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Tomás de Torquemada
14-05-02, 22:14
Dal sito http://digilander.iol.it/ovnidomus/

Megaliti e miti dell'antica Inghilterra
Templi del Dio Sole, antichi osservatori astronomici?

di Antonio Manera

Il triangolo magico formato da Glanstonbury-Avebury-Stonehenge, sito nel sud dell'Inghilterra, è una delle zone più interessanti e misteriose del mondo. Le campagne e le colline delle contee di Hampshire, Wiltshire, Somerset e Dorset sono oggi il centro mondiale del fenomeno dei pittogrammi nel grano ma sono anche i luoghi dei miti e delle leggende celtiche: re Artù, i cavalieri della Tavola Rotonda, il Santo Graal. Testimoni e intermediari tra la storia e la leggenda sono i tanti megaliti ultramillenari che si trovano in questi luoghi. I megaliti sono composti di enormi pietre, a volte informi, a volte squadrate, che le antiche culture nord europee erigevano per scopi non ancora del tutto chiari. Questi popoli non hanno lasciato testimonianze scritte e solo l'archeologia moderna, pur fra notevoli difficoltà, consente, in parte, di dare una spiegazione sul motivo dell'edificazione di questi complessi.

Quello di Stonehenge (letteralmente "la pietra sospesa") in piena campagna del Wiltshire, 12 km a nord di Salisbury, è senza dubbio il più famoso complesso megalitico del mondo. È formato da un cerchio di 30 monoliti e alcuni triliti. L'opera era, forse, destinata al culto solare. Sebbene alcuni ritengono che risalga al 3500 a. C., la maggior parte dei ricercatori ritiene che la parte più antica sia stata costruita attorno al 2800 a.C. I massi proverrebbero da una cava sita sulla costa occidentale del Galles, a 220 chilometri di distanza in linea d'aria, pari a 380 chilometri di strada carrabile, dal luogo in cui fu eretta Stonehenge. Appena fuori dall'entrata di questo complesso venne eretta anche la prima pietra verticale, la "Heelstone" (la pietra del sole, dal celtico heol = sole). Dalle Prescelly Mountains (nel nord del Galles) furono trasportati 80 massi di turchese, dapprima per via marittima, poi per via fluviale a bordo di enormi zattere. I blocchi furono quindi trascinati (probabilmente facendoli scorrere su rulli) per tutto il percorso che conduceva a Stonehenge, dove vennero eretti a formare due cerchi concentrici. Un'altra opera titanica fece seguito a breve distanza da questa. I massi di turchese furono rimossi per far posto ad altri enormi blocchi di pietra, pesanti circa 25 tonnellate, trasportati dal nord del Wiltshire. Questi ultimi, attualmente visibili nel complesso, vennero sistemati collocando una pietra orizzontale a guisa di architravi sopra due pietre verticali originando così i triliti (vale a dire composti da tre pietre). I triliti vennero sistemati a formare esternamente un cerchio e internamente un ferro di cavallo, disposizione ancora oggi riconoscibile. Circa 1500 anni dopo la prima costruzione, all'interno del cerchio di pietre, di fronte a uno dei triliti, venne posta quella che oggi è conosciuta come la "Pietra dell'Altare", un grosso masso di arenaria verde, anch'esso proveniente dal Galles. Gli studiosi sono concordi nel sostenere che Stonehenge venne abbandonata attorno al 1.000 a.C. Perso anche il ricordo della civiltà che lo aveva realizzato, il monumento cominciò a decadere inesorabilmente e lo scopo per cui era stato costruito divenne un vero e proprio enigma. L'opera venne riscoperta soltanto nel XVII secolo, da re Giacomo I, il quale, durante un soggiorno nell'attuale Wiltshire, fu incuriosito da quel gruppo di pietre che, si diceva, erano lì fin dalla notte dei tempi.

Secondo una lettura geomantica del luogo (ovvero la divinazione del futuro mediante l'osservazione di segni particolri tracciati in terra) questo posto è "l'ombelico dell' Inghilterra", poiché effettivamente sorge all'incrocio di tre antichissime "vie reali" inglesi: la Harroway, la South Down Ridgeway e la Icknield Way, strade che attraversano il paese da Ovest a Est e da Nord a Sud da prima ancora dell'arrivo dei Romani. Alcuni archeologi suppongono che Stonehenge fosse un luogo centrale di culto simile a quelli greci di Delfi o Eleusi, verso i quali i fedeli affluivano in occasione delle feste, durante le quali ne venivano celebrati i misteri. Si pensa che a Stonehenge le solennità fossero presiedute da una dinastia di alti sacerdoti o di arcidruidi, di cui l'ultimo rappresentante sarebbe, secondo la leggenda, mago Merlino.

Nel suo libro The Geomantic of Atlantis il filosofo John Mitchell sostiene che Stonehenge sia stata eretta secondo un sistema di "geometria sacra", come più tardi doveva avvenire per la cattedrale di Glastonbury. A suo giudizio non si tratta solo di un tempio del Sole e della Luna, ma di un "Modello dell'Universo"; sarebbe un tempio cosmico dedicato alle dodici divinità dello Zodiaco, rappresentando quindi la perfetta e completa immagine dell'Universo. Certo è che i costruttori di Stonehenge possedevano notevoli conoscenze e una grande abilità: il megalito è stato costruito in modo tale che nel giorno del solstizio d'estate, al centro del cerchio di pietre, il sole appare sopra lo "Heelstone" e avanza lungo l'asse del tempio, penetrando nel santuario interno, forse inteso a quei tempi come "orifizio femminile". In questo modo avvenivano le "nozze sacre" fra il Cielo e la Terra. Da questa unione nascevano energie che, irradiandosi lungo le "leylines", che sono le vie percorse dalle energie della Terra, giungevano in ogni parte del mondo, rinnovandone la fecondità.

A nord di Stonehenge sorge Avebury, un santurio della preistoria ancora più antico, risalente forse a 2000 anni prima dell'osservatorio di Stonehenge. Si trova al centro del più gigantesco complesso di viali e cerchi costruiti con le pietre e, nell'insieme, sembra un serpente che attraversa il disco del Sole. Molti dei poderosi monoliti di Avebury arrivano a pesare 60 tonnellate e hanno dimensioni maggiori delle abitazioni costruitevi dentro e intorno, che formano il piccolo villaggio omonimo. Al cerchio centrale conducono dei viali pavimentati con enormi pietre, simili a volti umani. Al centro sorgeva Silbury Hill che, con i suoi 45 metri costituisce la più grande collina di culto eretta da mani umane in Europa. Silbury Hill è sorta attorno al 2600 a.C. e, in un primo tempo, aveva l'aspetto di una piramide conica a sette strati digradanti. Né di essa né del complesso megalitico si conoscono fino ad oggi le funzioni e il significato. Di sicuro si sa soltanto che non può trattarsi di un tumulo funerario, perché sia gli scavi effettuati, sia i più moderni sondaggi elettronici non hanno rivelato la presenza di scheletri umani e di corredi mortuari. In compenso, già ai primi del secolo Moses Cotsworth, nel suo The Rational Almanac, affermava che analizzando le ombre che cadono sulla pianura a nord della collina, Silbury Hill poteva essere utilizzata in modo ottimale come osservatorio del Sole. In effetti il meridiano del monumento interseca la chiesa di Avebury che sorge sul lato opposto della vasta pianura, costruita a sua volta sul basamento di una cappella sassone del IX secolo. Al IX secolo pare risalga anche il fonte battesimale della chiesa, decorato con un particolare motivo ornamentale: vi è raffigurato un vescovo che scaccia due draghi alati con il suo bastone pastorale. Nel Medio Evo il drago rappresentava il paganesimo, in quanto i pagani lo adoravano come simbolo delle energie della Terra. I cristiani sugli antichi luoghi di culto pagani hanno eretto chiese e cappelle consacrate a San Michele, il mitico eroe che sconfisse e uccise il drago. Le leggende dei draghi quindi sono parte integrante del folclore del Wiltshire, alcune di esse narrano di semplici cittadini usciti vincitori dalla lotta con il drago e in molte chiesette di paese sono conservate da secoli le reliquie di tali uccisioni, per lo più lance e spade in pesante ferro. Ancora oggi le antichissime "linee dell'energia" che attraverserebbero la regione sono dette, nel gergo popolare, "vie del drago" e la fossa di Avebury, è chiamata "fossa del drago". Sulle armi si trova inciso di frequente il "drago sulla ruota", un simbolo che ricorda un po' l'aspetto originario del complesso in pietra di Avebury. Quest'ultimo, evidentemente, poteva essere anche un tempio dedicato al drago, il che spiegherebbe la sua struttura serpentiforme.

