Franci (POL)
05-05-02, 01:20
Posto il mio tema su Le Pen, scritto due giorni dopo il primo turno delle elezioni.
C&C
Franci
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Non si è davvero capito il come e il dove (per non parlare del perché) della democrazia in Europa. Lo dico da liberale convinto, da fervente democratico, da antifascista senza distinguo e senza esitazioni. Sono, insomma, uno che il signor Le Pen non lo voterebbe nemmeno sotto tortura.
Ma proprio perché liberale mi chiedo perché, dove e come in Europa vengano apportati i principi della democrazia.
Il Corriere della Sera dedica oggi sette dei suoi tredici spazi in prima pagina alla questione Le Pen, il caso che da un paio di giorni frigge le anime della sinistra e della destra moderata francese. Caso forse unico nella storia dell’Occidente dal dopoguerra.
Cosa è successo, in pratica, con le elezioni di domenica scorsa? Cosa è accaduto di tanto eclatante da fare saltare sulle sedie la metà dell’estabilishment europeo? E’ successo che in uno degli stati più politicamente e demograficamente importanti del nostro continente un partito di destra populista, negazionista (si vedano le sparate su Auschwitz “inconveniente della storia”), xenofobo e piuttosto intollerante, ha ottenuto i voti del 17% degli elettori, scavalcando anche quell’area socialista che per cinque anni è rimasta saldamente al potere.
E’ successo che milioni di Francesi hanno decretato che a sfidare Chirac per il secondo turno della corsa all’Eliseo non sarà il politicamente corretto Jospin, ma lo scorrettissmo leader del Fronte Nazionale.
Succede che a fronteggiarsi non saranno solo due candidati dai programmi diversi e dalle idee divergenti: saranno due concezioni del tutto diverse della società e dell’individuo. A confronto, due destre che in comune hanno ormai soltanto il nome: quella gollista di Chirac e quella, appunto, neo-vetero-post fascista di Le Pen.
Scontato è l’esito di questa tornata elettorale: vincerà, e con un buono scarto, il Presidente uscente, che va verso una sicura riconferma con l’appoggio di quasi tutta la sinistra.
Il commento a questa paradossale situazione non può che essere di fastidio. Quasi di vergogna, anche se la vergogna la provo non tanto per coloro che hanno sostenuto l’estrema destra, quanto piuttosto per i leader dello schieramento democratico che altro non hanno saputo fare se non litigare e riempire la testa della gente di inutili chiacchiere.
Ma preferirei evitare la sequela di banalità che circola in queste ore per pormi una domanda che va al di là delle frasi fatte sui valori della tolleranza, della moderazione, dell’antifascismo, eccetera. Valori in cui credo, per carità, ma che stanno venendo spogliati di qualsiasi significato, con l’uso smodato e inopportuno che ne viene fatto.
La domanda è: la libertà la si applica sempre o quando le circostanze lo permettono? La democrazia vale soltanto con chi democratico lo è comunque, e nel midollo, o anche con il signor Le Pen? In fondo, non è stato attraverso la democrazia e le regole democratiche che egli è arrivato dove è ora? O che forse gli elettori valgono soltanto se avallano il progetto di uno dei leader moderati?
E siccome di domande ne ho fatte più d’una, mi si conceda lo spazio per porne un’altra, penso ancora più importante. Perché Le Pen no e i marxisti sì? Abbiamo visto una galleria di inquietanti capi di lotta operaia, a queste fantomatiche elezioni. La “gauche plurielle”, quella, per intenderci, che riunisce tutte le forze della sinistra, prevede accordi anche con questi loschi figuri. E in cosa essi differiscono dai fascisti lepeniani? Forse dicono qualche bugia in più, ma nella sostanza rimangono estremisti quanto gli altri. Portano avanti un progetto politico vecchio di cinquant’anni, al quale hanno dato qualche spolveratina per l’occasione, che persegue la lotta di classe così come quello di Le Pen persegue la lotta agli immigrati.
Eppure, a loro viene concesso di manifestare apertamente nelle piazze a neanche cinque ore dalla chiusura dei seggi contro i risultati che gli elettori hanno decretato. A loro viene concesso di ricevere, nel complesso, un quinto delle preferenze. E se reclamassero una poltrona in un futuro governo di centro-sinistra, sono sicuro che la otterrebbero senza problemi, come qui in Italia ha fatto il comunista Bertinotti per due anni buoni.
Ma che brutta copia della democrazia è questa? Non mi piace ragionare con il paraocchi. Non mi piace questo discrimine tra chi può essere votato e chi invece va bene solo quando nessuno lo conosce.
Oltretutto, quella dei burocrati di Bruxelles è una contraddizione in termini: è ammesso che si formino movimenti di una certa area di pensiero, è ammesso pure che essi si organizzino e arruolino nelle loro strutture di partito migliaia di persone. E’ ammesso che essi partecipino
alle elezioni e che ottengano quote consistenti di consensi (anche nel 1995 furono a milioni a votare il Fronte Nazionale, ma nessuno fiatò). Ma, attenzione! Se poi questo famigerato Le Pen supera la sinistra e si mette a ridosso di un centrodestra peraltro già in affanno, ecco che i tromboni arroganti e radical-chic di mezzo continente si esibiscono nei loro pezzi migliori. Ecco che tutti si indignano, lanciano allarmi e grida di soccorso, quasi la Francia fosse sull’orlo del regime, scendono in piazza a gridare e insultare.
