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Visualizza Versione Completa : Dove il Comunismo sembra funzionare...



Sir Demos
29-04-02, 20:51
La Cina scommette su telefonini e chips


Nonostante rimanga uno Stato comunista, la Cina continua a registrare tassi sostenuti di crescita economica e soprattutto ad integrare la sua struttura industriale al mercato mondiale.

In questo panorama Hong Kong e Shanghai si stanno contendendo lo "status" di polo commerciale più avanzato del Paese. Dall'inizio degli anni Novanta, Shanghai ha costruito un distretto finanziario, Pudong, dove troneggiano grattacieli che sfidano quelli della Malaysia e degli Usa per altezza e imponenza.

La città si è anche dotata di un aeroporto internazionale. La crescita
è dunque stata rapida e la prospettiva continua ad essere tale: progetti già in cantiere prevedono la costruzione di grattacieli che raggiungano vette mai toccate e di un ponte lungo 30 km che attraversi il mare sino ad un'enorme isola, in parte costruita artificialmente, che ne sarà il capolinea. A Pudong è in oltre in via di completamento una linea ferroviaria a lievitazione magnetica, operativa probabilmente dal prossimo anno.

Hong Kong, ex colonia britannica, parte da una condizione di sviluppo superiore ed è ben decisa a mantenere questa posizione. Tuttavia deve fronteggiare una serie di problemi interni. Tra questi, un eccessivo aumento della popolazione a cui si è risposto con rigide restrizioni sul flusso migratorio che tuttavia impediscono ai lavoratori qualificati di affluire nella città. La meta di questi ultimi si sposta quindi verso Shanghai che rimane il posto migliore per far carriera.


L'ex protettorato inglese deve inoltre fare i conti con il polo di Shenzen, collocato nella vivace area del fiume Yangtze, che attira numerosi investimenti. Il porto di Shenzen già oggi gestisce circa un quarto del traffico mercantile da e verso l'ex città britannica e se ne pianifica una massiccia espansione.

Il recente ingresso della Cina nel WTO (Organizzazione del Commercio Mondiale) è certamente un segnale di grande importanza circa lo sviluppo del Paese, ma forse ancor più significativo è quanto sta avvenendo nei settori chiave dell'Alta Tecnologia: produzione di dispositivi a semiconduttore (i cosiddetti chips), crescita dell'elettronica di consumo e sviluppo del settore telecomunicazioni.

Tradizionale punto di forza della Cina è la disponibilità di manodopera a basso costo, una forza lavoro che si è dimostrata non solo a buon mercato ma anche in grado di apprendere rapidamente e di saper operare con efficienza. A questo tuttavia si aggiungono fattori altrettanto potenti che sono l'ampiezza del mercato interno e la locale disponibilità di tecnici ed ingegneri qualificati.

Nel settore dei semiconduttori lo Stato comunista si è ormai da alcuni anni affermato nell'assemblaggio dei chips, la parte finale del ciclo di fabbricazione nella quale è maggiore l'incidenza del costo del lavoro. Ma ora c'è ben di più: la stessa diretta lavorazione sulle fette di silicio, la più tecnologicamente sofisticata, si appresta a migrare verso la Cina. La giapponese NEC e l'americana Motorola già hanno in Cina degli stabilimenti di lavorazione realizzati attraverso joint ventures. A fine marzo Mitsui, Toshiba-Ceramics e Japan's Ferrotech hanno annunciato un'impresa congiunta per l'avvio presso
Shanghai di una fabbrica di microchip che diverrà in prospettiva la più grossa del Paese. Anche Taiwan si prepara ad investire nel Paese "rosso" per la produzione di chips. La questione se consentire o meno il passaggio nella Cina comunista di tecnologie così sofisticate è stata oggetto di dibattito in sede parlamentare e ha quasi portato ad una crisi di governo. Tuttavia la tendenza appare irreversibile.

Nel settore dell'elettronica di consumo il gigante giapponese Matsushita (meglio conosciuto con il marchio commerciale Panasonic) già opera in territorio cinese attraverso circa 40 fabbriche ed ha in programma di sviluppare ulteriormente questa politica di allocazione esterna delle attività manifatturiere (outsourcing).

Nel campo delle telecomunicazioni il dato più impressionante è che la
Cina risulta essere il Paese con un maggiore numero di abbonati alla
telefonia cellulare e che tale numero è destinato a crescere fortemente. Per questo le maggiori compagnie produttrici di telefonini e di attrezzature di rete (Ericsson, Nokia, Alcatel, Siemens, ecc.) puntano al mercato cinese. Ad esempio, la Sony-Ericsson Mobile Communications progetta di aprire una filiale a Pechino per puntare all'enorme mercato del gigante asiatico che oggi conta 140 milioni di abbonati. Da parte sua, la francese Alcatel, in collaborazione con un fondo di capitale a rischio cinese, New Margin Ventures, parteciperà ad un investimento di 18 milioni di dollari per l'innovazione nelle telecomunicazioni.

Questo conduce all'ultima più sorprendente constatazione: fioriscono in Cina laboratori e attività di R & D (Ricerca e Sviluppo), certamente finalizzati alla creazione di prodotti per il mercato cinese ed al sostegno di attrezzature ed impianti installati nel Paese, ma con un'enorme potenziale di crescita, anche autonoma, associata all'arricchimento di know-how della Cina stessa.

La già menzionata Matsushita ha investito 6 milioni di dollari per un
centro di R & D in Cina e conta di passare dagli attuali 100 ricercatori a circa 1750 ingegneri, assunti localmente entro il 2006.

IBM (già presente con un centinaio di persone nel proprio laboratorio
a Pechino), Intel (oggi oltre 200 addetti), Generale Electric, Motorola e Microsoft contano di avviare o ampliare la ricerca in Cina. Telcomunicazioni, IT (Information Technologies), sviluppo di software sono i temi dominanti di queste attività di innovazione.

Ricerca e creatività è il programma degli investitori high tech in Cina, ma tale ricetta è stata recepita e fatta propria dai ricercatori cinesi. E' forse il segno più avanzato di una mentalità che sta cambiando e di una modernizzazione che ormai coinvolge ampi strati della popolazione. Basta pensare che oltre 56 milioni di persone nel Paese "rosso" hanno l'accesso a Internet in casa propria. La Cina è diventata così il più grande "user" del Web in Asia. Seconda a livello
mondiale dopo gli Stato Uniti la Cina conquisterà il primo posto entro quattro anni.

Un Abbraccio.

PINOCCHIO (POL)
29-04-02, 21:25
Funziona (per il momento) perchè non è più comunsmo.
Da una dittatura comunista si è passati a una dittatura punto e basta. un miglioramento, perchè alemno i cinesi hanno riacquistato il diritto alla propietà privata.
saluti padani

Sir Demos
29-04-02, 21:30
Ragionamento del tutto condivisibile... :)

Free-Market
29-04-02, 22:16
quindi il titolo e' da cambiare

Esistenzialista
29-04-02, 22:34
Il mio straordinario atlante geografico Konemann recita: "Nel 1978 la dirigenza iniziò ad allontanarsi dalla pianificazione centralizzata di impronta sovietica. In campo agricolo la gestione a livello familiare prese il posto della collettivizzazione, con un immediato aumento della produttività. Nell' industria si diede maggior potere ai manager dei singoli stabilimenti e alle autorità locali, venne ammessa la piccola impresa privata e incoraggiati gli investimenti stranieri e il commercio con l' estero. In conseguenza di ciò la produzione agricola raddoppiò negli anni '80 e l' industria realizzò grandi profitti. Il P.I.L. è oggi pari al triplo del valore del 1978 e la crescita della produzione aggregata avviene a tassi tra il 7 e il 10 per cento.
Tuttavia l' attuale sistema combina alcuni peggiori aspetti del comunismo ( burocrazia, inerzia e corruzione) e del capitalismo (profitti aleatori e alta inflazione)."

Alberich
29-04-02, 22:47
far uscire un gigante come la Cina dalla situazione attuale richiederà tempo e risorse. Bisogna essere felici che questo stia avvenendo per gradi e non in maniera potenzialmente destabilizzante.

Alberich
29-04-02, 23:32
Originally posted by Cantolibero

Quando verrà il "grado" delle migliaia di detenuti politici e condannati a morte? Viva il microchip, ultima tutela dei dirtti umani della società girotondista.
Saludos amigos
Sen.Cantolibero

mi aspettavo un intervento come il tuo: comunque, per completezza, quello che ho scritto è quello chepensava Montanelli. E come lui ogni persona intelligente, visto che uscire in tre giorni da una condizione dittatoriale, per un paese da un miliardo di persone, spesso porta a conseguenze drammatiche.

Claude74
30-04-02, 00:16
La Cina è e rimane uno stato totalitario. Il fatto che operi una politica economica capitalista non toglie nulla a questo dato incontrovertibile. E la popolazione, in uno stato totalitario, è trattata come un tutto unico, come un unico corpo alla cui testa risiede il potere politico, cristallizzato in una burocrazia o in un partito. Questo vuol dire che ora la Cina è capitalista. Niente ci assicura che lo rimarrà, o che il capitalismo non possa essere che un mero mezzo per una futura pratica di dominio. Se alla frammentazione degli interessi, inevitabile conseguenza delle libertà economiche, non segue una frammentazione delle opinioni, delle fedi e, ovviamente, la costruzione di istituzioni atte a preservare e tutelare il pluralismo, quel che accade è che una elitè autocefala ed autoreferenziale giunge a possedere un potere economico e militare enorme, e sempre crescente. Speriamo in bene.....

ARI6
30-04-02, 02:30
Originally posted by PINOCCHIO
Funziona (per il momento) perchè non è più comunsmo.
Da una dittatura comunista si è passati a una dittatura punto e basta. un miglioramento, perchè alemno i cinesi hanno riacquistato il diritto alla propietà privata.
saluti padani

Infatti. Ma per comodo c'è chi ne approfitta, cantando i pregi dell'isola felice comunista. :confused:

Sir Demos
02-05-02, 20:05
quindi il titolo e' da cambiare

E perchè??? Il "Sembra dubitativo", credo sia molto riuscito, anche in seguito all'evolvere della discussione... :p

Free-Market
02-05-02, 21:31
Originally posted by Sir Demos


E perchè??? Il "Sembra dubitativo", credo sia molto riuscito, anche in seguito all'evolvere della discussione... :p

Sei sicuro di aver seguito la discussione :confused:

....Funziona (per il momento) perchè non è più comunsmo.
Da una dittatura comunista si è passati a una dittatura punto e basta. un miglioramento, perchè alemno i cinesi hanno riacquistato il diritto alla propietà privata.....

.....venne ammessa la piccola impresa privata e incoraggiati gli investimenti stranieri e il commercio con l' estero.....


....Il fatto che operi una politica economica capitalista.....

...... Questo vuol dire che ora la Cina è capitalista.....

ARI6
02-05-02, 21:37
Originally posted by Free-Market

...... Questo vuol dire che ora la Cina è capitalista.....

Vallo a spiegare al trinariciuto Demos... :D

Sir Demos
04-05-02, 03:44
....Funziona (per il momento) perchè non è più comunsmo.

Se tu noti, già il titolo del treahd aveva un senso dubitativo, risaltato poi dalla discussione...

Sul resto è pur vero che la cina si sta aprendo e il suo sistema economico sta evolvendo verso il capitalismo, ma il sistema politico era e rimane, con tutti i suoi limiti purtroppo, comunista... :fru

Sir Demos
04-05-02, 03:47
trinariciuto

:eek: :confused:

Sir Demos
04-05-02, 03:51
Quando verrà il "grado" delle migliaia di detenuti politici e condannati a morte?

Speriamo presto, molto presto... :)

Sir Demos
04-05-02, 03:52
Infatti. Ma per comodo c'è chi ne approfitta, cantando i pregi dell'isola felice comunista.


Isola felice comunista? Ma di chi parli?

