, alle quali appartengono i piè noti stimoli trofotropici indirizzati verso lo samadhi, avvalorerebbe una simile ipotesi. Valutando poi, anche nelle sue origini, l’intima relazione fra stati modificati di coscienza e sfera psichica del sacro, del religioso e del divino, è intuibile la probabile e significativa partecipazione delle esperienze indotte da vegetali psicoattivi, forse inizialmente casuali, negli originari eventi psichici che hanno dato vita, per dirla con Eliade (1961, p. 7), all’homo religiosus.

Sia l’esperienza diretta di generazioni di individui che la documentazione storiografica (mitologico-religiosa) tendono a confermare questa supposizione.


Bibliografia

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Dal sito http://www.samorini.net/index.htm#

Claude74
28-04-02, 16:06
Un amico mio ha fatto un'esperienza con dei funghi. Mi pare provenissero dal nord Europa. Racconta di aver passato la maggior parte del tempo cercando di capire che forma di vita fosse.....ad un certo punto si convinse di essere una sorta di rettile. Mi disse che le cose tendevano ad assumere la forma di globi o di cubi, che si scontravano tra di loro. In realtà se la deve essere vista brutta. Chi gli era vicino dice che, dopo averli ingeriti, è caduto in un silenzio tombale per circa 9 ore. Mah....
PS
Tengo a precisare che quell'amico non è il sottoscritto.....non prenderei allucinogeni nemmeno sotto tortura. Inoltre i fatti sono avvenuti all'estero, in luoghi dove la vendita e il consumo di funghi allucinogeni è tollerata dalla legge.

Tomás de Torquemada
22-09-02, 21:55
La Riunificazione del Sacro e del Naturale (1)
del Dr. Ralph Metzner
California Institute of Integral Studies, San Francisco, California

Pubblicato originalmente su Eleusis, vol. 8, pp. 3-13, 1997


Sintetizzo la mia tesi in due affermazioni: uno - l'incessante sfruttamento e distruzione della biosfera da parte della macchina della crescita capitalistico-industriale in tutto il globo affonda le sue radici nel complesso patologico del dominio degli uomini "civilizzati" sul mondo della natura. E due - il ritorno alla ribalta dell'interesse verso visioni del mondo animistiche e verso le pratiche sciamaniche delle popolazioni tradizionali, compreso l'uso intenzionale di sacramenti allucinogeni (2), è uno dei segni che fanno sperare che la spaccatura fra il sacro ed il naturale possa essere nuovamente eliminata.

Al fine di fornire un contesto alla presente discussione, inizio descrivendo brevemente la mia storia di esperienza e ricerca in questo campo. Come psicologo per oltre 35 anni mi sono impegnato nel campo degli studi sulla coscienza, compresi gli stati alterati indotti da droghe, piante ed altri mezzi. Negli anni sessanta ho lavorato all'Harvard University con Timothy Leary e Richard Alpert, conducendo ricerche sulle possibili applicazioni terapeutiche delle droghe psichedeliche quali l'LSD e la psilocibina. Negli anni settanta il mio lavoro si è focalizzato sull'esplorazione di metodi, non collegati alle droghe, per la trasformazione della coscienza, che si possono trovare nelle tradizioni orientali ed occidentali di yoga, meditazione, alchimia e metodi psicoterapeutici scoperti di recente che utilizzano stati alterati profondi. Nel corso degli anni ottanta sono venuto a contatto con il lavoro di Michael Harner e altri che hanno esplorato gli insegnamenti e le pratiche sciamaniche in tutto il mondo, principalmente quelli che coinvolgono stati di coscienza non comuni indotti dal suonare il tamburo, ma anche dagli allucinogeni. Ho studiato le pratiche sciamaniche di varie culture, comprese quelle che comportano il digiuno, la ricerca della visione, la sweat-lodge ed altre. Il mio interesse si è spostato più verso le piante psicoattive o allucinogene, che hanno una tradizione d'uso nelle società sciamaniche, piuttosto che verso le potenti droghe psichedeliche scoperte recentemente, il cui utilizzo implica spesso rischi ignoti. Negli ultimi anni ho assistito al risveglio dell'interesse verso lo sciamanismo e le piante sacre come parte della ricerca mondiale di un rinnovamento del rapporto spirituale con il mondo della natura.

Il riconoscimento ed il rispetto per le essenze spirituali insite nella natura è fondamentale per la visione del mondo delle popolazioni indigene, come lo era per i nostri avi nelle società preindustriali. Nelle società sciamaniche, cioè nelle società in cui viene riconosciuta la realtà di altri mondi immateriali, la gente ha sempre dedicato molta attenzione alla cura di un rapporto percettivo e spirituale diretto con gli animali, con le piante e con la Terra stessa in tutta la sua magnifica molteplicità. La nostra moderna visione materialistica del mondo, con il suo fulcro ossessivo sul progresso tecnologico e sul controllo e lo sfruttamento di quelle che vengono definite "risorse naturali", si è andata dissociando più o meno totalmente da quella consapevolezza spirituale della natura. Questa spaccatura tra spiritualità umana e natura ha le sue radici nell'antichità, ma una sua causa rilevante è stato il sorgere della scienza meccanicistica nel sedicesimo e nel diciassettesimo secolo (Metzner, 1993).

Il risveglio delle credenze animistiche, i movimenti profondi nella psicologia e nella ecopsicologia ed il rinnovato interesse verso le pratiche sciamaniche, compreso l'uso di piante allucinogene od enteogeniche, rappresenta una riunificazione di scienza e spiritualità, che erano state separate fin dal sorgere della scienza meccanicistica nel diciassettesimo secolo. Io credo che i valori spirituali possano ancora diventare la motivazione primaria degli scienziati. Dovrebbe essere ovvio che tale indirizzo per la scienza sarebbe molto più salutare per tutti noi e per il pianeta, rispetto alla scienza indirizzata, come è ora principalmente, verso la produzione di armamenti e di profitto.

Elementi comuni dell'Esperienza Sciamanica/Allucinogena
Per focalizzare la discussione sui sacramenti con piante allucinogene, inizierò citando le annotazioni che ho steso sulla mia prima esperienza con l'ayahuasca. Ho conosciuto questo medicamento vegetale dell'Amazzonia tramite un etnobotanico che aveva condotto delle ricerche sulle pratiche degli sciamani meticci del Perù, e aveva preparato il medicamento in base alle ricette tradizionali. Lo scenario era una grande casa nel nord della California rurale. L'atteggiamento era aperto e rispettoso, il medicamento era trattato alla guisa di un sacramento. Ecco il resoconto:

Bevemmo l'infuso il cui sapore era una strana mistura di amaro e di dolce sciropposo, nell'oscurità quasi totale, soltanto con una o due candele. Ascoltammo musica Maya. Cominciavo a sentirmi molto rilassato, pesante e tranquillo ma anche come se la mia testa si stesse allargando. Cominciò ad arrivare un arazzo di visioni ondeggianti, prima principalmente figure geometriche, poi sagome e forme di piante, animali, esseri umani, città, templi, velivoli e cose simili. Di tanto in tanto dal flusso continuo emergono immagini particolari che vengono poi riassorbite in esso.
Nel momento in cui si formano le immagini e gli oggetti retrocedono nel tessuto ondeggiante delle visioni, mi rendo conto che li vedo come se fossero proiettate sulle spire attorcigliate di un enorme serpente, con motivi d'argento e verdi scintillanti sulla sua pelle. Non riesco a vedere né la testa né la coda del serpente e questo mi dà un'idea approssimativa delle sue dimensioni: cinge l'intero edificio a due piani. Stranamente, la vista di questo serpente gigante non evoca la minima paura; anzi, la mia risposta emozionale è di soggezione e umiltà per la magnificenza di questo essere e del suo potere spirituale. Avevo sentito affermare che in Amazzonia gli ayahuasqueros considerano il serpente gigante lo "spirito madre" di tutti gli spiriti dalla foresta, del fiume e dell'aria.
Nella fase precedente, prima che mi accorgessi del serpente madre gigante, avevo provato avversione che rasentava il disgusto per i disegni geometrici che stavo vedendo: apparivano antiquati, falsi e artificiali come la decorazione di un centro commerciale o di un casinò di Las Vegas. Mentre cercavo il significato della mia reazione, mi fu mostrato come questo fosse la copertura tecnico-culturale umana sul mondo della natura: stavo guardando il mondo degli uomini! Poi, una volta accettato questo, anche se con un po' di rimorso, riuscii a vedere attraverso di essa le energie pulsanti del mondo reale, spirituale della natura sottostante incarnata nella forma del Serpente Madre gigante.
Poi incontro un altro serpente, di dimensioni più "normali": infatti, è più o meno della mia taglia. Entra nel mio corpo attraverso la mia bocca e comincia lentamente a farsi strada attraverso il mio stomaco e i miei intestini per le successive due o tre ore. Quando arriva all'intestino sento dei morsi e suoni incredibilmente alti di gorgoglio e digestione provengono dalle mie viscere. Sono consapevole di una risonanza morfica fra il serpente e gli intestini: la forma del serpente è più o meno un lungo tratto intestinale, con una testa ed una coda. Il nostro intestino, invece, è simile a un serpente, con le sue anse e le sue curve e con il suo movimento peristaltico. Così il serpente, facendosi strada attraverso il mio tratto intestinale, sta "insegnando" al mio intestino ad essere più potente ed efficiente.
Poi vedo diverse persone con la pelle nera, che danzano venendo verso di me e retrocedendo. Sono sempre in coppia, come i gemelli, si muovono in modo parallelo: mi domando se rappresentino gli spiriti delle due piante appaiate del tè di ayauasca. Poi, mentre sono steso su un fianco su di un divano, improvvisamente un giaguaro entra dentro di me. E' un enorme maschio nero, ed entra nel mio corpo assumendo la stessa posizione semireclinata in cui mi trovo io. Poco dopo che l'ho notato, il giaguaro è scomparso. Un'altra volta mi trovo carponi e sento distintamente un uccello che atterra sulla mia schiena. Vengo presentato brevemente ad alcuni dei diversi spiriti cui si può aver accesso tramite il medicamento ayahuasca. Cresce in me la comprensione del fatto che con la pratica e con una concentrazione crescente potrei prolungare gli incontri con i diversi spiriti di animali - e poi fare loro delle domande sulla divinazione. Don Fidel, uno dei vecchi ayahuasqueros, dice: "le visioni entrano in te e ti guariscono."
Molte immagini di divinità Maya e demoni degli Inferi che danzano: scheletrici, storpi, malati, con la pelle che sbatte al vento, che perdono sangue, pieni di pustole, coperti di bubboni, con ferite aperte e le teste tagliate, rospi sulle ginocchia trapassate dalle spine. Il loro messaggio, ripetuto diverse volte è: " tu non devi fare niente". Incorporando nella loro danza di trasformazione la morte, il decadimento e la malattia ed altri orrori inimmaginabili, avviene una profonda guarigione interna, totalmente indipendente da qualsiasi mio coinvolgimento. Mi stupisce l'essere iniziato in questo antico lignaggio di guaritori visionari.

