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Visualizza Versione Completa : Douce france



la_pergola2000
22-04-02, 14:19
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


su questo argomento vedi anche:
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=7219
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Cari amici
mai canzone di Trenet è stata più calzante per i nostri cugini:

Que reste-t-il de nous amour?

I telegiornali Rai sono sotto choc dei risultati in Francia, servizi freddini, e facce rabbuiate.
Non risorgerà una nuova alba in Francia, aspettiamo le elezioni per il parlamento a giugno.

Splendida vittoria per il partito liberale in Sassonia.
IL quale governerà con la cdu, mentre nel lontano passato aveva fatto la stessa cosa con i socialisti.
E' la sorte dei parti di centro moderati.

kid
22-04-02, 17:53
Caro nuvola rossa, mi permetto di anticipare al Forum la nota della segreteria del Pri sulle elezioni francesi che domani sarà sul sito del partito.

La segreteria politica del Pri ha diramato la seguente nota:


“Il successo di Le Pen nelle elezioni presidenziali francesi, verrà ridimensionato dopo il ballottaggio, a dimostrazione che l’assetto democratico di quel Paese è ben saldo, ma il voto di ieri dimostra chiaramente che il nostro continente reagisce con durezza a fenomeni immigratori incontrollati, e che i ritardi e le incertezze dell’Europa politica provocano una ricaduta di tipo nazionalista.
Il risultato del voto di ieri conferma il declino del socialismo europeo. Se le forze socialiste democratiche non sanno rinnovarsi profondamente ed interpretare le esigenze di cambiamento che provengono dai loro Paesi, a Parigi, come a Berlino, come a Roma, esse sono destinate alla sconfitta.
Nella sinistra europea soltanto il labour britannico di Blair si è dimostrato finora in grado di coniugare realisticamente diritti e riforme, tracciando un solco con gli altri partiti socialisti, nei quali la confusione invece regna assoluta.
Jospin che ha mantenuto il suo partito su posizioni tradizionali dalle 35 ore in avanti, è stato vittima di questa continuità.
Dalla Francia arriva una lezione pesante sulla quale la sinistra italiana farebbe bene a riflettere seriamente”.

hussita
22-04-02, 18:26
Originally posted by calvin
Caro nuvola rossa, mi permetto di anticipare al Forum la nota della segreteria del Pri sulle elezioni francesi che domani sarà sul sito del partito.

La segreteria politica del Pri ha diramato la seguente nota:


“Il successo di Le Pen nelle elezioni presidenziali francesi, verrà ridimensionato dopo il ballottaggio, a dimostrazione che l’assetto democratico di quel Paese è ben saldo, ma il voto di ieri dimostra chiaramente che il nostro continente reagisce con durezza a fenomeni immigratori incontrollati, e che i ritardi e le incertezze dell’Europa politica provocano una ricaduta di tipo nazionalista.
Il risultato del voto di ieri conferma il declino del socialismo europeo. Se le forze socialiste democratiche non sanno rinnovarsi profondamente ed interpretare le esigenze di cambiamento che provengono dai loro Paesi, a Parigi, come a Berlino, come a Roma, esse sono destinate alla sconfitta.
Nella sinistra europea soltanto il labour britannico di Blair si è dimostrato finora in grado di coniugare realisticamente diritti e riforme, tracciando un solco con gli altri partiti socialisti, nei quali la confusione invece regna assoluta.
Jospin che ha mantenuto il suo partito su posizioni tradizionali dalle 35 ore in avanti, è stato vittima di questa continuità.
Dalla Francia arriva una lezione pesante sulla quale la sinistra italiana farebbe bene a riflettere seriamente”.

capisco da parte vostra il fioretto anti sinistra europea, ma nemmeno una parola IN PIU sul pericolo le PEN da parte del partito laico-europeista-repubblicano???

ieri fabius( scialbo , scialbissimo ma tant'é) in televisione ha detto chiaramente c'é da scegliere fra la REPUBBLICA ed... un pericolo per la democrazia
saluti

echiesa
22-04-02, 20:57
Bhe, si, in effetti Hussita ha ragione: almeno due righette contro Le Pen ed i suoi potevamo mettercela, non costava molto
saluti
echiesa

la_pergola2000
22-04-02, 22:02
Que reste-t-il - du socialisme?

Credo che nei nostri interventi, come mi sembra negli interventi di Calvin si capisca chiaramente dove stanno i repubblicani e dove sta il PRI.
Non ho visto una dichiarazione a favore di Le Pen, anzi tutt'altro, ho visto un monito alla sinistra nostrana (DS), la quale con le sue EGEMONIE vuole distruggere la sinistra democratica.
Diversamente dalla Francia in Italia c'è un' altra sinistra ex PCi, che è notevolmente in ritardo sul processo di evoluzione e di riforme che dovrebbe essere proprio di una sinistra riformista, come è il PRI.
Tantopiù che questa sinistra italiana nel suo processo di evoluzione ha provocato una ulteriore scissione a sinistra con i girotondi e il palavobis e l'art. 18, RIVERSANDO SUL POPOLO ITALIANO TUTTA LA CRISI PROFONDA CHE STA ATTRAVERSANDO, E QUESTO NON è BELLO ED è ANTIPOLITICO.
Quindi non critica ai socialisti francesi, ma monito, non critica ai DS italiani, ma monito.
Perciò la critica alla sinistra italiana noi la possiamo fare benissimo dall'interno della sinistra democratica stessa, senza remore e senza infingimenti.
Cara Hussita accetto si le tue critiche sul repubblicanesimo puro, anche se non essendo motivato sembra solo una provocazione.
Per quanto riguarda l'alleanza elettorale con la Casa della Libertà noi abbiamo fatto un patto di legislatura e ti pare poco farlo con il più grosso partito popolare europeo, con An che sfila nella giornata pro Israele, con un CDU che si professa continuamente continuatore della Democrazia Cristiana, partito con cui il PRI ha fatto un percorso democratico cinquantennale, sollevando le sorti dell'Italia dalle tristi condizioni in cui l'avevano portata la guerra e il fascismo, e con cui è stata fatta una modernizzazione del paese, unica nella storia dell'Italia.
Cara Hussita anche i liberali in Germania a cui siamo associati a livello europeo, come anche la Sbarbati e Rutelli essendo in un partito di centro moderato, una volta stanno con la Cdu ed una volta stanno con la SPD e nessuno trova da ridire. ti ricordi Gensher? Perchè proprio in Italia nascono tante critiche sulla posizione del PRI, dobbiamo tentare qualche spiegazione? NO, siamo buoni.
Non c'è niente di antidemocratico ragionare in questo modo in un
sistema elettorale e politico come questo, sia che sia bipartitico o bipolare.
Tutte le ricerche politiche da Duverger, Pizzorno, Spreafico, La Palombara, venuto di recente in un Convegno dell'Istituto Ugo La Malfa, parlano di queste condizioni, d'altra parte non si capisce perchè una volta che una parte politica vince, la parte perdente non accetti la sconfitta.
Jospin ha dato una rara lezione di stile.
Anche in Francia, i cosiddetti comunisti, non accettano che Le Pen vada al ballottaggio, anche se sicuramente perderà, perchè la maggioranza dei francesi, compresi i gollisti non è xenofoba, nè nazionalista.
Quindi Hussita stiamo tranquilli, aspettiamo i risultati, facciamo il tifo per Chirac, che possa vincere al ballottaggio, con i voti anche di parte dei socialisti, come ha dichiarato Fabius, ( leader moderato) e dei repubblicani francesi, dei giscardiani ecc.
La destra estremista e razzista non passerà.
Il problema potrebbe essere grave se invece dovesse vincere Le Pen, , una vittoria della destra in Francia farebbe precipitare nello sconforto l'intera Europa, la Francia è per fatti e per definizione la patria della democrazia moderna, non oso pensare ad una situazione del genere.
Comunque continuiamo ad amare la Francia anche se qualche volta sono intemperanti con noi, ma non dimentichiamo che nella seconda guerra mondiale abbiamo attaccato proditoriamente una nazione cugina che era già in ginocchio, nel dopoguerra i francesi anche hanno preteso alcuni territori, però hanno anche accolto centinaia di migliaia di nostri lavoratori, per cui ci hanno amato lo stesso.
Ciao Hussita e rifletti prima di scrivere, noi siamo sempre repubblicani, come spero di te.

Jan Hus
23-04-02, 00:02
Originally posted by pergola2000@yahoo.it
Cara Hussita anche i liberali in Germania a cui siamo associati a livello europeo, come anche la Sbarbati e Rutelli essendo in un partito di centro moderato, una volta stanno con la Cdu ed una volta stanno con la SPD e nessuno trova da ridire. ti ricordi Gensher?

Veramente sull'opportunismo dell'FDP in Germania trovano da ridire, eccome.

Molti dei tedeschi che ho conosciuto avevano una pessima opinione dell'FDP proprio per questo motivo.

kid
23-04-02, 12:46
desidero dire agli amici che la segreteria del Pri ha messo l'accento sulla sinistra perchè quello è il problema, in quanto il succeso di Le Pen è ingigantito dal crollo del Psf. Le Pen ha sempre avuto quell'area di consenso, anzi ha navigato anche sul venti per cento dei suffragi, e anche se guadagnasse qualcosa nel ballottaggio le previsioni che danno Chirac sopra il 72% dei suffragi, ridimensionano l'affermazione della destra populista francese. Tra l'altro sono d'accordo con Erasmus, e ne sono lieto, quando sostiene che i socialisti rivinceranno le legislative, nonostante si siano complicate le cose. Insomma c'è lo choc, ma non c'è il dramma della caduta della Francia e la segreteria ha cercato un'analisi razionale, quella che la sinistra italiana, mi pare dalle prime reazioni, già incapace di fare. L'articolo di Tarchi che mi pare eccellente, non a caso, è di un esponente ed un esperto, dell'estrema destra.

kid
23-04-02, 12:50
Allego questa dichiarazione di La Malfa che mi pare indicativa:


Il presidente del Pri, Giorgio La Malfa ha rilasciato la seguente dichiarazione:


“Mi sono domandato ieri, dopo il risultato delle elezioni presidenziali francesi, se la sinistra italiana sarebbe stata in grado di riflettere sulle ragioni del crollo della candidatura Jospin.
Le due risposte che sono state avanzate oggi, dall’onorevole Fassino e dall’onorevole Amato, mostrano, a mio avviso che questa riflessione nasce nel modo più circospetto e reticente.
E’ troppo facile, come fa l’onorevole Fassino, attribuire la sconfitta alle divisioni della sinistra francese, facendo di un effetto una causa. Le divisioni politiche e programmatiche nella sinistra francese, come in quella italiana preesistono al fallimento e ne sono una causa. Il non averle né sapute, né forse volute superare, ha reso il progetto politico del tutto evanescente. La corsa che c’è adesso a fare un accordo con Bertinotti è una conferma di questa situazione.
Ancora più sconfortante appare il giudizio liquidatorio che Giuliano Amato, a differenza del verde francese Cohn Bendit, dà sul laburista Tony Blair, l’unico leader della sinistra che si è dimostrato vincente in questi anni. La forza di Blair non nasce dalla debolezza del partito conservatore, ma dall’aver saputo presentare un progetto che utilizzava alcuni aspetti positivi dell’esperienza della signora Thatcher e non la demonizzava. Esattamente quello che la sinistra italiana non ha fatto e non intende fare a giudicare dal tono esasperato della sua opposizione e dal continuo allarme per i pericoli che correrebbe la libertà in Italia”.

lucifero
23-04-02, 14:12
Primo turno:
1. Jacques Chirac 19,67%
2. Jean-Marie Le Pen, 17,02%
3. Lionel Jospin, 16,07%.


Capisco che facciamo ancora la coscienza critica della sinistra, perché ci sentiamo di sinistra,
ma al di là del risultato di non avere un socialista al ballottaggio,
guardando i numeri,
mi sembra forse più clamoroso che un presidente uscente non raggiunga il 20% !!!

Che ne dite?

Crisi del moderatismo?

la_pergola2000
23-04-02, 14:21
Cari amici
fin dal primo intervento a caldo sui risultati elettorali per le presidenziali in Francia, si vuole dimostrare che non è la sinistra a perdere ma che sono mille circostanze e concomitanze che hanno fatto vincere il centrodestra.
Come adesso si vuole insinuare che Chirac vincerà perchè tutti concorrerrano ad aiutarlo, anche se è giusto, non bisogna sminuire Chirac per questi fatti.
Ed anche la semivittoria di Le Pen, è la sconfitta questa si del socialisti e dei comunisti al potere, intrisi di estremismo e fermi alle battaglie del dopoguerra.
Non hanno fatto nessun sforzo per adegurarsi, vivendo nella rendita ottocentesca della politica.
In Italia la situazione è ancora più grave, hanno finito per far credere agli italiani che è la sinistra socialista quella che può governare il paese, mettendo in ombra la sinistra democratica repubblicana che pure aveva ed ha esperienze di governo ed esperimenti politici come il centrosinistra, uomini che hanno elaborato teorie del cambiamento, come Ugo La Malfa, non basta gridare la cosa due, e poi fare il contrario.
Ancora, il cs farà degli errori alleandosi con rifondazione alle amministrative, avrà qualche successo, ma sarà foriero di errori per le future elezioni politiche, perchè Bertinotti, anche se ha buttato Stalin in soffitta, presenterà il conto, e come l'altra volta sarà la vera spina nel fianco del cs.
Il cs deve ancora accettare la sconfitta dell'anno scorso, nessuno parla dello stile Jospin, e questo dimostra che in Italia nessuno si dimetterà anzi non si dimetterà perchè la Casa della Libertà ha vinto, ad ognuno il suo stile.
Ho fatto un riferimento anche in Francia, il 3,5% dei comunisti non accettano la sconfitta e fanno dimostrazioni con danni e saccheggi, facendo impaurire ancora di più l'elettorato francese che deve andare alle elezioni il 5 maggio (sic), e sicuramente l'elettorato moderato avrà una spinta maggiore e una scusa per votare Le Pen, se questo è l'elettorato della signora Tasca, vorrei capire che tipi di politici hanno in Francia.
Non vorremmo che la Francia ci desse una lezione di negativismo politico, la nostra Francia questo non ce lo deve fare.
La divisione delle cosiddette sinistre francesi, hanno voluto contarsi al primo turno , e non alle primarie come dice il tg3, fa cendo emergere Le Pen, se fossero state unite tutto questo non sarebbe successo, ed oggi non staremmo qui in trepidazione.
La sinistra tout court ci ha finora deluso, perchè non riesce più ad elaborare politicamente nessuna strategia, la differenziazione esasperata fra le sinistre socialiste e "marxiste" fa cadere ogni ideale e ogni spinta, ed ancora fatto più grave suscita nell'elettorato i sentimenti più biechi e xenofobi, di cui l'interà umanità si era oramai dimenticata.
Il problema in se non è l'emigrazione, anche se qualcuno getta benzina sul fuoco, il problema è più profondo, speriamo che non si vada all'esasperazione, il fascismo in Italia è nato sulla confusione e sulla fine dello stato liberale e sulla paura del marxismo leninismo, speriamo che oggi non succeda in Europa e nel mondo.
Vi saluto amici e speriamo che il 5 maggio non sia una data funesta e negativa per le aspirazioni dei popoli, come è stata nel passato, ma sia una data di nuovo slancio per la democrazia.

la_pergola2000
23-04-02, 14:33
Cara hussita
per chi votavano quei tedeschi con cui hai parlato?
Erano dei politici o dei semplici elettori?
Capivano che cosa voleva dire opportunismo?
Capivano che cosa voleva dire governabilità?
Quante domande, scusami.
Ciao.
Leggi sopra, cosa ne pensi?

la_pergola2000
23-04-02, 14:50
Caro Lucifero
non è stato dolce per me il risveglio, come per sgarbi, urbani e pera.
Il problema è molto più grave e l'ho scritto sopra.
Fare la coscienza critica, non è neanche una posizione che mi piace, però in questi ultimi anni, non so se lo sai, la cosiddetta sinistra cosista ci ha più volte sbattuto la porta in faccia perchè loro erano i veri eredi del centrosinistra (sic) e loro potevano portare avanti le idee di Ugo La Malfa ecc. ecc. anche se non era tutto esplicito questo , si leggeva in mille discorsi ed in mille riferimenti che facevano tutti gli interventi dei rappresentanti degli ex pci, ora ds. tanto è vero che si consolavano dicendo che molti repubblciani erano nelle loro file, per cui non occcorreva che il partito repubblicano si desse tanto da fare, perchè loro rappresentavano il cs e la politica dei redditi, nonchè le privatizzazzioni in italia.
Questo programma gli è scoppiato nelle mani, abbiamo fatto a lite fra di noi, ci siamo scontrati per aver questi riusltati.
Tu Lucifero sei un democratico, non so se i Repubblicani di romagna discutono di queste cose fra di loro, certo non con noi, a meno che Widmer li rappresenti sul web, allora va bene.
Ma se non sentono la necessità di discutere, cosa faranno?
per fare la coscienza critica bisogna anche discutere, se non si discute, si ha un silenzio assenso inquietante.
Tu discutendo fai vedere che sei un democratico e che hai a cuore le sorti del PRI o perlomeno dei repubblicani e del repubblicanesimo, e non credo che hai posti di responsabilità amministrativa.
Vogliamo sfidare insieme i repubblicani che non sono sul web, e non discutono ed hanno repsonsabilità amministrativa con i ds? Perchè responsabilità amministrativa non vuol dire responsabilità politica, ognuno deve esser libero di dire la propria opinione all'alleato, altrimenti che politico è? Lo sappiamo tutti che cosa è, un dipendente.
Questo è quello che mi fa rabbia essere dipendenti, non ci manca la elaborazione politica, tiriamola fuori.
Aproposito, le elezioni legislative a giugno andranno meglio in fraancia, non ci sarà Jopin, prchè ha voluto dare una lezione di stile ai suoi e ai socialisti europei.
Ciao Lucifero e continua a battagliare.

hussita
23-04-02, 19:12
Originally posted by Jan Hus


Veramente sull'opportunismo dell'FDP in Germania trovano da ridire, eccome.

Molti dei tedeschi che ho conosciuto avevano una pessima opinione dell'FDP proprio per questo motivo.
confermo ( dai tedeschi che conosco)
io ho parlato solo con francesi , pure gollisti
sono schifati


x la pergola: " critiche al repubblicanesimo puro" in che senso? non ho capito

kid
23-04-02, 19:35
Sinceramente, caro Lucifero, il voto francese non mi sembra presentare tracce di una crisi del moderatismo. Il moderato è Chirac e vincerà le elezioni. Se le perdesse allora potremmo discutere di questo fenomeno, davvero improbabile come crediamo tutti. Si tratta dunque solo ed esclusivamente di una crisi della sinistra rimasta in mezzo al guado fra tradizionalismo ed innovazione, nel caso di Jospin, poi, più tradizionalismo che altro. Ma certo alcune sue goffe uscite in campagna elettorale, che so, “sono socialista, ma il mio programma non lo è”, non lo hanno aiutato. Teniamo presente che accanto al disastro francese c’è un disastro meno evidente, ma altrettanto emblematico della Spd in Sassonia e pure Schroeder aveva persino rotto con Lafontaine. L’Italia poi ha già pagato no? Che vi devo dire l’unico che ha capito qualcosa là dentro e Blair, che non a caso alcuni ds vorrebbero espellere dal Pse….
Blair il quale ha saputo gestire l’eredità della Thatcher invece di demonizzare l’avversario. A proposito oggi Le Monde guardando a Berlusconi scrive che poi non è tanto male. Pensate se Berlusconi non avesse messo il cappello su Fini e Bossi e domani l’onorevole D’Alema fosse stato costretto a chiedere il voto per Berlusca contro il fascista Fini. E ricordatevi che Le Pen ha fatto la resistenza contro i tedeschi e i francesi di Vichy mi sa che si trovavano più dietro a Mitterand che a lui. Tornando a Blair, Giuliano Amato oggi dice che egli sfrutta una rendita di posizione, e cioè la crisi infinita del partito conservatore. Ma guardate che è stato Blair a mettere in crisi i conservatori portandogli via tutti i temi su cui si caratterizzavano e interpretandone al meglio la loro eredità. Blair è l’unica sinistra che ha dei meriti, è la sinistra che vorrei fossimo noi repubblicani. Poi vi è un altro elemento da considerare: l’antieuropeismo e lo sciovinismo di ritorno che Le Pen ha saputo sfruttare bene. Il progetto europeo nella sua confusione e nella sua impotenza spaventa, non incoraggia, e fomenta facilmente resistenze con esiti inquietanti.
Guardacaso il vincente Blair è ben separato dal continente, in tutti i sensi.

Jan Hus
24-04-02, 01:12
Ti confondi di nuovo, la pergola. ;)

Sono io, non hussita! :)

Allora:


Originally posted by pergola2000@yahoo.it
Cara hussita
per chi votavano quei tedeschi con cui hai parlato?

Votavano SPD o CSU.

Evidentemente, non votavano FDP.

Non a caso.


Originally posted by pergola2000@yahoo.it
Erano dei politici o dei semplici elettori?

Semplici elettori.


Originally posted by pergola2000@yahoo.it
Capivano che cosa voleva dire opportunismo?

Credo proprio di sì.


Originally posted by pergola2000@yahoo.it
Capivano che cosa voleva dire governabilità?

Credo proprio di sì.

Tanto è vero che nessuno accusa la CDU o l'SPD quando fanno le "grandi coalizioni", cosa che, talvolta accade (per esempio nell'est del paese, per impedire di dover scendere a patti con il PDS; in passato, anche per non dovrer governare con i verdi).


Originally posted by pergola2000@yahoo.it
Leggi sopra, cosa ne pensi?

Scusa; non ho ancora avuto il tempo di farlo.

la_pergola2000
24-04-02, 14:32
Caro hus
sono proprio imperdonabile.
le alleanze cdu -fdp o spd-fdp son alleanze per e non contro qualcuno, il che è ben diverso dalle Gros-koalizionen.
In misura simile si potrà dire il 5 maggio in Francia, una grossa coalizione contro la xenofobia ecc. ecc.
Ciao e buon 25 aprile.

nuvolarossa
24-04-02, 18:49
da Il Sole 24 Ore di martedì 23 aprile 2002
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LE SCELTE MANCATE

di Giorgio La Malfa

“La Francia che ieri ha votato è feroce - ha scritto Barbara Spinelli ieri su “La Stampa” a commento del voto presidenziale di domenica. Si tratta – ha aggiunto – “della disfatta di una classe dirigente al completo, oltre che di due leader privi di parole forti, e di passioni.” Più che un’analisi sembra, con tutto il rispetto per una giornalista fra le migliori, una reazione emotiva a uno shock non previsto. Altrettanto impulsivo è il commento di Romano Prodi per il quale “questo è quello che succede quando si lavora più sui problemi personali che sui programmi,” con l’aggravante di una mancanza di senso della misura istituzionale e politica che il Presidente di un organismo come la Commissione Europea non dovrebbe mai perdere.
E’ sbagliato, oltre che ingeneroso, attribuire oggi alla personalità di Chirac e di Jospin un risultato che è invece frutto di una serie di problemi politici aperti da tempo in tutti i Paesi europei.
Su questi problemi la sinistra, soprattutto, si è mostrata incapace o forse si è rifiutata di riflettere adeguatamente.
Il successo dell’estrema destra francese nasce in primo luogo dal problema dell’immigrazione e dalla connessa percezione di insicurezza che si diffonde nelle società europee. Come si è visto da dieci anni a questa parte in Italia, dove pure il problema è quantitativamente più limitato, la sinistra non capisce la rilevanza di questa questione. Essa ragiona sulla base di un principio di solidarietà internazionale nei confronti dei Paesi più poveri che si scontra con la condizione effettiva delle città industriali d’Europa nelle quali l’immigrazione va a incidere sulle categorie economicamente e socialmente più deboli che tradizionalmente votavano per la sinistra.
Oltre alla crescente insicurezza delle periferie urbane a causa dell’immigrazione, pesano sugli stati d’animo degli elettori altri problemi pressanti: da un lato i livelli della disoccupazione che restano da troppi anni vicini al 10%, dall’altro la progressiva difficoltà di finanziare i sistemi di sicurezza sociale. L’Unione monetaria europea ha aggravato questi problemi costringendo per anni a politiche di risanamento e di contenimento dei costi della sicurezza sociale che appaiono dettate dall’esterno più che dall’interno. Per questo vasti e crescenti strati popolari preferiscono manifestare con il voto il loro disagio che offrire un mandato di governo a forze politiche che non mostrano di volersi impegnare su questi temi.
In fondo l’idea di Europa ha finito per essere associata, negli anni di formazione dell’Unione monetaria, con la restrizione e la perdita delle reti di protezione della sicurezza sociale ed i partiti che, come in Italia il centro-sinistra, hanno fatto le loro campagne elettorali autocelebrando la propria capacità di rispettare i parametri europei hanno perso rovinosamente le elezioni. Non è un caso che il solo partito socialista che sia riuscito finora ad evitare la disfatta sia il partito laburista inglese che si è impegnato con chiarezza sui temi della sicurezza e dell’ordine sociale ma, nello stesso tempo, si è tenuto lontano da un’Europa che si presenta con il volto della restrizione sociale e insieme dell’interventismo negli affari interni di ciascun Paese.
Per questo motivo anche il rimedio che Barbara Spinelli propone alla sinistra francese è sbagliato. Essa scrive che se Chirac e Jospin avessero capito che si preparava il successo di Le Pen, essi “avrebbero indicato i pericoli enormi che corre la loro patria , se non comincia a pensare l’Europa e non si mette all’avanguardia di un’unione politica.” Questa è la strada che ha tentato il centrosinistra in Italia, senza rendersi conto che l’unione politica dell’Europa può essere un fine per una minoranza intellettuale ma non è un fine per le larghe masse di elettori per i quali l’Europa o lo Stato non possono che essere un mezzo per ottenere condizioni di vita più adeguate.
Anzi, continuando così, l’Europa sarà sempre più un tema sul quale i governi perderanno sempre più terreno rispetto alle opposizioni.
Negli anni nei quali ci si avviava verso l’euro, qualcuno ha fatto osservare che la casa europea doveva essere costruita dalle fondamenta e cioè dall’unione politica – se ve ne erano le condizioni – e che la strada opposta, quella di unire la moneta senza una politica comune, avrebbe creato una condizione difficilissima per i governi dei Paesi membri. Essi infatti restano i referenti dei bisogni e delle insoddisfazioni dei loro cittadini, ma hanno perso ogni possibilità di affrontare quelle insoddisfazioni e di rispondere a quei bisogni. Era chiaro che contro di essi si sarebbe rivolta l’ostilità di tutti coloro i quali sentivano il peso di una condizione difficile: i giovani per la violenza della concorrenza, gli anziani per il venir meno della sicurezza sociale e della stessa loro sicurezza personale. Ed è chiaro che sarà sempre più così se si pretende che l'unione dell'Europa segni il trionfo di un liberalismo dottrinario e privo di concretezza politica.
In questo senso il successo di Le Pen potrebbe e dovrebbe suonare una sveglia. Ma la sveglia presuppone una consapevolezza della natura non ideologica dei problemi, una capacità di riflettere politicamente in modo maturo della quale la sinistra in Italia, come in Francia, non sembra, fino ad oggi, assolutamente capace.
Giorgio La Malfa

nuvolarossa
24-04-02, 18:52
FRANCIA: PRI, LEZIONE PESANTE, SINISTRA ITALIANA RIFLETTA
CONFERMA DEL DECLINO DEL SOCIALISMO EUROPEO
(ANSA) - ROMA, 22 APR - ''Dalla Francia arriva una lezione
pesante sulla quale la sinistra italiana farebbe bene a
riflettere seriamente'': e' quanto afferma, in una nota, la
segreteria del Pri, secondo la quale i risultati delle
presidenziali francesi ''confermano il declino del socialismo
europeo''.
Per il partito di La Malfa, il successo di Le Pen ''verrà
ridimensionato dopo il ballottaggio, e la sua affermazione su
Jospin non turba l'assetto democratico francese che e' ben
saldo''. Ma ''il voto di ieri dimostra chiaramente che il nostro
continente reagisce con durezza a fenomeni migratori
incontrollati e che i ritardi e le incertezze dell'Europa
politica provocano una ricaduta di tipo nazionalista''.
''Se le forze socialiste democratiche non sanno rinnovarsi
profondamente e interpretare le esigenze di cambiamento che
provengono dai loro paesi, a Parigi come a Berlino, come a Roma,
esse sono destinate alla sconfitta. Nella sinistra europea
soltanto il labour britannico Blair si e' dimostrato finora in
grado di coniugare realisticamente diritti e riforme, tracciando
un solco con gli altri partiti socialisti, nei quali invece la
confusione regna assoluta. Jospin che ha mantenuto il suo
partito su posizioni tradizionale dalle 35 ore in avanti, e'
stato vittima di questa continuità''.(ANSA).

nuvolarossa
24-04-02, 18:53
FRANCIA: LA MALFA, SINISTRE IN EUROPA RIFLETTANO
IMMIGRAZIONE E UE I TEMI CHE PIU' PREOCCUPANO I CITTADINI
(ANSA) - ROMA, 22 APR - ''Aldilà dello choc per il successo
dell'estrema destra bisogna che le classi dirigenti europee e le
sinistre in particolare riflettano sul risultato elettorale
francese'', che fa emergere con chiarezza due temi critici dal
punto di vista delle opinioni pubbliche, cioè
''l'immigrazione'' e ''l'Europa'' intesa come ''costrizione''.
Giorgio La Malfa, presidente del Pri e della commissione
finanze della Camera, legge cosi' il voto francese di ieri.
''La sconfitta della sinistra francese - afferma La Malfa - si
e' consumata soprattutto sul tema dell'immigrazione'' e questo
vale ''in particolare per le periferie delle grandi cittaà''.
Sull'immigrazione si verifica uno ''scontro'' tra ''la visione
ideologica della sinistra, imperniata sulla parola
“solidarietà” e la realtà dei cittadini, in particolare gli
anziani delle zone popolari, che vogliono una risposta in
termini di pubblica sicurezza. La sinistra, come avviene anche
in Italia, e' incapace di dare risposte''.
L'altro tema critico e' ''l'Europa, che in questi anni e'
diventata un tema delle sinistre. Da essere ideale l'Europa
appare sempre di più come costrizione, come un corsetto che
distrugge la rete di protezione sociale e impone politiche che
aggravano la disoccupazione''. Questa percezione, secondo La
Malfa, e' dovuta, tra l'altro, al fatto che l'unione
economico-monetaria europea e' stata realizzata ''senza dare
all'Europa la responsabilità e gli strumenti di politica
economica espansiva''.
''Non credo - conclude - che la sinistra europea sia in grado
di riflettere su questi problemi''. La Malfa esprime poi
''sorpresa'' per le dichiarazioni rilasciate da Romano Prodi,
presidente della Commissione europea, riguardo al voto francese.
''Non sapevo - ha detto ironicamente - che Prodi fosse un capo
politico''.

hussita
24-04-02, 19:31
Ancora più sconfortante appare il giudizio liquidatorio che Giuliano Amato, a differenza del verde francese Cohn Bendit, dà sul laburista Tony Blair, l’unico leader della sinistra che si è dimostrato vincente in questi anni. La forza di Blair non nasce dalla debolezza del partito conservatore, ma dall’aver saputo presentare un progetto che utilizzava alcuni aspetti positivi dell’esperienza della signora Thatcher e non la demonizzava. Esattamente quello che la sinistra italiana non ha fatto e non intende fare a giudicare dal tono esasperato della sua opposizione e dal continuo allarme per i pericoli che correrebbe la libertà in Italia”. [/B][/QUOTE]

LONDRA - Non si ferma l'onda di indignazione che ha suscitato il risultato elettorale del primo turno delle presidenziali francesi. Oggi l'accusa contro il leader di estrema destra Jean-Marie Le Pen, arrivato al ballottaggio contro Jacques Chirac, viene dalla Gran Bretagna per bocca del suo primo ministro. Tony Blair ha condannato, in un'intervista rilasciata al quotidiano Guardian, il "razzismo ripugnante" di Le Pen.

"Non conosco Le Pen, ma reputo ripugnante la sua politica", ha detto Blair lanciando un appello ai democratici europei affinché combattano contro i valori del partito di estrema destra francese. "Penso che sia vitale che la gente che crede nella democrazia, che detesta queste politiche basate sul razzismo e un gretto nazionalismo le combatta a tutti i livelli, politicamente, culturalmente e in modo organizzato", ha aggiunto il premier britannico.

Il "Guardian" scrive che Blair ha riconosciuto che la sconfitta del primo ministro francese Lionel Jospin lascia il governo laburista di centrosinistra inglese un po' più isolato in Europa.

Quella di Blair è l'ultima reazione in ordine di tempo all'ascesa politica del Fronte nazionale in questa tornata elettorale. La Francia, ancora palesemente sotto choc - migliaia di persone sono scese in piazza anche ieri per manifestare contro Le Pen - scopre di essere divisa anche sotto il profilo dell'opportunità di riservare al leader nazionalista l'opportunità di confrontarsi con il presidente della Repubblica uscente.

Chirac ha annunciato che non accetterà un dibattito con Le Pen perché "di fronte all'intolleranza e all'odio non c'è transazione possibile, né compromesso possibile, né dibattito possibile". Le Pen ha ribattuto accusandolo di avere "paura della verità". Ma un sondaggio Csa per Le Parisien rivela che quasi sette francesi su dieci (69%) auspicano un dibattito televisivo tra i due sfidanti per la poltrona dell'Eliseo. Il 26% non lo desidera, il 5% non si è pronunciato.

L'80% delle persone intervistate è d'accordo nel dire che il Fronte nazionale è una formazione di estrema destra, 15% non sono d'accordo, il 5% non si pronuncia. Per contro, sono oggi il 78% rispetto al 68% di tre settimane fa, a ritenere che il Fn sia un pericolo per la democrazia. Non sono d'accordo il 18%, e 6% non si pronuncia. Il 60% ritiene che il partito di Le Pen aumenterà il suo peso.

(24 aprile 2002)

nuvolarossa
05-05-02, 14:34
Lettera dell'ex Capo dello Stato dopo la vittoria di Le Pen e l'editoriale di Spinelli "La Stampa" del 27/4/2002

Europa, serve vera unione politica

Caro Direttore, ho letto l´articolo di Giorgio La Malfa "Il peccato di Delors", pubblicato sul numero del 25 aprile del Suo giornale, in risposta all´editoriale di Barbara Spinelli, con grande sollievo, come quando in una torrida giornata d´estate, assetati e storditi, si ha la possibilità di bere un bicchiere (meglio ancora nel cavo delle mani) di acqua fresca di roccia che sia solo acqua senza aggettivi, non imbottigliata né nel vetro né tantomeno nella plastica della retorica! Nessuno, anche per ascendenze paterne e per storia personale, politica e culturale, può dubitare che Giorgio La Malfa sia un democratico, o - come mi piace dire con un qual gusto di romanticismo rivoluzionario - un patriota repubblicano e un antico europeista. Ma oggi chi vuole che non abbiano il sopravvento perversi nazionalismi o sciovinismi nazionalistici non può pensare all´Europa come all´Europa pensarono i padri fondatori dell´ideale europeista antico da Schuman a Spaak e da De Gasperi a Spinelli. Non può guardarvi con l´ingenuo fervore di Carlo Azeglio Ciampi e con il meno ingenuo fervore di Romano Prodi. Noi europei ed europeisti abbiamo perduto due storiche occasioni per fare in tempi non lunghissimi un´Europa politica, per fare cioè della nostra vecchia Europa un nuovo soggetto politico: l´unione politico-militare prevista dal trattato Ced e la caduta del Muro di Berlino. Abbiamo respinto la politica dei piccoli passi in economia indicati da Monnet e abbiamo voluto realizzare una moneta unica che un giorno forse gli storici delle teorie monetarie diranno che non è stata una vera moneta perché non ha dietro di sé una sovranità propria né riserve d´oro e neanche un unico sistema produttivo, sì, neanche un unico sistema produttivo, perché questo sistema unico non può esistere in un insieme di economie governate per esempio con sistemi fiscali e giuridici differenti, per cui l´euro che è introdotto a Berlino nel sistema finanziario industriale, giunto ad Atene è un´altra cosa! E ci dimentichiamo che l´euro è stata la realizzazione, secondo schemi tecnocratici e astratti di uffici studi delle Banche (ormai non più!) Centrali, dell´accordo Mitterrand-Kohl per l´immediata realizzazione della paventata, proprio perché affrettata, riunificazione tedesca. Una riunificazione basata sulla rinuncia da parte della Germania al marco come moneta imperiale, per accelerare la realizzazione di una Germania unita. Il fatto è che prima che l´Europa monetaria si doveva fare l´Europa politica; ora il cammino dovrà essere più lungo, perché credo che nessuno, salvo Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi, pensi veramente che sia possibile in tempi brevi e medi realizzare un vero Stato federale europeo che governi da Tallinn alla Valletta, e temo che comincino a non crederci più, purtroppo forse neanche all´Europa com´è, anche gli europei. Non è solo il successo di Le Pen e la sconfitta di Jospin e praticamente di Chirac a denunziarlo ma anche, non dimentichiamocelo, il voto irlandese e danese. E per parlare del successo di Le Pen occorre dire che è il successo non del neofascismo o del neonazismo perché Le Pen non è né fascista né nazista, ma solo e soltanto uno sciovinista populista, per questo oggi più pericoloso, ancor più per l´eternità dello sciovinismo francese che ha radici vuoi nel laicismo della Rivoluzione francese, vuoi nell´integrismo dell´Action Française, vuoi nel fenomeno complesso e oscuro del regime di Vichy e i suoi europeisti da Céline a Drieu La Rochelle. Per questo la vittoria di Le Pen è pericolosa, perché è in realtà la vittoria di un europeismo tutto francese, o per meglio dire dell´antieuropeismo. Ricominciamo quindi il cammino europeista senza illusioni e fantasie, a piccoli passi, questa volta politici e istituzionali, che comincino a immettere nelle istituzioni europee più democrazia e più autentica rappresentanza nazionale. Perché l´Europa o sarà l´Europa di Cervantes, di Calderón de la Barca, di Shakespeare e di Chaucer, di Dante, Boccaccio e Manzoni, di Schiller, Hölderlin, Novalis e Goethe o non sarà!

Con cordiali saluti
Francesco Cossiga Presidente emerito della Repubblica

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nuvolarossa
05-05-02, 15:29
Le elezioni francesi e le riflessioni di D'Alema

Mentre si avvicina il secondo turno delle presidenziali francesi - e i sondaggi ufficiosi registrano la crescita elettorale di Le Pen - merita una particolare e ulteriore riflessione l'intervista che il presidente dei Ds, Massimo D'Alema, ha rilasciato venerdì scorso al Corriere della Sera.

Soffermandosi sulle cause della crisi, D'Alema invita la sinistra ad "andare oltre i confini del socialismo europeo che è rimasto chiuso nella sua tradizione" e quindi indica la stessa direzione politica di Tony Blair.

D'altro canto il presidente dei Ds già cercò di imboccare a suo modo, quando era alla guida del governo, la stessa "terza via" di Blair. Noi vogliamo ricordare che in quel tentativo politico coraggioso egli trovò i repubblicani al suo fianco; e le ragioni che sono state alla base del suo fallimento politico, sono quelle che ci hanno condotti su un altro sentiero.

Ed è certamente positivo che D'Alema ritenga ancora valida quella sua elaborazione di allora e la riproponga, dopo la sconfitta della sinistra in Francia, come occasione per rivedere il ruolo dell'intera sinistra europea, che oggi scricchiola sotto l'urto dell'onda lunga che dalla caduta del muro di Berlino si va propagando, a distanza di tempo, su tutta l'eredità socialista.

Ma la riflessione non può fermarsi a mezza strada, non c'è più tempo e spazio per le parole d'ordine abusate o per le piccole furbizie tattiche.

Per sconfiggere la deriva lepenista in Francia e ridare fiato alla sinistra serve un'analisi autentica e non propagandistica. Allora bisogna dire che non è vero, come D'Alema invece ha sostenuto sul Corriere, che dietro Le Pen c'è la Francia di Vichy.

Le Pen ha fatto la resistenza contro i nazisti, prende i voti nelle zone popolari, contadine ed operaie delle periferie, si richiama alla Francia di Giovanna d'Arco. E' semmai più probabile che i sostenitori di Vichy votassero già da tempo per Mitterand e il suo partito.

Contraddizioni di questo genere vanno affrontate con coraggio, se si vuole per davvero uscire dagli schemi triti del gauchismo. Quando arriva al dunque, D'Alema compie sempre un passo indietro rispetto a quello avanti che pur annuncia.

Roma, 3 maggio 2002
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nuvolarossa
05-05-02, 15:37
Sono rientrato questa mattina da Parigi dove ho passato una decina di giorni.
Il clima parigino sul ballottaggio e' altissimo, anche se e' scontata la sconfitta di Le Pen e la affermazione di Chirac.

I sondaggi danno un 20 a 80 le due posizioni.

Volevo solo fare notare agli amici una cosa che mi ha molto colpito passeggiando sui vari boulevards della ville lumiere....ho visto "lordati" e "stracciati" quasi tutti i cartelloni "pro le Pen" e quasi interamente luccicanti e stirati a festa tutti quelli di Chirac, quasi a dimostrare una intolleranza e faziosita' che dovrebbe essere completamente estranea ad una sinistra veramente democratica ed alle forze centrali nel governo del Paese.

Sono anche questi comportamenti che favoriscono l'incremento di voti della destra xenofoba e fascista francese e danneggiano altresi le forze moderate e riformiste portando il confronto politico verso lo "scontro" delle opposte fazioni di estrema destra e di estrema sinistra.

la_pergola2000
06-05-02, 14:58
C'est vrai
madame Tasca et sa ècole est dangereuse pour la France comme le Pen.
Vive la France. Vive l'esprit Republicain.

nuvolarossa
10-05-02, 23:30
In Francia una partita ancora aperta

Archiviato il caso Le Pen con il plebiscito che ha rieletto Jacques Chirac alla presidenza della Repubblica, il governo presidenziale guidato da Jean-Pierre Raffarin è dinanzi alla sfida di evitare una quarta coabitazione dopo le elezioni legislative del 6 e 19 giugno.

Una scommessa non facile per un esecutivo destinato a durare solo una quarantina di giorni, ma che ha l'ambizione di una lunga durata se riuscisse ad imporre una certa credibilità nell'impegno di ristabilire l'autorità dello Stato sul terreno della sicurezza e di essere accettato dall'opinione pubblica come valido garante del dialogo sociale.

Ma l'obiettivo cardine di Chirac e del suo governo è di far coincidere la maggioranza presidenziale con quella parlamentare, recuperando quella larga fascia di elettorato che ha votato per l'estrema destra (cinque milioni e mezzo di francesi).

Certo, la sterzata a sinistra del Partito socialista sui temi dell'economia chiarisce lo spartiacque bipolare fra sinistra e destra moderata e favorisce sul tema della sicurezza il recupero del voto lepenista.

L'abbandono della linea liberale e centrista che vede l'emarginazione di Laurent Fabrius e Dominique Strauss-Kahn, regala a Chirac una fascia consistente di elettorato di centro-sinistra di stampo europeo che difficilmente è pronto a seguire le suggestioni di Martine Aubry, la madrina delle 35 ore, nella chiusura di tutti i tentativi di deregolamentazione dei servizi pubblici. Una chiusura che è in netto contrasto con le direttive dell'Unione Europea.

L'altra carta vincente giocata da Chirac per battere la sinistra sul terreno della modernità sta in alcuni dicasteri-chiave del nuovo esecutivo: gli interni, l'istruzione, l'economia. Quest'ultimo è stato affidato al magnate della siderurgia, François Mer, l'uomo che ha salvato l'acciaio francese dal fallimento.

Con la svolta a sinistra, il Partito socialista attua in politica la metafora della coperta del soldato: se ci si copre la testa, si scoprono i piedi, e viceversa. Se nelle presidenziali è stato penalizzato sottovalutando l'effetto Le Pen, nelle legislative, per correre dietro alla sinistra alternativa, rischia di perdere quell'elettorato moderato che ha creduto nel programma di centro di Lionel Jospin. Un elettorato che nelle democrazie maggioritarie fa la differenza fra le due coalizioni.

La scommessa di Chirac, volta ad evitare un nuova coabitazione a inizio di mandato presidenziale, che lo farebbe sovrano senza poteri, punta proprio sulla carta di questa differenza. Se vince avrà salvato lo spirito golliano della Quinta Repubblica.

Roma, 10 maggio 2002
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nuvolarossa
16-05-02, 18:48
La paura dell'immigrazione e i risultati elettorali europei

La sconfitta dei laburisti, che in Olanda scendono da 45 a 23 seggi, sui 150 del Parlamento dell'Aja, è la metafora di quel vento di destra che soffia impetuoso nei cieli d'Europa. I 26 seggi conquistati dalla destra populista della Lista Pim Fortuyn (un partito creato da tre mesi) sono l'altro segno speculare di quell'onda sismica che in Europa continua a frantumare la linea Maginot della sinistra, da Roma a Copenaghen, da Lisbona a Parigi, e certamente a Dublino, dove nel voto di domani il partito di centro-destra Fianna Fail punta a conquistare la maggioranza assoluta dei 166 seggi del Dal, il Parlamento irlandese.

C'è un denominatore comune in questa ventata che porta la destra, nelle sue diverse connotazioni, da quella liberale a quella radicale, venata di xenofobia e di nazionalismo, a mietere consensi nel Vecchio Continente: e si chiama paura dell'immigrazione.

Un tema che la sinistra, anche la più moderata, come quella olandese, ha pervicacemente sottovalutato, pur ottenendo in otto anni di governo indubbi risultati economici senza contraccolpi sociali.

Un dirigente della Confindustria olandese, Roelf Van der Koij, spiega che il fenomeno Pim (il nome del tribuno populista assassinato il 6 maggio) va direttamente collegato con la stanchezza per un sistema che ha privilegiato i bilanci pubblici e privati trascurando gli effetti sulla società che una politica di apertura totale all'immigrazione ha provocato.

La non integrazione delle nuove ondate di immigrati, aggiunta ai ricongiungimenti familiari che hanno importato nuova povertà, ha costituito, e costituisce, la paura, non solo in Olanda, di quegli strati sociali più svantaggiati, un tempo serbatoio elettorale privilegiato della sinistra.

Un tema, questo, che uno studioso italiano come Luca Ridolfi, definisce "frattura etica", una frattura che non è "sociale", ma "culturale", e che la sinistra non ha saputo cogliere nella sua portata, in quanto aperta al multiculturalismo, alla mescolanza culturale, alla "contaminazione", all'ibridazione delle culture e degli stili di vita.

E se in Francia e in Olanda questa sottovalutazione del fenomeno immigrazione da parte della sinistra produce i Jean Marie Le Pen e i Pim Fortuyn (che non sono la stessa cosa), sarebbe forse il momento di chiedersi fino a quando la sinistra europea (non certo quella di Tony Blair) continuerà a regalare alla destra un tema che la fa vincente.