Uno dei primi studiosi di Avebury è stato l'archeologo massone William Stukeley, notevole personalità del XVIII secolo. Egli era convinto che gli antichi Druidi avessero fondato Avebury al fine di farne un paesaggio sacro, e i templi e le statue non erano altro che la rappresentazione dei loro dèi. Tali opere sarebbero state ben più durature di altre meno antiche; in effetti opere come il tempio d'oro di Salomone, la torre di Babele di Babilonia, il tempio di Diana a Efeso, il Giove capitolino a Roma sono andati distrutti, mentre i resti giunti fino a noi di Avebury - pur essendo più antica di tutti questi colossi - sono più che sufficienti per dare all'uomo moderno la stessa impressione che faceva ai suoi antenati..

Come Avebury, anche Glastonbury è situata su una delle antiche "linee di energia", e precisamente quella di St. Michael, che al tempo collegava i centri più importanti, da un capo all'altro dell'Inghilterra, dalla Cornovaglia a Occidente, all'Hopton l'Essex, ad Est. Glastonbury è la mitica Avalon della leggenda di re Artù, il re della Britannia celtica vissuto forse nel VI sec. Le sue vittorie contro i Sassoni ne fecero un personaggio leggendario intorno al quale s'imperniò il ciclo dei cavalieri della Tavola rotonda, alla cui rinascita in questo secolo ha contribuito in misura cospicua Marion Zimmer Bradley, con i suoi romanzi così ricchi di notizie.

Nel Medio Evo Glastonbury era la più importante meta di pellegrinaggi di tutta la Gran Bretagna. L'abbazia sorgeva al centro della città ed era stata costruita, secondo la leggenda, sopra una chiesa fondata da Giuseppe da Arimatea nel 37 d.C. Sul luogo si venera ancora oggi un arbusto spinoso, che dovrebbe discendere da un germoglio del bastone di Giuseppe che il santo era solito conficcare nel terreno quando pregava. Sta di fatto che il "Rovo di Glastonbury", a detta dei botanici, appartiene a una specie originaria della Palestina ma sconosciuta in Europa. Avrebbe dunque la leggenda un fondamento di verità? Nel VII secolo San Patrizio andò in visita ai monaci di Glastonbury, discendenti di quelli cui Giuseppe di Arimatea aveva evangelizzato. Il santo ne trovò la tomba, ancor oggi venerata, e su questa fece costruire una chiesa più grande, tutta in legno e artisticamente decorata, che resistette fino al XII secolo, quando un catastrofico incendio la ridusse in cenere. Allora i monaci sopravvissuti decisero di ricostruirla in pietra e più sontuosa di prima, con annessa abbazia. Durante i lavori, fu riportata alla luce una croce tombale su cui era incisa una scritta in latino: "HIC IACET INCLITUS REX ARTURIUS IN INSULA AVALONIA" (Qui nell'isola di Avalonia è sepolto il famoso re Artù). Mentre della croce di piombo, dopo tanti secoli, non è rimasta traccia, la tomba esiste tuttora e si può ancor oggi visitare. È sopravvissuta perfino alla distruzione dell'abbazia, avvenuta nel 1539, per volere del re Enrico VIII, che non tollerava in seno alla sua riforma anglicana quel santuario cristiano, meta di tanti pellegrinaggi.

Avalon (letteralmente "l'isola delle mele") nel VI secolo era veramente un'isola circondata da laghi e acquitrini che più tardi furono prosciugati. Tra le tante leggende che vivono in questi luoghi anche quella relativa alla cima del monte Tor, sul quale nel Medio Evo era stata eretta un cappella consacrata a San Michele, ritenuta la porta d'ingresso al Cielo, ovvero la via di passaggio verso il mondo dell'oltretomba o di un'altra dimensione. Il Tor, più un colle che un monte con i suoi 170 metri di altezza, è una specie di piramide di epoca anteriore alla venuta dei Celti, di forma allungata e in perfetto allineamento con la "linea di St. Michael" che punta diritta su Avebury. Non essendo mai stati effettuati scavi sul Tor, finora, non si sa se l'intero monte sia stato costruito artificialmente, ammucchiando terra scavata altrove o se il lavoro sia consistito semplicemente nello scolpire a terra un'altura preesistente. In ogni caso, se da lontano può sembrare una piramide a gradini, da vicino si accorge che a darle tale aspetto sono sentieri che si avvolgono a spirale verso l'alto, con brevi deviazioni tortuose, come un labirinto.


Ricerche e ipotesi sui megaliti

Agli inizi del Novecento l'astronomo inglese sir Joseph Norman Lockyer pubblicò un'opera intitolata Stonehenge e altri megaliti in Inghilterra. Nel libro egli sosteneva che molti cerchi megalitici inglesi erano curiosamente orientati nella direzione del Sole e di altre stelle. Lokyer si era già dedicato allo studio degli allineamenti astronomici dei monumenti antichi e aveva condotto ricerche sulle piramidi egizie, anch'esse orientate con il Sole. L'opera dello scienziato inglese conteneva molte imprecisioni ma spianò la strada ad altri ricercatori che si cimentarono nella disciplina, relativamente recente, chiamata astroarcheologia. Tra questi Gerald Hawkins, professore di astronomia presso l'università di Boston, il quale sviluppò negli anni Sessanta una teoria basata su rigorosi calcoli matematici. Secondo Hawkins, Stonehenge era un sofisticatissimo strumento per osservare il cielo. Una sorta di osservatorio utilizzato per eseguire calcoli astronomici, in pratica un computer di pietra. Con l'aiuto di un moderno calcolatore, l'astronomo decodificò la posizione della Luna, del Sole e delle stelle come dovevano essere nel 1500 a.C., mettendo in relazione la posizione di alcuni massi con il sorgere del Sole a metà inverno, o con i tramonti della Luna. Di conseguenza la struttura di Stonehenge poteva essere utilizzata anche per prevedere le eclissi lunari e solari. Ma non era tutto, attraverso questra struttura gli antichi abitanti della regione potevano sapere la posizione delle stelle nei vari periodi e quindi conoscere le date più importanti dell'anno.