:fru

Felix (POL)
04-05-02, 04:40
ma siete così sicuri che la Cina non sia più comunista?

1) essa continua a dichiararsi tale

2) la politica cinese è dominata dal PARTITO COMUNISTA

3) le restrizioni alla libertà che hanno i cinesi sono tipicamente vetero-comuniste

4) non è comunista l'attuale modello economico? eppure è un modello imposto per convenienza pragmatica dai vertici del PARTITO COMUNISTA.

andiamoci piano prima di dire che quello non è più comunismo. Per i "compagni" rimasti è diventato un vizio dire che questo non è comunismo, quello neppure, quell'altro nemmeno, che i comunismi storici non lo furono... e allora dove sta il comunismo???
nella fantasia fumogena dei "compagni" c'è di sicuro. Ah, le tre narici... :rolleyes:

Alberich
04-05-02, 11:33
il termine comunista-comunismo ha assunto molte accezioni. Tuttavia dire che la Cina non è Comunista significa prendere atto che il suo modello di sviluppo economico non è più la collettivizzazione totale. Poi si può discutere...

Sir Demos
06-05-02, 11:03
ma siete così sicuri che la Cina non sia più comunista?

Il Sistema economico forse non lo è più, ma l'organizzazione politica o sociale è ancora marchiata dal Comunismo...

Sir Demos
13-05-02, 15:30
Natale del 2001. Nella fabbrica di giocattoli cinese Bainan lavora anche l’operaia Li Chunmei, 19 anni.
Sono settimane che Li non si prende un giorno di riposo: le ordinazioni per i regali di natalizi sono aumentate: è un bene, però lei comincia ad accusare una grande stanchezza. Lavora intensamente per quasi 16 ore al giorno, sempre in piedi, correndo spesso da una parte all’altra della fabbrica, trasportando grossi pezzi di ricambio delle macchine. Una sera, quando la campana è suonata per la fine del turno, Li è andata in bagno: le girava la testa, il volto era coperto di sudore. Poi si è accasciata sul pavimento, vomitando sangue. Ed è morta. Letteralmente, di stanchezza. Lo racconta il Washington Post , sottolineando anche che il caso di Li non è isolato.

Non esistono, per ora, studi o statistiche, ma i giornali cinesi denunciano una vera e propria sindrome che colpisce da anni decine di lavoratori: la chiamano "guolaosi", che significa “morte per eccesso di lavoro”. Le vittime, in genere, sono arrivate dalle campagne immiserite, in un enorme movimento migratorio che ha spostato 200 milioni di contadini poveri verso le industrie della costa.

Nessuno ha fatto luce sulle vere cause del decesso di Li. Non c’è stata autopsia, ma quello che è successo nel mese di novembre alla fabbrica dove la ragazza lavorava è descritto dai colleghi. “Diceva che era stanca, ma non le permettevano di fermarsi”, dice un collega. “Aveva fame, ma il pasto alla mensa è talmente cattivo che spesso ci si alza da tavola senza aver toccato niente”, dice un altro.

Le condizioni di lavoro alla fabbrica di giocattoli sono solo un esempio del trattamento riservato agli operai cinesi: inizio del lavoro alle 6, un’ora e mezzo per il pranzo, solo mezz’ora per la cena alle cinque del pomeriggio. Spesso la campana che segnala la fine dei turni viene ignorata e si va avanti a lavorare fino a mezzanotte. In ambienti surriscaldati, con un ritmo lavorativo intenso. “Si è in due o tre per produrre almeno 1000 giocattoli al giorno”, dice un collega di Li, “per un stipendio di solo 65 dollari”.

Un giornalista cinese che sta seguendo un’inchiesta sui casi di morte per eccessivo lavoro in un’altra grande azienda dice che: “esiste un giro di tangenti tra i governi locali e le grandi multinazionali. Per accrescere il fatturato e i loschi giri di denaro, si ignorano volutamente le condizioni dei lavoratori”. Che vivono situazioni da pre-rivoluzione industriale.


Da www.ilnuovo.it

ARI6
13-05-02, 16:08
Ti ricordo che anche nella perfetta società comunista, la Cambogia di Pol Pot, i lavoratori non avevano nessun diritto. Anzi, se dopo i 5 anni ci si rifiutava di lavorare, c'era la morte.

ciaparat
13-05-02, 16:56
Hai ragione, si parla troppo poco (sara' un caso?) della Cambogia di Pol Pot. Ricordo in un vecchio numero di Enclave un articolo di Piombini che argomentava come, in realta', la Cambogia non fosse una degenerazione del comunismo, ma l'unico vero esempio storico di applicazione integrale del comunismo. In base a tutta una serie di parametri: assenza della moneta, della divisione in classi, ecc.
Pol Pot (che aveva studiato alla Sorbona) come il vero costruttore del comunismo. Altro che Castro e altre mezze calzette!

ARI6
13-05-02, 17:09
Originally posted by ciaparat
Hai ragione, si parla troppo poco (sara' un caso?) della Cambogia di Pol Pot. Ricordo in un vecchio numero di Enclave un articolo di Piombini che argomentava come, in realta', la Cambogia non fosse una degenerazione del comunismo, ma l'unico vero esempio storico di applicazione integrale del comunismo. In base a tutta una serie di parametri: assenza della moneta, della divisione in classi, ecc.
Pol Pot (che aveva studiato alla Sorbona) come il vero costruttore del comunismo. Altro che Castro e altre mezze calzette!

L'ho riletto recentemente quell'articolo, visto che penso di presentare quegli argomenti all'esame di stato ( :ue ) all'interno della famosa "tesina" berlingueriana.

Sir Demos
16-05-02, 01:44
Ti ricordo che anche nella perfetta società comunista, la Cambogia di Pol Pot, i lavoratori non avevano nessun diritto.

Non lo metto in dubbio... :K

ARI6
16-05-02, 14:13
Originally posted by Sir Demos


Non lo metto in dubbio... :K

E fai bene. :)

Sir Demos
18-05-02, 02:23
E fai bene.

Quando il silenzio sarebbe d'oro... :rolleyes:

Felix (POL)
18-05-02, 03:59
a proposito di Cambogia, vi devo confessare che ai tempi di Pol Pot (ero sui banchi di scuola), ero un fervido ammiratore dei Khmer Rossi.
Massacri a parte, quello è un comunismo degno di esser preso in considerazione!

saluti

Alberich
18-05-02, 12:44
Originally posted by Felix
a proposito di Cambogia, vi devo confessare che ai tempi di Pol Pot (ero sui banchi di scuola), ero un fervido ammiratore dei Khmer Rossi.
Massacri a parte, quello è un comunismo degno di esser preso in considerazione!

saluti

quello è fanatismo, follia e orrore.

ARI6
18-05-02, 14:08
Originally posted by Alberich


quello è fanatismo, follia e orrore.

Ovvero il comunismo.

Alberich
18-05-02, 14:11
Originally posted by ARI6


Ovvero il comunismo.

pol pot ha ampiamente superato le teorie comuniste tradizionali.

ARI6
18-05-02, 14:17
Originally posted by Alberich


pol pot ha ampiamente superato le teorie comuniste tradizionali.

No, le ha applicate alla lettera, come dimostra Piombini nell' articolo citato in precedenza da me e ciaparat.
Adesso lo posto, mi sembra attinente.

ARI6
18-05-02, 14:19
Il comunismo da Marx a Pol Pot
di Guglielmo Piombini

I numeri dell'ecatombe: 200 milioni di vittime

Lenin e Trotzky artefici del terrore. La pubblicazione del Libro nero del comunismo, il dettagliato resoconto sui crimini commessi dal comunismo nei suoi 80 anni di vita, ha avuto il merito di suscitare tra il pubblico un dibattito su alcune immani tragedie del XX secolo da cui era sempre stato tenuto all'oscuro. Secondo i sei storici francesi autori dell'opera il tentativo di edificazione del comunismo è costato all'incirca 85 milioni di vite umane, senza contare le infinite sofferenze, miserie, privazioni materiali e spirituali che hanno accompagnato il colossale massacro. Per quanto alcune sporadiche voci di commentatori abbiano parlato di "cifre gonfiate", è invece probabile che questi numeri siano inferiori alla realtà, dato che altri studiosi sono pervenuti a stime sensibilmente più alte: Eugenio Corti, citando fondi attendibili, parla di 60 milioni per l'Urss e di ben 150 milioni per la Cina comunista, mentre secondo lo specialista in "democidi" Rudolph Rummel le sole vittime delle repressioni comuniste superano i 110 milioni, a cui bisogna aggiungere circa 35-40 milioni di morti per le carestie conseguenti alle politiche di collettivizzazione dell'agricoltura.

Per lungo tempo questi orrori e fallimenti sono stati spiegati come deviazioni rispetto ad una virtuosa linea originaria incarnata da Lenin, da Trotzky, o da Marx. I nuovi documenti usciti dagli archivi del Cremlino, in buona parte già vagliati dagli storici, hanno però reso politicamente impraticabile ogni richiamo ai due protagonisti della Rivoluzione d'Ottobre. Il personaggio Lenin che esce da queste carte è infatti completamente diverso da quello tramandatoci dalla tradizionale storiografia di sinistra. Dimitri Volkogonov, che ha analizzato più di 3700 di questi documenti segreti, e Richard Pipes, autore di un nuovo monumentale lavoro sul periodo leniniano, hanno dimostrato che tutti gli ingredienti della dittatura staliniana, eccetto l'uccisione sistematica dei compagni di partito, erano già stabilmente presenti nel sistema messo in piedi da Lenin. Dalla creazione dei campi di concentramento alla brutale repressione dei contadini, degli operai, della chiesa, degli intellettuali e degli avversari politici, la direzione di Lenin fu spietata e totalitaria. Il dato più sconvolgente che emerge da questo materiale è però il criminale disprezzo della vita umana manifestato da Lenin in tutti i suoi ordini, nelle quali sembra esistere soltanto la logica dell'annientamento. I verbi sterminare, fucilare, impiccare e terrorizzare sono ripetuti con una frequenza così ossessiva che al confronto Stalin sembrerà quasi un moderato. E il discorso non cambia per l'altro artefice della Rivoluzione Russa, Trotzky, le cui disposizioni (come la sua proposta di militarizzare e schiavizzare l'intera forza-lavoro sovietica, o gli ordini di giustiziare i disertori dell'esercito e i "sabotatori" delle fabbriche), impressionano per la loro spietatezza. L'olocausto rosso del '900 inizia con Lenin e Trotzky, su questo non c'è più ormai seria disputa tra gli storici.

Queste circostanze hanno costretto tutti coloro che ancora oggi sentono il richiamo delle idee comuniste ad arretrare le proprie linee difensive, asseragliandosi sempre più nella difesa del padre fondatore della dottrina, Karl Marx, i cui insegnamenti vengono sbandierati come utili, attuali, e immuni da critiche. Non vi è infatti analisi o commento sui fallimenti e crimini del comunismo che non si concluda con l'esortazione a tenere ben distinti i piani della realtà da quelli dell'ideale; il primo, si dice, non può in alcun modo macchiare l'illibatezza del secondo. Il politologo francese Jean Daniel ha seguito questo canovaccio quando di recente ha affermato che "non si può vedere nel leninismo-stalinismo la fatale, ineluttabile deriva del marxismo teorico" e che il crimine contro l'umanità commesso da Lenin, Trotzky e Stalin "non trasforma il comunismo in un'idea nazista più di quanto l'Inquisizione non trasformi il Vangelo in un'idea stalinista". Al "pregiudizio favorevole" verso Marx, del resto, non si sono sottratti nemmeno i curatori del Libro nero, in cui non compare una sola parola di condanna dei padri fondatori del socialismo scientifico.