E' sera tarda, mi trovo di nuovo carponi, mi sento travolto ed esausto a causa di questo viaggio attraverso i mondi dell'aldilà della giungla, del fiume e dei serpenti che mi ha torto le budella, ma che mi ha rinfrescato l'anima. Abbasso la fronte fino a toccare il terreno, poi mi rendo conto che sto cadendo lentamente attraverso la terra, attraverso il terreno e la roccia, sempre più velocemente e poi esco dall'altro lato nello spazio profondo, vasto nella sua oscurità, esilarante, pieno di innumerevoli punti luminosi, scintillae, strisce e stelle dell'universo.

Questo resoconto è un esempio di molti vari elementi che si possono trovare nella letteratura antropologica sullo sciamanismo e sull'uso delle piante allucinogene e che tendono a mettere in risalto le esperienze di persone che assumono tali medicamenti in un contento religioso o terapeutico. Elencherò semplicemente tali caratteristiche poiché non c'è lo spazio in questa sede per documentarle ampiamente:

l'importanza del set e del setting, o intenzione e contesto, nel determinare la natura dell'esperienza. Queste risultanze sono il prodotto della ricerca psichedelica degli anni sessanta (Grinspoon and Bakalar, 1979).
L'esperienza può sanare a livello fisico, psichico e spirituale; un processo che può comprendere l'esperienza di essere prima smembrati, distrutti, o "uccisi" e poi ricreati con un corpo più sano e più forte. L'esperienza dello smembramento è una caratteristica classica della guarigione sciamanica in tutto il mondo. I "livelli" sono concetti analitici: durante un'esperienza reale non sono separati, bensì simultanei e coesistenti.
L'esperienza può anche fornire accesso alla conoscenza nascosta - questo è l'aspetto della diagnosi, della divinazione o della visione: la gente arriva a definire queste piante "piante-maestro".
C'è una sensazione ed una percezione di accesso ad altri mondi non fisici, che spesso vengono definiti mondi interiori, mondo degli spiriti, altri mondi, realtà alternative. L'accesso può avvenire attraverso un viaggio in quel mondo, oppure gli essere spirituali di quel mondo possono fare un'apparizione nel nostro mondo, oppure i confini abituali fra i mondi sembrano diventare permeabili.
L'esperienza può comprendere la percezione di esseri spirituali immateriali normalmente invisibili. Tali spiriti vengono associati ad animali particolari (es. il serpente, il giaguaro), certe piante, alberi, funghi, certi luoghi (es. il fiume, la foresta pluviale), avi defunti, ed altre entità fuori dell'ordinario (es.: extraterrestri, elfi). Può comprendere l'esperienza di diventare realmente o di identificarsi con quello spirito (es. l'esperienza di diventare un giaguaro); la guarigione e la visione vengono vissute come esperienze realizzate o assistite da tali spiriti.
L'ascolto della musica o il canto, o il cantarsi, sono elementi essenziali per esperienze allucinogene produttive. L'impulso ritmico degli icaros nelle cerimonie ayahuasca, come la vibrazione ritmica del suonare il tamburo nei viaggi tramite il tamburo fornisce un sostegno per muoversi attraverso il flusso delle visioni ed impedisce di rimanere "bloccati" o "ritardati" in esperienze spaventose o ammalianti.
Le cerimonie tradizionali avvengono quasi sempre nell'oscurità o a luce bassa; ciò apparentemente facilita l'insorgenza delle visioni. Un'eccezione è costituita dalla cerimonia peyote, eseguita attorno al fuoco (comunque di notte); qui i partecipanti possono avere delle visioni mentre fissano il fuoco.
Alcune forme rituali classiche per l'uso di allucinogeni
Se accettiamo l'idea, che scaturisce dalla ricerca scientifica, che il set e il setting sono fattori determinanti cruciali del contenuto di un'esperienza allucinogena, allora l'uso di queste sostanze in un ambiente rituale, facendo molta attenzione all'intenzione cosciente, è, in effetti, l'approccio logico e anche tradizionale. I rituali sciamanici che prevedono l'uso di allucinogeni sono esperienze strutturate con cura, in cui un piccolo gruppo di persone (12-15) si riuniscono con atteggiamento spirituale rispettoso per condividere un profondo viaggio interiore di guarigione e trasformazione, facilitato da questi potenti catalizzatori. La musica e/o il canto fanno sempre parte di tali rituali. La guida o lo stregone che dirigono la cerimonia hanno un ruolo ed una funzione importanti. Nei rituali sciamanici tradizionali il colloquio fra i partecipanti è limitato o assente, ad esclusione forse della fase preparatoria o di quella che segue l'esperienza per valutare gli insegnamenti e le visioni ricevute.

Un secondo genere di forma cerimoniale si è sviluppata nei movimenti sincretico-religiosi brasiliani in cui si fa uso di ayahuasca o di hoasca. Vi sono tre culti ayahuasca che sono sorti in Brasile a partire dagli anni cinquanta: Uñao de Vegetal, Sainto Daime e Barquinia. Sono molto diversi tra loro, ma hanno qualche caratteristica comune: tipicamente coinvolgono grandi gruppi di persone, da 30-40 circa, fino a parecchie centinaia; tutti prevedono qualche tipo di nenia o canto, spesso ritmici, e alcuni prevedono anche la danza. Come nei riti sciamanici, la discussione o la descrizione delle esperienze o degli esiti psicologici è molto limitata o assente.

Entrambi questi generi di cerimonie - sciamaniche e sincretico-religiose - sono molto diversi dai rituali di psicoterapia con allucinogeni, di gruppo o individuali, che sono sorti in occidente e che si potrebbero definire terapeutica sincretica. Da un punto di vista antropologico è perfettamente appropriato definire la psicoterapia un tipo di rituale - una strutturazione deliberata ed intenzionale di uno stato di coscienza. La psicanalisi (originariamente chiamata "cura del parlare") e la maggior parte delle forme della psicoterapia utilizzano il dialogo verbale quale mezzo per esplorare la coscienza. In tempi recenti sono nate forme più "sperimentali" che possono utilizzare metodi di respirazione, movimento, contatto corporeo, musica oppure regressione ipnotica per indurre stati di coscienza profondamente alterati. L'uso di sostanze psichedeliche od empatogeniche (quali l'MDMA) nella psicoterapia individuale o di gruppo può essere preso in considerazione in tale contesto. Il loro utilizzo in esperienze ritualistiche strutturate rappresenta uno stacco fondamentale dalla pratica psichiatrica tradizionale con medicamenti psicotropi in cui le droghe vengono semplicemente somministrate ai pazienti e si presume che agiscano senza la partecipazione consapevole del paziente o del medico (Adamson, 1985; Grof, 1980).

Citerò brevemente alcune delle variazioni ai rituali tradizionali che comportano l'uso di allucinogeni. Nelle cerimonie peyote della Native American Church, nel Nord America, i partecipati siedono in circolo, in un tipì, per terra, attorno ad un fuoco che arde al centro. La cerimonia dura tutta la notte ed è condotta da un "venditore ambulante", assistito da un suonatore di tamburo, una persona che si occupa del fuoco ed un sageman (per la purificazione). Si fanno passare un bastone ed un sonaglio ed i partecipanti cantano le canzoni peyote, che hanno un tempo veloce e ritmico. Anche le cerimonie peyote degli Indiani Huichol del Messico del Nord si svolgono attorno ad un fuoco con molti canti e narrazione di storie, dopo il lungo pellegrinaggio in gruppo per trovare il raro cactus.

Anche le cerimonie del cactus di san pedro, nelle regioni Andine, si svolgono a volte attorno ad un fuoco, con canti; tuttavia talvolta il curandero allestisce un altare su cui vengono posti diversi oggetti e figurine simboliche che rappresentano gli spiriti della luce e dell'oscurità che è probabile incontrare.

Nelle cerimonie dei funghi (velada) degli Indiani Mazatechi del Messico i partecipanti stanno seduti o sdraiati in una stanza molto buia, con una sola piccola candela. Il guaritore, che può essere una donna o un uomo, canta ininterrottamente, per tutta la notte, intrecciando nelle sue nenie i nomi di santi Cristiani, dei suoi spiriti alleati e degli spiriti della terra, degli elementi, degli animali e delle piante, del cielo, delle acque e del fuoco.

Anche le cerimonie tradizionali Indiane con cerimonie ayahuasca prevedono un piccolo gruppo di persone sedute in cerchio, nella semi oscurità, mentre i guaritori iniziati cantano le canzoni (icarps), tramite le quali avviene la guarigione e/o la diagnosi. Anche queste canzoni hanno un tempo piuttosto rapido e ritmico, che mantiene in movimento il flusso dell'esperienza. A volte vengono utilizzati i metodi sciamanici di estrarre residui psichici tossici o innesti velenosi "succhiando".

Anche le cerimonie che prevedono l'uso della pianta Africana iboga, usata nel culto Buiti in Gabon, prevedono un altare con immagini di antenati e di divinità e le persone che siedono per terra con molte nenie e qualche danza.

Le cerimonie nel Nord America e in Europa nelle quali sono stato partecipante-osservatore, mischiavano certi elementi della forma rituale sciamanica pur mantenendo intatti gli elementi essenziali: la struttura del circolo; la consacrazione dello spazio rituale sacro con l'invocazione di spiriti alleati protettivi e docenti; il mantenimento di un atteggiamento rispettoso, spirituale; la semi oscurità; e l'uso di musica, canto, sonagli e tamburi; la presenza di un anziano più esperto o di una guida. Vengono spesso utilizzate variazioni del bastone che parla o del bastone che canta: con questa pratica, che ha avuto origine fra Indiani del Nord Ovest del Pacifico, soltanto la persona che ha il bastone canta o parla, non c'è discussione, non ci sono domande o analisi (come potrebbe esserci nei formati terapeutici con sostanze psichedeliche).

Mentre nel moderno Occidente esistono numerosi altri generi di rituali di scenario e ambiente in cui sono utilizzati allucinogeni, dal "viaggiare" casuale e per divertimento di alcuni amici agli eventi "rave"(di delirio) di centinaia o migliaia di persone, in cui l'Ecstasy (MDMA) si mescola con il tempo ritmico continuo della "musica tecno", la mia ricerca si è focalizzata sui "circoli della medicina" tradizionali e neosciamanici e su quale genere di trasformazioni si verificano in coloro che partecipano a tali circoli.

Caratteristiche essenziali dell'emergente visione del mondo associata alle pratiche sciamanico-allucinogene

Il modello essenziale di realtà, la comprensione del cosmo che viene svelato tramite tali esperienze è sostanzialmente simile a quello condiviso dalle culture sciamaniche indigene e profondamente diverso dal modello occidentale prevalente associato alla scienza meccanicistica. (Tuttavia, molte caratteristiche della visione del mondo sciamanica tradizionale sono sovrapponibili, in misura notevole, alle crescenti teorie e scoperte di confine più recenti della scienza postmoderna). Poiché non c'è qui lo spazio per documentare queste idee essenziali, o per presentare testimonianze che le riguardino, mi limiterò ad enunciarle, a rischio di eccessiva semplificazione. Io credo che se si interrogassero tanti medici sciamanici con lunga esperienza, con o senza allucinogeni, delle società tradizionali e moderne, qualcosa che assomiglia a questa visione del mondo sarebbe condivisa dalla maggior parte di essi.