Roma, 16 maggio 2002
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nuvolarossa
31-05-02, 23:16
Immigrazione e misura sulle impronte digitali: una polemica astratta

Il governo sta cercando una soluzione, a nostro giudizio equilibrata, al problema dell'immigrazione clandestina, considerando per un verso che nessuno vuole umiliare gli immigrati e per un altro verso che di sanatorie in Italia ve ne sono state troppe e troppo indiscriminatamente.

Trattare il tema dell'immigrazione in termini demagogici, o ancor peggio ideologici, aggrava soltanto il problema: un problema delicatissimo anche per il ruolo che devono esercitare l'Europa e l'Italia nei confronti delle popolazioni del terzo mondo (e dell'Est europeo).

E' chiaro allora che la misura sulle impronte potrà anche assumere contorni sgradevoli (benchè le tecnologie oggi in uso non comportano mortificazione alcuna); ma si tratta di assicurare uno strumento indispensabile all'accertamento dell'identità, senza il quale è pressocchè impossibile contrastare l'immigrazione clandestina.

Le stesse necessità dell'industria, che ha bisogno di una manodopera difficile da reperire nel nostro paese, dovrebbero suggerire una politica di contingentamento degli accessi e dei visti e non certo autorizzare una politica di accoglienza indiscriminata. Quindi certe polemiche di questi giorni, che hanno accusato con troppa faciloneria forze della maggioranza di xenofobia, razzismo e non sappiamo che altro, sono determinate in fondo dalla frustrazione per non aver mai saputo affrontare questa questione a tempo debito, ai tempi della legge Martelli per esempio. E' lì che sono iniziate le prime falle della politica immigratoria del nostro Paese, poi allargate dalla legge Napolitano-Jervolino.

L'ipotesi di severità alla quale il centrodestra sta lavorando non va dunque abbandonata, sempre badando a non dimenticare il valore ed il rispetto della persona. Tra l'altro notiamo che anche la Gran Bretagna del laburista Blair si sta attrezzando per norme maggiormente rigorose in proposito e che persino il mondo della Chiesa, che pure ha sempre difeso i diritti all'accoglienza, comincia ad avere ora qualche ripensamento.

Roma, 31 maggio 2002

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nuvolarossa
02-06-02, 23:45
Ad una settimana dalle elezioni per l’Assemblea Nazionale il superpartito del presidente pare avviato al successo
Francia, centro-destra favorito nei sondaggi

PARIGI

Dopo il terremoto Le Pen alle presidenziali la vergogna dei «Bleus» sconfitti dal Senegal al Mundial: per i francesi è un momentaccio. E, come se non bastasse, ecco all’orizzonte un’altra dura prova. Tra una settimana i transalpini ritornano alle urne, per la scelta dei 577 deputati dell’Assemblea Nazionale. In coro i sondaggi danno per vincente l’Ump (Unione per la Maggioranza Presidenziale), il superpartito di centro-destra creato dal presidente Jacques Chirac, ma i politologi invitano alla cautela. Troppo fresco il flop degli istituti demoscopici, che nemmeno avevano immaginato la presenza del capofila della destra estrema Le Pen al ballottaggio del 5 maggio per l’Eliseo. Il leader del Fronte Nazionale non si presenta di persona alle legislative del 9 e 16 giugno, ma tramite i suoi 566 candidati (compresa la figlia prediletta, Marine, una biondona di 34 anni in lizza nella zona di Calais) minaccia sconquasso. Dalla sua capacità di aggregare la protesta dipenderà in buona misura se in Francia nei prossimi anni sarà al governo il centro-destra o la sinistra. In teoria le premesse per un bis della scossa sismica registrata al primo turno delle presidenziali, il 21 aprile, ci sono: dopo il «sussulto repubblicano» che al ballottaggio ha stoppato il «superfascista» Le Pen, i 41 milioni di francesi chiamati alle urne arrancano verso i seggi tra paurosi sbadigli. Sono molto più in angoscia per l’azzoppamento di Zizou Zidane, il fuoriclasse del pallone, e si trovano ancora una volta davanti ad una babelica, pittoresca, disorientante pletora di candidati. In 8.455 sgomitano per le 577 poltrone in palio per l’Assemblea Nazionale di Parigi. I partiti in gara con oltre 50 candidati sono saliti al numero record di trentadue, nove in più rispetto alle legislative del 1997, e il boom si spiega in parte con gli allettanti meccanismi del finanziamento pubblico. Le Pen potrebbe approfittare di tanta dispersiva abbondanza e portare al secondo turno delle legislative (il 16 giugno) oltre 300 candidati, imponendo un po’ ovunque ballottaggi triangolari, a scapito del campo Chirac che ha escluso la possibilità di desistenze con l’estrema destra. Il sistema elettorale francese per le legislative ha infatti una peculiarità: passano al secondo turno i candidati che al primo ottengano il voto di almeno il 12,5% degli elettori iscritti nella circoscrizione. Se Le Pen trasferirà ai suoi candidati i consensi piovuti su di lui alle presidenziali farà bingo: il 16 giugno, la domenica del secondo turno, ci saranno centinaia di sfide a tre tra Fronte Nazionale, Ump e gauche «parlamentare». Paradosso dei paradossi, l’uomo che giudica i lager nazisti dell’Olocausto un dettaglio minore nella storia della seconda guerra mondiale potrebbe propiziare una vittoria della sinistra, anche se questo scenario sembra al momento piuttosto improbabile perchè l’Ump va molto forte nei sondaggi e gli fa da traino il governo con a capo Jean-Pierre Raffarin installato da Chirac subito dopo il suo trionfo del 5 maggio. Modesto, sgraziato nelle fattezze e nei modi, il «provinciale» Raffarin (finora presidente della Regione Poitou-Charente) si è rivelato un asso nella manica. Piace. Ed è partito in quarta, con iniziative per il taglio delle tasse, il rilancio dell’economia, la lotta alla criminalità. Altro asso nella manica del gollista Chirac: i francesi non vogliono più saperne di coabitazione tra un presidente di un colore e un governo di colore opposto, come è successo negli ultimi cinque anni con il socialista Lionel Jospin premier. Senza più un leader dopo il ritiro a vita privata di Jospin, uscito con le ossa rotte dal primo turno delle presidenziali, la gauche se la passa in effetti molto male: i socialisti guidati dal segretario del partito, Fran çois Hollande, hanno sterzato a sinistra (promettono un alt alle privatizzazioni e un aumento della paga minima) ma non si fanno illusione e hanno rinviato al dopo-elezioni il necessario chiarimento interno. Ancora peggio i comunisti del Pcf: forse nella prossima Assemblea Nazionale non avranno nemmeno i 20 deputati necessari per la formazione di un proprio gruppo parlamentare. I quattro partiti della coalizione Jospin (socialisti, comunisti, radicali e verdi) hanno raggiunto a mala pena un accordo per 170 «candidati di unione» in altrettante circoscrizioni dove rischiano la Caporetto già al primo turno dalla falange Le Pen, ma di intese su un comune programma di governo nemmeno a parlarne. Non si sono nemmeno ricompattati con il socialista dissidente Jean-Pierre Chevenement e rimane incombente il pericolo dei tre partiti trotzkisti di sinistra estrema che al primo turno delle presidenziali hanno incassato oltre il 10% del voto.

nuvolarossa
08-06-02, 19:26
DOPO LE POLEMICHE SUSCITATE CONTRO DI LEI DA «LE MONDE», DEFINITE «UN VIGLIACCO INSULTO RAZZISTA»
Oriana Fallaci attacca gli intellettuali francesi
«Il popolo non vi ascolta, non mi ingiuria, non mi diffama, non mi denigra e mi legge»

PER la terza volta da settembre a oggi, dopo «La rabbia e l´orgoglio» e un lungo articolo contro l´antisemitismo riaffiorante in Europa, Oriana Fallaci sceglie la polemica diretta. Indignata per quello che definisce «un vigliacco insulto razzista», cioè le polemiche suscitate contro di lei da «Le Monde» e dalla «Lega contro il razzismo e l´antisemitismo», se la prende - in un articolo che compare oggi sul «Corriere della Sera», anticipato ieri dal Tg5 - con i forti e temuti intellettuali francesi. Usa l´ironia, cominciando con un paragone storico: parla di un gruppo di pressione politica che in Francia, alla fine del Settecento, venne ribattezzato spregiativamente i Moscardini.

«I Moscardini - scrive la Fallaci - erano tipi eleganti, leziosi, soigné. Non a caso nel linguaggio corrente la parola ha lo stesso significato di zerbinotto, bellimbusto, dandy. Portavano i capelli lunghi e sciolti sulle spalle, le cravatte verdi e annodate con un fiocco grottesco, i pantaloni attillati e le scarpe a punta.

Parlavano con la erre moscia, usavano l´occhialetto, si profumavano fino alla nausea con l´essenza di muschio e per bastonare i giacobini si servivano di un manganello simile al manganello con cui negli Anni 20 e 30 del 1900 le squadracce di Mussolini avrebbero bastonato gli antifascisti.

Lo definivano "notre pouvoir executif", finirono presto. «Lo scorso marzo molti mi chiesero se fossi arrabbiata con la Francia, dove senza che la polizia intervenisse e senza che la ministra della Cultura muovesse un dito per impedirlo, i fascisti rossi avevano aggredito con insulti i rappresentanti del governo italiano alla Fiera internazionale del libro. Fiera alla quale l´Italia partecipava come ospite d´onore e rimasero molto stupiti a sentirmi rispondere: no, con la Francia non sono arrabbiata.

No, con la Francia non mi arrabbiai lo scorso marzo e non mi arrabbio ora, perché i fascisti rossi che in marzo si comportarono in modo tanto spregevole con i rappresentanti del governo italiano e che ora si comportano in modo tanto sgradevole con me, alcuni perfino oltraggiando la memoria di mio padre - brutti vigliacchi, razza di mascalzoni - non sono la Francia, sono i moscardini (...) che bastonano i giacobini, li bastonano con il manganello della menzogna e della malafede, stavolta, con il pouvoir executif del terrorismo pseudo-intellettuale, con la dittatura del politically correct, cioè con la presunzione degli sfacciati che pretendono di insegnare la democrazia a chi per la democrazia si batte fin dall´infanzia. Ma i giacobini d´oggi non sono ex tagliateste che credono, o credevano, in Roberspierre, sono gente come me, gente che crede alla libertà e che di conseguenza non si lascia intimidire dai manganelli, dai ricatti, dalle minacce.

«Ma guai a identificare i moscardini con la Francia, guai; a farlo si rischierebbe di chiederci se in Francia esiste ancora la libertà di pensiero e di opinione, se la Francia è ancora la République Française della Marianna o se è diventata la République Française dell´Islam, e ciò sarebbe ingiusto, anzi nefando. (...) La Francia non è l´immaginario popolo di cui vi riempite la bocca quando dai vostri orateurs du peuple cantate la reveille du peuple.

E´ il popolo che non vi ascolta, è il popolo che, tiranneggiato da voi e ricattato dalle lugubri lusinghe del rancido Le Pen, non ha più una Bastiglia da abbattere, sicché per non votare Le Pen deve votare Chirac. E´ anche il popolo che non mi ingiuria, non mi diffama, non mi denigra, non oltraggia la memoria del mio splendido padre. E mi legge».

e. st.
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nuvolarossa
08-06-02, 19:31
a proposito dei "fascisti rossi", citati da http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&postid=112242#post112242
Oriana Fallaci, mi sono ricordato di una testimonianza reale che sara' senz'altro passata inosservata come tanti altri miei vaniloqui........clicca qui
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&postid=70671#post70671
oppure sul successivo messaggio...di La Pergola....
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&postid=72059#post72059

nuvolarossa
10-06-02, 18:25
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg

Le reazioni
Il sindaco Delanoe: «Al secondo turno votate Repubblicano»


Le prime reazioni politiche sono prudenti. Nel quartier generale dell'Unione per la Maggioranza Presidenziale, la coalizione di destra voluta dopo il voto del secondo turno delle presidenziali dal Capo dello Stato Jacques Chirac, si festeggia senza trionfalismo. Il primo ministro Jean-Pierre Raffarin ha ringraziato i francesi «che sono andati a votare» ed ha espresso la sua preoccupazione per la forte astensione: «La Repubblica ha bisogno della partecipazione dei cittadini» ha sottolineato Raffarin. Il capo del Governo voluto da Chirac un mese fa ha letto questo risultato come «un appello all'azione». Alla sede del Partito Socialista in rue Solferino, a Parigi, si confida in una reazione dell'elettorato di sinistra per il secondo turno e si stima che la sinistra unita non abbia subito una sconfitta pesante. A Saint-Cloud, alla sede del partito di estrema destra di Jean-Marie Le Pen si ritengono questi dati ancora troppo imprecisi per poter commentare e si respira una certa delusione. «Al secondo turno votate “repubblicano”». Questo l'appello lanciato ieri sera dal sindaco di Parigi, il socialista Bertrand Delanoe, che rilancia con forza la campagna di emarginazione dell'estrema destra xenofoba: «Ovunque ci possa essere l'elezione dell'estrema destra, del razzismo e dell'antisemitismo - ha detto Delanoe - bisogna mobilitarsi per il candidato repubblicano, che sia di sinistra, come spero, o che sia di destra». Il sindaco, poi, ha chiamato i francesi a riequilibrare il verdetto delle urne poiché «non sarebbe molto sano che la destra abbia 400 deputati pur rappresentando circa il 40% dei francesi».
Giacomo Leso

nuvolarossa
10-06-02, 18:34
Il primo turno «promette» un trionfo a Chirac

Il centrodestra francese potrebbe superare i 400 seggi. Ma in testa è il partito del non voto


PARIGI

Il vento che soffia forte in Europa spinge a destra anche la Francia. Dopo il trionfo nella sfida per l'Eliseo, Jacques Chirac conquista la maggioranza assoluta al primo turno delle elezioni politiche, ottiene dall'elettorato la forza per governare e mette fine al quinquennio della coabitazione con la sinistra. Una svolta totale, accompagnata da un segnale confortante, il ridimensionamento del Fronte Nazionale di Jean-Marie Le Pen, e da una tendenza che invece conferma la gravità della malattia del sistema politico e della società francese: il tasso record di assenteismo e la frammentazione del voto. Fenomeni che rendono comunque complesso e difficile il lavoro del governo di Jean-Pierre Raffarin e che puniscono oltre le previsioni la sinistra, tramortita dalla sconfitta di Jospin alle presidenziali e incapace di riordinare sia gli uomini, sia soprattutto le idee e i programmi. Tiene il partito socialista, ma franano comunisti e verdi.
Il 36 per cento di astensione, l’11,5 per cento a Le Pen e il 3 per cento all'estrema sinistra dicono che la metà dei francesi si è come ritirata dalla politica, mentre l'altra metà ha deciso di voltare pagina, affidando il proprio futuro ad una sorta di monarchia repubblicana che, in sintonia con i fondamenti della Costituzione, ristabilisce la simbiosi fra presidenza ed esecutivo, ma che, in questo caso, rivela un'eccezionale concentrazione del potere.
Eletto con l'82 per cento dei suffragi, Jacques Chirac disporrà in parlamento di una forza stimata in oltre 400 seggi, mentre l'opposizione della sinistra «disunita» oscillerebbe fra i 127 e i 192 seggi.
Naturalmente, trattandosi del primo turno e delle proiezioni non definitive, qualche avvertenza è d'obbligo. Le percentuali potranno essere corrette dallo spoglio finale e le sfide del secondo turno potranno introdurre qualche modifica nei rapporti di forza parlamentari. Ma la tendenza sembra netta ed irreversibile, anche perché le tanto temute sfide «triangolari» sono circoscritte ad una trentina di seggi.
Il voto di ieri è certamente figlio del terremoto del 21 aprile e della paura di Le Pen che si sono tramutati in una clamorosa quanto paradossale marcia trionfale di Chirac, considerato, alla vigilia della stagione elettorale, logorato dagli scandali e dalla lunga militanza nelle stanze del potere.
Ma la vittoria del centro destra ha sicuramente diversi padri: lo stesso Chirac, che ha impresso un effetto trainante alla contesa legislativa; Alain Juppé, il «presidente ombra», il «direttore d'orchestra», che ha saputo costruire rapidamente l'unità delle diverse formazioni della destra; Jean-Pierre Raffarin, il primo ministro, che, in poche settimane, ha offerto ai francesi l'immagine di un caposquadra più vicino alla periferia che ai Palazzi di Parigi, bonario e rassicurante come piace al grande e anonimo ceto medio e così pragmatico da accompagnare il successo di ieri con preoccupate dichiarazioni sull'assenteismo e sulla crisi di fiducia del Paese. Come un Trapattoni della politica, Raffarin ripete ai francesi e a se stesso «non dire gatto se non l'hai nel sacco». Non tanto perché ci sia incertezza sulla vittoria definitiva di domenica prossima, quando per il compito che lo attende nei prossimi cinque anni.
La Francia che dovrà governare non è soltanto quella rappresentata nell'Assemblea nazionale, ma quella che in questi mesi ha espresso bisogni e attese contraddittorie e difficilmente conciliabili. C'è un Paese che chiede liberismo, efficienza, decentramento, lotta alla criminalità e un Paese che vuole difendere il modello statalista e protezionista. C'è la Francia degli esclusi che ha votato Le Pen o ha voltato le spalle alla politica e la Francia che ha paura dell'Europa e della mondializzazione.
Con l'unione delle destre e le parole d'ordine usate nella campagna elettorale, Chirac e Raffarin hanno messo in pratica, con astuzia e velocità, le regole e le tendenze che oggi decidono i destini della politica in Europa: tasse, sicurezza, immigrazione. Nello specifico, hanno capitalizzato il fenomeno Le Pen, trasformando il pericolo sociale nel biglietto vincente di quella strana lotteria che è il sistema elettorale francese. Tutto il contrario della sinistra che, come in un suicidio collettivo, ha assecondato gli errori strategici di Jospin riproducendo confusione e litigiosità in quella che doveva essere la rivincita. Uno psicodramma che rischia di protrarsi nei prossimi mesi, oscillando fra il sentiero di una decisa scelta riformista e le tentazioni del lamento massimalista. Le prime dichiarazioni, dopo la sconfitta, agitano l'argomento più facile: la concentrazione del potere e i rischi per la democrazia. Un potere che proprio la sinistra ha regalato a Chirac e una democrazia di cui Chirac, cantando la Marsigliese contro Le Pen, si è eretto a baluardo e a simbolo della Francia repubblicana.

Massimo Nava

nuvolarossa
10-06-02, 18:37
IL VOTO PER LE POLITICHE. Le forze filo-Eliseo a un passo dalla maggioranza assoluta. Alto astensionismo. Domenica i ballottaggi

La Francia «obbedisce» a Chirac
Al primo turno trionfa il centrodestra. Sinistre al 35%. Le Pen in calo

Parigi

Il centrodestra esce vincente dal primo turno delle legislative svoltesi ieri in Francia per il rinnovo dei 577 seggi dell’Assemblea Nazionale. Le sinistre, malgrado un’importante perdita di voti, riescono ad arginare la sconfitta pronosticata, mentre la grande sorpresa viene dal Front national di Jean Marie Le Pen che ha registrato un consistente arretramento. Ma passata la paura, dopo l’elettrochoc del successo di Le Pen al primo turno delle presidenziali del 21 aprile, il «sussulto repubblicano» non c’è stato, e circa 36 francesi su 100 sono rimasti a casa invece di recarsi alle urne. La Francia sonnacchiosa politicamente si sveglia ormai solo per seguire con il batticuore la Nazionale di calcio. In realtà da sempre c’è uno scarso interesse per la politica, che si accentua ad ogni appuntamento elettorale; basti pensare che alle legislative del ’97 (quando vinse la gauche plurielle guidata da Lionel Jospin) l’astensionismo fu del 32,08%, non lontano dal record del 33,9% del 1988. In ogni caso, il presidente Jacques Chirac si è rivelato un rullo compressore: la coalizione filo-Eliseo - Ump e Udf - ha schiacciato le sinistre (43,8 contro 35,5% il risultato provvisorio) e ha messo una grossa ipoteca sulla vittoria ai ballottaggi di domenica prossima. In particolare l’Ump, (l’Unione per la maggioranza presidenziale), la principale forza di centrodestra, voluta da Chirac, in cui sono confluiti gollisti, liberali e centristi, ha ottenuto il 34,5 dei voti.
Secondo le prime stime, l’Ump avrebbe grandi probabilità di avere la maggioranza assoluta nell’Assemblea nazionale dopo il secondo turno. Questa è fissata a 289 seggi e se il secondo turno, che avrà luogo domenica prossima, conferma l’attuale tendenza, l’Ump otterrebbe tra 380 e 446 seggi e questo senza dover far appello ad altre formazioni come l’Udf, il partito di centro di Francois Bayrou. Quest’ultimo ha sempre rifiutato di entrare nel grande partito d’unione vicino a Chirac e cercherà adesso di mercantteggiare la sua partecipazione nella maggioranza governativa.
Le sinistre ricevono il 36,8 per cento dei suffraggi. Tra i partiti che costituivano la «sinistra plurale» del governo Jospin , l’unico che rialza nettamente la testa è il Partito socialista con 27-28 di voti. Il Partito comunista è invece in grande difficoltà perché ha ottenuto meno del 5 per cento dei suffragi e rischia di non poter mantenere un gruppo parlamentare indipendente all’Assemblea nazionale per il quale è necessario avere almeno 20 deputati. Anche i Verdi hanno subito pesanti perdite e dovrebbero avere meno di dieci deputati. La sinistra unita avrebbe al massimo 192 seggi su 577 nell’Assemblea nazionale. In quella uscente, eletta nel 1997, le sinistre avevano 319 deputati. I risultati dell’estrema sinistra trotzkista , con 3 per cento mostra un ridimensionamento di queste forze che nel primo turno delle presidenziali avevano ottenuto oltre al 10 per cento.
Altro grande sconfitto di queste elezioni è il Movimento per i cittadini di Jean Pierre Chevenèmeni. Chevenèment, dissidente socialista, non è riuscito a trovare degli accordi con la sinistra per presentare dei candidati unici e oggi rischia di scomparire totalmente.
La grande sorpresa resta comunque l’arretramento del Front National, che ha ottenuto meno del 12 per cento, una perdita di quasi 5 per cento nei confronti ai risultati ottenuti dal loro leader, Le Pen che il 21 aprile aveva raccolto il 17 per cento. In questo modo, il Front national sarà presente in 30-35 circoscrizioni nel secondo turno. Risultato ben lontano da quello annunciato: Le Pen sperava di essere presente al ballottaggio in 300 circoscrizioni, mentre gli osservatori prevedevano l’estrema destra presente in almeno 100 duelli o sfide «triangolari».
Ieri sera, i rappresentanti del centrodestra si sono guardati dal fare delle dichiarazioni trionfaliste in attesa del secondo turno mentre la sinistra spera in una grande mobilitazione del suo elettorato per il 16 giugno, visto che sono soprattutto loro che non sono andati a votare ieri. Il premier Jean-Marie Raffarin si è già impegnato a «tener fede a tutti gli impegni presi dal presidente in campagna presidenziale, se il centro-destra vincerà i ballottaggi.

nuvolarossa
12-06-02, 18:57
Dalle elezioni francesi alla "terza via" di Tony Blair

Forse sarà solo un caso - o magari la sottile astuzia della storia - ma è comunque significativo che proprio nel giorno in cui la sinistra francese celebrava il suo funerale, in Gran Bretagna Tony Blair dichiarava "inutile" l'Internazionale socialista.

Il disegno di Blair è lucido e guarda in più direzioni. Il premier inglese considera praticamente conclusa la parabola del socialismo, sepolto come il comunismo dal sisma politico-ideologico provocato dalla caduta del muro di Berlino. La sinistra, per tornare ad essere maggioritaria anche nei paesi dell'Europa continentale, deve recuperare il rapporto con una parte dell'elettorato e delle forze politiche che oggi si ritrovano negli schieramenti di centro-destra.

Perché questo sia possibile, è necessario che la sinistra modifichi le sue priorità e il suo stesso approccio verso i problemi, come d'altro canto proprio Blair ha fatto in Gran Bretagna. Mettendo in angolo il vecchio armamentario della socialdemocrazia e attingendo a piene mani alla cultura e alla tradizione del liberalismo, in particolare di quello anglosassone.

Ma il premier inglese va oltre. Guarda all'altra sponda dell'Atlantico, al rapporto tra gli Stati Uniti e la Vecchia Europa: nella consapevolezza che senza questo rapporto, e i processi di modernizzazione che ne derivano, l'Europa rimarrà, appunto, "vecchia"; e quindi marginale.

Tony Blair candida quindi la Gran Bretagna - e probabilmente se stesso - ad essere ponte tra le due rive del "lago Atlantico", attraverso quell'Internazionale dei democratici che può sedurre anche gli americani, del tutto refrattari invece al socialismo nelle sue varie edizioni.

Una visione politica di grande respiro, che conferma le doti di statista e di innovatore del premier inglese. Ma che per ora non trova molti consensi nella sinistra europea, dove lo stesso Prodi - che pure non proviene dalla famiglia socialista - è molto più attento agli equilibri dell'Europa continentale, e in particolare di quella renana, di quanto non lo sia nei confronti di correzioni e visioni "atlantiche".

Per non parlare, naturalmente, dell'Italia. Dove la sinistra si va radicalizzando e i suoi uomini più moderati non trovano di meglio che aggrapparsi al salvagente socialdemocratico. Al punto che Folena, qualche mese fa, intendeva proporre l'espulsione di Blair dall'Internazionale socialista; e cioè da un organismo che il premier inglese considera, probabilmente a ragione, "inutile".


Roma, 12 giugno 2002
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tratto dal sito web nazionale
http://www.pri.it

nuvolarossa
17-06-02, 21:36
Re Chirac trionfa: centrodestra a valanga
DALL'INVIATO A PARIGI

FRANCESCO ROMANETTI

Niente. Non c'è il «riequilibrio», disperatamente invocato dalla sinistra all'indomani del primo turno. O, se c'è, è proprio piccolo piccolo. L'Unione per la maggioranza presidenziale (Ump, il partitone di centrodestra raggruppato intorno al presidente Jacques Chirac) fa il pieno, incassando tra 360 e 378 deputati. In teoria potrebbe anche fare a meno dei 21-25 seggi degli alleati centristi dell'Udf. A sinistra - dove sono cadute teste eccellenti - sono dolori. Con i socialisti che portano in parlamento tra 155 e 160 deputati (ne avevano 248); con il Partito comunista che un po' si consola eleggendo all'Assemblea Nazionale tra 20 e 22 deputati superstiti (e quindi conservando un gruppo parlamentare autonomo), ma piange la decapitazione del presidente del partito, Robert Hue, trombato per soli 244 voti; con una doccia fredda che gela i Verdi, che strappano appena 2 o forse 3 seggi. Dalla parte opposta della barricata, addio spauracchio Le Pen: il risultato del Fronte Nazionale estremista e xenofobo è zero. Niente deputati fascistoidi. Manco uno, manco una. Non la spunta nemmeno Marine Le Pen, la cocca di papà che a Lens, nel Pas-de-Calais aveva qualche chance di riuscita.
Si sgolava Francois Hollande, il segretario del Partito socialista, rieletto (almeno lui!) in Correze, in un ballottaggio a rischio. «Andate a votare - diceva - fermiamo l'uragano della destra, attenti a uno Chirac con pieni poteri». Macché. Fiasco. Mai così in pochi sono andati alle urne: solo il 61%. E così in appena una settimana l'astensionismo batte un altro record. Era al 35,6% il 9 giugno, è arrivato al 39% ieri. L'elettorato di sinistra non si è mobilitato, non ha risposto all'appello. Perso per perso, non ha dato una mano a perdere meglio. E ora si terrà super-Chirac. Un significativo premio di consolazione viene però da Parigi. Eccezionale il risultato della capitale, che resta «rossa». Anzi, diventa un po' più «rossa»: in assoluta controtendenza, la sinistra parigina guadagna tre deputati (erano 9 nel '97, ora sono 12). Effetto-Delanoe, il sindaco socialista che quindici mesi ha conquistato il Municipio parigino dopo un secolo di potere conservatore.
Ma la Francia non è Parigi. Detto in numeri accorpati: il centrodestra ha tra 399 e 402 seggi contro i 175-178 della sinistra. Per la verità non è proprio la più estrema delle ipotesi che si avvera: i sondaggi della vigilia attribuivano fino a 466 seggi per la destra e una pattuglietta di 111 deputati alla sinistra. Ma non è nemmeno il «riequilibrio» sperato. «Una sconfitta onorevole», la definisce Hollande. «E ora - aggiunge - ci tocca rimettere in piedi la sinistra». Il presidentone Jacques Chirac gongola. Il «suo» centrodestra raggiunge in pieno l'obiettivo: solidissima, debordante, la conquista del parlamento. L'Ump ha ben oltre la maggioranza assoluta (è di 289 seggi sui 577 che formano l'Assemblea Nazionale). Numericamente, per il primo ministro Jean Pierre Raffarin sono assicurati sonni tranquilli. E buonanotte, se ne parla nel 2007. Occhiali sul naso, davanti ad una claque che intonava la Marsigliese, ieri sera Raffarin ha detto la sua. Col solito stile contenuto: «Ha vinto il progetto di Chirac». Quasi come se lui non c'entrasse. «A noi sta assicurare il nostro impegno. Lavoreremo per migliorare la vita dei francesi. Ma l'opposizione sarà, ovviamente, rispettata. Grazie a tutti». Allons enfants.
L'«uragano di destra» che ha sconvolto la Francia in una giornata canicolare, fa da ghigliottina a sinistra. Man mano che arrivano i dati, si aggiungono necrologi. Cade la testa, in ballottaggio a Lille, dell'ex ministra socialista Martine Aubry, madame 35 ore, eroina della migliore stagione del governo Jospin. Giù la testa di Jean Pierre Chevènement - e ben gli sta, pensano in molti - ex ministro ed ex socialista, tra i maggiori responsabili, col suo fantomatico «polo repubblicano», del fiasco di Lionel Jospin alle presidenziali. Testa mozzata per Dominique Voynet, dinamica leader dei Verdi. Rotola nel fango, a Belfort, la nobile capoccia di Raymond Forni, presidente socialista dell'Assemblea Nazionale uscente. Lotta fino alla fine come un leone spellacchiato e ferito, deciso a vendere cara la pelle, il compagno Robert Hue, leader del partito comunista: prima è dato per vincente, poi - a tarda sera - spietato contrordine: decapitato anche lui, per soli 244 voti. Scalogna rossa.
L'effetto moltiplicatore del sistema maggioritario a due turni è carogna: serve proprio ad armare la mano del boia. E a rimpicciolire lo schieramento perdente. Quello che esce fuori è un partito mangiatutto, che ha rastrellato seggi a man bassa. «Partito-mostro», dice la sinistra, che lancia l'allarme sul rischio di un «regime del presidente». In realtà nelle mani di Jacques Chirac c'è ora non solo il governo, che domina Camera e Senato. Chirac controlla il Consiglio Costituzionale, può contare sulla fedeltà della maggior parte dei consigli regionali, ha fatto a sua immagine e somiglianza tutti gli organismi di controllo, come l'authority per le telecomunicazioni. Mai - e nemmeno stavolta - dal 1981 i francesi hanno confermato i governi uscenti. Raffarin è avvertito. Ma se ne parla nel 2007.

nuvolarossa
01-07-02, 19:07
E´ IL GIORNO DELLA PRESENTAZIONE DEL SUO PROGRAMMA DAVANTI AL PARLAMENTO

Raffarin, mercoledì il «battesimo del fuoco»

PARIGI. Si avvicina il battesimo del fuoco per il premier francese Jean-Pierre Raffarin, che mercoledì terrà il suo primo discorso davanti al Parlamento, presentando il suo piano di azione per i mesi futuri. Il capo del governo ha tenuto a scrivere egli stesso il suo intervento, avvalendosi dei documenti preparati dai suoi consiglieri. Raffarin rivelerà il calendario delle riforme che ha intenzione di cominciare per svolgere il suo mandato e per applicare il programma presidenziale di Jacques Chirac. Successivamente, sulla base dell'articolo 49 della Costituzione, Raffarin assumerà la responsabilità del suo governo su questo programma d'azione. Forte della fiducia del presidente francese e di una popolarità intatta, alla guida di una maggioranza di quasi 400 deputati, il primo ministro è cosciente di aver delle aspettative alle quali deve rispondere. In particolare, il programma di Raffarin si articola su tre temi fondamentali: ristabilire l'autorità repubblicana, liberalizzazione del settore energetico e dialogo sociale. Tra le sue promesse la creazione di un milione di nuove imprese entro cinque anni. Sul piano delle tasse: una riforma della tassa sulla casa, la diminuzione delle imposte sulle imprese, la diminuzione dell'Iva per gli alberghi, i ristoranti e i beni culturali. Con l´adozione da parte del Parlamento della Finanziaria che prevederà una diminuzione del 5 per cento di tasse sui redditi del 2002. E infine la riforma delle legge sulle 35 ore.

ApBisco
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...Ma questi Repubblicani Francesi....hanno un programma di Governo che....assomiglia molto a quello di Berlusconi....e della Coalizione di Governo di cui facciamo parte !

nuvolarossa
14-07-02, 13:01
LA FESTA NAZIONALE ALL´INSEGNA DEL PRESIDENTE

Quattordici luglio La Francia incorona re Jacques Chirac
Dopo un avvilente 19 per cento al primo turno delle presidenziali ha collezionato una serie di trionfi e controlla i vertici dello Stato

corrispondente da PARIGI

Alexandre Ristin ha sedici anni, ne aveva tredici quando stava facendo surf nell'oceano della Bretagna e non esitò un istante a sfidare le onde per raggiungere e salvare due ragazzi che stavano annegando. Philippe Naudy, 39 anni, pompiere della Mosella, era nel suo giorno di libertà quando si trovò davanti a una casa in fiamme e sentendo le grida di aiuto che venivano dall'interno anche lui non esitò un istante a buttarsi nel fumo per salvare una donna inferma. Alexandre e Philippe oggi a mezzogiorno, insieme ad altri 3 mila 998 francesi «comuni e coraggiosi» varcheranno il cancello dell'Eliseo, invitati speciali al «garden party» del 14 luglio, festa della repubblica, ma oggi, soprattutto, festa del nuovo re di Francia, Jacques Chirac. E' un nuovo Chirac, infatti, quello che oggi alle 13 comparirà in tivù per pronunciare il più inedito dei discorsi presidenziali: quello del suo nuovo potere assoluto, una presidenza che assomiglia ad una monarchia, tutte le leve del potere nelle sue mani. Tre mesi di choc elettorale gli hanno consegnato una macchina perfetta e indiscussa, i posti chiave dello Stato sono occupati dai suoi uomini, a cominciare dal primo ministro, Monsieur Jean-Pierre Raffarin da Poitiers. «Choix de la présidence», scelta del presidente, è la nuova formula magica attraverso la quale passa ogni decisione di Stato. «Respecter la posture ordonnée par lo chef de l'Etat», rispettare la posizione del capo di Stato, è la necessaria postilla che ogni ministro usa per spiegare qualunque decisione, dall'annuncio della costruzione di una nuova portaerei all'aministia per le contravvenzioni stradali. Jacques Chirac ha preparato il suo 14 luglio con quattro giorni di riposo a Quiberon (Finistère) capitale della «thalasso terapia» e si dice nei corridoi dell'Eliseo che è tornato «straordinariamente in forma, reattivo, ringiovanito». E non si può non ripensare alla formidabile gaffe di Lionel Jospin, a metà campagna elettorale, quando disse che il suo avversario gli appariva «stanco, affaticato e invecchiato». Jospin sta per compiere 65 anni ma è ora in pensione; Chirac, che ne ha 70, invece celebra il suo surreale trionfo. Giusto un anno fa era nel cuore della bufera sugli «affaires», la sua personale tangentopoli e gli toccò trasformare il discorso del 14 luglio in un attacco al governo di sinistra per scansare le bordate che gli arrivavano da tutte le parti. Si inventò un «pschitt!» per dire che l'affare dei milioni e milioni di biglietti aerei intestati a lui e famiglia si sarebbe sgonfiato. Aveva appena coniato un «abracadabrantesque» per definire le accuse sul suo coinvolgimento nei finanziamenti illeciti del partito neo-gollista. Riuscì a tacere in tivù sull'origine dei fondi segreti del partito rifugiandosi in un «risponderò più tardi alla sua domanda» rivolto all'intervistatore e confidando sul galateo francese che impone di non porre per due volte la stessa questione se non si è avuta risposta. E arrivò a dire: «Non accetto di rispondere alla convocazione di un giudice». Tre mesi fa aprì la sua campagna elettorale nella difficile banlieue parigina di Mantes-la-Jolie dove i giovani arabi lo coprirono di sputi accogliendolo al grido di «Supermenteur», il super bugiardo secondo la maschera che ne aveva fatto una trasmissione satirica di Canal+. Il 21 aprile raccolse il più misero risultato elettorale di un presidente in carica: 19 per cento. Ma lo choc della qualificazione al ballottaggio del fascista Le Pen in luogo del socialista Jospin, gli ha regalato il surreale ruolo di salvatore dei valori repubblicani e, nel secondo turno, l'82 per cento dei voti francesi. Da «Supermeteur» Jacques Chirac s'è trasformato ora in uno «Spiderman» che nella sua ragnatela ha ingabbiato la Francia e i suoi poteri. La Costituzione della Quinta repubblica gollista lo ha innalzato al rango di monarca repubblicano. Le istituzioni sono permeate dai suoi uomini che, ha raccontato a Libération un parlamentare di destra, «sono talpe del presidente: tutto vedono, ascoltano e riferiscono». Il parlamento (399 seggi su 577) è in mano al nuovo partito che s'è formato nel suo nome: Unione per la maggioranza presidenziale. Ai vertici della magistratura e del Consiglio costituzionale ci sono i suoi. A capo della Dst, i servizi segreti interni, ha piazzato il suo fedele Pierre de Bousquet de Florian dopo che il predecessore Jean-Jacques Pascal fu sospettato di passare informazioni riservate sul conto del presidente al primo ministro Jospin. Oggi sugli Champs Elysée si svolgerà la tradizionale parata, ospiti d'onore 163 cadetti di West Point in omaggio agli Stati Uniti colpiti l'11 settembre e Jacques Chirac avrà accanto un'altra sua creatura, il nuovo ministro della Difesa Michèle Alliot-Marie, ex fervente presidente del partito chiracchiano, una che quando le hanno chiesto che cosa aveva imparato in campagna elettorale da Chirac, ha risposto: «A far pipì ogni volta che è possibile perché gli impegni sono stressanti». La Marsigliese sarà suonata e cantata nella sua versione più solenne, come non accadeva da anni, già ieri tutta Parigi fremeva di tricolori. Stanotte fuochi d'artificio alla tour Eiffel. Oggi alle 12 il giovane Alexandre Ristin, il pompiere Philippe Naudy e altri 3 mila 998 coraggiosi francesi saranno ricevuti all'Eliseo e sarà il trionfo della «France d'en bas», della Francia moderata, popolare e provinciale secondo lo slogan del primo ministro Raffarin, che il 16 giugno ha votato contro l'élite parigina, tecnocratica e statalista di Lionel Jospin. E per il re Chirac sarà una bella festa.

Cesare Martinetti

la_pergola2000
14-07-02, 14:19
Vive la france - Vive la repubblique
Speriamo che questa rivoluzione dal basso sia un bel viatico per un governo che ancora si deve esprimere compiutamente.
La cohabitation c'est finie et nous attendant un Gouvernement accompli.
Fraternel salutations.

nuvolarossa
14-07-02, 17:51
Oggi, 14 luglio 2002.....festa della Repubblica Francese.......per informazioni sul movimento rivoluzionario (1789 - 1799) che abbatté la monarchia assoluta francese e segnò nella storia europea il passaggio dall'epoca moderna a quella contemporanea......clicca qui

http://www.palamito.net/wqs/rivoluzionefrancese.htm

nuvolarossa
15-07-02, 18:09
Mazzini e i riformisti francesi

Jean-Yves Frétigné, Mazzini et les réformismes français solidariste et socialiste, in « Rassegna storica del risorgimento”, anno LXXXVIII, fasc. II, aprile-giugno 2001
Di notevole interesse il saggio di Frétigné sul rapporto tra Mazzini e i riformisti francesi. Intanto appare curiosa la genesi di questa ricerca. L’autore sta svolgendo studi sulla figura di Napoleone Colajanni e “scopre” che il siciliano ritiene ancora attuale il pensiero di Giuseppe Mazzini. Di qui la curiosità verso un personaggio davvero poco conosciuto nella Francia, a differenza di Garibaldi e di Cavour. Nel paese d’Oltralpe forse ha pesato, soprattutto sulla sinistra, la convinzione di aver fornito, con la Rivoluzione francese, “il modello nazionale universale”. Il pensiero del genovese non ha perciò trovato né gli adepti che lo divulgassero, né le riviste che facessero da cassa di risonanza. Eppure Frétigné, pur prendendo come riferimento solo Dei doveri dell’uomo (sarebbe importante estendere l’analisi ad altre opere, ad esempio alle riflessioni mazziniane sulla democrazia) riesce a comporre un ampio “parallelismo” fra il pensiero del genovese e “le solidarisme”, per poi espandere il ragionamento all’intero quadro riformista. In comune, intanto, la concezione che il motore (e il fine) della storia sia il progresso. Ne discende una prassi condivisa secondo cui i cittadini (che devono potersi liberamente esprimere con il suffragio universale) diventano tali solo dopo una libera, volontaria e cosciente adesione. Naturale la “convergenza contro il dispotismo bonapartistico” nella consapevolezza che l’esercizio dei diritti democratici, implica, sia per la concezione mazziniana, sia per quella “solidariste”, la soluzione del problema sociale secondo le spirito dell’associazionismo all’insegna di una continua interazione tra i diritti e i doveri.
Naturalmente sussistono anche punti divergenti: lo stesso termine “solidarietà” assume diversi significati negli scritti di Mazzini e in quelli dei radicali francesi. Per il primo rinvia continuamente a un’etica, nei secondi va piuttosto riferito alla sociologia, alle innovative scoperte nei campi scientifici. È nota, d’altronde, la critica di Mazzini al “catechismo positivista” di Comte che avrebbe negato “l’aspirazione a Dio”. Altrettanto significativa, e puntualmente evidenziata da Frétigné, “la belle formule” mazziniana secondo cui “noi non siamo quaggiù per creare l’Umanità ma per continuarla: possiamo e dobbiamo modificarne, ordinarne meglio gli elementi costitutivi, non possiamo sopprimerli.” A chiarire non una rottura, ma una continua “conquista”, una aspirazione all’elevazione dei singoli e della società.
Siamo convinti che questa meritoria e interessante ricerca non costituisca affatto un punto di arrivo; ma auspichiamo sia un punto di partenza per mettere in luce altre “affinità elettive” per quanto concerne (solo per citarne alcune) la concezione repubblicana tout court, gli studi sulla democrazia, il processo di edificazione dell’Europa.
s.m.
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TRATTO DA.....:
http://www.domusmazziniana.it/ami/
Il Pensiero Mazziniano

nuvolarossa
18-07-02, 01:00
Una sinistra che è una somma di sigle

"Non è soltanto il Partito socialista, è tutta la sinistra da ricostruire dopo il trauma del 21 aprile e il grave rovescio che è logicamente seguito alle elezioni legislative". Sono parole di Michel Rocard, l'ex primo ministro di François Mitterand, che in un suo intervento su "Le Monde", del 9 luglio si chiede come uscire da una crisi che non è affatto una "sorpresa", ma il prodotto di una lunga serie di errori.

Con una base di partenza del 35 per cento del consenso popolare, la sinistra, nel suo insieme - parole di Rocard - "non ha alcuna possibilità di vittoria, prima di un buon decennio, e al prezzo di una ricostruzione completa".

Ricostruzione intesa soprattutto come strategia "raccordata ad un'analisi credibile" per rispondere alle molteplici sfide di un mondo economico e finanziario "ridivenuto instabile" e che genera paure sia in termini di protezione sociale e sia in termini di sicurezza.

E' un'analisi che a sinistra si aggiunge alle riflessioni di quanti, lontani dalle suggestioni dell'"altra sinistra", concordano con l'"eccezione Blair", il quale, sottolinea Rocard, "spiega …. rende conto .… e vince".

Blair come modello. Ma Michel Rocard, al pari di Massimo D'Alema, Giuliano Amato e quanti a sinistra si dicono liberal, ha poco seguito nei partiti della sinistra europea, compreso l'Uliv. Che è metafora di una Babilonia la quale a un credibile progetto politico per governare una moderna società industriale avanzata antepone l'aritmetica di sigle che, secondo Rocard, non hanno "né programma, né sostanza, né tradizione", ma soltanto l'appellativo "sinistra" in relazione alla "destra". Una "destra", peraltro, che in Europa (Spagna, Francia, Italia, Paesi Bassi, Irlanda e domani, quasi certamente, la Germania) sa ascoltare la società dal basso.

E' la ragione per cui, come ha scritto recentemente "Le Nouvel Observateur", "gli strati popolari hanno l'impressione che i partiti socialdemocratici sono arrivati ad una fine di ciclo e che non sono più portatori di quella cultura rivoluzionaria di cui parlava François Furet".

Rifugio di "élites inamovibili", questi partiti, e questa sinistra, fermi a contemplare il passato, sono incapaci di fare quello sforzo di rilettura delle nostre società su cui ridisegnare un progetto. E' a partire da questa diagnosi, secondo il settimanale della sinistra liberale francese, "che bisogna essere capaci d'invenzione politica". In Francia si tenta, da parte dei Rocard, dei Fabius, dei Dominique Strauss Khan di percorrere questa strada che ha bisogno di un "buon decennio". In Italia c'è il "macigno" Cofferati che ostacola questo cammino.