Il professor Richard Atkinson, dell'università di Cardiff, in un primo tempo sottovalutò le scoperte del collega di Boston, liquidandole come fantasie ma, in seguito, cambiò idea, pur continuando a sostenere che era difficile accettare l'idea che in pieno Neolitico una civiltà in Europa possedesse conoscenze astronomiche e matematiche così profonde. A quell'epoca infatti, solo in Medio Oriente sarebbero esistite civiltà abbastanza evolute. L'Europa avrebbe dovuto essere ancora in uno stadio molto vicino alla barbarie, ma evidentemente non era cosi. Nel 1976 il dottor Euan MacKie, dell'Hunterian Museum di Glasgow, scoprì presso Durrington Walls, un sito preistorico vicino a Stonehenge, tracce di un insediamento vecchio di 4500 anni, che attesterebbe la presenza di uomini organizzati in una società più evoluta di quelle del resto della regione. Una società di uomini che potrebbe essere l'autrice dei megaliti. Resta il mistero di come facessero i costruttori di megaliti a tramandare le loro conoscenze senza conoscere la scrittura. A questo proposito Richard Atkinson ipotizza che le nozioni astronomiche e matematiche venissero tramandate oralmente. E qui entrano in gioco i Druidi, i sacerdoti degli antichi popoli celtici della Gallia, della Britannia e dell'Irlanda, che, secondo quanto ci riferisce anche Giulio Cesare (giunto in Britannia 1500 anni dopo l'ultima costruzione di Stonehenge), avevano notevoli capacità mnemoniche che utilizzavano per trasferire oralmente ai propri discepoli il loro patrimonio di conoscenze. L'ipotesi che i Druidi potessero essere gli eredi degli antichi costruttori di megaliti potrebbe avere qualche fondamento. Purtroppo, della loro cultura si sono conservati solo dei frammenti.

Osservatorio astronomico, tempio dei Druidi o luogo di mistero - qualunque cosa sia stata un tempo Stonehenge - "in un certo senso sono la stessa cosa", sostiene l'archeologo, professor Atkinson. "Stonehenge è principalmente un tempio, quindi una struttura in cui gli uomini di allora riuscivano a mettersi in contatto e a comunicare con esseri o forze extraterrestri." Indipendentemente dal modo in cui il professor Atkinson è giunto a questa convinzione, sorprende che, proprio nel cielo sovrastante il cerchio di pietre, vengano oggi spesso avvistate misteriose luci e dischi luminosi. Quale collegamento dunque esiste tra queste antiche civiltà e il fenomeno degli UFO? C'è chi ha voluto associare le conoscenze dei Druidi ad antichi contatti con extraterrestri, portando come prova il disegno inciso sul suolo del "Cavallo Bianco" di Uffington, nel Berkshire, in Inghilterra. Un'immagine visibile solo dall'alto, realizzata scavando il terreno sino in profondità. Analoghi disegni sono presenti in altre zone dell'Inghilterra, alcune rappresentanti figure umane. Il fatto che siano visibili solo dall'alto è forse un tentativo di comunicazione con il cielo, come per i disegni di Nazca in Perù? Ed è questa anche la funzione dei megaliti, essere un "mezzo di contatto" tra Cielo e Terra? Probabilmente un ipotesi priva di fondamento, ma anche nelle cultura e nelle leggende celtiche esistono tracce di presunti contatti con esseri provenienti da altri mondi.

Nel Libro delle Conquiste, un antichissimo manoscritto irlandese, si narra che "in un giorno di maggio, dall'altra sponda dell'oceano arrivò la stirpe dei Tuatha dè Danan". I nuovi venuti fecero dono ai nativi di oggetti atti a favorirne lo sviluppo e di armi magiche, fra cui la spada Nuadu, la lancia di Lug e la conca di Dagda. Non è improbabile che si tratti di armi assimilabili a quelle narrate nel Mahabharata e in tutta la letteratura vedica. Il manoscritto afferma che alcuni Tuatha dè Danan fossero arrivati a bordo di apparecchi volanti, come Re Bran, sceso da "un velivolo che non sfiorava mai l'acqua", o come suo fratello Manannan che si spostava "su una barca senza remi e senza vela". A questo proposito altre tradizioni irlandesi accennano all'antigravità. Esse parlano dei tempi in cui "gli uomini percuotendo l'astre d'oro potevano volare leggeri nell'aria, trasportati dal suono". Le antiche cronache parlano anche della Roth Ramrach, un'enorme ruota con mille giacigli in ognuno dei quali stava un uomo, e che poteva trasportare mille uomini per terra e per mare. Forse in queste cronache non c'è niente di storico e si riferiscono unicamente alle credenze e alle aspettative degli antichi uomini della regione, ma la descrizione di questi veivoli non può non ricordarci i fenomeni avvistati oggi nei cieli di tutto il mondo.

Ancora più esauriente è Ecateo di Abdera (300 a.C. circa): "Di fronte alla terra dei Celti [l'attuale Francia], in mezzo all'attiguo Oceano del Nord, sorge un'isola più o meno grande come la Sicilia. Su quest'isola c'è un magnifico boschetto sacro, dedicato al dio Sole, con nel mezzo un singolare tempio a pianta circolare. Nei tempi antichi, ogni dodici anni, cioè quando in cielo Sole e Luna si trovavano nella stessa posizione, Apollo faceva la sua visita all'isola". Non riesce difficile identificare in quel circolare "Tempio al Sole" Stonehenge. E per finire nel suo Gli Dei dello Spazio Raymond Drake rifacendosi ad una cronaca dello storico greco Diodoro Siculo, scrive: "Si diceva che il sacerdote Abaris l'iperboreo, proveniente da un'isola nell'oceano Atlantico, volasse per il cielo sulla freccia di Apollo e che non toccasse mai cibo terrestre". Questa descrizione sembra coincidere con quella di un extraterrestre su un'astronave. Ma l'accenno all'isola nell'oceano Atlantico e altri indizi concorrono a ipotizzare che la Britannia fosse invece una colonia della mitica Atlantide. Secondo alcuni ricercatori potrebbe essere stata proprio la civiltà atlantidea a lasciare le sue tracce nei templi megalitici della zona. Ma anche quest'ultima ipotesi non sembra avere molto seguito, soprattutto tra i ricercatori più ortodossi e contrari alle suggestive teorie dei sostenitori della "paleoastronautica".


Il fenomeno moderno: i pittogrammi

Attorno ai cerchi di pietre e ai tumuli dei britannici antenati dei Druidi, apparvero, a partite dagli anni Settanta, impressi sui campi di grano maturo o sull'erba alta dei prati più rigogliosi, segni e simboli misteriosi. Questi fenomeni ebbero inizio a Warminster, cittadina situata ai piedi della Cley Hill, al centro del triangolo Glastonbury-Avebury-Stonehenge. La città è circondata da sei colline, che portano nomi significativi, come "Heaven's Gate" (Cancello del Cielo), "Lord's Hill" (Collina del Signore"), "Jacob's Ladder" (Scala di Giacobbe"), "Star Hill" (Collina delle Stelle) o "Cradle Hill" (Collina della Culla). L'ondata di apparizioni UFO su Warminster sembrò quasi un preludio del fenomeno dei pittogrammi. Essa ebbe inizio la notte di Natale del 1964 quando Rachel Attwell, moglie di un pilota dell'aeronautica, destata da un forte rimbombo, si alzò dal letto e notò alla finestra, sospeso nel cielo notturno, un oggetto volante sigariforme "più luminoso di una stella". In quella stessa notte Roger Rump, capo del locale ufficio postale venne bruscamente strappato dal sonno. "Balzai a sedere sul letto allarmatissimo, con l'impressione che le tegole del tetto fossero divelte con violenza e trascinate giù lungo la Hillwood Lane", riferiva Rump più tardi ad Arthur Shuttllewood, redattore del Warminster Journal. Uno shock analogo lo subì anche una casalinga, mentre entrava in chiesa e, due settimane dopo, i vicini di Rump furono svegliati di soprassalto da un fracasso che faceva pensare a "sassi o pezzi di carbone che rotolassero giù per i muri della casa". In seguito cominciarono a manifestarsi strani fenomeni. Alcune persone del luogo riferirono di avere dei disturbi mentali, altri addirittura di aver avuto delle visioni mistiche. Chi osservava il cielo poteva assistere al passaggio di luci colorate che, a grande velocità, eseguivano manovre bizzarre.

