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Visualizza Versione Completa : Mazzini in chiesa



Colombo da Priverno
22-04-02, 18:09
Qualche domenica fa entrando in una chiesa ho notato un cartello dove si leggeva: "chi arriva in ritardo a messa non rispetta Dio e il popolo". Non ho resistito, ed a penna ho aggiunto: "Giuseppe Mazzini".

Pieffebi
22-04-02, 19:40
Un parroco d'altri tempi..... :D

Con senescenza.

agaragar
05-05-02, 01:00
Già, il Mazzini.........
sembrava proprio un prete...........

@Allanim
mah, il maometto era forte, un vero laico..........

Allanim
05-05-02, 02:21
agaragar deve essere sinonimo di non-capisce-un-kaz...

agaragar
07-05-02, 18:38
Originally posted by Allanim
agaragar deve essere sinonimo di non-capisce-un-kaz...
accà nisciun è fess
a casa tua tutti.

Maometto liberò una parte del mondo dalla chiesa,
Mazzini......bè, era laico come Berlusconi(iscritto in europa al gruppo democratico cristiano)...

________________
Minalla ? MinallaH :confused:

nuvolarossa
18-05-02, 09:45
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
GIUSEPPE MAZZlNI PENSATORE
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
di Ugo Della Seta

E' Mazzini un filosofo?
Vuota disputa intermittente tra sedicenti filosofi accademi-
ci e bizantineggianti.
Non si compiacque certo Mazzini di procedere raziocinan-
do e sillogizando. Ne ebbe intelletto portato alla fredda analisi
e alla indagine scientifica. Ne presunse creare un sistema entro
il quale poi chiudersi come baco nel proprio bozzolo.
Mazzini è un intuitivo. Il suo spirito è aperto ai quattro
venti dello spirito. la sua, più che dottrina, è fede. Una fede
nella quale il sentimento vivifica l'idea. Di qui il pathos del
suo stile.
Se non un filosofo nel senso tecnico della parola, Mazzini
del vero filosofo ebbe queste note essenziali: sentì profonda, la
religione del pensiero; la libertà del pensiero sempre rivendicò
contro ogni dogmatismo di scuola, teologico o politico; sem-
pre si richiamò al valore dei grandi principii; vide, come po-
chi, la unità inscindibile fra quanti problemi -facce diverse del
medesimo poliedro -costituiscono, come problema dell'essere,
del conoscere e dell'operare, il problema umano.
Ne per intero sarebbe delineata la sua forma mentis se o-
bliassimo altre due note in lui caratteristiche.
Mazzini, questo emotivo, questo intuitivo, ebbe, rigido, fer-
reo, il senso logico. Non semplice logica formale fu la sua, ma
logica reale, sostanziale. Una logica che per lui non è solo coe-
renza ideologica; non è solo, come disciplina di vita, come sie-
ro; è sopratutto criterio supremo di valutazione nel giudicare
gli stessi istituti civili e le leggi, è criterio essenziale nella stessa
interpretazione della storia.
Mazzini, questo spirito platonizzante, vivente intimamen-
te, malgrado la febbre dell'azione, nel mondo delle idee, ebbe
profondo, oltre il senso logico, anche il senso della storia. Pun-
to questo del suo pensiero non ancora abbastanza illustrato.
Perciò nulla di più antimazziniano che fare di Mazzini un
mito e giudicarlo al di fuori della storia. E' solo alla luce della
storia, cioè di quanto fu il movimento del pensiero in Europa,
nel secolo scorso, che è dato ancor oggi poter parlare, senza
cadere in dogmatiche interpretazioni, della continuità o della
perennità, viva e feconda, del mazzinianesimo.
Non si ha vera filosofia se, come fondamento, come coro-
namento, essa non si risolve in una visione della Vita.
La stessa filosofia, anzitutto, è per Mazzini vita, non una
congerie di aride formule più o meno sottilmente escogitate.
Vita e disciplina di vita. Orientamento non solo nella indagine
teoretica, ma nelle stesse pratiche attuazioni.
Mazzini è uno spiritualista. La parola idealismo oggi ha
mutato significato e potrebbe generare l' equivoco. Oltre il tan-
gibile, oltre il visibile, egli crede -senza disconoscere per que-
sto il valore dei fatti -crede nella suprema realtà dello spirito.
Nella prima metà del secolo scorso, con Rosmini, con Gio-
berti, egli, pur con altro orientamento, segna, in Italia, la prima
vigorosa reazione contro il sensismo, ancora insinuato, del se-
colo XVIll; contro il materialismo del Vogt, del Buchner e del
Moleschott; contro il positivismo del Comte e del Taine; come
contro ogni posizione eclettica (Cousin) o scettica (Renan).
Per quanto tempra fortemente volitiva, per quanto indefes-
so uomo d'azione, Mazzini rientra, come Emerson, nella sfera
dei grandi spiriti platonici.
E come nell'essere umano egli riconobbe interiori facoltà,
recondite energie che sfuggono alla normale psicologia, così
ebbe profondo, immanente, il senso del trascendente.
Tutta la sua fede per lui s'impernia attorno due trascenden-
tali certezze: esistenza di Dio e immortalità dell'anima. Motivi
dominanti nel suo pensiero. Fondamento spirituale, spirituale
coronamento della Vita.
Questa sua fede, se gli alienò i consensi dei cosidetti liberi
pensatori, non gli cattivò neppure le simpatie dei credenti alle
varie ortodossie delle varie chiese costituite. Per lui santa è l' e-
resia.
Il suo Dio, se non è un Dio politico, come erroneamente fu
detto, non è neppure un Dio imprigionato, se non materializ-
zato, nella dogmatica delle varie teologie. E' il suo un Dio di
Vita, la di cui azione è incessante, la di cui rivelazione è conti-
nua. Le varie religioni sono successivamente, nel tempo, gradi
di questa rivelazione. La nuova rivelazione -nuovo profeta
l'Umanità collettiva -dovrà segnare, nell'umanità stessa, un
maggior grado di educazione, di elevazione spirituale. Il moti-
vo è lessinghiano. Il Dio di Mazzini non chiede ai fedeli la cre-
denza in taluni dogmi, ne la partecipazione a certi riti: chiede
la santità della vita testimoniata dalla santità delle opere.
Mazzini è un grande moralista. Il suo è il Genio etico. Il
problema pratico, quello dell'operare, più lo appassiona del
problema teoretico, quello del conoscere. Più del problema
dell'essere egli si preoccupa, come fondamentale, del proble-
ma del dovere essere. Si ha in lui una visione etica di quanti
sono i massimi problemi dello spirito.
Una morale eteronoma, certo, la sua per il principio religio-