La realtà fondamentale dell'universo è un continuo, un campo o tessuto unitario di energia e coscienza che è al di là del tempo, dello spazio e di tutte le forme e tuttavia è all'interno di questi elementi.
Nelle religioni asiatiche tradizionali, il campo unitario viene chiamato in vari modi Tao, oppure Brahman. Alcuni nativi nord americani lo chiamano Wakan-Tanka, lo Spirito Creatore. Nel linguaggio dei sistemi della scienza postmoderna viene visto come un sistema infinitamente complesso di interrelazioni, o "intreccio della vita" (Capra, 1996; Goldsmith, 1993).
Il mondo o cosmo è multidimensionale. Nella maggior parte delle tradizioni sciamaniche abbiamo mondi superiori, medi o inferiori; in alcune tradizioni mitico-sciamaniche abbiamo cinque, sette, nove o più mondi; nelle tradizioni esoteriche generalmente ci sono sette "livelli di coscienza". Nella moderna teoria dei sistemi, parliamo di livelli multipli, di interi e parti: gruppi di galassie, galassie, sistemi solari e pianeti; biosfera, ecosistemi, popolazioni e specie; società, sottoculture, organizzazioni, tribù e famiglie; organismi, sistemi organizzativi, cellule, molecole, atomi e particelle subatomiche.
Il campo unitario universale o continuo cosmico ha una polarità simmetrica essenziale, a cui sono state date denominazioni come yin/yang, luce/oscurità, carica positiva/negativa, maschile/femminile, elettrica/magnetica, Padre Cielo - Madre Terra e molte altre. Queste polarità possono essere osservate e sperimentate a tutti i livelli della realtà, da quello macrocosmico a quello microscopico.
Il continuo essenziale simmetricamente polarizzato si differenzia, a tutti i livelli, in un'infinita varietà di nomi e forme, immagini ed oggetti, identità ed esseri. Possiamo riconoscere questa molteplicità a livello delle galassie, delle stelle, dei pianeti; nella diversità biologica delle specie vegetali ed animali sulla Terra; nella diversità culturale delle società umane; e nella molteplicità psichica della nostra vita interiore.
Poiché siamo parte del sistema unificato di interdipendenza, proprio come qualsiasi altro essere, non possiamo mai realmente esserne al di fuori, come un osservatore distaccato "obiettivo". Però, dato che il campo unificato è energia, siamo collegati energeticamente a qualsiasi altra forma ed essere dell'universo. E dato che il campo è coscienza, ciò ci consente, come esseri umani, di armonizzarci, identificarci e comunicare con qualsiasi e ogni forma, oggetto, essere vivente dell'universo, dal macrocosmico al microscopico.
Si vedrà che quanto sopra è una ridefinizione del credo dell'animismo (3) - che vede tutte le forme materiali e biologiche animate dalla vita e dalla coscienza, e dello sciamanesimo che pratica metodi di armonizzazione ed identificazione intenzionali con tutti i generi di forme ed esseri, tramite il campo unificante della coscienza che ci unisce tutti.
Mentre le cosiddette "religioni superiori" associate alle civiltà colte, urbane, industriali tendono ad essere monoteiste, con un'unica divinità (generalmente maschile), le credenze religiose associate all'animismo o allo sciamanesimo sono generalmente politeiste, con un'immensa varietà di nomi e forme di dei e dee, resi particolari per ciascuna cultura e la sua tradizione mitica. Non è raro per i partecipanti a sessioni con piante allucinogene sentire o percepire la presenza di divinità o spiriti appartenenti a molte culture diverse, comprese quelle con cui essi non hanno nessuna relazione genetica, biografica o geografica.
L'importanza del risveglio dell'animismo nella situazione mondiale attuale
Dopo aver presentato alcune delle caratteristiche fondamentali della visione del mondo animistica, indigena, che è collegata al risveglio dell'interesse verso le pratiche sciamaniche, compreso l'uso di allucinogeni, desidero adesso affrontare il problema di cosa ciò significhi nel contesto della situazione mondiale attuale. Cosa significa il fatto che la gente, in gran numero, sta ora ritornando a queste antiche tradizioni di pratica spirituale e curativa nel nostro mondo di società industriali multinazionali, di computer e di reti elettroniche?

Moltissimi comprendono che il sistema di crescita capitalistica-industriale che ora domina il mondo sia economicamente sia politicamente sta distruggendo i sistemi di sostegno della vita nella biosfera e riducendo a brandelli il tessuto stesso della vita su questo pianeta. I rapporti annuali sullo Stato del Mondo redatti dall'Istituto per la Vigilanza sul Mondo documentano con deprimente regolarità le dimensioni globali della catastrofe (Brown et al., 1997). Nel 1992 oltre 1500 scienziati di 69 paesi hanno redatto l'Avvertimento degli Scienziati Mondiali all'Umanità , che dichiarava: "Gli esseri umani e il mondo della natura sono in rotta di collisione… E' necessario un grande cambiamento se si vuole evitare un'immensa disgrazia umana e se non si vuole che la nostra dimora globale su questo pianeta sia irrimediabilmente mutilata." La civilizzazione umana su questa Terra sembra aver prodotto una situazione di dissolvimento ecologico.

Per ritornare al mio precedente ragionamento, sto dicendo che l'assalto industrial-tecnologico senza precedenti verso la biosfera a cui stiamo assistendo nella nostra epoca affonda le sue radici in parte nella scienza meccanicistica del mondo moderno, che ha deliberatamente divorziato dalla spiritualità, dai valori e dalla coscienza. Nell'intendimento comune esiste un profondo abisso fra ciò che consideriamo sacro e ciò che consideriamo naturale, e tuttavia dall'esperienza con i sacramenti allucinogeni e con altre pratiche sciamaniche di milioni di individui nel mondo occidentale, stiamo assistendo al riemergere dell'antica visione integrante del mondo che vede tutta la vita come una ragnatela interdipendente di rapporti che ha bisogno di essere protetta e conservata con cura.I parallelismi si possono vedere nei diversi movimenti culturali che cercano di correggere il pericoloso squilibrio che esiste nel rapporto dell'uomo con la natura: nell'ecologia vera e nell'ecofemminismo che fanno appello ad un atteggiamento rispettoso, ugualitario ed ecocentrico verso il mondo della natura; nei movimenti di giardinaggio ed agricoltura biologici, che cercano di ritornare ai metodi tradizionali, evitando l'uso di fertilizzanti e pesticidi chimici; nel movimento per l'aumento dell'uso della medicina officinale, nutrizionale e complementare; ed in parecchi altri movimenti filosofici, scientifici e religioni compresi il bioregionalismo, l'ecopsicologia, la teoria dei sistemi viventi, la spiritualità della creazione, l'ecoteologia ed altri (Ruether, 1992; Spretnak, 1991; Metzner, 1997; Weil, 1990).

In questi diversi movimenti, appartenenti a molte discipline, per trasformare le nostre percezioni, i nostri atteggiamenti e le nostre pratiche umane in relazione alla Terra verso un riconoscimento più sano, che non sfrutta, non dominante della interconnessione, l'uso rispettoso dei medicamenti vegetali enteogenici nei contesti spirituali/terapeutici possono ancora riuscire a giocare un ruolo molto importante.

Note

(1) Il presente lavoro si basa in parte su di una presentazione fatta alla conferenza dell'International Transpersonal Association (ITA), Maggio 1996, a Manaus, Brasile.

(2) Una nota sulla terminologia: Utilizzo i termini "psichedelico", "allucinogeno" ed "enteogeno" in modo intercambiabile. Alcuni hanno obiezioni da fare sul termine "allucinogeno" poiché un'allucinazione è una percezione illusoria e in effetti queste sostanze non inducono allucinazioni. Ma il significato originale del latino alucinare è "vagare nella propria mente"; e viaggiare o viaggiare in uno spazio interiore sono metafore descrittive effettivamente molto appropriate per l'esperienza indotta da queste sostanze. Pertanto desidererei riabilitare il termine "allucinogeno".

(3) Terence McKenna (1991) ha scritto di un "risveglio arcaico", ma secondo me si tratta di un risveglio dell'animismo, cioè il modello cruciale qui cambia. Il fatto che l'animismo dominasse nel periodo arcaico è in qualche modo non pertinente.

Dal sito Dal sito http://www.eleusis.ws/index.html

Silvia
22-10-02, 20:48
I VELENI DIVINI
di Roberto Negrini

Tra i principali reperti archeologici ritrovati in Messico e Guatemala, nelle terre che furono delle civiltà maya a azteca, i più enigmatici furono indubbiamente alcune statuette raffiguranti figure totemiche umane o animali sormontate da un'ampia cappella di fungo e risalenti, in alcuni casi, a 3000 anni fa.


http://www.airesis.net/StatiAltriDiCoscienza/Stati%20altri%20di%20coscienza%202/images/uomini_fungo.jpg

Dalla decifrazione degli antichi codici aztechi e dalle tradizioni magico-religiose degli Zapotechi e dei Mazatechi del Messico meridionale, già registrate dai conquistatori spagnoli, risultava l'esistenza di una misteriosa triade di piante-dee: il fungo teonanacatl, il cactus peyotl e i semi vegetali ololiuhqui, divinità-cibo attraverso la cui consumazione e mediazione sacerdoti a sciamani raggiungevano il diretto contatto con il soprannaturale e la comunione con gli dei.
All'epoca della prima conquista di Cortés, nel XVI secolo, il missionario francescano Bernardino de Sahagun aveva descritto con pio orrore cerimonie durante le quali gli indigeni si inebriavano con una bevanda intossicante e "diabolica" che procurava loro visioni ed ebbrezze "infernali" e che veniva estratta da un fungo velenoso chiamato appunto teonanacatl (che in lingua Nahuatl significava "carne della divinità") . Le crudeli e sistematiche persecuzioni perpetrate dalla Chiesa Cattolica a dalla monarchia spagnola contro ogni forma di religiosità magica locale, pur lontane dall'estinguere il culto dei funghi a delle piante sacre e il loro utilizzo sciamanico, ne causarono successivamente la quasi assoluta clandestinità, e per più di 300 anni, sui segreti vegetali messicani, gli Europei non seppero molto più del devoto francescano al seguito degli sterminatori. Il mistero del teonanacatl a delle millenarie statuette degli uomini-animali-fungo fu infatti definitivamente svelato solo tra la prima e la seconda metà del nostro secolo.