Nell'agosto 1965 Gordon Faulkner, allora operaio di una fabbrica, ebbe la fortuna di poter riprendere in volo un corpo metallico volante a forma di disco. Consegnò poi la foto al Warminster Journal che la passò al più noto quotidiano Daily Mirror per la pubblicazione. Un mese più tardi fu lo stesso Shuttlewood a scorgere con i propri occhi, dalla finestra della redazione, un enorme oggetto a forma di sigaro, splendente di luci bianche e gialle, che attraversava il cielo. Da quel giorno in poi raccolse tutte le notizie che riguardavano avvistamenti di UFO nella zona, pubblicandole sul suo giornale. Nel solo mese di settembre del 1965 Shuttlewood venne a sapere che oltre duecento suoi concittadini avevano avuto degli avvistamenti. Le notizie di avvistamenti di UFO a Warminster rese note dal giornale locale attirarono l'attenzione di turisti e ufologi che affluirono in massa nel Wiltshire. Un esperienza particolare fu vissuta dai londinesi Steve Evans e Roy Fisher; accanto ai numerosi avvistamenti di UFO, furono testimoni di un incontro ravvicinato molto particolare. Si verificò nel 1971 mentre stavano sulla cima della Cradle Hill, con gli occhi fissi al cielo. "Un campo di energia serpeggiò come un fulmine attraverso l'erba, con un forte crepitio simile a quello che emette l'elettricità statica", così descrisse poi Evans quell'esperienza. "Zigzagò tino ai piedi di Roy, lasciando dietro di sé traccia del percorso fatto, poi compì un brusco scarto a destra. Le pecore che pascolavano sul prato, girarono su se stesse al suo passaggio. Ai primi chiarori dell'alba, vedemmo che la parte d'erba schiacciata formava un disegno, come di traccia lasciata dall'atterraggio di un corpo pesante." Non era che l'inizio. L'anno successivo, nel 1972, fu scoperto il primo cerchio nel grano. Un fenomeno che doveva segnare l'inizio di una serie di apparizioni che negli anni successivi si sarebbero verificate con sempre maggiore frequenza in questa regione, divenendo il più sbalorditivo mistero dei nostri tempi.

Tomás de Torquemada
21-07-02, 20:36
Dal sito http://www.celticavda.com/

Oltre il Cerchio di Pietre di Stonehenge

Il territorio europeo è disseminato di realizzazioni megalitiche spettacolari ed enigmatiche. Il numero di tali imponenti monumenti in pietra è elevatissimo ed esistono numerosi siti che sono poco nooti al grande pubblico, ma che non hanno nulla da invidiaree alle località più celebri, e meglio sfruttatte turisticamente.

I megaliti sono, come dice il nome, delle strutture formate da pietre enormi; infatti l'espressione deriva dal greco megas, grande, e lithos, pietra. Possono presentare forme e strutture differenti, però, essenzialmente, possiamo ricondurre tutti i megaliti ad alcuni tipi fondamentali che esamineremo in dettaglio. Il megalite più semplice e più diffuso è il menhir, una pietra grezza o appena sbozzata, infissa nel terreno.

Il nome deriva dal bretone men (pietra) e hir (lunga). Tuttavia, localmente, possono sopravvivere altre espressioni per indicarli, quali l'arcaico peulven, diffuso in Bretagna, o il termine monaco, usato in Corsica. Si rinvengono molti tipi di menhir, di dimensioni, funzioni e forme diverse. Alcuni possono presentare un'altezza di pochi decimetri, altri possono ergersi sul terreno per una decina di metri. Il Grand Menhir Brisé, che si trova in Bretagna, è attualmente abbattuto e spezzato in quattro parti, ma, all'origine, doveva superare i venti metri di altezza.

Esistono, ancora eretti, menhir di notevole altezza: quello inglese di Bridlington (Yorkshire) di 7,5 metri, e quello Bretone di Kerolas (Finistère), che supera i 12 metri.

Si attribuisce il nome di stele a una pietra eretta larga e sottile, spesso lavorata e decorata. Le stele vengono definite antropomorfe quando sono lavorate in modo tale da presentare un profilo che vuole rappresentare una figura umana. Il nome di allineamento è riservato a una serie di menhir, o più raramente di stele, disposti su una o più file. I nomi più noti sono quelli bretoni, ma ne esistono in Scozia, in Irlanda, in Sardegna e in Valle d'Aosta.

A volte i menhir vengono disposti in circolo, a semicerchio o a ellisse, e allora si attribuisce a tale struttura il nome di cromlech. Il nome viene dal bretone croum, curva, e lech, pietra sacra. Il più grande è quello di Avebury (Wiltshire) che presenta un diametro di oltre 360 metri. Il più notocromlech italiano è quello del passo valdostano del Piccolo San Bernardo. Talvolta i cromlech possono presentare lati rettilinei, come nel caso di quello rettangolare di Crocuno (Bretagna).

Il secondo tipo fondamentale di megalite è il dolmen. Un dolmen è formato da più lastre: un certo numero di esse è infisso nel terreno, in modo da fare da sostegno a una o più tavole di copertura. Nella sua forma più semplice è formato da tre lastre verticali (pilastri, o ortostati) che ne sostengono una quarta (tavola). Il nome viene dal bretone dol, tavola, e men, pietra.

I dolmen possono anche essere molto elaborati. Alcuni presentano ina serie di lastre vericali, affiancate e di altezza idotta, che conducono alla camera del dolmen vero e proprio: a tali lastre si dà il nome di corridoio. Altri possono avere delle camere laterali più piccole, collegate o meno con la camera principale. La pianta di un dolmen può assumere forme diverse: nel caso più semplice è quadrata o rettangolare, ma esistono dolmen con i lati non paralleli, altri che presentano una pianta complessa, altri ancora che sono piegati a gomito, particolare che fa sospettare l'esistenza di momenti diversi di realizzazione dell'opera.

Localmente il termine dolmen può essere sostituito dall'espressione dyser, in Danimarca, mamra o anta in Portogallo, tola o tavola in Corsica. Generalmente il corridoio di un dolmen è più stretto della camera, ma nel caso in cui il corridoio e la camera non siano differenziati, si attribuisce al megalite il nome di allée couverte.Esistono anche strutture megalitiche formate semplicemente da una lastra infissa verticalmente nel terreno, sulla quale viene appoggiata l'estremità di un'altra grande lastra: a una struttura di questo tipo si riserva il nome di semidolmen. Sopra i dolmen veniva spesso realizzato un grande terrapieno a base circolare, al quale si dà il nome di tumulo. Se la copertura era invece assicurata da un muccio di pietre, spesso regolari e ben squadrate, si parla allora di cairn, ma bisogna ammettere che spesso le espressioni tumulo e cairn vengono usate con una certa disinvoltura, quasi come sinonimi.

I dolmen erano a volte realizzati a coppie o a gruppi, ricoperti o meno da tumuli. E' opportuno ricordare come raramente le strutture megalitiche venissero realizzate singolarmente. Ci si trova così in presenza di grandi aree megalitiche nelle quali si individuano menhir, dolmen e allineamenti, generalmente raccolti in una unica area sacra.

Talvolta essi erano legati da significati specifici, spesso di carattere astronomico. Recentemente, infatti, l'archeoastronomia, scienza che studia le conoscenze di astronomia delle popolazioni antiche, e le relative connessioni con la vita religiosa e sociale dell'epoca, ci ha consentito di capire che spesso le direzioni individuate dai megaliti (un allineamento o l'asse di un dolmen, per esempio) erano tutt'altro che casuali e andavano invece a indicare alcuni punti dell'orizzonte nei quali si verificavano particolari fenomeni astronomici.