so su cui si fonda. Però non arida precettistica. E' una morale
sentita, proclamata, vissuta, testimoniata per un quarantennio
e più della sua tormentata esistenza.
Non è qui il caso di addentrarsi nei problemi particolari
che costituiscono, per così dire, il fondamento teoretico del
problema pratico.
Quale il criterio di giudizio per qualificare una azione? O-
gni azione, risponde Mazzini, va giudicata non nella sua este-
riorità, bensì nella sua interiorità, cioè nel fine che la determi-
na. E' buona azione quella il cui fine è rivolto al bene.
E come intendere il rapporto tra il bene e l'utile? La morale
utilitaria, caratteristica della scuola inglese, non ha avuto, co-
me in Mazzini, un critico più severo e convinto. Buoni alleati
in questo il Manzoni e, nella stessa Inghilterra, Carlyle. Egli si
fa assertore eloquente della morale disinteressata. Un qualcosa
dell'austero spirito kantiano parla in lui. L'utile, egli afferma, ci
potrà essere o non essere. Ci potrà essere l'utile come risultato
del bene; non mai l'utile prospettato come fine esclusivo del-
l'operare virtuoso. Come con la teoria dell'utile potreste espli-
care il sacrificio della madre, il martirio per un'idea? Il bene
per il bene, la virtù per la virtù, questa, inderogabile, la norma.
E come intendere il rapporto tra l'io e il noi, tra l' elemento in-
dividuale e l'elemento collettivo?
Ancora aperta la contesa. Vi sono scuole che in nome del-
l'io sacrificano là collettività (individualismo) o scuole che, in
nome della collettività sacrificano l'individuo (collettivismo).
Posizioni antitetiche ma convergenti in una medesima soluzio-
ne, in quanto soluzione unilaterale, esclusiva.
il problema, secondo Mazzini, non può essere posto così
come comunemente è posto, cioè in forma dilemmatica: que-
sta soluzione o quella. Trattasi invece di trovare il punto di in-
tersezione, onde tra i due termini si stabilisca un rapporto non
antitetico, ma armonico.
Preminente, afferma categoricamente Mazzini, è il fine col-
lettivo; e a questo fine ogni altro fine particolare deve essere
subordinato.
Però ogni ente, individuale o collettivo -l'individuo, la fa-
miglia, il Comune, la nazione -ha il suo proprio fine che con-
sacra, per così dire, il suo proprio destino.
Ma il conseguimento, per ogni ente, del proprio fine parti-
colare, si converte, alla sua volta, in mezzo per il consegui-
mento di un fine più generale. Così la piena affermazione del-
la personalità si converte in maggior potenziamento morale
dell'istituto della famiglia. Così la famiglia, difesa nella sua in-
teriore individualità, si converte in maggior potenziamento
della vita del Comune. Così il Comune, nella sua piena e sana
autonomia, è l'istituto nel quale già si afferma ed opera la vita
della nazione. Così la nazione, nella sua individualità etnica,
morale, sociale e politica, è come l'operaio che il suo contribu-
to apporta alla più vasta lavoreria dell'Umanità.
Sono come tante sfere concentriche, distinte ma collegate
in un rapporto onde ogni fine particolare si tramuta in mezzo
per un fine più alto e più generale. Concezione questa non e-
sclusiva, unilaterale, ma integrale e organica, sicche i due ter-
mini, l'io e il noi, anziche antitetici, si pongono come costituen-
ti una feconda armonia. Soluzioni che in Mazzini, come è no-
to, viene espressa nella formula: tutto nella libertà per l'Associa-
zione. E' davvero questa di Mazzini semplicemente una for-
mula?
Oggi troppi, in verità, riducono a formule -ed a formule
meccanicamente biascicate e non comprese nel loro intimo si-
gnificato spirituale -quelli che in Mazzini sono principii di vi-
ta, chiave di volta per la retta impostazione e giusta soluzione
dei problemi giuridici, politici ed economici che ogni giorno si
presentano al dibattito della vita pubblica. Se i limiti rigorosa-
mente imposti a queste note non ce lo vietassero, facile sareb-
be il dimostrare che quella che in Mazzini si suole chiamare
dottrina politica o dottrina sociale non è se non la logica espli-
cazione e la pratica attuazione di quelli che in lui sono i princi-
pii primi della sua morale.
Quella di Mazzini è un'etica politica, è un'etica della eco-
nomia, come, in altro campo, si ha in lui un'etica dell'estetica.
Dissociata dalla sua morale tutta la sua dottrina rimarrebbe
dottrinarismo astratto ed evanescente e crollerebbe come crol-
la un edificio cui venissero sottratte le fondamenta.
Il dissociazionismo dalla morale della politica e dell'econo-
mia questo il tarlo della vita sociale contemporanea. Ristabilire
tale ricollegamento: questa una delle sue più profonde e non
derogabili esigenze. Qui la vera attualità di Mazzini.
Superfluo dire che quando parliamo di un Mazzini attuale
non intendiamo, con criterio dogmatico e antistorico, fare di
Mazzini una colonna d'Ercole allo spirito progressivo.
Il che, anzitutto, sarebbe antimazziniano. Mazzini fu il pri-
mo, nella piena consapevolezza di se, a riconoscere che la sua
era una delle tante voci che esprimevano il pensiero della sua
epoca. Fu il primo a riconoscere che la sua non era se non ope-
ra di seminagione che avrebbe atteso dal tempo la correzione e
la integrazione. Ma fu anche lui, con criterio storico, a senten-
ziare di se: l' avvenire dirà se io antivedeva o sognava.
L'avvenire, rispetto a Mazzini, siamo noi, oggi, noi i posteri
che, dopo averlo decretato, e dopo tante vicende, innalziamo a
Lui, sul colle Aventino, il monumento.
Non vuoI essere, semplicemente, un omaggio al Grande
Patriota, al Risvegliatore delle anime dormienti, all'Educatore
primo del sentimento nazionale. E' l' omaggio al Precursore, al-
l' Assertore ardito e ardente della libertà civile e della giustizia
sociale, al Banditore della santa alleanza fra i popoli.
Più eterno del bronzo nel quale la sua terrena effigie è scol-
pita rimarrà, per le future generazioni, inciso nelle coscienze il
monito austero della sua coscienza.
Dice quel monito che la vita è missione, che legge della vita
è il dovere e che ogni più vitale problema si risolve in un pro-
blema di educazione.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
<a href="http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA/index-12.html">NUVOLAROSSA website</a>