Perché salvare Marx? Non vi sarebbe quindi relazione alcuna tra le realizzazioni del comunismo nel XX secolo e gli "ideali umanitari" di Marx, i quali conserverebbero tutte le proprie potenzialità per risolvere i problemi cui si trova di fronte l'umanità alle soglie del 2000. L'estrema importanza strategica che per la sinistra oggi assume la difesa di Marx spiega il motivo per cui mai come in questo periodo si leggano tanti peana alla sua opera, ben di più di quando il marxismo era all'apice del suo successo e proliferavano i marxisti "critici" o "eretici".

Fra le tante affermazioni di questo tipo basti ricordare quella del periodico americano New Yorker, che ha indicato in Karl Marx il pensatore cui bisognerà tornare per capire l'economia del nuovo millennio: "Il capitalismo alla fine del nostro secolo globalizzato appare sempre più simile al mondo senza rimorsi e proletarizzato profetizzato da Marx". E' vero che l'eredità di Marx è stata oscurata dal fallimento del comunismo, "ma questo - dice il New Yorker - non era il suo obiettivo principale. Marx era uno studioso di capitalismo, qui sta la sua modernità. Molte delle contraddizioni che vide nel capitalismo vittoriano hanno ora ricominciato ad apparire come virus mutanti. Marx ha scritto brani illuminanti sulla globalizzazione, l'ineguaglianza, la corruzione politica, i monopoli, il declino della cultura "alta", la natura snervante della nuova esistenza...tutti temi con cui si stanno confrontando di nuovo gli economisti contemporanei, molto spesso senza rendersi conto di ripercorrere le orme di Karl Marx".


Ancora più roboante è stato l'intervento di Hans Magnus Enzensberger, il quale ha commentato con frasi di questo tenore il 150° anniversario della pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista: "Alla lettura odierna, questo Manifesto rimane tuttora la più concisa, esaltante cronaca di un processo che ha portato lo scompiglio nel mondo contemporaneo: l'inesorabile spinta verso la globalizzazione...Gli autori infatti...riescono ad analizzare la crisi del meccanismo di fondo dell'economia capitalistica con una precisione ineguagliata dai più celebri guru dei nostri giorni [e] con un'esattezza che confina perfino nella chiaroveggenza...Molte parti dell'opera si leggono come un'opera di grande poesia. Raramente la grandezza e la miseria del XIX secolo sono state illustrate con maggiore forza. Così, mentre la maggior parte delle opere teoretiche del passato sono adesso lettera morta...le vibranti frasi di Karl Marx e Friedrich Engels continueranno a scuotere e illuminare anche il prossimo secolo". Del tutto simile il giudizio dello storico inglese Eric Hobswawn: "Il Manifesto divenne non solo un testo classico del marxismo, ma anche un classico della politica tout court...Alla vigilia del Ventunesimo secolo, quello stupefacente capolavoro ha ancora molto da dire al mondo".

Anche per Barbara Spinelli, "Quel che torna a esser attuale non è il marxismo, ma la descrizione clinica che Marx seppe fare della società borghese e delle sue rivoluzioni mondialiste, nell'Ottocento. E' la sua capacità di osservare con sguardo profetico (sic!) la società, gli individui, il loro rapporto con lo Stato (?), le disperazioni, che oggi fa impressione...Per questo la narrazione di Marx resta utile, a 150 anni di distanza. Non si tratta di ricopiarlo ma di imitarne la forza descrittiva, per capire i contraddittori tempi che si preparano". E' su interpretazioni di questo tipo, quasi mai adeguatamente contestate, che si fonda ancora oggi la grande fortuna di Marx nei media, nei circuiti culturali e all'interno delle università europee e americane.

Murray N. Rothbard, il grande teorico libertario scomparso nel 1995, considerato uno dei massimi pensatori del nostro secolo, è stato il primo economista che ha sviluppato una critica sistematica del marxismo dal punto di vista della Scuola Austriaca. Nel secondo volume della sua ponderosa storia del pensiero economico, uscita postuma, discute in maniera analitica ogni singolo aspetto, economico, filosofico, politico e religioso della dottrina marxiana. Per Rothbard tutta la visione di Marx affonda le proprie radici nel fanatico millenarismo medioevale: non va quindi considerata una teoria scientifica, ma un credo religioso, o meglio una religione secolare. Di essa, dice Rothbard, non rimane nulla da salvare, nè per quanto riguarda la parte distruttiva di critica al capitalismo, nè tantomeno per la parte propositiva di descrizione dei caratteri della società comunista futura: "Marx ha creato in realtà un'autentica tela di sofismi. Ogni singolo punto nodale della teoria è erroneo e fallace, e il suo "integumento" - per usare un buon termine marxiano - costituisce a sua volte una rete di errori. Il sistema marxiano giace in brandelli e in completa rovina; l'"integumento" della teoria marxiana è esploso in mille pezzi molto prima della profetizzata esplosione del sistema capitalista. Oltretutto, lungi dall'essere fondata su leggi "scientifiche", questa struttura composta da materiali scadenti è stata eretta al disperato servizio dell'obiettivo fanatico, folle e messianico della distruzione della divisione del lavoro (cioè della stessa individualità umana) e della creazione apocalittica di un ordine mondiale collettivistico dichiarato inevitabile. Siamo evidentemente di fronte a una variante ateizzata di una venerabile eresia cristiana".

Non solo quindi l'ideale marxiano è erroneo e impraticabile, ma - e in questo sta la forza e l'originalità della critica rothbardiana - è profondamente antiumano proprio nei fini perseguiti. Non è una nobile aspirazione tradita da dei maldestri esecutori, ma una terrificante utopia negativa. Mettendo in evidenza i caratteri della società comunista vagheggiata da Marx, Rothbard arriva alla conclusione che nessuno dei comunismi realizzati, salvo forse quello instaurato dai khmer rossi in Cambogia, eguaglia la mostruosità del modello ideale. In altri termini, i governanti comunisti sono stati tanto più sterminatori, affamatori e tirannici quanto più rinunciavano ai compromessi con la realtà per avvicinarsi al "comunismo puro" nelle forme indicate da Marx.

Nei successivi capitoli cercheremo di avanzare alcune considerazioni a sostegno della fondatezza di questo giudizio di Rothbard.

Il millenarimo secondo Marx



Il precedente degli anabattisti. La chiave per interpretare l'intricata e vasta opera di Marx, secondo Murray N. Rothbard, si riduce ad una semplice frase: Karl Marx era un comunista. Con questa apparentemente banale e scontata affermazione, Rothbard intende dire che la promessa messianica della società comunista fu in Marx molto più importante che tutti gli altri aspetti del suo sistema, come la dialettica, la lotta di classe, la teoria del plusvalore, e tutto il resto. Il comunismo, per Marx, fu lo scopo finale, il grande fine, l'esito ultimo che avrebbe messo fine una volta per tutte alle sofferenze dell'umanità. Proprio come il ritorno del Messia nella teologia cristiana avrebbe messo fine alla storia e stabilito un Nuovo Cielo e una Nuova Terra, così l'avvento del comunismo avrebbe posto il termine alla storia umana; in entrambi i casi, il sorgere del Mondo Nuovo sarebbe stato preparato dall'attività di un gruppo di illuminati: i santi e profeti della tradizione millenarista cristiana, e l'avanguardia rivoluzionaria cosciente dell'ideologia comunista. Inoltre, in tutti i movimenti religiosi messianici, il paradiso viene ristabilito a seguito di un violentissimo scontro apocalittico, l'Armageddon, tra le forze del bene e del male. Solo dopo questo titanico conflitto una nuova era di pace e armonia fiorirà sulla Terra.

Marx, bollando come utopisti quei socialisti che ritenevano di poter realizzare il comunismo attraverso un passaggio pacifico e graduale, riprende proprio quella tradizione apocalittica cristiana che, come un fiume carsico, riemerge periodicamente nella storia europea in forme fanatiche e sanguinarie. Non a caso quasi tutti i marxisti, da Friedrich Engels a Ernst Bloch, sono stati entusiasti ammiratori delle sette anabattiste del '500, i cui tentativi di istituire la Città di Dio in Terra anticiparono con straordinaria somiglianza i totalitarismi del ventesimo secolo. I regimi comunisti instaurati dagli anabattisti a Mühlausen nel 1525 - per opera di Thomas Müntzer - e a Münster nel 1534 non ebbero infatti nulla da invidiare, quanto a diffusione del terrore e annientamento delle libertà individuali, alla Cambogia dei khmer rossi. Una volta assunto il potere assoluto a Münster, Jan Matthys e, successivamente, Jan Bockelson (più noto come Giovanni di Leida) decretarono, proprio come Pol Pot, l'abolizione integrale della proprietà privata e del denaro, il terrorismo contro i non credenti, la deportazione della popolazione, la pena di morte per le minime mancanze, il razionamento alimentare, la distruzione di libri, statue e dipinti della Chiesa, l'abolizione della famiglia. Si trattò di una vera e propria "profetocrazia sanguinaria", dotata di autorità "in ogni materia pubblica o privata, spirituale e materiale, e di potere di vita e di morte su tutti gli abitanti".


L'alienazione. Ancor prima delle sette che nascono con la Riforma protestante, il comunismo di Marx affonda le proprie radici nelle dottrine visionarie di Gioacchino da Fiore (1145-1202), il primo dei millenaristi medioevali, il quale aveva elaborato una concezione della Storia passante attraverso tre fasi: il Regno del Padre (del Vecchio Testamento), il Regno del Figlio (del Nuovo Testamento), e il Regno dello Spirito Santo, di perfetta gioia e armonia, in cui, scomparendo la proprietà privata e la necessità del lavoro, si realizza la fine della storia umana. E' qui evidentissima, e non c'è neanche bisogno di sottolinerala, la perfetta corrispondenza con la concezione della storia di Marx, che si snoda, secondo i principi della dialettica hegeliana, attraverso le tre fasi del comunismo primitivo (tesi), delle società divise in classi (antitesi), e del comunismo finale (sintesi). Il ritorno all'unità e al tutto dopo una fase di dolorosa alienazione e separazione rappresenta infatti uno dei più tipici topoi dell'immaginazione millenaristica. Marx non fa altro quindi che rielaborare con gli strumenti offerti dalla filosofia hegeliana (la dialettica e il concetto di alienazione) un'aspirazione religiosa da secoli presente nella cultura giudaico-cristiana.

Per alienazione Marx intende però qualcosa di più cosmico e intenso di quello che spesso hanno inteso molti marxisti del XX secolo: non semplice ansietà o sentimeno psicologico di disagio (dovuto al capitalismo o a qualche altra repressione culturale, famigliare o sessuale), ma separazione dell'uomo dal tutto: l'uomo nella società borghese è per Marx alienato perché, a causa dell'esistenza di istituzioni come la proprietà privata, la divisione del lavoro, il denaro, ecc. (tutto ciò insomma che configura l'autonomia della società civile), egli agisce come un egoista, come una persona privata, e non come parte di un collettivo. L'uomo potrà realizzare la sua natura autentica solo quando la fusione tra singolo e specie, fra individuo e comunità sarà completa, cioè quando la separazione tra Stato e società civile verrà superata attraverso la politicizzazione dell'intera vita e la trasformazione di ogni azione individuale in azione collettiva. E' in nome di questo olismo radicale, di questo ideale fusionista alla Rousseau che Marx sferra la sua guerra di annientamento contro le istituzioni e i valori della civiltà liberale, ree di aver diviso ciò che originariamente era un tutto unico, compatto e armonico. Libertà, proprietà, commercio, denaro e divisione del lavoro vengono condannati da Marx perchè introducono la separazione, la concorrenza e l'egoismo, e perciò rendono l'uomo estraneo, cioè alienato, a sè stesso e agli altri.


