Moro
30-04-02, 04:08
Ho passato la notte a discutere con un amico rifondarolo, come me del resto.
Argomento chiave, la rivoluzione. O Rivoluzione (con la maiuscola), se preferite.
Il mio amico parla di coscienza di classe, di proletariato sfruttato dai padroni, di un Marx unica ancora di salvezza, di Lenin, di Mao, di Che Guevara e i suoi tre compagni che iniziarono il cammino rivoluzionario. Parla di resistenza ad un neo-fascismo imperante (quello del governo), di Bertinotti sulle orme di quel paraculo di D' Alema, della Genova dei martiri e delle squadracce di Scajola.
Ma soprattutto parla di Rivoluzione. Lo ripete, tuonando. Prima me la presenta come necessaria, poi come auspicabile, poi come "fantastica utopia". La discesa termina qui. Nel prosequo ripercorrerà la scala, su e giù, almeno tre volte.
Io chiedo spiegazioni, lui si agita. Mi dice che bisogna insegnare alla gente che è l' ora di impugnare la falce e il martello, o il fucile, per stare al passo coi tempi. Poi rettifica: la Rivoluzione è un processo spontaneo. Istruiamo e aspettiamo risposte. E se le risposte non arrivano? E se ad armarsi sono in quattro, come ai tempi del Che? Beh, lui c'è riuscito. Però oggi, ammette, per riuscire bisogna essere in maggioranza. Gli faccio notare che con la maggioranza, oggi, si governa. Già, non ci aveva pensato. Però la Rivoluzione è più suggestiva. Non lo dice, ma forse lo pensa.
Obietto poi che un partito rivoluzionario non è coerente se partecipa alla competizione elettorale per entrare in un parlamento democratico. Non lo si vuole ribaltare quel sistema?Non si dovevano prendere le armi? Risposta: è un punto d' appoggio, aspettando tempi migliori. La Rivoluzione? Certo.
Ma lo sai - aggiungo - che potrebbe essere anche un gravissimo errore strategico? I precedenti parlano chiaro. In Grecia un fallimento portò allla dittatura dei colonnelli. A casa nostra, prima Togliatti, poi Berlinguer, si guardarono bene dal dare il benestare alle masse che avevano già impugnato fucile e bandiera rossa. E al tempo c' era pure l' Unine Sovietica, che però non era interessata, dicono. Barcolla, ma non molla. Anzi. Ogni volta che nomino Bertinotti, diventa verde. "Quel parolaio... Le riformine, vuole fare... Le riformine...". Faccio notare che con le "riformine" dal '48 a oggi le cose sono migliorate non poco. Lo Statuto dei Lavoratori è una conquista di un' opposizione intransigente, ma civile. Ultimamente si tenta di intaccarlo, ma resisterà.
Il mio amico torna a rivendicare il suo diritto alla sua "fantastica utopia". Ti sei risposto da solo, dico. Niente di più lecito del coltivare un' utopia, purchè si riconosca come tale. Abbozzo un riassunto: se ho ben capito, la diffrenza tra Ferrando e Bertinotti è che il primo guarda al presente con gli occhi di Marx, riconducendo la situazione odierna ad un conflitto di classe ormai in gran parte superato, credendo necessaria l' educazione del popolo bue alla rivoluzione del proletariato, a cui - tuttavia - neanche lui sembra credere. Bertinotti invece guarda al presente con gli occhi del futuro, ascoltando i sentimenti che provengono da un movimento nato spontaneamente, capace da solo di cogliere le contraddizioni di questa società. Badate bene, nessuno scioglimento: Agnoletto e Casarini vanno tenuti a debita distanza. Non sono altro che due pecoroni montati. Ma non esiste termometro migliore del movimento, per misurare la febbre del Paese. E per curare la febbre servono gli antibiotici, non le fucilate.
Bertinotti è grande, concludo. Bertinotti ha capito.
Lui, da parte sua, mi invita a votare DS. "O forse dovrò essere io a votare altro", chiude. Più probabile. Un Bertinotti così avrà sempre il mio entusiastico appoggio.
"E la Rivoluzione? Quando si parte? Io avevo già preparato il piccone...", dice sghignazzando un terzo, che era rimasto ad ascoltare.
