Ulan
25-04-02, 15:45
Appena conosciuti i risultati delle presidenziali francesi il pensiero è andato a madame Tasca, cosa avrei dato per vedere la sua faccia, poi ho visto quella di Prodi e mi sono sentito quasi parimenti appagato.
Appagato ma preoccupato, è oltraggioso che, in un Paese civile, i trozkisti possano superare il 10%, urge un girotondo!
Piroette a parte questi psicodrammi della sinistra sono fenomenali: prima dividono i voti tra 5 candidati poi scendono in strada a spaccare tutto perché hanno perso nel peggiore dei modi possibili e ne danno la colpa al povero Chirac che, a loro dire, non avrebbe fatto una campagna elettorale tale da avvantaggiare l’avversario socialista; mica tutti son tutti masochisti come Fassino!
Siam ben oltre la confusione mentale, questa volta però lo stordimento è comprensibile, l’affondo è stato duro, la sinistra universale è figlia delle idee francesi.
l’Esagono è il santuario d’ogni più sinistra idea, non v’è farneticazione socialcomunista che non abbia goduto a Parigi del suo quarto d’ora di celebrità.
Il 21 Aprile 2002 per gli intellettuali salottardi, per le girotondiste in kashmir è stato ciò che fu l’11 Novembre 1989 per i portuali di Livorno: gl’è crollato il mondo addosso.
Domenica la Francia reale ha tradito la loro Francia ideale, ma sarà proprio vero? È sensato definire destra quella di Le Pen? È poi così diverso dai suoi avversari di sinsitra?
A mio avviso no; egl’è solo il lato oscuro di quella democrazia totalitaria i cui sacerdoti, un branco di fanatici autoreferenzati, pontificano da tre secoli nei salotti parigini.
E non solo perché al regime di Vichy, di cui Le Pen è detto erede, aderirono con entusiasmo un gran numero di già socialcomunisti tra cui il padre di madame Tasca, e di futuri socialisti come Delors e Mitterrand, ma la Francia rivoluzionaria ha partorito il militarismo, ha piallato anche il più innocuo localismo e ha praticato lo sterminio di massa degli avversari.
Il nazionalismo più cialtrone, lo sciovinismo prende il nome da monsieur Chauvin e pure revanscismo viene dal francese.
Se il razzismo pseudo scientifico esce da ambienti reazionari ma pur sempre gallici, Voltaire non ha scritto cose meno antisemite di Goebbels.
A Parigi sono nate insomma quelle brillanti idee che a Berlino, con teutonica pignoleria, sono state portate alle estreme conseguenze.
Quel che di buono c’è nei valori del 1789 sono le idee inglesi tradotte e diffuse da Montesquieu, di loro i cugini transalpini hanno aggiunto solo stermino, ateismo, aggressione e saccheggio.
Ha voglia Le Pen a celebrare Santa Giovanna d’Arco, è anche lui figlio della Revolution, dei suoi disastri e della sue frustrazioni.
In realtà la Francia è una nazione sconfitta e frustrata e lo è almeno dalla metà del XVIII secolo quando perse la guerra dei 7 anni, la prima grande guerra mondiale e, con essa, la possibilità d’incidere sui destini del pianeta.
Da allora tre dinastie, due imperi, cinque repubbliche si sono accavallate a Parigi che, in quel lasso di tempo, è stata visitata 4 volte dall’esercito tedesco.
Se oggi da 7 milioni di sudditi della regina Anna discendono trecento milioni d’anglosassoni in 4 continenti, da 13 milioni d’Italiani viventi nel 1700 ne sono venuti fuori quasi 100, mentre gli eredi dei venti milioni di francesi che, al tempo di Luigi XIV, ne facevano lo Stato più popoloso e potente d’Europa son forse meno di 60, qualcosa vorrà ben dire.
Uno shock demografico paragonabile solo a quello provocato in Russia dal regime comunista, tre secoli di sconfitte e di stragi che hanno scatenato per reazione, a destra come a sinistra, un parossismo nazionalista che nasconde un profondo senso d’inferiorità e si traduce in sordo livore per le nazioni più performanti (oggi gli USA) ed altezzoso disprezzo per quelle più scalcinate (noi).
Così avversano la globalizzazione non perché appiattisca le identità ma perché non le appiattisce su quella gallica.
Impazziscono di rabbia quando vedono gli americani conquistare il pianeta col cinema e la Coca Cola quando loro non sono riusciti ad omologare l’Europa con le armate di Bonaparte.
Giungono ad inarrivabili vertici d’idiozia in atti legislativi come quel decreto di Mitterrand che impone, tra l’altro, di chiamare ordinateur quello che in tutto il resto dell’universo mondo si chiama computer.
Le loro università sono incubatrici d’odio, odio di classe in particolare e verso l’Occidente in generale, sono, tra l’altro, il luogo dove Pol Pot ha concepito il suo progetto genocida.