L'etnobotanico americano Richard Evans Schultes, direttore del museo botanico dell'Università di Harvard, fu tra i primi ricercatori contemporanei a compiere estese ricerche sulle piante psicoattive, trascorrendo ben 12 anni della sua vita, dal 1941 al 1953, in Amazzonia, Ande e Sudamerica. Il lavoro di Schulte, svolto già fino dal 1936 in un'ottica interdisciplinare tra botanica, etnologia e antropologia, fu supportato dal contatto diretto con sciamani, stregoni e ritualità tribali e portò, nel corso di pochi decenni, il numero delle piante allucinogene conosciute e classificate da una mezza dozzina a più di 80, dimostrando nel contempo la strettissima connessione tra uso di droghe sacre, religione e magia.
Nel 1954 il banchiere e micologo autodidatta R. Gordon Wasson, trasferitosi con la moglie nella regione di Oaxaca, nel Messico meridionale, alla ricerca dei funghi sacri, scoprì che l'azteco teonanacatl era il nome sacrale collettivo di una peculiare categoria di funghi allucinogeni della famiglia Psilocybe mexicana la cui utilizzazione cultuale e magica risultava ancora ampiamente diffusa tra le popolazioni locali. Grazie all'amicizia stretta con Maria Sabina, una curandera mazateca, Wasson, sua moglie e altri collaboratori qualificati furono ammessi a una serie di cerimonie sacre segrete che comprendevano la consumazione sacramentale del teonanacatl e sperimentarono così gli sconvolgenti a meravigliosi effetti estatici di visione ed espansione della coscienza ben noti alla tradizione sciamanica.
Fu come se i muri della nostra casa si fossero dissolti - dichiarò Wasson nella relazione - e il mio spirito volato in alto, e io mi trovavo sospeso a mezz’aria... Sentii che ora stavo vedendo, vedevo gli archetipi, le idee platoniche che sono alla base delle imperfette immagini della realtà di ogni giorno. In quel momento l'audace ricercatore americano aveva sfiorato il segreto di una delle più antiche forme universali di comunione col sacro. Ora voi siete il Fungo, fu detto agli Europei mentre stavano sperimentando qualcosa che alla perseguitata saggezza degli Indios era noto da millenni. Le antichissime ed enigmatiche statuette dell'Uomo-Dio-Fungo rivelavano così il loro sconvolgente significato: l'Uomo che si fa Dio attraverso la comunione con la pianta sacra.


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Negli anni successivi, Wasson strinse un'intima e continuativa collaborazione con il dottor Albert Hofmann dei laboratori di ricerca Sandoz di Basilea, che solo pochi anni prima, nel 1943, analizzando le caratteristiche biochimiche della segale cornuta (un fungo tossico parassitario delle graminacee e particolarmente della segale), aveva isolato a analizzato il più potente allucinogeno di sintesi mai conosciuto: la dietilamide dell'acido D-lisergico (Lysergsäure-Diäthylamid) o LSD. Hofmann sottopose ad accurate analisi i vari tipi di funghi a semi di piante magiche raccolte da Wasson e nel 1958 isolò il principio neuroattivo del teonanacatl: la psylocibina. Parallelamente Hofmann, che coltivava anche interessi etno-antropologici a filosofico-esoterici, scoprì che un'altra mitica droga messicana chiamata ololiuhqui ("il fiore della vergine") conteneva alcaloidi estremamente simili all'LSD presente nella segale cornuta. Tradizionalmente l'ololiuhqui veniva utilizzata per il contatto con gli Dei e per la visione del futuro ed era ottenuta dai semi di una pianta di convolvolo (rivea coryrnbosa), che Wasson aveva identificato e trasportato nelle sue spedizioni.


Su sollecitazioni del noto mitologo a storico delle religioni Kàroly Kerényi, amico di Hofmann, furono constatate notevoli affinità strutturali tra alcune cerimonie rituali indigene messicane e le pratiche misteriche a base estatica della Grecia classica. Si giunse così a ipotizzare che la bevanda sacra offerta agli iniziati nel corso dei Msteri Eleusini per celebrare la loro mistica unione con la Dea Madre Demetra, Signora del grano, il kykeon - citato da Eraclito a da altre fonti - la cui composizione era a base di graminacee, contenesse principi psicoattivi affini a quelli dell' ololiuhqui e della segale cornuta e fosse quindi sostanzialmente a base di LSD.
Dal canto suo Wasson estese le sue ricerche medico-etnologiche ad altri funghi psichedelici e soprattutto dedicò la sua attenzione al velenosisssmo "ovulo malefico", l'amanita muscaria, che assunta con gli opportuni accorgimenti quantitativi e cerimoniali, rappresentava uno dei più antichi, potenti e diffusi allucinogeni naturali utilizzati per scopi sacri dai guerrieri vichinghi e dagli sciamani siberiani. Data l'ampia diffusione dell' amanita, con la sua caratteristica forma di fallo in erezione, nelle regioni nordiche originarie dei popoli indoeuropei, oltre che nelle zone del medio a vicino Oriente, Wasson ipotizzò, con un largo margine di sicurezza, che il micidiale fungo fallico costituisse l'ingrediente segreto sia del mitico soma, bevanda sacra dei sacerdoti vedici e delle loro divinità nell'induismo arcaico, dispensatrice di salute, coraggio, longevità, intuizione e immortalità, sia dell'haoma, analoga bevanda sacra della tradizione iranica, utilizzata per ottenere visioni divine già molto prima della riforma monoteista di Zoroastro.



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Amanita muscaria


Insieme al fungo teonanacatl e ai semi ololiuhqui, la terza e più importante pianta-dea della tradizione azteca, e poi indio-messicana, fu e resta ancora oggi il piccolo cactus lophophora williamsii, chiamato dagli indigeni mescal, ma meglio conosciuto come peyotl, diffuso sugli altopiani del Messico settentrionale, che il mito identifica con la carne di una divinità cornuta, il Daino Celeste e le cui proprietà furono rivelate in sogno a una donna. Allucinazioni visive, auditive a olfattive, visioni colorate a geometriche, sovreccitazione sensoriale, distorsione percettiva, dilatazione generale della coscienza sono i principali effetti - simili peraltro a quelli di LSD e psilocybina - ottenuti attraverso l'ingestione rituale dei bottoni vegetali del peyotl, dai quali, nei primi anni del secolo, fu isolato chimicamente il principio attivo principale responsabile dei poteri del cactus: la mescalina, un alcaloide derivato dall'ammoniaca.


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Peyotl


Dalla rivista Anthropos & Iatria - anno 3 - N° 1 - 1999 - De Ferrari editore

Tomás de Torquemada
06-01-03, 22:54
Dal sito www.ilnuovo.it

Gesù faceva uso di marijuana

Lo sostiene uno studioso su una rivista specializzata in stupefacenti. La cannabis era un ingrediente dell'olio medicinale usato per le guarigioni e anche degli incensi accesi durante le cerimonie.

Gesù faceva uso di marijuana? A sostenere la stravagante ipotesi sono un gruppo di ricercatori angloamericani secondo i quali il figlio di Dio ed i suoi discepoli avrebbero fatto uso della droga per operare guarigioni miracolose. L'olio medicinale usato per curare i malati conteneva, infatti, un ingrediente derivato dalla cannabis.

La tesi è stata pubblicata sulla rivista specializzata in droghe High Times a firma di Chris Bennett. Ma anche altri studiosi ne condividono la teoria. "Non ci sono dubbi sul ruolo della marjiuana nella religione ebraica -ha affermato il professore di mitologia classica della Boston University, Carl Ruck - E chiaramente il suo uso tradizionale e la sua reperibilità nel primo ebraismo l'hanno inclusa inevitabilmente anche nei primi riti cristiani".

Anche gli incensi usati durante le riunioni con gli apostoli e nelle cerimonie contenevano estratti di cannabis: "Oggi - spiega Bennett - la cannabis viene fumata ma allora veniva usata negli incensi come negli oli medicinali e così veniva assorbita anche tramite la pelle". Per questo tante malattie della pelle e degli occhi venivano guarite.

http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,165539,00.html

Silvia
12-11-05, 11:10
VIAGGIO SCIAMANICO CON L’AYAHUASCA


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Su Hera di settembre e di ottobre è stato pubblicato un articolo in due puntate di Adriano Forgione dal titolo Il Serpente Cosmico e l’origine della conoscenza, in cui il giornalista intervista l’antropologo Jeremy Narby (autore di The Cosmic Serpent – DNA and the Origins of Knowledge, tuttora inedito in Italia) che nel 1984, all’età di 24 anni, decise di trascorrere un lungo periodo presso una popolazione della foresta amazzonica, gli Ashaninca.

Questi indigeni, durante le loro cerimonie, fanno uso di una mistura vegetale allucinogena chiamata ayahuasca, ottenuta dalla cottura di una liana e di foglie di un particolare arbusto, in grado di provocare una trance profondamente mistica. Le cerimonie in questione coinvolgono uno sciamano che somministra il decotto a diverse persone che siedono al buio, bevono la pozione e ascoltano i canti da lui intonati anche per ore. Lo stesso Narby afferma di averne preso parte per avere una maggiore comprensione del mondo.

L’ayahuasca, usata in Amazzonia da almeno 5.000 anni a scopo religioso e magico-terapeutico, altera lo stato della persona, che vede e prova cose che non vedrebbe e proverebbe in condizioni normali. Secondo l’interpretazione sciamanica, queste visioni sono messaggi poetici, sono onde che ciascuno invia a se stesso e che contengono un preciso messaggio.


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L’assunzione di questa sostanza permetterebbe di esplorare parti della mente umana altrimenti difficili da analizzare: sarebbe insomma un potente mezzo, una scorciatoia per aprire altre vie. Usare una parte della propria mente, che di solito non si usa, per vedere le cose da un’altra prospettiva modificherebbe la coscienza, dando vita a un dialogo interiore, vissuto in forma di rivelazione e proiettato universalmente verso le grandi categorie dialoganti e complementari: il bene/il male, la vita/la morte, l'effimero/il perenne… e i due serpenti avvolti fra di loro di tutti i sistemi simbolici esoterici.

Jeremy Narby rivela che durante le sue visioni gli sono state comunicate le relazioni tra i serpenti gemelli, le corde celesti e il DNA, ma quello che è accaduto veramente è che la sua mente è stata inondata d’immagini mai viste prima. Non si tratta di sogni in cui il cervello essenzialmente rielabora informazioni acquisite di recente: sotto l’influenza dell’ayahuasca, sembra quasi che il cervello si sintonizzi su uno strano “canale” televisivo.

Lo scrittore Benny Shanon, nel suo saggio The Antipodes of the Mind Charting the Phenomenology of the Ayahuasca Experience ( “ Gli antipodi della mente. Per tracciare un quadro della fenomenologia dell’esperienza con l’Ayahuasca” ), pubblicato dalla Oxford University Press nel 2002, classifica e divide in categorie tutto ciò che si vede quando si assume l’ayahuasca e ne ha ricavato temi sorprendentemente comuni come città lontane, tecnologia avanzata, linee costiere, giaguari, tutte immagini diverse che tendono a ricorrere di volta in volta.


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Nelle mitologie di tutto il mondo, storie riguardanti i serpenti nel cielo, storie riguardanti quello che gli storici della religione comunemente chiamano axis mundi, di solito rappresentato da due piante di vite attorcigliate, oppure da una scala distorta, sono esempi di immagini che possono presentarsi in una visione indotta con l’ayahuasca.