La teorizzazione del terrore. Naturalmente, solo una rivoluzione e un'orgia di devastazione può realizzare il completo annientamento di tutte le istituzioni fiorite spontaneamente all'interno della società civile. Fin dai loro scritti giovanili Marx ed Engels - da perfetti millenaristi - non hanno mai fatto mistero della necessità della violenza come strumento di lotta politica. Nella scelta dei mezzi per l'edificazione del comunismo i rivoluzionari del XX secolo sono rimasti entro la strada indicata dai loro maestri, perchè l'esigenza di ricorrere al terrore di massa e al genocidio era stata apertamente teorizzata da Marx: "non c'è che un mezzo per abbreviare, semplificare, concentrare l'agonia assassina della vecchia società, un solo mezzo: il terrorismo rivoluzionario"; e ancora: "Noi non abbiamo riguardi. Noi non ne attendiamo da voi. Quando sarà il nostro tempo, non abbelliremo il terrore". Egli diede una vivida descrizione della sua brama di distruzione totale dell'esistente in un discorso tenuto a Londra nel 1856, in cui ricordava l'esistenza, nella Germania medioevale, di un tribunale segreto chiamato Vehmgericht: "Se veniva vista una croce rossa segnata su una casa, il popolo sapeva che il suo proprietario era stato giudicato dal Vehm. Tutte le case d'Europa sono oggi marcate dalla misteriosa croce rossa. La storia è il giudice - il proletariato il suo boia".

Non meno lugubri le parole di Engels: "la prossima guerra mondiale farà sparire dalla faccia della terra non soltanto classi e istituzioni reazionarie, farà sparire anche interi popoli reazionari. E anche questo sarà un progresso"; "noi potremo rafforzare le basi della rivoluzione solo esercitando nei confronti di questi popoli il più deciso terrorismo. Lotta, allora, implacabile lotta per la vita e per la morte...lotta di annienamento e di spietato terrore, non nell'interesse della Germania, ma nell'interesse della Rivoluzione!"; "Una rivoluzione è certamente la cosa più autoritaria che vi sia; è l'atto per il quale una parte della popolazione impone la sua volontà all'altra parte col mezzo di fucili, baionette e cannoni, mezzi autoritari, se ce ne sono; e il partito vittorioso, se non vuole avere combattuto invano, deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi ispirano ai reazionari".

Davanti ad esempi come questi è difficile non concordare con Murray N. Rothbard, Luciano Pellicani o i nouveaux philosophes francesi: tutti coloro cioè che hanno visto nell'opera di Marx e di Engels la giustificazione filosofica dei gulag, e quindi e lo strettissimo legame spirituale con il totalitarismo comunista.

I caratteri della società comunista secondo Marx


Oscurità e reticenze. I millenaristi come Gioacchino da Fiore risolvevano il problema della definizione delle caratteristiche della perfetta società futura da loro profetizzata semplicemente eliminando il problema economico, perché il lavoro e la produzione non sarebbero stati più necessari in un mondo di puri spiriti dediti eternamente alla contemplazione e alla preghiera. Marx, ateo e materialista, e quindi obbligato ad affrontare il problema della scarsità, non si dimostra però molto più esplicito e profondo dei suoi predecessori. Egli non aveva alcun interesse negli aspetti economici della sua utopia: il comunismo era soprattutto una questione filosofica, se non religiosa. Ogni analisi economica riguardante la società comunista futura viene infatti aggirata dall'indimostrata assunzione della necessaria e inevitabile sovrabbondanza di ogni bene. In questo modo, spiega Pellicani, si eliminava l'imbarazzo di dover specificare le caratteristiche dell'organizzazione sociale che avrebbe dovuto rimpiazzare quella esistente. Il che non era cosa da poco conto, dal momento che non era possibile dare una descrizione positiva del comunismo. Come descrivere infatti una società senza divisione del lavoro, senza istituzioni, senza rapporti di potere, senza problemi di scarsità e senza conflitti di interessi? L'unica cosa che Marx può dire di essa è che rappresenta la negazione di quella esistente, ovverosia, nel mistico e oscuro gergo hegeliano, la "negazione della negazione".

Va notato infatti che il progetto contenuto nella parte finale del Manifesto - vera e propria apologia dello statalismo centralizzato e monopolistico - costituisce solo un programma politico riformista di attuazione immediata e temporanea, senza alcuna pretesa di descrivere la società comunista al suo stadio finale. L'impossibilità di poter affrontare la questione da un punto di vista scientifico e razionale spiega l'ostilità del filosofo di Treviri verso tutti quei socialisti che si abbandonavano a "descrizioni fantastiche della società futura", e la condanna come reazionari di tutti coloro che estendevano programmi per il futuro.

A dire la verità Marx aveva affrontato la spinosa questione, sempre da un punto di vista filosofico, nel suoi Manoscritti Economico-Filosofici del 1844, ma le conclusioni cui era arrivato erano così poco attraenti che preferì non pubblicare mai questa sua opera, rimasta inedita e sconosciuta fino al 1932. Il saggio Proprietà Privata e Comunismo ivi contenuto raccoglie infatti la più completa descrizione della società comunista nella sua prima fase, quella immediatamente successiva alla rivoluzione proletaria e anteriore a quella del comunismo compiutamente realizzato. Ebbene, con estremo candore Marx dichiarava che il primo comunismo sarebbe stato del tutto differente da quello sognato dai rivoluzionari, e addirittura ben peggiore della vecchia società che andava a sostituire: "il primo stadio del comunismo non rappresenta una reale trascendenza della proprietà privata ma solo la sua universalizzazione, non il superamento dell'avidità ma solo la sua generalizzazione, e non l'abolizione del lavoro ma solo la sua estensione a tutti gli uomini. E' solo una nuova forma in cui i vizi della proprietà privata ritornano in superficie". In un altro passo Marx arriva addirittura ad ammettere che, lungi dal portare alla fioritura della personalità umana, questo comunismo fondato "sull'invidia e il desiderio di ridurre tutti al livello comune" ne è la sua totale negazione: "Negando completamente la personalità dell'uomo, questo tipo di comunismo non è niente altro che la logica espressione della proprietà privata. La generale invidia, costituendosi come potere, è il travestimento con cui l'avidità ristabilisce e soddisfa se stessa, solo in una maniera differente...nell'approccio alla donna come preda e serva delle voglie comuni è rappresentata l'infinita degradazione in cui l'uomo esiste solo per se stesso".

Questo vivido ritratto che Marx fa del primo stadio del comunismo assomiglia in tutto e per tutto ai regimi coercitivi imposti dagli anabattisti del '500. Ma se il comunismo è veramente così mostruoso, un "regime di infinita degradazione", perché mai - si chiede Rothbard - qualcuno dovrebbe sperare nel suo avvento, e dedicare la propria vita alla causa rivoluzionaria? Ancora una volta il problema viene risolto da Marx con gli artifizi della mistica hegeliana: il male totale del comunismo iniziale viene superato, attraverso la sua negazione, dal paradiso comunista finale, secondo le ineluttabili leggi della dialettica storica. Insomma, nella logica apocalittica tipica dei millenaristi gnostici, l'armonia finale può nascere solo dai suoi contrari: la distruzione, la morte e la violenza.

Per quanto Marx sia stato volutamente laconico intorno alla società comunista futura, ha però indicato insistentemente alcuni tratti considerati imprescindibili: 1) innanzitutto, come più importante, l'abolizione della specializzazione e della divisione del lavoro; 2) come corollario, la scomparsa della "contraddizione" (cioè differenziazione) tra lavoro intellettuale e lavoro manuale e della contraddizione tra città e campagna; 3) divieto della proprietà privata, dello scambio e della moneta; 4) scomparsa di tutte le sovrastrutture tradizionali quali la religione, la famiglia, la morale "borghese", ecc; 5) inoltre, ma il punto va chiarito, il principio "da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni". Tutti questi elementi non scaturiscono da un'analisi sulla loro desiderabilità politica o economica, ma sono puramente e semplicemente gli opposti delle caratteristiche principali della detestata società di mercato.

Per ciò che riguarda l'asserita estinzione dello Stato come conseguenza della scomparsa della divisione in classi della società, essa sembra un'aggiunta del tutto posticcia e incongruente con le restanti parti della teoria marx-engelsiana. Non si riesce infatti a capire, come già gli anarchici di Bakunin avevano contestato ai marxisti ai tempi della Prima Internazionale, in che modo si possa giungere alla società senza Stato passando attraverso la fase di totale massimizzazione del potere statale della dittatura del proletariato (o dell'avanguardia cosciente). Solo una fede cieca nei miracoli della dialettica può indurre a credere che uno Stato totalitario si tramuti inevitabilmente e improvvisamente nel suo opposto, e che dunque il modo migliore per sbarazzarsi dello Stato sia quello di impegnarsi per massimizzare il suo potere! Inoltre qualsiasi forma di collettivismo, compreso quello propugnato dagli anarco-comunisti, è per sua natura incompatibile con l'assenza di Stato, perchè la proprietà collettiva richiede necessariamente un ristretto gruppo di amministratori che la gestiscano "in nome" della società. Quale che sia il nome con cui si cerca di camuffare questo comitato, esso ricompare come Stato ogniqualvolta detenga il potere di controllare e prendere decisioni riguardo l'uso e la distribuzione delle proprietà comuni.


1) L'abolizione della divisione del lavoro. Fondamentale in tutta la costruzione di Marx è l'idea che il comunismo si realizzi solo con la scomparsa della specializzazione del lavoro e dello scambio, visti come la fonte di tutte le disuguaglianze tra gli uomini. E in effetti, come ha sottolineato con grande chiarezza Murray N. Rothbard, l'esistenza della divisione del lavoro nasce proprio dall'innata diversità degli uomini, dal momento che non avrebbe alcuno scopo se ogni persona fosse intercambiabile con le altre. La libertà stessa, in un siffatto mondo, avrebbe poco senso: "Se gli individui, come le formiche, fossero uniformi, privi di propri spcefici tratti della personalità, allora a chi importerebbe se fossero liberi o meno? A chi importerebbe, in realtà, se vivessero o morissero? La gloria della razza umana è l'unicità di ogni individuo, il fatto che ogni persona, quantunque simile a ciascun'altra per molti aspetti, possiede una propria personalità ben individuata. E' il fatto dell'unicità di ogni persona, il fatto che non esistono due persone pienamente intercambiabili che rende ogni uomo insostituibile e che rende importante se egli vive o muore, se è felice o se è oppresso. E, infine, è il fatto che queste personalità uniche hanno bisogno della libertà per il loro pieno sviluppo che costituisce uno dei maggiori argomenti a favore di una società libera".

Più una società è libera maggiore sarà la varietà e la diversità tra gli uomini; più la società è dispotica, minori possibilità avranno gli individui di esplicare liberamente la propria personalità (di essere cioè veramente umani), e quindi maggiore sarà l'uniformità dei suoi componenti. L'uomo può però esprimere tutta la propria potenzialità solo specializzandosi, ma la libertà d'agire non è sufficiente a questo scopo se manca un esteso sistema di divisione del lavoro: nessuno, ad esempio, può diventare un fisico o un ingegniere creativo su un'isola deserta, perché tutto il suo tempo sarebbe occupato nella risoluzione dei problemi quotidiani di sopravvivenza. La possibilità della specializzazione è dunque la condizione fondamentale per poter esprimere la propria natura umana.

Non solo: da Adam Smith in poi apparve sempre più evidente che l'economia basata sulla divisione del lavoro e sullo scambio permette di moltiplicare in maniera pressochè infinita la produttività - e dunque la ricchezza - dei partecipanti, ed è inoltre profondamente cooperativa: "L'accrescimento della produttività connesso alla divisione del lavoro esercita un'influenza unificante. - ha scritto Ludwig von Mises - Essa conduce gli uomini a considerarsi l'un l'altro come associati in una battaglia comune per il benessere, piuttosto che come concorrenti in una lotta per la vita. Essa trasforma i nemici in amici, converte la guerra in pace, dagli individui fa nascere la società".