Roma, 17 luglio 2002
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tratto da
http://www.pri.it

la_pergola2000
12-03-03, 15:32
Oggi l'inviata della RAI a Berlino la giornalista Tersigni ci informa che il pacifismo del cancelliere viene da molto lontano, avendo perduto il padre nel calderone della seconda guerra mondiale e non avendolo mai conosciuto, ha della guerra un sentimento comprensibile e umano.
Questo suo sentimento l'ha profuso in questi giorni a tutto il popolo tedesco e dai dati si sa che il 91% dei tedeschi è contro la guerra, questo ci conforta viste le vicissitudini che il popolo tedesco con i suoi governanti, hanno fatto subire alle popolazioni dell'intera Europa.
E' un variazione del DNA di un popolo che vorremmo fosse allargato anche ai fondamentalisti islamici di tutto il mondo, ma fintanto che gli stati sono governati con il fondamentalismo e le dittature sarà difficile avere nel mondo un pò di pace.
Diverso è l'atteggiamento di Chirac, Chirac e con lui parte del suo popolo non sopportano l'egemonia americana, sia militare che economica e quindi si muove in questo momento per avere una leadership antiamericana, è una guerra per interposto problema e vedremo alla fine chi sarà il vincitore.
Sicuramente la Total-Fina ne uscirà dimensionata e il nuovo scenario nel Golfo sarà sempre più americano.
Ciao a tutti i fratelli della costa.

la_pergola2000
14-03-03, 15:32
ancora schroeder

oggi nella bundeswear il cancelliere ha presentato il suo programma dirisanamento dell'economia tedesca, questo è stato definito dal giornalista Di Giannantonio alle 13.30 una grande riforma, da quello che si è capito :
Ha organizzato l'art.18, ha diminuito il welfare, ha prodotto investimenti per le nuove imprese, cioè ha corretto quegli errori che il suo governo nella passata legislatura aveva prodotto, quel programma di correttivi dell'economia assomiglia molto al programma dell'attuale governo in italia, e non ne sono un sostenitore sperticato, ma dalle critiche che vengono da sinistra al nostro governo sembrava che in Germania si vivesse una stagione d'oro, dai fatti si è visto il contrario, il governo rosa-verde ha prodotto una disoccupazione dell'11%, indebitato la Germania, fatto diminuire le esportazioni e chi più ne ha più ne metta per un regime fallimentare.
Ora Schoeder propone la cura forte, e speriamo che ci riesca, nel frattempo però, ha obnubilato i tedeschi con il suo pacifismo, tentando di nascondere gli strappi nel bilancio statale.
La Francia gioca pesante e speriamo che le sue esportazioni e il suo commercio di petrolio irakeno subiscano un contraccolpo, così come per il vino e i formaggi.
Saluti a tutti.

la_pergola2000
16-03-03, 16:51
..........non volevamo screditare la Francia con le nostre speranze che il suo commercio estero e il commercio del petrolio irakeno subiscano un contraccolpo.
La Francia non deve essere mai screditata, ma una lezioncina ai suoi governanti ci vuole ogni tanto, Chirac forte del suo 75%, fa una politica da bucaniere tipica del '600, ed usa il pacifismo come merce di scambio, di fronte a questo cinismo Macchiavelli inorridirebbe.
Fa una politica ultranazionalista che non fa bene all'Europa e stranamente il duopolio Francia-Germania, ultimamente indebolito, ritorna in auge rendendo l'Europa più larga e proprio quando l'Europa allarga i suoi confini.
Siamo così rigidi con la Francia perche l'amiamo e senza la Francia una Europa non potrebbe esistere, ma cosa sarà dopo del presidente francese se in qualche modo dovesse arrivare ad un qualche successo internazionale?
Certamente farebbe pesare ancora di più la sua forza e la sua leadership, lo strappo continuo che provoca con i governanti europei sfilaccia i buoni rapporti che aveva con tutti, la sua aggressività economica si troverà a dover fare i conti con i governi che appoggiano l'America in questo frangente, anche non direttamente implicati nella guerra come l'Italia.
Ci sarà un buon futuro per l'Europa nel dopoguerra del golfo?
Sono solo considerazioni e non opinioni, ma credo che l'unità, come in tutti i casi umani, anche nella politica abbia dei cammini in comune e delle condivisioni specifiche e autocelebranti.
Saluti fraterni.

la_pergola2000
23-03-03, 15:46
Quando il giovanissimo tenentino Lafayette si presentò all'Hotel de Ville al rappresentante del giovane movimento rivoluzionario americano Beniamino Franklin, ad una domanda di Lafayette che si metteva a disposizione della rivoluzione americana, Franklin rispose: "Un così giovane ufficiale non può portare un qualche aiuto alla causa dei coloni americani, poichè le sorti della rivoluzione sono cadute molto in basso".
Rispose Lafayette:
" Che aiuto sarebbe se le sorti fossero favorevoli; un aiuto per essere efficace dovrebbe essere portato quando le sorti fossero sfavorevoli"
La risposta colpì positivamente Franklin che arruolò immeddiatamente il giovane Lafayette.
Egli diede un grande aiuto alla giovane repubblica e gli americani ne serbarono un imperituro riconoscimento nei secoli futuri.
Da allora la madre di tutte le repubbliche aiuta quei paesi del mondo nei quali la libertà, la democrazia, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, la libertà di religione e di culto sono minacciate.
Noi che siamo la posterità di quegli avvenimenti e ne abbiamo usufruito, ne saremo per sempre riconoscenti; e la Francia che deve tanto agli USA fa altrettanto?
Fraterni saluti.

nuvolarossa
24-03-03, 20:35
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De Gaulle sbagliava, mio padre no. L'Europa non è l'asse franco-tedesco

Spezzare l'unità del blocco occidentale nasconde la merce avariata dell'autoritarismo

di Giorgio La Malfa

E' stato osservato da più parti che, fra le conseguenze collaterali più gravi dell'azione americana di questi mesi, vi è la spaccatura in seno all'Unione Europea. In Parlamento, Fassino e Rutelli hanno ripetutamente mosso l'accusa all'Italia di aver indebolito l'Europa firmando, insieme con la Gran Bretagna, la Spagna e un certo numero di paesi dell'Europa dell'Est, un documento alternativo a quello franco-tedesco. In sé l'accusa è curiosa in quanto il documento franco-tedesco ha preceduto il contro-documento e dunque sarebbero semmai Chirac e Schroeder a dover rispondere della divisione europea. Tuttavia la critica si spiega se si ritiene, secondo una opinione convenzionale, che l'integrazione europea si identifichi con il superamento dello storico contrasto franco-tedesco e non possa che essere costruita attorno alla Francia e alla Germania.

In realtà, il problema dell'identità europea è un problema reale. La sua definizione dovrebbe in un certo senso costituire la premessa dei lavori della Convenzione chiamata a disegnare le istituzioni politiche dell'Unione Europea a 25: come si fa a decidere di condurre insieme la politica estera se non si è definita in precedenza una piattaforma comune circa la collocazione dell'Europa nel mondo, il rapporto con gli Stati Uniti, la Russia, il Medio Oriente e così via? In questo senso la crisi irachena sta agendo come una cartina al tornasole di una questione mai affrontata esplicitamente e sulla quale, come si vede in queste settimane, vi sono visioni divergenti.

Riflettendo su questi problemi ed in particolare sui rapporti fra l'Europa franco-tedesca e la Gran Bretagna e fra l'Europa e gli Stati Uniti mi sono tornati alla mente due libri: uno, del 1944, di Alain Peyrefitte, nel quale egli riferisce il contenuto dei suoi frequenti colloqui con il generale De Gaulle (C'etait De Gaulle, Fayard 1994), l'altro, un libro che raccoglie gli scritti di mio padre contro il generale De Gaulle (Contro l'Europa di De Gaulle, Edizioni di Comunità, 1964) che sembrano riferirsi alla situazione di oggi.

In una conversazione del gennaio 1960 , De Gaulle dice a Peyrefitte che, finché i paesi europei resteranno divisi, essi saranno "una preda facile per i russi. A meno che gli americani non li proteggano". Per questo "la loro scelta è fra essere colonie russe o protettorati americani. Si capisce che abbiano preferito la seconda. Ma devono unirsi per sfuggire a questa alternativa… Bisogna cominciare da un nocciolo duro, da ampliare poi alla Spagna, al Portogallo, all'Inghilterra, se essa si stacca dal Commonwealth e dagli Stati Uniti, e domani chissà la Polonia ed altri, quando la Cortina di ferro si solleverà". A quella visione di un'Europa che deve unirsi per liberarsi dal protettorato americano, rispondeva aspramente mio padre, nel gennaio del 1963, all'indomani della conferenza stampa con la quale il generale De Gaulle aveva posto il veto all'ingresso dell'Inghilterra nel Mercato Comune: "La polemica schiettamente nazionalista del generale De Gaulle pone una inaccettabile distinzione fra la motivazione fondamentale della politica degli Stati Uniti, accusata di neocapitalismo colonialista nei confronti dell'Europa, e la motivazione fondamentale di una presunta intesa di ‘terza forza' delle patrie europee". E aggiungeva: "In questo modo, il generale frattura coscientemente l'unità spirituale del blocco occidentale, per sostituire stoltamente all'idea forza della democrazia occidentale un anacronistico ed inconsistente spirito di nazionalismo europeo, che nasconde in realtà la merce avariata dell'autoritarismo e sarà sempre costituzionalmente privo di qualsiasi richiamo ideale". L'idea di fondo del generale – si legge ancora - è quella di "staccare l'Europa dall'America, costituirla in blocco autonomo spezzando l'alleanza atlantica, trattare direttamente con l'Unione Sovietica".

Nelle recriminazioni sulla divisione dell'Europa frequenti nelle polemiche di questi giorni emerge la visione gaullista dell'Europa: un'Europa non alleata degli Stati Uniti, ma unita per fare da contrappeso ad essi. E in questo quadro assume un rilievo particolare, e preoccupante, che alla Francia ed alla Germania si unisca la Russia.

L'idea che si formi un triumvirato franco-tedesco-russo è di quelle che non possono essere lasciate maturare senza una adeguata riflessione: basta pensare a quali preoccupazioni una simile prospettiva non potrebbe non suscitare nelle fragili democrazie dell'Europa dell'est, in paesi come la Polonia, per comprendere le ragioni per le quali i polacchi prendano parte oggi all'azione militare anglo-americana in Iraq.

Credo che lo scontro fra "due concezioni all'interno della vita europea" del quale parlava mio padre negli anni Sessanta, conservi una piena attualità e imponga a un paese come l'Italia una riflessione attenta.

Nel dibattito parlamentare di mercoledì scorso – condividendo la valutazione espressa dal governo circa la legittimità giuridica e l'opportunità politica dell'azione militare anglo-americana – ho detto che potevo convenire sulla non partecipazione italiana all'azione solo in ragione delle responsabilità della presidenza di turno della Ue che l'Italia assumerà fra poche settimane e quindi dell'esigenza di operare per riunire ciò che si va dividendo. E tuttavia, credo sia indispensabile domandarsi se davvero pensiamo che l'ideale unione europea per la quale i democratici italiani si sono battuti nel dopoguerra sia, parafrasando Thomas Mann, una Europa franco-tedesca.

diGiorgio La Malfa
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nuvolarossa
25-03-03, 14:18
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Statua della Libertà
Petizione per restituirla a Parigi

di ALESSANDRO JANTUS

Quattromila americani hanno già firmato una petizione on-line chiedendo al Congresso degli Stati Uniti di restituite la Statua della Libertà alla Francia.
L'iniziativa è stata lanciata via internet da Joshua Wander che propone anche di boicottare tutte le imprese francesi che operano negli Stati Uniti.
«Lady Liberty era un dono di amicizia internazionale della Francia, ma adesso è il momento di restituirla.
Molti pensano che sia una follia, ma io penso che sia il momento di mandare un segnale forte ai francesi per la loro opposizione alla guerra in Iraq» ha spiegato ieri Wander nel corso di un'intervista televisiva concessa alla «WTAE», un'emittente locale della Pennsylvania.
La colossale statua, raffigurante una donna che sorregge con il braccio destro una torcia simbolo della libertà che illumina il mondo, fu costruita in Francia per sottoscrizione popolare in occasione del centenario dell'indipendenza americana.
«La statua è uno dei simboli più universali dell'indipendenza politica e della democrazia, ma è anche un grande simbolo dell'America. Proviamo a dimenticare chi ce l'ha regalata» sostiene il senatore repubblicano Arlen Specter che ha subito criticato l'idea di Wander di restituire Lady Liberty.

la_pergola2000
15-04-03, 15:21
OGGI LA POLITICA CHIRACCHIANA HA RICEVUTO UN DURO COLPO
DE VALLEPIN TELEFONA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO ITALIANO PER UN APPROCCIO NEL DOPOGUERRA.
VALEVA GIOCARE CON LA POLITICAI NTERNAZIONALE IN QUEL MODO?
VALEVA METTERSI CON PUTIN?
VALEVA FAR VISITA ALLA SIRIA PER SENTIRSI DIRE CHE BUSH E' COME HITLER E DOVER RISPONDERE CHE NON E' ESATTAMENTE COSI'?
E TUTTO QUESTO PER POI RIAPPACIFICARSI.

L'ITALIA DEV E ESSERE L A PRIMA A RICUCIRE CON LA FRANCIA PERCHE' DEVE FARSI DIMENTICARE QUELLO CHE GLI ABBIAMO FATTO NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE.
E NON SOTTOLINEARE CHE QUELLO CHE HA FATTO L'HA FATTO NELL'ANNO IN CUI SI VOTA LA COSTITUZIONE EUROPEA

VALEVA LA PENA?

nuvolarossa
18-04-03, 22:24
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI220.jpg
... continua il "divide et impera" di Francia e Germania ...
http://www.frangipane.it/frangibanner234.gif (http://www.frangipane.it/index.html)

nuvolarossa
17-10-03, 19:31
La Nota Politica
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Passi avanti all'Onu

Gli Usa riscuotono un successo importante ma le distanze restano

Formalmente gli Stati Uniti e George Bush hanno ottenuto un successo nella sessione dell'Onu di San Bernardino, ma i problemi che hanno segnato i rapporti fra i principali alleati atlantici non si possono certo ancora dire risolti.

Il "Corriere della Sera" scrive, a ragione, che si tratta di un primo passo, anche se non siamo in grado di dire se vi sia anche un "lungo elenco di pentiti", vale a dire i vari paesi membri dell'Onu, come sostiene il corrispondente diplomatico Franco Venturini. E' vero che le nazioni impegnate nella votazione di ieri, Siria inclusa, hanno riconosciuto la necessità di una presenza militare a comando unificato per il ripristino della sicurezza in Iraq. Solo questo sarebbe sufficiente a rendere meno lontano il divario con gli altri partner che l'intervento Usa aveva prodotto. Ma davvero non si comprende come, senza l'invio di truppe e senza un aiuto economico diretto, Francia e Germania possano contribuire al riaffermarsi della sovranità irachena sul territorio in tempi brevi. Di fatto, senza il contributo concreto di queste due nazioni, il principale contingente resta quello americano. Se è positivo che i nostri soldati prolunghino la presenza accanto alle truppe angloamericane, abbiamo già visto che le attuali forze sul campo non bastano. Senza un impegno pieno della Francia e della Germania, i tempi per la normalità dell'Iraq non possono che restare lunghi.

Ma non riteniamo affatto che gli americani si siano pentiti; loro avrebbero voluto una compartecipazione immediata degli eserciti dell'alleanza della prima Guerra del Golfo. Oggi, la posizione ostinata dei francesi e dei tedeschi congela questa situazione. Sono però i francesi ed i tedeschi in contraddizione nel volere risultati pur non mettendo a disposizione i mezzi adeguati a raggiungerli. Non certo gli Stati Uniti.

Sicuramente non siamo allo scontro frontale, e questo può consentire di salvare i reciproci orgogli con l'iniziativa diplomatica che è in atto. Il problema è che Europa e Usa hanno tempo davanti per appianare i contrasti, molto più tempo di quello che i militari impegnati in Iraq ed i cittadini iracheni, vittime innocenti del dopo guerra, possono permettersi.

Roma, 17 ottobre 2003

nuvolarossa
01-11-03, 13:15
Maria Grazia Meriggi, L’invenzione della classe operaia. Conflitti di lavoro, organizzazione del lavoro e della società in Francia intorno al 1848, Milano, Franco Angeli, 2002, pp. 324, euro 21,00

Si tratta di una approfondita ricerca su l’Organisation du Travail e l’Association che hanno operato per costruire strutture partecipative atte a garantire la tutela dei diritti di base dei lavoratori.

tratto da http://www.domusmazziniana.it/ami/

nuvolarossa
12-12-03, 02:46
La Nota Politica
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Ricostruzione in Iraq

Francia, Germania e Russia: una protesta davvero singolare

Lascia francamente interdetti il disappunto con il quale Francia, Germania e Russia hanno reagito alla decisione USA di coinvolgere nelle commesse e negli appalti relativi alla ricostruzione dell'Iraq solo 63 paesi, quelli cioé che non si sono opposti alla guerra. Si tratta - è bene precisarlo - di progetti finanziati dal Pentagono, e quindi con risorse USA.

E' probabile che la sortita di Bush rappresenti solo un'arma di pressione nei confronti di quei tre stati e che alla fine un'intesa si trovi. E' già prevista tra l'altro la visita a Parigi di James Baker, l'uomo che il presidente americano ha incaricato di coordinare la ricostruzione dell'Iraq.

Resta il fatto che il disappunto dei tre paesi è veramente singolare. Hanno ostacolato in ogni modo la liberazione del popolo iracheno dalla dittatura di Saddam Hussein (con il quale, dobbiamo dedurre, erano in buoni rapporti di affari): prima giocando al rinvio nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, poi dissociandosi platealmente dalle iniziative militari angloamericane a cui hanno negato ogni sostegno, anche solo politico. Conclusa la fase bellica, si sono rifiutati di inviare truppe che provvedessero alla bonifica del territorio e alla sicurezza del paese, neppure dopo che le Nazioni Unite ne hanno autorizzato l'impiego. Alla conferenza dei donatori, che si è tenuta a Madrid, si sono rifiutati di partecipare con propri mezzi al fondo necessario alla ricostruzione. "Né un soldato né un dollaro per l'Iraq", è stato il loro motto, neppure sottaciuto.

Ma ora che la ricostruzione comincia a decollare i nodi vengono al pettine. Per quale motivo gli Stati Uniti dovrebbero coinvolgere paesi che continuano a frapporre ostacoli diretti o indiretti alla democratizzazione dell'Iraq in iniziative imprenditoriali che sono per di più finanziate dai contribuenti d'oltreatlantico? Ma davvero pensano, Francia, Germania e Russia, che gli americani e i loro alleati, quelli cioè che rischiano uomini e risorse, siano una confraternita di beneficenza, pronta ad accollarsi tutti gli oneri e a dividere con gli altri tutti gli onori? Lo ripetiamo: a stupirci non è la decisione di Bush, semmai è proprio il disappunto degli esclusi.

Roma, 11 dicembre 2003

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

la_pergola2000
19-12-03, 15:15
dov'è in italia il sogno del mondo laico?
Proprio in questi giorni che in Italia si votava sulla fecondazione eterologa in Francia con un gran colpo di scena Chirac ha evidenziato il carattere laico della Repubblica Francese vietanto di portare il velo nelle scuole da parte delle donne mussulmane.
Ne crocifisso, ne chador, questo è il ne.ne che ci piace, e la risoluzione della Francia Repubblicana sta proprio a dimostrare che è la lezione laica che tutti vogliamo, siamo tutti uguali di fronte allo stato, sia cristiani che mussulmani.
Nel nostro privato facciamo quello che ci piace.
L'ostentazione della propria religione o del propio censo, deve essere visto come una arroganza e una prevaricazione nei confronti di altre religioni, per cui il mondo laico insegna a come stare fra uguali.
Strano che nessun dibattito sia nato sul forum, fra tanti laici!!!!
E nemmeno in televisione se ne è parlato? o mi sbaglio?
Ciao a tutti.
Vive La France! Vive la Republique

http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI372.jpg

nuvolarossa
05-03-04, 21:02
la nota politica
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Gauchisti e terrorismo

Una campagna indegna del direttore di Le Monde a difesa di Cesare Battisti

Il direttore de "Le Monde" Jean Marie Colombani ha spiegato a Radio 1 i motivi per i quali il terrorista rosso Cesare Battisti è stato rimesso in libertà dalla giustizia francese.

Battisti sarebbe stato condannato in Italia da un "tribunale speciale" e il terrorismo sarebbe stato generato dalla mancanza di libertà che vigeva negli anni ‘70 nel nostro paese. Battisti non si è in verità pentito per gli omicidi commessi, ma avrebbe fatto intendere che non ne è poi tanto fiero ed infine, argomento decisivo, a fronte dell'azione proditoria di dichiarare guerra ed invadere un paese indipendente come l'Iraq, è senza senso volersi accanire contro chi ha commesso dei reati più di vent'anni fa. A parte il fatto che saremmo stati anche curiosi di sapere il punto di vista del direttore Colombani sulla detenzione di Priebke, ci siamo domandati in che mani sia finito un quotidiano prestigioso come "Le Monde". Dalla lettura del quale, si evince che Cesare Battisti è "un romanziere", o "un attivista italiano", non certo un assassino. Crediamo che l'intelligenza guachiste abbia toccato il punto più basso della sua parabola, perdendo completamente di vista le ragioni della giustizia ed anche il senso della storia.

E vogliamo sperare che le procedure di estradizione di questo personaggio lo riportino nel nostro paese per espiare i crimini che ha commesso, secondo la nostra legge, propria - Colombani magari non lo sa - di uno Stato democratico che, posto sotto assedio da un pugno di criminali si è difeso come meglio ha potuto. L'asilo politico che la Francia ha offerto ad una serie di ricercati italiani, non è stato un atto di nobiltà, ma la vergogna di una nazione che ha perso la bussola, confondendo estremisti pericolosi e dannosi con eroi della libertà e proteggendoli al di là di ogni comune senso del pudore. C'è una mancanza di rispetto verso i caduti della guerriglia del terrorismo che ha insanguinato l'Italia, oltre che verso le sue leggi, che mai come in queste giornate ci è parsa intollerabile. E sorprende che non vi sia nemmeno un dubbio nel sostenere i propri argomenti da parte di un grande organo di informazione che pure si è accorto che nessuno in Italia ha difeso la figura di questo individuo. Per la semplice ragione che essa è indifendibile.

Roma, 5 marzo 2004

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

jmimmo82
08-03-04, 12:32
Tratto da "Libero":

Il paradosso di Parigi, linea dura per i loro terroristi

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI - Ciascuno ama la giustizia in casa altrui. C’è una storia giudiziaria tutta francese che rende d’attualità la riflessione del filosofo Rousseau ed evidenti alcuni paralleli con la vicenda dell’ex terrorista Cesare Battisti. Anche la Francia ha conosciuto, in misura più breve e contenuta, il fenomeno del terrorismo. Negli anni Ottanta, Action Directe organizzò un’impressionante serie di attentati e omicidi, a volte in collegamento con terroristi italiani e con la Raf tedesca. Vennero presi di mira ministeri, caserme di polizia, istituzioni, sedi internazionali, imprese pubbliche e private. Fra le vittime, il generale della Nato René Audran, il generale dell’esercito francese Henri Blandin, il presidente della Renault George Besse, il vice presidente del Consiglio nazionale del patronato, Guy Brana.
E anche la Francia mise in atto una legislazione d’emergenza che prevedeva accentramento dei processi a Parigi, carcere speciale e isolamento. Misure messe fra parentesi all’inizio della presidenza di François Mitterrand, il quale promosse la liberazione dei detenuti politici dell’epoca e, poi, rinforzate quando il terrorismo tornò a colpire con gli episodi più sanguinosi.
Anche i terroristi di Action Directe non pensavano di vivere nella «patrie de l’homme», in una democrazia in cui le sinistre unite erano andate al potere. Per Action Directe, come l’Italia per i brigatisti nostrani, la Francia di Mitterrand era il fulcro dell’oppressione capitalistica, dell’apparato finanziario e militare internazionale, da disarticolare, colpendone i suoi gangli vitali.
Le analogie finiscono qui. La Francia si mostrò «patrie de l’homme» con i nostri terroristi, non con i suoi. Anche dagli anni di piombo francesi è trascorso molto tempo. Ma il bisogno o la giustezza di «voltar pagina» sono rimasti una traumatica riflessione italiana, senza riscontri simili in Francia, nemmeno fra gli ambienti intellettuali insorti sul caso Battisti.
I capi storici di Action Directe vennero arrestati nel 1987. Nathalie Ménigon, Joelle Aubron, Jean-Marc Rouillan e Georges Cipriani sono stati condannati a diversi ergastoli e ad anni di isolamento che tutt’ora stanno scontando. Nello stesso periodo, Battisti riparava in Francia dopo la latitanza in Messico. La coscienza civile francese ha chiuso il capitolo e non risulta che gli ex terroristi italiani rifugiati in Francia grazie alla «dottrina Mitterrand» siano stati mossi da coraggiosi sentimenti di solidarietà nei confronti dei più sfortunati «colleghi» francesi.
Poche voci isolate hanno denunciato la loro condizione. «Diversi elementi provano che il trattamento riservato ai prigionieri di Action Directe è contrario alle norme internazionali» è scritto in un rapporto di Amnesty International, redatto dopo diversi anni di cella d’isolamento che, sempre secondo Amnesty, hanno gravemente compromesso lo stato di salute fisico e mentale dei condannati. Le restrizioni riguardano posta, visite, rapporti fra gli stessi detenuti.
Nathalie Ménigon e Jean-Marc Rouillan si sono sposati in carcere, ma per molto tempo non si sono potuti incontrare. La donna, nei giorni dell’arresto di Battisti, ha cominciato uno sciopero della fame nella speranza di richiamare l’attenzione sul suo caso. Georges Cipriani, detenuto nel carcere di Ensisheim (Alto Reno), ha passato diversi periodi in ospedale psichiatrico e, sempre secondo il rapporto di Amnesty, sarebbe persona incapace d’intendere e volere.
«Le misure cui sono sottoposti i detenuti configurano un trattamento crudele, inumano e degradante». A Nathalie Ménigon, che soffre di gravi problemi cardiovascolari, è stato impedito di tenere in cella un gattino. «La vittoria nel caso Battisti - auspica Alain Krivine, europarlamentare, membro della Lega Comunista Rivoluzionaria, figura storica del Maggio parigino e attivista in difesa dei detenuti di Action Directe - potrà almeno facilitare migliori condizioni. La Francia li ha condannati con leggi speciali, ma fa eccezioni scandalose, come la scarcerazione di Maurice Papon, il responsabile della deportazione di migliaia di ebrei».
Sull’estradizione di Battisti la magistratura francese si pronuncerà nelle prossime settimane. Se l’ex terrorista potrà continuare a scrivere gialli nella «patrie de l’homme», si spera che quanti si sono battuti in sua difesa raccolgano almeno una firma per il gattino di Nathalie.

Massimo Nava

nuvolarossa
19-03-04, 15:59
MARC BLOCH

Sono molte le ragioni che consigliano oggi di riprendere in mano gli scritti di Marc Bloch (1886 – 1944) sia quelli di storia medievale sia quelli di storia moderna, ma, in particolare, “La strana disfatta” (Edizioni Einaudi 1995) pubblicato postumo dopo l’ultima guerra. In questo libro con la competenza e anche la pignoleria dello storico di professione Bloch analizza le ragioni che portarono la sconfitta disastrosa della Francia nel 1940 da parte dei Tedeschi. Il libro, scritto nell’imminenza dei fatti, consta di tre parti: la prima, più breve, dà notizia del percorso bellico e degli eventi personali dell’autore, la seconda analizza i comportamenti, le abitudini, i vizi burocratici dell’esercito francese e, soprattutto, degli stati maggiori presso cui Bloch era stato applicato con l’importante incarico dell’organizzazione dei rifornimenti di carburante. Nella terza parte Bloch indaga il retroterra politico e culturale della Francia di allora a partire da Monaco per arrivare alla disastrosa sconfitta del giugno ’40 con la conseguente costituzione della Repubblica di Vichy.
Gli appassionati di storia militare troveranno nel secondo capitolo molte considerazioni puntuali che si renderanno più sinteticamente esplicite nell’appendice relativa alla recensione di un libro del Generale Chauvineau scritto nel 1939 con la presentazione e l’incoraggiamento dello stesso generale Pétain. Da qui si apprende che la Francia fondava la sua strategia militare sulla superiorità delle armi difensive (artiglieria e mitragliatrici) e sulle difese fisse in cemento armato (Linea Maginot) scartando la guerra di movimento e considerando inutili e costosi non solo i carri ma anche la stessa Aviazione. Dietro a questa strategia c’erano le pressioni dei partiti di sinistra e dei pacifisti per una riduzione delle spese militari e una condotta non aggressiva della Francia nei confronti della Germania. Anche la grande industria, all’epoca piuttosto arretrata, ricavava di più da commesse non troppo tecnologicamente avanzate.
La parte però più interessante del famoso libro di Bloch è quella intitolata “Esame di coscienza di un francese” nella quale si analizza il contesto sociale, politico e culturale con il quale la Francia del ’39 affrontò, controvoglia, la guerra per difendere la democrazia e la libertà di tutta l’Europa. Un contesto, sia detto non tra parentesi, analogo a quello che viviamo oggi in Europa e particolarmente in Italia al punto che le considerazioni di Bloch potrebbero essere assai utilmente presentate ai marciatori della pace che in questi giorni, pur azzuffandosi l’un con l’altro affollano grandi manifestazioni.
“Mormoravano [i pacifisti] –li ho sentiti io stesso- che gli hitleriani non erano poi così cattivi come li si dipingeva, che tante sofferenze sarebbero state risparmiate se invece di rispondere alla invasione con la violenza avessimo loro spalancato le porte” scrive Marc Bloch “poiché la parola che predicavano era un vangelo di apparente comodità, i loro discorsi trovarono facile eco negli istinti indolentemente egoistici che, accanto a più nobili virtualità, riposano in ogni cuore umano. Entusiasti, spesso non privi di coraggio, non sapevano di forgiare dei vigliacchi. A prova del fatto che la virtù, quando non si accompagni ad una critica rigorosa dell’intelligenza, rischia sempre di compromettere ciò cui essa aspira maggiormente”.
Ci auguriamo che nel corso delle manifestazioni pacifiste dirette da Agnoletto e Casarini nulla accada di grave perché in questo caso, a oltre sessant’anni di distanza, ci si adeguerebbe psicologicamente a quelle folle francesi che a Poitiers malmenavano gli artiglieri che avevano aperto il fuoco sui Tedeschi o “abbattevano le barricate che gli uomini del 274° reggimento di fanteria avevano eretto mentre il sindaco s’incamminava verso i Tedeschi con una bandiera bianca in mano”.
Marc Bloch, ebreo per nascita (senza trarne “né orgoglio né vergogna”), professore alla Sorbona entrato nella Resistenza fu fucilato dai nazisti l’8 marzo del 1944. Cadde gridando “Viva la Francia”.

Giacomo Properzj

nuvolarossa
29-03-04, 21:41
La Nota Politica
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Elezioni in Francia

Il profondo malessere continentale chiamato moneta unica europea

Dopo la lezione spagnola, ecco quella francese. Il crollo del governo Raffarin, sconfitto in 21 regioni su 23, è stato per lo meno l'effetto di una bomba intelligente, visto che i militari francesi sono sparsi a protezione degli affari del loro Paese in quasi mezzo mondo, ma in Iraq non hanno mai messo piede.

Ma allora come è possibile che la prudente Francia, il cui governo ha giudicato fin dal primo momento l'intervento angloamericano come lesivo della sovranità internazionale e al di fuori della legittimità, abbia chiesto una svolta così netta?

La nostra idea è che le maggioranze di governo nei principali Paesi europei stiano pagando la difficile gestione della moneta unica. Chiunque si cimenta con i suoi effetti viene bocciato, indipendentemente se sia pacifista o meno, come dimostra la crescita - quasi zero - di tutti i Paesi della Comunità. La Spagna, che faceva quasi eccezione con il suo più 0,9, ha trovato le mezze bugie di Aznar dopo l'attentato per far precipitare la sua maggioranza. Ma pochi mesi fa è stato il socialdemocratico Schroeder, anch'egli contrario all'intervento in Iraq, ad aver perso le elezioni regionali, a testimonianza di un profondo malessere continentale che si chiama euro.

Ormai tutte le popolazioni dell'Europa hanno fatto i conti con la moneta unica e si sono accorte che essa non mantiene le promesse fatte; non solo, ma che i vantaggi ottenuti sono nulla in confronto agli svantaggi procurati. Se prima i sacrifici erano comprensibili per giungere al riparo della moneta unica, ora non si capisce per quale ragione devono essere ancora sostenuti. Da qui si sviluppa il dissenso che colpisce i governi, indipendentemente dalla parte che sostengono. Tanto è vero che i principali governi coinvolti nelle varie débacle elettorali avevano già tentato, attraverso l'Ecofin, di modificare le condizioni del Patto di Stabilità per garantirsi una maggiore possibilità di manovra economica. Fino a quando si troveranno impegnati nel braccio di ferro con la Commissione europea e dovranno sottostare alla politica di alti tassi della Banca centrale europea, pensiamo che non avranno speranze: uno dopo l'altro capitoleranno, inevitabilmente, sull'altare del solo feticcio della stabilità monetaria e della sua supposta autorevolezza.

Roma, 29 marzo 2004

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
31-03-04, 09:44
ALAIN MINC

«Francia e Italia, i due grandi malati immobili d’Europa»

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

PARIGI - Basta entrare nel suo ufficio, in avenue Gorge V, per percepire che Alain Minc, 55 anni, è davvero il «guru» più ascoltato, il termometro del clima politico francese. Fra telefonate, consulenze e incontri discreti con quelli che contano, il politologo e saggista di successo analizza la Francia uscita dalle urne di domenica scorsa: l'onda rosa che boccia i tentativi di riforme del governo Raffarin.

La destra senza consenso, la sinistra senza progetto, chi può fare le riforme e cambiare la Francia?

«Le riforme sono state presentate dal governo non come una necessità nell'interesse generale, ma come la purga che si dà ai bambini. Una cosa terribile e dolorosa. Questo corrisponde a un'assenza totale di visione dell'avvenire e capacità di persuasione. Di conseguenza, la sinistra ha avuto buon gioco nel presentarsi come una forza di rigetto e difesa. Questo è drammatico, perché impedisce alla stessa sinistra di elaborare un progetto. Le basta dire no per vincere le elezioni con il 50 per cento dei voti. La sinistra potrebbe aprire un dibattito sulla sua leadership, ma non sui programmi. Chi vorrà candidarsi all'Eliseo non correrà il rischio di dividere la base e giocarsi il consenso su scelte programmatiche. Il risultato di queste elezioni è elaborazione zero per la sinistra e immobilismo della destra».

Ma tutti riconoscono che la Francia ha bisogno di riforme, altrimenti si condanna alla regressione.

«E' il dramma del nostro Paese. Nessuno può toccare nulla, anche se buona parte della società è matura per il cambiamento e la modernizzazione. Il problema è che tutti i francesi pagano il prezzo del "sistema Chirac", un modello di gestione social corporativa del Paese. La stagione della destra con una visione liberista è ormai lontana. Il presidente, come mentalità e carattere, è un radicale, un populista di sinistra. La sua politica spinge la sinistra più a sinistra. Tutto il panorama francese è anomalo, perché pende a sinistra da almeno vent'anni. Con un governo che fa una politica di centrosinistra, che cosa può fare la sinistra? Ridando l'incarico a Raffarin, anziché a Sarkozy, questa logica paralizzante si perpetua».

La questione non è solo francese. Tutta l'Europa discute di riforme, deficit di bilancio e modifiche dello Stato sociale.

«Con qualche importante differenza. Schröder sta facendo le riforme e perderà le elezioni. Aznar ha fatto le riforme e le ha perse, per motivi diversi. Ma destra e sinistra sono d'accordo sulle riforme e la trasformazione di Spagna e Germania è in atto. Francia e Italia sono i due grandi malati immobili, perché sono immobili i governi di destra. Chirac e Berlusconi, in fondo, si assomigliano nella concezione del potere per il potere. Un populismo senza coraggio e senza idee».

L'impressione è che in Francia molte categorie, a cominciare dal pubblico impiego, siano aggrappate al modello di Stato provvidenza e si oppongano con ogni mezzo al cambiamento. Questo spiega anche la bocciatura sistematica del governo in carica, sia di destra, sia di sinistra.

«Con un messaggio chiaro e coraggioso da parte di chi ha la responsabilità delle scelte queste difese sarebbero superabili. Il pubblico impiego ha accettato alcune riforme. La riforma delle pensioni è passata. Il problema è che il governo ha accontentato le clientele, con regali fiscali dai tabaccai ai ristoratori, nella logica chiracchiana di tenersi buone le corporazioni».

In sostanza, un governo responsabile dovrebbe fare le riforme e perdere le elezioni?

«Non si tratta di distruggere il modello europeo di garanzie e di diritti. Rispetto agli Stati Uniti abbiamo scelto maggiore protezione e meno competitività. Si tratta di rendere il modello più compatibile con le dinamiche demografiche e con la spesa pubblica. Per salvarlo. Sono necessari correttivi che la gente è pronta ad accettare, anche in Francia. Si tratta di avere il coraggio di proporli, anche se il rischio è di perdere le elezioni. Ma se la preoccupazione è solo il potere...».

Dopo la batosta, la coppia Chirac-Raffarin trarrà le conseguenze?

«Credo di no. Chirac è una macchina elettorale per la gestione del potere. Raffarin è un uomo senza l'esperienza, in ogni caso è politicamente morto. L'unico terreno in cui è riuscito è quello del decentramento. Il suo alibi è che l'azione del governo è stata paralizzata dal lassismo di Chirac».

Perché Chirac ha confermato Raffarin?
«E' una scelta tranquilla, per prendere tempo. Se avesse nominato Sarkozy avrebbe dovuto fare i conti con una nuova coabilitazione di potere. E' un'altra dimostrazione della crisi del nostro modello istituzionale: una monarchia repubblicana senza possibilità di autentico ricambio».

In che senso?

«In una democrazia parlamentare, il risultato delle elezioni avrebbe aperto una crisi politica e un confronto fra diversi livelli di potere. In Francia, tutti attendono che cosa decide Chirac. Il popolo ha inviato un messaggio e il presidente non ne tiene conto. Il primo ministro è un fusibile del presidente. Il suffragio universale in Francia è un suffragio consultivo. Sono preoccupato del livello del nostro degrado istituzionale e del fatto che pochi se ne rendano conto».

Qual è il futuro del «monarca»?

«I prossimi anni saranno un calvario».

Massimo Nava

nuvolarossa
06-06-04, 10:45
VERITA’ STORICHE E SGARBI ALL’ITALIA

di SERGIO ROMANO

Spiace dirlo, ma la superiorità e la noncuranza con cui il presidente del Consiglio Berlusconi ieri, durante la sua conferenza stampa con George Bush, ha commentato l’assenza dell’Italia alle celebrazioni per lo sbarco in Normandia non è del tutto convincente. Un ambasciatore, Pietro Quaroni, diceva spesso che la politica estera italiana è quasi sempre una «politica della sedia». La presenza, per l’Italia, ha sempre contato più della effettiva e sostanziale partecipazione all’evento.
Dal congresso di Berlino del 1878 (quello che presiedette alla spartizione di una parte considerevole dell’Impero Ottomano) uscimmo, come disse il ministro degli Esteri dell’epoca, con «le mani nette», ovvero a mani vuote. Ma fummo presenti, e questa divenne da allora la preoccupazione dominante della diplomazia italiana. Ogni conferenza internazionale fu da quel momento un «certificato di esistenza in vita». Occorreva esserci, a costo di partecipare con politiche vaghe o confuse. Anche a Berlusconi, quindi, sarebbe probabilmente piaciuto essere in Normandia oggi nel gruppo di coloro che festeggiano insieme uno dei più grandi eventi della Seconda guerra mondiale. Ma il presidente Chirac non lo ha invitato. Sorge spontanea una domanda. Ha voluto escludere l’Italia o Berlusconi? Ha pronunciato un implicito giudizio sul Paese o sulla persona che ne dirige in questo momento il governo?
Berlusconi offre a Chirac una via d’uscita e spiega la propria assenza dicendo che il presidente francese non sapeva dove collocare l’Italia. E’ plausibile. Fino a nove mesi prima dello sbarco l’Italia era stata, sul territorio francese, una potenza occupante. Ma il 13 ottobre 1943, dopo l’armistizio, aveva dichiarato guerra alla Germania ed era ormai cobelligerante. Non abbiamo combattuto in Normandia né da una parte né dall’altra e non apparteniamo al numero dei Paesi che parteciparono allo sbarco con piccoli contingenti militari o furono direttamente interessati dall’operazione Overlord. Non eravamo quindi, in quella particolare circostanza, né occupanti né liberatori. Una buona ragione, secondo Chirac, per escludere dalle celebrazioni il rappresentante del governo italiano. Berlusconi avrebbe potuto rispondergli che i francesi erano per certi aspetti in una posizione non troppo diversa dalla nostra. Avevano un governo collaborazionista a Vichy e un governo in esilio rappresentato dal generale de Gaulle. Disponevano di un corpo militare, le Forze francesi libere, ma il generale Eisenhower non volle che partecipasse allo sbarco sotto comando indipendente. E si dice che il presidente Roosevelt, se gli inglesi non lo avessero dissuaso, avrebbe voluto installare a Parigi, dopo la cacciata dei tedeschi, un governo militare alleato.
Ma il problema è mal posto. La presenza del cancelliere Schröder e del presidente russo Putin conferisce alle celebrazioni un nuovo carattere. Nelle intenzioni del governo francese il D-Day non è più soltanto l’inizio dell’epilogo della Seconda guerra mondiale. E’ anche una grande festa di riconciliazione europea. Celebrando la vittoria degli Alleati, gli ospiti di Chirac festeggiano oggi contemporaneamente la fine delle rivalità europee e, grazie alla presenza di Putin, la fine della Guerra fredda: due momenti storici in cui l’Italia è stata drammaticamente presente. In questa prospettiva la sua assenza diventa ingiustificata se non addirittura insolente.
Occorre quindi cercare altrove. Secondo un articolo di Frederick Kempe apparso nel Wall Street Journal di avant’ieri, gli americani avrebbero perorato a Parigi la causa della presenza italiana, ma si sarebbero scontrati con un rifiuto diretto, anzitutto, a Washington. Con il suo sgarbo a Berlusconi Chirac avrebbe voluto dimostrare a Bush che la Francia non ha dimenticato le divergenze sull’Iraq e non intende accettare senza discutere le promesse americane sul futuro del Paese. E’ possibile. Ma è difficile dimenticare che il presidente francese non ha esitato, per rivendicare la propria indipendenza di fronte all’America, a colpire l’Italia. E’ giusto che un Paese dell’Unione trascuri a tal punto gli obblighi di lealtà e solidarietà che dovrebbero legarlo ai suoi partner?
Abbiamo cercato una spiegazione politica del mancato invito. Ma è possibile che la causa dello sgarbo sia soprattutto l’incompatibilità caratteriale dei due leader o, piuttosto, la loro somiglianza. Berlusconi e Chirac sono ambedue vanitosi, stizzosi, narcisisti e quindi inevitabilmente destinati a scontrarsi e a pestarsi i piedi. Per sapere ciò che accaduto dovremo aspettare le loro memorie o, meglio ancora, quelle dei loro camerieri. Peccato che Chirac, spesso afflitto da attacchi di «furia gallica», non si sia reso conto, ferendo Berlusconi, di fare uno sgarbo all’Italia.

Sergio Romano

nuvolarossa
07-06-04, 21:11
...

nuvolarossa
07-06-04, 21:26
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg

Iraq/La Malfa: e' la Waterloo dell'Ulivo

Prodi cerca qualche diversivo, ma ha sbagliato tutto

Prodi ora cerca qualche diversivo. Ma in politica estera il Listone ha sbagliato tutto. L'Iraq e' la Waterloo dell'Ulivo. Sono giudizi di Giorgio La Malfa, presidente del Pri, in un'intervista al Gr3 della Rai. La Malfa giudica ''inqualificabile'' la dichiarazione del presidente della Commissione europea secondo cui l'assenza dell'Italia in Normandia non e' uno sgarbo di Chirac ma il segno del nostro isolamento in Europa. ''Avendo perso la testa sulla questione dell'Onu, cioe' avendo, come presidente della Commissione Europea, preso una posizione che e' in contraddizione con gli interessi dell'Europa di vedere avviata la soluzione, alla ricerca di un qualche guadagno elettorale in Italia - spiega l'esponente repubblicano - Insomma, avendo sbagliato tutto, Prodi, invece di dire 'Ci siamo sbagliati, ci vergogniamo di aver fatto quella mozione, di aver fatto votare una mozione per il ritiro immediato dell'Italia' adesso cerca qualche diversivo''. La Malfa aggiunge che Prodi avrebbe potuto considerare la nuova risoluzione Onu una vittoria dell'Europa e non del presidente del Consiglio italiano ''se l'avesse detto nel momento in cui Berlusconi parlava da Washington. Ma dato che in quel momento hanno preso quella posizione irresponsabile di inseguimento di Agnoletto e di Casarin - osserva - la cosa migliore che possono fare Prodi, D'Alema e Rutelli, e' di tacere e chiedere scusa agli italiani per non avere capito nulla della situazione politica interna e internazionale''. ''Passi per chi non ha esperienza internazionale come possono essere D'Alema o Fassino - prosegue ancora La Malfa - ma che Prodi abbia ancora il coraggio di aprire bocca dopo che ha sbagliato tutto come presidente della Commissione Europea, e' una delle cose piu' ridicole di questo paese. Lo dico con passione perche' rimango esterrefatto che abbiano ancora la faccia di parlare''.

Roma, 7 giugno 2004 (ANSA)


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... quanto detto per Prodi vale anche per l'Mre che ha appoggiato la mozione di Bertinotti ... ecco perche' gli scissionisti, ex-repubblicani, sono scappati dal nostro Forum ... perche' non hanno argomenti validi da contrapporre alla nostra politica ... seria come sempre ... le idee chiare della sinistra ... e non osano argomentare su queste pagine perche' sanno che prenderebbero il "lesso" ... verbalmente inteso.

N.R.

nuvolarossa
18-07-04, 11:29
Dominique Barjot, Jean-Pierre Chaline, André Encrevé, Storia della Francia nell’Ottocento, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 507, euro 25,00

Storia di un secolo cruciale (dal 1814 al 1914) che vede la Francia impegnata nella transizione verso la modernità (industriale). L’analisi degli autore affronta principalmente la prospettiva economica, politica e socio-culturale.


tratto da IL PENSIERO MAZZINIANO
http://www.domusmazziniana.it/ami/

nuvolarossa
21-07-04, 11:25
...

nuvolarossa
23-08-04, 08:15
Cesare Battisti non è un uomo condannato per reati commessi in omaggio ad un¹idea politica. Battisti non è un problema politico.

Altri ve ne sono stati, donne e uomini condannati, in Italia, a molti e molti anni di galera, pur non avendo mai commesso reati di sangue, ma responsabili, secondo i tribunali, di aver fatto parte di bande armate ed insurrezionali. Taluni di loro sono stati e sono dei problemi politici, specie in un Paese ove dal carcere sono usciti, dopo pochi mesi, degli assassini nati, ma che si son detti pentiti.

Battisti ha ammazzato quattro persone, per compiere delle rapine. Diceva di avere un ideale politico, apparteneva ad un¹organizzazione terroristica di sinistra, ma è stato condannato per omicidio. Quadruplice omicidio.

I francesi lo hanno accolto e protetto, partendo dal demenziale assunto che la giustizia italiana lo stava perseguitando. La giustizia italiana funziona davvero male, e noi siamo i primi a criticarla duramente. Ma Battisti è
solo un assassino. Adesso, dopo che i giudici francesi avevano deciso di restituirlo all¹Italia, Battisti è scomparso. I francesi hanno un ottimo motivo per vergognarsene.