Più la storia umilia quella nazione più questa si trincera dietro un patetico sogno (autistico più che autarchico) di grandeur, una grandeur che dimostra sempre più la propria inconsistenza tra candidati che s’insultano via etere e vetrine sfasciate, una granduer che appare sempre più affettata e posticcia tantopiù se paragonata alla straordinaria solenne dimostrazione della propria Maestà che, solo due settimane fa, a Westminster, l’ultima vera Nazione d’Europa ha offerto a se stessa ed al mondo.
Solo in questo quadro si può valutare il partito di Le Pen, uomo coccolato dalla sinistra, vezzeggiato da Mitterrand finché e perché impediva alla destra gollista di vincere le elezioni.
Il Fronte Nazionale è statalista, revanchista, antiliberista ed antioccidentale esattamente come tutti gli altri partiti politici francesi che per una straordinaria eterogenesi dei fini pretendono di sfidare l’America attuando tutte quelle politiche che, ostacolando la crescita economica, aumentano il divario con la potenza d’oltre Atlantico.
È la Francia non Le Pen il pericolo per l’Europa, è la sua pretesa di trascinarci tutti in quella spirale di decadenza che ha imboccata nel 1789, è la sua volontà d’imporre qual modello dogmatico, burocratico e dirigista che si è sempre dimostrato perdente, sia di fronte al pragmatismo anglosassone, sia all’autoritarismo teutonico.
Sia come sia dall’elezione di domenica è il Paese ad uscirne in pezzi, Chirac vincerà ma è ormai cotto e screditato come tutto il ceto politico, la situazione si va avvicinando a quella che portò al colpo di Stato di de Gaulle nel 1958, ed alle innumerevoli rivoluzioni che hanno seguito la presa della Bastiglia.
Sul fronte internazionale questo clima interno porterà al peggioramento dei rapporti con gli Stati Uniti, Parigi porrà mille ed uno ostacoli alla guerra al terrorismo rispolverando quella politica di doppio gioco a favore del mondo islamico che persegue dal XVI secolo.
Né potranno migliorare i rapporti con l’Italia: Chirac dovrà affrontare il ballottaggio con i voti della sinistra quindi per compiacerla dovrà esser freddo ed ostile verso il nostro Governo, di più, per le legislative è intenzionato a resistere alle pressioni dei suoi che, volendo accordi con Le Pen, portano a precedente i casi austriaco ed italiano che il presidente ha, per questo, sempre visto come il fumo negli occhi.
Anche a Bruxelles domenica scorsa è suonato un campanello d’allarme e tutto lascia prevedere che gli eurocrati, capeggiati da Giscard d’Estaing, si giochino il tutto per tutto forzando le cose verso la costruzione di uno Stato continentale autoritario e centralizzato.
Appagato ma preoccupato, è oltraggioso che, in un Paese civile, i trozkisti possano superare il 10%, urge un girotondo!
Piroette a parte questi psicodrammi della sinistra sono fenomenali: prima dividono i voti tra 5 candidati poi scendono in strada a spaccare tutto perché hanno perso nel peggiore dei modi possibili e ne danno la colpa al povero Chirac che, a loro dire, non avrebbe fatto una campagna elettorale tale da avvantaggiare l’avversario socialista; mica tutti son tutti masochisti come Fassino!
Siam ben oltre la confusione mentale, questa volta però lo stordimento è comprensibile, l’affondo è stato duro, la sinistra universale è figlia delle idee francesi.
l’Esagono è il santuario d’ogni più sinistra idea, non v’è farneticazione socialcomunista che non abbia goduto a Parigi del suo quarto d’ora di celebrità.
Il 21 Aprile 2002 per gli intellettuali salottardi, per le girotondiste in kashmir è stato ciò che fu l’11 Novembre 1989 per i portuali di Livorno: gl’è crollato il mondo addosso.
Domenica la Francia reale ha tradito la loro Francia ideale, ma sarà proprio vero? È sensato definire destra quella di Le Pen? È poi così diverso dai suoi avversari di sinsitra?
A mio avviso no; egl’è solo il lato oscuro di quella democrazia totalitaria i cui sacerdoti, un branco di fanatici autoreferenzati, pontificano da tre secoli nei salotti parigini.
E non solo perché al regime di Vichy, di cui Le Pen è detto erede, aderirono con entusiasmo un gran numero di già socialcomunisti tra cui il padre di madame Tasca, e di futuri socialisti come Delors e Mitterrand, ma la Francia rivoluzionaria ha partorito il militarismo, ha piallato anche il più innocuo localismo e ha praticato lo sterminio di massa degli avversari.
Il nazionalismo più cialtrone, lo sciovinismo prende il nome da monsieur Chauvin e pure revanscismo viene dal francese.
Se il razzismo pseudo scientifico esce da ambienti reazionari ma pur sempre gallici, Voltaire non ha scritto cose meno antisemite di Goebbels.
A Parigi sono nate insomma quelle brillanti idee che a Berlino, con teutonica pignoleria, sono state portate alle estreme conseguenze.