Ebbene, è proprio contro tutto ciò che Marx ed Engels erigono la loro pazzesca costruzione utopica. Naturalmente essi negano che la loro società ideale porti a sopprimere la singola personalità di ogni uomo. Al contrario, liberato dai confini della divisione del lavoro, ogni persona potrebbe sviluppare i propri poteri in tutte le attività. Liberando gli uomini dalla necessità di specializzarsi e di lavorare per il mercato (cioè per gli altri), il comunismo, nelle parole di Engels, darà "ad ogni individuo l'opportunità di sviluppare ed esercitare tutte le proprie facoltà, fisiche e mentali, in tutte le direzioni"; è infatti dalla divisione del lavoro che nasce la divisione della società in classi: "Accanto alla maggioranza dedita esclusivamente al lavoro si forma una classe emancipata dal lavoro immediatamente produttivo, la quale cura gli affari comuni della società, la direzione del lavoro, gli affari di Stato, giustizia, scienza, arti, ecc. A base della divisione di classi sta quindi la legge della divisione del lavoro". Ma "nella nuova società la divisione del lavoro, del tipo che s'è avuto finora, scomparirà totalmente...L'industria esercitata in comune e secondo un piano da tutta la società presuppone assolutamente uomini le cui attitudini siano sviluppate in tutti i sensi, che siano in gardo di abbracciare tutto il sistema della produzione. La divisione del lavoro già ora minata dalle macchine, la quale fa di uno un contadino, dell'altro un calzolaio, d'un terzo un operaio di fabbrica, d'un quarto uno speculatore in borsa, scomparirà dunque del tutto".

Ecco come Marx immagina, molto ingenuamente, la società comunista liberata dalla nefasta divisione del lavoro: "Appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore, o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell'altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare nè cacciatore, nè pescatore, nè pastore, nè critico".

L'idea che nella società ideale ciascuno possa sviluppare le proprie facoltà in tutte le direzioni è però incredibilmente infantile, perché dimentica i limiti imposti dalla realtà: la vita, infatti, è essenzialmente una serie di atti di scelta, e ogni scelta è allo stesso tempo una rinuncia di qualcos'altro. La necessità della scelta, ricorda Alexander Gray, esisterà sempre, anche sotto il comunismo: "Perfino l'abitante della futura terra meravigliosa di immaginata da Engels dovrà decidere prima o poi se desidererà essere Arcivescovo di Canterbury o Primo Ammiraglio della flotta, se dovrà eccellere come violinista o come pugile, se dovrà sapre tutto sulla letteratura cinese o sulla vita dei pesci". Per Rothbard l'assurdo ideale dell'uomo in grado di fare qualsiasi cosa è realizzabile solo in uno di questi tre modi: 1) ogni persona è miracolosamente trasformata in un "superuomo", o 2) ci sono solo pochissime cose da fare, oppure 3) ogni cosa viene fatta estremamente male.

La prima ipotesi è stata teorizzata da Trotzky, il quale, in uno slancio di lirismo, è arrivato a scrivere sciocchezze di questo tipo: "[Nel comunismo] L'uomo diventerà incomparabilmente più forte, più saggio, più raffinato. Il suo corpo sarà più armonioso, i suoi movimenti più ritmici, la sua voce più musicale...L'uomo medio raggiungerà il livello di un Aristotele, di un Goethe, di un Marx. E al di sopra di questa cresta di montagne si alzeranno altre cime". Il secondo caso è quello del comunismo primitivo: una società arretrata e scarsamente popolata può effettivamente sopravvivere, ad un puro livello di sussistenza, senza specializzazione del lavoro tra i suoi membri, dato che le attività lavorative sono pochissime ed estremamente semplificate. Il terzo caso è realizzabile solo a costi catastrofici, perché una società di dilettanti che sanno poco di tutto e niente in particolare non è in grado di produrre alcunchè di utile, e non può soddisfare le esigenze materiali della popolazione esistente. Nella società comunista futura, dunque, il lavoro non avrebbe più un significato economico, ma solo artistico: diventerebbe un'attività perfettamente analoga alla spontanea creatività tipica dell'artista libero da ogni condizionamemento. Non più alienato, l'uomo comunista si trasformerebbe dunque in un esteta che considera le cose in termini esclusivamente artistici.

Non occorre però una particolare chiaroveggenza per capire che una comunità di individui autistici che si dedicano saltuariamente ai propri hobby preferiti senza alcun riguardo per i bisogni degli altri è destinata ad estinguersi in breve tempo nella fame e nella carestia generale. Tutto ciò a ulteriore dimostrazione dell'approccio romantico e non scientifico con cui Marx ha affrontato l'analisi degli aspetti economici della società comunista futura.


2) L'abolizione delle contraddizioni tra lavoro manuale e intellettuale, e tra città e campagna. Per Marx, qualsiasi differenza tra gli uomini, qualsiasi specializzazione nella divisione del lavoro, è una "contraddizione", e l'ideale comunista consiste nel farla scomparire ristabilendo l'armonia generale. Le particolarità e le diversità tra gli individui sono per i marxisti delle contraddizioni da sradicare e da sostituire con l'uniformità simile a quella di un formicaio. La scomparsa delle differenze tra lavoratori intellettuali e manuali e tra lavoratori della città e della campagna sotto il comunismo non sono altro dunque che corollari della necessaria eliminazione della divisione del lavoro: "In una fase più avanzata della società comunista - scrive Marx nella Critica del programma di Gotha - dopo la scomparsa della subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, [scompare] anche il contrasto tra lavoro intellettuale e fisico".L'idea della fine della distizione tra città e campagna compare invece spesso in Engels. Ne I principi del comunismo scrive ad esempio: "...lo sviluppo universale di tutti i membri della società mediante l'eliminazione della divisione del lavoro esistente finora, mediante l'educazione industriale, mediante la partecipazione di tutti ai godimenti prodotti da tutti, mediante la fusione di città e campagna - ecco i risultati dell'abolizione della proprietà privata".

L'ossessione di sradicare queste due contradddizioni del capitalismo raggiunse livelli particolarmente maniacali in Cina e in Cambogia, con gli esiti tragici ricordati ne Il libro nero del comunismo.


3) L'abolizione della proprietà privata, dello scambio e della moneta. La soppressione della proprietà privata, del mercato e del denaro hanno sempre rappresentato gli obbiettivi più immediati di ogni rivoluzione comunista. Anch'essi possono essere considerati corollari dell'idea dell'eliminazione della specializzazione, perché, come scrisse Marx ne L'ideologia tedesca, "Divisione del lavoro e proprietà privata sono espressioni identiche: con la prima si esprime in riferimento all'attività esattamente ciò che con l'altra si esprime in riferimento al prodotto dell'attività". Lo stesso può dirsi per l'abolizione del denaro e del libero scambio, se è vero che il commercio non è nulla di più che il sussidio tecnico della divisione del lavoro (von Mises).

Una delle più incomprensibili lamentele di Marx contro lo scambio, ma presa sempre molto serio dai suoi seguaci, è quella secondo cui nella società capitalista il lavoratore sarebbe "alienato" dal prodotto del proprio lavoro, in quanto non lo produrrebbe per sè, ma per altri. Un operaio di un'acciaieria, ad esempio, godrà poco o nulla dell'acciaio che produce, così come il produttore di uova o di scarpe. Ovviamente, questi tre soggetti si scambieranno i propri prodotti mediante il denaro, ma per Marx tutto questo processo fondato sullo scambio in moneta e la divisione del lavoro rappresenta il simbolo dell'alienazione di ogni lavoratore dal proprio lavoro.

Ma perché, si chiede Rothbard, qualcuno dovrebbe preoccuparsi di questa sorta di alienazione? Sicuramente l'operaio, il contadino e il calzolaio sono ben felici di vendere i loro prodotti e di scambiarli con qualsiasi altra cosa essi desiderino: privarli di questa "alienazione" peggiorebbe infinitamente la loro situazione. Se ai produttori non fosse permesso di vendere ciò che non consumano personalmente, l'intera popolazione regredirebbe a livelli di vita primitivi o eremitici. Tutto il grandioso fenomeno di scambi volontari, luogo di massima espressione della spontaneità sociale, viene però condannato dai marxisti come "individualista" e "alienante", e come tale degno di essere combattuto con tutti i mezzi, compresa la coercizione e la violenza rivoluzionaria.


4) Scomparsa delle sovrastrutture tradizionali. Marx ed Engels non si limitarono però a preannunciare la scomparsa della proprietà privata nella società comunista, perché ad essa avrebbe necessariamente portato con sé l'eliminazione di tutti gli altri cosiddetti "modi sussidiari di produzione" (o sovrastrutture) che alienano l'uomo dalla sua vera natura: "la religione, la famiglia, lo Stato, la legge, la moralità, la scienza, ecc.". L'uomo nuovo comunista sarà dunque liberato, volente o nolente, da tutte le istituzioni sociali che caratterizzano la moderna civilizzazione.

Ma una volta deprivato di tutte le relazioni umane che creano la società, dei legami famigliari, religiosi, culturali, giuridici o economici che lo legano ad altri uomini, cosa resta di questo essere umano? Probabilmente nient'altro che una creatura ermeticamente isolata, come una monade, da tutte le altre: non solo condannata ad ogni sorta di privazione materiale, ma anche spirituale. Ironicamente, osserva Rothbard, sono proprio quei marxisti che continuamente denunciano l'individualismo borghese per la sua concezione "atomistica" degli individui a non accorgersi dell'incredibile grado di antisocialità insito nella dottrina del loro maestro.


5) Il principio "Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni. La presenza di questo slogan all'interno della dottina marxista sembra a prima vista contraddire l'idea finora sostenuta che il comunismo sia solo un'aspirazione religiosa secolarizzata e non invece un progetto economico. In realtà si può concordare con Rothbard sulla minima importanza che Marx attribuiva a questo come a qualsiasi altro principio distributivo nella società futura. Dal contesto in cui lo slogan è inserito, cioè il celebre passaggio della Critica del Programma di Gotha dove Marx polemizza aspramente con i deviazionisti lassalliani all'interno del Partito Socialdemocratico tedesco, si capisce come esso venga brevemente preso in considerazione solo per essere ridimensionato nella sua importanza: "dopo che con lo sviluppo delle forze produttive e tutte le sorgenti delle ricchezze collettive scorrono in abbondanza - soltanto allora può il ristretto orizzonte giuridico borghese essere oltrepassato e la società può scrivere sulle bandiere: da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni!".

Quello che Marx sta cercando di dire è che l'elemento fondamentale della società comunista non è certo un principio di distribuzione dei beni, perché limitarsi a redistribuire il reddito prendendolo da coloro che possiedono doti produttive per darlo a coloro che non ne possiedono implica pur sempre l'esistenza di differenziazioni sociali, sfruttamento, interessi contraddittori. In una società liberarata dalla divisione del lavoro e dalla proprietà privata, dove la conseguente sovrabbondanza dei beni permette il più completo sviluppo di tutte le facoltà umane, i problemi della "distribuzione giusta" verranno meno da soli. In un mondo simile anche lo slogan "a ciascuno secondo i suoi bisogni" è di scarsa importanza. Non a caso Marx condanna le frequenti discussioni tra i socialisti sugli "eguali diritti" e la "giusta distribuzione" come "obsoleto ciarpame verbale".

Il motto "a ciascuno secondo i suoi bisogni..." non è dunque un principio atto a regolare la distribuzione delle risorse scarse, ma semplicemente una descrizione di ciò che accadrà nel comunismo quando, appunto, i singoli attinhgeranno da uno stock di risorse abbondanti tutto ciò di cui avranno bisogno. Interpretarlo come principio di giustizia e dargli un'importanza maggiore di quella che realmente ha all'interno della visione di Marx, cosa che molti marxisti hanno fatto, è un modo tuttavia per ingigantire ancora di più il problema. Questo principio infatti non può essere applicato in maniera "anarchica", nel senso che nel comunismo ogni individuo potrebbe valutare autonomamente il livello delle proprie capacità produttive e dei propri bisogni ai fini del computo di dare e avere nei confronti della società. A parte l'obiezione pratica che, in questo modo, ogni individuo sarebbe indotto a bluffare, sottostimando le capacità e sovrastimando le necessità, non si capisce in che modo si possano distinguere i bisogni (in astratto virtualmente infiniti) che meritino di essere soddisfatti e quelli che non lo sono. Nessun marxista infatti sosterrebbe mai che tutti i bisogni, anche i più capricciosi, dovrebbero essere soddisfatti a spese delle risorse scarse della società: "Dobbiamo forse riservare delle risorse aggiuntive alle persone che hanno bisogni dispendiosi?...Ma che cosa ci sia di particolarmente radicale (o attraente) nel pretendere che alcuni sovvenzionino i gusti dispendiosi di altri, non è chiaro; molti marxisti, anzi, considererebbero la cosa decisamente ingiusta".