Davide Giacalone

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tratto dal Gruppo "I Repubblicani"
http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/850

jmimmo82
23-08-04, 18:54
C'é chi colleziona i francobolli, chi le monete, chi le farfalle e chi (come la Francia) i terroristi....

La dolce Francia....

nuvolarossa
23-08-04, 20:17
L’amarezza del rabbino Claude Zaffran: «Ho l’impressione di rivedere lo
stesso film con lo stesso copione»

Parigi, devastato il centro ebraico

Sui muri svastiche e scritte antisemite. Israele: «Un attacco infame»

di FRANCESCA PIERANTOZZI


PARIGI - «Sans les juifs, le monde est heureux», senza gli ebrei il mondo è felice, ha scritto una mano su un muro annerito di fumo nel cuore di Parigi. La gente si ferma in silenzio davanti ai locali bruciati del centro ebraico della rue Popincourt, una strada popolare dell’undicesimo arrondissement , a due passi dalla sinagoga di rue de la Roquette e dalla piazza della Bastiglia. Nelle tasche, i giornali della domenica ricordano in prima pagina i sessant’anni della liberazione di Parigi dall’occupazione nazista, le svastiche dipinte su quei muri evocano un’altra attualità.
L’incendio è stato appiccato intorno alle tre di notte di domenica. La pattuglia di guardia alla sinagoga era appena passata e non aveva visto niente di strano: alle tre e mezzo il centro ebraico era completamente in fiamme. Per fortuna non ci sono state vittime: a quell’ora i locali, tutti al piano terra, erano deserti e il fuoco non ha divorato i cinque piani di appartamenti del vecchio immobile. «I pompieri sono intervenuti subito: grazie a loro l’incendio non si è esteso al resto dell’edificio», ha detto il capo della polizia di Parigi Jean-Paul Proust. Nessun dubbio sull’origine dolosa delle fiamme: chi ha agito, ha lasciato la sua firma, disseminando scritte antisemite e simboli nazisti dovunque. Poi, a tarda sera anche una “firma” di rivendicazione tutta da verificare. La lascia su un sito internet islamico un gruppo finora sconosciuto che si definisce “Gruppo dei partigiani della Guerra santa islamica”.
Ieri mattina il rabbino della vicina moschea Claude Zaffran è stato tra i primi ad arrivare davanti alla grande porta in legno del centro sociale, dove ogni giorno venivano a mangiare un centinaio di persone in difficoltà e dove tanti anziani venivano a trovare compagnia. Il rabbino osserva in silenzio, costernato, indignato. L’eco dell’indignazione arriva anche da Israele. Il ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom si dice «preoccupato» per «l’infame attacco antisemita che si è verificato in Francia». In Italia, è stato il presidente della Camera Pierferdinando Casini a parlare di un «nuovo inquietante segnale di antisemitismo che non va affatto sottovalutato». «Purtroppo in Europa - aggiunge Casini - gli episodi di questo tipo si moltiplicano. Proprio per questo è necessario intensificare gli sforzi non solo sotto il profilo della prevenzione e dell'ordine pubblico, ma anche per la sensibilizzazione e la formazione della coscienza dei cittadini europei».
Dopo il rabbino Zaffran, al 5 rue Popincourt comincia la sfilata delle autorità. L’antisemitismo sempre più violento e sfacciato degli ultimi mesi: dieci attacchi dall’inizio dell’anno - questa volta colpisce nel cuore della capitale. Arriva il sindaco Bertrand Delanoe, poi il comunista Jacques Daguenet, poi il primo ministro Jean-Pierre Raffarin. Entra nei locali distrutti, guarda le croci uncinate. «La Francia darà prova di estrema severità» dice il primo ministro. Sul marciapiedi, promette punizioni: «Gli autori di tali crimini rischiano fino a venti anni di carcere. La Procura chiederà il massimo della pena». Nel giorno che celebra la liberazione - dice Raffarin - le croci uncinate dipinte su quei muri bruciati «sono un insulto al nostro Paese». Dall’Eliseo arriva un comunicato di condanna. Jacques Chirac esprime «la sua piena solidarietà ai responsabili e al personale del centro come pure all’insieme della comunità ebraica di Francia».
Il rabbino Zaffran accetta la solidarietà. Si dice «sensibile» alla presenza di tante autorità. Ma poi rilancia. «Ho l’impressione di rivedere lo stesso film con lo stesso copione - dice - al di là delle dichiarazioni e dei discorsi, ci dovrebbero essere degli atti forti per mettere fine a questa successione di azioni antisemite. Io stesso non mi sento affatto al sicuro. Attaccare gli ebrei è diventato un fatto quotidiano». Accanto a lui, il responsabile della comunità ebraica del quartiere non nasconde né il dolore né la rabbia. «Non abbiamo affatto risolto il problema; è un’evidente impotenza - aggiunge Serge Benaim - Soffro in quanto ebreo, ma soprattutto in quanto cittadino repubblicano». Il Consiglio delle Istituzioni ebraiche di Francia ha chiesto ufficialmente «alle autorità di fare il massimo per arrestare e condannare in modo esemplare i responsabili di un atto odioso che sfigura la Francia». «Li troveremo - ha detto il capo della Polizia - Presto o tardi saranno presi, anche se mancano testimoni e videocamere di sorveglianza».

nuvolarossa
31-08-04, 12:21
L’esempio di Parigi

Stefano Cingolani

I soliti francesi. Non lo diciamo con l’atteggiamento con cui i cugini d’oltralpe dicono «i soliti italiani», ma con sincera ammirazione. Il modo in cui hanno reagito al rapimento dei due giornalisti è «impeccabile». Dal mondo politico alla società civile, alle associazioni culturali, dai cattolici (il cardinale Lustiger) alle organizzazioni islamiche, si sono sentite tante voci cantare all’unisono, le voci di una nazione che ha fatto appello al suo «spirito repubblicano», come amano chiamarlo.
Intendiamoci, sull’Iraq la Francia (anche qui non solo il governo, ma l’insieme del Paese) ha commesso gravi errori di valutazione. Non tanto perché si è opposta alla guerra, ma per il modo in cui l’ha fatto, perché l’ha trasformata in una sorta di campagna di indipendenza contro «l’impero americano» e perché ha sottovalutato la portata della sfida del fondamentalismo islamico. Spesso, e lo scriviamo con rammarico, è mancata la solidarietà con Paesi della Ue impegnati in prima fila. Può essere comprensibile verso chi, come i britannici, hanno partecipato all’invasione dell’Iraq (anche se un maggior spirito europeo non avrebbe fatto male). Non nei confronti dell’Italia, che è intervenuta dopo la caduta di Saddam Hussein con l’obiettivo di partecipare alla stabilizzazione del Paese. In ogni caso, le critiche sugli atteggiamenti del passato non ci esimono dall’apprezzare la condotta attuale.
La legge che impedisce di portare il velo in classe (così come la croce o la kippah o qualsiasi altro segno che ostenti una adesione confessionale) non verrà ritirata, anzi, entrerà in vigore giovedì.

kid
01-09-04, 17:11
Da una cronaca del 1878, in un villaggio del nord del marocco, il comandante della legione straniera mandò un suo caporale alle autorità locali che recava scritto.
"Se non libererete i tre cittadini francesi catturati dai vostri predoni, impiccheremo altri cinquanta berberi chiusi nelle nostre galere. 50 li abbiamo già impiccati ieri, e continueremo fino a quando non avremo spazzato dalla vostra feccia le nostre galere".
Pensate alla faccia di Amr Mussa, segretario della lega araba, che certo conosce la storia, quando ha ricevuto il ministro degli esteri francesi supplicargli il suo aiuto! La Francia che non è più la Francia.

nuvolarossa
01-09-04, 23:45
La Francia umiliata

Hamas ed Hezbollah sostengono la liberazione dei reporter prigionieri

Tutto il mondo arabo è solidale con la Francia per la liberazione dei due giornalisti francesi ostaggi dei terroristi iracheni. Non solo le comunità musulmane in Francia e i governi moderati amici dell'Occidente, ma anche Arafat e la Jihad Islamica, Moqtada al Sadr e i comitati degli Ulema, fino ad Hezbollah. Da tutti proviene un unico coro a favore dell'amica nazione francese. Persino Hamas lanciava un appello per la liberazione dei reporter, appena dopo aver insanguinato Israele con sedici morti civili. Si tratta ora di sapere se i terroristi reputeranno la Francia degna della causa che sostengono, e libereranno gli ostaggi, oppure, nonostante tutto, riterranno la Francia non abbastanza amica. Resterebbe "la rabbia" per la legge sulla laicità. E in questo caso giustizieranno i giornalisti.

Vorremmo davvero che alla nostra amata Francia possa essere risparmiato il dolore della perdita di due vite umane. Ma non riusciamo a vedere come possa, questa grande ed orgogliosa nazione a cui noi italiani dobbiamo moltissimo, salvarsi dall'umiliazione più assoluta del proprio prestigio, poiché questo appare rattrappito proprio dalla solidarietà che gli proviene dall'integralismo islamico e dai gruppi terroristi che il mondo occidentale sta combattendo.

Da parte nostra eviteremmo poi di paragonare la vicenda del sequestro dei reporter francesi a quello del nostro povero Baldoni. Il governo italiano infatti non gode degli infiniti canali nel mondo arabo di cui dispongono i francesi e quindi ha potuto fare poco o niente in merito al sequestro. Senza contare che la nostra diplomazia non ha mai avuto una esperienza ed una tradizione coloniale degna di questo nome, come quella francese. Soprattutto l'Italia non coltiva e non ha coltivato interessi nell'Africa sub - sahriana, dall'Algeria alla Costa d'Avorio, come hanno fatto e fanno tuttora i francesi. Il governo italiano non ha nemmeno contatti con Hamas ed Hezbollah. Di conseguenza, la possibilità di intervento nella tragica vicenda Baldoni, sempre che davvero il freelance fosse stato catturato vivo, era molto limitata.

Questo limite può essere considerato anche un difetto, ma ci concede una certa dignità.

Roma, 1 settembre 2004

Lincoln (POL)
02-09-04, 14:16
ha dichiarato, in margine ad alcuni interventi sulla situazione internazionale provenienti da quelle file,che questa sinistra gli da il voltastomaco.

A chi lo dice!!!!!:(

nuvolarossa
28-09-04, 20:06
La Francia rema contro

Una conferenza internazionale con chi ti spara addosso

La posizione della Francia per ciò che concerne un'eventuale conferenza internazionale sull'Iraq è tale da far dubitare che se ne possa mai tenere una. Perché, a parte la richiesta sul luogo in cui la conferenza si debba tenere, che a noi sembra abbastanza irrilevante, ci sono due punti della sua proposta per lo meno controversi.

Il primo è quello che concerne la partecipazione di tutte le forze politiche irachene, ivi comprese quelle armate della resistenza. Il secondo, che tutte le forze militari straniere in Iraq si ritirino.

Se è ragionevole volere alla conferenza internazionale anche gli esponenti dell'opposizione irachena armata, anche perché altrimenti la pacificazione dell'Iraq non ci sarebbe, bisognerebbe chiedersi se i gruppi che la Francia considera resistenti abbiano una disponibilità di questo genere, e cioè se essi vogliano avere una voce in capitolo nel futuro del Paese, o invece puntino ad impedire che vi sia un futuro iracheno. Su questo - la Francia forse non se ne accorge - non c'è chiarezza. Il leader religioso al Sadr, che ha capeggiato la rivolta sciita, è disponibile a sedersi ad un tavolo di trattative, o il suo interesse è solo quello di inceppare la partecipazione degli sciiti al processo di democratizzazione? I francesi dovrebbero darci una risposta, se sono in grado. Dubitiamo però che al Quai d'Orsay sappiano anche dirci se al Sadr controlla davvero i suoi miliziani, perché spesso le sue intenzioni annunciate sono state smentite dai fatti. Poi, come sappiamo, non c'è solo al Sadr, ci sono anche i sunniti fedeli a Saddam. Chi tratta per queste bande? Hanno un comando unificato? I francesi sanno di una loro volontà ad una trattativa politica? Se sì, farebbero bene a dirlo. Avremmo un passo avanti significativo. La Francia invece sembra incline a credere che con il ritiro delle truppe "d'occupazione", tutto si possa risolvere. Non sarà invece proprio questa ipotesi lo scenario più agognato per regolare i conti fra sunniti e sciiti? O peggio, per un intervento diretto dell'Iran o della Siria, che non sono certo Paesi indifferenti a quanto accade nel groviglio iracheno? Se i francesi hanno elemento certi in proposito, sarebbe il caso di renderli noti. Altrimenti ci pensino bene, gli occidentali in Iraq, a ritirarsi prima di aver eliminato le sacche della guerriglia.

Roma, 28 settembre 2004

nuvolarossa
08-10-04, 10:47
La legge contro l’ostentazione dei simboli religiosi negli istituti pubblici colpisce il cappellano di un liceo di Tolone. La protesta del vescovo

Dopo il velo la Francia vieta la tonaca per i preti a scuola

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

PARIGI - Antoine Galand, cappellano in un liceo di Tolone, è la prima «vittima» cattolica della legge sulla laicità che proibisce l’ostentazione di simboli religiosi nelle scuole pubbliche della Francia. Controversa e lacerante nella società civile, oggetto di ricatto del terrorismo nella vicenda degli ostaggi, anche perché comunemente intesa come legge contro il velo islamico, non si può dire che non valga per tutti: allievi, professori e quindi anche insegnanti di religione. Padre Galand, che da anni è il consigliere spirituale del liceo, è stato invitato dai colleghi a non presentarsi più a scuola con la tonaca. «Non ci sembra giusto chiedere alle studentesse di togliersi il velo e ammettere un insegnante in abito da prete», ha detto un rappresentante del corpo docente.
Protesta il vescovo della regione, monsignor Rey: «Una circolare ministeriale del 1988 stabilisce che un servizio spirituale nei licei non contrasta con la libertà di coscienza dei membri della comunità scolastica». Ma la diatriba non riguarda la presenza del cappellano nella scuola, secondo una sensibilità condivisa dalla maggioranza di genitori e allievi, ma il suo abito.
Quello di Antoine Galand è il primo caso di dominio pubblico, ma si è appreso che altri 4 sacerdoti, nella stessa regione, sarebbero stati invitati ad una tenuta «corretta». Una decisione definitiva verrà presa dal consiglio d’istituto in novembre, ma intanto il caso di Tolone ripropone sul terreno concreto e quotidiano della vita scolastica l’enorme difficoltà di applicare alla lettera lo spirito di una legge che, per la materia che pretende di regolamentare, si presta, fino al grottesco, ad un’infinità di cavilli, casi personali e discrezionalità dei responsabili degli istituti scolastici. Anche la tonaca rientrerebbe nel criterio di «simbolo evidente» adottato dal legislatore, al pari del velo, della kippa o del turbante.
Se il caso di Tolone diventerà norma, i sacerdoti dovrebbero quindi portare giacca e pantaloni. La legge, entrata in vigore con il nuovo anno scolastico, è stata voluta personalmente dal presidente Chirac, nella presunzione di difendere il principio repubblicano della scuola laica e preoccupato per le derive comunitaristiche che minacciano il modello francese dell’integrazione. In realtà, i casi controversi di allieve che si sono presentate a scuola con il velo non sono più di un centinaio e le manifestazioni di protesta sono state contenute, a dimostrazione che la maggioranza dei milioni di musulmani che vivono in Francia è, almeno culturalmente, integrata.
La vicenda dei giornalisti tenuti in ostaggio in Irak e il ricatto fatto alla Francia per l’abolizione della legge ha versato acqua sul fuoco e apparentemente smorzato l’attenzione al problema. Che però continua a ripresentarsi in varie forme. A Saint Denis hanno protestato alcuni studenti della comunità sikh che vorrebbero continuare a portare il turbante. A Strasburgo, una ragazza alla quale era stato proibito il velo si è rapata a zero per protesta.
Ad Angers, una ragazza di 13 anni è stata la prima studentessa espulsa, dopo che l’iter di convincimento previsto dalla legge non aveva dato risultati.
La questione comincia ad interessare anche le università, dove la discrezionalità dei responsabili ha provocato rifiuti d’iscrizione a corsi e controversie nelle mense studentesche. I rettori hanno avviato l’elaborazione di un codice di comportamento che rischia di alimentare altre controversie, dato che la legge sulla laicità dovrebbe essere limitata alla sola scuola pubblica secondaria.
Nell’universo giovanile, il divieto è anche pretesto per reazioni che poco hanno a vedere con il problema religioso. Un settimanale si è divertito a fotografare le varie forme di veli e bandane portate dalle ragazze, per moda o per dispetto. Un sito internet ha annunciato una provocatoria sfilata di moda islamica.
C’è da aspettarsi la prossima diatriba : la burka sta alla modella come la tonaca al prete?

Massimo Nava

la_pergola2000
13-10-04, 02:28
La
Fancia e la sua politica internaZIONALE arrancano sempre più, gli ultimi sviluppi dimostrano come, anche cambiando ministro, non riesce a risolvere il problema dei suoi sequestrati.
Pareva che la sua leadership con il mondo arabo e islamico fosse unisona invece dimostra quella che è, la grandeur è solo un ricordo, le crisi interne dei partiti sia socialista che gollista sono sotto gli occhi di tutti, l'aggressività con cui l'Italia is presenta sui mercati internazionali la sconvolge. le 35 ore l'hanno spossata, il modo con cui affronta iproblemi interni, velo, tonache, sono appena il barlume della Francia democratica e civile.

Que reste - t -il de ce beauz jours

nuvolarossa
19-10-04, 11:23
Union européenne - Paris

Manifestation ce soir contre la nomination de Buttiglione

Le PCF organise un rassemblement contre le sexisme et l’homophobie.

PARIS - Ce soir mardi 19 octobre à 19 heures, devant la délégation des Communautés européennes au 288 du boulevard Saint-Germain à Paris (métro Assemblée-Nationale), le PCF organise un rassemblement pour protester contre les propos tenus par le commissaire européen désigné à la Justice, la Liberté et la Sécurité, lors de son audition devant le Parlement le 5 octobre dernier. « La famille existe pour permettre à la femme d’avoir des enfants et d’être protégée par son mari », avait déclaré le protégé de Silvio Berlusconi, après avoir qualifié l’homosexualité de « péché ».

« Ces propos d’un autre âge ne peuvent que peser négativement sur l’organisation des rapports sociaux et individuels, la construction des identités personnelles et collectives. C’est une pensée contraire à toute émancipation », indique le PCF qui précise que « cette vision du monde permet de justifier toutes les inégalités de salaires, de statut, de condition individuelle, les dominations et les discriminations sexistes, lesbophobes, homophobes, transphobes ». Une opinion loin d’être isolée quand on sait que, par 27 voix contre 26, la commission des Libertés publiques du Parlement européen a émis un avis défavorable à la candidature au poste de commissaire à la Justice de Rocco Buttiglione. Une majorité s’est également exprimée contre l’idée qu’il occupe un autre poste. En dépit de cette opposition de la commission des Libertés, le président de la Commission européenne, José Manuel Durao Barroso, « maintient sa confiance dans toute l’équipe, qui comprend bien entendu monsieur Buttiglione », comme l’a précisé sa porte-parole. Le président peut compter sur l’appui de la commission juridique qui, emmenée par un ami de Silvio Berlusconi, a émis un avis favorable à la nomination de Buttiglione. Barroso espère finalement décrocher la confiance du Parlement lors d’un vote qui se tiendra le 27 octobre prochain. Un véritable bras de fer est donc engagé, ce qui donne plus de raisons encore de faire entendre la voix de ceux qui s’opposent aux discriminations d’un autre âge.

Olivier Mayer

nuvolarossa
24-10-04, 11:53
Parigi firma l’estradizione del terrorista Battisti

La decisione presto notificata al difensore dell’ex leader dei proletari armati in fuga dal 21 agosto scorso

Sottoscritto dal primo ministro francese Raffarin il provvedimento che consegna il latitante alle autorità italiane
ROMA — Ora a dividere Cesare Battisti dal carcere è rimasto soltanto il Consiglio di Stato francese. E la latitanza. Dell'ex leader dei Proletari armati per il comunismo diventato affermato scrittore noir negli anni trascorsi in Francia, si sono infatti perse le tracce dallo scorso 14 agosto, quando Battisti si è allontanato dalla sua casa parigina. La firma ieri del premier francese Jean Pierre Raffarin sul decreto che autorizza l'estradizione in Italia di Battisti, rappresenta dunque un ulteriore messaggio delle autorità francesi - dopo quelli dello stesso tenore della Chambre de l'Istruction della Corte d'Appello di Parigi il 30 giugno scorso e della Corte di Cassazione appena dieci giorni fa - tesi a confermare che la Francia non è più disposta a chiudere gli occhi su quanto commesso negli anni di piombo dagli ex terroristi italiani rifugiatisi a Parigi. E rappresenta la diretta conseguenza di quanto concordato nel settembre del 2002 a Parigi dai ministri della Giustizia italiano e francese: in quell'occasione Roberto Castelli e il suo omologo Dominique Perben si accordarono per riesaminare «caso per caso» la situazione degli ex terroristi italiani rifugiati in Francia.
Decretando di fatto al fine della dottrina Mitterand, che aveva consentito a diversi estremisti fuggiti dall'Italia dopo gli anni di piombo di rifarsi una vita. Il decreto sarà notificato nei prossimi giorni all'avvocato di Battisti. Il nuovo legale, Eric Turcon, perchè l'ex leader dei Pac ha sostituito i suoi due avvocati storici Irene Terrel e Jean Jacques de Felice (che assistono anche buona parte dei fuoriusciti italiani), cambiando anche linea difensiva: non più «responsabilità collettiva», ma «innocenza». Altro segnale che le vecchie strade percorse per anni erano ormai precluse.
In Italia Battisti deve scontare la condanna all'ergastolo per quattro omicidi commessi tra il '78 e il '79. A cadere sotto i colpi dei Pac fu per primo il maresciallo degli agenti di custodia del carcere di Udine Andrea Santoro: a sparargli secondo gli inquirenti fu proprio Battisti, assieme ad una complice. Fu poi la volta del gioielliere milanese Pierluigi Torreggiani, freddato davanti al suo negozio. I terroristi colpirono anche il figlio adolescente: si salvò, ma rimase su una sedia a rotelle. Lino Sabbadin, invece, fu ucciso nella sua macelleria a Mestre mentre l'ultimo omicidio attribuito a Battisti e ai Pac è quello dell'agende della Digos milanese Andrea Campagna: un uomo gli si avvicinò e gli sparò cinque colpi di pistola al cuore. Era il 19 aprile del '79.

jmimmo82
24-10-04, 16:28
Dopo il velo la Francia vieta la tonaca per i preti a scuola
Egalité, liberté..., fraternité.

nuvolarossa
26-10-04, 13:53
Nell’Europa stanca irrompe uno strano teocon laico, si chiama Sarkozy e sarà presidente della Francia
La religione come elemento civilizzatore e la politica come difesa della libertà di sperare
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Parigi. Un Sarkozy sorprendente, un eretico della “laicità alla francese”, quello del libro “La Repubblica, le religioni, la speranza”. Dal problema dei rapporti tra “l’Islam e la Repubblica” al confronto tra “il fatto religioso e la laicità”. E dalle riflessioni sulle “Chiese e l’Europa” alla domanda sacrilega: “La legge del 1905 [che separa le Chiese e lo Stato] è obsoleta?”.
Il settimanale Le Figaro Magazine sabato ha pubblicato in anteprima alcuni stralci del libro, che sarà disponibile dal 28 ottobre, pur essendo pronto per la pubblicazione già dall’ottobre 2003. In quel periodo, in Francia, il comunitarismo musulmano faceva paura e si parlava molto di Islam e laicità. Nicolas Sarkozy, all’epoca ministro dell’Interno e dei “culti”, era riuscito a convincere le differenti e litigiose componenti dei musulmani francesi della necessità di dotarsi di un organo rappresentativo che potesse occuparsi dei problemi della comunità ed esprimersi a suo nome: il Consiglio francese del culto musulmano (Cfcm). Una collaboratrice di Sarkozy, che conosceva il domenicano Philippe Verdin, suggerì allora al ministro di organizzare alcune conversazioni, poi raccolte nel libro, che avessero come tema conduttore la religione. Sarkozy accettò e chiese che il libro fosse pubblicato da “Le Cerf”, casa editrice specializzata in libri a soggetto religioso.
Nelle sei conversazioni, di un’ora e mezza ciascuna, al domenicano si affiancò Thibaud Collin, giovane professore di filosofia. La pubblicazione del libro era prevista per l’ottobre 2003, ma in quel periodo la situazione era tesa a causa delle discussioni attorno alla legge sul divieto del velo e degli altri simboli religiosi nelle scuole pubbliche; legge alla quale Sarkozy in un primo tempo, discretamente, si disse contrario, per poi alla fine accettarla come un male necessario. Con il rapimento dei due giornalisti francesi in Iraq e la richiesta del ritiro della “legge sul velo”, per la prima volta il Cfcm mostrò la sua utilità e, compatto, condannò il rapimento e la richiesta dei rapitori. Prima e dopo questo episodio, il Cfcm mostrerà divisioni, ma poco importa, perché per Sarkozy quell’istante di unità è stato sufficiente a dimostrare di aver avuto ragione nel dare fiducia ai dirigenti musulmani francesi. In questo contesto, la pubblicazione del libro era di nuovo possibile.

“Il dispotismo può fare a meno della fede”
La scelta di Sarkozy è coraggiosa: in una Francia che ha fatto dell’anticlericalismo e del laicismo una religione, pari quasi a quella fondatrice del mito rivoluzionario, le parole di Sarkozy suoneranno come un’eresia, a cominciare dalla citazione di Tocqueville che apre il libro: “E’ il dispotismo che può fare a meno della fede, non la libertà”. Nel libro, Sarkozy si dichiara “di cultura cattolica, di tradizione cattolica, di confessione cattolica. Anche se la mia pratica religiosa è episodica, mi riconosco come membro della Chiesa cattolica”. Afferma: “Tutto quello che può aiutare a dare un senso alla vita è importante, in un mondo nel quale è così difficile trovare punti di riferimento… Non si possono educare i giovani appoggiandosi esclusivamente su valori temporali, materiali, o anche repubblicani”. Per questo, spiega, nelle grandi festività va a messa con la famiglia, perché “pur essendo [per lui] più una questione culturale che non di culto, questa pratica permette di radicarsi in una storia”.
Sarkozy non solo rompe con l’abituale prudenza dei politici francesi, che generalmente confinano il loro credo nella sfera privata, ma rende merito all’apporto spirituale della religione nella nostra società – “si misura quale vuoto crea quando scompare” – e la vede non come una fonte d’intolleranza, ma come un “elemento civilizzatore”. Il ruolo del politico è quello di permettere il libero esercizio della libertà religiosa perché “è la libertà di sperare”. In particolare, di fronte alla morte è necessario che si possa avere “una prospettiva di compimento nell’eternità”. “Credo al bisogno di religione della maggioranza degli uomini e delle donne del nostro secolo”.
Sylvie Pierre-Brosselette scrive sul Figaro Magazine: “Col problema della ‘francesizzazione’ dell’Islam, i poteri pubblici sono portati a riaprire il dossier della laicità. L’attuale situazione conduce [Sarkozy] a prendere posizioni che ieri sarebbero state considerate reazionarie (…) ma da molti sono oramai giudicate all’avanguardia”. Questo è il punto: Sarkozy ha dichiarato più volte che è sua intenzione rifondare l’ideologia della destra, che considera arcaica. Vuole la fine del cinquantennale asse franco-tedesco, per esempio, al quale preferisce una cooperazione che comprenda l’Italia, la Spagna, la Polonia, oltre che Germania e Gran Bretagna. Fine anche dell’opposizione pregiudiziale e ideologica agli Stati Uniti, che Sarkozy ammira per il loro dinamismo economico e per la loro capacità di unire azione e pensiero. A novembre “Sarko” dovrebbe essere eletto alla guida dell’Ump, strumento che intende utilizzare per vincere le presidenziali del 2007. Ma, abbandonando i saloni dorati dei ministeri, potrebbe mancargli il sostegno mediatico che ha avuto negli ultimi due anni. Sarkozy non è un tenero e della politica ha potuto gustare vittorie esaltanti perché difficili, come quando, a nemmeno trent’anni, si presentò candidato alle comunali di Neully contro Charles Pasqua, uno dei baroni del suo partito, e a sorpresa vinse. Ma ha avuto anche momenti molto difficili, come alle presidenziali del 1995, quando sostenne Edouard Balladur contro Jacques Chirac, che fino ad allora lo aveva trattato come un figlio. A vincere fu Chirac e Sarkozy, il traditore, fu considerato per anni “un appestato”. Non si sa ancora se Chirac si presenterà per un terzo mandato, ma in ogni caso che cosa c’è di meglio, per mostrare la differenza tra lui e il presidente, che avviare la rifondazione della destra?

Rafforzare l’identità per dialogare meglio
Forse Sarkozy coglie il bisogno che ha la Francia di un ricambio generazionale, ma perché non rimanga un desiderio inespresso è necessario mostrare capacità di visione strategica, idee forti e chiare. Con questo libro sembra provare piacere a sparigliare i luoghi comuni parigini, sottolineando l’importanza della religione e attaccando un fondamento ideologico della Repubblica: la “legge 1905”, elaborata all’inizio del secolo scorso per dare un quadro alla presenza della Chiesa nella società statale e per porre fine a una specie di guerriglia tra Chiesa e Stato. Si chiede: “Si deve considerare quello che è stato scritto un secolo fa come scolpito nel marmo? Non credo”. La formazione dei chierici è un’altra delle suggestioni di Sarkozy: “Dispiace che l’attrattiva del seminario patisca le precarie condizioni di vita dei seminaristi e dei preti”. Lo stesso vale per gli imam, per i quali vorrebbe un “istituto di formazione francese”, libero dalle influenze dei paesi stranieri. Per discipline come la teologia o la morale, è favorevole all’accesso di preti, rabbini e imam nell’insegnamento universitario: “In nome di che cosa le nostre università sarebbero chiuse ai ministri del culto?”. Contrariamente al dogmatico Chirac, sulle religioni in Europa Sarkozy rifiuta l’idea che l’Unione sarebbe una minaccia per la laicità e a proposito del Trattato costituzionale dice: “E’ certo che i valori cristiani in Europa sono stati civilizzatori e dominanti (…). Dal punto di vista storico si può dunque evocare la preminenza delle radici cristiane dell’Europa”.
Tutto ciò può apparire banale, ma in un paese come la Francia, dove il laicismo è una fede, sembrano eresie. Sarkozy vuole una riforma dell’insegnamento religioso nelle scuole, per spiegare agli studenti l’apporto culturale di ogni religione, ma dubita si possa fare per le resistenze del personale dell’Educazione, abituato a una stretta interpretazione della laicità. Il ministro delle Finanze considera positiva l’influenza della religione nella maturazione degli esseri umani e delle società: “Per anni la religione cattolica ha giocato un ruolo nell’istruzione civica e morale, attraverso la catechesi”. E sull’Islam, pretesto e filo conduttore del libro, dice: “Il velo non è che la parte visibile di un problema ben più profondo, che deve impegnare la società francese in un dibattito più ampio su quello che è e su quello che vuole divenire”. Di questo dibattito Sarkozy vuole essere il regolatore e lo stimolo, per dimostrare che lui può realizzare un cambiamento radicale a Parigi, per spiegare che bisogna rafforzare la propria identità culturale, e non solo, per meglio dialogare con le altre identità culturali, e non solo.

kid
08-11-04, 17:40
di Riccardo Bruno

Ci chiedevamo come fosse possibile e per quanto tempo ancora a lungo la nobile Francia di Chirac riuscisse a sostenere le sue ragioni pacifiste e neutraliste nei confronti della questione irachena, senza inciampare sulla buccia di banana della Costa d’Avorio tenuta sotto il piede. Alla fine, ci pare di comprendere che lo splendido equilibrio della grandeur francese si sia risolto in un bel capitombolo, tragico se si pensa ai primi denunciati soldati morti e ai prossimi che verranno, perché abbiamo ragioni profonde di dubitare che la situazione ivoriana, che si trascina da almeno due anni, si risolva d’incanto.
Anzi, sulla base delle nostre conoscenze, è destinata a complicarsi ulteriormente e siamo curiosi di vedere per quanto tempo ancora la Francia che ha mantenuto, lei sì, tutte le sue pretese coloniali sull’area ed è responsabile, lei sì, dell’instabilità della stessa, possa fare la parte di chi è stato aggredito. E aggredito da chi?, ci chiediamo, visto che le forze aeree del presidente Gbagbo, che hanno bombardato il contingente francese, sono formalmente sue alleate. Non solo, lo stesso Gbagbo è stato considerato un capo fantoccio scelto dall’Eliseo per tenere sotto controllo la situazione. Questo per lo meno è stato così per un certo tempo. Gbagbo era il buon selvaggio che, probabilmente truccate le elezioni ed eliminato con un espediente dalla scena il suo principale oppositore, il musulmano Ouattara, instaurava un bel regime filoccidentale, democratico quanto lo possa essere comunque una democrazia costruita su brogli e corruzione. E del resto la Francia di Luigi Filippo ha lasciato bella memoria di sé nella storia.
Gbagbo in realtà ha un solo evidente difetto che si è trasmesso come un virus in buona parte del paese: la voglia di arricchirsi. Cosa che viene perseguita sempre non proprio lecitamente, visto che il presidente della Banca centrale ivoriana solo tre anni fa è scappato con la cassa e chi ha indagato su quest'affare è sparito nel nulla. Ma anche dove è lecito. La Costa d'Avorio non ha le zanne, ma ha il cacao ed il legno, magari domani anche il petrolio, chissà: questa ricchezza in poche mani nella giungla della miseria scatena una barriera di classe poco confortevole. Il bianco che passeggia nel centro commerciale di Abidjan, ad esempio, viene subito molestato da torme di ragazzini che chiedono un franco. E questa è la realtà dell'Africa. Ma non in tutta l'Africa accorre subito un vigilante con manganello alla mano a scacciare i poveri ragazzini. Chi ha soldi li investa, non li disperda in elemosina: è il credo del governo Gbagbo, sufficiente di per sé a creare una frattura con l'anima musulmana del paese che predica la sharia.
Abidjan del resto si inebria dei suoi fatiscenti grattacieli illuminati, che dall'alto dell'Hivory Hotel - sospetta proprietà bin Laden - la notte trasformano la città in una piccola New York. Ma di giorno sotto i grattacieli straripa la palude delle baracche dei suoi abitanti ancora in miseria. Ecco allora che l'ebbrezza del denaro del nuovo governo occidentale ha chiamato a sé altri investitori, rispetto al tradizionale monopolio francese. All'Hivory Hotel si vedono passare uomini d'affari nordamericani, israeliani, persino cinesi. Gbagbo all'epoca sorrideva, vantando un'economia di mercato aperta. La Francia un po' meno. E visto che la Francia conosce la lezione di Guizot, ma anche quella di Zola, ecco che ci vuole poco per fomentare contro i plutocrati la massa degli scontenti. Questa è la grandezza della Francia, un giorno occidentale, un altro terzomondista. Peccato che Gbabgo abbia subodorato dietro la rivolta del settembre del 2002 lo zampino degli irrequieti militari francesi, vecchi mastini di Bob Denard, troppo vicini a Parigi nei loro movimenti, da non pensare ad un istinto destabilizzante diretto dall'Eliseo. Anche l'immediata forza di interposizione dei francesi schierata con il Nord del Paese, è parsa al presidente più diretta a difendere la rivolta dalla sua volontà di schiacciarla. Così si è consumato un braccio di ferro, che è sfociato nell'attacco diretto. E ora Parigi conta i morti. (1 - continua)

kid
09-11-04, 13:17
Di Riccardo Bruno


La notizia è che la Francia avrebbe inviato 400 paracudisti della Legione in Costa d'Avorio. Non possiamo fare i conti, ma l'impressione è che correttezza di informazione pretenderebbe di recitare per l'esattezza che la Francia invia altri 400 paracadutisti della legione in Costa d'Avorio. I militari francesi soggiornano nel paese almeno dai tempi della prima guerra civile, probabilmente non se ne sono mai andati, ancora più probabilmente svolsero un ruolo nei primi rivolgimenti armati che mai hanno smesso di flagellare il paese. Avevano e hanno ancora basi aeree nelle vicinanze di Abidjan, lungo la statale delle palme che porta a Grand Bassan. La pupilla sull'oceano della vecchia colonia. Mentre i turisti della ricca borghesia francese desiderosi di sfrenare i propri perversi gusti sessuali si nascondono negli eleganti alberghi sul mare, i piloti militari incrociano verso il centro della capitale, per ritrovarsi al ristorante la Cascade, dove degustano pranzi a prezzi con cui far vivere un intero nucleo famigliare ivoriano per un mese. In Costa d'Avorio non si soffre mai la fame del resto. Basta allontanarsi di qualche centinaio di metri dai centri urbani, e arrimpicarsi su un banano. I piloti francesi preferivano servirsi delle pietanze e dei vini di Borgogna della cantina della Cascade. Fumare i loro sigari e raccontarsi le loro cablate. Che ci facevano aerei da guerra della pacifica Francia in Costa d'Avorio? "La sicurezza", avrebbe detto serafico il funzionario dell'ambasciata ivoriana a questa domanda, perché "la sicurezza è il nostro problema principale". Questo si capiva ben prima della rivolta militare dei mussulmani. Non c'è un ingresso di una cittadina, sia essa al bordo della giungla, O del mare, senza nutriti posti di blocco armati, strisce chiodate da gettare sulla via, barriere rudimentali di pneumatici di camion incendiati. E anche nelle grandi città, visto che le camionette di polizia ispezionano ogni anfratto, bloccano veicoli, chiedono documenti e capita che sparino e ammazzino se qualcuno non si ferma. C'è sempre qualcuno da cercare. Chi è scappato con la cassa, chi con la moglie del proprio comandante di plotone, chi congiura contro il governo. E se il sindaco di Abjdian desiderava impiantare dei grandi orologi al quarzo in ogni angolo delle strade del centro commerciale per ricordare l'ora a chi è sempre in ritardo sul lavoro, il governo vorrebbe attrezzare delle telecamere per sapere cosa succede nelle strade. Adesso è più semplice. Si è scatenata la caccia al bianco, anzi al francese. Perché sono questi francesi che non se ne sono mai andati, che sfoggiano le loro divise e si comportano come se fossero nel salotto di casa, ad essere detestati. E colmo dei colmi, addestrati i reparti speciale di Gbabo, le sue forze aeree e quant'altro, proprio da questi ultimi sono rimasti colpiti e hanno subito le prime vittime.
Vive un mostro in Costa d'Avorio. Questo mostro si chiama indipendenza. Perché Gbabo che nella sua residenza estiva di San Pedro, gioca a calcio sulla spiaggia a convoca una conferenza stampa per far sapere che ha fatto quattro gol al suo autista messo in porta, la vuole davvero questa chimera che si chiama indipendenza. Con tutti i crismi, militari, politici, economici. Avrà anche imbrogliato le elezioni. Discriminato l'opposizione su un pregiudizio etnico. Arraffato tutto quello che poteva. Ma l'idea dell'indipendenza gli è piaciuta più di tutte, e non gli è piaciuto che gli amici francesi, vedendolo così determinato dessero via libera ad un tentativo di colpo di Stato. "Li conosciamo questi francesi", ci disse un generale ivoriano pochi giorni prima del tentato golpe di settembre di tre anni fa. "Noi andiamo bene se facciamo quello che ci dicono di fare. Ma perché noi dovremmo fare quello che dicono?". Già perché. Perché la Francia che non voleva la guerra in Iraq ad una dittatura, ha tollerato che si facesse un colpo di Stato ad un paese amico? Perché addestrano i militari di quel governo e al contempo sostengono i ribelli?
E' vero che il passato coloniale è per l'appunto un passato. Ma quando si sta a lungo in Africa,in vetrina sull'oceano, come sulle bianche spiaggie di Assinie, il tempo appartiene ad un'altra dimensione. Non passa. (2 fine).

kid
09-11-04, 13:18
Sunbdorando lo zampino dell'amministrazione statunitense nell'attacco di Buakè, perché "una Francia impantanata in Costa d'Avorio", potrebbe essere più comprensiva verso gli Usa in difficoltà in Iraq, le Monde sbaglia proprio i calcoli. Stupisce che un giornale terzomondista come quello parigino non abbia colto nell'offensiva del governo Gbabo contro le truppe francesi, il risentimento naturale per chi autopromosso giudice sul campo dalle nazioni unite, non si preoccupa di far applicare gli accordi pattuiti, quali il disarmo delle forze ribelli.
L'impressione del governo ivoriano, se mai avesse avuto bisogno di una riconferma, è che ai francesi vada benissimo una divisione del paese in due e il proseguimento dello stato di belligeranza, che ha di fatto bloccato l'economia dell'area, guardacaso quando questa diveniva sempre più indipendente dal cartello d'affari post coloniale detenuto da Parigi.
E' vero invece, sempre stando a Le Monde che il presidente Bush vuole rinforzare la sua influenza in Africa. Affari, certo, come la Francia insegna, ci pare. E questo interesse dà effettivamente fastidio all'Eliseo abituato a fare e disfare negli stati africani tutto a proprio piacimento. Ma Le Monde dimentica un dettaglio: negli Usa gli afroamericani esprimono un segretario per la sicurezza, un sottosegretario di Stato, molto attivi in un continente di cui si sentono figli. Per arrivare dove sono arrivati, Colin Powell, Condoleza Rice, l'America ha dovuto sconfiggere il ku kux klan e l'aparthaid. Solo quando la bianchissima, razzista e colonialista Francia avrà un africano ai vertici dello Stato, forse capirà davvero quale rapporto vi è fra il suo continente giocattolo e gli Stati Uniti d'America.