Il mio disgusto, leggendo la pagina del Corriere, va dunque ad una destra che mai avrei auspicato arrivasse a tali risultati, ma anche ad una democrazia che non è democrazia. Una democrazia che con queste elezioni ha dato il peggio di sé. In tutti i sensi. FC
C&C
Franci
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Non si è davvero capito il come e il dove (per non parlare del perché) della democrazia in Europa. Lo dico da liberale convinto, da fervente democratico, da antifascista senza distinguo e senza esitazioni. Sono, insomma, uno che il signor Le Pen non lo voterebbe nemmeno sotto tortura.
Ma proprio perché liberale mi chiedo perché, dove e come in Europa vengano apportati i principi della democrazia.
Il Corriere della Sera dedica oggi sette dei suoi tredici spazi in prima pagina alla questione Le Pen, il caso che da un paio di giorni frigge le anime della sinistra e della destra moderata francese. Caso forse unico nella storia dell’Occidente dal dopoguerra.
Cosa è successo, in pratica, con le elezioni di domenica scorsa? Cosa è accaduto di tanto eclatante da fare saltare sulle sedie la metà dell’estabilishment europeo? E’ successo che in uno degli stati più politicamente e demograficamente importanti del nostro continente un partito di destra populista, negazionista (si vedano le sparate su Auschwitz “inconveniente della storia”), xenofobo e piuttosto intollerante, ha ottenuto i voti del 17% degli elettori, scavalcando anche quell’area socialista che per cinque anni è rimasta saldamente al potere.
E’ successo che milioni di Francesi hanno decretato che a sfidare Chirac per il secondo turno della corsa all’Eliseo non sarà il politicamente corretto Jospin, ma lo scorrettissmo leader del Fronte Nazionale.
Succede che a fronteggiarsi non saranno solo due candidati dai programmi diversi e dalle idee divergenti: saranno due concezioni del tutto diverse della società e dell’individuo. A confronto, due destre che in comune hanno ormai soltanto il nome: quella gollista di Chirac e quella, appunto, neo-vetero-post fascista di Le Pen.
Scontato è l’esito di questa tornata elettorale: vincerà, e con un buono scarto, il Presidente uscente, che va verso una sicura riconferma con l’appoggio di quasi tutta la sinistra.
Il commento a questa paradossale situazione non può che essere di fastidio. Quasi di vergogna, anche se la vergogna la provo non tanto per coloro che hanno sostenuto l’estrema destra, quanto piuttosto per i leader dello schieramento democratico che altro non hanno saputo fare se non litigare e riempire la testa della gente di inutili chiacchiere.
Ma preferirei evitare la sequela di banalità che circola in queste ore per pormi una domanda che va al di là delle frasi fatte sui valori della tolleranza, della moderazione, dell’antifascismo, eccetera. Valori in cui credo, per carità, ma che stanno venendo spogliati di qualsiasi significato, con l’uso smodato e inopportuno che ne viene fatto.
La domanda è: la libertà la si applica sempre o quando le circostanze lo permettono? La democrazia vale soltanto con chi democratico lo è comunque, e nel midollo, o anche con il signor Le Pen? In fondo, non è stato attraverso la democrazia e le regole democratiche che egli è arrivato dove è ora? O che forse gli elettori valgono soltanto se avallano il progetto di uno dei leader moderati?
E siccome di domande ne ho fatte più d’una, mi si conceda lo spazio per porne un’altra, penso ancora più importante. Perché Le Pen no e i marxisti sì? Abbiamo visto una galleria di inquietanti capi di lotta operaia, a queste fantomatiche elezioni. La “gauche plurielle”, quella, per intenderci, che riunisce tutte le forze della sinistra, prevede accordi anche con questi loschi figuri. E in cosa essi differiscono dai fascisti lepeniani? Forse dicono qualche bugia in più, ma nella sostanza rimangono estremisti quanto gli altri. Portano avanti un progetto politico vecchio di cinquant’anni, al quale hanno dato qualche spolveratina per l’occasione, che persegue la lotta di classe così come quello di Le Pen persegue la lotta agli immigrati.
Eppure, a loro viene concesso di manifestare apertamente nelle piazze a neanche cinque ore dalla chiusura dei seggi contro i risultati che gli elettori hanno decretato. A loro viene concesso di ricevere, nel complesso, un quinto delle preferenze. E se reclamassero una poltrona in un futuro governo di centro-sinistra, sono sicuro che la otterrebbero senza problemi, come qui in Italia ha fatto il comunista Bertinotti per due anni buoni.
Ma che brutta copia della democrazia è questa? Non mi piace ragionare con il paraocchi. Non mi piace questo discrimine tra chi può essere votato e chi invece va bene solo quando nessuno lo conosce.
Oltretutto, quella dei burocrati di Bruxelles è una contraddizione in termini: è ammesso che si formino movimenti di una certa area di pensiero, è ammesso pure che essi si organizzino e arruolino nelle loro strutture di partito migliaia di persone. E’ ammesso che essi partecipino
alle elezioni e che ottengano quote consistenti di consensi (anche nel 1995 furono a milioni a votare il Fronte Nazionale, ma nessuno fiatò). Ma, attenzione! Se poi questo famigerato Le Pen supera la sinistra e si mette a ridosso di un centrodestra peraltro già in affanno, ecco che i tromboni arroganti e radical-chic di mezzo continente si esibiscono nei loro pezzi migliori. Ecco che tutti si indignano, lanciano allarmi e grida di soccorso, quasi la Francia fosse sull’orlo del regime, scendono in piazza a gridare e insultare.
Il mio disgusto, leggendo la pagina del Corriere, va dunque ad una destra che mai avrei auspicato arrivasse a tali risultati, ma anche ad una democrazia che non è democrazia. Una democrazia che con queste elezioni ha dato il peggio di sé. In tutti i sensi. FC