Gli orientamenti più comuni riguardavano i punti del sorgere, o del tramontare, del sole in date particolari, come gli equinozi e i solstizi, oppure i punti estremi raggiunti dalla luna nel suo moto complesso. Così i megaliti erano, a volte, utilizzati come veri e propri osservatori astronomici ; altre volte, invece, erano orientati su pinti particolari dell'orizzonte per morivi rituali. Infatti, nell'antichità, si era venuta lentamente a costruire una sorta di religione astrale.Naturalmente le interpretazioni astronomiche non tolgono nulla alle ipotesi tradizionali.

Un menhir poteva evidentemente presentare un significato territoriale, delimitando un'area nella quale dominava il gruppo. Esso poteva anche rappresentare una sorta di monumento commemorativo, indicare il luogo di una battaglia, oppure poteva essere ogetto di culto. Ancora nel medioevo a molti megaliti venivano attribuite capacità specifiche e talvolta si celebravano veri e propri riti nelle loro vicinanze. Ai dolmen, poi, è innegabile attribuire un diffuso utilizzo funerario. L'importanza delle strutture megalitiche emerge ancora più prepotentemente se si pensa agli sforzi tecnici che richiedevano realizzazioni di tale portata.

I pilastri di Stonehenge, per esempio, sono stati trasportati da più di 40 chilometri di distanza, opera ciclopica, per l'epoca. In Europa esistono alcune aree nelle quali i megaliti sono particolarmente numerosi o spettacolari, ma esistono anche luoghi meno noti, nei quali si rinvengono strutture sorprendenti che meritano sicuramente una visita. Così, quando si parla della Francia, viene spontaneo pensare alla Bretagna, quando invece il dipartimento francese che rappresenta il maggior numero di manhir, quasi mezzo migliaio, è il lontano Aveyron.

Infine bisogna ricordare che i megaliti venivano considerati nel passato opera di fate o di giganti e dimora di nani o di altri esseri fantastici. Così l'innegabile fascino di queste pietre millenarie si aggiunge all'alone di leggenda che li circonda e che spesso è ancora vivo nelle tradizioni locali di alcune aree. Prima che il mondo scientifico riconoscesse la natura preistorica dei megaliti, essi vennero attribuiti ai Romani o ai Celti, come testimonia il nome di alcuni monumenti, come il Cordon des Druides (Fougères).

Guido Cossard
(Keltika n. 6 anno II)

Silvia
04-08-02, 14:17
Originally posted by Tomás de Torquemada

Nel suo libro The Geomantic of Atlantis il filosofo John Mitchell sostiene che Stonehenge sia stata eretta secondo un sistema di "geometria sacra", come più tardi doveva avvenire per la cattedrale di Glastonbury. A suo giudizio non si tratta solo di un tempio del Sole e della Luna, ma di un "Modello dell'Universo"; sarebbe un tempio cosmico dedicato alle dodici divinità dello Zodiaco, rappresentando quindi la perfetta e completa immagine dell'Universo. Certo è che i costruttori di Stonehenge possedevano notevoli conoscenze e una grande abilità: il megalito è stato costruito in modo tale che nel giorno del solstizio d'estate, al centro del cerchio di pietre, il sole appare sopra lo "Heelstone" e avanza lungo l'asse del tempio, penetrando nel santuario interno, forse inteso a quei tempi come "orifizio femminile". In questo modo avvenivano le "nozze sacre" fra il Cielo e la Terra. Da questa unione nascevano energie che, irradiandosi lungo le "leylines", che sono le vie percorse dalle energie della Terra, giungevano in ogni parte del mondo, rinnovandone la fecondità.





Una mattina dell’anno 1920, un uomo d'affari inglese percorreva con la sua automobile le strade dell'Herefordshire quando, guardando una mappa, rimase folgorato da un'intuizione: un buon numero di siti preistorici, per lo più composti da imponenti megaliti, e molti altri antichi edifici di culto, sembravano allinearsi secondo precise linee diritte. Quest’uomo era Alfred Watkins, che teorizzò per primo le cosiddette ley lines.
Le ley lines sono invisibili canali all'interno dei quali confluirebbe una potente forza mistica e, nei punti in cui si incrociano, sorgerebbero antichi templi e monumenti funebri pagani (Stonehenge, Silbury Hill, Avebury, Glastonbury sono tutti situati lungo questa traiettoria).
Sotto questi "sentieri di energia", scorrerebbero spesso acque sotterranee o sarebbero presenti filoni di minerali metallici… I luoghi fatati, stregati o diabolici delle tradizioni popolari si troverebbero in molti casi lungo questo percorso.
Le ley lines si sarebbero successivamente dilatate fino a ricoprire come un’invisibile griglia tutta la superficie del pianeta, congiungendo i luoghi misteriosi della terra e creando un sorta di geografia sacra, che faceva parte del sapere occulto custodito dagli iniziati. A questi luoghi, collegati tra loro da arterie di energia cosmotellurica, sono da sempre attribuiti poteri straordinari: erano ricercati da Templari ed alchimisti e gli stessi Cavalieri della Tavola Rotonda si servivano delle virtù taumaturgiche delle pietre di Stonehenge per guarire malattie, rigenerare ferite e ridare energia.



http://www.silviadue.net/vari/hill3.jpg

Silbury Hill

Tomás de Torquemada
05-08-02, 01:17
Originally posted by Silvia


Una mattina dell’anno 1920, un uomo d'affari inglese percorreva con la sua automobile le strade dell'Herefordshire quando, guardando una mappa, rimase folgorato da un'intuizione: un buon numero di siti preistorici, per lo più composti da imponenti megaliti, e molti altri antichi edifici di culto, sembravano allinearsi secondo precise linee diritte. Quest’uomo era Alfred Watkins, che teorizzò per primo le cosiddette ley lines.
Le ley lines sono invisibili canali all'interno dei quali confluirebbe una potente forza mistica e, nei punti in cui si incrociano, sorgerebbero antichi templi e monumenti funebri pagani (Stonehenge, Silbury Hill, Avebury, Glastonbury sono tutti situati lungo questa traiettoria).
Sotto questi "sentieri di energia", scorrerebbero spesso acque sotterranee o sarebbero presenti filoni di minerali metallici… I luoghi fatati, stregati o diabolici delle tradizioni popolari si troverebbero in molti casi lungo questo percorso.
Le ley lines si sarebbero successivamente dilatate fino a ricoprire come un’invisibile griglia tutta la superficie del pianeta, congiungendo i luoghi misteriosi della terra e creando un sorta di geografia sacra, che faceva parte del sapere occulto custodito dagli iniziati. A questi luoghi, collegati tra loro da arterie di energia cosmotellurica, sono da sempre attribuiti poteri straordinari: erano ricercati da Templari ed alchimisti e gli stessi Cavalieri della Tavola Rotonda si servivano delle virtù taumaturgiche delle pietre di Stonehenge per guarire malattie, rigenerare ferite e ridare energia.


http://www.silviadue.net/vari/hill3.jpg

Silbury Hill

Grazie per il prezioso contributo... :)

Ciao.

Silvia
12-08-02, 14:34
Stonehenge e le eclissi

Sicuramente il complesso di Stonehenge contiene molti riferimenti al moto del Sole e della Luna: soprattutto il numero di pietre e di buche nei vari anelli sembra essere legato a qualche ciclo astronomico, come quello delle fasi lunari. Inoltre, le direzioni degli allineamenti fra le varie pietre coincidono con alcuni punti della volta celeste, che corrispondono ad eventi periodici come il sorgere e il tramontare del Sole ai solstizi. Per esempio, il giorno del solstizio d'estate, il Sole sorge in un punto più a settentrione rispetto a tutti gli altri giorni dell'anno e quel giorno, stando nel centro del cerchio di pietre, si può vedere sorgere il Sole al di sopra di una pietra particolare detta "Heel Stone", che si trova lungo l'asse della costruzione.
Il complesso di Stonehenge sembra cioè allineato in modo non casuale.