Lincoln (POL)
09-11-04, 14:49
La macabra messinscena che si svolge intorno al capezzale del leader palestinese il quale miracolosamente transita continuamente tra la vita e la morte visto che ogni tanto viene dato per morto e subito dopo ci viene comunicato che si muove e apre gli occhi.Abbiamo un portavoce medico francese che è costretto a leggere bollettini medici concepiti personalmente dalla moglie del moribondo ed un intero ospedale militare quello di Clemart,diventato campo di battaglia per una faida tutta interna al mondo palestinese.
Ci viene da sorridere, osservando l'imbarazzo crescente dei francesi per la situazione che si è venuta a creare.

nuvolarossa
05-12-04, 11:57
STORIA UNIVERSALE Diritti dell’uomo e giacobinismo, l’eredità ambigua della Rivoluzione francese

Il 1789, culla della libertà e dei suoi nemici

di PIERRE MILZA

Il 1989 è stato l’anno del bicentenario della Rivoluzione francese e quello della caduta del Muro di Berlino. I due eventi non sono privi di correlazione. L’Europa, spaccata in due dalla guerra fredda combattuta fra democrazia e «dittatura del proletariato», scopriva, o riscopriva, con la ritrovata libertà, un sentimento di appartenenza a quella che Mikhail Gorbaciov aveva chiamato «casa comune». I popoli che si erano ribellati pacificamente ai loro governi satellizzati, e per i quali la storia era stata un lungo cammino dall’assolutismo al fascismo e dal fascismo al comunismo, potevano concedersi un regime rispettoso di quei «diritti dell’uomo» di cui la Rivoluzione francese sarebbe stata la prima a proporre il modello ai «popoli fratelli» del vecchio continente. È così, perlomeno, che si interpretava il rapporto del presente con il passato nel Paese che della presa della Bastiglia aveva fatto la sua festa nazionale. Le cose non sono evidentemente tanto semplici. Di quale «modello» si parla e di quale «rivoluzione» si tratta? Da gran parte della sinistra, anche quella della fine del XIX secolo, repubblicana e moderata, la Rivoluzione è stata a lungo considerata come un «blocco». Secondo Georges Clemenceau, poteva solo essere globalmente accettata o rifiutata. Innanzitutto, perché costituiva un formidabile movimento di liberazione dell’intero popolo e poi perché era stato necessario difenderla contro tutte le forme di reazione, sia all’interno sia all’esterno. Certo, non venivano negati né il Terrore rappresentato dalla ghigliottina né i massacri di massa perpetrati in Vandea e altrove. Ma si riteneva che tali «eccessi» fossero dovuti alla preoccupazione legittima ed esclusiva di salvare la Rivoluzione, dunque la democrazia.
Il discorso dei testi scolastici, formatosi all’epoca della Repubblica trionfante, ha diffuso ampiamente nel corpo sociale questa interpretazione del fatto rivoluzionario. La stessa destra repubblicana, considerando che la «vera Rivoluzione» fosse quella del 1789-1791 (gli anni delle conquiste fondamentali), interrotta dall’esperienza del Comitato di salute pubblica, ha finito con l’adottare più o meno l’idea che, se fra il 1792 e il 1794 c’era stato un dérapage , uno sbandamento, la causa più importante si dovesse ricercare nella risposta all’aggressione esterna.
Sostenendo il contrario di una storiografia dominata a lungo da universitari marxisti o marxisteggianti, i lavori di François Furet hanno dato un’interpretazione ben diversa del dérapage - l’espressione è sua ed è del 1965 - della Rivoluzione. La Rivoluzione non è un «blocco» più di quanto non sia una rottura con quel che precede. Si inserisce in un lungo processo che comincia con l’opera centralizzatrice della monarchia assoluta e si conclude in Francia alla fine del XIX secolo, con il trionfo della democrazia liberale. «Ciò che chiamiamo "Rivoluzione francese" - scrive Furet - quell’evento catalogato, collocato nel tempo, magnificato come un’aurora, è soltanto un’accelerazione dell’anteriore evoluzione politica e sociale».
Ammettiamo pure che la democrazia liberale, che si preoccupa di parità giuridica, uguaglianza delle possibilità di successo, rispetto della persona umana e della sovranità del popolo, di cui i francesi continuano - talvolta con una certa arroganza - a rivendicare la paternità, possa effettivamente essere scelta come «modello» per l’edificazione di una «casa comune» europea o planetaria. Ma allora dobbiamo anche riconoscere che la Rivoluzione francese, nella sua fase giacobina e terroristica, fu la matrice di un’ideologia e di una pratica di governo che costituiscono un dirottamento dei principi della filosofia dei Lumi, fino a trasformare questi ultimi nel loro contrario. I socialisti francesi del XIX secolo hanno rivendicato tale filiazione giacobina e dopo di loro, fin dal 1903, Lenin e anche Trotzkij. L’immagine del Terrore come strumento della lotta di classe contro la borghesia è al centro della loro ammirazione per Maximilien Robespierre e il giacobinismo. E qui siamo alle origini stesse del totalitarismo, nella versione bolscevica. Infatti, per i compagni di Lenin, non si tratta più soltanto di instaurare un governo di salute pubblica e di eliminare i «nemici di classe» in una prospettiva di difesa dalla controrivoluzione. Dal precedente giacobino, dai discorsi di un Robespierre, di un Saint-Just o di un Marat, essi traggono l’idea che il Terrore sia uno strumento positivo per instaurare un buon regime e rigenerare gli uomini e la società. Gli uni e gli altri raccomandano un attivismo rivoluzionario sterminatore, legato a un concetto manicheo della politica, all’assillo del complotto controrivoluzionario, all’apparizione di una religione civile, laicizzata, ma portatrice d’intolleranza quanto lo sono le religioni di cui essa pretende di infrangere l’influenza sulla società.
Quindici anni dopo il crollo del comunismo in Europa, questa matrice giacobina del totalitarismo leninista - e degli aspetti simmetrici del fascismo, di cui una delle radici attinge alla stessa fonte - non è completamente scomparsa dall’orizzonte ideologico dei contemporanei.
In Francia, come in Italia, i nostalgici del Terrore, i superstiti non pentiti dell’epoca in cui «mirare al cuore dello Stato» capitalista sembrava loro un atto di salute pubblica, continuano a legittimare azioni criminali in nome di principi che sono all’opposto degli ideali originali della Rivoluzione. Non lasciamo che si approprino ingiustamente del titolo di araldi della libertà.
(traduzione di Daniela Maggioni)

Domani in edicola con il «Corriere della Sera» il XV volume della «Storia Universale», «La Rivoluzione francese» di François Furet e Denis Richet, a 12,90 più il prezzo del quotidiano

nuvolarossa
09-12-04, 11:24
Il potere e il codice: la lezione francese

IL CASO MITTERRAND E ALTRI SCANDALI

di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

Che la politica non possa essere ridotta all’etica né giudicata principalmente sulla base del codice penale (a dispetto di ciò che ne pensano i moralisti di tutti i tempi e di tutti i Paesi), lo mostra a chiare lettere un episodio non proprio irrilevante di queste settimane che ha per teatro la Francia. Sì, proprio quella Francia che forse un po’ troppo spesso ama impartire lezioni di correttezza e di civismo «repubblicano» all’universo mondo e a noi poveri italiani in specie. A Parigi, infatti, si è aperto il mese scorso - mi pare nel silenzio assoluto della stampa nostrana - un processo penale che di fatto è un processo nientemeno che a François Mitterrand e al modo di intendere il potere di quell’importante rappresentante della sinistra europea. Naturalmente, essendo Mitterrand morto da tempo, a rispondere in giudizio sono in realtà un pugno di alti funzionari del suo gabinetto, dei servizi segreti e di un paio di ministeri, accusati di avere organizzato per suo ordine una vera e propria centrale illegale di spionaggio telefonico a uso privato ed esclusivo del presidente della Repubblica. Tra il 1983 e il 1986 (cioè fino alla vittoria elettorale della destra, il cui arrivo al governo rendeva il gioco troppo pericoloso), servendosi di ben venti linee di ascolto, l’Eliseo intercettò centinaia di conversazioni telefoniche (sono state ritrovate oltre cinquemila pagine di verbali di ascolto) di politici, avvocati, scrittori, giornalisti (come l’ex direttore della redazione di Le Monde : infatti il giornale si è costituito parte civile) e naturalmente di loro congiunti, mogli, amanti. Il tutto al fine ovvio di fornire al presidente francese informazioni utili a prevenire eventuali pericoli e a convincere eventuali avversari con la minaccia di rivelazioni sgradevoli carpite grazie alle intercettazioni.
A completamento del quadro, il solito corredo di episodi e di figure che si ritrova in faccende del genere: l’archivio illegale ritrovato in un garage, il generale pusillanime che obbedisce a ordini illegali senza fare domande, l’alto ufficiale che in tribunale balbetta giustificazioni pietose e si impappina, lo scaricabarile di tutti, e così via seguitando secondo un copione scontatissimo.
Ma come mai questo stesso copione che a qualsiasi politico italiano costerebbe all’istante le accuse più feroci di golpismo e di tradimento, che a Richard Nixon è costato la fama imperitura di prototipo degli imbroglioni, invece a François Mitterrand sembra in pratica non costare nulla, non macchiandone più di tanto il nome? La risposta è, per l’appunto, che in politica non valgono il codice penale né la sua massima suprema della legge uguale per tutti. In politica pesano in misura determinante i motivi, le circostanze, i contesti. Conta ad esempio che ci sia un quadro politico divisivo e lacerato - come è da sempre quello italiano o come era quello dell’America di Nixon - ovvero improntato tradizionalmente all’ossequio istituzionale e alla compattezza nazionale come quello francese. Soprattutto in politica non conta tanto che cosa si fa ma chi si è. Contano cioè le scelte passate e presenti, la tradizione che si rappresenta e il modo di farlo, conta infine la personalità. In politica insomma conta alla fine solo la politica. A differenza di Nixon (e ancor più dei nostri poveri democristiani o socialisti) Mitterrand aveva lo charme, il tratto, lo stile, la retorica del grande uomo di Stato: o almeno riusciva a fare mostra di averli. Cosa volete che importi allora - concludendo con un paradosso - se poi registrava di nascosto le telefonate altrui e le usava per mantenere il potere?

nuvolarossa
25-02-05, 20:56
Il laico Sarkozy

Nicolas Sarkozy è stato, per quasi due anni, ministro degli interni, in Francia. Il che significa che è stato anche “ministre des Cultes”, figura che da noi non esiste, e che si potrebbe tradurre con “responsabile dei rapporti con i culti religiosi”. Esercitando tale carica Sarkozy ha compiuto scelte che, se lette in modo frettoloso e superficiale (come sono state lette da diversi, in Italia), possono far credere che egli abbia preso le distanze dalla tradizionale laicità della Repubblica francese. La sua esperienza è importante, la sua testimonianza interessante (ha pubblicato un libro, per Les Éditions Du Cerf, “La République, les religions, l’espérance”), ma tutto porta in direzione della più schietta e sana laicità, senza alcun cedimento al confessionalismo. Chi sostiene il contrario è in malafede, o non sa quel che dice.
Sarkozy è un cristiano, come molti suoi correligionari un praticante saltuario, ma legato all’identità della propria fede. Egli ritiene che uno Stato laico non debba rinunciare all’abbeverarsi a quel che di buono viene dalle culture religiose, ma su questo torno in conclusione. Da ministro, però, ha avuto qualche problema con le gerarchie della chiesa nella quale si riconosce, che gli rimproveravano una certa eccessiva attenzione al mondo islamico. Cominciamo proprio da qui, dice Sarkozy: non sono io che ho deciso di portare alla ribalta le questioni religiose, non sono io ad avere scelto di porre il problema degli islamici che si trovano in Francia, questi sono problemi che si sono posti da soli, che sono evidenti, complessi, coinvolgenti la nostra stessa sicurezza nazionale, io ho solo scelto di non ignorarli, di non chiudere gli occhi, di affrontarli.
Le correnti religiose presenti in Francia sono tre: quella cristiana, in tutte le sue varie accezioni e diversificazioni, che è la più antica e, per ciò stesso, la più integrata; quella ebraica, che è anche questa parte della nostra storia e della nostra cultura; e quella mussulmana, che è parte della storia d’Europa (si pensi alla Spagna), ma di più recente arrivo in Francia; poi ci sono buddisti ed induisti, ma assai discreti i primi, assai pochi i secondi. Dice Sarkozy: tutte le religioni sono sullo stesso piano, tutte hanno diritto d’esistere, ciascuno ha diritto, se crede, di praticarle, ma non facciamo gli ipocriti: mentre cristiani ed ebrei non creano alcun problema, faccenda diversa sono gli islamici. Perché accade? Intanto perché gli islamici sono di più recente immigrazione e di condizione sociale più disagiata. Poi perché fra loro si agitano fondamentalisti che sono pericolosi per la collettività.
Ed eccoci ad un primo passaggio, che me lo rende affine: confondere Bin Laden con la moltitudine degli islamici, qualche nemico della nostra civiltà con i molti che sono venuti qui per lavorare, è più che una cretinata, è un atto pericoloso e suicida. Ma pensate sul serio, dice, che il problema possa risolversi con l’eliminazione dei mussulmani? Questa è follia pura, ed ha perfettamente ragione. E’ quel che scrissi giudicando pericoloso il libro (oramai sono i libri) di Oriana Fallaci. Serve il dialogo, assecondando l’integrazione dove questa volontà c’è, mostrando il pugno di ferro dove il disegno eversivo od offensivo si manifesta. Integrazione, amalgama, contaminazione con tutti gli immigrati di religione islamica, pugno di ferro contro quegli individui che minacciano la nostra vita collettiva. Giusto.
E come la mettiamo con i loro usi e costumi? Qui Sarkozy è chiarissimo: ciascuno è libero di far quel che vuole, di praticare i riti che crede, ma la Repubblica viene sempre prima. La Repubblica tutela la libertà religiosa, ma anche la libertà individuale: una donna che vive in Francia è, prima di tutto, un individuo libero, poi, a sua scelta, o per tradizione familiare, può essere mussulmana; il che significa che può portare il velo quando crede, ma non quando siede sui banchi della Repubblica, che sia studentessa od insegnate.
Ed arriviamo ad un punto che, forse, è l’origine di molti equivoci. La Repubblica francese vuole che la libertà di culto sia senza onere alcuno per lo Stato, un po’ come da noi la Costituzione prevede a proposito delle scuole religiose, ma il ministro Sarkozy s’interroga se tanta rigidità sia conveniente. Insomma, se una comunità di onesti lavoratori mussulmani non trova la sua moschea, o non ha il suo imam, che si fa, si dice che sono solo affari loro? Così facendo si rischia di consegnarli nelle mani delle correnti peggiori, magari con maggiori disponibilità. Quindi, dice il ministro, lo Stato continui a non impicciarsi di questioni religiose, sia equidistante fra le diverse confessioni, nel senso di equiestraneo, ma, insomma, certe cose valutiamole con maggiore attenzione. E qui gli sono saltate addosso le chiese cristiane, chiedendo di avere anch’esse dei privilegi, degli aiuti. Lui non ha chiuso la porta e, appunto, questo può avere ingenerato equivoci. Ma equivoci in malafede, perché il pensiero di Sarkozy è chiarissimo, e per chi non voglia ancora capirlo valgano le sue parole contro l’inserimento nella Costituzione europea di ogni riferimento a dio od alle radici cristiane: l’Europa, dice, deve essere casa di tutti, se si scelgono le proprie ascendenze, le proprie radici, oltre a commettere un atto arbitrario, si finisce con l’escludere alcuni. Non so proprio come, in Italia, si sia preteso di metterli in bocca il contrario.
La prima parte del suo libro è dedicata ad una generale disamina del problema religioso, ed è quella cui accennavo all’inizio. E’ la parte meno politica, ovviamente, ed anche la più debole.
Certo, è bello ed è giusto che le diverse religioni convivano, e l’unico modo che hanno per farlo è quello di collocarsi dentro uno Stato laico. D’accordo. E va bene pure che i frutti culturali, anche morali, del pensiero religioso divengano patrimonio di tutti e della collettività. Va bene, ma anche Sarkozy non si nasconda il senso delle parole e della storia: il pensiero religioso è un pensiero assoluto, il frutto di una verità indiscutibile, rivelata da una fonte non umana, si tratta, quindi, di una pianta culturale che, per sua natura, tende ad occupare tutto il terreno e soffocare ogni diverso germoglio. E’ così. La forza del pensiero assoluto sta nel prestare risposte a domande altrimenti inesaudibili, attinenti alla nostra natura ed al nostro destino di umani, ma si tratta anche di una forza che occorre dominare. A me va bene che vi sia libertà religiosa, ma capisco che per un fedele (vero, direi, non integralista, che fuorvia) tale libertà è la premessa del proprio vittorioso proselitismo. Questo è un problema che Sarkozy solo sfiora, di cui credo sia consapevole, ma preferisce non affrontare. Dal punto di vista politico è difficile dargli torto.
Nicolas Sarkozy è un politico laico, personalmente cristiano, che ha difeso la laicità dello Stato francese immergendosi nei problemi della contemporaneità, e non limitandosi alla citazione dei classici. Ha mediato situazioni difficili, ma ha tenuto fermi i principi. Ha aperto un dialogo fruttuoso con i mussulmani, che gli è costato una frizione con i sacerdoti della propria chiesa, mostrando, così, indipendenza di giudizio. Descriverlo come un politico che s’abbevera a fonti religiose è un’impostura. Sarkozy è laico, e lotta insieme a noi.

Davide Giacalone
www.davidegiacalone.it

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tratto dal Gruppo "I Repubblicani"
http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/2727

nuvolarossa
03-03-05, 23:56
E se Bush aveva ragione?

La Francia si interroga sui risultati ottenuti dalla guerra americana

Ci fa piacere che in Francia, nazione nella quale il pensiero è stato temprato dal dubbio cartesiano, emerga ormai con una certa insistenza la domanda: e se Bush avesse avuto ragione? Se lo chiedeva, "Le Figaro", il giornale più fieramente sostenitore della politica di Chirac nel valutare eventi che solo uno stolto, od una mente in malafede, potrebbe sottovalutare. Non si tratta più solo degli otto milioni di iracheni al voto, ma della critica al dispotismo del re di Giordania, delle torsioni di Mubarak, della svolta libica, delle aperture saudite, dell’avvento del moderato Abu Mazen, ed infine della rivolta libanese che segna la fine per lo strapotere siriano nella regione.

Madeleine Albright che capeggiò la diplomazia di Clinton ha sottolineato, come ha fatto subito il nostro giornale, l’analogia fra la rivoluzione del Paese dei cedri con l’89 europeo. Un vento di libertà a cui anche e soprattutto i popoli che non l’hanno conosciuta sembrano affidarsi con passione.

Questo non significa che troveremo immediatamente equilibri politici e stabilità istituzionali dove poter garantire tranquillamente quei diritti a lungo negati. Ma certo tutto ciò è sufficiente a spiegarci meglio che la reazione furiosa del terrore in Iraq si manifesta contro un processo avviato e che non ha nessuna intenzione di arrestarsi prima di aver raggiunto i suoi obiettivi.

E’ vero: c’è stata una guerra dolorosissima per aprire una breccia nel muro delle dittature del Medioriente. Ma la nostra idea è che contro regimi armati ed aggressivi non vi siano molti strumenti possibili da usare, ed un logoramento avviato per dieci anni aveva poi bisogno di una stretta finale. Ora rapidamente se ne vedono gli effetti, come si vede anche con una certa chiarezza che il pacifismo corrispondeva ai principali interessi di conservazione di tirannie insopportabili per qualsiasi coscienza democratica.

Il problema resta invece ancora aperto in Italia. Perché se il leader druso Walid Jumblatt, che pure non appartiene al fronte neocon, è capace di ammettere a chiare lettere che questa mobilitazione popolare "non sarebbe stata possibile senza l’intervento americano", i capi cristianissimi della sinistra italiana sembrano refrattari all’evidenza. Ci siamo abituati, per la verità. Ed anche loro a forza di venir scavalcati dalle masse, alla fine vedrete che si abitueranno.

Roma, 3 marzo 2005

nuvolarossa
08-03-05, 00:12
Chiarezza e fermezza

Rispettare gli impegni di politica estera assunti dal governo

Il governo italiano ha ragione di chiedere agli Stati Uniti d’America chiarezza sulle cause che hanno portato alla morte dell’agente del Sismi Nicola Calipari, e riteniamo che tanto più potrà ottenerla, dato che abbiamo sostenuto con lealtà ed amicizia, come alleati, l’impegno militare nella difficile situazione irachena. Crediamo che sia interesse degli Stati Uniti d’America accertare le responsabilità di quanto è successo: un accadimento che pure è comprensibile nel contesto in cui si è verificato. Ma l’America ha saputo affrontare situazioni altrettanto gravi ed imbarazzanti che si sono avute in Iraq con la massima trasparenza.

Vogliamo aggiungere che le illazioni, le strumentalizzazioni, spesso patetiche, che sono state fatte in questa vicenda, ci suscitano un sentimento di pena.

Il dolore che proviamo, invece, per la perdita di questo servitore dello Stato, è immenso. Calipari impersona l’eroe silenzioso che adempie al suo dovere fino in fondo, senza preoccuparsi di altro, fino al momento estremo in cui si decide di una esistenza. Italiani del suo stampo sono l’unica vera speranza su cui può poggiarsi il futuro del nostro Paese, e vederne sacrificato uno è un delitto contro la stessa idea di Patria. E ciononostante il dovere della Patria è di sopravvivere a Calipari, senza il quale essa non può vivere, è di forgiare altri Calipari dal suo esempio, ovunque questo si possa fare.

Nonostante questa tragedia che ci ha investito tutti, non abbiamo pensato nemmeno per un momento di poter compromettere il rapporto politico con gli Usa e la Gran Bretagna, che resta uno dei punti fermi positivi del governo Berlusconi. E, per questa ragione, riteniamo fuori luogo ogni ipotesi di ritiro dei soldati. E ci stupisce che, di fronte alla morte di un nostro militare che stava svolgendo la sua missione, si chieda di ritirarli tutti.

Anche la Francia ha dei giornalisti rapiti, e senza i soldati in Iraq e, oltretutto, senza aver sostenuto politicamente l’azione militare americana nell’area. Ed è l’Italia - e non la Francia - a liberare i suoi ostaggi, a testimonianza che la presenza militare non ha rilevanza nel merito, o per lo meno non procura svantaggi. Semmai ci sarebbe da domandarsi se è possibile e giusto negoziare con i terroristi nel momento nel quale si combatte una guerra contro di loro.

Roma, 7 marzo 2005

nuvolarossa
24-03-05, 17:27
La Francia cancella le 35 ore. e Jospin

di Dimitri Buffa

Forse un giorno anche l’ex delfino di Françoise Mitterrand, Lionel Jospin, dovrà ricorrere all’agiografia nostalgica dei cineasti della gauche caviar d’oltre alpe per opporsi all’oblio cui la storia e ancora prima la cronaca lo stanno condannando. Ricordate ad esempio la settimana lavorativa di 35 ore su cui ha costruito la propria immeritata fama politica? Il Mitterrand cinematografico de “Le promeneur du champ de Mars” liquida con sarcasmo Jospin come una specie dilettante.Il parlamento di Parigi l’altro ieri ha fatto di più: ha silurato per sempre quella riforma demagogica che in Italia trovò un entusiastico sostenitore in Bertinotti e in qualche cane sciolto del “correntone” dei Ds.

nuvolarossa
03-05-05, 19:31
La Francia fra sì e no/Insperata rimonta del fronte favorevole al Trattato costituzionale Ue

Chirac si è impegnato per convincere gli indecisi

di Andrea La Malfa

Sul referendum del 29 maggio sul Trattato costituzionale europeo, i sondaggi in Francia del week end scorso davano vincente il fronte del sì con un valore che si aggirava intorno al 52%. Il no era passato in testa nei sondaggi prima di Pasqua, ed ha raggiunto il 56% dopo l'intervento di Chirac in una tribuna politica sul primo canale francese, il 15 aprile, che ha, però, dato inizio alla campagna per il sì.

Il cambio di opinione espresso nei sondaggi a partire da Pasqua, sembrava addirittura aver colto di sorpresa il fronte del sì ed il governo, che ha avuto bisogno di tempo per cercare di capire il significato di tali dati ed organizzare di conseguenza la sua azione per convincere gli elettori. Le televisioni in questi giorni sembrano impegnate in una campagna di sensibilizzazione, per cui vengono riportate con forte evidenza tutte le iniziative pro referendum. I telegiornali hanno effettuato servizi estesi sul recente incontro franco-tedesco a favore del Trattato, dove si sono visti, schierati insieme per il sì, Chirac e Schroeder.

M6, vale dire il canale "giovane" della televisione francese, ha dato l'avvio la settimana scorsa ad una trasmissione giornaliera di 5 minuti, che va in onda alle ore 20,00 in cui si risponde a domande sul significato della Costituzione europea. Le domande sono per lo più sul tono "Il trattato cambierà la legislazione sul lavoro?", o " Potremo ancora fare le leggi per la Francia?". Su tratta di una trasmissione che cerca di dare risposte semplici, sottolineando che, sostanzialmente, con l'accettazione del Trattato non cambia nulla, e che la Costituzione serve a evitare una paralisi dovuta all'Europa a 25.

L'impressione è che i valori raggiunti dal no, e la percentuale che si mantiene comunque ancora alta, siano dovuti alla somma di quella parte della popolazione che vive una forte preoccupazione per il futuro francese dal punto di vista sociale e che teme "l'invasione" di lavoratori a basso costo provenienti dall'Est, con la parte della popolazione che vuole solo esprimere un malcontento verso l'azione generale del governo: ambedue le opinioni risultano abbastanza forti fra i socialisti.

Parlando del referendum con amici francesi, si notano poi anche alcune ragioni più complesse ed elaborate: da una parte una critica ai governi francesi che hanno prima proceduto alla costituzione dell'Europa senza mai preoccuparsi di sentire direttamente l'opinione della popolazione; dall'altra la posizione per cui votare. Il sì costringerebbe il Paese in una situazione di accettazione irreversibile di tutte le decisioni prese in sede di Unione europea. Votare no, invece, non darebbe quasi fastidio, non modificherebbe l'Europa che c'è oggi e permetterebbe maggiore libertà per i futuri governi, nonché l'elaborazione di un Trattato più adattabile e modificabile, meno rigido Il fronte del no sembra utilizzare un po' tutti questi argomenti; il fronte del sì in questo momento pare si stia concentrando in una campagna di chiarificazione su cosa voglia e, soprattutto, cosa non voglia dire, questo Trattato, e su come i francesi non abbiano in realtà nulla da temere da esso.

In conclusione, è ancora presto per fare una previsione attendibile sull'esito di questo prossimo referendum di maggio. Quasi un terzo degli elettori dichiara di non avere ancora deciso come si comporterà una volta recatosi alle urne. Probabilmente i no sono più motivati e più decisi dei sì. Ma l'esito finale dipenderà da come si orienteranno nelle prossime settimane proprio gli indecisi, quegli elettori che non hanno una opinione già nettamente delineata.

nuvolarossa
04-05-05, 13:47
Il metodo francese

di Ferruccio Formentini

Per criticare la flessibilità nell’occupazione adottata dal Governo, grazie alla quale la disoccupazione nostrana è scesa sotto l’8%, quelli dell’Unione beatificano “le metode” francese. Ma i cugini s’interrogano: “In Francia la disoccupazione è al 10,2% e in Gran Bretagna al 4,7%, perché?”. Alcuni oltralpe pensano che c’entri “la flessibilità”: “La stessa che ha promosso in Gran Bretagna un sistema dove si assume e licenzia con facilità, allineando così il lavoro e l’impiego. In Francia invece l’evoluzione è andata in direzione opposta. Le troppe misure che dovevano difendere l’occupazione hanno irrigidito le condizioni per l’impiego”. E’ il solito provincialismo esterofilo dei cattocomunisti nostrani l’altro ieri guardavano estasiati oltre Tevere e oltre “cortina”,
oggi si scoprono devoti di Ratzinger e Chirac.

nuvolarossa
07-05-05, 17:24
Chirac scende in campo per scongiurare il no francese all’Europa

di Fiorenzo Grollino

Mancano venti giorni al referendum francese del 29 maggio sul trattato costituzionale dell’Unione ed il sì sembra riprendere quota grazie all’intervento massiccio nel dibattito di eminenti personalità politiche che hanno contribuito alla costruzione dell’Europa.
È sceso in campo il padre della carta Costituzionale, Valery Giscard d’Estaing, il quale si è detto convinto della vittoria del sì, facendo però notare che “la realtà è che a guidare il sì non c’è stato né un direttore d’orchestra, né un programma. Oltre al fatto che si è compiuto un grossolano errore nel fare campagna contro il no, valorizzandolo e dandogli credibilità maggiore del dovuto”, per cui la battaglia per il sì deve avere strategie precise. E così l’intervento dell’ex premier socialista Lionel Jospin è servito a far riflettere molti socialisti del no, soprattutto tra i seguaci dell’ex premier Laurent Fabius, che gioca una sua personale partita in vista delle elezioni presidenziali.
Sempre in campo socialista, un alto contributo è venuto da Jacques Delors, mitico decennale presidente della Commissione europea, il cui libro bianco sulle reti di trasporto, energia e telecomunicazioni, costituisce il più chiaro esempio per un’Europa integrata.
Il 3 maggio è ritornato sulla scena il presidente Jacques Chirac, la cui popolarità sta subendo una caduta verticale, per sostenere che la Carta Costituzionale europea è figlia della rivoluzione del 1789. Il presidente francese ha utilizzato ogni possibile argomento per convincere i francesi a ratificare il Trattato costituzionale dell’Ue, sostenendo che “la Costituzione europea è figlia del 1989 e soprattutto della rivoluzione francese del 1789 con i suoi principi di fraternità, uguaglianza e libertà”. Per Chirac il Trattato Costituzionale dà più forza alla Francia, perché “il numero dei voti di cui disporrà nel Consiglio europeo con la nuova Costituzione aumenterà del 50%. Insieme Germania e Francia, motore della costruzione europea, passano dal 18% al 30%, e con il Benelux e l’italia, paesi fondatori, al 50%”.
Il presidente francese non è caduto nell’errore di occuparsi di questioni che non hanno un rapporto diretto con il Trattato, sottolineando che “l’obiettivo è far capire che l’Europa deve essere organizzata, bisogna sapere chi fa cosa e che la Costituzione è una chance in più per la Francia”.
Il sì è in forte ripresa nelle intenzioni di voto dei francesi, ma la strada per convincerli è ancora in salita, perché i fautori del no sono agguerriti e non demordono. Il voto dei francesi a favore della Costituzione europea resta un voto importante e serve da bussola per orientare alcuni paesi, in cui il no è prevalente. E’ il caso dell’Olanda, dove si vota il primo giugno, il cui premier Balkenende si batte con tenacia per il sì, perché la Costituzione rappresenta “una chance unica per un’Europa migliore”, anche se occorre fare maggiori sforzi in tema di apertura, efficienza e presa d’atto delle richieste dei cittadini; della Polonia, dove il fronte del no è in crescita, essendo passato dal 56% al 64%, e di altri paesi ancora come la Repubblica Ceca.
Le preoccupazioni per questa ondata di no, diffusa in diversi paesi dell’Ue, sono evidenti e vissute con timor panico, soprattutto negli ambienti delle istituzioni comunitarie, in quanto il successo del no nel referendum francese bloccherebbe il processo di integrazione in atto.

nuvolarossa
12-05-05, 20:04
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La "Pentecoste" francese/Donare una parte del proprio lavoro agli anziani non piace a tutti

E' difficile mantenere in vita il nostro modello sociale

di Andrea La Malfa

La "battaglia" sul referendum sulla Costituzione europea del 29 maggio non è la sola questione spinosa cui il governo francese si trova in questi giorni a fare fronte. Ve ne è una seconda, di cui non so se i giornali italiani abbiano dato conto, ma che si sta dimostrando un osso altrettanto duro. E' la questione della "Pentecoste".

Di che si tratta? Nell'estate del 2003 la Francia, investita da un'ondata di calore senza precedenti, registrò, nel giro di poche settimane, circa 15.000 decessi soprattutto fra gli anziani e le persone non autosufficienti. Lo scandalo e le proteste che ne seguirono portarono il Governo a promettere un intervento risolutivo. Il 1° luglio 2004 il Parlamento ha varato una legge di iniziativa governativa che istituisce una giornata di solidarietà con il fine di raccogliere fondi da destinare ad interventi diversi per fronteggiare il rischio del ripetersi della tragedia del 2003. La giornata di solidarietà deve servire a finanziare una nuova cassa (la Cnsa, Caisse Nationale de Solidarité pour l'Autonomie), che si occuperà dei finanziamenti per la protezione degli anziani e dei non autosufficienti. La stima del gettito è di due miliardi di euro.

La legge prevede un contributo extra da parte delle aziende dello 0,30% sullo stipendio lordo dei lavoratori ed una giornata di lavoro non remunerata per i lavoratori dipendenti francesi, tanto del settore privato che di quello pubblico. La scelta su quale giorno extra lavorare viene lasciata alle singole aziende, d'accordo con le organizzazioni sindacali. (con l'eccezione del primo maggio che non può essere scelto, per ovvi motivi). La legge prevede che, in assenza di una specifica decisione aziendale, il giorno che diventa lavorativo sia il lunedì di Pentecoste (quest'anno il 16 maggio) che, in Francia, fino all'anno scorso era una festività nazionale.

Nonostante la legge sia stata approvata da quasi un anno, le polemiche hanno preso forza solo nell'ultimo mese con la decisione delle ferrovie dello stato di lasciare ai suoi dipendenti la pentecoste festiva aumentando, in cambio, la giornata lavorativa di 1 minuto e 52 secondi, versando quindi allo Stato quanto richiesto, senza, di fatto, pesare sui suoi lavoratori.

Nel pubblico sono stati annunciati approcci molto variegati, mostrando un forte disaccordo sul senso della legge: in alcuni uffici sarà rispettata la giornata lavorativa del 16 maggio, in altri il giorno di Pentecoste sarà festivo, ma gli impiegati avranno un giorno di ferie in meno, in altri ancora, semplicemente, gli uffici saranno chiusi. Le proteste sono cresciute progressivamente di tono. I sindacati si sono mossi contro la legge, da una parte chiedendo al Consiglio di Stato "la sospensione della soppressione della Pentecoste" in quanto assimilabile a un lavoro forzato - una richiesta che è stata bocciata martedì scorso dal Consiglio - dall'altra minacciando forme di protesta e scioperi per il 16 maggio. L'opposizione, in particolare il Partito socialista, si è detta pronta, quando andrà al governo, ad abolire questa legge marcata come iniqua per i lavoratori, anche se i soldi per la solidarietà sono certo necessari.

Raffarin ha risposto con durezza alle polemiche nella pubblica amministrazione sottolineando che le leggi approvate non possono essere applicate a discrezione, ma vanno applicate e basta. Nello stesso tempo il governo sostiene che, con questa soluzione, ha evitato un aumento di imposte penalizzante per il lavoro e ha contemporaneamente lanciato una campagna sulla stampa per sottolineare il significato della legge e ricordare che la solidarietà sociale è un dovere in uno stato avanzato. E' chiaro l'imbarazzo nel quale questa situazione ha fatto piombare tutti, il Governo, l'opposizione e le parti sociali. Da un lato nessuno si sente di rifiutare l'appello alla solidarietà nei confronti delle categorie più deboli, come sono gli anziani e le persone non autosufficienti, soprattutto visto che una giornata di solidarietà era stata invocata proprio a seguito della terribile estate del 2003. Dall'altro per il sindacato riconoscere il principio che può essere imposta, seppure per la più nobile delle ragioni sociali, la rinuncia alle vacanze previste dalla legge o dai contratti di lavoro e l'accettazione di lavorare gratuitamente, significa accettare un vulnus molto serio della loro forza contrattuale.

Comunque finisca, sia il Governo sia l'opposizione faranno fatica ad uscirne in maniera soddisfacente. E' uno dei molti esempi della difficoltà, in una situazione di ristrettezza dei conti pubblici, di mantenere – o come in questo caso di ampliare – il famoso "modello sociale", che spesso l'Europa vanta come tratto distintivo dell'identità europea rispetto alla società americana. Sarà interessante vedere come andranno a finire le cose.

Naitmer
30-05-05, 06:20
No alla turchia, alla pedofilia, alla famiglia omosessuale, ai massoni e al comunismo. Tutto questo c'è dietro al voto dei valorosi francesi.

Il prossimo passo è smantellare l'Ue e reintrodurre le monete nazionali.

romanamente

nuvolarossa
30-05-05, 09:35
Non

Quando, nell'ottobre scorso, si firmava, a Roma, la Costituzione Europea, quando la cerimonia era solenne e non v'era fanfara che non intonasse la melodia della retorica, avvertivo, da europeista, i pericoli di quel testo lungo e circonvoluto, incapace, per sua stessa natura, di affrontare i veri grandi problemi dell'Unione, avvertivo la contraddittorietà del fatto che tutti i governi prendevano impegni il cui rispetto sarebbe dipeso da un iter approvativo lento, incerto, e diverso da Paese a Paese. Ora la frittata è fatta, quel che avvertivamo è divenuta realtà, ed è toccato ai francesi dire il primo No a quel testo costituzionale.

http://www.repubblica.it/2005/e/ARCHIVE/homepage/images/sezioni/esteri/franciarefe/dopore_HM/reut_6297914_03570.jpg

Adesso ci sono due cose che non si devono fare. La prima è cedere allo sconforto e smontare una costruzione europea che ha accompagnato la rinascita democratica, dopo il secondo conflitto mondiale. La seconda è far finta di niente, perché quel che è successo è grave, ripetere che si va comunque avanti, senza sapere neppure come.
I francesi non hanno solo votato contro una Costituzione (scritta da un'assemblea presieduta da un loro ex presidente), ma hanno avuto occasione di dire no prima di altri (toccherà pronunciarsi ad olandesi, polacchi, inglesi, lussemburghesi, danesi, portoghesi, cechi ed irlandesi) ad un'Unione retta da molte strutture burocratiche e priva di una vera anima politica. Un'Unione che non ha politica economica, ma pretende di avere una moneta, che non ha politica estera, ma suppone di potere sedere all'Onu. E' da questi guasti che si deve ricominciare, ripartire.
Parte dei francesi ha anche votato contro la mondializzazione, l'apertura del mercato, l'immigrazione, insomma hanno votato a favore di un mondo andato e non più difendibile. Hanno, in questo caso, votato più con la paura che con la ragione.
Il conto deve essere presentato al loro governo ed al loro presidente della Repubblica, ed hanno diritto di presentarlo gli elettori di quel Paese, come anche i cittadini dell'Unione. I governanti francesi hanno preteso di tenere al guinzaglio l'Europa, consolidando un rapporto privilegiato con i tedeschi ed apertamente sfidando gli inglesi (per nostra fortuna, sui temi rilevanti della politica estera, l'Italia si è schierata con questi ultimi). Ora sono stati sconfitti, l'Europa che essi hanno voluto è stata bocciata. Se decidessero di restare al loro posto, se non dessero seguito all'evidenza politica di questo voto, sarebbe l'ulteriore dimostrazione che non è produttivo tenere assieme l'Europa dei governi, senza costruire quella dei cittadini.

Davide Giacalone
http://www.davidegiacalone.it

30 maggio 2005
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tratto da http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/3955

jmimmo82
30-05-05, 18:08
E' chiaro l'imbarazzo nel quale questa situazione ha fatto piombare tutti, il Governo, l'opposizione e le parti sociali. Da un lato nessuno si sente di rifiutare l'appello alla solidarietà nei confronti delle categorie più deboli, come sono gli anziani e le persone non autosufficienti, soprattutto visto che una giornata di solidarietà era stata invocata proprio a seguito della terribile estate del 2003. Dall'altro per il sindacato riconoscere il principio che può essere imposta, seppure per la più nobile delle ragioni sociali, la rinuncia alle vacanze previste dalla legge o dai contratti di lavoro e l'accettazione di lavorare gratuitamente, significa accettare un vulnus molto serio della loro forza contrattuale. Da ciò, appare evidente come tutte le forze politiche appartenenti al sistema democratico nazionale siano accomunate da un nobile principio di solidarietà dittatoriale...

Gli elettori francesi possono votare destra, centro-destra, centro-sinistra oppure sinistra. Questo significa che possono scegliere tra quattro opzioni:
1) assistenzialismo
2) assistenzialismo.
3) assistenzialismo.
4) assistenzialismo.

Possibile che il 100% degli elettori siano socialdemocratici?
Certamente NO!

Ma questa è la Francia! Il paese dell'altruismo coercitivo!

Liberté... Egalité Fraternité

nuvolarossa
30-05-05, 20:28
Fallimento di Chirac

Ora il processo politico riparte da Lisbona

Come altre volte è successo, la Francia si dimostra molto meno europeista di quanto avrebbe voluto far credere. O, peggio, paga la spregiudicatezza e la disinvoltura con cui Chirac si è mosso sullo scacchiere continentale in questi anni. Perché è vero che vi sono le pulsioni più varie e populiste all'interno del "no" francese, con buona pace di un revanchismo mai sopito, ma anche un bell'insieme di contraddizioni. Ad esempio, come si fa a disprezzare i Paesi dell'Est che muovono i primi passi, anche impetuosi, verso la democrazia e l'occidente e al contempo sfidare gli Stati Uniti d'America?

Possibile che solo la Russia di Putin e la Cina possano essere gli interlocutori preferiti del- l'Eliseo? Per questo prima di parlare di una affermazione degli opposti estremismi nel "no" alla Costituzione europea, vorremmo anche individuare la larga fascia di liberali e di moderati delusa dalle prospettive eurofrancesi del loro presidente e del governo.

Poi possiamo discutere della tecnicità del Trattato, troppo poco politico e troppo poco ideale per incidere davvero nella coscienza dei popoli. Definirlo una Costituzione è stato una forzatura priva di autentica corrispondenza alle esigenze ed ai contenuti, tanto da venire respinto. Ma anche per questo sarebbe eccessivo vedere improvvisamente la fine dell'Europa, un suo rigetto e magari ventilare una prossima ondata nazionalista.

L'Europa va avanti sulla base di quanto è stato realizzato finora e non è da escludere, lo ricorda il ministro La Malfa nell'intervista che pubblichiamo, che sono state tante le botte d'arresto e le ripartenze del processo di unificazione europea. Piuttosto va detto che forzature e semplificazioni, non servono. Al contrario: sono controproducenti.

Storditi dagli effetti di un voto, che pure era scontato, sono molti quelli che chiedono di aprire subito una pausa di riflessione.

Benissimo, l'opportunità in questo senso va colta e noi un elemento da dare all'attenzione di tutti l'abbiamo da tempo: solo un processo politico vero, sulle esigenze comuni, e anche sulle paure residue, è il solo che può far ripartire l'Unione Europea da un binario diverso da quello morto degli apparati burocratici. Il primo elemento autentico è quello dello sviluppo e della crescita di un continente stagnante. Lisbona, dunque, per completare e superare Maastricht.

Roma, 30 maggio 2005

jmimmo82
31-05-05, 11:51
Un conto è il governo di una nazione, un altro è il popolo.

Anche in Italia, le principali forze politiche sono per il SI alla Costituzione europea, ma se ci fosse stato il voto popolare, molto probabilmente avrebbe vinto il NO.

Il popolo è come un animale semplice, vota in funzione di quanto è piena la pancia. Quando si sente parlare di Europa, la prima cosa che viene in mente è l'Euro...
In oltre, molti non hanno mai visto questa Costituzione...
Ci vuole maggiore informazione e maggiore partecipazione del popolo alle decisioni continentali.

jmimmo82
31-05-05, 12:44
Anche in Italia, le principali forze politiche sono per il SI alla Costituzione europea, ma se ci fosse stato il voto popolare, molto probabilmente avrebbe vinto il NO. La Rai dice che il 60% degli italiani è favorevole alla carta costituzionale europea.

Mah!

nuvolarossa
31-05-05, 18:02
... il voto di domenica nel referendum francese sulla Costituzione Europea e' un sonoro schiaffo alla politica di Chirac che pretendeva di imporre linee guida in campo europeo in alleanza con il tedesco Schroeder ... anche lui battuto, pochi giorni fa, dal voto elettorale che ha visto il suo partito franare rovinosamente .... insomma l'asse Parigi-Berlino ... che ha impedito all'Europa, in questi ultimi anni, di prendere prestigio internazionale specialmente nella lotta al terrorismo .... e nell'ignavia disinteressata verso i problemi del medio-oriente ... unitamente al periodo di presidenza di Prodi che ... analogamente ... ha addormentato l'Europa "politica" che tutti abbiamo il "dovere" di costruire .... questo asse di alleanza mostra tutte le sue crepe ed il suo fallimento ... e con esso il fallimento di Prodi e del suo disegno di conquista del governo del Paese ...
Ora Prodi, l'Unione, il centro-sinistra ... con tutti i catto-comunisti di contorno ... oltre non avere ancora uno straccio di programma con cui presentarsi agli Italiani ... si ritrovano anche senza piu' alcuna politica estera ... perche' quella a cui si erano collegati ... quella franco-tedesca ... e' saltata ...
Ma il leader dei catto-comunisti continua la sua vacanza .... il mare e il sole della grecia ... ma con la certezza che quando ritornera' in Italia, al terminal, ci saranno ad aspettarlo ... vari e numerosi mazzi di cicoria ...

jmimmo82
31-05-05, 18:58
° Prodi ha fallito in Europa.
° Bertinotti vuole tirare le redini dell'Unione.
° I DS non sanno se appoggiare o togliere di mezzo Prodi.
° La Margherita si ribella perché ha capito cosa vuole fare Bertinotti e non si fida di Prodi.
° Prodi è in vacanza.

kid
31-05-05, 19:12
mi pare la cosa migliore, per lui e per noi.

la_pergola2000
01-06-05, 13:12
De Vallepine Post #118 di 1051

Si continua a piangere:
l'attivismo del ministro degli esteri francese sembra irresistibile, resta il fatto che le sue visite ai paesi arabi amici di Saddam nel dopoguerra fa aumentare il contenzioso antiamericano, gli europei cosa dicono?
Noi resta che piangere per l'Europa.
But not shall cry for you Chirac

jmimmo82
01-06-05, 14:41
I nazionalismi e i socialismi hanno lasciato una macchia indelebile nella cultura di tutte le generazioni dell'ultimo secolo, anche in quelle che si autodichiarano democratiche. A giudicare dalle tendenze giovanili, dovremo aspettare un bel pò prima di non veder più la macchia.

nuvolarossa
06-06-05, 18:27
http://www.opinione.it/vignette/127_B.jpg

nuvolarossa
14-07-05, 20:40
Gli accordi sospesi

La Francia si ritira da Schengen ma forse è una misura inutile

Quello che colpisce della scelta francese di sospendere l'accordo di Schengen è la sua mossa autonoma e non concordata. Un Paese che si è sempre espresso a favore dell'Europa nel senso politico e commerciale più esteso di questo termine, al dunque si è mosso in splendido isolamento, senza nemmeno sentire il parere dei partner della comunità. La Francia è sempre la Francia.

Ora è perfettamente legittima, perché prevista dal trattato stesso, la sospensione dell'adesione a Schengen, ma la cosa non parrebbe in prospettiva priva di significati politici. Il più immediato che ci viene in mente, è il grossolano "ognun per sé", e proprio nel momento più difficile, ossia sotto la pressione dell'attacco terroristico. Lo stesso desiderio di chiusura e di isolamento che si coglie in questa decisione della Francia, appare poi anacronistico se commisurato agli attentati di Londra, visto che la prospettiva del terrorismo si è dimostrata di ordine interno. Venivano da Leeds gli uomini bomba che hanno scatenato l'inferno nel cuore della capitale inglese, e sono la seconda generazione di immigrati. E' molto probabile che la Francia abbia già i potenziali terroristi al suo interno, assimilati con i suoi giovani negli stessi costumi sociali, per lo meno all'apparenza.

Il professor Tommaso Padoa Schioppa ci invita a non travisare la decisione di Parigi. Egli tiene a dire che "non è rottura dello spazio comune", bensì "è rafforzamento del suo presidio". Sarà. Certo a noi sembra però logica l'osservazione del ministro La Malfa, in un'intervista al Giornale, secondo la quale a questo punto il rischio "è che ciascun paese cominci a fare per conto suo".

Se noi siamo contrari nel complesso ad adottare misure eccezionali per combattere o prevenire il terrorismo, per la ragione che non vogliamo mettere a repentaglio i diritti e le democrazie conquistati in questi decenni dall'Europa, altrettanto dovremmo non vedere adottati dei provvedimenti che buttino a mare tutta una serie di garanzie e di libertà che avevamo conquistato. Schengen, sicuramente, era una fra queste.

Senza se e senza ma, l'europeissima Francia, nemmeno preoccupandosi di come vedessero la cosa i suoi alleati principali e vicinissimi, vi ha rinunciato. Se questo è il modo in cui l'Europa si prepara ad affrontare insieme il terrorismo, ce lo spiegherà presto il professor Tommaso Padoa Schioppa.

Roma, 14 luglio 2005

nuvolarossa
15-07-05, 18:38
LA MALFA: SOSPENDENDO SCHENGEN VINCONO GLI ESTREMISTI

(ANSA) - ROMA, 15 LUG - "Non mi sembra affatto necessario sospendere Schengen". Lo dice in un'intervista a LA STAMPA Giorgio La Malfa. "Certo, è possibile che oggi in consiglio dei ministri qualche collega leghista sollevi delle obiezioni - continua il ministro per le Politiche comunitarie -. Ma ritengo che bisogna rispettare il giudizio di chi ha competenza sul campo. Se poi Pisanu dovesse dirci che la chiusura delle frontiere è diventata opportuna, allora sono sicuro che riconsidereremo la cosa. (...) Non considero la sospensione di Schengen risolutiva del problema. I terroristi non si presentano alla frontiera col passaporto. In genere già si annidano sul territorio, come abbiamo visto in Gran Bretagna e in Spagna. (...) Se altri Paesi seguissero la Francia, allora i terroristi potrebbero dire di aver ottenuto una prima vittoria. Sospendere anche temporaneamente gli accordi di Schengen significa attenuare quella grande acquisizione europea che è la libera circolazione delle persone. Il terrorismo punta a neutralizzare queste conquiste".(ANSA).

nuvolarossa
18-07-05, 19:36
Intervista "Il Giornale" 14 luglio 2005

La Malfa sorpreso: "Atto legittimo però era meglio decidere insieme"

Non lo rivela apertamente, ma si capisce come Giorgio La Malfa, ministro per le Politiche comunitarie, sia rimasto un pizzico sorpreso dalle decisioni di Parigi di sospendere il trattato di Schengen in nome della lotta al terrorismo. "Personalmente - dice - avrei preferito che ci fosse stata una decisione presa tutti assieme... anche se capisco perfettamente, visto che il trattato lo prevede, che un Paese possa decidere di tornare a trincerarsi davanti a momenti come questi".

Non lo giudica, insomma, un passo indietro rispetto alla Ue. Frutto magari anche di quella bocciatura costituzionale che ha fatto emergere il malessere d'Oltralpe nei confronti dell'Unione?

"Ripeto: davanti a un problema come il terrorismo ci può anche stare la sospensione della libera circolazione. Anche se a mio modo di vedere, bisognava pensarci molto bene prima di arrivarci".

Anche l'Olanda avrebbe avuto una tentazione del genere, a quanto pare. Non l'ha adottata del tutto, ma si è fatto sapere che negli aeroporti e nei porti riprenderanno i controlli... pensa che ci sia a questo punto la possibilità che altri possano seguire la stessa strada?

"Se si comincia a concretizzare la sospensione di Schengen in due Paesi, anche gli altri dovranno cominciare a pensarci. Meglio sarebbe stato decidere assieme, ma a questo punto non credo che si possa evitare di dibatterne. Il rischio del resto è che ogni Paese cominci a fare per conto suo. E questo sarebbe grave".

A Bruxelles intanto, i ministri degli Interni e della Giustizia hanno varato solo un'agenda di interventi per combattere il terrorismo e non atti concreti. Qualcuno si chiede se non fosse meglio affrettare il passo.