Antonio La Trippa
19-05-02, 03:30
Originally posted by nuvolarossa
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GIUSEPPE MAZZlNI PENSATORE
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di Ugo Della Seta

E' Mazzini un filosofo?
Vuota disputa intermittente tra sedicenti filosofi accademi-
ci e bizantineggianti.
Non si compiacque certo Mazzini di procedere raziocinan-
do e sillogizando. Ne ebbe intelletto portato alla fredda analisi
e alla indagine scientifica. Ne presunse creare un sistema entro
il quale poi chiudersi come baco nel proprio bozzolo.
Mazzini è un intuitivo. Il suo spirito è aperto ai quattro
venti dello spirito. la sua, più che dottrina, è fede. Una fede
nella quale il sentimento vivifica l'idea. Di qui il pathos del
suo stile.
Se non un filosofo nel senso tecnico della parola, Mazzini
del vero filosofo ebbe queste note essenziali: sentì profonda, la
religione del pensiero; la libertà del pensiero sempre rivendicò
contro ogni dogmatismo di scuola, teologico o politico; sem-
pre si richiamò al valore dei grandi principii; vide, come po-
chi, la unità inscindibile fra quanti problemi -facce diverse del
medesimo poliedro -costituiscono, come problema dell'essere,
del conoscere e dell'operare, il problema umano.
Ne per intero sarebbe delineata la sua forma mentis se o-
bliassimo altre due note in lui caratteristiche.
Mazzini, questo emotivo, questo intuitivo, ebbe, rigido, fer-
reo, il senso logico. Non semplice logica formale fu la sua, ma
logica reale, sostanziale. Una logica che per lui non è solo coe-
renza ideologica; non è solo, come disciplina di vita, come sie-
ro; è sopratutto criterio supremo di valutazione nel giudicare
gli stessi istituti civili e le leggi, è criterio essenziale nella stessa
interpretazione della storia.
Mazzini, questo spirito platonizzante, vivente intimamen-
te, malgrado la febbre dell'azione, nel mondo delle idee, ebbe
profondo, oltre il senso logico, anche il senso della storia. Pun-
to questo del suo pensiero non ancora abbastanza illustrato.
Perciò nulla di più antimazziniano che fare di Mazzini un
mito e giudicarlo al di fuori della storia. E' solo alla luce della
storia, cioè di quanto fu il movimento del pensiero in Europa,
nel secolo scorso, che è dato ancor oggi poter parlare, senza
cadere in dogmatiche interpretazioni, della continuità o della
perennità, viva e feconda, del mazzinianesimo.
Non si ha vera filosofia se, come fondamento, come coro-
namento, essa non si risolve in una visione della Vita.
La stessa filosofia, anzitutto, è per Mazzini vita, non una
congerie di aride formule più o meno sottilmente escogitate.
Vita e disciplina di vita. Orientamento non solo nella indagine
teoretica, ma nelle stesse pratiche attuazioni.
Mazzini è uno spiritualista. La parola idealismo oggi ha
mutato significato e potrebbe generare l' equivoco. Oltre il tan-
gibile, oltre il visibile, egli crede -senza disconoscere per que-
sto il valore dei fatti -crede nella suprema realtà dello spirito.
Nella prima metà del secolo scorso, con Rosmini, con Gio-
berti, egli, pur con altro orientamento, segna, in Italia, la prima
vigorosa reazione contro il sensismo, ancora insinuato, del se-
colo XVIll; contro il materialismo del Vogt, del Buchner e del
Moleschott; contro il positivismo del Comte e del Taine; come
contro ogni posizione eclettica (Cousin) o scettica (Renan).
Per quanto tempra fortemente volitiva, per quanto indefes-
so uomo d'azione, Mazzini rientra, come Emerson, nella sfera
dei grandi spiriti platonici.
E come nell'essere umano egli riconobbe interiori facoltà,
recondite energie che sfuggono alla normale psicologia, così
ebbe profondo, immanente, il senso del trascendente.
Tutta la sua fede per lui s'impernia attorno due trascenden-
tali certezze: esistenza di Dio e immortalità dell'anima. Motivi
dominanti nel suo pensiero. Fondamento spirituale, spirituale
coronamento della Vita.
Questa sua fede, se gli alienò i consensi dei cosidetti liberi
pensatori, non gli cattivò neppure le simpatie dei credenti alle
varie ortodossie delle varie chiese costituite. Per lui santa è l' e-
resia.
Il suo Dio, se non è un Dio politico, come erroneamente fu
detto, non è neppure un Dio imprigionato, se non materializ-
zato, nella dogmatica delle varie teologie. E' il suo un Dio di
Vita, la di cui azione è incessante, la di cui rivelazione è conti-
nua. Le varie religioni sono successivamente, nel tempo, gradi
di questa rivelazione. La nuova rivelazione -nuovo profeta
l'Umanità collettiva -dovrà segnare, nell'umanità stessa, un
maggior grado di educazione, di elevazione spirituale. Il moti-
vo è lessinghiano. Il Dio di Mazzini non chiede ai fedeli la cre-
denza in taluni dogmi, ne la partecipazione a certi riti: chiede
la santità della vita testimoniata dalla santità delle opere.
Mazzini è un grande moralista. Il suo è il Genio etico. Il
problema pratico, quello dell'operare, più lo appassiona del
problema teoretico, quello del conoscere. Più del problema
dell'essere egli si preoccupa, come fondamentale, del proble-
ma del dovere essere. Si ha in lui una visione etica di quanti
sono i massimi problemi dello spirito.
Una morale eteronoma, certo, la sua per il principio religio-
so su cui si fonda. Però non arida precettistica. E' una morale
sentita, proclamata, vissuta, testimoniata per un quarantennio
e più della sua tormentata esistenza.
Non è qui il caso di addentrarsi nei problemi particolari
che costituiscono, per così dire, il fondamento teoretico del
problema pratico.
Quale il criterio di giudizio per qualificare una azione? O-
gni azione, risponde Mazzini, va giudicata non nella sua este-
riorità, bensì nella sua interiorità, cioè nel fine che la determi-
na. E' buona azione quella il cui fine è rivolto al bene.
E come intendere il rapporto tra il bene e l'utile? La morale
utilitaria, caratteristica della scuola inglese, non ha avuto, co-
me in Mazzini, un critico più severo e convinto. Buoni alleati
in questo il Manzoni e, nella stessa Inghilterra, Carlyle. Egli si
fa assertore eloquente della morale disinteressata. Un qualcosa
dell'austero spirito kantiano parla in lui. L'utile, egli afferma, ci
potrà essere o non essere. Ci potrà essere l'utile come risultato
del bene; non mai l'utile prospettato come fine esclusivo del-
l'operare virtuoso. Come con la teoria dell'utile potreste espli-
care il sacrificio della madre, il martirio per un'idea? Il bene
per il bene, la virtù per la virtù, questa, inderogabile, la norma.
E come intendere il rapporto tra l'io e il noi, tra l' elemento in-
dividuale e l'elemento collettivo?
Ancora aperta la contesa. Vi sono scuole che in nome del-
l'io sacrificano là collettività (individualismo) o scuole che, in
nome della collettività sacrificano l'individuo (collettivismo).
Posizioni antitetiche ma convergenti in una medesima soluzio-
ne, in quanto soluzione unilaterale, esclusiva.
il problema, secondo Mazzini, non può essere posto così
come comunemente è posto, cioè in forma dilemmatica: que-
sta soluzione o quella. Trattasi invece di trovare il punto di in-
tersezione, onde tra i due termini si stabilisca un rapporto non
antitetico, ma armonico.
Preminente, afferma categoricamente Mazzini, è il fine col-
lettivo; e a questo fine ogni altro fine particolare deve essere
subordinato.
Però ogni ente, individuale o collettivo -l'individuo, la fa-
miglia, il Comune, la nazione -ha il suo proprio fine che con-
sacra, per così dire, il suo proprio destino.
Ma il conseguimento, per ogni ente, del proprio fine parti-
colare, si converte, alla sua volta, in mezzo per il consegui-
mento di un fine più generale. Così la piena affermazione del-
la personalità si converte in maggior potenziamento morale
dell'istituto della famiglia. Così la famiglia, difesa nella sua in-
teriore individualità, si converte in maggior potenziamento
della vita del Comune. Così il Comune, nella sua piena e sana
autonomia, è l'istituto nel quale già si afferma ed opera la vita
della nazione. Così la nazione, nella sua individualità etnica,
morale, sociale e politica, è come l'operaio che il suo contribu-
to apporta alla più vasta lavoreria dell'Umanità.
Sono come tante sfere concentriche, distinte ma collegate
in un rapporto onde ogni fine particolare si tramuta in mezzo
per un fine più alto e più generale. Concezione questa non e-
sclusiva, unilaterale, ma integrale e organica, sicche i due ter-
mini, l'io e il noi, anziche antitetici, si pongono come costituen-
ti una feconda armonia. Soluzioni che in Mazzini, come è no-
to, viene espressa nella formula: tutto nella libertà per l'Associa-
zione. E' davvero questa di Mazzini semplicemente una for-
mula?
Oggi troppi, in verità, riducono a formule -ed a formule
meccanicamente biascicate e non comprese nel loro intimo si-
gnificato spirituale -quelli che in Mazzini sono principii di vi-
ta, chiave di volta per la retta impostazione e giusta soluzione
dei problemi giuridici, politici ed economici che ogni giorno si
presentano al dibattito della vita pubblica. Se i limiti rigorosa-
mente imposti a queste note non ce lo vietassero, facile sareb-
be il dimostrare che quella che in Mazzini si suole chiamare
dottrina politica o dottrina sociale non è se non la logica espli-
cazione e la pratica attuazione di quelli che in lui sono i princi-
pii primi della sua morale.
Quella di Mazzini è un'etica politica, è un'etica della eco-
nomia, come, in altro campo, si ha in lui un'etica dell'estetica.
Dissociata dalla sua morale tutta la sua dottrina rimarrebbe
dottrinarismo astratto ed evanescente e crollerebbe come crol-
la un edificio cui venissero sottratte le fondamenta.
Il dissociazionismo dalla morale della politica e dell'econo-
mia questo il tarlo della vita sociale contemporanea. Ristabilire
tale ricollegamento: questa una delle sue più profonde e non
derogabili esigenze. Qui la vera attualità di Mazzini.
Superfluo dire che quando parliamo di un Mazzini attuale
non intendiamo, con criterio dogmatico e antistorico, fare di
Mazzini una colonna d'Ercole allo spirito progressivo.
Il che, anzitutto, sarebbe antimazziniano. Mazzini fu il pri-
mo, nella piena consapevolezza di se, a riconoscere che la sua
era una delle tante voci che esprimevano il pensiero della sua
epoca. Fu il primo a riconoscere che la sua non era se non ope-
ra di seminagione che avrebbe atteso dal tempo la correzione e
la integrazione. Ma fu anche lui, con criterio storico, a senten-
ziare di se: l' avvenire dirà se io antivedeva o sognava.
L'avvenire, rispetto a Mazzini, siamo noi, oggi, noi i posteri
che, dopo averlo decretato, e dopo tante vicende, innalziamo a
Lui, sul colle Aventino, il monumento.
Non vuoI essere, semplicemente, un omaggio al Grande
Patriota, al Risvegliatore delle anime dormienti, all'Educatore
primo del sentimento nazionale. E' l' omaggio al Precursore, al-
l' Assertore ardito e ardente della libertà civile e della giustizia
sociale, al Banditore della santa alleanza fra i popoli.
Più eterno del bronzo nel quale la sua terrena effigie è scol-
pita rimarrà, per le future generazioni, inciso nelle coscienze il
monito austero della sua coscienza.
Dice quel monito che la vita è missione, che legge della vita
è il dovere e che ogni più vitale problema si risolve in un pro-
blema di educazione.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
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Puro co tutte ste frignaccie che stanno 'n coppa, nun ce fammo scinquiquerrà da iste ennesime tre carte imbruoglione e bare assai e tenimmo a dì solamente:
SEMPRE EVVIVA O RE NUOSTRO !!!