In pratica i comunisti al potere hanno adottato questo principio come giustificazione teorica della dittatura sui bisogni: solo la società organizzata (cioè lo Stato) detiene il monopolio nella determinazione delle capacità e dei bisogni di ciascun individuo. Non si vede altrimenti in quale modo di possa dare applicazione pratica al principio. Un compito di questa portata richiede però una condizione indispensabile: che il governo sia l'unico proprietario di tutte le risorse materiali, e che abbia il potere inappellabile di disporre quanto ogni cittadino debba produrre per la società (sistema della requisizione forzata o del lavoro forzato), e quanto abbia diritto a consumare (sistema del razionamento nell'assegnazioni dei beni).

Messe in luce le caratteristiche fondamentali della società comunista teorizzata da Marx, occorre ora andare a vedere in che misura abbiano trovato concreta attuazione nell'esperienza comunista del XX secolo.


E' stato applicato Marx?
1) I due tentativi nell'Unione Sovietica. La Rivoluzione d'ottobre, nelle intenzione dei suoi realizzatori, non ha fatto altro che mettere in pratica gli insegnamenti di Marx ed Engels, secondo cinque direttrici principali: 1) Massima espansione della proprietà pubblica dello Stato (e corrispondente eliminazione della proprietà privata); 2) Allocazione coercitiva della forza lavoro (punto 8 del Manifesto di Marx: formazione di armate del lavoro e obbligo del lavoro per tutti, disposizione che può essere letta anche come applicazione del principio "da ciascuno secondo le sue capacità"); 3) Direzione centralizzata dell'attività economica; 4) Naturalizzazione della vita economica, attraverso l'interdizione della negoziazione privata, dei pagamenti in denaro, e la registrazione di ogni cittadino presso una rivendita di Stato.
Convinto che il capitalismo fosse un fenomeno autogenerantesi, destinato a rinascere tutte le volte in cui la libertà degli individui gode di una seppur minima possibilità d'azione, Lenin non esitò a istituzionalizzzare una guerra permanente contro la società civile pur di estirpare dalla Russia ogni traccia di economia di mercato: "La piccola produzione genera il capitalismo e la borghesia di continuo, ogni giorno, ogni ora, in modo spontaneo e in vaste proporzioni...Sulla base di una certa libertà di commercio, anche solo locale, risorgeranno la piccola borghesia e il capitalismo". Egli andò così in profondità nell'attuazione del suo programma che dal 1918 al 1920 - durante il cosiddetto comunismo di guerra - denaro, mercato e libertà d'impresa erano quasi scomparsi dal panorama sovietico. Nelle mani del potere centrale si concentrarono progressivamente tutte le risorse materiali, alimentari e umane del paese, e lo Stato divenne la sola entità a poterne stabilire la destinazione e l'utilizzazione. La nazionalizzazione integrale dell'economia, il sistema criminale dell'espropriazione forzata dei raccolti dei contadini e il divieto generalizzato del commercio privato provocarono una catastrofe economica come mai si era vista in Europa negli ultimi secoli: la produzione industriale complessiva era crollata a meno di un terzo dei valori del 1913, e nelle zone dove con più ferocia si era proceduto al sistema delle requisizioni più di 5 milioni di contadini morirono di fame.
La scomparsa del denaro non fu solo una conseguenza degli convolgimenti economici, perchè la maggior parte dei dirigenti comunisti la riteneva una misura indispensabile per realizzazione del socialismo. Il programma del partito bolscevico approvato nel marzo 1919 prevedeva all'art. 15 che "Il Partito comunista russo si sforzerà di prendere una serie di provvedimenti per estendere la sfera della compensazione non monetaria e per preparare l'abolizione del denaro", e anche Bucharin scriveva nel suo Programma dei comunisti che "la società è in procinto di trasformarsi in una immensa società del lavoro, che produce e distribuisce senza far ricorso al denaro".
Inoltre in questo periodo si diede inizio alla realizzazione di un altro punto del programma marxiano: la lotta alle sovrastrutture, ovverosia, per dirla con le parole dello storico Orlando Figes, la "battaglia per la conquista dell'anima umana". Fino al 1921 la guerra alla religione venne combattuta soprattutto con la propaganda, ma da quell'anno in poi si passò alla chiusura delle chiese e alla fucilazione dei sacerdoti: "sono giunto all'incontrovertibile conclusione - disse il leader dei bolscevichi - che noi dobbiamo muovere una guerra decisiva e senza pietà contro il clero e reprimerne la resistenza con tale crudeltà da non fargliela dimenticare per decenni...Quanto più numerosi saranno i membri della borghesia e del clero reazionari che riusciremoa fucilare, tanto meglio sarà". Non meno cruenta fu la repressione che, in questo "assalto dell'anima", si scatenò contro l'intellighenzia e i ceti intellettuali: migliaia furono i professori e gli scrittori esiliati, arrestati, processati, fucilati o morti di fame in quegli anni.
Dopo il breve intervallo della Nep, che restaurando parzialmente i meccanismi di mercato diede risultati economici insperati, l'obiettivo della realizzazione del socialismo venne ripreso con non minore energia da Stalin, quando nel 1929 decide di procedere alla collettivizzazione delle campagne per distruggere l'ultimo ceto mercantile ancora presente nella realtà sovietica: quello contadino. Per giustificare lo sterminio dei kulaki e convincere i compagni di partito più recalcitranti Stalin fece un uso logicamente coerente della teoria marxiana della lotta di classe: "Se i capitalisti della città e della campagna si integrano nel socialismo, che bisogno c'è allora in generale della dittatura del proletariato, e se ve ne è bisogno, qual'è la classe che bisogna reprimere?". Stalin mise allora l'assemblea davanti a questa ineludibile alternativa: "O la teoria di Marx della lotta di classe, o la teoria dell'integrazione dei capitalisti nel socialismo. O l'opposizione inconciliabile degli interessi di classe, o la teoria dell'armonia degli interessi di classe. Una delle due". Si diede così il via al più colossale bagno di sangue della storia dell'umanità, in cui vennero annientati più di venti milioni di contadini del tutto disarmati e indifesi. La collettivizzazione dell'agricoltura permise al regime sovietico di realizzare in parte un altro punto del progetto marxiano: l'eliminazione della contraddizione tra città e campagna, dato che nelle nuove gigantesche fattorie collettive i contadini erano divenuti a tutti gli effetti "operai" organizzati, gerarchizzati e comandati proprio come in una fabbrica.
Solo dopo la morte di Stalin nel 1953 il regime allentò la presa sulla società civile, e ogni ambizione utopica di realizzare il comunismo di Marx venne di fatto completamente meno negli anni della corruzione brezneviana e dei tentativi di riforma gorbacioviani.
b) I due tentativi cinesi. I comunisti cinesi arrivarono mai a realizzare integralmente alcuni degli obiettivi del comunismo marxiano? Sì, in almeno due occasioni, in cui l'uso indiscriminato della violenza e l'alto numero delle vittime superarono ogni altro periodo della storia cinese. Il primo dei due disastrosi tentativi di inverare il comunismo si ebbe nel 1959-61 con il Grande balzo in avanti, la politica maoista di radicale collettivizzazione dell'agricoltura che provocò, oltre a violenze di ogni tipo, la più grande carestia della storia. Malgrado il gigantesco costo umano, valutato in circa circa 50 milioni di cinesi morti per la fame e le repressioni, non pochi marxisti trovarono a quel tempo esaltante la realizzazione di numerosi aspetti del comunismo puro. E in effetti con il Grande balzo Mao cercò non solo di eliminare la proprietà privata e il libero commercio, ma soprattutto la "contraddizione" tra città e campagna, obbligando le popolazioni rurali a installare in ogni villaggio una fornace per la fusione del metallo; lo scopo era quello - ossessivamente ricordato nei testi marx-engelsiani - "di sopprimere la differenza tra lavoro nei campi e lavoro in fabbrica mettendo in piedi ovunque unità industriali, in particolare piccoli altiforni". Il partito comunista divenne l'unico e inflessibile giudice sulla quantità di cibo cui ogni cittadino aveva diritto di consumare nelle cucine comuni, e sulla quantità di produzione che egli doveva allo Stato (cifre quasi sempre esorbitanti anche nei tempi di più dura carestia): un'applicazione impeccabile, secondo la scienza rivoluzionaria, del principio "da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni".
Interrotta la marcia verso il comunismo integrale con l'allontanamento di Mao dal potere dopo il disastro del Grande balzo, questi tornò alla riscossa nel 1966, quando in nome della Rivoluzione Culturale scatenò le guardie rosse contro i quadri di partito, gli insegnanti, i funzionari e in generale i "borghesi". Il sommovimento sorto con la Rivoluzione Culturale insistette particolarmente su due punti del programma marxiano: a) l'abolizione della contraddizione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, attuata costringendo intere generazioni di intellettuali e di studenti al lavoro forzato nelle campagne, sostituendo negli ospedali i chirurghi con i custodi, e dichiarando guerra al sapere, alle conoscenze tecniche e alle competenze specialistiche; b) lo sradicamento delle sovrastrutture culturali, al fine di fare tabula rasa della tradizione per creare la pagina bianca sulla quale edificare la nuova società. Da qui le distruzioni selvagge di libri, dipinti, porcellane, biblioteche, musei, sedi culturali: "Durante la campagna contro le "quattro cose vecchie" (vecchie idee, vecchia cultura, vecchi costumi, vecchie abitudini) le città attendono l'arrivo delle guardie rosse come si aspetta un ciclone: tempi barricati (ma moltissimi saranno danneggiati o distrutti, spesso in autodafè pubblici), tesori nascosti, affreschi intonacati per proteggerli, libri poratti via. Si bruciano scene e costumi dell'opera di Pechino...La stessa Grande muraglia viene in parte abbattuta...Gravemente colpiti sono i culti: il celebre complesso buddista dei monti Wutai vede dispersi i suoi monaci, bruciati i suoi manoscritti, parzialmente distrutti i suoi sessanta tempi; ...si fanno roghi di esemplari del corano; si vieta di festeggiare il Capodanno cinese...è pressochè impedita ogni pratica cristiana". Si vietano addirittura quei diversivi all'ideologia rivoluzionaria che sono i gatti, gli uccelli, i fiori, i capelli lunghi o impomatati, i pantaloni stretti, i tacchi alti, le scarpe a punta. Solo dopo la morte del Grande Timoniere nel 1976 la Cina abbandona nella pratica i principi marxisti, e la vita torna gradualmente alla normalità e a una mai conosciuta prosperità.
c) Il marxismo perfettamente realizzato: la Cambogia di Pol Pot. Come si è visto, salvo che nei brevi e catastrofici periodi di carestia (nel 1918 e 1930 in Russia e nel 1959-60 in Cina) non si può dire che l'Unione Sovietica e la Cina Popolare siano mai state fedeli ai propri principi. Lenin ebbe il buon senso di interrompere con la Nep nel 1921 il primo tentativo di abolizione del denaro e di salto immediato nel comunismo, e successivamente i dirigenti sovietici, con estremo realismo ma al prezzo di allontanarsi irrimediabilmente dall'idea centrale del marxismo, sostennero esplicitamente l'idea dell'essenzialità della divisione e la specializzazione anche nel sistema delle relazioni comuniste di produzione.
Nella realtà in nessun istante della storia sovietica e cinese scomparvero completamente il mercato, la moneta e lo scambio, perchè dappertutto le elementari necessità di vita della popolazione avevano reso necessario lo sviluppo di un radicato, esteso e tollerato sistema di mercato nero e corruzione legalizzata. Persino negli anni del comunismo di guerra, scrive lo storico Roy Medvedev, "Nonostante tutti gli ostacoli e divieti, il mercato libero viveva e prosperava. Gli stessi contadini e gli speculatori poratvano il grano in città per mille canali e lo barattavano con prodotti industriali. E benchè fin dalle prime settimane gli organi del potere sovietico avessero promulgato numerosi decreti sulla lotta contro la speculazione del grano, fino a deliberare la fucilazione immediata degli speculatori e dei sabotatori scoperti,...si può dire addirittura che l'esistenza del mercato libero può essere annoverata fra i fattori che permisero ai bolscevichi di conservare il potere".Basti questo dato: i "fagottari", coloro cioè che portavano illegalmente con un sacco sulle spalle il grano dalle campagne, assicurarono la metà dell'approvigionamento complessivo delle città!
E neanche il premeditato assassinio di massa dei kulaki permise a Stalin di eliminare completamente il mercato nero. Alle spalle dell'inutile economia pianificata, e con il tacito consenso delle autorità, si andò formando infatti un colossale sistema illegale di produzione e di circolazione di beni regolato dalle leggi del mercato, in cui gli attori principali erano migliaia di tolkac, gli organizzatori-intermediari, che giravano in lungo e in largo il paese per organizzare affari di tutti i tipi.
Anche in Cina, salvo che nei terribili anni del Grande balzo in avanti, la spontaneità sociale si insinuò miracolosamente negli interstizi dell'economia di Stato. Una volta preso atto di questo ricorrente e "inspiegabile" fenomeno, alla metà degli anni '70 si diffuse negli ambienti intellettuali di sinistra la convinzione che anche il comunismo cinese, malgrado il tentativo di Mao di superare il precedente sovietico, aveva fallito perchè non era stato abbastanza radicale: le troppe tracce "capitalistico-borghesi" rimaste testimoniavano con troppa evidenza il distacco tra la realtà e il modello ideale. Occorreva quindi qualcosa di ancor più estremo. Questo qualcosa venne tentato, e portato a compimento, nella Cambogia dei khmer rossi dal 1975 al 1979.
Per la prima volta, tutte le caratteristiche qualificanti del puro comunismo marx-engelsiano vennero realizzate in maniera integrale, senza contaminazioni di nessun tipo. Per farla finita una volta per tutte con la divisione del lavoro si fa di ogni persona un contadino dedito al lavoro forzato; la contraddizione tra città e campagna viene superata in maniera completa, attraverso lo svuotamento delle città e la deportazione in 48 ore dell'intera popolazione urbana nelle campagne; la contraddizione tra lavoro intellettuale e manuale viene risolta con il sistema dell'assassinio di tutti gli intellettuali, di coloro che portavano gli occhiali, che sapevano leggere, che parlavano una lingua straniera, o che non erano in grado di arrampicarsi su di un albero. Inoltre era stata proibita la scrittura, disattivate le linee telefoniche, chiuse le poste, abolito il calendario, soppresso l'insegnamento superiore, e distrutti gran parte dei libri.
Ovviamente viene abolita la proprietà privata, anche degli oggetti più comuni come i piatti e le pentole da cucina, tutti "nazionalizzati" in cucine e mense comuni. Viene decretata l'abolizione della la moneta, decisione simbolizzata platealmente facendo "saltare" la banca nazionale cambogiana con tutte le ricchezze ivi presenti; viene punito con la morte ogni forma di scambio, e per impedire che il riso venga accumulato o scambiato lo si distribuisce cotto. Si instaura inoltre un regime basato sulla predeterminazione ideologica dei bisogni. Lo slogan marxiano "da ciascuno secondo le sue capacità" significa per l'Angkar (l'Organizzazione - il partito comunista cambogiano) che ogni persona deve lavorare nei campi di lavoro dall'alba al tramonto, con brevi pause per i pasti o gli indottrinamenti, mentre la seconda parte dello slogan "a ciascuno secondo i suoi bisogni" è applicato in maniera rigidamente egualitaria. Ogni cambogiano, secondo Pol Pot e i suoi, ha bisogno infatti non di più che un chilo di riso al giorno, mezzo chilo di sale al mese, e una divisa (pantaloni e giacca nera) all'anno: chi viene scoperto consumare qualcosa in più rispetto ai propri bisogni viene immediatamente punito; anche le capanne e gli edifici devono essere tutti di eguale altezza, e viene imposta la distruzione dei tetti e dei piani alti.
La guerra alle sovrastrutture culturali è condotta con sistemi ancor più brutali di quelli della Rivoluzione culturale cinese: tutte le rivoluzioni comuniste precedenti avevano manifestato la volontà di azzerare la storia, ma nessuna si era mai avvicinata così tanto all'obbiettivo di far tabula rasa del passato. All'annientamento dei monaci buddisti e della minoranza islamica segue così la distruzione dell'ordine familiare: si istituisce il matrimonio forzato e si ordina ai bambini di spiare e denunciare i propri genitori.
Se Marx definiva la società comunista come la negazione completa di tutti i caratteri della società liberale, allora la Kampuchea democratica fu una società comunista perfetta, come si può vedere dal seguente schema in cui il prof. Rummel descrive le condizioni di vita quotidiane sotto i khmer rossi:
Condizioni politiche e civili: nessuna libertà di viaggiare all'estero o da villaggio a villaggio; nessuna libertà di scegliere il lavoro; nessuna libertà di parola; nessuna libertà di associazione; nessuna libertà di religione; nessun tribunale, giudice o possibilità d'appello; nessuna legge o regola codificata.
Condizioni sociali e culturali: nesun diritto per i lavoratori; nessun lavoro o momento di vita indipendente (tutto collettivo); nessun sistema pubblico o privato di cure mediche; nessuna medicina straniera; niente posta o telegrammi; niente radio o televisione; niente telefono; niente libri, biblioteche, giornali o riviste; niente scuole; niente vacanze o festività religiose.
Condizioni economiche: niente denaro; niente banche; niente salari; niente mercati; niente commercio; niente ristoranti o negozi.
Condizioni personali: niente pranzi indipendenti (tutto cucinato e mangiato collettivamente); niente cibo personale; nessuna specialità gastronomica regionale (cibo unico e uguale dappertutto); nessun appezzamento personali da coltivare; niente nomi personali (obbligo di rinunciare al vecchio nome); niente vita familiare indipendente; niente libertà sessuale; niente musica; nessuna libertà di non lavorare dopo i cinque anni; niente auto, moto o biciclette possedute personalmente; niente vestiti, pentole, padelle, orologi o altri oggetti posseduti personalmente; nessuna libertà di ridere o piangere; niente conversazione privata.
E' la società libertaria del laissez-faire all'incontrario, cioè proprio la realizzazione del sogno di Marx: il capovolgimento di tutte le istituzioni, i retaggi, le pratiche dell'odiata società liberale. Una tale situazione, ovviamente, malgrado le assicurazioni del padre del socialismo scientifico, non permette di instaurare le condizioni minime di produzione materiale e di riproduzione della vita, e si può concordare con Pellicani sul fatto che alla morte di due milioni di cambogiani su sette sarebbe seguita probabilmente la completa estinzione di questo popolo, se l'invasione vietnamita non avesse interrotto l'atroce esperimento quando era ancora nel suo pieno svolgimento.
Siamo ora in grado di redigere una tabella, necessariamente schematica e approssimativa, che confronti l'idealtipo (la società comunista perfetta teorizzata da Marx ed Engels) con le sue realizzazioni empiriche, in modo da rispondere a questa domanda: quanto delle caratteristiche della prima ha trovato attuazione nelle più importanti esperienze comuniste del nostro secolo?
CARATTERISTICHE DELLA SOCIETA' COMUNISTA SECONDO MARX
1Scomparsa della divisione del lavoro e della contraddizione tra lavoro intellettuale e manuale
2Scomparsa della contraddizione tra città e campagna
3Scomparsadella proprietà privata, dello scambio e della moneta
4Scomparsa delle sovrastrutture tradizionali
5Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni (Dittatura sui bisogni)