"Io sono favorevole a una certa prudenza. Non si può, per colpa del rischio-terrorismo, buttare a mare tutta una serie di garanzie e di libertà che l'Europa ha acquisito nel tempo. Sarei preoccupato se si fosse agito così, mentre a questo punto bisognerà approfondire le questioni sul tappeto e a quel punto prendere le decisioni più opportune".

E però dopo il "grande allarme" non crede che la montagna abbia partorito un topolino? Che è un po' quello che ad esempio Cossiga ha detto dell'informativa di Pisanu alla Camera di martedì scorso.

"Ero in Galles per lavoro, quel giorno e dunque non ho potuto ascoltare il nostro ministro degli Interni, ma ho visto come alle sue parole siano seguiti arresti ed espulsioni. Fatti, insomma. Piuttosto, sull'argomento, devo dire che ho trovato corretta l'idea di Cossiga di istituire una procura unica anti-terrorismo. L'estremismo islamico si dirama in mille rivoli ma la mente è unica. Assurdo pensare che gli si possa rispondere con l'attività di procure diverse che non si coordinano neanche tra loro".

Altri suggerimenti per Pisanu, visto che si dovrà varare un "pacchetto" di misure in Consiglio dei ministri?

"La priorità resta l'intelligence. Il lavoro di prevenzione".

Niente leggi speciali anche per lei, in sostanza.

"Il problema è bilanciare la necessaria difesa dei cittadini con il mantenimento delle loro libertà. Per questo suggerisco la cautela e la ricerca di un largo consenso politico".

E però nella sinistra italiana c'è chi non vuole nemmeno sentir parlare di nuove misure anti-terrorismo...

"Lo so bene, visto che in tanti hanno rifiutato di rifinanziare la missione in Afghanistan. Purtroppo la sinistra italiana continua ad avere un problema gigantesco: è spaccata in due ma fa finta di niente. Non so davvero come possano pensare di poter governare il Paese finché non superano questa enorme contraddizione".

Alessandro M. Caprettini

nuvolarossa
22-09-05, 21:51
Egalité, liberté et tié!

Arrestato il figlio di Villepin, subito libero dopo una telefonatina di papi.

Roma, 22 settembre 2005

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tratto da "I Corsivi del Diavoletto"
http://www.pri.it/archiviodiavoletto.htm

la_pergola2000
09-11-05, 00:42
Douce France
cher pays de mon enfance.......
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oui je t'aime
dans la joie ou la douler.

Alor
mes ami le couvre-feu a Paris e dans la banlieue
c'est possible en France?

nuvolarossa
09-11-05, 12:54
Condannare le violenze urbane

Parigi - Gli imam delle banlieue si pongono come interlocutori o veri e propri tramiti per il ristabilimento dell’ordine pubblico. L’ultima volta è successo ancora lunedì notte, quando una quindicina di leader religiosi musulmani si sono riuniti in una moschea di Clichy-sous-Bois per condannare le violenze urbane che hanno messo a ferro e a fuoco negli ultimi giorni le periferie parigine ed hanno rivolto un appello alla calma.
Gli imam si sono riuniti in quella stessa moschea Bilal, che il 31 ottobre, quarto giorno di scontri, era stata centrata in pieno da una bomba lacrimogena lanciata dalla polizia, ed era entrata a far parte della lista dei pretesti per l’azione dei “casseurs”.
La granata era entrata nel luogo di culto, facendo infuriare i fedeli e gli abitanti della zona. Breze Hadj Thami, presidente del Consiglio regionale del culto musulmano (Crcm), ha quindi preso la parola per «condannare gli incendi e le aggressioni» ed ha invocato «un immediato ritorno alla calma nelle nostre città». «Dio ci vieta di trasgredire e non ama i trasgressori», ha detto il presidente del Crcm, il quale ha anche invitato gli altri imam presenti a «sensibilizzare» i loro fedeli «affinché svolgano un ruolo preventivo». Riguardo all’incidente della moschea, il suo responsabile, Abderrahmane Bouhout, ha detto: «Non ho visto gente nel quartiere inneggiare alla moschea in fiamme, ho visto solo gente pacifica». «Vogliamo lanciare un appello alla Francia intera affinchè torni la calma”, ha aggiunto Bouhout.
Anche da parte dei fondamentalisti si gioca ora a gettare acqua sul fuoco, atteggiandosi a interlocutori efficaci e affidabili. Un predicatore islamico radicale nel Qatar ha invitato infatti la comunità musulmana di Francia, che ha definito «Paese amico», ad essere «calma e ragionevole». «Noi, come arabi e musulmani, desideriamo la pace e la sicurezza per la Francia e per il suo popolo amico, dato in particolare che le posizioni francesi rispetto al problema arabo e a quello islamico sono state giuste ed hanno chiesto di emanciparsi dagli americani», ha dichiarato sheikh Youssef al Qaradawi ,predicatore egiziano, membro dei Fratelli musulmani che giustificò gli attacchi suicidi in Israele. Non si sa quanto i responsabili dello stato laico d’Oltralpe abbiano gradito l’aiuto non richiesto.

nuvolarossa
11-11-05, 14:23
http://www.opinione.it/vignette/2004_254_B.jpg

la_pergola2000
13-11-05, 01:44
la Francia in questi frangenti sta scoprendo una stampa amica.
Secondo questa stampa, da cui non è immune la Rai, ( Di Giannantonio ) ci promette ogni giorno che le proteste stanno diminuendo , perche non sono più 800 le auto bruciate , ma 400, oggi sono arrivate a 500, e la stampa continua a dire che la protesta sta dimuendo, diminuirà, certo che diminuirà anche per la stanchezza dei protestanti.

Intanto questa protesta va avanti.

E De Vallepine arranca, lui deve dimostrare ai Francesi che Sarkosy non è l'erede di Chirac.

Saluti.

nuvolarossa
14-11-05, 13:38
http://www.opinione.it/vignette/2005_256_B.jpg

nuvolarossa
14-11-05, 13:44
Una, cento, mille Parigi
Chi soffia e perché sulla rivolta francese dei “meteque”?

di Romano Bracalini

“Liberté, fraternité, egalité”, e “realité”, ha aggiunto ironicamente un giornale inglese. Vacilla il motto giacobino della società “aperta e solidale”. La presunzione francese s’è accorta tardi, o non se n’è ancora accorta completamente, che il corpo estraneo inglobato nell’esagono era difficile da assimilare in un quadro di “egalité” e “fraternité”. Nel suo libro “Plataforme” lo scrittore francese Michel Houellebecq, processato per “istigazione all’odio razziale”, aveva già prefigurato la “guerra civile” in Francia e le colpe della sinistra “buonista” che l’ha resa possibile. Si scopre con meraviglia che musulmani e africani non solo non vogliono integrarsi ma rifiutano la cultura occidentale. La cattedrale di Notre Dame, Giovanna D’Arco, la Bastiglia, perfino il “drapeau” restereranno sempre indigesti, negati nel loro significato profondo di appartenenza dai “meteque”, che, al contrario, rivendicano l’orgoglio delle origini per accentuare il distacco.

“Meteque” in francese significa “straniero” levantino, africano, che non cambia la sua natura diversa anche se in possesso di passaporto francese. Ed è stato proprio il passaporto francese, il “papier”, a legittimare le pretese dei rivoltosi senza il rischio di essere cacciati. Ma nell’insurrezione parigina insieme ai giovani africani delle periferie si sono mescolati criminalità comune, no global e “nichilismo” delle ultime generazione: il tanto peggio tanto meglio, invocato dallo stesso Prodi “querulo inaffidabile saltimbanco”. La Francia appare oggi, come è sempre stata, uno stato anchilosato e supponente, enfatico e retorico, come l’architettura monumentale delle piazze e dei ponti celebrativi. La politica francese ha perso ogni connotato di razionalità e di ironia da due secoli a questa parte, e non sa rassegnarsi alla perdita di prestigio e di ruolo.

Così il dogma “ugualitario” dell’assimilazione, che discende dal culto rivoluzionario dei “diritti dell’uomo e del cittadino”, ha trasformato la Francia in due stati distinti e contrapposti, uno dentro l’altro, nemici, diversi, inconciliabili nella pretesa dell’uno di imporre la sua visione all’altro. Si diceva che la Francia ha perso terreno ed è incapace di fare i conti con realtà. Così il preteso ugualitarismo ha creato una classe di cittadini che sono francesi naturalizzati o di nascita (in Francia vige il diritto di suolo), ma restano “meteque”, cittadini di serie B. La cultura ideologica francese, con poche eccezioni, non ha avvertito il pericolo e l’intrinseca “ingiustizia” che veniva consumata, col pretesto di un impossibile diritto di uguaglianza. Così gran parte dell’immigrazione dalle vecchie colonie, invece di integrarsi, s’è sentita discriminata e s’è ribellata. Si è giunti al paradosso che i primi “fellahin” immigrati son diventati francesi e fieri d’esserlo. Sono stati i loro figli e nipoti, nati in Francia, a rifiutare una nazionalità che li poneva automaticamente ai margini.

Così si sono rinchiusi in un volontario apartheid etnico e religioso non potendo sopportare una condizione che li umilia. Africani con passaporto francese che non conoscono la lingua francese, allo stadio fischiano la Marsigliese e sputano sul tricolore. Perfino i calciatori di pelle nera milionari solidarizzano con la protesta. Non è la rivolta della miseria. È una questione di etnia. Alle motivazioni della miseria e della disoccupazione possono credere solo i Mussi e i Diliberto, che non si sono mai sdilinquiti troppo per la miseria delle masse sovietiche. Le periferie sono tutte uguali: emarginazione e solitudine. Ma gli incendi, l’assalto ai poliziotti, la distruzione dei negozi non hanno alcuna giustificazione e non è questo il problema. È che una nazione non può reggersi su un dualismo di valori e di sensibilità diverse. Due errori contrapposti hanno portato alla “guerra civile”: la supponenza francese del modello multirazziale e il richiamo potente dell’Islam sulle generazioni dei ghetti sempre più turbolenti e pericolosi.

Il passaporto francese non s’è dimostrato veicolo sufficiente per acquisire lo stato di parità e di eguaglianza razziale. Le “banlieu” rigurgitano di disoccupati abituali, perché il rifiuto preconcetto delle leggi dello stato francese non aiuta a trovare un lavoro normale, e perché parecchi preferiscono lo spaccio, l’illegalità, lo scontro fisico. Il dramma della mancata integrazione ha questo risvolto: l’uscita dalla legalità e la nascita di un corpo separato destinato a deflagare. È in questo rifiuto programmato che cova il rancore, il risentimento, l’odio contro la cultura egemone che resta patrimonio della Francia bianca, cattolica, europea. A loro non resta che rifugiarsi nei simboli che storicamente si oppongono alla cultura occidentale: le pratiche tribali dell’Africa nera, la scelta fondamentalista dell’Islam come ritorsione e vendetta. Gli imam hanno scelto una posizione morbida e conciliante, per stornare un legittimo sospetto. È un processo universale che lega l’Africa al Nuovo Mondo. L’America centrale e meridionale dei caudillos e delle oligarchie terriere riscopre la cultura precolombiana in funzione antioccidentale, soprattutto contro gli “yankee” vicini di casa.

Del vasto impero coloniale d’Africa, l’Algeria francese faceva parte integrante del territorio metropolitano (un po’ come fece Mussolini con la Libia). L’esperimento pretenzioso e retorico, come ogni cosa francese, resse finché i colonizzatori non vennero cacciati dai colonizzati. Il regista Gillo Pontecorvo, in omaggio al nascente mito terzomondista, girò “La battaglia d’Algeri”, in cui buoni e cattivi erano rigorosamente separati secondo la vulgata marxista. Ma se oggi dovesse girare una ipotetica “Battaglia di Parigi” non saprebbe forse spiegare perché, dopo l’ubriacatura dell’indipendenza senza libertà, i “beurs”, le facce d’arabo, scelsero in massa la Francia e oggi la rifiutano con la stessa violenza d’allora. Chi li ha chiamati? Quanto succede in Francia è forse la prefigurazione dell’Europa conflittuale che verrà e, a quanto pare, se non si abbandonerà un sistema fallito, quel giorno non è poi così lontano.

nuvolarossa
28-02-06, 10:11
http://img506.imageshack.us/img506/6936/senzanome1mz.png

nuvolarossa
28-02-06, 10:25
http://img509.imageshack.us/img509/2764/200602280011lk.jpg

la_pergola2000
28-02-06, 20:39
Garcons - reprouverons ?

les une e les autres companions de l 'Europe sont sourd.

Il avait recevu^ un rude coupe.

nuvolarossa
01-03-06, 15:45
La faccia tosta dei filofrancesi del centro sinistra

di Arturo Diaconale

Certo che ci vuole una bella faccia tosta a prendersela con il governo italiano se quello francese fa strame dello spirito europeo e della libertà di mercato ed innalza cortine protezionistiche ai propri confini! Soprattutto se chi se la prende con il governo di centro destra non ha fatto altro in tutti questi anni che contestare lo stesso governo per la sua scelta contraria al “modello francese”. E, in particolare, se il capofila dei critici dell’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi ha caratterizzato la propria attività di presidente della Commissione Ue, cioè del governo europeo, con una politica di piena e totale passività alla pretesa della Francia di subordinare sempre e comunque gli interessi europei a quelli di Parigi. Ora Oliviero Diliberto ripete a pappagallo la favola secondo cui l’Italia non conta nulla a livello internazionale a causa della mancata politica europeistica di Berlusconi. Francesco Rutelli si accoda rimproverando all’esecutivo del Cavaliere di non aver saputo prevenire il protezionismo francese. E Prodi conclude il giro inneggiando alla difesa della italianità di banche ed aziende e contestando al presidente del Consiglio di non aver ancora applicato la logica della reciprocità varando una serie di provvedimenti ritorsivi nei confronti della Francia e delle sue aziende.

Ma, anche se è vero che a carnevale ed in campagna elettorale, ogni scherzo vale, la scelta del centro sinistra di aggredire il governo sul “caso francese”, indica con estrema chiarezza che i dirigenti dell’Unione hanno perso la testa. Da campioni dell’europeismo filofrancese si sono trasformati in campioni dell’italianità ad ogni costo e del protezionismo ritorsivo. E, se non bastasse questa ennesima dimostrazione della loro inguaribile tendenza al “contrordine compagni”, hanno anche offerto una dimostrazione lampante della loro totale inaffidabilità come eventuali futuri governanti. Invece di dare una dimostrazione di responsabilità manifestando la disponibilità ad una linea comune con l’esecutivo in difesa dell’interesse nazionale, hanno scelto la strada dello scontro e della bassa strumentalizzazione elettorale. Puntano solo al 9 aprile. Senza pensare che dall’indomani dei risultati elettorali, qualunque sia l’esito della consultazione popolare, si apre una fase politica in cui sempre più spesso le strumentalizzazioni di parte dovranno lasciare il posto alle intese di largo respiro.

nuvolarossa
03-03-06, 13:49
Chirac, il più antieuropeo del reame
La fusione Suez-GdF non sorprende. Parigi persegue da sempre il proprio interesse a discapito della Ue

di Tommaso Ciuffoletti

Per cosa, di preciso, ci si sorprende nell’apprendere della decisione indirizzata dal governo francese di fondere le società Suez e Gaz de France e respingere così l’opa di Enel su Electrabel (controllata da Suez)? C’era bisogno di questa ennesima prova per mettere sotto i nostri occhi che i cugini d’oltralpe perseguono una strategia globale che si muove nella convinzione che il proprio paese possa continuare a recitare in piena autonomia un ruolo di primo piano? E c’era bisogno dell’esplodere dell’affaire Enel per capire che questa strategia si persegue anche a discapito del già fragile ruolo dell’Unione Europea? Se veramente serviva questo, significa che le nostre classi dirigenti hanno avuto strumentale motivo di fingersi miopi per non dichiararsi impotenti. Solo negli ultimi mesi si potrebbero ricordare un paio di grandi ed importanti occasioni in cui la Francia ha dato evidente prova del senso della propria strategia e non mi interessa tanto tirare in ballo il caso del voto contrario al referendum sulla ratifica della “costituzione” europea, quella può essere al massimo considerata la riprova di un assai più diffuso - e per buona parte comprensibile - sentire euro-diffidente fra i cittadini di larga parte dell’Europa occidentale. Ci interessa piuttosto ricordare il dibattito interno all’Unione sul ruolo europeo in sede di trattative Wto, in particolare sul capitolo agricolo, e quello sul bilancio europeo.

In occasione del vertice interministeriale dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio, tenutosi a dicembre ad Hong Kong, l’Europa si trovava sotto il tiro incrociato di Stati Uniti e G-20, il gruppo dei più avanzati paesi in via di sviluppo (India e Brasile su tutti). Principale oggetto di critiche le ingenti sovvenzioni e protezioni per l’agricoltura europea. Il commissario per il commercio estero, Peter Mandelson, responsabile delle trattative in sede Wto, aveva osato esprimersi a favore di una revisione della Politica Agricola Comunitaria (Pac) che andasse incontro ad alcune delle richieste internazionali e già la commissaria per l’agricoltura (la tedesca Mariann Fischer Boel) aveva faticosamente provveduto a smantellare il sistema europeo sul commercio dello zucchero, un farraginoso ma compatto blocco di sovvenzioni e protezioni che rendevano il costo di tale bene di consumo sui mercati europei circa il triplo di quello normalmente registrato sui mercati internazionali e che era in vigore - in maniera sostanzialmente immutata - dal 1968. La prospettiva indicata da Mandelson rientrava in una strategia più ampia che doveva accordarsi con una revisione del bilancio europeo, proposta dal governo Blair, detentore della presidenza di turno dell’Unione, che avrebbe dovuto riallocare le risorse di bilancio spostandole dalle sovvenzioni agricole agli investimenti in settori giudicati maggiormente strategici e con migliori prospettive.

Né la timida proposta Mandelson, né la difficile soluzione proposta da Blair hanno avuto successo. Non hanno trovato che timidi appoggi, mentre hanno incontrato una dura e tenace opposizione; portabandiera la Francia di uno Chirac che scriveva ai maggiori quotidiani europei, a partire dal Financial Times, lettere che, considerate anche le precarie condizioni di salute di allora del Presidente francese, sembravano vergate da altri, forse Toni Negri, forse Giulio Tremonti. Il risultato è che il vertice Wto di Hong Kong si è risolto con un nulla di fatto, e la Francia continua a ricevere ingenti fondi per sovvenzionare la propria agricoltura altrimenti ben poco in grado di fronteggiare la concorrenza internazionale. Non si vuole in questa sede emettere un giudizio sulla strategia francese. Certo, però, non si può nascondere che essa persegua efficacemente interessi nazionali anche a discapito del ruolo internazionale dell’Unione Europea. E le ultime notizie non fanno che confermare il senso di tale direzione. Molto brevemente si può considerare come nella nuova realtà economica globale appare impensabile che una nazione con risorse parzialmente limitate come quella francese possa pretendere di competere da sola e pertanto essa ha bisogno dell’Europa quanto tutti gli altri paesi membri. Tuttavia per i dirigenti francesi questo bisogno d’Europa si traduce con il bisogno di far sottostare quest’ultima alle esigenze della patria. Ecco il senso dell’europeismo “a la francais”. Sarò molto “laico” nel trarre le poche ultime riflessioni e lasciare a voi eventuali conclusioni.

L’Italia non è nelle condizioni di attuare una strategia similfrancese per molteplici motivi: classi dirigenti inadeguate, sistema energetico ben più fragile, sistema produttivo ben più debole. Quand’anche si volesse prendere la Francia a modello (un modello che a mio parere è destinato ad essere condannato alla sconfitta nei prossimi anni se non saprà mutare il proprio orizzonte verso meno sciovinisti jours de gloire) siamo sicuri che in Francia, in un caso a ruoli invertiti come quello di questi giorni, l’opposizione avrebbe reagito come ha reagito in casa nostra, adducendo la colpa di ogni male alla politica estera del premier? Anche in questa occasione il mio anti-francesismo si toglie il cappello di fronte alla compattezza nazionale francese, certo che nemmeno Liberation si sarebbe mai beata dei fischi in mondovisione al gaullista Chirac, come invece ha fatto l’Unità solo ieri.

la_pergola2000
20-03-06, 01:53
De Villepine cosa mi combini?

nuvolarossa
20-03-06, 11:02
Francesi, conservatori ed illusi


S'agita la piazza conservatrice, a Parigi. E non è certo un difetto, una menomazione, l'essere conservatori, anzi. Tutto sta a capire cosa si vuol conservare e se è possibile. Ecco, a Parigi non sono solo conservatori, sono anche degli illusi. La Francia ha una disoccupazione giovanile giunta al 22% fra i giovani sotto i ventisei anni, ma che tocca il 50% fra i ragazzi delle periferie (teatro di violenze pre-politiche, appena quattro mesi fa). Una situazione marcatamente peggiore della nostra, e non solo per i numeri (che, comunque, segnano un record negativo in Europa), ma anche per la mancanza di politiche indirizzate al riassorbimento del fenomeno.

http://www.repubblica.it/2006/c/sezioni/esteri/sorbona/nottesco/reut_7792579_28100.jpg

Non c'è, in Francia, una legge Biagi.
Il governo de Villepin ha adottato un decreto, il CPE, che disciplina i contratti di prima occupazione, e stabilisce, per grandi linee, che i giovani sotto i ventisei anni possono essere assunti ed eventualmente licenziati, entro due anni, anche senza giusta causa. L'intento della norma è evidente: convincere gli imprenditori che si possono assumere giovani senza per questo contrarre obblighi ed oneri per i successivi quaranta anni. E' scoppiata la rivolta. E' scoppiata non fra gli esclusi delle periferie, bensì fra i protetti delle università, i quali sono cresciuti nella convinzione che privilegio sociale e blasone scolastico avrebbero evitato loro di fare i conti con il mercato. Oggi chiedono a de Villepin di ritirare il decreto, come se questa marcia indietro legislativa sia di per sé sufficiente a restituire ai giovani non solo il lavoro, ma rendendolo anche stabile e duraturo. Illusione, allo stato puro.
La Francia può coltivare illusioni isolazioniste quanto le pare, ma rimane dentro l'Europa e l'Europa naviga anch'essa nel mondo. Può uscire dall'Europa, se crede (non lo faranno mai, perché l'UE, a causa anche delle spinte francesi, è divenuta un'area protezionista), ma difficilmente potrà uscire dal mondo. E nel mondo globalizzato (giustamente) non si possono far pagare ad altri i costi del proprio welfare. I ragazzi francesi vogliono, oggi, disperatamente essere come i loro padri ed i loro nonni, ed invece dovranno imparare a farsi valere senza mettere nel conto, a venti anni, che qualcuno li manterrà quando ne avranno sessanta. E' inutile far manifestazioni contro il “precariato”, anzi, il continuare a chiamarlo così dimostra una assai precaria comprensione della realtà.
Noi siamo messi un po' meglio, da questo punto di vista, ma abbiamo in comune, con i cugini francesi, un mondo politico, nel suo complesso, che ha paura di dire come stanno le cose, di dirlo in modo chiaro e fermo. Convinta, anche la politica, che quel che si è perso, o si va perdendo, è meglio di quel che ci aspetta. E' evidente che questi Paesi non avranno mai una scossa positiva fino a quando non troveranno politiche e politici che sappiano far vedere quanto migliore può essere il mondo che non tenti solo di conservare se stesso.

Davide Giacalone
www.davidegiacalone.it

20 marzo 2006

tratto da http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/7986

nuvolarossa
20-03-06, 19:54
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


I giovani francesi protestano...per restare disoccupati

di Stefano Magni

In Francia sta forse scoppiando un nuovo ’68? Le cause del malessere sociale ci sarebbero tutte. In effetti, a ben vedere, le assunzioni sono rare, soprattutto tra i giovani: il 23% dei Francesi al di sotto dei 26 anni è disoccupato. Un salariato medio su due guadagna meno di 1500 euro netti al mese. Un milione di salariati vive al di sotto della soglia di povertà. Nei quartieri abitati da immigrati, nelle Banlieu, la disoccupazione arriva a toccare livelli ineguagliati nel resto d’Europa. Ma, paradossalmente, gli studenti francesi non stanno occupando decine di campus universitari per chiedere più posti di lavoro. Ma contro l’introduzione di nuove soluzioni progettate apposta per aumentare l’occupazione giovanile. Questo sembra un paradosso. Il ministro De Villepin ha promosso l’introduzione dei nuovi contratti di assunzione dei giovani, i CPE (promessi da tanti mesi), dopo lo shock della guerriglia urbana, la più esplicita prova dei danni che possono essere inflitti da un’ampia “massa di manovra” di giovani emarginati e disoccupati. Gli universitare protestano perché nei CPE i lavoratori possono essere licenziati senza giusta causa nei primi due anni di assunzione, clausola che viola la legislazione sul lavoro del 1973. Ma, mettendosi nei panni degli imprenditori che dovrebbero assumere, si tratta di una clausola ovvia: gli assunti sono giovani al di sotto dei 26 anni, non qualificati, il più delle volte al loro primo impiego.

Perché mai un imprenditore dovrebbe “sposare” un lavoratore che risponde a queste caratteristiche? E se il neo-assunto non dovesse essere tagliato per il lavoro che gli viene richiesto? La protesta francese, più che altro, è motivata da pregiudizi ideologici: l’introduzione del CPE è la prima manovra di mercato accettata dal governo francese per incrementare il lavoro giovanile, dopo il fallimento di numerose soluzioni stataliste: il Contratto di Inserzione Professionale del 1993, i contratti Impieghi Giovani del 1997, i CJE e i CIVIS del 2002 e 2003, erano tutti tentativi di inserire i giovani nel mondo del lavoro a spese della collettività, o attraverso l’assunzione in enti pubblici, o tramite il pagamento del salario (in tutto o in parte) da parte dello Stato. Queste soluzioni stataliste non hanno prodotto i risultati sperati e la disoccupazione giovanile ha continuato ad aumentare. L’attuale soluzione di mercato è anche una scelta obbligata dai conti pubblici, considerando che il debito dello Stato francese è tra i più alti d’Europa: nonostante la tassazione consumi circa il 45% del Pil francese, il debito pubblico supera il 200% del Pil. Eppure i giovani protestano. La società francese rimane arroccata nelle condizioni ottenute dai lavoratori dai primi anni ’70 in poi: settimana lavorativa limitata a 35 ore, 5 settimane di ferie retribuite, 36 settimane di assenza retribuita per maternità e problemi familiari. Il cardine del lavoro francese rimane il contratto a tempo indeterminato (CIP), un tipo di contratto rigido elaborato nei primi anni ’70 per venire incontro alle richieste dei sindacati. Col risultato che i datori di lavoro non possono più permettersi di assumere a tempo indeterminato: nel 2004, 7 lavoratori su 10 del settore privato erano assunti con contratti a termine. A far le spese della rigidità del lavoro sono soprattutto i giovani. Eppure sono proprio loro che protestano: per difendere chi impedisce loro di lavorare.

la_pergola2000
30-03-06, 01:15
Certo c'è una contraddizione nelle proteste giovanili francesi.
Secondo me è una prova generale per una protesta politica.
La sinistra dopo il fallimento delle ultime elezioni ( 25 % ) e la sbandierata guache pluriel non ha prodotto nessuna proposta politica.
Naturalmente le proteste dei cosiddetti studenti sono tutte rivolte all'indietro quando governava la sinistra, molti dicono se sia un nuovo '68, certo che si, alla testa di quelle proteste secondo il canone leniniano,c'erano sempre dirigenti di sinistra.
Ora i partiti organizzati di sinistra non riescono ad organizzare una valida proposta politica, quindi ci provano fomentando la piazza, ci provano con gli studenti che sappiamo generosi fino all'inverosimile, con una protesta fasulla e così Chirac o chi per lui è già avvisato.

Nessuno crede alla spontanea manifestazione di protesta.

nuvolarossa
30-03-06, 19:22
http://www.ilriformista.it/imagesfe/prima021919_img.jpg

la_pergola2000
27-04-06, 00:32
C'è la candidata socialista per le presidenziali che vanta un 53% di charme sui sondaggi.
Chirac e de Vallepine sono avvisati.
Le contestazioni studentesche sono servite a qualcosa.
Valeva la pena lavorare per la granduer francese per poi trovarsi in queste condizioni?
Probabilmente durante le votazioni cambierà qualcosa, ma l'aria del cambiamento è già in atto.
Con la misera vittoria del cs in Italia ci siamo salvati dalle contestazioni studentesche del prossimo autunno.

jmimmo82
27-04-06, 16:44
Quei giovani che spaccano tutto, sono il simbolo di una sinistra comunista e socialista che fa leva sulla paura e l'incertezza di chi vive in un'epoca comunque migliore di quella dei nostri avi, i quali pur avendo a che fare con povertà e guerre riuscivano ad andare avanti.

Garibaldi
06-05-06, 19:54
Quei giovani che spaccano tutto, sono il simbolo di una sinistra comunista e socialista che fa leva sulla paura e l'incertezza di chi vive in un'epoca comunque migliore di quella dei nostri avi, i quali pur avendo a che fare con povertà e guerre riuscivano ad andare avanti.Vedrai che battaglie per le strade d'Italia, con i catto-comunisti al governo della Repubblica delle Banane !!!!
Grazie

nuvolarossa
11-07-06, 11:14
Zinedine Chirac



Se volete conservare la foto della crisi francese, non buttate via quella che ritrae la squadra dei mondiali ricevuta all'Eliseo, in quel di Parigi. No, non è lo specchio della Francia, ma dei suoi vertici impauriti e sconfitti. In Francia c'è anche Le Monde che, a proposito di Zidane, scrive di “uscita indegna”, e c'è L'Equipe, che si domanda come spiegare ai bambini quella testata. Il fatto è che dovrebbero spiegarlo a Chirac. Ieri scrivevo che c'era da augurarsi Zidane trovasse le parole per scusarsi, per non attribuirsi un tale peso d'esempio negativo, per non chiudere in questo modo la carriera. E' successo il contrario: lui ha taciuto ed il presidente francese gli ha manifestato ammirazione e solidarietà. No, state attenti, non è una questione calcistica, c'è ben altro dietro l'immensa caduta di Chirac.

http://img134.imageshack.us/img134/2421/coppa993la.jpg

L'inquilino dell'Eliseo è stato potentemente umiliato con il referendum sulla costituzione europea. Sconfitto sul terreno ove avrebbe voluto esercitare il peso maggiore. Poi ha dovuto assistere alla rivolta delle periferie, dove si segnalavano i guasti sia della politica d'integrazione che di quella sociale. Quei giovani non sono immigrati, ma francesi a tutti gli effetti, eppure appartengono ad un mondo diverso da quello dei loro coetanei, francesi da molte generazioni, che protestano contro il contratto di primo impiego. Gli interessi degli uni contro quelli degli altri, con la politica che non riesce a trovare il punto d'equilibrio, o il coraggio di scegliere. Il governo francese ha provato a tenere duro su entrambe i fronti, e su tutti e due ha perso.
Perdendo sulle norme che regolano il mercato del lavoro la Francia s'ingessa, s'irrigidisce nel mentre occorre maggiore flessibilità, quindi s'impoverisce. Mentre sul fronte della rivolta sociale l'avere abbandonato la linea del ministro degli interni, che aveva dato della “teppaglia” ai protagonisti degli scontri, porta con sé conseguenze politiche rilevanti. In fondo Chirac sembra ben ricordarsi che alle ultime elezioni presidenziali, suprema beffa ed oltraggio, il suo sfidante si chiamava Le Pen. Ed ora è su quel fronte che vuole recuperare, è il ribellismo coperto dalla destra che vuole riassorbire, è quello il fianco che non vuole lasciare scoperto, e coglie al volo l'occasione offertagli da uno degli idoli di quella popolazione, da Zidane. Così, mentre sarebbe stato del tutto logico sentire, subito, a caldo, in Germania, Chirac pronunciare parole di condanna per il gesto antisportivo e teppistico, sentiamo, a freddo, in Francia, nel palazzo presidenziale, l'elogio del campione, definito “un uomo di cuore”.
E cosa volete di più per capire quanto vasta sia la crisi politica dei francesi, che è uno degli aspetti della crisi europea e, quindi, ci riguarda direttamente. Loro si sono ridotti a doversi far scudo di Zizou, a sventolare la bandiera dei Bleus, per coprire il vuoto di politica, l'incapacità di conciliare l'idea che si ha di sé con il ruolo che si ha nel mondo. Patetico quadretto di un mondo stanco, che, però, non abita solo in Francia. Ieri mi son messo nei panni di Zidane, oggi mi sento dentro quel problema francese. O ci sbrighiamo a trasferire le soluzioni e le aspirazioni in un contenitore europeo, o in questo brodo ci bolliamo tutti, come già bolliti sono alcuni.

Davide Giacalone
www.davidegiacalone.it

tratto da http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/9338

kid
12-07-06, 17:12
dalla parte di zidane.

kid
27-07-06, 14:16
dalla voce da oggi:

L’analisi che compie il presidente Chirac sul Mediooriente in una lunga intervista a Le Monde, presenta alcuni aspetti molto appropriati. Egli ha ragione, ad esempio, quando sostiene che i presupposti per il cessate il fuoco sono la liberazione dei soldati israeliani catturati da Hamas ed Hezbollah e non come chiede il presidente del parlamento libanese, prima il cessate il fuoco poi lo scambio di prigionieri. Ed ha perfettamente ragione anche quando spiega che l’offensiva di Hezbollah non può essere stata indipendente sul piano internazionale e quando giudica il regime siriano “difficilmente compatibile con la sicurezza e la pace”. Ma il suo ragionamento non tiene quando sostiene di non credere che “una forza internazionale abbia il potere di disarmare Hezbollah” e che questo lo dovrebbe invece fare il governo libanese. Ma se il governo libanese avesse avuto la forza di disarmare Hezbollah lo avrebbe già fatto. La verità è che Hezbollah è più forte del governo libanese e le timidi voci che a Beiruth vi si oppongono chiedono l’aiuto della forza militare internazionale. L’unica disponibile sul campo è la forza israeliana. E Tsahal che sta disarmando Hezbollah e se ne vede anche il prezzo. Ma anche ammesso che il governo libanese avesse la forza di disarmare Hezbollah, a quel punto a che servirebbe una forza militare internazionale? Non vorremmo che il piano francese, tanto originale, prevedesse invece che proprio perché Hezbollah non può essere disarmata, si invia un contingente internazionale non tanto per difendere Israele, che si difende da sé, ma per tutelare gli affari francesi nella regione che come in molte altre regioni del Medioriente, dell’Africa occidentale e sub shariana, sono complessi, intensi e non tutti pienamente alla luce del sole.

nuvolarossa
10-02-07, 14:22
Risposta al “viva le tasse!”

di Orso Di Pietra

“Vive l’impot!”. Che poi sarebbe “viva le tasse!”. Ancora una volta la Francia è all’avanguardia. Non bastava lo stato assoluto di Luigi XIV. Non bastava l’Illuminismo. Non bastava la Rivoluzione. Non bastava Napoleone. Non bastavano la Comune, il caso Dreyfus, la belle époque, l’impressionismo, il cubismo e tutte le pippe pittoriche del secolo breve, la grandeur seguita alla Prima guerra mondiale, il fronte popolare, il collaborazionismo, De Gaulle, l’esistenzialismo. Non bastava aver dato asilo a Scalzone ed a Komeini. Ed aver avuto come Presidente un trombone come Chirac. Nell’ansia di tornare a primeggiare nel mondo sul terreno intellettuale, politico e culturale, la gauche ha lanciato dalle pagine di “Liberation” e del mensile “Alternative economique“ una grande campagna contro la riduzione delle tasse promossa da Sarkozy ed in favore del piacere e del gusto di versare i soldi allo stato. In perfetta linea con la tradizione del marchese De Sade, ispiratore insuperato del sadomasochismo moderno. Nella consapevolezza che la sinistra italiana imita sempre in peggio ciò che la sinistra francese anticipa, possiamo tranquillamente prevedere che ben presto una analoga iniziativa verrà presa nel nostro Paese da quei politici ed intellettuali convinti che pagare più tasse non solo sia giusto ma anche eccitante. Che fare se Dario Fo e Franca Rame esalteranno l’aumento delle aliquote? Se Visco e Padoa Schioppa chiederanno di ridare le fedi alla Patria? Se Curzi, Bertolucci e tutti i firmatari in servizio permanente effettivo degli appelli si ecciteranno per il piacere supremo di svuotare i portafogli privati e riempire i forzieri pubblici? La risposta è duplice. Ricordare che la Francia è pur sempre una Italia riuscita male. E dare forza al “no”, alla passiva imitazione del sadomasochismo d’Oltralpe recuperando la gestualità della plebe romana. Tiè!

tratto da http://www.opinione.it/

Lincoln (POL)
07-04-07, 21:30
Il FOGLIO del 7 aprile 2007 pubblica in prima pagina un'intervista al candidato alla presidenza francese Nicolas Sarkozy.


Parigi. Il Foglio - In Italia lei è considerato un uomo della destra dura, dalle posizioni sempre fisse sull’idea di sicurezza pubblica e dalle tendenze fortemente liberali e populiste, senza dimenticare la sua posizione definita “atlantista”, pro israeliana e pro americana, che tanto inquieta la sinistra italiana ed europea. Ritiene che questo ritratto sia quello giusto?

Sarkozy - Bene, vediamo, direi che non avete dimenticato nulla. Questa è la lista completa dei tratti più caricaturali solitamente utilizzati da tutti quelli che in generale non hanno esattamente le migliori intenzioni nei miei confronti. Questa percezione di me, evidentemente, non è né giusta né veritiera. Ho voluto essere il candidato di una destra repubblicana finalmente libera dal complesso di non essere la sinistra, di una destra sicura dei propri valori: il lavoro, l’autorità, il primato della vittima sui delinquenti, gli sforzi, il merito, il rifiuto dell’assistenzialismo, dell’ugualitarismo e del livellamento verso il basso. Questo fa di me un uomo della destra dura? Per anni, nell’esercizio delle funzioni ministeriali, mi sono speso per combattere e ridurre la mancanza di sicurezza che era letteralmente esplosa sotto il governo di sinistra di Lionel Jospin. Ho ottenuto risultati significativi e credo che domani dovranno essere rafforzati migliorando il funzionamento generale di tutto il sistema penale, in particolare per poter meglio lottare contro la recidività e la sensazione d’impunità dei minorenni pluri-reiteranti. I miei principali concorrenti sembrano avere idee meno chiare in merito e paiono inclini a tornare al lassismo. Questo fa di me un fissato della sicurezza? Per quel che concerne l’economia, sono innanzi tutto un adepto del pragmatismo. Credo nelle libertà economiche. Credo nell’economia di mercato. Ma so anche che il mercato non dice tutto e non può tutto. Credo al volontarismo politico in campo industriale e tecnologico, e non mi spiace aver fatto la scelta d’intervenire per salvare Alstom, un’impresa che è tornata a prosperare. Questo fa di me un liberale? Sono visceralmente attaccato all’indipendenza della Francia e dell’Europa di fronte a qualsiasi potenza. E deploro il fatto che l’Unione europea non dia prova d’unità, di realismo e di autonomia nelle relazioni economiche e commerciali con le altre regioni del mondo, come anche in politica estera e di difesa. Non vedo incompatibilità tra questo e il fatto di considerare gli Stati Uniti una grande democrazia con la quale abbiamo molti valori in comune e indefettibili legami storici. Così come non vedo incompatibilità tra il riconoscimento del diritto dei palestinesi a uno stato sostenibile e il fatto di considerare la sicurezza d’Israele non negoziabile. Questo fa di me un atlantista, un pro israeliano e un pro americano? E’ una lettura che quantomeno manca della più elementare sottigliezza. La verità è che chi afferma queste cose è anti israeliano e antiamericano. Pensino a sé, invece di denigrare gli altri.
F - Lei è il favorito, davanti a Mme Royal e François Bayrou. Ma l’ascesa di Bayrou è insidiosa. Teme l’alternativa “centrista”?

S - Credetemi, non vedo in me il favorito di queste elezioni, piuttosto lo sfidante. E’ mia intenzione fare campagna elettorale fino all’ultimo minuto dell’ultimo giorno per convincere i francesi della correttezza del mio progetto, delle mie proposte e del mio modo di procedere. Questa campagna dimostra due cose contemporaneamente: da una parte che i cittadini non hanno perso completamente la fiducia nella politica, ma dall’altra anche che sono sempre più esigenti nei confronti di chi ha la pretesa di rappresentarli. Le sale dei convegni non sono mai state così piene, le trasmissioni politiche mai così seguite. Non abbiamo più il diritto di deluderli. Voglio dire loro tutto prima, per poter fare tutto dopo, se sceglieranno di darmi la loro fiducia. E, onestamente, quando osservo il grado di imprecisione, d’improvvisazione e di confusione degli altri due candidati citati, mi dico anche che non abbiamo il diritto di perdere queste elezioni, decisive per l’avvenire del nostro paese e, per suo tramite, dell’Europa intera
F - Che rapporti ha con la classe dirigente italiana e che giudizio ne ricava?

S - Conosco bene la maggior parte dei responsabili politici italiani, Romano Prodi, Giuliano Amato, Massimo D’Alema, Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini, Giuseppe Pisanu. Li stimo. Ora, non sono i responsabili francesi a scegliere i dirigenti italiani, e viceversa. L’Italia è un grande paese europeo, per di più confinante con la Francia e, come il nostro paese, si affaccia sul Mediterraneo. Abbiamo sfide comuni da raccogliere: nel campo industriale, in quello della sicurezza, della lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, della gestione dei flussi migratori. Anche l’Italia rientra nel novero degli stati fondatori dell’Ue, ed è difficile pensare a rilanciare il progetto europeo senza di lei. Se sarò eletto, tenterò quindi di mantenere relazioni ottimali con il governo che gli italiani avranno scelto per sé.
F - In Italia abbiamo seguito con grande attenzione l’istituzione del Consiglio francese del culto musulmano (Cfcm) e tutto il dibattito tra il governo e il capo del Consiglio, Dalil Boubaker. Può fare un bilancio e darci un’idea in prospettiva del futuro di questa

S - Effettivamente mi sono impegnato a fondo nella creazione del Cfcm, l’istanza rappresentativa dei musulmani in Francia, e delle sue succursali regionali, le 25 Crcm. Perché? Perché preferisco un islam della Francia, in linea coi valori e le regole della nostra Repubblica, piuttosto che un islam in Francia, che resterebbe sottomesso a influssi stranieri. Il Cfcm riunisce le diverse correnti di pensiero musulmane e ci permette di instaurare un dialogo con loro, ma anche, naturalmente, con le autorità pubbliche e gli altri componenti della società francese. Concretamente, il Cfcm si occupa di costruire le moschee, gestire le zone musulmane nei cimiteri, organizzare le feste religiose, nominare i cappellani negli ospedali, le scuole e le prigioni, ma anche di formare gli imam. Il bilancio del Cfcm dalla sua creazione, nel 2003, per me è positivo e incoraggiante. Inoltre, sono convinto che nessun governo, in futuro, quale esso sia, metterà in dubbio la sua esistenza e le sue finalità.
F - La sicurezza e l’immigrazione sono temi sui quali lei ha concentrato maggiormente il suo operato come ministro dell’Interno. Cosa pensa della direttiva europea che riguarda lo scambio dei dati tra i diversi servizi segreti e l’armonizzazione delle norme che disciplinano l’arrivo dei clandestini?

S - Lei sicuramente fa riferimento alla proposta di direttiva riguardante il rimpatrio degli immigrati irregolari. La Commissione europea ha ritenuto necessario scrivere un nuovo capitolo nell’armonizzazione delle procedure di espulsione. E’ innegabilmente una buona cosa, a condizione però che gli stati possano conservare ancora un certo margine di manovra. Quanto alla cooperazione in materia di scambio d’informazioni tra i diversi paesi europei, ritengo che sia indispensabile, che si tratti di lotta all’immigrazione clandestina, e in particolare grazie al futuro sistema relativo alle informazioni sui visti, o alle reti della criminalità organizzata, che prosperano sfruttando la miseria e la disperazione degli uomini. In linea più generale, spero che gli stati europei un domani possano andare più lontano nell’approfondire il coordinamento delle proprie politiche in materia d’immigrazione, d’asilo e di controllo delle frontiere. Nell’ambito delle mie responsabilità come ministro dell’Interno, ho già avuto occasione di presentare ai nostri partner proposte in questa direzione.
F - Lei ha spesso dichiarato di voler rivedere la legge sulla laicità del 1905. Come pensa possa essere modificata, e in che direzione?

S - Per me non si è mai trattato di toccare i principi fondamentali della legge del 1905. Questa legge non impone proibizioni, ma chiarisce le relazioni tra lo stato e le religioni. E’ una legge di tolleranza, che assicura contemporaneamente la libertà di coscienza e la neutralità dello stato, in altre parole l’uguaglianza dei culti davanti all’autorità pubblica. Ho semplicemente espresso il desiderio di avviare una riflessione sulla necessità di procedere a un nuovo ritocco, per far fronte a una realtà nuova: e cioè il fatto che la religione musulmana, che oggi è diventata la seconda religione in Francia, dopo la religione cattolica, mentre nel 1905 praticamente non esisteva sul nostro territorio. Ricordo poi che questa legge è stata emendata tredici volte! Una relazione di esperti, che mi è stata presentata a settembre, mi raccomandava di modificare la legislazione in modo da dare ai comuni la possibilità, debitamente contestualizzata, di aiutare, se necessario, gli investimenti per il culto. Questa questione merita di essere studiata, proprio perché non è giusto che i fedeli di determinate confessioni apparse di recente sul nostro territorio incontrino difficoltà nella pratica del proprio culto. Non penso però che sia opportuno legiferare senza aver prima ottenuto un consenso molto ampio. Per legiferare su questioni così delicate mi sembra indispensabile che la grande maggioranza dei francesi e delle varie comunità religiose sia d’accordo
F - In Italia si parla molto di famiglia, di matrimonio e del ruolo della chiesa, che oggi si rinnova. Lei è contrario al matrimonio omosessuale e all’adozione da parte delle coppie omosessuali. Che sensazioni le ispira la chiesa di Papa Ratzinger, ultima assise morale delle società postmoderne?

S - Tenuto conto della separazione tra stato e chiesa, è imperativo che i politici francesi mantengano un certo riserbo in materia religiosa. Detto questo, come la maggior parte dei miei compatrioti, ho davvero una grande considerazione e grande rispetto del Papa e di ciò che rappresenta. So cosa debbano all’eredità cristiana l’Europa in generale e la Francia in particolare. Quanto alla questione della famiglia e delle coppie omosessuali, l’ho detto molto chiaramente: non sono né a favore del matrimonio degli omosessuali, né dell’adozione da parte delle coppie omosessuali. Questo però non significa che io neghi la realtà e la legittimità dell’amore omosessuale. Non ha minore dignità dell’amore eterosessuale. Penso semplicemente che l’istituzione del matrimonio, per mantenere un senso, debba essere riservata agli uomini e alle donne. Penso, allo stesso modo, che una famiglia sia costituita da un padre, una madre e dei bambini. Per le coppie omosessuali in Francia abbiamo i pacs. Propongo di andare ancora più in là e creare un contratto d’unione civile che garantisca la perfetta uguaglianza con le coppie eterosessuali sposate, per quanto concerne i diritti alla successione, fiscali e sociali.
F - In Libano, i nostri soldati si sono conformati alla risoluzione dell’Onu che prevede una forza multilaterale lungo la frontiera con Israele. Certi rapporti delle Nazioni Unite segnalano il riarmo di Hezbollah. Pensa che sia necessario ripensare la missione Unifil perché sia efficace?