Tuttavia, anche se questo complesso megalitico racchiude un notevole simbolismo di carattere astronomico, non è ancora chiaro se fosse davvero un luogo di osservazione dei fenomeni celesti, come sostengono molti studiosi, o se fungesse semplicemente da calendario, per tenere il computo del trascorrere dei mesi, delle stagioni e degli anni .
Alcuni sostengono addirittura che questo complesso servisse per prevedere il verificarsi delle eclissi. Una volta note la lunghezza dell'anno e del mese, facilmente determinabili, sarebbe stato necessario però conoscere la periodicità del moto dei nodi dell'orbita lunare, dato che un'eclisse avviene solo quando Sole e Luna si trovano in prossimità di un nodo, ed è improbabile che gli antichi abitatori del luogo avessero conoscenze così avanzate. Eppure Gerald Hawkins, il già citato professore di astronomia dell'Università di Boston, studiando i vari allineamenti tra le pietre di Stonehenge, si soffermò sulle 56 buche di Aubrey (così chiamate dal nome dell’antiquario inglese che nel 1649 scoprì il monumento), disposte intorno al terrapieno che circonda il complesso, e notò una certa correlazione tra le buche e le eclissi ( 56:3 = 18,6, vale a dire lo stesso valore in anni del periodo della retrogradazione dei nodi dell'orbita lunare). Secondo Hawkins, gli antichi sacerdoti-astronomi che operavano a Stonehenge potevano aver utilizzato un particolare sistema che consentiva di prevedere i periodi nei quali si sarebbero verificate le eclissi.
Un notevole e discusso contributo all'ipotesi di Stonehenge come strumento per prevedere le eclissi, è venuto da Frederic Hoyle, celebre astrofisico inglese. Il cerchio formato dalle 56 buche rappresenterebbe, per Hoyle, sia l'orbita apparente del Sole sia quella della Luna. Se disponiamo di quattro indicatori - uno per il Sole, uno per la Luna e due per i due nodi - e li sistemiamo in modo tale che il Sole sia nella buca 1, la Luna nella buca 28 ed i nodi nelle buche 14 e 42, si possono simulare le eclissi. Spostando in senso orario l’indicatore del Sole di due buche ogni 13 giorni (56:2 = 28 e 28x13 = 364, quasi un anno), quello della Luna (sempre in senso orario) di due buche al giorno (56:2 = 28, periodo vicino a 27,3 del mese sidereo) e quelli dei nodi in senso antiorario di 3 buche all’anno, quando l’indicatore del Sole, quello della Luna e quello di uno dei due nodi si trovano nella stessa buca può avvenire veramente un’eclisse.

In ogni caso, le eclissi rappresentavano per l'antica popolazione del luogo un evento molto importante, forse un presagio di sventura come in molti altri popoli del passato. William Stukeley, uno studioso del 1700, avanzò l'ipotesi che Stonehenge fosse stato costruito dai Druidi come tempio per il culto del Serpente(tempio detto Dracontia). Il simbolismo del serpente si ritrova spesso correlato alle eclissi, anche in altre culture antiche come quella cinese: durante l'eclisse un gigantesco serpente ("draco" in latino) inghiottirebbe il Sole o la Luna. Non a caso, forse, l'intervallo di tempo necessario affinché la Luna ritorni allo stesso nodo si chiama mese draconitico: i nodi dell'orbita lunare, punti invisibili della sfera celeste, vengono identificati come il serpente, che simboleggia in questo caso le forze ignote e misteriose del cosmo.
(Liberamente tratto dal sito: http://www.pd.astro.it)


http://www-istp.gsfc.nasa.gov/exhibit/st1.gif

Tomás de Torquemada
24-08-02, 04:59
Dal sito http://www.republik.org/default.htm

STONEHENGE
di Ermando Danese

«Recentemente scienziati molto stimati hanno cominciato a domandarsi se alcuni megaliti non siano stati, dopo tutto, costruiti al fine di trasmettere, o almeno di rappresentare, delle tradizioni spirituali o culturali. - Scrive Wernick -
Alcuni storici hanno esaminato Stonehenge ed altri megaliti con l'occhio della fede, ed affermano di avervi trovato misure e rapporti di straordinaria complessità e profondo significato. Queste misurazioni, come altre simili della Grande Piramide d'Egitto, dei templi di Akabar in India, della cattedrale di Chartres in Francia e della Piramide del Sole a Teotihuacàn nel Messico, si dice rappresentino certe formule esoteriche esprimenti le nascoste armonie dei cieli e i simboli del passato. Circoscrivendo la pianta dei megaliti con triangoli, pentagoni ed esagoni, e misurando le distanze fra alcune punte di queste figure, moltiplicandoli, poi, oppure trovando le loro radici quadrate, gli scienziati hanno fatto calcoli che risolverebbero diversi problemi.
John Michell, ad esempio, presenta una serie di carte e piante per dimostrare che Stonehenge fu "costruita secondo la geometria ed i calcoli del Quadrato del Sole". Questo mistico Quadrato del Sole, spiega Michell, è una disposizione di numeri in fila come in una cartella di tombola, nella quale ogni fila - verticale, orizzontale o diagonale - dà come risultato 111, mentre la somma totale dei numeri è di 666, una cifra ricca di significati per gli occultisti».
Giuseppe Porto scrive che «recentemente si è scoperto che 111 metri corrisponde alla millesima parte di un grado dei meridiani. Questo richiama la prassi medioevale seguita per costruire le cattedrali gotiche, le cui navate avevano una lunghezza pari alla millesima parte della larghezza del grado del parallelo geografico su cui le cattedrali stesse sorgevano».
Infatti, scrive Aldo Tavolaro, che «la cattedrale di Chartres sorge su un parallelo geografico (48°26'53") la cui lunghezza di un grado è di 74 chilometri. Ebbene, la lunghezza della navata della chiesa è di 74 metri (millesima parte) e quella del coro di 37 metri (duemillesima parte) e 37 metri è alta la volta ed altrettanto profondo il pozzo celtico.
La cattedrale di Beauvais sorge su un parallelo geografico (49°26') la cui lunghezza di un grado è di 72 chilometri. La lunghezza totale della cattedrale è di 72 metri (millesima parte della lunghezza di un grado del parallelo) e 36 metri è lungo il coro (duemillesima parte). La cattedrale di Amiens sorge su un parallelo geografico (49°53') la cui lunghezza di un grado è di 70 chilometri e i transetti della cattedrale sono lunghi 70 metri. La cattedrale di Reims sorge su un parallelo geografico (49°,15') la cui lunghezza di grado è di 71 chilometri. La cattedrale è lunga 142 metri, ossia due volte la millesima parte del grado di quel parallelo.
Il cubito sacro o di Salomone (cm 55,5) con il quale quel saggio re costruì il tempio di Gerusalemme, rientra tra quelle misure lineari antiche che hanno una matrice geografica perché discende dal meridiano terrestre13. Lo troviamo in Egitto e lo ritroviamo anche nel medioevo europeo. Tuttavia tale misura è presente da ben 4000 anni a Stonehenge dove i monoliti di quel complesso sono lunghi m 5,5014 (10 cubiti di Salomone) e il viale d'ingresso è largo m 22 (40 cubiti di Salomone)».