Cordialmente.
Argomento chiave, la rivoluzione. O Rivoluzione (con la maiuscola), se preferite.
Il mio amico parla di coscienza di classe, di proletariato sfruttato dai padroni, di un Marx unica ancora di salvezza, di Lenin, di Mao, di Che Guevara e i suoi tre compagni che iniziarono il cammino rivoluzionario. Parla di resistenza ad un neo-fascismo imperante (quello del governo), di Bertinotti sulle orme di quel paraculo di D' Alema, della Genova dei martiri e delle squadracce di Scajola.
Ma soprattutto parla di Rivoluzione. Lo ripete, tuonando. Prima me la presenta come necessaria, poi come auspicabile, poi come "fantastica utopia". La discesa termina qui. Nel prosequo ripercorrerà la scala, su e giù, almeno tre volte.
Io chiedo spiegazioni, lui si agita. Mi dice che bisogna insegnare alla gente che è l' ora di impugnare la falce e il martello, o il fucile, per stare al passo coi tempi. Poi rettifica: la Rivoluzione è un processo spontaneo. Istruiamo e aspettiamo risposte. E se le risposte non arrivano? E se ad armarsi sono in quattro, come ai tempi del Che? Beh, lui c'è riuscito. Però oggi, ammette, per riuscire bisogna essere in maggioranza. Gli faccio notare che con la maggioranza, oggi, si governa. Già, non ci aveva pensato. Però la Rivoluzione è più suggestiva. Non lo dice, ma forse lo pensa.
Obietto poi che un partito rivoluzionario non è coerente se partecipa alla competizione elettorale per entrare in un parlamento democratico. Non lo si vuole ribaltare quel sistema?Non si dovevano prendere le armi? Risposta: è un punto d' appoggio, aspettando tempi migliori. La Rivoluzione? Certo.
Ma lo sai - aggiungo - che potrebbe essere anche un gravissimo errore strategico? I precedenti parlano chiaro. In Grecia un fallimento portò allla dittatura dei colonnelli. A casa nostra, prima Togliatti, poi Berlinguer, si guardarono bene dal dare il benestare alle masse che avevano già impugnato fucile e bandiera rossa. E al tempo c' era pure l' Unine Sovietica, che però non era interessata, dicono. Barcolla, ma non molla. Anzi. Ogni volta che nomino Bertinotti, diventa verde. "Quel parolaio... Le riformine, vuole fare... Le riformine...". Faccio notare che con le "riformine" dal '48 a oggi le cose sono migliorate non poco. Lo Statuto dei Lavoratori è una conquista di un' opposizione intransigente, ma civile. Ultimamente si tenta di intaccarlo, ma resisterà.
Il mio amico torna a rivendicare il suo diritto alla sua "fantastica utopia". Ti sei risposto da solo, dico. Niente di più lecito del coltivare un' utopia, purchè si riconosca come tale. Abbozzo un riassunto: se ho ben capito, la diffrenza tra Ferrando e Bertinotti è che il primo guarda al presente con gli occhi di Marx, riconducendo la situazione odierna ad un conflitto di classe ormai in gran parte superato, credendo necessaria l' educazione del popolo bue alla rivoluzione del proletariato, a cui - tuttavia - neanche lui sembra credere. Bertinotti invece guarda al presente con gli occhi del futuro, ascoltando i sentimenti che provengono da un movimento nato spontaneamente, capace da solo di cogliere le contraddizioni di questa società. Badate bene, nessuno scioglimento: Agnoletto e Casarini vanno tenuti a debita distanza. Non sono altro che due pecoroni montati. Ma non esiste termometro migliore del movimento, per misurare la febbre del Paese. E per curare la febbre servono gli antibiotici, non le fucilate.
Bertinotti è grande, concludo. Bertinotti ha capito.
Lui, da parte sua, mi invita a votare DS. "O forse dovrò essere io a votare altro", chiude. Più probabile. Un Bertinotti così avrà sempre il mio entusiastico appoggio.
"E la Rivoluzione? Quando si parte? Io avevo già preparato il piccone...", dice sghignazzando un terzo, che era rimasto ad ascoltare.
Cordialmente.