Quel che di buono c’è nei valori del 1789 sono le idee inglesi tradotte e diffuse da Montesquieu, di loro i cugini transalpini hanno aggiunto solo stermino, ateismo, aggressione e saccheggio.
Ha voglia Le Pen a celebrare Santa Giovanna d’Arco, è anche lui figlio della Revolution, dei suoi disastri e della sue frustrazioni.
In realtà la Francia è una nazione sconfitta e frustrata e lo è almeno dalla metà del XVIII secolo quando perse la guerra dei 7 anni, la prima grande guerra mondiale e, con essa, la possibilità d’incidere sui destini del pianeta.
Da allora tre dinastie, due imperi, cinque repubbliche si sono accavallate a Parigi che, in quel lasso di tempo, è stata visitata 4 volte dall’esercito tedesco.
Se oggi da 7 milioni di sudditi della regina Anna discendono trecento milioni d’anglosassoni in 4 continenti, da 13 milioni d’Italiani viventi nel 1700 ne sono venuti fuori quasi 100, mentre gli eredi dei venti milioni di francesi che, al tempo di Luigi XIV, ne facevano lo Stato più popoloso e potente d’Europa son forse meno di 60, qualcosa vorrà ben dire.
Uno shock demografico paragonabile solo a quello provocato in Russia dal regime comunista, tre secoli di sconfitte e di stragi che hanno scatenato per reazione, a destra come a sinistra, un parossismo nazionalista che nasconde un profondo senso d’inferiorità e si traduce in sordo livore per le nazioni più performanti (oggi gli USA) ed altezzoso disprezzo per quelle più scalcinate (noi).
Così avversano la globalizzazione non perché appiattisca le identità ma perché non le appiattisce su quella gallica.
Impazziscono di rabbia quando vedono gli americani conquistare il pianeta col cinema e la Coca Cola quando loro non sono riusciti ad omologare l’Europa con le armate di Bonaparte.
Giungono ad inarrivabili vertici d’idiozia in atti legislativi come quel decreto di Mitterrand che impone, tra l’altro, di chiamare ordinateur quello che in tutto il resto dell’universo mondo si chiama computer.
Le loro università sono incubatrici d’odio, odio di classe in particolare e verso l’Occidente in generale, sono, tra l’altro, il luogo dove Pol Pot ha concepito il suo progetto genocida.
Più la storia umilia quella nazione più questa si trincera dietro un patetico sogno (autistico più che autarchico) di grandeur, una grandeur che dimostra sempre più la propria inconsistenza tra candidati che s’insultano via etere e vetrine sfasciate, una granduer che appare sempre più affettata e posticcia tantopiù se paragonata alla straordinaria solenne dimostrazione della propria Maestà che, solo due settimane fa, a Westminster, l’ultima vera Nazione d’Europa ha offerto a se stessa ed al mondo.
Solo in questo quadro si può valutare il partito di Le Pen, uomo coccolato dalla sinistra, vezzeggiato da Mitterrand finché e perché impediva alla destra gollista di vincere le elezioni.
Il Fronte Nazionale è statalista, revanchista, antiliberista ed antioccidentale esattamente come tutti gli altri partiti politici francesi che per una straordinaria eterogenesi dei fini pretendono di sfidare l’America attuando tutte quelle politiche che, ostacolando la crescita economica, aumentano il divario con la potenza d’oltre Atlantico.
È la Francia non Le Pen il pericolo per l’Europa, è la sua pretesa di trascinarci tutti in quella spirale di decadenza che ha imboccata nel 1789, è la sua volontà d’imporre qual modello dogmatico, burocratico e dirigista che si è sempre dimostrato perdente, sia di fronte al pragmatismo anglosassone, sia all’autoritarismo teutonico.
Sia come sia dall’elezione di domenica è il Paese ad uscirne in pezzi, Chirac vincerà ma è ormai cotto e screditato come tutto il ceto politico, la situazione si va avvicinando a quella che portò al colpo di Stato di de Gaulle nel 1958, ed alle innumerevoli rivoluzioni che hanno seguito la presa della Bastiglia.
Sul fronte internazionale questo clima interno porterà al peggioramento dei rapporti con gli Stati Uniti, Parigi porrà mille ed uno ostacoli alla guerra al terrorismo rispolverando quella politica di doppio gioco a favore del mondo islamico che persegue dal XVI secolo.
Né potranno migliorare i rapporti con l’Italia: Chirac dovrà affrontare il ballottaggio con i voti della sinistra quindi per compiacerla dovrà esser freddo ed ostile verso il nostro Governo, di più, per le legislative è intenzionato a resistere alle pressioni dei suoi che, volendo accordi con Le Pen, portano a precedente i casi austriaco ed italiano che il presidente ha, per questo, sempre visto come il fumo negli occhi.
Anche a Bruxelles domenica scorsa è suonato un campanello d’allarme e tutto lascia prevedere che gli eurocrati, capeggiati da Giscard d’Estaing, si giochino il tutto per tutto forzando le cose verso la costruzione di uno Stato continentale autoritario e centralizzato.