S - La missione Unifil 2, creata dalla risoluzione 1.701 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, aveva ricevuto un mandato realista, ovvero assicurare un cessate il fuoco duraturo tra le parti libanesi e Israele. Fino a oggi ci è riuscita bene, senza dubbio anche perché la Francia, sotto l’impulso vigilante di Jacques Chirac, aveva preteso sin dall’inizio che si garantissero tutte le condizioni per l’efficacia dell’azione della forza internazionale: un mandato chiaro e rafforzato rispetto a Unifil e regole d’ingaggio predefinite. Ciononostante, l’equilibrio nella regione rimane fragile. Il disarmo delle milizie – elemento fondamentale per la stabilità – deve rimanere al centro delle preoccupazioni del governo libanese. Più che a Unifil 2, spetta al governo locale organizzare la deposizione delle armi da parte delle milizie e impedire il riarmo di una loro parte, garantendo un vero controllo della frontiera sirio-libanese. Dobbiamo augurarci che il processo politico libanese possa prendere il largo, che i libanesi riprendano in mano il proprio destino e ritrovino il cammino del dialogo interno. La consegna delle armi alle autorità libanesi legittime sarà la migliore garanzia del ritorno a una pace durevole”.
F- Oggi la Nato è messa a dura prova, che si tratti di Afghanistan o della costruzione dello scudo americano nell’Europa dell’est. Come pensa debba rispondere la Francia alle domande di flessibilità dell’Alleanza atlantica? E alle accuse della Russia?

S - La Nato conserva, in un mondo incerto e pericoloso, il suo valore e la sua legittimità, perché offre un solido ancoraggio euro-atlantico, che ormai da quasi sessant’anni dà prova della sua importanza per la sicurezza europea. Mi auguro che la Francia si assuma appieno la propria responsabilità nel quadro dell’Alleanza e contribuisca alla riflessione sull’evoluzione delle missioni. La Francia è già molto attiva, come lei sa, e contribuisce in modo importante alle operazioni nei Balcani e in Afghanistan. E’ mia intenzione confermare la solidità di questo impegno. Per il futuro, non dobbiamo perdere di vista però la specificità della Nato, che è un’alleanza militare. Non mi pare utile né opportuno che si sviluppi in direzione di un nuovo tipo di organizzazione a vocazione universale, più o meno concorrente all’Onu. Vorrei che conservasse la sua vocazione militare e un ancoraggio geopolitico chiaro sul continente europeo. Per il resto, l’Europa deve affermare la propria volontà e la propria capacità di assicurare in modo più autonomo la protezione del suo territorio. L’Ue deve darsi l’ambizione di definire e attuare una politica di difesa conforme alla sua situazione geografica e ai suoi interessi. Il progetto americano antimissile per ora non rientra nel campo Nato: è spunto per discussioni bilaterali tra Washington e alcune capitali europee, sulle quali non è mio compito esprimermi. Però l’Ue trarrebbe vantaggio dal parlare con una voce sola in merito a questioni tanto strategiche. Dov’è la sua legittimità se non è in grado di esistere su un capitolo nel quale il suo progetto politico dovrebbe raggiungere il pieno significato? La preferenza europea deve valere anche, e forse soprattutto, nel campo della sicurezza e della difesa. Lei fa notare che la Russia ha manifestato inquietudine. Non è una cosa nuova, queste reazioni hanno accompagnato tutte le evoluzioni della Nato. Dobbiamo incoraggiare il dialogo tra Washington e Mosca, in modo che non si creino malintesi, che sarebbero dannosi per tutti. A proposito dello scudo, esso non può sostituire la dissuasione, anche se può essere utile per completarla.
F - L’Iran è una minaccia sempre più imminente. La Francia e l’Italia sono più propense al dialogo rispetto ad altri membri della comunità internazionale. Qual è la sua posizione rispetto al regime di Ahmadinejad?

S - E’ inaccettabile e pericoloso che Teheran si doti di una capacità nucleare militare. Spetta all’Iran ristabilire la fiducia nella natura delle sue attività nucleari. E’ ciò che ha voluto dire il Consiglio di sicurezza quando ha votato all’unanimità la risoluzione 1.737. L’importante è mantenere la fermezza e l’unità della comunità internazionale di fronte alla prova cui è sottoposta la sua determinazione a contenere i rischi di proliferazione. E’ questo il senso dell’azione degli europei dal 2003. Tale politica di fermezza e di dialogo oggi è condivisa da tutti i membri permanenti del Consiglio di sicurezza. In questa continuità si iscriverà la mia azione, se sarò eletto. Per quel che riguarda Ahmadinejad, i suoi interventi che incitano alla distruzione di Israele o che negano la realtà della Shoah sono inammissibili e irresponsabili. Ma non sono sicuro che abbiano trovato l’appoggio della maggioranza degli iraniani, tutt’altro.
F - Lei vorrebbe rilanciare la costruzione dell’Europa con un Trattato semplificato. Quali sono le alleanze che imbastirà, con i partner europei, per arrivarci? Contro la Turchia e la sua ammissione nell’Ue lei ha lanciato l’idea di un’Unione del Mediterraneo. Conta su una collaborazione privilegiata con l’Italia?

S - Presto saranno passati due anni da quando l’Europa è entrata in stallo a causa del rifiuto da parte di due paesi fondatori, tra cui la Francia, del Trattato costituzionale. Possiamo dispiacercene, ma non possiamo che prenderne atto e tentare d’immaginare alternative per uscire insieme dalla crisi. Non sarà possibile rilanciare l’Europa con le istituzioni attuali, che non sono concepite per un’Ue a 27. Ma due anni d’immobilismo sono più che sufficienti. Per questo propongo di riprendere le disposizioni della prima parte del Trattato che avevano trovato maggiore consenso. E’ quello che io chiamo Trattato semplificato. Su questa base è possibile raggiungere in tempi rapidi un consenso. Ho fiducia nella buona volontà, nel realismo e nel desiderio di progredire di tutti i partner. Per quel che concerne la Turchia, è un grande paese e un grande alleato per cui ho il massimo rispetto. Se sono contrario alla sua adesione non è perché sia contrario alla Turchia, ma perché sono a favore di un’Europa politica. Ci sarebbe una contraddizione tra l’adesione della Turchia e il progetto di un’Europa integrata a livello politico: l’Ue non può estendersi in modo indefinito e deve avere delle frontiere. Per ragioni storiche, geografiche e culturali, la Turchia non ha la vocazione a situarsi all’interno di tali frontiere. A meno che queste non siano comuni domani con la Siria o l’Iraq, il che mi sembra difficilmente accettabile. Il momento in cui si è pensato alla prospettiva di un’adesione è passato da quasi 45 anni, e si trattava di aderire a un mercato comune, non a un’unione politica. Sono a favore della creazione di una collaborazione strategica privilegiata, economica e culturale con la Turchia, come con altri stati del Mediterraneo. L’Unione euro- mediterranea che ho proposto s’inserisce in questo quadro. L’Europa, a cominciare da Francia e Italia, non può voltare le spalle al Mediterraneo, elemento strutturale della sua identità e della sua stabilità.

nuvolarossa
10-04-07, 17:31
"Sarkozy Vs Royal: fase finale!"

di Emanuele Vaccaro

Adoro la Francia perché non smette mai di farsi apprezzare. Sono già vari mesi che seguo con passione la campagna elettorale per le presidenziali francesi del 22 aprile prossimo e più si avvicina quel giorno più il dibattito aumenta il mio interesse. Da spettatore italiano non posso fare a meno di notare la grande differenza di livello politico fra le loro elezioni e le nostre.

A cominciare dai leader e dagli schieramenti, per finire con le proposte, i nostri cugini d’oltralpe dimostrano come sempre di essere politicamente e moralmente qualche gradino più in alto dei politici italiani che invece nel periodo elettorale fanno venire fuori tutto il peggio della loro scarsa maturità catoniana. Comunque sia si cominci a vedere il Presidente uscente: Jaques Chirac (nota: nel sistema francese l’esecutivo è in “coabitazione” fra il Primo ministro ed il Presidente della Repubblica che viene votato dal popolo ed ha un ruolo più importante del nostro Capo di Stato). Già solo lo spessore politico di questo statista non regge il confronto con il qualunquismo propagandista del Cavaliere ma andiamo avanti. Pur non avendo concluso il suo lungo mandato a pieni voti è stato molto amato dal popolo francese: un esempio per tutti quando si oppose alla guerra in Iraq.
Veniamo ai leader ed agli schieramenti ricordandoci quell’accozzaglia del sistema bipolare italiano: i candidati più in vista che si contendono sul piano percentuale la carica sono due “giovani” rampanti all'interno dei loro partiti. Per l'Union pour un Mouvement Populaire (UMP- destra moderata) c'è il ministro dell'interno uscente Nicolas Sarkozy; per il Parti Socialiste (PSF- sinistra moderata) c'è la femme fatale Ségolène Royal. Ad essi si aggiungono altri candidati minori: l'ottantenne neofascista Jean-Marie Le Pen (FN) ed il candidato del centro cattolico François Bayrou (UDF). Concludono la lista quelli con poche speranze Olivier Besancenot (LCR- sinistra trotskista!), José Bové, Marie-George Buffet (PCF sinistra no-global), Frédéric Nihous (CPNT- comunisti), Gérard Schivardi (PT- comunisti), Philippe de Villiers (MPF destra conservatrice), Dominique Voynet (Verts- Verdi).Ho voluto citare tutti i candidati per dimostrare che le componenti politiche sono le stesse sia in Italia sia in Francia solo che da noi, almeno per ora, se vuoi votare moderato il tuo voto se lo prende anche il partito estremista della coalizione; l'elettore francese non deve tapparsi il naso quando si trova a votare nell'urna come facciamo noi, ma come ho detto dalla Francia c'è sempre da imparare!Vediamo i profili e le proposte dei due candidati principali. Sarkozy è un francese di seconda generazione, da padre ungherese, come il figlio di un qualsiasi immigrato. Politico di mestiere fin da giovane, cattolico praticante e grande oratore, è stato dagli anni novanta sempre attivo nelle amministrazione partendo da sindaco di provincia fino ai vari ministeri. Nel 2004 diventa presidente del UMP il partito "neo-gollista" formato da Chirac con la fusione del vecchio partito conservatore di De Gaulle con una parte del centro cattolico UDF. Si è distinto negli ultimi anni al ministero dell'interno gestendo con intelligenza e polso fermo la crisi delle banlieues guadagnandosi il titolo di "uomo d'ordine" ed anche la grande mobilitazione giovanile di protesta per il lavoro dello scorso anno, scendendo ed appoggiando alcune richieste del movimento giovanile ispirato prevalentemente dalla sinistra. Questo suo schierarsi apertamente al fianco di chi ha ragione anche se è di un partito diverso gli ha fatto raccogliere grandi consensi nell'opinione pubblica. A mio modesto parere Sarkozy è un politico di grande livello, carismatico ma democraticamente attento ai problemi più prossimi del popolo francese. Lo dimostra concretamente nei suoi discorsi e nelle sue proposte. Ricordo quando alla sua investitura ufficiale di fronte al suo partito disse che la destra moderata doveva abbandonare le sue radici più marcatamente golliste ed invece recuperare le tradizioni del pensiero politico della Rivoluzione francese che era stato strumentalmente monopolizzato dalla sinistra. Mi colpì perchè il candidato del partito che con coraggio fa' di queste affermazioni suscitando non poche perplessità fra i suoi stessi sostenitori ma con la consapevolezza della giustiza della sua causa è qualcosa che io nei 21 anni della mia vita ho visto fare poche volte ad un politico italiano. La linea politica di Sarkozy è incentrata su un'economia più liberista, politica estera europeista (sulla linea di Chirac e quindi contro le radici isolazioniste golliste del UMP) ma un po' più atlantista; politiche sociali e giovanili; pugno duro per i trasgessori della legge (per esempio vuole abbassare l'età dell'imputabilità per far fronte alla violenza della baby-criminalità) e sicurezza. La proposta che ho apprezzato di più è quella di aumentare ed incentivare il servizio civile come fucina del buon citoyén ed anche come misura punitiva alternativa per i giovani criminali. Il servizio civile è un istituto che potrebbe essere molto importante anche nel nostro Paese e credo che la FGR dovrebbe dedicarcisi. Ségolène Royal è una donna francese di famiglia borghese, due lauree, quattro figli ed un passato nella magistratura amministrativa. Entrò nel partito socialista negli anni '80 ed ha ricoperto più volte il sottosegretariato all'istruzione ed alla famiglia oltre ad essere una deputata agli Stati Generali. Il suo punto di forza è sicuramente l'essere la prima candidata donna alla presidenza della Repubblica di tutta la storia francese; l'elettorato femminile sarà sicuramente influenzato da questa caratteristica insolita per un capo di Stato francese. Rispetto al suo avversario l'abilità politica ed oratoria è oggettivamente inferiore ma ha saputo disattendere questa sua debolezza nelle varie interviste e presenze pubbliche in campagna elettorale, dimostrando un grande e lucido pensiero politico. Ha vinto la corsa alla candidatura battendo alle primarie del PSE con il 60% dei voti due socialisti più noti.Il suo programma è più facilmente individuabile visto che lo ha riassunto ufficialmente per un totale di 100 proposte. Rispettando la consueta linea socialista ha fatto comunque proposte personali ed innovative: economia che coniughi flessibilità e welfare; riforma istituzionale anti-federale e "giurie cittadine" composte a sorte per monitorare l'effettivo lavoro dei politici eletti locali e nazionali; immigrazione e politiche di inserimento volte ad impedire ghettizzazioni sociali e razziste; politica estera europeista ed impegno della Francia nei problemi internazionali del terzo mondo incentivando il ruolo dell'ONU; politiche per la famiglia. La proposta che mi è piaciuta di più riguarda l'istruzione. Ségolène ne ha fatto uno dei punti fondamentali del suo progetto: riformare la scuola pubblica come l'unico ambiente in cui i giovani francesi crescano tutti uniti ed eguali nei valori universali della Repubblica francese. Per fare un esempio concreto propone classi più piccole (massimo di 15 alunni) che favorendo un'attenzione superiore dell'insegnante produce anche un maggior apprendimento. Una possibilità secondo me fondamentale che non è stata mai presa in considerazione nelle innumerevoli riforme della scuola che si susseguono nel nostro Paese. Chi vincerà? A poche settimane dalle urne i sondaggi vedono i due candidati pressocché in parità. Credo che se fossi francese avrei orgogliosamente l'imbarazzo della scelta: entrambi i candidati hanno le caratteristiche idonee a guidare la Francia! In Italia siamo costretti a dover scegliere il male minore, e questo dovrebbe far riflettere!Forse sceglierei la Royal sia per una maggiore affinità di pensiero politico sia per il fatto che Sarkozy non rappresenta completamente l'anima del suo partito e che quindi se personalmente ne è il leader potrebbe esserene limitato nella sua azione. Comunque chiunque dei due vincerà la corsa all'Eliseo, credo che la Francia potrà esserne orgogliosa. Invito tutti a godersi le ultime settimane di campagna elettorale in cui sicuramente non mancheranno colpi di scena nello sprint finale.Si spera che chi di dovere nel "Palazzo" italiano impari qualcosa dai nostri cugini francesi su come si eseguano l'elezioni e su come si faccia la politica. Vive la France!

tratto da http://www.fgr-italia.it/

nuvolarossa
04-05-07, 15:37
Il duello per l'Eliseo e i tanti problemi in comune di Paolo Savona

... clicca per leggere l'articolo ...
(http://www.fulm.org/public/Allegati/Messaggero.pdf)

4/5/2007 - tratto dal sito web
della Fondazione Ugo La Malfa (http://www.fulm.org/)

nuvolarossa
04-05-07, 16:57
Sarkozy e Segolene Royal in dirittura d'arrivo

http://www.nuvolarossa.org/modules/xgallery/cache/albums/01-Album-di-Gattona/Sarkozy.jpg

nuvolarossa
06-05-07, 20:58
http://www.ilriformista.it/imagesfe/zark-c2544_img.jpg

Sarkozy è il nuovo presidente
Il candidato di centrodestra vince con il 53,5% dei voti

Lincoln (POL)
06-05-07, 21:32
è quella che si suol dire una bella notizia.:-01#44

nuvolarossa
06-05-07, 23:40
I PRIMI COMMENTI IN ITALIA
ROMA - Immediati i commenti da parte degli esponenti poilitici italiani dopo l'annuncio dell'elezione di Nicolas Sarkozy all'Eliseo.

PRODI A SARKOZY: FRANCIA ALLEATO CENTRALE E TU UN AMICO

"Caro Nicolas, desidero farti giungere le mie più sincere, amichevoli ed affettuose felicitazioni per la tua bella vittoria elettorale e per la nomina alla presidenza della Repubblica francese". E' quanto scrive Romano Prodi in un messaggio inviato a Nicolas Sarkozy per la sua vittoria elettorale. "Il nostro lavoro comune in Europa e nel mondo - continua il premier - non inizia oggi. L'abbiamo intrapreso già diversi anni or sono nelle nostre funzioni precedenti. Così come i rapporti tra Italia e Francia non iniziano oggi perché da secoli i nostri paesi sono legati da un destino comune. Ma la tua nuova responsabilità e la complessa situazione dell'Europa e del mondo ci chiamano a un impegno forte e condiviso". "Il mio paese, il mio governo e io personalmente - conclude Prodi - continueremo a guardare alla Francia come a un alleato centrale e a te personalmente come ad un amico. Con la stima e l'affetto di sempre, tuo romano Prodi".

BERLUSCONI: ESAURITA CAPACITA'GOVERNO SINISTRA

"La netta affermazione di Nicolas Sarkozy dimostra la volontà di cambiamento che sta attraversando tutta l'Europa e non solo la Francia. La sconfitta della Royal è un'ulteriore prova del fatto che gli europei considerano ormai esaurita la capacità di governare della sinistra". Così Silvio Berlusconi commenta le elezioni per l'Eliseo. "Sono legato a Nicolas Sarkozy - aggiunge Berlusconi - da antica stima ed amicizia sul piano personale. Sul piano politico Sarkozy condivide gli stessi valori e gli stessi principi che sono alla base del nostro impegno politico e il programma che egli ha presentato ai francesi coincide sostanzialmente con il nostro. A Nicolas Sarkozy vanno le mie più affettuose congratulazioni e gli auguri più cordiali per la sua presidenza".

MASTELLA: SARKOZY SARA' PER NUOVA FRANCIA

"Siamo Lieti della vittoria di Sarkozy, nostro collega nel Partito Popolare Europeo, che si è mostrato più statista e più capace di cogliere e governare i bisogni della nuova Francia". E' questo il commento del leader dei Popolari-Udeur Clemente Mastella alla elezione di Nicolas Sarkozy alla presidenza della Repubblica Francese. "Non ci sarà nessun partito democratico di sinistra al mondo e, soprattutto in Europa, che senza una politica di collegamento e di alleanza con l'area di centro, possa sconfiggere i propri avversari politici. La via italiana, se la legge elettorale sarà rispettosa anche dei piccoli partiti che come il nostro al centro politico fanno riferimento, è l'unica praticabile anche in Europa per segnare nuovi successi elettorali", ha proseguito Mastella.

DI PIETRO: UNA VITTORIA MERITATA

"Una vittoria meritata ed una onorevole sconfitta". Così Antonio di Pietro commenta il risultato delle presidenziali francesi. "Il dato interessante su cui anche l'Italia dovrebbe riflettere - osserva il ministro - è quello anagrafico, per un ricambio delle classi dirigenti. I cittadini francesi sono stati artefici di una scelta importante per la guida del loro paese, per i prossimi anni. Ora bisogna lavorare insieme in Europa e per l'Europa".

FINI: GRANDE SODDISFAZIONE PER SARKOZY

"Esprimo grande soddisfazione per l'elezione di Nicolas Sarkozy all'Eliseo. Questo dimostra che quando la destra coniuga sicurezza, giustizia sociale e rinnovamento è vincente". lo afferma il leader di An Gianfranco Fini.

FASSINO: RAPPORTO SINISTRA-CENTRO STRATEGICO

"Segolene Royal, pur non risultando vincente, ottiene un risultato impensabile solo fino a pochi mesi fa, portando il voto del centrosinistra al 47% e conquistando, tra il primo e il secondo turno, oltre 22 punti ed una buona quota di voti centristi". Così Piero Fassino commenta il risultato delle elezioni presidenziali francesi. "Anche il voto francese dimostra come il rapporto tra sinistra e centro sia ormai un nodo strategico - continua il segretario dei Ds in una nota - e come la costruzione di un moderno centrosinistra riformista rappresenti la nuova frontiera per ogni politica di progresso".

ROTONDI: VITTORIA ALL'INSEGNA DEL BERLUSCONISMO

"Complimenti a Sarkozy e alla sua bella vittoria. Il neo presidente francese ha fatto una campagna elettorale all'insegna del berlusconismo e sulle tesi del leader della CdL". Lo dice il segretario della Dca Gianfranco Rotondi.

LA MALFA: CON SARKOZY SCELTA DI CONCRETEZZA

"L'annunciata vittoria di Sarkozy, che pare scontata dai sondaggi, testimonia come la Francia abbia fatto una scelta di concretezza e di sicurezza, la stessa che occorrerebbe compiere in Italia e che la sinistra non può dare. Da domani la Francia di Sarkozy appare più occidentale dell'Italia di Prodi". Lo afferma il repubblicano Giorgio La Malfa.

COLA (LEGA): VINCE DIFESA IDENTITA'

"In Francia come in Scozia vince la difesa dell'identità. Sconfitta la politica della globalizzazione della sinistra. La gente non vuole essere invasa dagli immigrati", lo afferma Roberto Cota, vice capogruppo del Carroccio alla Camera, commentando l'esito delle elezioni francesi. "Positivo infine - conclude Cota che ci sia nel panorama politico europeo un altro esponente forte ed autorevole contrario all'ingresso della Turchia nell'Ue".

SALVI: SINISTRA DOVEVA DARE RISPOSTE FORTI

La sinistra francese doveva dare risposte forti al malessere invece di inseguire intese di palazzo con i centristi: questo in sintesi il commento di Cesare Salvi, esponente della 'Sinistra democratica', ai primi risultati del voto per l'Eliseo. "La Francia - spiega Salvi - come altri paesi europei, ha seri problemi sociali, ha problemi di uguaglianza, di precarizzazione, di adattamento alla globalizzazione. Il risultato del referendum europeo, prima, la rivolta delle periferie urbane, poi, il voto operaio per Le Pen al primo turno, ora, avevano già segnalato questo grave malessere sociale".

CAPEZZONE: SARKOZY COME BLAIR

"Il successo di Sarkozy, oltre che strameritato, è di portata storica, e apre una grande opportunità" E' quanto ritiene il radicale Daniele Capezzone, presidente della commissione Attività Produttive della Camera.

SCAJOLA: SARKOZY SARA' UN GRANDE PRESIDENTE

"Con la tua elezione la Francia guadagna un grande presidente, l'Europa un grande statista, l'Italia un grande amico". E' quanto scrive Claudio Scajola, presidente del Comitato di presidenza di Forza Italia in un messaggio al neo presidente Sarkozy.

MATTEOLI: VINCE LA DESTRA CHE PARLA A TUTTI

"In Francia vince Nicolas Sarkozy che interpreta il rinnovamento della politica ed una reale speranza di cambiamento che appassiona ed entusiasma i cittadini. Vince la nuova destra politica che parla a tutti con un linguaggio efficace e credibile per le soluzioni concrete che prospetta". Lo afferma Altero Matteoli, presidente dei senatori di An.

TAJANI: SMACCO ANCHE PER FASSINO-PRODI

"In Francia vince il centrodestra, vince la famiglia del partito popolare europeo e si inizia una nuova stagione politica in Europa". E' questo il commento del capogruppo di Forza Italia al Parlamento Europeo Antonio Tajani e vicepresidente del Ppe, alla vittoria di Nicolas Sarkozy in Francia.

PISTELLI (DL): ORA COLLABORAZIONE ROYAL-BAYROU

"Rivolgiamo i nostri auguri al nuovo presidente Nicolas Sarkozy per un mandato proficuo nell'interesse del suo paese e del progetto di integrazione europea che attende da tempo un rinnovato protagonismo francese". E' questo il commento del responsabile esteri della Margherita, Lapo Pistelli, sul voto per l'Eliseo.

tratto da http://www.ansa.it/

nuvolarossa
07-05-07, 19:23
Sarkozy all'Eliseo
Una doccia gelata sulle ambizioni del centrosinistra

Al dunque, con la vittoria di Sarkozy alle presidenziali, la Francia ha compiuto una scelta di maggiore concretezza e sicurezza interna. Una scelta netta, che, in base al risultato, offre pochi margini di discussione.

Il voto ha sancito la sconfitta strategica della sinistra e del suo candidato. Una gauche incapace di un rinnovamento profondo al suo interno ha perso l'occasione offerta dal crollo di fiducia nei confronti di Chirac, ed è affondata. Non è bastata un'operazione di maquillage con una candidata per la verità piuttosto improbabile - in difficoltà di rapporti financo con il partito che la sosteneva - come si è visto per tutta la campagna elettorale.

http://www.repubblica.it/2007/05/sezioni/esteri/elezioni-francia-4/dayafter/reut_10326281_56400.jpg

Se Mitterrand era stato capace di unire la sinistra, Ségolène ne ha evidenziato le differenze sociali e culturali e, suo malgrado, ne mostrava anche l'arretratezza nonché, cosa ancor più grave, le velleità. C'è stato un momento fatidico nel quale è apparsa chiara la sconfitta per la candidata del Psf, quando, nel confronto televisivo, Sarkozy le ha detto: "Lei vuole essere il presidente di una Francia che funziona, io di quella che non funziona". Sarkozy ha fatto capire così alla nazione che era egli la persona adatta a cimentarsi con i problemi del Paese e che, se c'era una qualche speranza di superarli, occorreva dargli fiducia.

Per questo ci è parso soprattutto un voto pragmatico quello che ha sancito la vittoria del candidato dell'Ump, pur avendo chiaro il contesto politico di riferimento. La Francia non ne poteva più di Chirac, nemmeno si fosse legata una pietra al collo con la leadership del vecchio sindaco di Parigi. E se Sarkozy fosse stato un elemento di continuità con il vecchio leader gollista, non avrebbe vinto.

La rottura con Chirac è stata premiata, perché indice di una volontà modernizzatrice e riformatrice. Forse è stata casuale, legata al disastro del governo di De Villepin sui licenziamenti senza giusta causa che ha comportato il colpo definitivo per Chirac, oppure è stata voluta, con un'ostentazione di filo atlantismo tale da stonare con il nazionalismo gaullista. Ma tant'è.

L'accusa di voler modificare geneticamente la destra, ha fatto sì che Sarkozy apparisse come il Blair francese dei conservatori ed ha probabilmente anticipato il successo di David Cameron nella Gran Bretagna di domani. La Royal è rimasta al palo con davvero pochi argomenti convincenti.

Sarkozy conosce la macchina dello Stato, e meglio ancora i cunicoli del potere, il complesso degli affari che sorregge tutto questo apparato e le sue ambizioni di grandeur. Tanto che c'è, fra i suoi sostenitori, chi ritiene che se ne voglia disfare. Andrè Glucksmann, ad esempio, dice che "Sarkozy metterà fine alla realpolitik di Parigi che ovunque, dall'Africa all'Asia, si è accordata con i peggiori despoti". I princìpi liberali, il rispetto assoluto per i diritti civili del neo presidente, consentono di sperarlo. Così come, negli stessi Stati Uniti d'America, si vede in Sarkozy un interlocutore e non un rivale.

Tutti da sondare ancora, semmai, i rapporti con la Comunità europea, visto che il presidente francese ha appreso la lezione del referendum sulla carta costituzionale, è contrario all'apertura alla Turchia, vuole regolare i conti con lo strapotere della Banca centrale europea.

Ovviamente la vittoria di Sarkozy pone qualche problema all'Italia, dove la maggioranza di governo, dopo che si è divisa nel sostegno agli oppositori del nuovo presidente francese, appare in affanno. Il segretario dei Ds si è spinto perfino a sostenere la necessità di un'intesa fra i candidati sconfitti di oggi per realizzare un'alternativa vincente domani. Una dichiarazione d'amicizia che all'Eliseo non sfuggirà.

Con maggior buon senso, Prodi ha perlomeno evitato di comparire di persona alle manifestazioni della Royal. La nostra impressione è che per il centrosinistra italiano la vittoria di Sarkozy rappresenti una doccia gelata. Non solo perché Bayrou, che ha negato il sostegno alla Royal, potrebbe ora darlo al nuovo presidente, ma soprattutto perché il futuro partito democratico non è sufficiente se poi non si pone il problema di compiere una rottura a sinistra. E' questa la lezione che proviene dalla Francia: una sinistra vecchia e ideologica non serve al governo della nazione. Meglio lasciarla all'opposizione.

Roma, 7 maggio 2007

tratto da http://www.pri.it

nuvolarossa
08-05-07, 11:38
è quella che si suol dire una bella notizia.:-01#44Solo una notazione ... la sinistra nazional-popolare italiana perde un sacco del suo tempo (anzi quasi tutto) a giocare allo scavalcamento a sinistra ... se uno dice piu' donne al potere, l'altro dice almeno tre ... e un'altro ancora dice almeno cinque ... eppoi prende la parola ancora uno, illuminato di progressismo, che di donne al potere ne vuole almeno il doppio ... e cosi' via ... sino a quando non hanno dovuto formare il nuovo governo catto-comunista dove hanno dimostrato tutta la loro misogina conservazione del potere ...
Sarkozy invece, appena eletto, ha dichiarato che su 15 ministri della Repubblica ... ben sette saranno donne ... alla faccia delle quote rosa della sinistra demagogica, beota e populista della Repubblica delle Banane ...

nuvolarossa
08-05-07, 19:21
Anche i masochisti "godono"

http://www.nuvolarossa.org/modules/xgallery/cache/albums/01-Album-di-Gattona/Sarkozy_001.jpg

nuvolarossa
08-05-07, 20:01
Il Sarkozy immaginario
La lezione francese che la sinistra italiana non ha appreso

Barbara Spinelli, con un editoriale sulla "Stampa", spiega come certe interpretazioni del fenomeno Sarkozy, provenienti dalla destra italiana, poco abbiano a che fare con la realtà. Semmai sono più confacenti al mondo dell'immaginazione. E' vero, la Spinelli ha perfettamente ragione.

Crediamo però che anche lei sia convinta di come, equivoci a parte, il nuovo presidente dei francesi trovi degli interlocutori privilegiati in Berlusconi e Fini, con cui ha un sodalizio politico, piuttosto che con gli esponenti di un governo e di una maggioranza ostili per tutta la campagna elettorale e con cui non potrà certo andare oltre il rispetto formale delle relazioni che impongono i reciproci ruoli istituzionali.

http://www.corriere.it/Hermes%20Foto/2007/05/07/0JHOKL7N--180x140.jpg

Magari Sarkozy non ritornerà sulle sue idee, ma certo egli dovrà comunque confrontarle e misurarle con quelle dei suoi alleati ed amici italiani. E magari - siamo d'accordo anche qui con la Spinelli - se ciò non comporterà certo un'involuzione del presidente francese, potrebbe però aiutare una evoluzione positiva della destra italiana, cosa che la Spinelli nemmeno considera, ma che noi ci auguriamo.

La nostra impressione, infatti, è che Sarkozy sia l'esponente di un gollismo più maturo ed aperto nei confronti della comunità atlantica, anche se ciò non ne fa immediatamente un filobritannico o un filoamericano, come è ovvio. Limitiamoci a dire che la presidenza Sarkozy ci sembra rappresentare un passo avanti rispetto a quella Chirac, e ciò non è poco. Se poi la destra in Italia sbaglia comunque valutazione e trasferisce i suoi desideri più reconditi nel successo e nelle politiche di Sarkozy, è altrettanto vero che anche la sinistra, da parte sua, sbaglia completamente la misura dell'approccio al risultato delle urne in Francia.

La sinistra italiana, infatti, dopo essersi divisa tra chi sosteneva la Royal e chi Bayrou, ha ritenuto immediatamente, dopo la sconfitta di entrambi, di aver già scongiurato il rischio di seguire la loro fine tramite la nascita del partito democratico. Come hanno detto subito Prodi e poi Rutelli in una intervista alla "Repubblica", la sinistra da sola non vince più in nessun paese europeo, deve allearsi al centro. In Italia la sinistra si è alleata con liberali e cattolici democratici, ed ha vinto. Complimenti, ma non è questa la lezione del voto francese.

Infatti da essa si apprende che sinistra e centro non si accordano, vuoi perché prima i socialisti erano diffidenti nei confronti del partito di Bayrou che proveniva dall'altra parte della barricata, vuoi perché Bayrou si rende conto che non può decidere cosa farà il suo elettorato una volta che egli ha terminato la corsa. Per cui le presidenziali francesi testimoniano, al contrario di quello che si crede in Italia, che democratici e socialisti non hanno trovato un'intesa politica e programmatica.

Figurarsi poi l'unificazione in un nuovo partito. Tanto da apparire, centro e sinistra, fondamentalmente divisi: e se la lotta contempla un candidato di destra, ma giovane, moderno, capace, il centro stesso lo preferisce ad una candidata di sinistra, politicamente più equivoca. Questo non significa ovviamente che la strada fatta in tutti questi anni sia stata inutile e che sia velleitario unificare in Italia quello che nessun paese europeo ha mai unificato. Come disse D'Alema una decina d'anni fa al premier britannico Tony Blair: "Il partito democratico è una realtà importante della politica americana".

Ma ciò significa che il partito democratico per essere credibile deve operare una rottura a sinistra, in maniera da essere riconosciuto come tale dal suo elettorato. Altrimenti non godrà dei consensi necessari per poter esercitare un ruolo politico competitivo. Per questo ci ha colpito la sufficienza con cui gli esponenti di rilievo del futuro partito danno per scontato di avere alle spalle il problema che pure il voto di domenica ha posto loro. In una trasmissione televisiva il ministro Turco, a chi le chiedeva se domani il partito democratico sarebbe stato alleato del nuovo soggetto di sinistra plurale in costruzione fra Bertinotti, Diliberto e gli ex Ds, ha risposto che ciò gli sembrava una cosa naturale. Non sappiamo cosa pensino davvero in proposito i leader del futuro partito democratico, ma se essi condividessero l'opinione del ministro Turco, non capiamo davvero a cosa sarebbe servito tanto sforzo: poiché avevano già l'Unione per questo progetto, i cui risultati di azione di governo sono davanti gli occhi di tutti.

Roma, 8 maggio 2007

tratto da http://www.pri.it

Lincoln (POL)
08-05-07, 21:42
Una Francia più giusta con Israele
le speranze suscitate dall'elezione di Nicolas Sarkozy nell'analisi di Fiamma Nirenstein

Titolo: «A Parigi l’amico di Israele»

Dal GIORNALE dell'8 maggio 2007, un articolo di Fiamma Nirenstein:

Israele è contenta dell’elezione di Sarkozy: il governo esprime la sua soddisfazione e Benjamin Netanyahu, capo dell’opposizione, scrive un’autentica elegia in lode del suo amico Nicolas. Si capisce, i toni restano quelli delle congratulazioni e degli auguri, ma la speranza è che un ruolo nuovo della Francia, il ponte con la Germania che si configura, la diversa predisposizione all’atlantismo, cambino davvero le carte sulla tavola mediorientale. Sarkozy ha detto chiaramente durante la guerra del Libano che gli hezbollah ne erano la causa; ha ripetuto che Israele ha diritto all’autodifesa; ha lodato lo sgombero di Gaza come premessa per una soluzione che prevedesse due Stati per due popoli e ha biasimato l’incapacità e la mancanza di volontà dei palestinesi di prevenire il terrorismo. La Francia di Chirac invece è stata l’epitome dell’ostilità anti israeliana, le sue opinioni sono giunte fino alla diffamazione e al paradosso.
Chirac ha avuto verso la questione mediorientale un atteggiamento unilaterale, di antipatia viscerale per lo Stato ebraico: forse, ciò è in parte dovuto all’antiamericanismo di origine gaullista. E la sinistra a sua volta si è abbandonata in questi anni a intemperanze eccessive contro Israele, da quando nel 1967 - durante la Guerra dei Sei Giorni - la Francia, che era molto più degli Stati Uniti l’ispirazione, l’amore occidentale di Israele, impose l’embargo sul piccolo Paese che combatteva per la vita; da quando De Gaulle puntò sul mondo arabo per creare un’alternativa egemonica agli Stati Uniti, da quando sulla sua scia Chirac si era fatto paladino prima di Saddam Hussein, poi di Arafat che, davvero, rappresentava la sua fonte ottimale per capire i problemi del Medio Oriente, la Francia era diventata per Israele la bandiera di un atteggiamento malato
Sia Sarkozy che Ségolène Royal si sono accorti del paradosso dello scegliersi un nemico «sionista» nell’era della jihad, avevano identificato che nella politica di Chirac l’elemento nevrosi conduceva al rischio politico eccessivo, anche sul fronte interno, dato che gli immigrati hanno già dimostrato il loro potenziale di essere una bomba ideologica vagante: nessuno può dimenticare la scena di Chirac a spasso per la Città Vecchia che prende a spintoni un agente della sicurezza israeliano dislocato vicino a lui per difenderlo; né si può non percepire la bizzarria delle parole che Chirac pronunciò nel gennaio: dopo tutto non sarà un grande danno - disse - se l’Iran avrà una o due bombe atomiche; o quando pianificò di mandare degli inviati in Iran per chiedere che gli hezbollah, che peraltro non ha mai voluto riconoscere come organizzazione terrorista, risparmiassero i francesi presenti nella missione dell’Unifil.
Sull’Iran, che oggi è certo il più importante argomento per Israele, Sarkozy ha un atteggiamento inequivoco, come è evidente la sua decisione di creare, pure da una posizione alta, di parità, un rapporto molto più amichevole con gli Usa. La visione arafattiana di Israele come nemico dell’umanità non appartiene affatto alla sua cultura e questo ne fa quanto meno un honest broker per il Medio Oriente, ciò che invece certo Chirac non era. Sarkozy più di Ségolène dà fiducia per una storia che potrebbe essere israeliana fatta di umili origini, di un nonno ebreo, di una carissima mamma, di una faccia dolce e anche proletaria da ungherese povero. Fece grande effetto la sua dichiarazione del marzo scorso, quando disse che era arrivato il momento «di dire alcune verità ai nostri amici arabi, ovvero che il diritto di Israele di vivere nella sicurezza non è negoziabile, e che il terrorismo è il loro vero nemico». In quell’occasione dichiarò anche la sua decisione di difendere «l’integrità del Libano, incluso il disarmo degli hezbollah».
Ma l’entusiasmo non deve essere imprudente: si farà presto viva la tradizione del Quai d’Orsay che da quando nel 1893 convinsero un aspirante diplomatico ebreo a ritirare la sua candidatura, fino alla famosa esclamazione dell’ambasciatore francese a Londra «Questo piccolo paese di merda ci porterà tutti alla guerra», è sempre stata poco simpatetica verso gli ebrei, anche se per legge, dal 1920, tutti possono accedere al suo servizio. Di fatto il grande palazzo che siede sulla riva sinistra della Senna ha una tradizione filoaraba romantica, letteraria, pratica, che ha costruito svolte storiche da cui sarà difficile affrancarsi, dalla vendita dei Mirage alla Libia alla costruzione delle strutture nucleari di Ozirak per Saddam, al voto alle Nazioni Unite in cui Israele veniva accusato di commettere crimini di guerra nei territori occupati, al rifiuto di far atterrare gli aerei americani durante la guerra del Kippur, al grande ricevimento per Arafat all’Eliseo in pieno terrorismo... De Gaulle nelle sue memorie scriveva che la Francia era «una potenza musulmana» e che «nessuna situazione può godere di stabilità strategica, politica o economica a meno del supporto arabo». Sarà dura per Sarkozy, anche se davvero lo vorrà, cambiare la tradizione.

nuvolarossa
09-05-07, 10:14
Gli orfani del '68
La fine di una generazione

di Arturo Diaconale

Orfani. Di Ségolène, della gauche e di una cultura egemone per quasi quarant'anni nel nostro paese . La vittoria di Sarkozy produce in Italia un esercito di orfanelli. Chi aveva fatto il tifo per la bella senz'anima transalpina, chi aveva sognato la nascita in un Partito Democratico francese sul modello di quello italiano, chi si era rifiutato di prendere addirittura in considerazione l'ipotesi di una vittoria del candidato della destra si sente oggi colpito direttamente. Intendiamoci, a questo esercito di orfani lacrimanti della Royal in quanto tale non gliene importa un bel nulla. Tra qualche giorno, sulla scia delle recriminazioni che lacereranno i socialisti francesi sulle ragioni della sconfitta, anche la sinistra italiana butterà a mare e dimenticherà presto la candidata che con il bel sorriso nascondeva le idee vetuste della propria parte politica. Le lamentazioni dei superstiti dipendono solo dalla consapevolezza che a Parigi è morta una intera e lunghissima epoca. Quella della ristretta minoranza di una generazione che si è catapultata nella vita in occasione del “maggio francese” del '68, che sulla base dei valori di quella stagione rivoluzionaria ha conquistato e mantenuto per alcuni decenni l'egemonia nella politica e nella cultura del Vecchio Continente e che pensava di potere perpetuare all'infinito il proprio potere sulle spalle ed a dispetto delle generazioni successive. Non sbaglia, infatti, chi ha tratto dall'esito delle elezioni francesi la sensazione che i francesi abbiano voltato pagina all'insegna del rinnovamento generazionale. Ma sbaglia chi immagina che il rinnovamento in questione consista solo nella liquidazione dell'ultrasettantenne Chirac e degli elefanti del Partito Socialista Francese da parte dei cinquantenni Sarkozy e Royal.

Il rinnovamento non è solo anagrafico ma, soprattutto, politico e culturale. A Parigi si è celebrato un nuovo “maggio francese”. Senza violenza, senza barricate, senza Marcuse, Adorno o Sartre. Che ha seppellito il vecchio maggio di tanti anni addietro. E che soprattutto, ha dimostrato in maniera drammaticamente lampante che la “vecchia guardia” sessantottina, non solo francese ma anche italiana ed europea, non solo è stanca ma anche vecchia. Gli orfani, allora, non sono di Ségoléne, ma di una giovinezza che la casta al potere della sinistra del '68 credeva eterna e che invece si è rivelata ormai decrepita e superata. In Francia la “gauche” del passato va in pensione. Da noi il processo sarà più lento. Ma produrrà lo stesso effetto “giardinetti”. Per la vecchia sinistra, per il “ lottacontinuismo” nelle sue diverse sfaccettature, per il cattocomunismo post-conciliare ed anche per quelli dall'altra parte che hanno subito passivamente l'egemonia postsessantottina.

tratto da http://www.opinione.it/

la_pergola2000
13-05-07, 22:42
un nuovo partito gollista in Europa.

Chirac portava avanti quella politica della francia assieme alla alleata Germania, per cui facevano il buono e il cattivo tempo nel parlamentoe europeo, perlopiù era Chirac che faceva il cattivo.
Speriamo che Sarkozy sia più accomodante con gli altri stati europei. e non si incaponisca a considerare l'Atlantico più largo

la_pergola2000
13-05-07, 22:42
De Vallepine ha avuto il suo momento di disgrazia , finalmente .

nuvolarossa
14-05-07, 18:38
Oltre gli steccati
Perché destra e sinistra sono vecchie categorie inadeguate all'oggi

di Italico Santoro

Caro Direttore, vorrei profittare de "La Voce Repubblicana" per indirizzare questa lettera a tutti quegli amici – nel mio caso sono la maggioranza – che si collocano sempre e comunque dalla parte della Sinistra. E vorrei farlo non a caso all'indomani della elezione di Nicolas Sarkozy a Presidente della Repubblica francese.

Con questi amici condivido quasi sempre l'analisi dei problemi, le soluzioni possibili, le valutazioni e le scelte di politica internazionale. Molti erano (e qualche volta sono) iscritti al PRI, in alcuni casi hanno avuto ruoli importanti nel partito e nelle istituzioni; altri hanno con me quanto meno una sicura affinità culturale. Sono tutti convinti riformisti, ma non voterebbero mai un candidato della Destra. Né in Italia né altrove. Perché allora i francesi – per ammodernare e rilanciare il loro paese – hanno fatto invece in larga maggioranza proprio questa scelta, individuando in Nicolas Sarkozy il vero modernizzatore? E perché scelte analoghe fecero a suo tempo, solo per citare qualche esempio, gli inglesi votando Margaret Thatcher e gli americani eleggendo alla Presidenza Ronald Reagan?

Perché, insomma, questa strana discrasia tra i miei amici riformisti che mai abbandonerebbero il recinto della Sinistra e i riformisti americani, inglesi, francesi (e non solo) che si muovono a tutto campo e non esitano a scegliere candidati di Destra se la loro proposta politica interpreta meglio l'esigenza di rinnovamento dei rispettivi paesi? Certo, pesa almeno per alcuni il ricordo del fascismo, della Seconda Guerra Mondiale, della Resistenza. E lo capisco. Anche se sarebbe facile ricordare che fino all'intervento americano fu la tenacia di Winston Churchill a contrastare il nazifascismo dilagante in Europa Occidentale; e che fu un generale francese – Charles De Gaulle – ad alimentare da Radio Londra la speranza di quanti nel suo paese si opponevano all'occupazione tedesca. Tutti e due personaggi che sarebbe difficile considerare di sinistra. Ma questa è comunque materia ormai consegnata agli storici e non mi sembra un tema su cui si possano fondare le scelte che riguardano il nostro futuro.

Il punto, probabilmente, è un altro. A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale le società occidentali – e quelle europee in particolare – hanno posto al centro della loro attenzione il problema della redistribuzione del reddito. D'altro canto, la crescita economica era allora limitata a poche aree (il Nordamerica, l'Europa Occidentale, il Giappone, con qualche appendice come l'Australia e la Nuova Zelanda); i paesi socialisti giocavano una partita per proprio conto (spesso con dati truccati); il resto del mondo era sostanzialmente fermo ai bordi del campo. In quelle condizioni, la redistribuzione del reddito funzionava così anche da volano dello sviluppo. Il riformismo socialdemocratico – che ne fu l'interprete politico - divenne la cultura egemone tra le classi dirigenti e pervase in profondità l'intera società civile. Orientò e condizionò le scelte perfino quando a governare erano partiti di orientamento moderato o conservatore. Essere riformisti significò di conseguenza essere di sinistra.