Il simbolo del serpente cosmico è presente in tutte le tradizioni del mondo dunque la domanda sorge spontanea: a quale livello possiamo affermare che esiste una mente universale che comunica con archetipi a chi riesce a contattarla? Narby risponde che è difficile provare l’esistenza di questa mente universale. Se dovesse esistere, le nostre menti, chiaramente, sarebbero parte di essa, ed è molto probabile che i nostri minuscoli cervelli siano incapaci di comprendere la mente più grande alla quale potrebbero appartenere.



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Tomás de Torquemada
27-09-06, 14:30
Le droghe attraverso i tempi
Il magico mondo vegetale e i suoi misteri - Erbe per vivere e per morire - Le droghe fra mito e storia - Le "piante degli dei" e il loro uso nelle religioni antiche

di Enza Massa

Sin dagli albori dell'umanità e anche prima che animali ed esseri antropoidi facessero la loro comparsa sulla terra, il mondo vegetale ha avuto un ruolo determinante nella formazione di quello che sarebbe divenuto l'habitat naturale delle creature terrestri e dell'essere intelligente per eccellenza, destinato a divenire il re del creato.

E di certo l'uomo deve moltissimo alla flora di questo pianeta: innanzitutto buona parte del prezioso ossigeno indispensabile alla vita che le piante sintetizzano in abbondanza.

Poi il nutrimento rappresentato dai saporosi frutti della terra che, secondo le religioni e le tradizioni più antiche, crescevano copiosi e spontanei nei giardini dell'Eden. Non dimentichiamo, tra l'altro, i prêt à porter "ante litteram", le mitiche foglie di fico che Adamo ed Eva usarono per coprirsi! Scherzi a parte, furono ancora le piante che vennero in soccorso dell'umanità quando i primi terrestri ancora rozzi uscirono dalle caverne e dal buio della più primitiva preistoria per andare a vivere nelle palafitte, costruite appunto con i tronchi d'albero.

I debiti dunque che l'uomo ha avuto ed ha tuttora con il mondo veetale sono molteplici e, volendoli enumerare tutti, l'elenco diverrebbe davvero troppo lungo. Non possiamo tralasciare, tuttavia, il dono forse più prezioso che la natura ci ha fatto, le erbe medicinali, a buon diritto chiamate un tempo "la farmacia del buon Dio", che costituirono la base della medicina antica e sono ancora largamente usate.


Magia verde

Ma il mondo delle piante con i suoi segreti e misteri forse solo in parte scoperti, per quanto affascinante e prodigo di doni, può anche essere infido, ingannevole e pericoloso se non si conoscono le proprietà, in passato ritenute "magiche" delle molteplici specie.


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Jacques-Louis David, La morte di Socrate (1787 - Metropolitan Museum of Art, New York) - Immagine tratta dal sito http://www.wga.hu/


La conoscenza, infatti, delle qualità benefiche o malefiche delle piante si perde nella note dei tempi e si aggroviglia fra le radici mitiche delle comunità primitive e delle più antiche civiltà. E in questo campo, come in molti altri, l'uomo primordiale ha dovuto fare esperienza a proprie spese, prendendo esempio dagli animali (che comunque molto spesso hanno avuto reazioni diverse da quelle umane) per cercare di distinguere le erbe nocive da quelle buone, quelle semplicemente commestibili da usare come nutrimento da quelle benefiche per la salute, fino a quelle velenose e addirittura letali. E certamente gli "assaggiatori" sfortunati saranno stati numerosi prima che l'uomo sia riuscito a fare le prime incerte e limitate classificazioni delle varie specie.

Comunque, col trascorrere del tempo egli è riuscito a fare le debite e opportune distinzioni e a servirsi delle piante a proprio piacimento e vantaggio, sfruttando a seconda del bisogno le capacità nutritive o medicinali delle varie specie, e persino quelle velenose. Infatti il regno vegetale è forse il più ricco in questo senso poiché, fra erbette dall'aspetto inoffensivo, fiori dai colori smaglianti e foglie o arbusti dalle forme più strane, può celare l'insidia di una pianta carnivora o di una linfa mortale.

Tanto per fare solo qualche esempio, ricorderemo la cicuta dagli attraenti fiori bianchi e dal terribile veleno che uccise il filosofo Socrate; l'aquileia, l'oleandro dal lattice malefico, il rododendro, tutte piante fiorite splendide a vedersi ma altrettanto micidiali. Per passare alle specie fungine, tutti conosceranno l'amanita muscaria, il bellissimo fungo tanto spesso illustrato dalle favole della nostra infanzia, dal rosso cappello punteggiato di bianco che, se ingerito, può essere letale.

Questi sono invero pochissimi esempi poiché la flora contiene una vasta gamma di veleni che possono trovarsi in misura variabile nel fiore, nei semi, nel gambo, nelle foglie o nelle radici e altrettanto variabili possono essere i loro effetti e le loro conseguenze.

L'uomo ha imparato anche troppo presto non solo a distinguerli per potersene guardare, ma purtroppo anche ad utilizzarli come vera e propria arma contro i propri nemici che, specie in passato ma anche ai giorni nostri, è stata forse una delle più subdole e temibili che si conosca.


Le signore dei veleni

Purtroppo la storia è costellata di decessi causati dall'ingestione, intenzionale o meno, di veleni vegetali e moltissime sono state in ogni epoca le morti opportune quanto sospette e con tutta probabilità dovute all'assunzione, in un modo o nell'altro, di sostanze tossiche.

L'arte del veneficio, se così si può chiamare, non richiedendo particolare forza fisica, ma più che altro abilità ed astuzia, è stata un'arma soprattutto femminile e i nomi delle avvelenatrici più famose corrono con un brivido di morte lungo tutta la storia e nelle leggende.

Quelle tristemente più note furono la maga Circe che si dice propinasse micidiali intrugli ai suo malcapitati visitatori, Medea, Locusta che insegnò le sue arti ad Agrippina, madre di Nerone, la stessa Agrippina, Caterina de' Medici che introdusse alla corte francese le raffinate quanto terribili tecniche italiane, Lucrezia Borgia, la marchesa di Brinvilliers che mise in atto le sue losche trame nel secolo del Re Sole, e molte altre ancora.


http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/5/5f/Lucrezia_borgia_bartolomeo_veneziano.jpg/488px-Lucrezia_borgia_bartolomeo_veneziano.jpg
Bartolomeo Veneziano, Lucrezia Borgia in veste di Flora (Städelsches Institut, Francoforte) - Immagine tratta dal sito http://pt.wikipedia.org/


La più famosa di tutte, però, è certamente la bellissima quanto crudele Lucrezia Borgia che riusciva a liquidare amanti divenuti noiosi, rivali e personaggi "scomodi" nei modi più originali e insospettati, cospargendo di misteriose misture, che ella stessa preparava, oggetti o indumenti che uccidevano anche per solo contatto o inalazione. Così numerosi sventurati lasciavano questo mondo senza creare scalpore come se fossero deceduti di morte naturale!

Va detto comunque per dovere di cronaca che la fama nefasta di questa giovanissima donna potrebbe essere stata sia pure in parte immeritata, poiché forse la tradizione ha attribuito alla sua figura ormai oscuramente leggendaria le pratiche e le "mode" omicide di molti suoi contemporanei.

Il regno vegetale, dunque, può essere un nemico molto pericoloso con le sue subdole insidie e i temibili veleni che nasconde e che comunque fanno parte anch'essi di quell'equilibrio naturale da rispettare, in cui ogni cosa ha una sua precisa ragion d'essere; sta a noi quindi e al nostro libero arbitrio far buono o cattivo uso di esse.

(continua)

danyeel
27-09-06, 18:58
Dal sito www.ilnuovo.it (http://www.ilnuovo.it)

Gesù faceva uso di marijuana


Gesù faceva uso di marijuana? A sostenere la stravagante ipotesi sono un gruppo di ricercatori angloamericani secondo i quali il figlio di Dio ed i suoi discepoli avrebbero fatto uso della droga per operare guarigioni miracolose. L'olio medicinale usato per curare i malati conteneva, infatti, un ingrediente derivato dalla cannabis.

Caro Tomàs,
Spero solo che non lo venga a sapere Dan Brown.:rolleyes:
Se no ci trasferisce Cristo in Mexico, alle prese con Don Juan.
A me sembrano ipotesi "folcloristiche" dove al Dio uomo si vogliono far percorrere strade ascetiche alquanto 'azzardate'.
Mi dirai, in questo pazzo mondo, tutto quanto fa' spettacolo.:-01#32
Danyeel

Senatore
28-09-06, 00:18
Mi pare anche che ci fosse un tale, di nome Allegro (...) secondo cui Gesù Cristo, non che essere una persona reale, era in realtà una allucinazione collettiva dovuta a un fungo o a qualche altra sostanza psicotropa di cui gli apostoli avrebbero fatto uso!

danyeel
28-09-06, 00:30
Mi pare anche che ci fosse un tale, di nome Allegro (...) secondo cui Gesù Cristo, non che essere una persona reale, era in realtà una allucinazione collettiva dovuta a un fungo o a qualche altra sostanza psicotropa di cui gli apostoli avrebbero fatto uso!
Scusate,
io non sto a discutere se Cristo era Dio personificato o se è stato un grande profeta.
Mi basta ciò che ha detto e fatto, riportato sia nei 4 Vangeli accreditati che nei cosidetti apocrifi.
Ma per altre interpretazioni, per favore, diamoci una calmata.
Mi sembra il minimo di fronte a quella Persona.
C'è già Milingo che fa' saltare dalla sedia i cardinali .....
Non facciamoli esplodere.:mad:
Danyeel

Senatore
28-09-06, 11:02
Scusate,
io non sto a discutere se Cristo era Dio personificato o se è stato un grande profeta.
Mi basta ciò che ha detto e fatto, riportato sia nei 4 Vangeli accreditati che nei cosidetti apocrifi.
Ma per altre interpretazioni, per favore, diamoci una calmata.
Mi sembra il minimo di fronte a quella Persona.
C'è già Milingo che fa' saltare dalla sedia i cardinali .....
Non facciamoli esplodere.:mad:
Danyeel

Ma infatti caro Danyeel io sono perfettamente d'accordo. Citavo quella "teoria" per nessun altro motivo che la sua colossale imbecillità.

Tomás de Torquemada
28-09-06, 11:33
Ma infatti caro Danyeel io sono perfettamente d'accordo. Citavo quella "teoria" per nessun altro motivo che la sua colossale imbecillità.

Idem. Io a suo tempo ho riportato una notiziola bizzarra che girava nel Web, senza con ciò riconoscerle alcuna attendibilità. Sono fatterelli men che aneddotici, da citare per divertita completezza ma da prendere per quello che sono...


