Studentelibero
02-05-02, 23:27
martedì 5 dicembre 2000
Intervista al leader storico
Delors: «Basta con l’unanimità, ci condanna alla paralisi»
«I padri fondatori della Comunità avevano già messo in conto la riunificazione tedesca, quindi Berlino non deve chiedere più peso»
PARIGI - L’Europa rischia una grande crisi che potrebbe paralizzarla per molti, molti anni. Nella sua storia ne ha attraversate due di eguale portata: la crisi provocata dal generale de Gaulle negli anni ’60 e quella innescata dalla signora Thatcher negli anni ’80.
Jacques Delors è seriamente preoccupato e non lo nasconde. In un incontro con un ristretto gruppo di giornali europei, tra i qua li il Corriere , si lascia andare a considerazioni sui protagonisti di questa difficile fase e sulla presidenza francese. Ma esige che i suoi sfoghi e le sue considerazioni restino riservate, almeno finché non sarà conclusa la conferenza di Nizza. Quel che si può pubblicare, tuttavia, rappresenta già un vademecum per giudicare il successo o il fallimento.
Delors divide l’agenda dei capi di Stato e di governo in due capitoli: i soggetti che riguardano l’efficacia dell’Unione e le questioni di potere. A queste ultime appartiene la «querelle» tra Francia e Germania.
La riponderazione dei voti in seno al Consiglio europeo, allora, rischia di diventare il pomo della discordia? Il cancelliere tedesco ne ha fatto un elemento simbolico e di prestigio, aprendo la strada alla Spagna, all’Olanda e ad altri Paesi.
«Per quanto sia un soggetto difficile, non è il più significativo - spiega il padre dell’euro -. L’importante è che la soluzione finale rispetti i due principî sui quali finora si è basato l’equilibrio interno:
1) nessuna maggioranza in seno al Consiglio se non è associata a una maggioranza degli Stati membri; 2) i Paesi più popolosi non debbono essere messi in minoranza da un gruppo di Paesi meno popolosi».
Delors sostiene che la strada proposta dalla Commissione sia un compromesso accettabile. In sostanza, è la doppia maggioranza: una di «voti pesanti» e una basata sulla popolazione. L’Italia si è già detta d’accordo.
Quanto al peso della Germania, Delors ha spiegato più volte che quando i padri fondatori nel Trattato di Roma avevano previsto lo stesso numero di voti per i grandi Paesi, avevano già messo in conto la futura unificazione tedesca, accettando implicitamente che la Germania dell’Est facesse parte dell’Europa.
Ma quali sono, allora, le questioni davvero decisive?
«L’estensione del campo della maggioranza qualificata è il tema più importante per l’avvenire. In un’Unione allargata, l’unanimità condannerebbe l’Europa alla paralisi. Dunque, il valore del compromesso raggiunto a Nizza si giudicherà sostanzialmente sulla qualità e sul numero dei campi nei quali sarà permesso il passaggio al voto a maggioranza».
E quali territori verranno sottratti al vincolo dell’unanimità?
«Nonostante i progressi fatti, il negoziato verte attualmente su un insieme di soggetti: la politica di coesione, l’armonizzazione fiscale, la protezione sociale dei lavoratori migranti, l’immigrazione e il diritto d’asilo, la politica commerciale, in particolare la proprietà intellettuale e i servizi. Nessuno di essi comporta un trasferimento di competenze. Ma ciascuno di essi pone problemi a uno o più Stati. Una "uscita dall’alto" della Conferenza intergovernativa sarebbe che ciascuno Stato accetti di superare le proprie riserve per sbloccare l’insieme del pacchetto. Al contrario, mantenere il blocco mostrerebbe una mancanza di ambizione collettiva».
C’è una soluzione per l’altro soggetto a rischio, le cooperazioni rafforzate (cioè la possibilità che alcuni Paesi vadano più avanti degli altri in alcuni campi)?
«L’accordo dovrebbe riprendere i seguenti aspetti: in primo luogo, condizioni semplificate per innescare le cooperazioni rafforzate (il numero massimo di partecipanti non deve mai superare gli otto Stati; la possibilità di opporre il veto di un singolo Stato deve essere eliminata). Inoltre, la possibilità di andare più avanti nella politica estera e di sicurezza. Ma, soprattutto, occorre riconoscere alla Commissione europea il ruolo di guardiano dei Trattati, sia nel lancio delle cooperazioni sia nel loro funzionamento». Insomma, tocca a Bruxelles garantire che la maggiore velocità di alcuni non vada a svantaggio degli altri.
La composizione della Commissione, invece, attiene alle questioni di potere. E nessuno vuole rinunciare al commissario.
«Sarebbe vano attendersi a Nizza una rimessa in causa immediata del principio "un commissario per ogni Stato membro". Ma è importante che la questione diventi transitoria e il trattato fissi un calendario per limitare la taglia della Commissione in funzione dell’aumento del numero degli Stati».
Il nodo dovrebbe essere sciolto prima dell’allargamento, tra tre-quattro anni. Dunque, Nizza apre la strada al dopo Nizza?
«La Carta dei diritti fondamentali sarà adottata solennemente, ma la questione del suo statuto giuridico (includerla e come nei Trattati dell’Unione, ndr ) così come l’evoluzione dei suoi contenuti, restano chiaramente questioni per il dopo Nizza. Lo stesso vale per il dibattito sull’Unione allargata».
Su quali temi?
«È molto importante che poggi sui valori (perché vogliamo lavorare insieme?), sui progetti (che cosa vogliamo fare insieme?), sugli strumenti (che cosa possiamo fare insieme). Se si separano i tre livelli si rischia di essere o astratti o tecnocratici o velleitari. Comunque, lontani dai cittadini».