Questo scenario è cambiato da tempo, da molto tempo. I primi scricchiolii si avvertirono già negli anni settanta, con la crisi petrolifera e la comparsa sulla scena internazionale di altri protagonisti. Il processo si è poi allargato a dismisura. Con la caduta del muro di Berlino e la sostanziale scomparsa del comunismo inteso come strumento di organizzazione dell'economia, nuovi paesi - ormai liberi dalle pastoie ideologiche - si sono affermati sulla scena mondiale; le frontiere sono diventate sempre più labili; la competizione internazionale sempre più serrata; la distribuzione mondiale della ricchezza sempre più onnicomprensiva.

Sono i fenomeni ai quali si è dato il nome di "globalizzazione". E che non trovano più risposte efficaci, almeno all'interno dei paesi già sviluppati, nel riformismo socialdemocratico. E' emerso invece il bisogno di ridare efficienza e competitività al sistema produttivo, di inventarsi nuovi ruoli, di ricreare nuovi spazi in un mondo che cambia costantemente. I fondi per l'innovazione sono diventati più importanti della spesa per le pensioni, l'occupazione reale ha necessità di sostituirsi a quella assistita o sussidiata, la flessibilità alla rigidità della vecchia industria fordiana, la mobilità alla stabilità che fu fondamento di vita per le generazioni nate nell'immediato dopoguerra.

Di fronte a queste novità la sinistra apparve subito – e appare tuttora - impotente, disorientata, priva di idonei strumenti culturali. I primi a capirlo furono gli inglesi, forse perché il loro paese era in Occidente quello che più sembrava segnato da un inarrestabile declino. Mandarono in soffitta il laburismo di Wilson, di Callaghan, delle Trade Unions e si affidarono alle energiche cure della signora Thatcher. E la Sinistra, per ritornare al governo, dovette prima riformare drasticamente se stessa.

Caso analogo quello degli Stati Uniti. Dopo la crisi del Watergate e l'infelice presidenza Carter, l'America appariva stanca e disorientata, incapace di contenere l'avanzata sovietica in Africa e in Asia Centrale, prostrata dal sequestro dei suoi diplomatici in Iran, con un'economia che oscillava tra stagnazione ed inflazione. Fu il repubblicano Ronald Reagan non solo a ridare entusiasmo all'interno e credibilità all'esterno, fino a vincere la partita della Guerra Fredda; ma anche ad avviare le riforme che resero possibile l'avvio di un lungo ciclo virtuoso dell'economia americana. E anche qui ci vollero i "new democrats" di Bill Clinton perché un democratico potesse riconquistare la Presidenza.

Ormai questa è una tendenza diffusa. I conservatori sono da tempo al governo in Australia e si sono affermati di recente in Canada. Perfino nei paesi scandinavi, patria della socialdemocrazia, la Sinistra è all'opposizione. Sarkozy è solo l'ultimo esempio, anche se tra i più significativi.

In questa fase storica, insomma, quando c'è qualcosa da cambiare in profondità, da correggere, da "riformare", è la Destra a vincere le elezioni; e alla Sinistra tradizionale si aggrappa invece chi vuole impedire ogni trasformazione, anche la più necessaria. La "modernizzazione" confligge con il "riformismo" socialdemocratico. Vogliamo prendere atto di questo? O vogliamo restare prigionieri di quello che Galli della Loggia ha definito, con felice espressione, il "paciugo cosmopolitico-socialdemocratico-buonista", patrimonio di classi dirigenti che sono disancorate dai problemi reali del loro tempo e dalle loro società?

In Italia, obietterà qualcuno, le cose stanno in modo diverso. E per molti aspetti è anche vero. Vi immaginate Berlusconi definire "recuille", feccia, i no - global se e quando dovessero bruciare le macchine parcheggiate per strada? Li chiamerebbe, al massimo, comunisti. O incalzare Putin sui diritti umani? O il colonnello Gheddafi per chiedere la liberazione delle infermiere bulgare pretestuosamente condannate a morte? O, più in generale e per citare ancora una volta Galli della Loggia, applicare il principio per cui "in politica i capi veri sono quelli che hanno coraggio, non quelli che vogliono piacere?" E' altrettanto vero, però, che anche Sarkozy è stato dipinto dalla sua avversaria come "un pericolo per la democrazia" e paragonato – guarda caso – ad un Berlusconì francese. Forse a conferma del fatto che se la Destra è diversa da paese a paese, simile è invece la Sinistra quando non prende atto di doversi rimettere in discussione.

Caro Direttore, vorrei concludere questa lunga lettera con un proposta. Perché non aprire su "La Voce Repubblicana" – tra quelli che vengono dalla nostra comune tradizione politica ma anche tra liberali, democratici, cittadini di varia estrazione – un serio dibattito su cosa siano Destra e Sinistra "oggi"? Un dibattito al quale partecipare rimuovendo il velo degli schematismi ideologici, rinunciando alla presunzione che l'una sia il bene e di conseguenza l'altra rappresenti il male? Uscendo dai recinti e guardando ai fatti? A conclusione di un tale dibattito potremmo scoprire che ha ragione Tony Blair – un leader di cui l'Europa rimpiangerà a lungo la mancanza – e cioè che "bisogna mettere da parte le vecchie ideologie di sinistra e di destra".

Una frase detta, guarda caso, durante il secondo turno della campagna elettorale francese. Grato per l'ospitalità, ti invio i miei più cordiali saluti.

tratto da http://www.pri.it

Lincoln (POL)
10-06-07, 23:36
queste notizie andrebbero inserite nel thread "Buone Notizie",ma non lo trovo...
Comunque...

Si prospetta una grande vittoria per i sostenitori di Sarkozy
Elezioni in Francia: proiezioni, destra in testa
Secondo le prime proiezioni, al primo turno delle politiche la destra avrebbe il 46,-47% contro il 36% delle sinistre

PARIGI (FRANCIA) - Ancora una grande vittoria per il neopresidente Nicolas Sakozy, nonostante la fortissima astensione (hanno votato meno del 60% degli aventi diritto).



I RISULTATI - Secondo le prime proiezioni, l'Ump partito di destra che appoggia il presidente, avrebbe ottenuto attorno al 43,2% con la prospettiva di conquistare tra i 440 e i 470 seggi all'assemblea nazionale. Il Partito socialista avrebbe ottenuto il 28,5% dei voti, cioè un po' meglio di cinque anni fa, ma meno delle ultime aspettative. I socialisti rischiano di ottenere solo tra i 60 e 90 seggi contro i 140 eletti 5 anni fa. I comunisti otterrebbero solo il 4,75%. Il Pcf, che all'ultima Assemblea contava 21 rappresentanti, rischia ora di scendere tra i 9 e i 15, un numero insufficiente per creare un gruppo parlamentare (il minimo è di 20 deputati). Il MoDem, il partito centrista creato da Francois Bayrou avrebbe ottenuto il 7% ma solo tra lo 0 e 2 deputati. I nuovi centristi, cioè quelli che non hanno seguito Bayrou nel nuovo partito per raggiungere il presidente Nicolas Sarkozy, otterrebbero solo il 3,25% ma tra i 20 e i 25 deputati. Il Fronte Nazionale crollerebbe al 4,5%, cioè un terzo rispetto a 5 anni fa. Il partito di estrema destra non otterrebbe alcun seggio. I Verdi avrebbero ottenuto il 2,75% contro il 4,51% delle precedenti elezioni e un numero di deputati tra lo 0 e il 2 contro i 3 dell'Assemblea uscente.
FILLON - Subito dopo le prime proiezioni il primo ministro francese , l'esponente di destra Francois Fillon ha chiesto ai francesi "una maggioranza per agire", dopo che gli exit poll del primo turno delle legislative danno il suo partito, l’UMP, nettamente vincente. «Lo slancio c’è, ma non si può concretizzare che con una maggioranza presidenziale, larga, coerente e assai decisa ad andare avanti», ha detto Fillon in una dichiarazione letta davanti a palazzo Matignon. «Io chiedo - ha aggiunto - ai francesi una maggioranza per agire».
SEGOLENE ROYAL - Di diverso tono il discorso della ex candidata socialista all'Eliseo, Segolene Royal, che ha chiesto ai giovani di andare a votare domenica ai ballottaggi del secondo turno delle elezioni legislative e dire «no al fatalismo e alla tristezza». La Royal si è rivolta in particolare a quei giovani che avevano votato per lei alle presidenziali, e che hanno disertato le urne, perchè «la Repubblica ha bisogno di respirare, di una forte sinistra che vigili, controlli e che prepari un'alternanza». Segolene Royal ha chiesto una mobilitazione anche perchè c'è bisogno di «una sinistra nuova, che prenda un cammino nuovo».
10 giugno 2007

nuvolarossa
12-06-07, 18:29
Destra e Sinistra
Da Blair a Sarkozy l'Europa deve cambiare registro

di Luigi Compagna

Caro direttore, credo che Italico Santoro su "La Voce Repubblicana" del 15 maggio scorso avesse ragione. Per rispondergli ho voluto attendere il viaggio di Bush della scorsa settimana. Abbiamo alle spalle molti anni di antiamericanismo europeo, che hanno accentuato la nostra contraddizione: sempre più blairiani, sempre meno di sinistra. E questo nel momento in cui Sarkozy sembra oggi in Europa in qualche modo voler succedere a Blair da destra. Barbara Spinelli sulla "Stampa" e Ian Buruma sul "Corriere della Sera" temono una trahison des clercs: si tratterebbe secondo quest'ultimo del "cieco plauso ad una ottusa potenza militare imbarcatasi in guerre inutili". Ma il loro tiro al bersaglio è soprattutto contro la Francia, contro Sarkozy, contro Kouchner. L'ingresso di questo medico al Quai d'Orsay ha fatto assai più rumore dell'ascesa a suo tempo di Gino Strada alla guida della politica estera italiana.

Ad un ticket Sarkozy-Kouchner aveva già pensato André Glucksmann ed oggi la sensazione è che così la sinistra francese abbia incassato un autentico "pugno in faccia". Ma la scelta di Kouchner non sembra pensata soltanto in vista delle elezioni di giugno; ed è innegabile una sua spettacolare "grandeur" tesa a valorizzare antiche tradizioni transalpine di umanesimo della professione di medico.

Nel senso sovrano del termine, la vera politica estera resta più che mai affidata al Presidente della Repubblica, come si addice al modello della Quinta Repubblica, in cui i rapporti internazionali (bilaterali o multilaterali che siano) sono davvero "sport dei re". Non ha senso, quindi, l'accusa di trasformismo, o l'evocazione di un Gianni Letta ministro di un governo Veltroni. Fu per vicende interne alla maggioranza che in Italia Strada poté impossessarsi del quadro-comando della Farnesina e di Palazzo Chigi. Mentre Kouchner è proprio un antidoto a qualsiasi compagnia di Strada. Socialista che da sempre ama definirsi socialdemocratico, gli toccò farsi "voce clamante nel deserto" quando (dalla sinistra estrema alla destra estrema) la Francia quattro anni fa era avvolta nelle bandiere dell'antiamericanismo puro e duro. Non sfuggiva a Kouchner una qualche improvvisazione dell'intervento americano in Iraq. Ma gli sembrava giustissima, in nome dei droits de l'homme, l'idea di sradicare il regime sanguinario di Saddam. Socialista favorevole al rilancio dell'Europa e non pregiudizialmente ostile agli USA: questa è l'identità del "French Doctor". Ed è davvero il miglior biglietto da visita di una politica e di una diplomazia in grado di raffreddare gli eccessi di protagonismo - antagonismo chiracchiano. Barbara Spinelli paventa il rischio di una "seconda vittoria" di Sarko: la prima per arrivare all'Eliseo, la seconda grazie ai poteri dell'Eliseo. Ma questo (viene da dire) è il dispiegarsi della Costituzione! Perchè Sarko non avrebbe diritto di allargare la sua maggioranza verso quanti a sinistra non amano far "quadrato" attorno alla Royal e al suo mitterandismo massimalista? La stagione del corteggiamento al centrista Bayrou c'è già stata; ora centrale (non solo centrista) è il Presidente al quale non dispiace affatto quel "Tony Blair c'est moi!", che non piace alla Spinelli.

Un americano a Parigi. Cataclisma Sarko si leggeva in un suo articolo su "La Stampa". Al "French Doctor", magari, veder evocato il vecchio bellissimo film di Vincente Minnelli non potrà che esser parso di buon auspicio. Ma per Sarko è davvero ingenerosa l'immagine del "cataclisma" per il legittimo svolgimento delle proprie prerogative. Non diversamente da Giscard dopo Pompidou, da Mitterrand dopo Giscard, il profilo politico è quello che ogni presidente ha diritto a disegnare ed anche gli antipresidenzialisti devono accettarlo.

Nasce in questi giorni in Germania un nuovo partito. Si chiama "La Sinistra" e vi confluiscono due partiti di transizione, il Wasg di Oskar Lafontaine ed il Pds di Gregor Gysi, l'uno legato alla storia tutta occidentale della socialdemocrazia europea e delle sue correnti di sinistra, l'altro creato nella ex Germania Orientale e favorito poi dagli effetti e dai disagi dell'unificazione.

Probabilmente nel nuovo soggetto politico entrerà pure l'ala massimalista dei Verdi, per sfidare così la maggioranza guidata da Angela Merkel anche sul terreno della lotta sociale. Insomma, proprio nella terra dove a suo tempo il marxismo aveva scelto di organizzarsi in forma socialdemocratica, la "sinistra sinistra" opta per un partito, non più per un movimento. Se andrà bene, sarà un partitone a due cifre, senza rimpianti per la stagione dei partitini figli del Sessantotto. A suo modo, viene riproposta una scelta leninista ed è la conferma di quale strana epoca viva la vecchia Europa: in Polonia si pretende che ognuno risponda del proprio passato comunista, in Germania si consente a tutti di potersene disfare.

Nel sistema politico tedesco nulla sarà più come prima. Dopo che già aveva dato segni di crisi, scompare il modello "due più due": due grandi partiti, cristiano-democratici e social-democratici, e due partiti più piccoli, liberali della Fdp e Verdi. Per forza di cose, la coabitazione al governo fra CDU e SPD, suggerita due anni fa dal risultato elettorale, ora dovrà farsi più agile e apparire meno transitoria. Fra la Germania che stava a Est e la Germania che è sempre stata ad Ovest si attenuano le differenziazioni politiche. Il che potrebbe giovare all'integrazione del paese. Ma se dalla Germania si guarda all'Europa, in questo riaffiorare di leninismo c'è qualcosa di ambiguo. Non tanto sotto il profilo del comunismo, quanto sotto quello dell'anti-imperialismo. Gli alleati storici degli USA hanno accolto la scorsa settimana Bush in Europa come se l'imperialismo e non l'isolazionismo americano fosse la minaccia da temere. Troppi governi europei negli ultimi anni hanno creduto di potersi staccare da un destino comune dell'Europa e degli Stati Uniti. A tale destino, invece, si sono rifatti e torneranno a rifarsi la Merkel e Sarkozy. Non soltanto nella ricerca di una soluzione al dramma iracheno.

Se c'è un Impero, anche noi europei ne siamo attori e soprattutto ne siamo responsabili, a voler essere europeisti sul serio. Fu, del resto, un socialdemocratico tedesco il coraggioso cancelliere che nella seconda metà degli anni settanta pose agli USA l'urgenza di un riarmo dell'Europa atlantica. Schmidt e Reagan insieme puntarono sugli euromissili, insieme seppero resistere all'ondata di pacifismo, insieme fecero sì che l'URSS si dissolvesse. Di qui il nostro ritrovarci ieri al fianco di una sinistra alla Blair contro una destra alla Chirac ed oggi al fianco di una destra alla Sarkozy contro l'anti-imperialismo dei Gysi e dei Lafontaine. Può darsi che sia una contraddizione, ma è anche la nostra identità di sempre.

Roma, 12 giugno 2007

tratto da http://www.pri.it

la_pergola2000
05-07-07, 15:14
Sarko non ha cambiato niente della politica estera della Francia, il buonismo di Veltroni non ha bisogno di fare dichiarazioni sulla politica estera.

Caro Nucara D'alema non glielo permetterebbe o l'ex Kennediano futuro Barak Obama ha avuto paura di D'Alema?.
Non meravigliamoci il sindaco dell'effimero può assumere tutte le figure possibili, da buon collezionista delle figurine panini un posto a Zelig lo trova sempre.

la_pergola2000
12-07-07, 14:07
Sarkò è sempre più chiracchiano e gollista.

comunque il 14 luglio è stato festeggiato degnamente.

la_pergola2000
09-08-07, 16:18
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


Sarkò scatenato, ora non potrà più tornare indietro, dalle sue ultime mosse si capisce che vuol dare un ruolo alla Francia sempre più di tipo gollista.
Non mi meraviglierebbe che possa dialogare con i governi arabi estremisti.

la_pergola2000
26-08-07, 03:11
Intanto Sarkò spariglia le carte con Monti e Bassanini, col francese e con lo spagnolo. Repubblica non sa più a che santo votarsi, un giorno parla bene di Sarkò un'altro ne sparla.
Michelino Serra comincia come con l'antiberlusconismo, è in apnea giornaliera.

nuvolarossa
18-09-07, 03:41
La rivoluzione di Monsieur le President

di Giulio Tartaglia

Come scriveva un famoso cantautore francese di qualche decennio fa, “Monsieur le President , je vous ecris une lettre que vous lirait peut être si vous avez le temp”. E all’Elysée il nuovo Monsieur le President, Nicolas Sarkozy, sta trovando il tempo per fare tutto. I suoi primi cento giorni sono stati forse i più prodighi per un capo di Stato di Francia.

http://www.tsr.ch/xobix_media/images/tsr/2007/swisstxt20070827_8144819_1.jpg

Dopo aver preso le redini di un paese gestito per anni da un opaco e arrugginito Chirac, Sarkozy ha subito posto l’accento forte sulle privatizzazioni interne, e quindi su riforme nazionali di stampo necessariamente liberale, facendo ripartire la Francia sulla scia dei rialzi nel secondo quadrimestre di quest’anno, e dando al suo paese ampia opportunità di arginare la crisi dei subprime mortgage funds americani di inizio estate. Nonostante le importanti, seppur secondarie manovre interne, Sarkozy ha dato, e continua a dare il suo volto come segno di un ritorno della Francia sulla scena internazionale in grande stile. È andato a pranzo con Bush, nella villa americana nel New England a Kennenbunkport, ha contattato i potenti d’Europa per ripartire dalla fallita iniziativa della costituzione europea, ha proposto un “Unione Mediterranea”, ha spedito il suo ministro degli esteri in Iraq per dar modo ad una qualche mediazione a favore dell’impegno francese nelle operazioni del medio oriente, si è personalmente impegnato per la liberazione delle infermiere Bulgare condannate a morte in Libia, e ha rilanciato l’azione internazionale nel Darfur.
Periodo di incredibile iper-attività per marcare la fine di un’era e l’inizio di un’altra, un’era in cui la Francia sarà di nuovo la benvenuta per parlare sia con Washington sia con Bruxelles. Il primo cardine della politica di Sarkozy è una visione della Francia forte attraverso l’Europa, la quale ha bisogno di una forza militare comune per ergersi a democrazia egemone nel mondo. E questo non in antagonismo con gli Stati Uniti, bensì in alleanza e amicizia. Sarkozy ha recentemente definito l’America “la più grande democrazia del mondo”. Per di più, molti a lui vicino si augurano in senso positivo un rientro francese nella Nato, da cui De Gaulle la fece uscire nel 1966 . Atto quest’ultimo che ribadirebbe il desiderio di creare una potenza europea in grado di far fronte agli ostacoli globali, unita e compatta, affiancata all’America. E per ottenere ciò, lui, prima di altri, ha capito che l’unione militare sarebbe un passo avanti di proporzioni considerevoli.
Ha inoltre sottolineato la sua scelta di campo, dichiaratamente pro americana, criticando Russia e Cina per le loro strategie di controllo, e constatando che, per quanto riguarda Ahmedinejad, le decisioni si stanno sempre più riducendo ad un aut-aut, “o una bomba (nucleare) iraniana, o il bombardamento dell’Iran”.
La scelta di Bernard Kouchner agli esteri è stata particolarmente felice e simbolica. Kouchner, fondatore di Medici Senza Frontiere e governatore ONU in Kosovo, sottolinea un impegno francese serio e aperto, oltre che forte e volenteroso di risanare la frastagliata e brutale realtà dell’Africa subsahariana. Infatti, forte è stata la pressione francese, da quando Sarkozy è in carica, al palazzo di vetro, per una maggiore azione internazionale nel tentativo di risoluzione della guerriglia nel Darfur.
Nei suoi discorsi Monsieur le President, Sarkozy, evita termini come grandeur e gloire, usa un linguaggio più fresco e pragmatico, per quanto opportunista, nel tentativo di ridisegnare l’immagine della Francia nel quadro internazionale.
Nonostante gli impegni, che si sta assumendo, il 75% della Francia approva le sue decisioni e il suo modo di fare. Nicolas Sarkozy sbaglia poco, come il rifiuto all’entrata della Turchia nell’UE, ma anche se sbaglia, i suoi successi lo premiano. Questo nuovo “piccolo” francese di origine unghererse, che accantona l’ancien regime di “gloire et grandeur”, potrebbe portare un’ondata rivoluzionaria anche nella “repubblica cisalpina”.

Giulio Tartaglia - F.G.R. - Roma

tratto dal sito nazionale della Federazione Giovanile Repubblicana
http://www.fgr-italia.it/index.php?option=com_content&task=view&id=208&Itemid=1

Lincoln (POL)
18-09-07, 22:36
Dal FOGLIO del 18 settembre 2007 un editoriale mette a confronto i comportamenti del ministro degli Esteri francese e di quello italiano nella crisi iraniana:

La differenza tra un politico occidentale e un funzionario di un’organizzazione multilaterale dovrebbe essere chiara anche a Massimo D’Alema, il ministro degli Esteri italiano. Se il suo omologo francese Bernard Kouchner dice che bisogna prepararsi al peggio, nel caso della crisi prenucleare indotta dai maneggi dell’Iran di Mahmoud Ahmadinejad, probabilmente non vuole fare la guerra, pensa piuttosto che prevederne la possibilità o addirittura la probabilità possa avere un effetto di deterrenza politico-diplomatica sul corso delle cose. Il sulfureo Mohamed ElBaradei, capo dell’Agenzia atomica di Vienna, ha un protocollare diritto di cincischiare e di invocare il basso profilo tenendo sempre la rotta del mezzo, che è la ragione stessa di vita di un’organizzazione di monitoraggio e ispezione e negoziato dell’Onu, fino a che una certa linea non sia definitivamente varcata. Ma i leader dell’occidente sono tenuti a osservare con realismo i fatti, e a comportarsi di conseguenza anche anticipando i tempi e intuendo il senso di una crisi incipiente o addirittura matura, rigettando le regole della lingua di legno paradiplomatica, quando la parola è alla politica e ai rapporti di forza. Si dà poi il caso, come riferiamo in prima pagina, che la politica è già ampiamente investita dall’iniziativa militare in materia di sicurezza nucleare, se è vero che, come hanno raccontato Maurizio Molinari sulla Stampa di giovedì scorso e domenica il Sunday Times, con notevole eco internazionale, qualcosa di assai serio è successo in Siria. Lì Israele avrebbe colpito militarmente, mantenendo il top secret per quanto possibile, una situazione di traffici di uranio con la Corea del Nord, la cui capacità atomica è in via di smobilitazione epperò anche di proliferazione per la via del contrabbando (lungo l’asse del male, come fu autorevolmente detto citando per l’appunto Iran, Siria e Corea del Nord). Siamo dunque parecchio avanti nello scenario della forza, con questa specie di seconda Osirak, dal nome del reattore nucleare di fabbricazione francese che fu distrutto dall’aviazione israeliana nell’81 con un raid condannato da tutto il mondo imbelle più che civile, e siamo parecchio avanti per ragioni chiare. Pesa anche la percezione di una divisione occidentale perfino sul carattere delle sanzioni che l’Onu dovrebbe decretare a carico di chi manda avanti un programma nucleare e desidera cancellare Israele dalla mappa geografica. Scongiurare una soluzione di forza è non solo lecito, ma auspicabile, tuttavia non lo si fa mandando segnali di debolezza e di opposizione di principio all’uso della forza. Non almeno di fronte a comportamenti decisamente fuori controllo, come sono quelli della Repubblica islamica iraniana e del suo vertice politico, fino a prova contraria.



http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=8&sez=120&id=21970

nuvolarossa
19-09-07, 16:52
Sarkozy: fra atlantismo ed europeismo

di Emanuele Vaccaro

Ha fatto bene l'amico Giulio Tartaglia a sottolineare il buon lavoro di Sarkozy, soprattutto in politica estera. Il nuovo presidente francese è sicuramente un esempio di statista capace che in Italia manca da molto tempo e per questo dovrebbe essere preso a modello.

Ma alleanza con gli USA non significa "allineamento (politico)". Sono parole proprio di Sarkozy.
Traducendo significa: gli Usa saranno pure i nostri migliori amici (di noi europei s'intende) ma se vogliono fare grossi errori non li seguiremo certo a ruota come tante pecorelle! Ovviamente è una chiara presa di posizione ma non è "l'atlantismo senza riserve" che tanti propagandano qui in Italia (soprattuto del centro-destra).
Da questa prospettiva concordo pienamente con la politica estera fin qui seguita da Sarkozy.
Non a caso infatti fu il "delfino" scelto da Chirac, che come sappiamo si oppose con forza e con coraggio alla disastrosa missione in Iraq.
Ecco. L'Iraq. La missione "iraqy freedom" è il simbolo del pericolo di quel tipo di atlantismo che gli europei non dovranno mai appoggiare! Il progetto sull'Iraq è fallito, ormai purtroppo può dirsi con sicurezza, ma tanti europei ne riconobbero il fallimento già in partenza.
In definitiva gli europei non possono essere atlantisti se prima non sono "europeisti"; l'Italia è parte della UE non è una delle stelle della bandiera americana! E' un concetto semplice.
E allora. Va bene l'amicizia con gli Usa, che lo stesso sottoscritto adora per molti aspetti, ma non dovrà mai trasformarsi nella cieca obbedienza perchè i rischi di futuri scenari di guerra che Bush ed i suoi fedeli ogni tanto prospettano potrebbero farci cadere nelle tenebre insieme a loro.
Fortunatamente siamo usciti in tempo dall'Iraq e fortunatamente la presidenza Bush è agli sgoccioli del suo mandato (non è escluso che possa finire prematuramente con le dimissioni del Presidente come fece Nixon, anche se per altri motivi). I futuri candidati democratici alla presidenza (Obama e Hilary Clinton) sono ormai ferrei sostenitori del ritiro delle truppe e, stando ai sondaggi che mostrano che il consenso degli americani verso il loro Presidente è ai minimi storici, per adesso sembra molto probabile la vittoria di uno di loro.
La politica estera di Sarkozy è un buon contributo alla crescita di potere della UE; la richiesta di far rientrare la Francia nella NATO è un tacito sostegno all'ONU, al contrario di De Gaulle come Tartaglia ha ricordato.
Concludendo, è giusto riordinare gli intenti fra paesi occidentali ma bisogna sempre tenere dritto il timone delle organizzazioni internazionali come dice il nostro art.11 della Costituzione (L'Italia ripudia la guerra ecc.) perchè solo queste possono risolvere i problemi del mondo senza aprire vasi di Pandora, come è successo nella ingenua e molto ipocrita missione americana in Iraq.
Soprattutto oggi che la UE sembra cominciare a muoversi sulle proprie gambe e l'ONU consegue buoni successi. Certo la macchinosità e la lentezza delle organizzazioni internazionali sono fin troppo note ma esse con l'aiuto di tutti, occidentali in primis, sono il solo strumento "giusto" per le difficoltà del nuovo millennio.
Certo spesso molti crimini nelle nazioni non occidentali rimangono impuniti ma questi sono il prezzo da pagare, non ci sono alternative.
Ma proprio su questo punto vorrei far notare un fatto molto esplicativo: non tutti i crimini, almeno in teoria, rimangono impuniti infatti per quelli più gravi (genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra) esiste dal 1999 la Corte Penale Internazionale dell'Aja. Per arrivare a questo successo l'ONU ha aspettato mezzo secolo. Dal processo di Norimberga (1946) molti criminali rimasero impuniti (Pol Pot ed Ho Chi Min per esempio) ma oggi tanti altri criminali, per esempio della ex-Jugoslavia (fra cui Milosevic che si è suicidato l'anno scorso) o del Rwanda, sono nelle carceri dell'Aja. Siccome per questi crimini non c'è prescrizione, quindi possono essere puniti finchè vive il criminale, e siccome la C.P.I. può intervenire laddove uno Stato non possa o non voglia processare un criminale (internazionale) il suo potere sanzionatorio è evidente!
Questi sono i tipi di obettivi che noi cittadini del mondo del duemila, occidentali e non, dobbiamo perseguire ma anche senza l'appoggio dei potenti della terra. E' ancora più esplicativo notare che fra i pochi Paesi che non hanno ancora aderito alla C.P.I. ci sono la Russia, la Cina e proprio gli USA!
Il pensiero mazziniano si è sempre basato sulla cooperazione internazionale e sulla fratellanza dei popoli. Cerchiamo di rendergli onore.

Emanuele Vaccaro - F.G.R. Roma

tratto dal sito nazionale della Federazione Giovanile Repubblicana
http://www.fgr-italia.it/index.php?option=com_content&task=view&id=209&Itemid=1

la_pergola2000
04-10-07, 14:23
In politica estera Sarkozy sta facendo bene , anche se nei primi momenti abbiamo creduto che fosse troppo gollista.

In Italia invece stiamo assistendo ad una edizione simil-Sarkosy con Veltroni che invita Miryam Bartolini, in arte Veronica Lario sposata Berlusconi, assistiamo anche all'impudenza di tale personaggio che si infiamma quando sente parlar di teatro e di cinema.
Le ex attrici sono bagaglio del suo pantheon personale.
Piccolo personaggio, come volevasi dimostrare.

la_pergola2000
15-10-07, 20:58
Che ce ne frega delle sorti della Cecilià con il Presidente Francese?

Le tv si scatenano, fra un pò i popoli italiano e francese si interesseranno sempre di più alle sorti della Cecilià.

Mais je m'en fous

la_pergola2000
24-10-07, 20:27
Coup de teatre en France, Sarkò il discendente del partito gollista , che si richiama agli ideali antinazisti di De Gaulle, non può far leggere nelle scuole di Francia una lettera di un giovane che stava per morire sotto il piombo nazista, e questo perchè era comunista e Sarkò non se ne può appropriare.
Questo secondo la sinistra francese.
Ma la sinistra francese dimentica che se non c'era De Gaulle che resisteva ai nazisti il partito comunista poteva fare ben poco sul fronte interno.
Il grosso delle forze antinaziste erano gollisti e De Gaulle divenne per la Francia e i francesi l'eroe nazionale per eccellenza.

Tanto è vero che nel '58 potè mettersi a capo di una Francia distrutta dai governi di cs ed a terra dalla fine dell'impero coloniale, e la risollevò fondando la quinta repubblica grande esempio di vitalità politica.
Dopo Pompidou, Chirac ed ora Sarkosy il partito gollista , si è sempre distino per tenere alto il nome della Francia, anche quando si allontanò dalla Nato i francesi lo seguirono , non successe niente, la Francia continuò con i suoi traffici, anche con l'Unione sovietica.
Ora tutto questo è il passato, ora Sarkò fa bene a rimettere in discussione la politica estera, contrariamente al suo predecessore Chirac e il malfidato De Villepine.
Un riavvicinamento alla Nato gli permetterebbe di sondare i nuovi governanti estremisti , come quelli dell'Iran.

la_pergola2000
01-11-07, 16:00
imbecile!!!!
Sarkò est tre bien, il gossip non s'addice a la grandeur.

nuvolarossa
09-11-07, 21:14
Un ponte tra Usa e Europa
Con Sarkozy alla guida della Francia l'Occidente torna unito

"Voglio essere per voi un amico, un alleato, un partner, ma un amico in piedi, un alleato indipendente, un partner libero, perché sono questi i valori che ci uniscono e che intendiamo difendere". Con queste parole, pronunciate dinnanzi al Congresso degli Stati Uniti, Nicolas Sarkozy ha offerto all'America la guida di una grande alleanza transatlantica tra nazioni libere e sovrane che si riconoscono nella comunanza dei valori, degli ideali, degli interessi.

Ottenendo tre risultati politici di sicuro rilievo, destinati probabilmente a segnare in profondità gli sviluppi dei rapporti internazionali nel prossimo futuro.

In primo luogo, ha cancellato d'un colpo i contrasti e le incomprensioni che avevano dilacerato, negli ultimi anni soprattutto, i rapporti tra Francia e Stati Uniti.

Richiamandosi a Lafayette e a Tocqueville, ha esaltato gli elementi di unità rispetto a quelli di divisione. E venendo ai problemi attuali, ha sottolineato la convergenza che esiste su tutte le grandi questioni internazionali. Dall'Iran, al Libano, all'Afghanistan, dove "è in gioco il futuro dei nostri valori e della Nato". Perfino sull'Iraq, pur nella iniziale differenza di opinioni, ha dichiarato che "un Iraq libero e democratico, di cui facciano parte tutte le componenti della sua società, è nel nostro interesse". Quanto alla lotta nei confronti del terrorismo, "il fallimento non è un'opzione…poiché le democrazie non hanno il diritto di essere deboli e il mondo libero non ha paura di questa nuova barbarie".

In secondo luogo, ha riunificato in questa nuova posizione l'intera Europa; o almeno quella che conta. Se proprio sull'America il Vecchio Continente si era diviso nella prima metà degli anni duemila, con la Gran Bretagna da una parte e la Francia dall'altra, oggi gli Stati Uniti non rappresentano più un fattore conflittuale.

Tutt'altro. E mentre costruisce un ponte sull'Atlantico in nome della Francia, Sarkozy è consapevole di parlare per conto dell'intera Europa. D'un colpo vanno in archivio non solo i contrasti tra Chirac e Bush ma anche quelli che avevano contrapposto l'ex presidente francese e Tony Blair.

E infine, grazie al suo discorso, di quest'Europa si candida ad essere il leader naturale; o almeno il più dinamico e intraprendente. Con la Merkel costretta alla cautela in politica estera dalla Grande coalizione, con Gordon Brown ancora in fase di rodaggio (e privo comunque dello smalto che aveva caratterizzato il suo predecessore), è Nicolas Sarkozy che detta ormai l'agenda europea. Dal Trattato ai rapporti con gli Stati Uniti. Scegliendo, su tutti i problemi, la posizione che maggiormente riassorbe le diverse e più significative anime del Vecchio Continente.

Quello di Sarkozy è stato definito da molti commentatori come il discorso più filoamericano che un presidente francese abbia mai pronunciato. In realtà è la voce di un Francia più matura e consapevole delle grandi sfide - economiche, politiche, militari, "valoriali" - che all'Occidente vengono lanciate dai nuovi protagonisti della storia globale. Che avverte come queste sfide non possono essere raccolte con successo dall'Europa, tanto meno da uno solo dei suoi paesi, per quanto ricco di storia e tuttora importante esso sia. E che vanno di conseguenza affrontate attraverso una stretta collaborazione tra le due sponde dell'Atlantico.

Con Sarkozy l'Occidente torna ad essere unito. E questa è sicuramente una buona notizia.

di Italico Santoro
Roma, 9 novembre 2007

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

Lincoln (POL)
10-11-07, 00:04
Come sempre o quasi,lucida ed impeccabile è l'analisi di Santoro.
Ecco quindi sistemati certi nostri antiamericani travestiti da euroentusiasti in salsa francese.
Poverini e adesso cosa si inventano per mascherare la loro idisioncrasia per gli Stati Uniti?:rolleyes:

Lincoln (POL)
10-11-07, 11:10
Cresce il panico tra i nostri antiamericani in servizio permanente effettivo travestiti da euroentusiasti in salsa franco-tedesca...:D

Usa-Germania: Merkel in Texas ospite di Bush

WASHINGTON - Il cancelliere tedesco Angela Merkel e' giunta in serata al ranch di Crawford, in Texas, dove e' in programma l'incontro con il presidente Usa, George W. Bush. Sul tavolo, nei due giorni di colloqui, le piu' importanti questioni internazionali, dal programma nucleare iraniano, all'impegno militare in Afghanistan. (Agr)

http://www.corriere.it/ultima_ora/detail.jsp?id={281D0DB8-AFF0-4B6A-BBF4-DEC142ECCA92}

Lincoln (POL)
06-12-07, 13:45
La telefonata di Sarkozy E perché no? perché mai Sarkozy avrebbe dovuto rinunciare a telefonare a Putin, presumibilmente per complimentarsi della sua vittoria? Perché mai avrebbe dovuto, invece, preoccuparsi di non spiazzare l'Unione europea? Sarkozy, fino a prova contraria, è il presidente della Repubblica francese, e questo è ciò che conta per lui: gli interessi nazionali del proprio Paese, il suo ruolo negli affari mondiali, i suoi rapporti con le grandi potenze. Più o meno come accade nel caso della Germania, della Gran Bretagna, degli altri Stati che contano qualcosa. Perfino nel caso dell'Italia: forse che se si tratta di comprare dalla Russia il gas di cui abbiamo bisogno chiediamo a Bruxelles il permesso di qualcuno? ci mettiamo forse d'accordo con i nostri partner europei, chessò, per spuntare il prezzo migliore? Non mi pare. La verità è che più che mai l'Europa come soggetto politico non esiste, e che l'orgia della retorica europeista, di cui siamo specialisti, produce solo aria fritta.

http://www.corriere.it/politica/

la_pergola2000
07-12-07, 16:03
Sarkò pensa per conto suo e per la Francia.
Forse qualcuno crede che prima di ogni sua uscita politica dovesse telefonare a Ezio Mauro o a Cossiga.

la_pergola2000
04-01-08, 01:21
Vive la France eternelle.
Carla je te regrette, rentrez che moi.

la_pergola2000
04-01-08, 01:35
Carla je te regrette , rentrez che moi.

la_pergola2000
15-01-08, 22:06
E va bene
dobbiamo ancora una volta guardare la politique d'abord di Sarkò con ammirazione.
mentre firmava contratti in miliardi di euro nel golfo, in Francia il suo ministro del lavoro, nei cui confronti Damiano è un pivello, vinceva dopo quattro mesi di scontri con i sindacati la dura battaglia delle 35 ore e della cassa integrazione, con un costo si intende , ma è sempre una vittoria.
Certo nei contratti fatti nel golfo ci sono anche forniture militari che l'Italia per scelte del passato non potrebbe fare, ma non importa ci sono sempre tanti altri contratti che gli italiani potrebbero fare , ma che non hanno fatto.
Alla faccia dell'intelligenza del dottor D'Alema, parola di Piroso.

Comunque lo invidiamo anche per altre cose ........

la_pergola2000
05-02-08, 02:23
la nostra invidia è al colmo Sarkò ha sposato Carla:
Speriamo sempre che Carla si stufi , secondo durerà un anno o forse più?

la_pergola2000
05-02-08, 02:24
Qualcuno parlerà delle 391 riforme che la commissione internazionale ha preparato per Sarkò?

nuvolarossa
17-11-08, 18:08
E' la Russia "il problema"
Una Ue debole di fronte all'espansionismo di Mosca

di Italico Santoro

Sono almeno quattro i motivi di perplessità che abbiamo circa la proposta di moratoria sullo scudo spaziale fatta dal presidente dell'Unione Europea, Nicolas Sarkozy, al suo omologo Dmitri Medvedev nel corso del vertice tra la UE e la Russia tenuto a Nizza venerdì scorso.

Primo motivo. Correttezza politica avrebbe voluto che le proposte da rivolgere alla Russia venissero concordate in precedenza con i nostri alleati (e diretti interessati), e cioè gli Stati Uniti; e poi formulate ai russi, che sono, per riprendere un'espressione di Marina Sereni, soltanto i nostri vicini. Tanto più che l'amministrazione Bush è stata accusata di "unilateralismo". Sono gli europei, adesso, che hanno deciso di percorrere questa strada? Non sarebbe stato opportuno aspettare l'insediamento di Barack Obama prima di assumere iniziative politiche non concordate, neppure anticipate agli interlocutori americani, e pertanto "unilaterali"?

Secondo motivo. A quanto pare, la proposta di Sarkozy non è stata discussa con gli altri paesi europei, o almeno con quelli interessati al progetto di scudo spaziale: Polonia e Repubblica Ceca. Il presidente di quest'ultima – che tra l'altro dal primo gennaio sarà anche presidente della UE – ha dichiarato addirittura di averla appresa dalla stampa. E poi ci si lamenta se nei paesi dell'Europa orientale cresce lo scetticismo nei confronti dell'Unione!

Fenomeno inevitabile, se per la loro sopravvivenza come nazioni indipendenti quei paesi sono costretti a guardare esclusivamente oltrealtantico, visto che gli stati dell'Europa occidentale non sono disposti a farsi carico delle loro esigenze di autonomia dal potente vicino. L'iniziativa di Sarkozy, insomma, si è rivelata un bel contributo alla disunione dell'Europa: del quale, francamente, si sarebbe fatto volentieri a meno.

Terzo motivo. I missili Iskander che i russi minacciano di installare nell'enclave di Kaliningrad non sono commensurabili con gli intercettori americani. Questi ultimi, senza testata atomica, hanno per obiettivo quello di impedire a missili ostili – e in particolare a quelli iraniani di ultima generazione, con una gittata in grado di raggiungere l'Europa – di colpire i loro bersagli. Vengono installati, quindi, a difesa dei paesi europei, per renderli autonomi dalla minaccia (e dal ricatto) dell'Iran; non a tutela degli Stati Uniti. Per di più l'amministrazione Bush – prendendo atto dei problemi avanzati dai russi – aveva proposto a questi ultimi (ricevendone, a quanto pare, l'assenso) di inviare loro ispettori per compiere tutte le verifiche necessarie. I missili Iskander, a testata nucleare rappresentano invece – è proprio il caso di dirlo – "un provocazione", la rottura di equilibri strategici consolidati da tempo: che richiederebbero una risposta ferma e dura da parte occidentale. E invece, come ha detto Lech Walesa , la proposta di Sarkozy "ha tutta l'aria dell'ennesima vittoria russa".

Quarto motivo. Rispolverando un'antica volontà di potenza, senza peraltro averne i mezzi, la Russia è diventata "il" problema dell'Europa. Ed è interesse dei paesi dell'UE contenerne le mire espansionistiche, cercando di coinvolgere gli americani in questo sforzo. Non è il contrario. Anzi, il nuovo presidente degli Stati Uniti – il primo presidente "globale", come si è detto – di fronte all'inaffidabilità e all'inconsistenza degli europei potrebbe accordare priorità ad altri scacchieri; e Bush rivelarsi l'ultimo presidente "occidentale" degli Stati Uniti. Lo tengano bene a mente quanti oggi, nel vecchio continente, profittando della transizione americana, ballano una danza allegra e improvvisata sul ponte del Titanic.

Per concludere. Temiamo che ancora una volta, come avviene da un secolo a questa parte, l'Europa continui a pasticciare. Non vorremmo che, come accade appunto da un secolo a questa parte, debbano arrivare gli americani per rimettere ordine. Sempre, naturalmente, che questa volta ne abbiano voglia.

Roma, 17 novembre 2008

tratto da http://www.pri.it/new/

nuvolarossa
30-01-09, 18:44
La Francia e Battisti
Ipocrisia gauchista con tanto di rimmel e rossetto

Una cosa di buon senso a proposito del contenzioso fra Italia e Brasile sull'estradizione di Cesare Battisti, l'ha detta il portiere della nazionale di calcio Gigi Buffon: "Non siamo noi calciatori a dover risolvere i problemi della vita politica". Speriamo che questa semplice frase faccia riflettere quei ministri del nostro governo che, nel pieno di una delicata questione diplomatica, hanno pensato bene di chiedere la sospensione di un incontro di calcio amichevole fra le nazionali dei due paesi o di far giocare la nazionale con il lutto al braccio. E ci hanno anche fatto sapere che loro avevano i biglietti ma che, dopo quello che è successo, non andranno allo stadio. No comment.

Abbiamo anche noi una grande passione per il calcio, ma lo lasceremmo volentieri da parte, soprattutto in un caso come questo. Dove, più che la parola dei ministri, vale quella di Buffon. Anche perché il vero problema non ci sembra più tanto presentarsi con il Brasile, che pure rifiuta l'estradizione, ma con la Francia. Una nazione che avrebbe favorito la fuga di Battisti. Ma, dopo che l'Eliseo ha difeso l'ex br Petrella (per motivi di salute), ha escluso ogni coinvolgimento nell'affare Battisti. E' venuta la signora Sarkozy a spiegare in un programma televisivo italiano che lei e il presidente erano estranei ai fatti. Purtroppo lo stesso Battisti ha pensato bene di far sapere che la sua fuga era avvenuta grazie ai servizi francesi.

Noi non vorremmo mai mettere in questione la parola di una signora; ma il fatto che sulla questione della nazionalità della signora Sarkozy abbiamo sentito, con le nostre orecchie, due versioni distinte e inconciliabili provenire dalla sua stessa bocca, depone "malehuresement" a suo sfavore. E badate che nulla è più improbabile delle ricostruzioni delle vicende fornite da un elemento come Battisti. Il fatto è che non capiamo - ed è impossibile da capire - come un pregiudicato ex terrorista possa fuggire dalla Francia se non con l'aiuto dei servizi di quel paese. Se poi dovessimo valutare l'atteggiamento del Brasile - che sappiamo benissimo essere un paese amico - non potremmo immaginare una tale pervicacia nella sua posizione se non forte di qualche sostegno europeo. E non parliamo della Ue che si è detta non competente. Dal punto di vista formale, la Ue ha ragione. Ma il sostegno politico che la Ue avrebbe avuto il dovere di dare all'Italia, così come avrebbe dovuto darlo la Francia, non è venuto. Eppure Battisti era in Francia, eppure l'Unione Europea dovrebbe capire le esigenze di giustizia dell'Italia. Ora c'è chi si stupisce, lo abbiamo visto sulla stampa in questi giorni, della simpatia che gli intellettuali francesi mostrano per i terroristi. Ci si dimentica che esso corrisponde perfettamente al rapporto di primogenitura diretto che i philosophes della fine del Settecento avevano con il giacobinismo ed il Terrore.

Lo stupore vero è quello che noi nutriamo invece per l'Eliseo, dove pure era stato assicurato un nuovo corso che la facesse finita con la dottrina Mitterrand, derivata proprio da quegli intellettuali. Ci sembra di poter dire che il nuovo corso sia peggiore di quello vecchio, considerando l'ipocrisia, che oggi porta il rimmel e il rossetto. Una maschera ancora più insolente del gauchismo estremista dei tempi che furono.

Roma, 30 gennaio 2009

tratto da http://www.pri.it/new/