Accingiamoci, ora, a decifrare ed a tradurre in insegnamento l'esoterismo celato in quel grandioso monumento che è Stonehenge.
Moreau scrive che, anticamente, il suo nome era «Cathoir Gall, che deriva dal gaelico, significa "Grande Canto"».
Si tratta proprio del Grande Canto, parafrasi della Grande Opera ermetica.
Abbiamo visto che a nord-est di esso si erge la Heel Stone, l'unico enorme masso grossolano, non levigato, brutto, appena smussato.
Il nostro Maestro insegna che «questa pietra ancora grezza, impura, materiale e grossolana, raffigura l'immagine del diavolo, umanizzato sotto le spoglie di Lucifero che porta la luce, la stella del mattino».
Lucifero è l'immagine dello spirito caduto o precipitato nella materia, perché la sua luce ne venga fuori è necessario la stessa precipitazione della grossolanità.
Evola scrive che «la pietra da cui si trasse il Graal ornò la fronte di Lucifero, e le sue schiere, in una specie di "rivincita degli angeli", cercano di riconquistare, poiché, sotto un certo aspetto, è ancora misteriosamente presente quaggiù come "pietra dell'esilio"».
Lo stesso pianeta Venere della sera diventa, al mattino, Lucifero, poiché annuncia l'avvento del sole filosofico.
Questa pietra caduta, il nostro Insegnante ci dice ancora che «un tempo la si poteva vedere rappresentata sotto l'aspetto di Satana, a Notre-Dame de Paris; ed i fedeli, in testimonianza di disprezzo e di avversione, andavano a spegnere i loro ceri immergendoli nella bocca che questa statua teneva spalancata. Il popolo la chiamava mastro Pietro del cantone, la pietra maestra d'angolo, cioè la nostra pietra angolare e il blocco primitivo sul quale è costruita tutta l'Opera».
Ritroviamo, nei gesti di questi fedeli, la traduzione allegorica delle ripetizioni delle illuminazioni - necessari al primitivo blocco sgrossato - simboleggiati dalla fiamma delle candele che veniva inghiottita o assimilata dalla materia.
San Pietro, aggiunge il Saggio, «è la pietra angolare dell'Opera e anche la pietra fondamentale della chiesa e delle verità cristiane.
Per gli alchimisti la materia prima termina con l'ottenimento della prima pietra, su questa pietra Gesù ha costruito la sua chiesa e i liberi muratori medioevali hanno seguito, simbolicamente, l'esempio Divino».
Nei Vangeli leggiamo al riguardo:
«Tu sei Simone, figlio di Giovanni, ti chiamerai Cefa (che si traduce pietra) e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa».
La similitudine che esiste, poi, tra Lucifero e san Pietro sta nel fatto che per Lucifero la sua illuminazione è simboleggiata dall'aurora, mentre per san Pietro è indicata dal gallo, lo stesso annunciatore del giorno o della luce.
«Così il gallo, attributo di san Pietro - torna a spiegare il Maestro - pietra vera e fluente sulla quale riposa l'edificio cristiano, il gallo, dunque, avrà cantato tre volte. Perché è proprio lui, il primo apostolo, che detiene le due chiavi incrociate della soluzione e della coagulazione; è lui il simbolo della pietra volatile, resa fissa e densa dal fuoco, che la fa precipitare. San Pietro, nessuno l'ignora, fu crocifisso a testa in giù…».
Se san Pietro e Lucifero possiedono degli attributi per indicare la loro natura, la Heel Stone non è da meno, il suo "punto di riferimento" è l'illuminazione solare del solstizio estivo, ma con un particolare ancora più espressivo.
È stato calcolato che la Heel Stone non è mai stato un punto preciso di riferimento al sorgere del sole al solstizio. Si è scoperto che all'epoca della sua erezione, più di 4.000 anni fa, il sole non sorgeva proprio dietro di lei, questo grazie allo spostamento dell'asse terrestre (Precessione degli Equinozi) che permette al sole di sorgere in un altro punto dell'orizzonte.
Hadingham scrive che «attualmente il primo barbaglio di sole appare immediatamente a sinistra (ossia a nord) della Heel Stone, e quanto più si recede nel tempo, mediante i calcoli, tanto più a nord si trova il punto settentrionale dove sorge il sole. Nel 2000 a.C., nel momento in cui il sole si era innalzato sufficientemente nel cielo orientale, tanto da colpire con i suoi raggi l'apice della Heel Stone, la sua distanza dall'orizzonte superava un valore pari al diametro dell'astro».
La Heel Stone, dunque, segnala il grande segreto dell'Opera, la realizzazione del sole del Magistero che brilla sul compost, cioè quando il sole rimontando dopo sorto un po' a nord di lei (illuminazione primitiva) non gli appariva sopra.
L'aspetto della Heel Stone che, come scrive ancora il nostro Insegnante, indica «quel blocco appena smussato destinato a ricevere il taglio definitivo che lo farà diventare la nostra Pietra Cubica», insieme alla sua particolare concezione di riferimento, segnala l'importantissimo punto, cioè, come scrive ancora Fulcanelli, «la nostra seconda operazione che riguarda l'elaborazione del mercurio filosofico».
Abbiamo letto che la finestra più grande del monumento, che costituisce l’ingresso, guarda verso la Heel Stone, o in direzione dell’alba del solstizio d’estate.
Aldo Tavolaro scrive che «ad Atene il Partenone è orientato verso il sorgere del sole nel mese di ecatombeone (un mese estivo), e il raggio dell’astro nascente, che penetrava nel tempio, andava a baciare la statua d’oro e avorio della dea Minerva».
Il nostro Iniziatore scrive che «tutte le chiese hanno l’abside rivolta verso sud est e la loro facciata verso nord ovest, mentre i transetti, che formano il braccio trasversale della croce, sono orientati nella direzione nord est, sud ovest. Quest’orientazione è invariabile, deliberatamente voluta, in modo che i fedeli e i profani, entrando in chiesa da occidente, avanzassero verso il santuario con la faccia rivolta verso il luogo dove sorge il sole, verso oriente. Essi lasciano le tenebre e vanno verso la luce.
In seguito a questa disposizione, uno dei tre rosoni che ornano il transetto e il grande portico non è mai illuminato dal sole; è il rosone settentrionale che s’irradia nella faccia del transetto sinistro. Il secondo fiammeggia al sole di mezzogiorno; è il rosone aperto all’estremità del transetto destro. L’ultimo s’illumina ai raggi colorati del sole che tramonta; è il grande rosone del portale, di gran lunga più grande, per estensione e per bellezza, dei suoi fratelli laterali».
Come vediamo, le chiese sono state orientate verso il sorgere del sole al solstizio d’inverno (sud est). Moreau segnala che «le vecchie chiese di Roma sono state orientate verso questo solstizio invernale».
Tavolaro scrive che «è interessante sapere che la chiesetta rurale di San Giorgio in Bari (XI, XII secolo), ha l’abside rivolta esattamente in direzione del sorgere del sole al solstizio d’inverno.
Questa chiesetta ha il rettangolo di base in rapporto aureo, cioè a dire che la larghezza della minuscola facciata (m 6,30) moltiplicata per il numero d’oro 1,618 dà la lunghezza del lato. Va notato che la larghezza della facciata misurata all’esterno (m 6,30) rappresenta la milionesima parte della lunghezza del raggio terrestre (km 6.300).
Va rilevato, al riguardo, che sovente, quando la chiesa è più grande, la facciata è larga il doppio, ossia m 12,60 (milionesima parte del diametro terrestre) come nel caso di San Giovanni in Patù.
Non dobbiamo dimenticare che nell’antichità i simboli occupavano molto spazio, e vi erano simboli più accessibili (in exterioribus) che parlavano alla massa, e altri (in interioribus) che parlavano a pochi che potevano intendere».
