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Visualizza Versione Completa : Lumezzane(BS):casalingo in crisi strutturale,necessarie fusioni tra piccole imprese



Dragonball (POL)
04-05-02, 14:52
La crisi strutturale di un settore che cerca nuovi mercati
Casalinghi,futuro incerto


LUMEZZANE - Il settore dei casalinghi vive una crisi strutturale che implica, a differenza di quelle precedenti, la ricerca di nuove strategie. Non si tratta, in buona sostanza, di rimboccarsi le maniche o di sfruttare i residuali elementi di innovazione di processo, ma di guardare con attenzione e con consapevolezza ai punti di forza e di debolezza del sistema e di affrontarli per quel che sono, con determinazione e con strumenti all’altezza del compito. È quanto sta facendo Lumetel, con il "Forum distrettuale": una riflessione a tutto campo, senza veli e senza diplomazie, sulla crisi e sul che fare per uscirne. Della crisi, dunque, si occupano i diretti interessati con grande impegno e tra questi non ci sono solo i "nostri" casalingai, ma anche quelli giapponesi, che non molto tempo fa sono arrivati in quel di Gardone Val Trompia, ospiti di Lumetel, l’agenzia presieduta da Felice Berna e del Club dei distretti, guidato da Virgilio Bugatti. La delegazione proveniva da Tsubame, una città giapponese che ha molte similitudini con Lumezzane e che vive gli stessi problemi. Tsubame, con i suoi 43mila abitanti, è una realtà che conta 2.310 aziende, delle quali 1.671 nel settore manifatturiero che tratta metalli. L’occupazione globale assomma a 11.950 unità, delle quali 7.076 nel settore metallurgico. Il fatturato è di tutto rispetto: 163.4 bilioni di yen, dei quali 67.3 bilioni prodotti dal settore metallurgico. La città giapponese vanta una tradizione imprenditoriale che risale al 1600 e nonostante la capacità delle aziende di stare sui mercati, di innovarsi e di fare sistema vive una crisi che si è tradotta in un sensibile calo delle imprese, degli addetti e del fatturato. «Non dobbiamo uscire dalla nostra cultura e dal nostro settore - aveva detto nell’occasione Virgilio Bugatti - ma guardare a prodotti nuovi. Questo è l’obbiettivo». E i giapponesi rappresentano un esempio: si sono già in parte orientati sul medicale. Produrre coltelli o bisturi non fa differenza sostanziale. Il know how di base è quello di una lunga tradizione, sulla quale si innesta la capacità di innovazione e di fare sistema. Lumetel, in questo senso, si pone, come hanno detto il presidente e il direttore dell’Agenzia, Felice Berna e Luciano Consolati, a disposizione, con la sua esperienza, la sua capacità, le sue sperimentate modalità e relazioni.
s. d.







La comunità industriale valgobbina discute sulle prospettive dei prodotti maturi
Lumezzane, questi i problemi
Basta individualismo, tempo di aggregazioni tra imprese