Ulan
20-05-02, 15:17
se mazzini era un filosofo io sono wanda osiris,
mazzini era un beccamorto fallito

G. Oberdan
26-05-02, 01:01
Ulan... tu si che fai proprio ridere con le tue barzellette... proprio divertenti.

Perchè mica dicevi sul serio sopra vero!?!?!:(

nuvolarossa
26-05-02, 10:51
anticipiamo di un paio di settimane l'uscita di questo messaggio che, a questo punto della discussione, dovrebbe aprire la mente, si spera, alle persone di buona volonta'
N.R.
**************************************************
Giù le mani da Cattaneo
*******************************************
IL 15 giugno 2001 cadde il secondo centenario della nascita di Carlo Cattaneo, una delle più belle figure del nostro Risorgimento che ha avuto tuttavia pochi estimatori, anche se fra quei pochi ci sono stati Luigi Einaudi e Gaetano Salvemini.
La ricorrenza e' stata l’occasione adatta per approfondire il significato della sua opera. Di fronte a recenti commenti che hanno presentato Cattaneo quale un antesignano del federalismo della Lega, è tuttavia bene mettere tempestivamente in chiaro alcuni punti fermi sul pensiero politico dell’esule milanese.
Carlo Cattaneo sosteneva il federalismo perché lo considerava, a ragione, una forma superiore di unità rispetto a quella degli Stati accentrati, monarchici o repubblicani che fossero. Era infatti convinto che la vera unità politica è quella che conserva il pluralismo e trae forza da esso, non quella che lo trascende o pretende di fonderlo in un tutto unico.
Ha sempre rifiutato l’idea che il federalismo sia un mezzo per sottrarsi agli obblighi comuni. In una lettera a Giuseppe Ferrari del 29 ottobre 1851, a chiarire possibili cattive interpretazioni del suo pensiero scriveva: "Il male non si è che il principio federativo non abbia una rappresentanza, ma bensì che non sia ancora popolarmente spiegato e popolarmente compreso. Siccome viene contrapposto alla pretesa unità, si cade facilmente a crederlo un principio d’isolamento e di separazione".
La sua proposta federale si oppone alle unità dall’alto e alle fusioni, ma non all’unità fondata sulla libertà di tutti e sulla libera solidarietà. "Ti ripeto - scriveva a Ferrari il 3 ottobre 1851 - che bisogna contrapporre la federazione alla fusione e non all’unità, e mostrare che un patto fra popoli liberi è la sola via che può avviarli alla concordia e alla unità: ma ogni fusione conduce al divorzio, all’odio".
La ragione per cui Cattaneo ammira lo Stato federale svizzero è che ciascuna "repubblichetta", come le chiamava spregiativamente Gioberti, può fare di più, non di meno, grazie alla struttura federale, per la causa comune. In una lettera a Mauro Macchi del 26 dicembre 1856 scriveva: "Hai visto la repubblichetta di Vaud che alla dimanda di nove battaglioni risponde offrendone venticinque! \ e il Vaud fa duecentomila anime, poco più della provincia di Pavia! Di questa misura le repubbliche d’Italia potrebbero dare più di tremila battaglioni".
Immagini il lettore che cosa Cattaneo avrebbe pensato di presidenti di Regione "federalisti" che nicchiano per partecipare alla sfilata della Festa della Repubblica a Roma, o di leaders come Bossi che addirittura la disertano, o ancora di parlamentari che in nome del federalismo si preoccupano soprattutto di far sì che le risorse prodotte al Nord restino in larghissima parte al Nord, e che solo l’1,5% del prodotto interno lordo possa essere destinato ai fondi perequativi perché servono per garantire alle regioni più povere diritti di cittadinanza paragonabili a quelli delle regioni più ricche.
Cattaneo riteneva che la federazione dovesse essere il mezzo per promuovere l’autogoverno e per sviluppare la coscienza dell’unità nazionale. "La federazione - scriveva a Agostino Bertani nel maggio 1862 - è la pluralità dei centri viventi, stretti insieme dall’interesse comune, dalla fede data, dalla coscienza nazionale". Era un discepolo di Romagnosi, e come il suo maestro sosteneva che il municipio fosse la molla attiva del "vero e sicuro patriottismo". Scriveva infatti che "i comuni sono la nazione; sono la nazione nel più intimo asilo della sua libertà". Vale la pena sottolineare: per Cattaneo l’autogoverno locale è il cuore del patriottismo e dell’unità della nazione, non un espediente per sottrarsi agli obblighi comuni.
E’ bene chiarire che per Cattaneo la soluzione federale era la migliore anche per le regioni meridionali. In una lettera a Francesco Crispi del 18 luglio 1860 scriveva: "La mia formula è Stati Uniti; se volete Regni Uniti; l’idra di molti capi, che fa però una bestia sola. Per essere amici bisogna che ognuno resti padrone in casa sua". I siciliani potrebbero fare un gran beneficio all’Italia, spiegava, "dando all’annessione il vero senso della parola, che non è assorbimento. Congresso comune per le cose comuni; e ogni fratello padrone in casa sua. Quando ogni fratello ha casa sua, le cognate non fanno liti".
Da uomo dei lumi qual era, credeva fermamente nei benefici effetti della circolazione delle idee. Studiava con passione e rigore la storia e i costumi dei popoli più lontani. Era persuaso che la chiusura di un popolo in se stesso fosse causa di declino e vedeva negli innesti culturali una ragione di progresso. Detestava qualsivoglia pretesa di egemonia di una nazione o di una razza sulle altre: "Fermi nel gran principio della comune natura dei popoli \ noi vogliamo onorare la natura umana in tutte le sue manifestazioni". E precisava, a dissipare ogni equivoco, che tutte le nazioni sono "egualmente inviolabili; e non riconosciamo egemonie del genere umano". Di fronte ad un leader politico che avesse pronunciato una frase del tipo "Padania, razza pura ed eletta", avrebbe provato un moto di disgusto.
Norberto Bobbio ha scritto che Cattaneo non fu mai "infangato dal fascismo". Cerchiamo, se possibile, di risparmiargli nuove onte.
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di Maurizio Viroli Presidente della Associazione Mazziniana Italiana
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nuvolarossa
05-12-02, 22:47
SCRITTORE DI PROSA VIVA