:)

Ciglio
31-10-06, 23:14
volevo segnalare il portale per cui collaboro http://www.psiconautica.cjb.net/ che tratta degli stati altri di coscienza

GedankeProject
02-11-06, 19:35
Tante belle cose, però io non mi dimenticherò mai un mio conoscente (amico è una parola grossa, andavamo a scuola insieme) che, in quel di Londra, rimase dietro una porta 4 ore credendo di essere una matita, terrorizzato che qualcuno lo volesse usare per scrivere...

veramente mistico :D

danyeel
02-11-06, 19:49
Tante belle cose, però io non mi dimenticherò mai un mio conoscente (amico è una parola grossa, andavamo a scuola insieme) che, in quel di Londra, rimase dietro una porta 4 ore credendo di essere una matita, terrorizzato che qualcuno lo volesse usare per scrivere...

veramente mistico :D

...o fargli la punta....:c

jai jai kali ma
28-06-07, 12:10
Mi pare anche che ci fosse un tale, di nome Allegro (...) secondo cui Gesù Cristo, non che essere una persona reale, era in realtà una allucinazione collettiva dovuta a un fungo o a qualche altra sostanza psicotropa di cui gli apostoli avrebbero fatto uso!

Beh, non è esattamente così, o meglio, la tua è una vera e propria storpiatura.

John Allegro fu uno degli archeologi giunti ad ispezionare i manoscritti di Qumran quando essi furono rinvenuti. Nella sua opera "Il Fungo Sacro e la Croce", rintraccia le origini del cristianesimo in seno ai culti della fecondità del vicino oriente antico legati all'utilizzo di un fungo sacro: l'Amanita Muscaria; un agarico dalle proprietà psicoattive che secondo alcuni studiosi sarebbe stato anche l'ingrediente principale del Soma, la bevanda sacra di cui parlano i Veda.

Ricollegandosi a studi su varie etimologie, linguaggi, codici, simboli ecc. Allegro arrivò ad ipotizzare che in realtà il Gesù di cui parlano le sacre scritture cristiane non è altro che un simbolo, la cui vera natura è in realtà il Fungo Sacro, "Dio fatto carne", come veniva definita l'Amanita Muscaria. "Nato senza parto" (senza semi) il cui culto risale a diversi secoli prima di Cristo.


"La storia del rabbino crocefisso su istigazione degli ebrei divenne un pretesto storico su cui si fondò l'autorità del nuovo culto. I cristiani dimenticarono, soprattutto, o rimossero dal culto e dalla memoria, l'unico segreto supremo su cui era basata tutta la loro esperienza religiosa e mistica: i nomi e l'identità dell'origine della droga, la chiave del paradiso: il Fungo Sacro."
John Allegro Il libro in questione non esiste più in commercio, fu messo totalmente al bando, la stessa casa editrice che lo pubblicò "si pentì" e fece pubblicamente le proprie scuse; per Allegro fu la fine della carriera. Se l'argomento vi interessa si puo' approfondire.


http://digilander.libero.it/stipo/funghi/a_muscaria.jpg (http://digilander.libero.it/stipo/funghi/a_muscaria.jpg)


Om Krim Kali Ma

Tomás de Torquemada
27-09-07, 23:28
Paradisi e inferni: lo gnosticismo chimico
di Walter Catalano

“L’oppio è la religione dei popoli”: invertendo l’ordine dei fattori nella celeberrima asserzione attribuita a Karl Marx (e che in realtà egli mai enunciò, almeno in questa forma), il prodotto non cambia. L’uso di sostanze psicoattive per estendere e approfondire la comprensione e la conoscenza della realtà o per favorire la percezione e l’enunciazione di ciò che è ipotizzabile intravedere al di là di essa, diventa un culto, una non-religione della modernità, praticata - in una dimensione ormai irreversibilmente secolarizzata - non più dagli sciamani, dai rishi, dai veggenti e dagli iniziati come nel mondo antico, ma soprattutto da rappresentanti del “popolo” assai particolari: gli scrittori, i poeti e gli artisti, depositari – secondo le coordinate forniteci da Max Weber – del beruf - che è vocazione e contemporaneamente professione - della creazione, del genio e della visione e, in nome di questi doni carismatici, di tutta l’autorità che la società borghese conferisce loro.
Limitando quindi il nostro breve percorso al mondo moderno e all’ambito europeo e occidentale, possiamo dire che le relazioni tra mistica, arte e droga, cominciano alla fine del XVIII secolo, e precisamente dopo l’impresa napoleonica in Egitto.
I Francesi non riportano dalla sanguinosa escursione turistica solo stele, mummie e sarcofagi saccheggiati nella Valle dei Re o tappeti e scimitarre strappati agli sconfitti Mamelucchi, ma anche il gusto per l’hashisc e per l’oppio, prodotti consumati da secoli in quella zona. Con il fascino dell’Oriente, di cui il territorio per poco tempo conquistato è solo la porta, si diffondono in Europa tutte le lusinghe di quei paesi esotici: le spezie e le droghe in ogni senso e possibilità.
Francia e Inghilterra sono da principio le nazioni più ricettive e pronte ad accogliere il seducente invito di quelle sostanze venute da lontano e capaci di condurre chi voglia affidarvisi infinitamente più lontano.
Uno dei primi sperimentatori appartiene al gruppo dei poeti metafisici inglesi: si tratta di Samuel Taylor Coleridge (1772/1834). Pare che fino dal 1792 facesse uso regolare di laudano (oppio disciolto in alcool) e che l’intossicazione gli favorisse la comprensione della filosofia idealistica tedesca e la creazione di ardite metafore poetiche. Dopo qualche tempo il medico già gli somministrava venticinque gocce di laudano ogni quattro ore. Poi le gocce salirono a sessanta. Fra i primi occidentali ad interessarsi del pensiero indù e del Vedanta, l’orientalismo e l’oppio gli ispirarono la sua poesia più evocativa: Kubla Khan. Così ci narra Elémire Zolla: “Stava scorrendo in Purchas la descrizione d’un palazzo eretto da Kubla Khan a Xanadu, poi si assopì, per risvegliarsi semicosciente e buttarsi a comporre un duecento o trecento versi senza nessuna fatica… L’estasi inconscia ma attiva fu all’improvviso stroncata, qualcuno suonò alla porta e per un’ora gli parlò d’affari. Quando tornò al manoscritto scoprì che la vena era inaridita”. L’aneddoto è celebre e viene spesso citato a proposito degli apporti forniti alla creazione letteraria dall’esperienza onirica: sul tipo di sonno del tutto particolare del poeta si preferisce spesso tacere.
Se la grandezza poetica di Coleridge non fu certo il prodotto della droga, lo fu invece l’instabilità della sua salute fisica e psichica. Così prosegue Zolla: “Il laudano non gli bastava più, il sonno era diventato molto raro, gli incubi incombevano senza tregua, passò al ‘goccio nero’ di oppio, tanto più intenso del laudano, aggiunse hashisc, bhang e giusquiamo. Il risultato? …Angoscia senza fitte, vacua, tenebrosa e tetra, soffocante, indolente, inerte angoscia”.
Un altro inglese Thomas De Quincey (1785/1859) rese famosa la tossicomania nel suo classico Confessioni di un mangiatore d’oppio, uscito nel 1821. Orfano viene educato in un esclusivo collegio dove apprende alla perfezione greco e latino. Soffocato dall’eccessiva disciplina e dalla monotonia della vita nell’istituto, decide di fuggire a diciassette anni e si dà alla vita randagia per le campagne e poi nelle vie di Londra. Là conosce Ann, una giovanetta di sedici anni che l’indigenza costringe a vivere di prostituzione. Quando un giorno il futuro scrittore crolla svenuto per la fame sul marciapiede, la ragazza lo rianima con un bicchiere di porto comprato in un pub coi suoi ultimi spiccioli. L’idillio fra i due è però di breve durata: De Quincey viene rintracciato dai suoi tutori e, rimesso a nuovo, si iscrive ad Oxford. Aveva promesso ad Ann di tornare da lei dandole un appuntamento ad un cantone a loro familiare, ma – si giustifica – non la trovò più; c’è da credere che non si sia dato troppo da fare per riuscirci.
Un dolore reumatico lo induce a provare l’oppio come rimedio. Nasce un amore assai più costante e intenso di quello vissuto per la piccola Ann. Per otto anni De Quincey vive in paradiso: riesce a moderare il bisogno della sostanza e a contenere le dosi. Il tossico aggiunge solo leggerezza e profondità alla sua vita, ora assai comoda, senza compromettere alcuna facoltà. Ma ecco che un improvviso e persistente dolore allo stomaco lo induce a spezzare il fragile equilibrio dei dosaggi.
Un misterioso Malese, losco e inturbantato, si presenta alla porta del suo cottage di campagna e viene lasciato dormire sul pavimento per una notte. Al mattino, senza una parola, il Malese se ne va lasciando dell’oppio. De Quincey non resiste e sprofonda negli abusi. Le allucinazioni si susseguono, il confine fra sogno e realtà diviene quanto mai sfumato. Per anni lo scrittore indulge nei suoi piaceri proibiti e si abbandona al flusso inarrestabile delle fantasie.
Il Malese ricompare periodicamente, forse fosco fantasma, forse figura reale, come un incubo ricorrente ed ossessivo. Con lui l’Oriente, affascinante e minaccioso, l’India, la Cina, l’Egitto, ricorrono morbosi nei sogni e nelle visioni del geniale drogato. Talvolta la moglie o i figlioletti lo scuotono dalle sue fantasticherie ed egli li abbraccia piangendo. Una più vivida allucinazione lo conduce presso una tomba sconosciuta: seduta presso la lapide riconosce la giovane Ann che non risponde al suo saluto ma lo fissa in silenzio.
De Quincey riuscì in seguito a ridurre le dosi, ma la sua salute restò per sempre irrimediabilmente compromessa. Morì comunque in età più che matura: settantacinque anni.