LUMEZZANE - «Lo sanno, convengono sul risultato. Se non lo fanno è perché non vogliono, non perché non possono». Quelli che lo sanno sono i posatieri di Lumezzane. Ciò che potrebbero fare è una nuova società, alla quale conferire quote di mercato, macchinari, attrezzature e know how. «Una società in grado di battere America, Russia, Cina, India, Africa». Parola di Damiano Scaroni. Siamo andati a Lumezzane, patria storica del casalingo italiano, per capire come si esce da una crisi del settore che è stata definita chiaramente "strutturale" nel recente "Forum" indetto da Lumetel. Siamo andati a cercare quell'anima del "clan" che tante volte ha sobbalzato nei momenti di difficoltà, indicando la via giusta, anche se erta e stretta, da percorrere per tornare sulle cime. L'anima del "clan" è una strana entità. Nessuno è in grado di dire dove esattamente alberghi, né quale sia il luogo nel quale si esprime, eppure ci sono uomini, come Scaroni, che, di volta in volta, le danno voce. E' una voce rude, che non conosce diplomazie e proprio per questo, quando si esprime, agli accenni suadenti alterna veri e propri ruggiti. E Damiano Scaroni, con quella biro in mano che sembra la bacchetta di un vecchio maestro, alterna i modi didascalici, suadenti, con ruggiti da leone delle montagne. Non se la sente di rifare la storia dei numeri della crisi e tuona: «L'individualismo è finito, non ha prospettive. E' necessario capire che bisogna cambiare». Sotto tiro è la mentalità eccessivamente individualistica, familistica degli imprenditori lumezzanesi, attaccati alla loro azienda, al loro marchio, quasi fosse la loro vera identità. «Non è più tempo», ruggisce Scaroni. Poi cambia tono e spiega: «Vede, per fare le posate ci vogliono sei passaggi, ossia sei fasi di lavorazione diverse. Da qui deriva la qualità della posata, così come la sapevamo fare». Perché coniuga al passato? «Perché oggi abbiamo perso anche il know how. Non solo i tedeschi, ma anche i cinesi sanno fare meglio di noi». E' un affondo terribile. Scaroni mette in discussione una delle certezze fino ad ora non scalfite: la capacità del fare e del fare bene. «Oggi - insiste Scaroni - le posate si fanno, a migliaia, con due sole fasi di lavorazione. La qualità è lì da vedere. Ecco perché un set di posate fatte come si deve viene venduto dai tedeschi a sette, ottocento mila lire e quelli di Lumezzane si vendono alla metà». Posate: un termine d'acciaio, che conta la bellezza di 800 milioni di pezzi all'anno. Un'enormità. Un termine che potrebbe scomparire dal vocabolario locale e dalla guida del telefono. Le aziende in crisi ci sono già, anche se per ora le chiusure avvengono in sordina o sono rinviate grazie all'accanimento terapeutico. «Mi creda, si può fare», ripete Scaroni. Ma come? La biro gira sul foglio. «In primis - dice Scaroni - bisogna identificare i trainer, ma questi ci sono. Sono le grandi aziende del settore. Poi Lumetel deve riunire i posatieri e deve creare una commissione composta dagli interessati e da tecnici specchiati, che non abbiano interessi nell'operazione. La commissione deve determinare le esatte quote di mercato delle aziende del settore». Considerato che sono 22 o 23 l'impresa non dovrebbe essere difficile, ma, obbiettiamo, una commissione non ha il sapore del rinvio, del fare melina? Gli occhi di Scaroni si incendiano: «No. Se volessero, le quote le potrebbero già scrivere in due minuti gli stessi interessati. La commissione serve a formalizzare correttamente l'operazione». Proseguiamo. «Viene fondata una nuova società: una società per azioni. Le ditte partecipano alle quote societarie in ragione delle loro quote di mercato. Per ora non servono capitali». Come sarebbe? «Sarebbe che possono essere conferite macchine e attrezzature in ragione delle quote: Tizio dà due bilancieri e tre laminatoi; Caio tre presse eccentriche e una taglierina; Sempronio quattro pulitrici automatiche e via discorrendo. Attrezzature valide, testate». E la sede, ovvero i capannoni? Non comportano investimenti? «Due o tre aziende, e a Lumezzane ci sono, mettono a disposizione ambienti efficienti ed idonei. Fatto anche questo si nomina un consiglio di amministrazione, composto da un membro per ogni azienda». E chi comanda? «Per il settore tecnico un bravo ingegnere e un tecnico; per l'amministrazione un bravo amministrativo e per le vendite un bravo direttore di marketing con una struttura interna ed una esterna. Managers». Sembrerebbe l'uovo di Colombo. Ma non è finita. Arriviamo ai modelli.- «Le aziende hanno decine di modelli. Ogni modello implica uno stampo che costa fino a 350 milioni di lire. Ogni azienda conferisce un numero limitato di modelli. Arriviamo a 20modelli, non a duecento come ora. Ogni anno si inserirà uno-due nuovimodelli. Pensi a quanto si risparmia in stampi». E i marchi, il nome, l'azienda di famiglia? «Sparisce tutto. L'individualità non è più da tenere in considerazione. Nuova società, nuovi marchi». E chi oggi ha la sua azienda che fa? «Mette all'opera il cervello. Se sono imprenditori, e lo sono, possono sperimentarsi su terreni inesplorati, rischiare su nuovi prodotti, fare il loro mestiere che è quello di intraprendere. Nel frattempo possono contare sul fatto che la nuova società produce utili anche per loro, ovvero assicura loro la vita». E la storia individuale, famigliare? Il ricordo dei padri e dei nonni? Scaroni ruggisce: «Ripeto, l'individualità è finita. I risultati della nuova società consentiranno a chiunque di provvedere, come meglio crede, anche ad illustrare il nome degli avi e delle famiglie». Posso dirle che quanto dice e per come lo dice sconcerta per la lucida durezza. Come la prenderanno i posatieri? «Senta, giocherei la mia testa sull’efficacia della proposta di una nuova società. Del resto, i posatieri in privato sono tutti d’accordo. Se non lo fanno è solo perchè non ne hanno voglia. In ogni caso, mettiamola così. Non è tempo di diplomazie e personalmente non ritengo di avere verità in tasca. Se ci sono idee che escano, ma non è consentito dire semplicemente no o stare zitti. Devono dire cosa pensano. Altrimenti, si sappia, non ci saranno più le aziende e anche il nome degli avi e delle famiglie finiranno nel nulla». Arrivederci. «A presto. Al prossimo Forum e si ricordi di dire che se qualcuno non crede a quanto dico, può sempre venire nel mio show room, per vedere come lavorano tedeschi e cinesi e a quanto vendono».
Silvano Danesi