di Guido Mazzoni

Giuseppe Mazzini (tutti ormai hanno dovuto riconoscer-
lo) fu grande anche come scrittore di prosa viva, eloquente,
efficace, ora acutamente dialettica, ora magnanimamente
poetica. Mosse in ciò dal Foscolo; ma fu scolaro che superò il
maestro. Poteva il Manzoni, con uno de' suoi arguti giudizi,
ferire, non dirò a morte, ma di grave ferita la retorica di Ugo,
professore cattedratico; quando confessava di non riuscire a
intendere, nelle orazioni di lui, che cosa ciascun periodo a-
vesse a che fare col precedente e col seguente. Quanto al pe-
riodare del Mazzini, la catena delle idee vi è così calda che
non ne puoi spostare un anello; e questo è, insomma, il fon-
damento della prosa e dello stile, questo della concatenazio-
ne logica.
Mosse parimente il Mazzini dal Foscolo, per la critica let-
teraria. Ma pur qui lo sorpassò, sia per la larghezza della cul-
tura, sia per quella della vista. Il Foscolo rimase a mezza stra-
da tra l'erudizione e la penetrazione più propriamente critica;
il Mazzini, non solo volle essere e fu un critico vero e proprio,
risalì cioè sempre nel fatto all'idea, ma, identificando l'idea-
lità estetica con la morale, civilmente intesa, salì anche più al-
to sopra le teorie romantiche, verso la vetta che a me pare
suprema.
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nuvolarossa
15-01-03, 20:55
RITRATTO
FISICO E MORALE DI
GIUSEPPE MAZZINI
di Alfredo Bottai

In una interessante monografia, pubblicata dalla rivista municipale «Genova» del luglio 1939, il prof. Arturo Codignola, sopraintendente alla Casa Mazzini, in Genova, parla lunga mente dei vari ritratti dell' Apostolo, brutti in gran parte, e spesso assai poco somiglianti.
Su di uno particolarmente si sofferma: su quello dipinto da Emilia Ashurst Hawkes nel 1847, e dal quale, non troppo fedelmente, il Calamatta trasse la celebre incisione che raffiugra Mazzini sulle mura di Roma.
L'Emilia mandava il.ritratto a Lamberti, perche lo trasmettesse all'incisore, e il Lamberti dopo averlo ricevuto, le scriveva: «Quand' ebbe il ritratto non potrei esprimerle le emozioni provate. Son tredici anni che non vidi l'amico, e mi parea poterlo abbracciare, tanto la somiglianza è grande, la mossa esatta, l'espressione mirabile».
Il ritratto è esposto oggi, insieme a quello della madre, nella camera dove Mazzini nacque.

Altri ritratti di Mazzini vi sono assai somiglianti e di notevole valore artistico: basta ricordare quelli dei pittori Pistrucci, Moseless, Lega ecc. Ma, oltre la macchina fotografica, il pennello e il buIino, anche la penna ha disegnato la figura di Mazzini, qualche volta con un' efficacia veramente superiore. Ed io, a puro titolo di curiosità, voglio provare a raccogliere qui qualcheduno dei giudizi, dati da vari scrittori, sulla figura fisica di Mazzini, dall'infanzia alla vecchiaia.

Nei miei appunti, non avendo sempre tenuto conto delle date, sono incorso certo in qualche inesattezza, che spero mi verrà perdonata, per la impossibilità di fare ora le ricerche e i controlli necessari.

La Jessie White Mario, che fu amica e discepola di Mazzini, e pote’ raccogliere notizie da varie fonti, scrive di lui: «Fanciullo gracile e precoce, fino a sei anni non potendo reggersi in piedi stava sempre o fra le braccia della madre o reclinato sopra una specie di sofà-sedia, ascoltando i discorsi che si facevano intorno a lui... meditando, sognando, con uno sguardo, nei suoi stupendi occhi bruni, di chi, col corpo in questa terra, ha lo spirito in un mondo lontano».
«Non era però un fanciullo mesto e pedante, e se non poteva prender parte ai giuochi della sua età, godeva della giocondità degli altri; il suo riso era il più allegro e spontaneo di tutti».

A quindici anni si iscrisse all'Università, e Giovanni Ruffini, che con lui convisse per molti anni, così lo descrive nel suo «Lorenzo Benoni» , dandogli lo pseudonimo di Fantasia: «La sua testa era assai ben modellata, spaziosa e prominente la fronte, gli occhi neri morati che a certi momenti mandavano lampi. La carnagione olivastra e l'insieme delle sue linee che ti colpiva era per così dire incorniciato da una nera e ondeggiante capigliatura che portava alquanto lunga; l'espressione
della faccia grave quasi severa, era addolcita da un sorriso soavissimo, misto a un certo non so che esprimente una ricca vena comica».

Costretto ad esulare, nel 1833 è a Marsiglia, e un patriota che colà lo conobbe al tiro a segno (forse Enrico Mayer) così scrive: «Entrai nel recinto e vidi un giovane appoggiato alla sua carabina... Egli era di statura media ed esile della persona: vestiva un abito nero di velluto di Genova, con largo cappello alla "repubblicana": i suoi lungi e ricciuti capelli neri che gli scendevano fin sulle spalle, la singolare freschezza della sua carnagione olivastra, la delicata perfezione delle sue nobili e regolari fattezze, aggiunte all'apparenza giovanile e all'aperta soavissima espressione, gli avrebbero dato forse un carattere troppo femminile, se non fosse stato per l'alta nobiltà della fronte, la potenza di fermezza e di energica volontà che, temperata da naturale brio e dolcezza, sfavillava a lampi dai suoi occhi nerissimi e si rivelava nella mobile espressione della bocca, e per i baffi e la barba che ne adornavano il volto».
«In tutto l'insieme egli mi apparve come l'essere il più perfetto ch'io avessi mai veduto - sia fra gli uomini, sia fra le donne - ne mai in alcun tempo ne vidi l'uguale. Io avevo letto ciò ch'egli aveva pubblicato; avevo udito di ciò ch'egli aveva operato e sofferto: e fin dal primo istante ch'io lo vidi sentii che quel giovane non poteva essere altri che Giuseppe Mazzini».
1833-34: martirologio della Giovine Italia, spedizione di Savoia.
Due condanne a morte (1).

La fama di Mazzini si estende.

La polizia d'Europa lo cerca, lo insegue, ansiosamente, ed egli riesce a sfuggire a tutte le più accurate ricerche. Eppure, c'è in lui qualche cosa che non dovrebbe sfuggire allo sguardo di un acuto osservatore.

Ce lo dice il patriota norvegese Harring, autore di un libro: Memoire sur la Jeuene Italie et sur les derniers evenement de Savoie: «La figura di Mazzini ha qualche cosa che colpisce fortemente. E' di statura media, di una costituzione delicata. Sul viso pal1ido si possono leggere le nobili passioni che lo animano. La sua
fronte è molto spaziosa; l'occhio grande e nero riflette tutta la sua anima».

Joan Jovanovitch, che fu il più grande poeta serbo dei suoi tempi, ebbe per l'esule un'ammirazione profonda. Suo figlio, in una lettera del 1917, così si esprimeva:
«Quando mio padre parlava di Mazzini ritornava sempre sulla forza magnetica che si sprigionava da tutta la persona. Egli aveva la testa di un Cristo bianco - diceva mio padre - e gli occhi di un ipnotizzatore. Io credo, dopo quanto disse mio padre, che la descrizione che Meredith ha fatto di Mazzini nel suo romanzo Vittoria debba essere molto rassomigliante».