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Edgar Allan Poe - Immagine tratta dal sito http://upload.wikimedia.org/

Non ci dilungheremo eccessivamente sulla figura di Edgar Allan Poe (1809/1849), troppo nota per aver bisogno di qualsiasi presentazione. Oltre agli abusi alcoolici, il grande genio statunitense, fece ricorso all’oppio fino dagli anni dell’Università: in alcuni fra i suoi racconti più riusciti - come Ligeia, La caduta della casa degli Usher, Berenice, William Wilson – sono evidenti gli effetti delle tipiche allucinazioni da oppiacei, l’acuirsi spasmodico delle capacità percettive sensoriali, il potenziamento delle facoltà analitiche e razionali, la sinestesia (cioè la confusione fra percezioni derivate da sensi diversi: il vedere suoni, l’ascoltare odori, ecc.), l’ossessione del doppio o quella claustrofobica della sepoltura in vita, ecc.
Nel 1848, in un clima che vede l’avvento della metapsichica e dello spiritismo e la diaspora mondiale dei medium americani – le sorelle Fox, Daniel Home, i fratelli Davemport – Poe, troppo razionalista per prendere sul serio spiriti e “rivelazioni magnetiche”, scrive Eureka, il suo poema cosmogonico e metafisico in prosa. L’Universo non è che un vortice succhiante – incubo ricorrente poesco – in cui il Creato riconverge vertiginosamente verso l’Unità in Dio. Lo scrittore è allo stremo, la morte della moglie-bambina, l’amatissima Virginia nel 1847, lo ha gettato nella prostrazione: si crede perseguitato; si traveste e cerca di alterare i suoi connotati per non farsi riconoscere; ricerca freneticamente amicizie femminili ed a tutte propone il matrimonio; infine tenta di togliersi la vita ingerendo un’intera bottiglia di laudano. Sopravvive per poco tempo: la sua ultima immagine, il famoso dagherrotipo che lo mostra pallido e scarmigliato, le occhiaie livide, la cravatta storta e male annodata sul collo, fu scattato il giorno dopo il tentato suicidio. Oltre alle alterazioni psichiche l’abuso di tossici gli provoca disturbi al cuore ed un attacco di paralisi facciale.
Nel 1849 improvvisamente, Edgar fa perdere le sue tracce mentre viaggia alla volta di New York. Viene ritrovato morente a Baltimora: durante le elezioni al Congresso ed alla Camera dello Stato, è caduto preda di una banda di mascalzoni in cerca di voti. Allora non esistevano schede elettorali, bastava prestare giuramento, e si facevano spesso ubriacare dei poveri diavoli per portarli a votare successivamente in tutti i seggi della città. Il poeta è una vittima sacrificale di quella democrazia che, da raffinato aristocrate sudista, ha sempre disprezzato.
Conoscenti lo recuperano e lo conducono all’ospedale in condizioni pietose: “chiacchierava e chiacchierava rivolgendosi a persone fantastiche e immaginarie, guardando i muri… Incominciò a chiamare un certo Reynolds, lo chiamò tutta la notte, fino alle tre del mattino di domenica quando spirò”. Reynolds era un esploratore polare ed un propugnatore della teoria della terra cava: a lui Poe si era ispirato per il suo Gordon Pym. In punto di morte lo sfortunato scrittore ritornava ai paesaggi polari, al suo maestro ideale - esploratore e metafisico - alla candida figura liminare, arcangelo e guardiano della soglia, che chiude il suo unico ed enigmatico romanzo.
Fra gli artisti anglofoni, oltre a quelli già citati, provarono l’oppio quasi tutti i romantici: Byron, Shelley, Keats, Dante Gabriel Rossetti, Dickens, Wilkie Collins. La cocaina provocò invece la dissociazione che avrebbe ispirato il caso Jekyll/Hyde a Robert Louis Stevenson ed il delirio raziocinante di Sherlock Holmes al medico, scrittore e spiritista Arthur Conan Doyle.
In Francia nel frattempo Theophile Gautier (1811/1872) provò l’ebbrezza dell’hashisc presso un medico islamizzato e descrisse gli effetti della droga in alcuni articoli. Di lì a poco si formò a Parigi un vero e proprio “club dei mangiatori di hashisc”: i maggiori romantici francesi, oltre a Gautier, da Charles Baudelaire a Victor Hugo, da Alfred de Musset a Honoré de Balzac, da Gerard de Nerval a Honorè Daumier, si dettero convegno in un albergo abbandonato, l’Hotel Pimodan sull’Ile Saint-Louis, per sperimentare il famigerato kief del Vecchio della Montagna.
Anche di Baudelaire (1821/1867) non c’è bisogno di parlare troppo: ammiratore di Poe, suo traduttore in francese ed artefice della fortuna in Europa dello scrittore americano, è anche l’autore di uno dei più grandi classici sulla droga, i paradisi artificiali, saggio in cui vengono scandagliati gli insondabili abissi spalancati dall’uso dell’alcool, dell’hashisc e dell’oppio. L’intenzione dell’opera vorrebbe essere quella di condannare l’uso della droga, ma in realtà la posizione baudelairiana è ambigua: il cantore dei fiori del male è un inguaribile dionisiaco ed un propagandista dell’ebbrezza. Già nei poemi in prosa de Lo spleen di Parigi aveva sostenuto: “Bisogna essere sempre ubriachi. E’ tutto qui; questo è il solo problema. Per non sentire l’orribile fardello del tempo che vi rompe le spalle e vi piega verso terra, bisogna che vi ubriachiate senza tregua. Ma di che ? Di vino, di poesia, di virtù, a piacer vostro. Ma ubriacatevi”.
Non stupisce che Cesare Lombroso abbia coniato per catalogare le complesse personalità di Poe e di Baudelaire, una contraddittoria definizione psichiatrica: “degenerati superiori”.


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Charles Baudelaire - Immagine tratta dal sito http://upload.wikimedia.org/