URSS 1918-21 1NO 2NO 3SI' moneta 4IN PARTE 5SI'

URSS 1921-29 1NO 2NO 3NO 4SI' 5NO

URSS 1929-53 1NO 2IN PARTE 3SI' pr. privata
4SI' 5SI'

URSS 1953-91 1NO 2NO 3IN PARTE 4IN PARTE 5NO

CINA 1949-61 1NO 2SI' (1959-61) 3SI' 4IN PARTE 5SI'

CINA 1961-66 1NO 2NO 3IN PARTE 4IN PARTE 5NO

CINA 1966-76 1SI' 2IN PARTE 3IN PARTE
4SI' 5NO

CINA 1976-98 1NO 2NO 3IN PARTE 4NO
5NO

CAMBOGIA 1975-79 1SI' 2SI' 3SI' 4SI' 5SI'

Risulta più che evidente dalla tabella che le repressioni, le carestie e, più in generale, i periodi peggiori della storia del comunismo si trovano in rapporto di proporzione diretta con il grado di vicinanza al modello di comunismo puro. In particolare, l'esperienza cambogiana è l'unica che ha potuto vantare una sufficiente realizzazione di tutti i punti principali della visione marx-engelsiana. Se fino ad allora si era potuto affermare che il comunismo aveva falliato perchè le sue applicazioni erano sempre state blande o parziali, questo discorso non fu più possibile dopo l'esperienza cambogiana. Questo spiega perchè il 1979, anno della fine del regime di Pol Pot, è, in tutto il mondo, anche l'anno d'inizio del riflusso delle idee in senso liberale, dopo decenni in cui il socialismo era parso incarnare l'inevitabile futuro dell'umanità. Da allora non si avrà più nessun tentativo importante di inverare il marxismo, ormai "falsificato" (in senso popperiano) dalle notizie delle mostruosità cambogiane: se l'applicazione pura dei principi dato come risultato il culmine dell'orrore, allora non si poteva più salvare la teoria. Marx è morto definitivamente nelle risaie di questo piccolo paese del sud-est asiatico.
Del tutto scorretti sono quindi tutti i tentativi, rigorosamente a posteriori, di giudicare l'esperimento cambogiano come estraneo agli insegnamenti e alla tradizione marxista. "Al contrario di quanto affermato da tanti opinionisti e politici della sinistra e tra gli stessi comunisti - ha riconosciuto di recente, con tutta onestà, uno scrittore italiano simpatizzante del regime khmer - Pol Pot non è un'anomalia, un corpo estraneo. Pol Pot è viceversa pienamente interno alla tradizione delle forze politiche marxiste e comuniste del novecento. E la sua rivoluzione (un'attuazione integrale degli schemi derivati dal "socialismo scientifico") è stata affine per esiti alle tante rivoluzioni socialiste del novecento...Quello di Pol Pot non fu un delirio, ma un esperimento sociale di comunismo integrale, totalmente egualitario, realizzato con la coercizione".
A questo punto dell'analisi sembra del tutto lecito porsi la domanda se la teoria comunista non sia di gran lunga peggiore della prassi realizzata. Visto da quest'ottica, anche il regime stalinista, abituale capro espiatorio di tutti gli errori della sinistra, va valutato in maniera differente: data la presenza di cuscinetti come il mercato nero e la corruzione dei funzionari, e considerata la non realizzazione di alcuni punti fondamentali del progetto marxiano, esso va considerato come un'applicazione tutto sommato moderata dei dettami del socialismo scientifico, un "marxismo dal volto umano". Scrive a questo proposito Rothbard: "La nozione prevalente che che il comunismo marxiano rappresenti un glorioso ideale umanitario pervertito dal tardo Engels, da Lenin o da Stalin può ora essere posta nella giusta prospettiva. Nessuno degli orrori commessi da Lenin, Stalin o da altri regimi marxisti-leninisti può essere paragonato alla mostruosità dell'ideale comunista di Marx", e in ogni caso, sebbene in gradi diversi, è indubbio che "i ben conosciuti orrori del ventesimo secolo di Lenin, Stalin, Mao o Pol Pot possono essere considerati il logico spiegarsi, l'incarnazione, della visione ottocentesca del loro maestro, Karl Marx".