Ed ecco che cosa scrive il celebre scrittore inglese, in quel romanzo, che ha per scena la Lombardia del biennio 1847-48: «Era un uomo di media statura, magro ed esile, ed aveva l'aspetto di uno studioso. L'intento atteggiarsi delle spalle e del-
la testa, l'abito abbottonato che gli stringeva il petto, l'aria estatica e meditativa che lo contraddistingueva, gli davano un' energia unicamente contemplativa, finche’ non si scorgevano i suoi occhi e non si provava la potenza del suo sguardo. Il profilo del suo volto possedeva una espressione di bellezza classica
che di rado si riscontra in Italia e altrove. Quel profilo era severo e la dolcezza serena dell'arco delle ciglia dava a quella severità maggiore risalto».
«... Aveva il mento pronunciato e neri la barba e i baffi. Tutto il suo volto sporgeva dal mento, non troppo però, sino all'altezza dei sopraccigli. Aveva le tempia fortemente incavate a motivo della marcata sporgenza del cranio, e la fronte solcata da due righe profonde».

C. A. Vecchi, deputato alI' Assemblea costituente romana del 1849, lo vide così:
«Breve di statura, di corpo magrissimo, dalla fronte sviluppata e aperta, dall' occhio espressivo e ardente».
1849: l' epopea! Poi, ancora, l'esilio. Le emozioni, le preoccupazioni, il dolore per la perdita di uomini da lui fortemente amati, come Goffredo Mameli, fiaccano la sua fibra. Bolton King parla del suo ritorno a Londra, e dice di aver avuto i seguenti particolari da uno che lo conobbe da vicino, e da una lettera privata di un contemporaneo: «Era molto invecchiato: logoro e scarno, con la barba fatta bianca, e nella carnagione, un tempo bruna, una specie di riflesso cenerognolo. Ma l'alta fronte montuosa e le fattezze regolari eran le stesse: il forte naso diritto, la curva squisita del labbro quasi femminile nella immacolata purezza, il nero occhio penetrante, di cui non vide l'eguale chi ne conobbe la luminosa profondità, piena di mestizia, di tenerezza, di coraggio di purezza, e di fuoco» .
«I soli occhi - dice un altro osservatore - che mai vedessi somig1ianti a fiamme. Il viso era grave, quasi mesto; ma si accendeva di un sorriso di mirabil dolcezza, quando accoglieva un amico...».

Nel suo Diario del 1849. Tommaso Carlyle così parla di Mazzini: «Era un bell'uomo, pieno di sensibilità, di melodie, di chiara intelligenza e di nobili virtù. Una piccola figura ligure dalla testa quadrata, dagli occhi fiammeggianti, secca ma solida: bello e caritatevole e fiero; quando lo vidi per la prima volta, otto o
dieci anni fa, non avevo mai incontrato un uomo tanto bello».

La scrittrice tedesca Malwida Von Meysengub nei suoi Ricordi di una idealista, parla molto e con fervore di Mazzini.
«Mazzini era di statura media: svelto, elegante, piuttosto magro e non imponente. Solo la sua testa corrispondeva all' immagine che la fantasia poteva crearsi di lui e quando si guardavano i suoi nobili lineamenti, la fronte sulla quale si
leggevano i profondi pensieri, gli occhi neri dai quali trasparivano nello stesso tempo il fuoco del fanatico e la dolcezza dell' uomo di cuore, si sentiva di essere attratti nel circolo magico, di cui egli era il centro. Si comprendeva che era impossibile restare indifferenti davanti a lui e che si doveva diventargli amico o nemico».

Il celebre rivoluzionario russo Alessandro Herzen, parla nelle sue Memorie di una visita da lui fatta a Mazzini, in Londra.
Il grande Italiano si trovava nella sua cameretta, insieme a Giacomo Medici e ad Aurelio Saffi. «Mazzini - scrive l' Herzen - s'alzò, mi fissò bene in viso col suo sguardo penetrante e mi stese con grande cordialità ambe le mani. Una testa simile, che nonostante tutta la gravità e tutta l'austerità si serbò fine e bella d'antica impronta, incontrai assai di rado anche in Italia. Talvolta il volto di Mazzini prendeva un'espressione dura e cupa, ma subito ritornava dolce e sereno. Un'attività ininterrottamente concentrata del pensiero animava i suoi occhi malinconici; questi, come la fronte solcata di rughe, rivelavano una tenacia, una fermezza profonda di carattere. Ogni linea del volto recava l'impronta di lunghi anni di dolore intenso, di notti insonni, di bufere terribili, di passioni potenti, o meglio di un’ unica forma di passione: in quel viso c'era qualche cosa di fantastico, o, meglio, di ascetico».

La fedele amica di Mazzini, Emilia Ashurst, nella sua Biografia di Mazzini, dice di lui: «Duro ed esigente, come uno stoico, verso se stesso, dolce e pietoso come una donna, verso gli altri, bello, non solamente per la regolarità delle linee e la proporzione delle forme, ma per la espressione vivace dei suoi occhi profondi e per la dolcezza del suo ineffabile sorriso, Mazzini possedeva un fascino personale inesprimibile, che affascinava i giovani come i vecchi».

Questo fascino sembrava avvolgere anche le polizie, le quali - dice il Luzio - si davano «il lusso di descrizioni accurate e persino artisticamente lusinghiere: una del 1833 era, per esempio stilata così: "Statura media, complessione magra, colorito olivastro, viso piuttosto oblungo, capigliatura nerissima, occhi neri e brillanti, fronte bellissima, mustacchi piccoli e neri, voce bella e sonora, grande volubilità di eloquio , portamento nobile ed energico in tutte le sue azioni"».
Vi mancava, aggiunge il Luzio, un particolare importante: quel segno nero vicino alla bocca, che Mazzini aveva comune con la madre.

Parecchi anni più tardi, in un mandato di cattura che si tro-
va nell'archivio storico di Riva di Trento, mandato emesso dal-
l' I.R. Commissario superiore Khantz, si danno questi connotati:
«Età circa 55 anni, capelli non scarsi che cominciano ad incanu-
tire, fronte alta prominente e distintamente bella, ciglia nere, oc-
chi grandi scuro-bruni con espressione fantastica, naso regola-
re, bocca piccola ridente barba grigia, angusti ma lunghi i mu-
stacchi, mento puntuto, faccia oblunga, colorito giallobruno
malaticcio»,
«Egli ha occhi infossati, cammiina leggermente curvato in a-
vanti, le mani e i piedi sono in proporzione piccoli. Spesse volte
vestito di nero».

In calce a un rapporto del Commissariato distrettuale di Ve-
rona in data 8 luglio 1833, sono scritti questi connotati del «set-
tario pericolosissimo»: «Età 25 anni - Corporatura magra - Ca-
pelli molto neri - Fronte spaziosa - Colore olivastro, occhi neri
vivaci - Ha una voce bella e sonora e molta speditezza di lin-
gua. Ha inoltre un portamento nobile ed energico ad un tempo
in tutte le sue azioni».

Un agente della polizia pontificia di Pesaro così lo descrive-
va nella cartella biografica: «Anni 26 - Capelli nerissimi - Fronte
bellissima - Occhi neri e brillanti - Colore olivastro, ecc.». Con
questi precisi connotati, con questi segni caratteristici, come
mai la polizia, con tutte le sue spie, non riuscì mai a consegnare
al capestro austriaco o sabaudo l'audace cospiratore? Lo salva-
rono il suo calmo coraggio, la presenza di spirito e qualche co-
sa di cui è cenno nel racconto che segue.