Meno scapigliato di Baudelaire ma ugualmente attratto dall’altrove assoluto offerto dall’esperienza psichedelica fu Gerard de Nerval (1808/1855), scrittore in cui sogno e realtà, estasi e ossessione si confondono. Racconti come Le figlie del fuoco, La mano stregata, Aurelia e poesie come Le chimere raggiungono gli estremi della fantasmagoria romantica. Lettore di Swedemborg e della filosofia idealistica tedesca, traduttore del Faust di Goethe, sostenitore della metempsicosi e adoratore della Divinità Femminile in tutte le sue forme (da qui l’identificazione fra sé stesso e Apuleio, il grande scrittore latino iniziato ai misteri di Iside), Nerval si interessa di alchimia ed esoterismo, professa dottrine pitagoriche, segue le tracce di Cagliostro, Mesmer, Saint-Germain e degli Illuminati, crede negli Elhoim - i Figli del Fuoco, maledetti e ridotti a vivere in un regno sotterraneo - e viaggia a lungo in Oriente.
Va e viene dalle cliniche psichiatriche sempre in bilico tra follia e lucidità. Nei giorni che precedettero la sua morte fu visto aggirarsi per Parigi, con diciotto gradi sotto zero, senza cappotto. Mangiava nelle bettole prossime ai mercati e dormiva negli alberghi popolari che accoglievano vagabondi e prostitute. La mattina del 26 gennaio 1855 fu trovato impiccato ad un’inferriata in una via sinistra, Rue de la Vielle Lanterne, che in altri tempi si era chiamata Rue de la Tuerie (cioè via del macello o del massacro). Gerard era appeso all’inferriata in modo che i piedi toccassero quasi il suolo – lo si sarebbe detto semplicemente appoggiato al muro – e con un cappello a cilindro in testa. Un corvo ammaestrato svolazzava nei paraggi ripetendo le uniche parole che sapeva: “Ho sete”. Il caso fu archiviato come suicidio, ma non è chiaro come il disgraziato avrebbe potuto impiccarsi serbando il cappello in testa. Oltre al corvo c’era solo una vecchia accanto al cadavere, che naturalmente non aveva visto nulla e che forse gli stava ripulendo le tasche. In una di quelle tasche, spiegazzata e piena di cancellature, si trovò l’ultima pagina del manoscritto della sua ultima opera, l’allucinato racconto Aurelia. L’ultimo appunto lasciato la sera precedente, prima di uscire per la sua ultima passeggiata, ad una parente che lo ospitava diceva: “Non aspettatemi, la notte sarà nera e bianca”.
Un altro scrittore francese dedito alle droghe fu Guy de Maupassant (1850/1893) che scrisse un memorabile saggio sull’etere e che, partito come rigoroso realista legato al Naturalismo francese, finì, poco prima di impazzire, raccontando de L’Horlà, una terrorizzante creatura invisibile che ossessiona il narratore.
Tra i Simbolisti e i Decadenti l’uso di sostanze psicoattive diventa un obbligo e una moda: tutti i maggiori artisti seguono il precetto di Arthur Rimbaud (1854/1891) che aveva teorizzato nella sua Lettera del Veggente “il Poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato disordine di tutti i sensi”, e tutti vogliono attenersi al modello esistenziale e artistico che Paul Verlaine (1844/1896) ha delineato parlando del poeta maledetto.
Nel Novecento l’esplorazione dei territori psichici dischiusi dagli stupefacenti si diffonde soprattutto nel corso della Prima Guerra Mondiale e del primo dopoguerra. Saranno soprattutto i movimenti artistici d’avanguardia - Futurismo, Espressionismo, Dadaismo, Surrealismo, ecc. - i maggiori sostenitori dell’esperienza psichedelica. Le pionieristiche attività psiconautiche di queste élite intellettuali verranno replicate in seguito, con impeto massiccio e disordinato, dai beat e dagli hippies negli anni sessanta e settanta.
Il lavacro delle acque corrosive è determinante comunque anche per intellettuali legati ad altri ambiti culturali come ad esempio lo scrittore tedesco Ernst Jünger (1895/1998), uno dei maggiori esponenti della cosiddetta Rivoluzione Conservatrice. Egli, nel suo romanzo Heliopolis, inventerà un personaggio abbastanza caratteristico, Antonio Peri: “uomo totalmente sedentario... che esplora gli arcipelaghi oltre gli oceani navigabili, servendosi di droghe come veicolo”. Anche a Jünger come al suo personaggio “le droghe... servivano come chiavi per entrare dentro le cavità e le grotte di questo mondo”.
L’avvicinamento è il tema più ricorrente in Jünger, avvicinamento al muro del tempo, a quella linea che va scavalcata ed oltre la quale “il niente si ritirerà in se stesso, abbandonando sulla riva i tesori che le sue onde avevano sommerso”. L’esternazione più sistematica di questa tensione è contenuta in un libro del 1970: Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza. “Shakespeare parla una volta, nel Sogno di una notte di mezza estate, del sonno ‘comune’ che egli distingue da uno stato di più intensa fascinazione, uno stato magico. L’uno porta i sogni, l’altro le visioni e le profezie. Similmente, anche l’ebbrezza provocata dalla droga produce effetti particolari, difficili da definire. Chi ricerca quell’ebbrezza è animato da intenzioni particolari. E chi usa la parola droga in questo senso presuppone un’intesa con l’ascoltatore o con il lettore, intesa che non consente una definizione more geometrico. Egli penetra con loro in una zona di confine”.
In una lettera ad Albert Hofmann, il chimico svizzero che sintetizzò la dietilamide dell’acido lisergico, il potente ed arcinoto LSD, Jünger precisa: “Le incrinature non sono solamente punti di esplorazione, ma anche di distruzione. Paragonati agli effetti delle radiazioni, quelli delle sostanze magiche sono più genuini e molto meno violenti. Ci conducono in maniera esemplare oltre l’uomo. In un certo senso Gurdjieff lo ha già intuito. Il vino ha già cambiato molto, ha portato con sé nuove divinità e una nuova umanità. Ma rispetto alle nuove sostanze è come la fisica classica rispetto alla fisica moderna. Queste cose dovrebbero essere sperimentate solo in ambienti circoscritti. Non sono d’accordo con le idee di Huxley, secondo cui le masse dovrebbero avere l’opportunità di conoscere la dimensione trascendentale”.
Aldous Huxley (1894/1963) aveva teorizzato la crescita spirituale dell’umanità per mezzo degli allucinogeni - l’ineffabile “medicina moksha”, fondamento del suo classico saggio sull’argomento Le porte della percezione, del seguito Paradiso e Inferno o del suo ultimo romanzo L’Isola – ma si sarebbe decisamente ricreduto se avesse potuto constatare gli effetti della diffusione massificata degli psichedelici nella seconda metà degli anni sessanta. Dopo la cosiddetta “summer of love” del 1967, dopo l’ingresso trionfale degli stati alterati di coscienza nell’immaginario giovanile e nel pubblico mercato, dopo le speculazioni astutamente orchestrate da personaggi fortemente ambigui e ciarlataneschi come Timothy Leary e gran parte degli esponenti della Beat Generation, dopo la rapida combustione di quell’effimero carnevale, le “brecce nel muro” care ad Huxley sono diventate solo un prolungamento del muro stesso. Il mondo della tecnica e del consumo è incapace di trascendere un uso impropriamente ludico e ‘pirotecnico’ di sostanze selezionate in funzione di un’altra sfera: un mondo che ha ucciso il rito e l’otium resta facile preda del tossico.
Sempre più emblematica per antitesi è ancora la figura jungeriana di Antonio Peri che “non viaggiava per evadere nell’ignoto, ma come un geografo” e che, una volta mortalmente ustionato, “tra le sofferenze rifiuta la morfina. Ciò che lo aveva spinto a muoversi non era il piacere e neanche l’avventura. La curiosità certamente, ma una curiosità che era andata sublimandosi, finché egli non giunse davanti alla porta giusta. Di fronte ad essa non c’è bisogno di chiavi; si apre da sola”. Huxley, dal canto suo, preferì un’altra soluzione; in punto di morte richiese un’ultima iniezione alla moglie: “LSD - provalo intramuscolare - 100 mmg”.
La relazione sacrale, magica fra il qui e ora e l’altrove, fra l’attuale e - termine così caro a Jünger - das Eintretende, “ciò che sopraggiunge”, che l’ebbrezza induce in gradi diversi a seconda della sostanza e della dose ma inequivocabilmente, è colta con precisione dall’autore, in grande sintonia rispetto ad altri psiconauti del Novecento che sembrano tutti perfettamente concordi su questo punto. “L’evocazione era compresa nel medioevo nel numero dei crimini capitali. Le apparizioni erano più degne di fede di quanto non lo siano oggi. Per Faust... la preoccupazione è solo che l’evocazione riesca. Scrupoli religiosi o morali non lo tormentano più. In modo del tutto analogo, nel nostro tempo l’uomo spirituale e amico delle muse si chiede che cosa possa offrire la droga. In fondo, per lui non può trattarsi dell’incremento motorio delle sue forze, né della felicità o dell’assenza di dolore. Non si tratta nemmeno di un modo per acuire ed affinare le capacità percettive, quanto piuttosto, come nel gabinetto di Faust, di ‘qualcosa che sopraggiunge’.... Un tempo non si avevano dubbi sul fatto che nell’evocazione, ottenuta grazie all’ascesi o grazie ad altri mezzi, sopraggiungesse qualcosa di estraneo... Decidere se ciò che sopraggiunge venga dall’esterno o dall’interno, se abbia quindi origine nell’universo o nel profondo di se stessi, è però una questione soltanto formale”.
Si confronti il passo con il seguente di Henri Michaux (1899/1984) - scrittore legato all’ambiente dei Surrealisti e grande sperimentatore di allucinogeni - : “All’indiano bastava pronunciare il nome del dio che adorava, perchè, comandato dalla parola, questi gli apparisse. Quello che si impara dalla demonologia sembra ormai rendersi chiaro, e cioè che il nome è tutto. Verificato qui. Il demonio, una volta chiamato, apparirà, anche se non esiste, a chi ha commesso l’imprudenza o l’audacia di pronunciare il nome suo, trovandosi in stato secondo (sia che la trance venga dall’esaltazione per via di fede, o attraverso la danza, e che, più semplicemente, come accadeva nel mondo intero e secondo il rituale, si sia prima masticato qualche foglia di datura o le estremità fiorite della canapa indiana). Quanto all’occidentale del giorno d’oggi, che da tanto tempo non crede negli dei, e che sarebbe incapace d’immaginare una forma in cui essi potessero apparirgli, ciò che la mente coglie, il solo dio che ancora percepisca e che sarebbe vano adorare, è l’infinita relatività... In mancanza di dei: Pullulazione e Tempo”.
Ma lo stesso Michaux, in un’esperienza successiva, testimonia: “HO VISTO LE MIGLIAIA DI DEI. Ho ricevuto il dono stupefacente. A me senza fede (senza sapere la fede che potevo forse avere), essi sono apparsi. Erano lì, presenti, più presenti di qualsiasi cosa od essere abbia io mai guardato. Era impossibile, lo sapevo bene, eppure. Eppure essi erano lì, schierati a centinaia, gli uni appresso agli altri (ma migliaia d’altri appena percettibili seguivano, ben più che migliaia, un’infinità). Erano lì. quelle persone calme, nobili, tenute sospese nell’aria da una levitazione che pareva naturale, leggerissimamente mobili o piuttosto animati, ma sul posto. Loro, le persone divine, e io, soli, al cospetto. Immerso in una specie di riconoscenza, appartenevo loro. Ma insomma, qualcuno potrà dirmi, che credevo? Rispondo: Che bisogno avevo di credere, VISTO CHE ERANO LI’?”.
Anche lo spirito dionisiaco e sregolato di Antonin Artaud (1896/1948) - altro scrittore, regista e attore surrealista - sembra confermare un’impostazione analoga. Artaud lascia improvvisamente Parigi per i deserti del Messico settentrionale, visita gli indiani Tarahumara dove sperimenta il peyote, un cactus che contiene la psilocibina, un potente alcaloide. Al ritorno dall’esperienza Artaud, già appassionato cultore di tarocchi, di magia e di esoterismo, ha una crisi mistica e dopo un misterioso viaggio in Irlanda impazzisce; verrà rinchiuso per quasi dieci anni in manicomio. Anch’egli scrive: “Col Peyotl succede come con tutto ciò che è umano. E’ un principio magnetico e alchemico meraviglioso a patto di saperlo prendere, cioè nelle dosi volute e secondo la gradazione voluta. E soprattutto di non prenderne a contrattempo e a sproposito. Se, dopo aver preso il Peyotl, gli Indi diventano come pazzi, vuol dire che ne abusano fino a raggiungere quel punto d’ebbrezza disordinata in cui l’anima non è più sottomessa a niente...Superare il necessario è SACCHEGGIARE l’azione. Dio, dicono le tradizioni sacerdotali tarahumara, scompare immediatamente quando se ne abusa e in sua vece viene lo Spirito Maligno”.
A questi stessi percorsi potremmo ricondurre anche gli esperimenti di René Daumal, seguace di Gurdjieff ed autore di due grandi romanzi iniziatici: La gran bevuta e Il Monte Analogo. Fondatore del gruppo esoterico e letterario del Grand Jeu, che proclamava una rivoluzione/iniziazione, farà numerose esperienze con gli stati di “mort-dans-la-vie” sotto l’influenza del tetracloruro di carbonio descritti in L’Asphixie ou l’expérience de l’absurde e in Une expérience fondamentale; inoltre abuserà di alcool e di oppiacei finché l’influsso della scuola di Gurdjieff non lo ricondurrà ad un uso più continente delle proprie energie.
La tossicomania si rivela fra gli intellettuali del Novecento, sintomo di un disagio, proditoria riappropriazione di un orizzonte negato, tentativo di cura di una malattia più grave: come scrisse Jean Cocteau (1889/1963) nel minuzioso diario della sua faticosa disintossicazione, Oppio, “Non sono un disintossicato fiero del suo sforzo. Ho vergogna di essere escluso da quel mondo in cui la salute rassomiglia all’ignobile film del ministro che inaugura la statua”.
Se il poeta espressionista tedesco Gottfried Benn (1888/1956) in Provozierties Leben giungeva ad esclamare: “Dio è una sostanza, una droga!”, il filosofo Walter Benjamin (1892/1940), nei suoi appunti raccolti e pubblicati dopo la morte sotto il titolo di Sull’hascish, accennava, meno iperbolicamente, ad un “ambiguo ammiccare del nirvana” ed alla convinzione di venire accolto “nella comunità degli iniziati, le cui testimonianze, dai Paradisi artificiali di Baudelaire fino al Lupo della steppa di Hesse, mi erano tutte note... Ho la sensazione di capire molto meglio Poe... Meno uomo, più Daimon e Pathos in questa ebbrezza...”. Il senso di tali destini e la direzione dell’avvicinamento si mostrano, tra ombre e luci, nell’identica ricerca di un’apertura, di una breccia.
Come scrisse Julius Evola – altro personaggio che con tutte le sue ambiguità e sgradevolezze ha teorizzato e praticato l’uso delle acque corrosive - in un suo saggio per il magico “Gruppo di Ur”: “Il veleno, il tossico… fulmina, uccide, senza ritmo: con atto diretto. Stacca. Taglia. E’ il morso della vipera”.


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Ernst Jünger - Immagine tratta dal sito http://www.planet-wissen.de/

Ancora Jünger ci racconta un viaggio psichico che sconfina nel paranormale. Sono in tre, lo scrittore, un orientalista ed il chimico Albert Hofmann, usano funghi magici contenenti mescalina: “Agli altri non era andata meglio. ‘Che bello essere di nuovo tra uomini’. Così Albert Hofmann, che aveva attraversato infinite città dell’antico Messico… alla ricerca labirintica dell’uomo attraverso un mondo di geometrica bellezza… L’orientalista invece era stato a Samarcanda… Lì era rimasto a lungo davanti a una delle piramidi di teschi costruite per lo spavento dei popoli, e aveva trovato nella massa di teste mozzate anche la propria. Era incrostata di pietre preziose. Il farmacologo rimase come fulminato, quando l’udì: ‘Adesso so perché stavate seduto senza testa in poltrona – mi ero meravigliato; non posso essermi sbagliato’. Mi domando se non dovrei evitare di parlare di questo dettaglio, dato che sfiora i requisiti delle storie di fantasmi”.
Altri resoconti di esperienze psichedeliche novecentesche infine furono quello di Piotr Demianovic Ouspensky, il maggiore discepolo di Gurdjieff, in un capitolo, intitolato significativamente Metafisica sperimentale, del suo libro Un nuovo modello dell’universo; il racconto Morfina di Bulgakov; il Romanzo con cocaina di Ageev (forse pseudonimo sotto il quale si nascondeva Vladimir Nabokov, l’autore di Lolita); il classico della beat generation Il pasto nudo di William Burroughs (romanzo da cui David Cronemberg ha tratto l’omonimo film) e la corrispondenza di Burroughs con il poeta beat Allen Ginsberg sullo yage, allucinogeno contenuto in una liana amazzonica capace di produrre fenomeni telepatici; gli scritti fin troppo noti di Timothy Leary o di Terence Mckenna; il discutibile saggio di Gordon Wasson sull’identità fra Amanita muscaria e soma vedico e quello ugualmente discutibile di Albert Hofmann sul kykeon, la misteriosa bevanda dei Misteri Eleusini; i libri di Carlos Castaneda e di Michael Harner, il cui percorso parallelo dall’antropologia seria al ridicolo ma remunerativo new age è assai emblematico.

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