Scaroni parla della concorrenza del Far East
Occhio al pericolo giallo


LUMEZZANE - Chi ha dubbi su come va in Germania o in Cina, dice Scaroni, «venga nel mio show room». E noi, spinti dalla curiosità, andiamo subito. Ad accoglierci c’è la figlia, in un’atmosfera speziata, con la musica classica che invita alla calma e oggetti orientalizzanti evocanti arcane culture, sulle quali sarebbe opportuno, pensiamo, darci una mossa, visto che ormai il mondo della globalizzazione e della comunicazione ce le presenta sull’uscio di casa. Nel salone c’è già aria di Natale (le vendite, si sa, sono avanti di due o tre stagioni). Angeli a schiere e gnomi a frotte fanno bella mostra di sé sugli scaffali. Uno gnomo, seduto sul bordo, sembra chiamarmi. «Bello», dico, «e fatto bene». «A mano - aggiunge Scaroni - in Cina, su disegno di una danese». Angeli e gnomi cinesi. Strana storia. Passiamo oltre. Ci sono i cestoni (cartone e spago) made in Indonesia, i corni di bufalo asiatico e la stanza del te. Qui è il Giappone che si impone, con le sue tradizioni: la cerimonia del te, con le sue tazzine senza manico, le teiere di ghisa, i sostegni di legno. Volgiamo lo sguardo. «Qui c’è la Germania. Guardi qui. Vede che posate? Che finitura? Che lucentezza? Sono prodotte dalla W.M.F, un consorzio di imprese tedesche. Loro fanno alta qualità e prezzo: un set 800mila lire. Come vede, mettersi assieme è possibile. La nostra società unica sarebbe un’operazione ancora più radicale, ancora più concorrenziale. Venga. Venga». «Belli, li fate voi?». «No, i cinesi». «E questi?». «Cina. Cina. Loro fanno le grandi serie e noi le piccole, per completare. Guardi qui: una sveglia perfettamente funzionante, dal design gradevole: mezzo dollaro. Guardi questa bilancia elettronica da cucina: un dollaro e mezzo. C’è da impazzire. Come si fa a non vedere?». Una fortuna per ora c’è: i cinesi vanno sulle grandi quantità e lavorano per europei e americani. Per ora non si sono messi in proprio a vendere all’utente finale, ma se lo facessero sarebbe la fine. (s. d.)