Mazzini, persa ormai la speranza che la monarchia potesse
dare all’ Italia indipendenza, unità e libertà, prepara un movi-
mento insurrezionale repubblicano, e nella notte del 23 marzo
1870 partecipa a un'adunanza in Genova. rnesto Pozzi, che e-
ra presente, narra:
«Noi pensavamo di vedere quest'uomo fenomenale camuf-
fato sotto mentite spoglie, dipinto e travisato, per sottrarsi ai
cento occhi d' Argo della polizia. Molti di noi non l'avevamo
mai conosciuto di persona e l'ansia di fissare in volto questo ca-
po della rivoluzione europea era appena paragonabile a quella
pel buon esito dell'impresa a cui ci accingevamo.
«Si senti un lieve picchio all'uscio, e noi tutti trasalimmo
alla certezza che fosse Mazzini. Ed era lui in corpo ed anima,
il gran mago, che ferì le fantasie dei popoli, come se fosse un
mito».
«Il cuore ci trabalzò e riverenti movemmo incontro al ma-
gno spirito».
«Egli, con affabilità di fanciullo e con un sorriso divino, si a-
vanzo’ e stese francamente la mano, stringendo all'inglese la
mano di tutti e salutando ognuno per nome, come se tutti l'a-
vessimo scritto in fronte. Egli non era per nulla travestito, por-
tava scarpe ovattate, un pastrano, un cappello a cencio tirato
sugli occhi, e colla sua statura ordinaria e diritta pareva un filo-
sofo che uscisse dalla biblioteca e non sognasse neppur per om-
bra di recar molestia a nessuna polizia del mondo».
«Mazzini mi si assise rimpetto su di una scranna, levando il
cappello, la sua testa rimase visibile e si comprese come il solo
cappello bastasse a trasformarlo e a non renderlo riconoscibile
agli sgherri».
«La sua testa era un capolavoro e vasta la fronte e gli occhi
una meraviglia. Si disse più volte che Mazzini passò inavverti-
to in mezzo a poliziotti col solo tirar giù il cappello sugli occhi
e la è credibilissima cosa, perche il Mazzini conosciuto dal
mondo era nella sua magnifica fronte e nei suoi splendidi oc-
chi". Il che ci fa ricordare il verso col quale D' Annunzio dipin-
ge Mazzini:
L' esule smorto, tutto fronte e sguardo.
Il tentativo rivoluzionario per dare all’ Italia Roma e al po-
polo la libertà, fallì. L'eterno Esule (esule in Patria, anche oggi,
poiche 1’ Italia lo ricorda solo nel marmo e nel bronzo...) si av-
viava verso l'immortalità a congiungersi con quanti aveva ar-
dentemente amato: la Madre, Iacopo Ruffini, Goffredo Mameli,
i martiri di Belfiore, i caduti nella lotta per la Patria e per l'U-
manità.

Il dott. Giovanni Rossini, che curò Mazzini a Pisa, dal 7 feb-
braio 1872 sino alla morte, narra: "Entravo nella stanza e ada-
giato sopra un sofà trovavo un vecchio tanto venerato nell'a-
spetto quanto era garbato nei modi ricevendomi. Giudicava
dovesse essere più sui 70 che al di sotto, era basso della statura;
pallido e più che pallido, terreo il volto; aveva il crine e la barba
quasi canuta, pochi essendo i capelli e i peli neri che si mischia-
vano ai pochissimi bianchi.
«Era calvo nell'avanti della testa, aveva baffi e pizzo larghi
che si univano lateralmente. La fronte era elevata e sporgente,
le arcate orbitarie rilevate; le tempia e i paretiali un poco com-
pressi. Gli occhi aveva vivi con prunelle castagne; vi erano oc-
chiaie al di sotto assai pronunciate; la fronte e il volto rugati; il
naso aquilino; la bocca, nascosta dalla barba, che pareva di non
troppo ampie dimensioni, con labbra di un colore rosso smor-
to. Aggiungi un ovale allungato, ed avrà per tal modo il lettore
il ritratto dell'uomo che io andava a visitare.
«Un medico vedendo quell'individuo avrebbe detto a pri-
ma giùnta trattarsi di persona nella quale le potenze organiche
erano grandemente infralite. Le rughe del volto, il colorito delle
guancie, il pallore delle labbra, la macilenza, indicavano senza
dubbio un uomo che aveva dovuto soffrire fisicamente e mo-
ralmente. La vivacità dello sguardo, l'animarsi del volto al mio
giungere, avevano potuto illudermi per un istante; presto però
comprendeva ch'io aveva da fare con un uomo provato alla
scuola del dolore. E purtroppo non mi ingannava! Non era il
dolore fisico, ma ben anche il morale, che si erano congiunti a
logorare una volontà di ferro, ed un organismo troppo debole
per resistere alle lunghe lotte che aveva dovuto sopportare».
E il 10 marzo 1872, a 67 anni, Mazzini moriva.

Ferdinando Resasco, nella sua opera descrittiva e aneddoti-
ca intorno a Staglieno, narra di essere stato invitato da Paolo
Gorini a visitare la salma di Mazzini, prima che il celebre scien-
ziato ne terminasse la pietrificazione.
Il corpo del Grande si disegnava in correttissime linee: la
regione toracica aveva un’ impronta dI robustezza, direi quasi
di gioventù, ch'ero ben lontano dal supporre in un corpo di
persona così lungamente travagliata dalla lotta, non dirò già
per la vita, ma per la patria. I lineamenti erano inalterati; l' e-
spressione era di persona, più che dormente, che sta per sve-
gliarsi: gli occhi erano socchiusi a metà la bocca, lievemente a-
perta,lasciando vedere bianchissimi denti».

Ci sarebbe ora da parlare del carattere di Mazzini. Questi è
stato spesso descritto come una lugubre figura di cospiratore,
intollerante, sdegnoso, sempre accigliato, troppo austero, nemi-
co d'ogni svago e di ogni onesto piacere.

Per il Carducci il suo volto «giammai non rise». Alfredo
Panzini, ne La vera istoria dei tre colori, parla anch'egli di «Un uo-
mo che non ride, Mazzini». Paolo Desjardin, nel 1899, in una
conferenza su «La democratie spiritualiste selon Mazzini et se-
lon Lamartine», giungeva a dire che Mazzini, a paragone del
Lamartine, sembra «una divinità tetra e sotterranea».
Tutto ciò non è vero, e, per amore di brevità, accennerò sol-
tanto all'argomento. Abbiamo visto, intanto, nelle citazioni
surriportate, che descrivendo Mazzini si trovano spesso queste
espressioni: «sorriso soavissimo... ineffabile... divino; brio e
dolcezza» ecc. Premetto che, immaginare un Mazzini ridancia-
no, sempre allegro e scherzoso, significherebbe offenderlo. L’ I-
talia era schiava e gemeva sotto il tallone straniero e indigeno.
Centinaia di giovani morivano sulla forca, o fucilati, o nelle or-
ride carceri austriache, sabaude, borboniche, papali. Mazzini
sentiva tutto ciò e profondamente ne soffriva. Erano dunque le
dolorose vicende di quei tempi tempestosi che, spesso, lo ren-
devano triste: non il carattere, il temperamento, disposti alla
gioia di vivere. Amava, con passione, la musica e la poesia.
Gradiva la compagnia delle donne e dei bimbi, e i passeri che
liberi svolazzavano nella sua stanza, e lo splendore e il profu-
mo dei fiori. Fumava molto, e cantava bene, accompagnandosi
colla chitarra.

La Jessie White Mario lo descrive come gioviale e sereno.
Alla sera, in casa Stanfeld, «conversava e scherzava, o giuocava
a vingt et un, allegro come un fanciullo se vinceva... Raccontava
gli aneddoti più burleschi, e con mimica perfetta riproduceva
tipi ed individui a tutti noti... il suo umorismo era inesauribile e
ciò lo rendeva particolarmente caro a quella gente allegra...».