Stefano Cingolani
Intervista al leader storico
Delors: «Basta con l’unanimità, ci condanna alla paralisi»
«I padri fondatori della Comunità avevano già messo in conto la riunificazione tedesca, quindi Berlino non deve chiedere più peso»
PARIGI - L’Europa rischia una grande crisi che potrebbe paralizzarla per molti, molti anni. Nella sua storia ne ha attraversate due di eguale portata: la crisi provocata dal generale de Gaulle negli anni ’60 e quella innescata dalla signora Thatcher negli anni ’80.
Jacques Delors è seriamente preoccupato e non lo nasconde. In un incontro con un ristretto gruppo di giornali europei, tra i qua li il Corriere , si lascia andare a considerazioni sui protagonisti di questa difficile fase e sulla presidenza francese. Ma esige che i suoi sfoghi e le sue considerazioni restino riservate, almeno finché non sarà conclusa la conferenza di Nizza. Quel che si può pubblicare, tuttavia, rappresenta già un vademecum per giudicare il successo o il fallimento.
Delors divide l’agenda dei capi di Stato e di governo in due capitoli: i soggetti che riguardano l’efficacia dell’Unione e le questioni di potere. A queste ultime appartiene la «querelle» tra Francia e Germania.
La riponderazione dei voti in seno al Consiglio europeo, allora, rischia di diventare il pomo della discordia? Il cancelliere tedesco ne ha fatto un elemento simbolico e di prestigio, aprendo la strada alla Spagna, all’Olanda e ad altri Paesi.
«Per quanto sia un soggetto difficile, non è il più significativo - spiega il padre dell’euro -. L’importante è che la soluzione finale rispetti i due principî sui quali finora si è basato l’equilibrio interno:
1) nessuna maggioranza in seno al Consiglio se non è associata a una maggioranza degli Stati membri; 2) i Paesi più popolosi non debbono essere messi in minoranza da un gruppo di Paesi meno popolosi».
Delors sostiene che la strada proposta dalla Commissione sia un compromesso accettabile. In sostanza, è la doppia maggioranza: una di «voti pesanti» e una basata sulla popolazione. L’Italia si è già detta d’accordo.
Quanto al peso della Germania, Delors ha spiegato più volte che quando i padri fondatori nel Trattato di Roma avevano previsto lo stesso numero di voti per i grandi Paesi, avevano già messo in conto la futura unificazione tedesca, accettando implicitamente che la Germania dell’Est facesse parte dell’Europa.
Ma quali sono, allora, le questioni davvero decisive?
«L’estensione del campo della maggioranza qualificata è il tema più importante per l’avvenire. In un’Unione allargata, l’unanimità condannerebbe l’Europa alla paralisi. Dunque, il valore del compromesso raggiunto a Nizza si giudicherà sostanzialmente sulla qualità e sul numero dei campi nei quali sarà permesso il passaggio al voto a maggioranza».
E quali territori verranno sottratti al vincolo dell’unanimità?
«Nonostante i progressi fatti, il negoziato verte attualmente su un insieme di soggetti: la politica di coesione, l’armonizzazione fiscale, la protezione sociale dei lavoratori migranti, l’immigrazione e il diritto d’asilo, la politica commerciale, in particolare la proprietà intellettuale e i servizi. Nessuno di essi comporta un trasferimento di competenze. Ma ciascuno di essi pone problemi a uno o più Stati. Una "uscita dall’alto" della Conferenza intergovernativa sarebbe che ciascuno Stato accetti di superare le proprie riserve per sbloccare l’insieme del pacchetto. Al contrario, mantenere il blocco mostrerebbe una mancanza di ambizione collettiva».
C’è una soluzione per l’altro soggetto a rischio, le cooperazioni rafforzate (cioè la possibilità che alcuni Paesi vadano più avanti degli altri in alcuni campi)?
«L’accordo dovrebbe riprendere i seguenti aspetti: in primo luogo, condizioni semplificate per innescare le cooperazioni rafforzate (il numero massimo di partecipanti non deve mai superare gli otto Stati; la possibilità di opporre il veto di un singolo Stato deve essere eliminata). Inoltre, la possibilità di andare più avanti nella politica estera e di sicurezza. Ma, soprattutto, occorre riconoscere alla Commissione europea il ruolo di guardiano dei Trattati, sia nel lancio delle cooperazioni sia nel loro funzionamento». Insomma, tocca a Bruxelles garantire che la maggiore velocità di alcuni non vada a svantaggio degli altri.
La composizione della Commissione, invece, attiene alle questioni di potere. E nessuno vuole rinunciare al commissario.
«Sarebbe vano attendersi a Nizza una rimessa in causa immediata del principio "un commissario per ogni Stato membro". Ma è importante che la questione diventi transitoria e il trattato fissi un calendario per limitare la taglia della Commissione in funzione dell’aumento del numero degli Stati».
Il nodo dovrebbe essere sciolto prima dell’allargamento, tra tre-quattro anni. Dunque, Nizza apre la strada al dopo Nizza?
«La Carta dei diritti fondamentali sarà adottata solennemente, ma la questione del suo statuto giuridico (includerla e come nei Trattati dell’Unione, ndr ) così come l’evoluzione dei suoi contenuti, restano chiaramente questioni per il dopo Nizza. Lo stesso vale per il dibattito sull’Unione allargata».
Su quali temi?
«È molto importante che poggi sui valori (perché vogliamo lavorare insieme?), sui progetti (che cosa vogliamo fare insieme?), sugli strumenti (che cosa possiamo fare insieme). Se si separano i tre livelli si rischia di essere o astratti o tecnocratici o velleitari. Comunque, lontani dai cittadini».
Stefano Cingolani