Alberich
18-05-02, 14:39
Lo leggerò. Comunque Pol Pot non ha di certo applicato alla lettera gli insegnamenti di Marx, questa è una totale fesseria; al massimo Lenin o Stalin possono essere ricondotti a Marx.

ARI6
18-05-02, 14:41
Originally posted by Alberich
Lo leggerò. Comunque Pol Pot non ha di certo applicato alla lettera gli insegnamenti di Marx, questa è una totale fesseria; al massimo Lenin o Stalin possono essere ricondotti a Marx.

Leggi, leggi, ti fa bene. ;)

Alberich
18-05-02, 14:46
Originally posted by ARI6


Leggi, leggi, ti fa bene. ;)

leggerò, ma ti assicuro che ho studiato -ampiamente- Marx, Stalin, Lenin e Pol Pot. E molte delle posizioni di quest'ultimo non sono affatto riconducibili a Marx.

ARI6
18-05-02, 14:50
Originally posted by Alberich


leggerò, ma ti assicuro che ho studiato -ampiamente- Marx, Stalin, Lenin e Pol Pot. E molte delle posizioni di quest'ultimo non sono affatto riconducibili a Marx.

Le posizioni non so, di sicuro la pratica è stata perfetta.

Felix (POL)
18-05-02, 17:03
l'utopia khmer rossa è quanto di + vicino si sia arrivati all'utopia comunista, e non lo dico come critica. L'unico appunto che muoverei a Pol Pot è la totale disumanità nell'eliminazione delle classi borghesi/degenerate. Non fosse stato per quei due milioni di vittime, la Cambogia rossa sarebbe un modello ammirevole di comunismo realizzato.

saluti

Free-Market
22-05-02, 22:12
Originally posted by Felix
l'utopia khmer rossa è quanto di + vicino si sia arrivati all'utopia comunista, e non lo dico come critica. L'unico appunto che muoverei a Pol Pot è la totale disumanità nell'eliminazione delle classi borghesi/degenerate. Non fosse stato per quei due milioni di vittime, la Cambogia rossa sarebbe un modello ammirevole di comunismo realizzato.

saluti


le condizioni di vita quotidiane sotto i khmer rossi:
Condizioni politiche e civili: nessuna libertà di viaggiare all'estero o da villaggio a villaggio; nessuna libertà di scegliere il lavoro; nessuna libertà di parola; nessuna libertà di associazione; nessuna libertà di religione; nessun tribunale, giudice o possibilità d'appello; nessuna legge o regola codificata.
Condizioni sociali e culturali: nesun diritto per i lavoratori; nessun lavoro o momento di vita indipendente (tutto collettivo); nessun sistema pubblico o privato di cure mediche; nessuna medicina straniera; niente posta o telegrammi; niente radio o televisione; niente telefono; niente libri, biblioteche, giornali o riviste; niente scuole; niente vacanze o festività religiose.
Condizioni economiche: niente denaro; niente banche; niente salari; niente mercati; niente commercio; niente ristoranti o negozi.
Condizioni personali: niente pranzi indipendenti (tutto cucinato e mangiato collettivamente); niente cibo personale; nessuna specialità gastronomica regionale (cibo unico e uguale dappertutto); nessun appezzamento personali da coltivare; niente nomi personali (obbligo di rinunciare al vecchio nome); niente vita familiare indipendente; niente libertà sessuale; niente musica; nessuna libertà di non lavorare dopo i cinque anni; niente auto, moto o biciclette possedute personalmente; niente vestiti, pentole, padelle, orologi o altri oggetti posseduti personalmente; nessuna libertà di ridere o piangere; niente conversazione privata.


e tu lo chiameresti modello ammirevole?
:eek:

ARI6
22-05-02, 22:22
Originally posted by Felix
Non fosse stato per quei due milioni di vittime, la Cambogia rossa sarebbe un modello ammirevole di comunismo realizzato.

Dettaglio trascurabile, nevvero? :fru

Tovarish
23-05-02, 11:24
Il regime di Pol Pot e dei Khmer era un'utopia rurale e fondamentalmente reazionaria, che nulla ha a che fare col marxismo-leninismo.
E' poi da ricordare che Pol Pot fu sostenuto dalla CIA durante la guerra col Vietnam socialista e nello stesso tempo dalla Cina revisionista in contrapposizione all'URSS altrettato revisionista.

Quanto ai vari pennivendoli citati fan davvero ridere, nemmeno Goebbels si era spinto a scrivere simili cazzate!!:lol :lol :lol

Non accettiam lezioni da chi si fa alfiere dello sfruttamento capitalistico che in 300 anni ha costretto e continua a costringere miliardi di uomini alla fame, alla morte e alla schiavitù in nome del profitto:mad: :mad:

ciaparat
23-05-02, 13:14
Originally posted by Tovarish
Il regime di Pol Pot e dei Khmer era un'utopia rurale e fondamentalmente reazionaria, che nulla ha a che fare col marxismo-leninismo.


Non accettiam lezioni da chi si fa alfiere dello sfruttamento capitalistico che in 300 anni ha costretto e continua a costringere miliardi di uomini alla fame, alla morte e alla schiavitù in nome del profitto:mad: :mad:

se lo dici tu, che era un'utopia "rurale e fondamentalmente reazionaria"...
strano, perche' quando andarono al potere non se ne accorse nessuno. Era tutto un tripudio di giubilo per la nuova esperienza marxista-leninista. Pol Pot aveva studiato alla Sorbona dai grandi intellettuali della nuovelle gauche francese... ma naturalmente ne' lui ne' loro avevano capito niente.
Il capitalismo ci ha messo trecento anni, lui in due anni e mezzo e' riuscito a far furi un terzo dei cambogiani. Ma si sa, il marxismo-leninismo e' molto piu' efficiente del capitalismo!

E adesso Pol Pot e' morto; gli intellettuali no, sono ancora li', e insegnano il marxismo.... ma non hanno capito niente, hai capito tutto tu...

soviet999
23-05-02, 18:52
Pol Pot era un bastardo, assassino, terrorista e...FINANZIATO DAI VOSTRI AMICI AMERICANI!!!!!!!!!! Gli Kmher Rouge, all'epoca, erano in guerra affiancati dalla Cina contro l'opposizione interna filovietnamita e, di conseguenza, filosovietica. La CIA ha finanziato il loro regime per cercare di infierire un colpo al mondo sovietico, in vista dei sempre migliori rapporti con la Cina stalinista.

Tovarish
23-05-02, 21:20
Originally posted by soviet999
Pol Pot era un bastardo, assassino, terrorista e...FINANZIATO DAI VOSTRI AMICI AMERICANI!!!!!!!!!! Gli Kmher Rouge, all'epoca, erano in guerra affiancati dalla Cina contro l'opposizione interna filovietnamita e, di conseguenza, filosovietica. La CIA ha finanziato il loro regime per cercare di infierire un colpo al mondo sovietico, in vista dei sempre migliori rapporti con la Cina stalinista.

Sarebbe utile però ricordare che Mao morì nel 1976 e che la direzione del PCC fu presa dal revisionista Deng, che procedette ad una rapida "demaoizzazione" e alla liquidazione della Linea Rossa all'interno del PCC.

Se lo scontro URSS-Cina fino al 1976 fu tra il revisionismo e il marxismo-leninismo, dopo quella data fu tra due potenze sostanzialmente revisioniste.

La prova è il fatto che nel 1978 il compagno Enver Hoxha ruppe con la Cina revisionista e denghista...

saluti comunisti

soviet999
24-05-02, 15:02
Scusa Tovarish, non avevo visto che avevi gia scritto cio che avevo
scritto io!

Sir Demos
30-05-02, 02:31
Non fosse stato per quei due milioni di vittime, la Cambogia rossa sarebbe un modello ammirevole di comunismo realizzato.


:i

Felix (POL)
30-05-02, 05:10
beh, perchè la faccina?! dicevo appunto che se NON fosse stato per le vittime...
Ma le vittime ci sono state, purtroppo, e ciò rende inaccettabile un regime di quel tipo. Non si può massacrare un quarto della popolazione per 'beneficiare' il resto. Troppo 'caro' e troppo cinico.

saluti

ARI6
30-05-02, 15:01
Originally posted by Felix
Non si può massacrare un quarto della popolazione per 'beneficiare' il resto.

Beneficiare??? :fru :fru :fru

Sir Demos
10-06-02, 00:16
beh, perchè la faccina?! dicevo appunto che se NON fosse stato per le vittime...

Non ti arrabbiare sono con te. :cool:

Un Abbraccio.

ARI6
10-06-02, 13:45
Originally posted by Sir Demos


Non ti arrabbiare sono con te. :cool:


A ulteriore dimostrazione che i liberal sono comunisti mascherati.

Sir Demos
15-06-02, 02:58
:confused:

Sir Demos
15-06-02, 02:59
Castro: "Una firma per il comunismo"


Il lider maximo ha chiesto ai cubani di firmare una petizione perché rimanga intoccabile il regime comunista vigente nell'isola.


L'AVANA – Una firma per preservare lo stato comunista. La chiede il presidente cubano Fidel Castro che, in risposta agli appelli degli Stati Uniti per le riforme politiche, ha annunciato una campagna nazionale per raccogliere firme in favore del mantenimento del regime comunista, a partito unico, nell'isola.

In un discorso trasmesso in serata dalla televisione statale, Castro ha invitato i cubani a sottoscrivere una petizione per una riforma costituzionale che renda ''intoccabile'' il regime di democrazia popolare e socialista vigente a Cuba.

Lo stesso Castro aveva partecipato, solo un giorno prima, a una marcia per respingere la richiesta del presidente Usa George W.Bush affinché Cuba si apra a elezioni libere e all'economia di mercato. ''Quest'importante passo sarà fatto affinché proprio nessuno possa avere il minimo dubbio su quello che il popolo cubano pensa e sente'', ha detto il 'Lider maximo' nel suo discorso. ''Milioni di cubani daranno così una risposta definitiva e adeguata a un liberatore che nessuno ha invitato qui, il signor W. Bush'', ha aggiunto.

Castro, al potere nell'isola dalla rivoluzione del 1959, ha annunciato che le firme verranno raccolte, tra sabato e martedì, in 129.523 luoghi.

ARI6
15-06-02, 16:33
Avanti popolo cubano: c'è da mettere una firmetta... http://www.anduin.de/emoticons/neu/ak.gif

Sir Demos
18-06-02, 10:51
:lol

La strategia ha dato i suoi frutti...

Cuba, 7,5 milioni di firme per il comunismo


L'emendamento, che mira a rendere "immutabile il regime" in vigore a Cuba, è già stato sottoscritto dalla quasi la totalità degli elettori cubani. Ma i dissidenti avvertono delle "gravi conseguenze" della petizione.



Ciao.

ciaparat
18-06-02, 11:12
Originally posted by Sir Demos
:lol

La strategia ha dato i suoi frutti...

Cuba, 7,5 milioni di firme per il comunismo


L'emendamento, che mira a rendere "immutabile il regime" in vigore a Cuba, è già stato sottoscritto dalla quasi la totalità degli elettori cubani. Ma i dissidenti avvertono delle "gravi conseguenze" della petizione.



Ciao.

beh, almeno non hanno votato i morti. E una firma costa di meno dell'oro alla patria in cambio di buoni del tesoro...