Il prof. Masson, che lo conobbe, dice che «Mazzini aveva
molto spirito e sapeva narrare una storiella o indovinare un ca-
rattere, senza ometterne i punti grotteschi».
Amilcare Cipriani, che lo visitò a Londra nel 1867, lo descri-
ve come «semplice, buono, generoso. Non aveva nulla dell'ora-
tore. Parlava semplicemente, con calma, con effusione, con con-
vinzione: era, insomma, un gran caseur».

Era modesto, quasi timido. Dice la Meysenbug che «chi
non aveva visto prima Mazzini quando si apriva senza rumore
la porta ed una snella e delicata figura d'uomo, vestita di nero,
scivolava timidamente nella stanza, non avrebbe mai potuto
sognare che entrasse il celebre agìtatore».
E in altra parte: «Fui gradevolmente sorpresa nell'osservare
la modestia del grande Mazzini: eppure la mente di quest'uo-
mo era guida ad una intera nazione e i principi piu’ potenti tre-
mavano davanti alla sua importanza politica».
Oggi l' Ita1ia gli ha eretto un monumento. L'austera figura si
posa sull' Aventino, e medita... Ripensa, forse, le sue parole: “So
che v'è l' avvenire in questa mia voce, poco conta se lo vedrò o
splenderà dopo la sepoltura”.
Sì, Maestro. La tua Repubblica verrà. Verrà quando i lavora-
tori avranno compreso che non si possono conquistare i diritti
"se non obbedendo a ciò che comanda il Dovere”; quando o-
gni uomo si sentirà «cittadino della vasta terra»; quando non e-
sisterà più uno solo «capace e voglioso di lavoro che langua,
per mancanza di lavoro, nella miseria»; quando «non vi sarà
più che una classe sola, un sol Popolo, una sola Famiglia».

(1) In generale, si crede che le condanne a morte inflitte dalla monar-
dzia sabauda a Mazzini siano due: quella del 26 ottobre 1833, per il tenta-
tivo insurrezionale organizzato dalla «Giovine Italia», e l'altra del 20
marzo 1858, dopo il tentativo insurrezionale di Genova. Ma io credo che
altra sentenza di. morte sia stata emessa contro Mazzini, dopo la spedizio-
ne di Savoia. Ne ho esposte le ragioni sul «Pensiero Mazziniano», organo
dell' Associazione Mazziniana Italiana, ma nessuno ancora mi ha saputo
dire qualche cosa di preciso sull' argomento.
Ricordo ora soltanto che lo stesso Mazzini, subito dopo la condanna
del '58, scriveva sull'«Italia del popolo»: «La terza condanna a morte git-
tata a uomini del Piemonte contro di me...». E in una lettera del 3 giugno
1861 a Sofia Craufurd: «Fui condannato a morte ne11833, per la spedi-
zione di Savoia, poi una terza per l'affare di Pisacane». Ma dov'è, e com'è,
la sentenza che si riferisce alla spedizione di Savoia?

Alfredo Bottai

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nuvolarossa
30-11-06, 09:02
La chitarra di Giuseppe Mazzini

L’amico Michele Finelli ci ricorda, a testimonianza dei diversi impegni che anche direzione e redazione del Pm hanno assunto nell’anno del Bicentenario, la sua introduzione al concerto tenuto a Massa Carrara la sera del 10 novembre scorso. Un testo ormai d’archivio ma di un anno indimenticabile anche per il futuro.

Oggi è il 10 novembre, una data importante nelle celebrazioni del bicentenario mazziniano. Il Miur l’ha infatti indicata come la giornata nazionale delle celebrazioni di Giuseppe Mazzini nelle scuole italiane. Il 10 novembre del 1841, infatti, a Londra, nasceva una delle più meritevoli istituzioni fondate da Mazzini, e rimasta, sfortunatamente fino a qualche anno fa, dimenticata dalla storiografia, quella della Scuola per gli immigrati italiani nella capitale londinese.
Il 12 novembre Mazzini scriveva alla madre: “La scuola s’è dunque aperta la sera del 10. La prima sera v’erano cinquantuno venuti ad iscriversi; la seconda, sessantacinque. Questo è più che un successo, e prova che gli uomini, purché offriate loro istruzione, l’afferrano volenterosi”.
« Pensiero e Azione», dunque, uno dei motti più famosi di Mazzini, che non rappresenta solo un mero enunciato teorico, ma prende vita nella capitale londinese, nei malfamati quartieri in cui gli italiani vivevano, Holborn su tutti, quartieri nei quali Charles Dickens pennellava i suoi romanzi. Il patriota genovese non si limitò a teorizzare nei suoi scritti la laicità dell’insegnamento, ma la applicò a Londra.
Se aprite il libricino Mazzini. Una vita europea, a pagina 27 troverete proprio due immagini relative a questa iniziativa mazziniana, tratte da una delle prime biografie su Mazzini, scritta da Jessie White Mario nel 1886.
In entrambe noterete, piuttosto in evidenza, una chitarra. Queste illustrazioni, in un certo senso, rappresentano il legame con la serata di stasera. La chitarra di Mazzini come elemento della sua intimità, della sua vita quotidiana – la suonava anche a Roma nel 1849 quando era triumviro e l’esercito francese minacciava la capitale della giovane repubblica – ma contemporaneamente come parte di un più ampio ragionamento sulla valenza politica e sociale della musica raccolto nel 1836 nello scritto La filosofia della musica.
Nel quale Mazzini a un certo punto scrisse: “E non pertanto la musica, sola favella comune a tutte le nazioni, unica che trasmetta esplicito un presentimento d’umanità, è chiamata certo a più alti destini che non son quelli di trastullar l’ore d’ozio a un piccol numero di scioperati”.
« Pensiero e Azione» ancora una volta ci ricordano perché siamo qua stasera: tradurre, grazie al chitarrista Marco Battaglia, la teoria musicale mazziniana in pratica, con la chitarra che lui stesso suonò. Ed offrire agli Italiani un motivo in più per conoscere Mazzini, che all’estero ha raccolto estimatori in Gandhi, Wilson, Loyd Gorge, Sun Yat Sen, Tolstoj, solo per citarne alcuni. Io vorrei chiudere citando due suoi estimatori italiani.
Carlo Azeglio Ciampi, Presidente della Repubblica, ha detto a Vercelli il 27 ottobre 2005: “Tornano alla mente le parole della seconda, bellissima strofe dell’Inno di Mameli, il giovane poeta che immolò la sua vita per la Patria, e che ci diede, ma lui non lo sapeva, quello che è divenuto il nostro inno nazionale: “Noi siamo da secoli - calpesti, derisi - perché non siam popolo, - perché siam divisi”. Poi l’Italia risorse nell’unità: un bene prezioso, sognato e voluto da grandi uomini, Cavour, Mazzini, Garibaldi, che già vedevano nell’unificazione d’Italia il primo passo verso la costruzione di un’Europa di popoli liberi, un’Europa di pace, un’Europa unita.” L’altra è di Francesco Domenico Guerrazzi, ed è un’epigrafe lasciata al cimitero di Staglieno, sulla tomba di Mazzini: “Il corpo a Genova, il nome ai secoli, l’anima all’umanità”. Ed è l’umanità, luogo non solo ideale, in cui noi, anche nella giornata di oggi, vogliamo tenere viva la memoria di Giuseppe Mazzini.

Michele Finelli

tratto dal Pensiero Mazziniano n.2 - anno 2006
http://www.webandcad.it/AMI/italiano.htm

Gianduiotto
30-11-06, 13:32
se mazzini era un filosofo io sono wanda osiris,
mazzini era un beccamorto fallito

I post dell'Ulano sono come il vino, invecchiando migliorano :D

Cerea!