Inoltre Tavolaro ci segnala un’altra chiesetta rurale in provincia di Bari, quella «di Santa Maria a Cesano (XI secolo) nel territorio di Terlizzi. La prima cosa da dire è che la larghezza della chiesa, e quindi la facciata, è di m 6,30. La sua linea è tracciata sul terreno nel senso Sud-Nord, secondo l’asse del mondo. Dalle estremità di tale linea si partono normali verso Est altre due linee (i lati della chiesa) la cui larghezza sarà determinata dalle diagonali che aprono su detti lati un angolo di 25° pari a quello di culminazione del sole al solstizio d’inverno alla latitudine su cui sorge la chiesa.
La culminazione solare del solstizio d’inverno è stata inserita nella pianta della chiesa, nella quale per tre volte è applicata la divina proporzione. La seconda culminazione, quella estiva, la troveremo nel rapporto base altezza».
Il solstizio d’inverno è la luce più corta dell’anno, e indica la primitiva illuminazione miserabile o appena materializzata. «È la nascita della luce — aggiunge Fulcanelli — il mattino, l’inizio, il sorgere del giorno, l’aurora». Essendo improntato a esprimere i lavori primari dell’Opera, di questo solstizio si tiene in maggiore considerazione nell’insegnamento. Il solstizio estivo, indicando la massima esaltazione solare, generalmente si riferisce all’Illuminazione Suprema.
I due grandi anelli composti dal Sarsen Circle e dal Bluestone Circle segnalavano i mesi lunari e, per noi, l’evoluzione della pietra dei filosofi. I menhir di pietre azzurre sono sprovvisti di architrave, in questo modo i due anelli interpretano le due nature del Magistero, il Sarsen Circle simboleggia la madre dell’Opera che si arricchisce di spiritualità: pietre celesti o solvente universale.
La funzione del complesso megalitico di Stonehenge, oltre a essere un osservatorio astronomico del neolitico, era anche quella di misuratore del tempo.
Marcel Moreau scrive che «Stonehenge ebbe il nome di Car Gaur, che si traduce con "Cerchio del Tempo", indicazione certa di una misura e di un calendario. L’uso del calendario è antichissimo, i misteriosi popoli dell’America centrale disponevano già di un calendario molto perfezionato, risalente a parecchi millenni prima di Cristo».
Mario Zanot afferma che a Stonehenge, «al centro del tempio, sembra di essere in un gigantesco planetario: ogni pietra indica un’ora, un giorno, un mese, una stagione, un anno solare e una fase lunare».
Rodolfo Benavides scrive che «la Grande Piramide era un quadrante solare che segnalava le date precise del solstizio d’inverno, dell’equinozio di primavera, del solstizio d’estate e dell’equinozio d’autunno».
Aldo Tavolaro, da parte sua, scrive che «alla latitudine di Castel del Monte, sul 41° parallelo, la parete sud del maniero ottagonale si comporta come uno gnomone, antenato di tutte le meridiane e di tutti gli orologi solari. A mezzogiorno proietta un’ombra la cui lunghezza è diversa nel corso dell’anno, ma i cui valori sono specifici all’ingresso del sole nei vari segni dello zodiaco, mese dopo mese. Una migrazione dell’astro celeste dalla Bilancia allo Scorpione, dal Sagittario al Capricorno, scandita da ombre immutabili che segnano sul terreno misure e punti architettonici fondamentali: la dimensione del cortile, quella delle sale, quella di una circonferenza ideale entro la quale sono racchiuse le torri e quella di una recinzione ottagonale esterna che oggi non esiste più, ma che resta documentata sino al 1897 quando venne distrutta. Come delimitata dal gioco delle ombre sarebbe stata la vasca ottagonale al centro del cortile, essa pure scomparsa».
Fulcanelli scrive che «l’antichità, che può essere sempre consultata con profitto, ci ha lasciato un certo numero di quadranti solari dalle forme più svariate, ritrovate nelle rovine di Castelnuovo, di Pompei, di Tusculum, ecc. Altri ancora ci sono noti grazie alla descrizione di scrittori scientifici, in particolare Vitruvio e Plinio. Così veniamo a sapere che il quadrante chiamato Hemicyclium, attribuito a Berosio (verso il 280 a.C) era composto da una superficie semicircolare "sulla quale uno stile segnava le ore, i giorni e perfino i mesi"».
Inoltre, il nostro Maestro ci spiega pure il significato del quadrante solare del palazzo Holyrood di Edimburgo.
«Esso è contemporaneamente un quadrante solare multiplo e un vero orologio ermetico. Così questo strano icosaedro rappresenta per noi un’opera dalla duplice gnomonica. La parola greca gnómon, che è stata trasmessa integralmente alle lingue latina e francese (gnomon), possiede un altro significato, a parte quello dell’ago che ha il compito d’indicare il cammino del sole mediante l’ombra proiettata su di un piano. Gnómon indica anche colui che acquista la conoscenza, che s’istruisce; definisce il prudente, il sensato, l’illuminato. Quella parola ha per radice gignósko, scritto anche ginósko, duplice forma ortografica il cui significato è quello di conoscere, sapere, capire, pensare, risolvere. Da qui proviene Gnôsis, conoscenza, erudizione, dottrina, da cui la nostra parola francese Gnose, dottrina degli Gnostici, e filosofia dei Maghi. Si sa che la Gnosi era l’insieme delle conoscenze sacre delle quale i Maghi conservavano accuratamente il segreto e che costituiva, soltanto per gli Iniziati, l’oggetto dell’insegnamento esoterico. Ma la radice greca da cui derivano gnomon e Gnosis, ha prodotto anche gnome, corrispondente alla nostra parola gnomo, col significato di spirito d’intelligenza.
L’icosaedro gnomico di Edimburgo è, quindi, a parte la sua effettiva destinazione, proprio una traduzione nascosta dell’Opera gnostica, o Grande Opera dei Filosofi. Per noi, questo piccolo monumento non serve unicamente e semplicemente a indicare l’ora del giorno, ma indica anche il cammino del sole dei saggi nel lavoro filosofale. E questo cammino è regolato dall’icosaedro, che rappresenta quel cristallo sconosciuto, il sale della sapienza, lo spirito o fuoco incarnato, lo gnomo, familiare e servizievole, amico dei buoni artisti, che assicura all’uomo l’accesso alla suprema conoscenza della Gnosi antica».
Gli gnomi, che aiutarono anche Biancaneve, sono sempre rappresentati, nella tradizione, vecchi, brutti e deformi, geroglifici dell’antico spirito ancora piuttosto grossolano.
Il nostro Iniziatore scrive ancora che «gli gnomi, creature fittizie, deformi ma attivi, geni sotterranei preposti alla guardia dei tesori minerali, vegliano senza sosta sulle miniere d’oro e d’argento, sui giacimenti di pietre preziose. La tradizione li rappresenta come assai brutti e di piccolissima statura; in cambio la loro natura è dolce, il loro carattere benevole, le relazioni con loro estremamente favorevoli. Sotto questo aspetto si comprende facilmente la ragione occulta dei racconti e delle leggende, nelle quali l’amicizia di uno gnomo spalanca le porte delle ricchezze terrestri».
l tempio di Stonehenge è particolarmente indicato con l’epiteto di crom’lech, a causa della sua forma tondeggiante; la D’Eaubonne scrive che crom’lech (da crom, curvo; lech, sassi) in gallese significa "cerchio di pietre megalitiche"».
Infatti, l’intero monumento rappresenta dei cerchi concentrici, più o meno interrotti, inscritti nel suo rettangolo ideale. Ora quest’antichissima tradizione si ritrova nella forma d’iniziazione tibetana detta kalachakra, che significa proprio "ruota del tempo". Il compito principale dei neofiti consiste nella meditazione sul mandala.
Mircea Eliade spiega che «mandala significa cerchio. Un mandala rappresenta tutta una serie di cerchi concentrici, o meno, inscritto in un quadrato. Questo diagramma viene disegnato per terra con fili di diverso colore. Per il neofito l’iniziazione consiste nel penetrare nelle diverse zone e accedere ai diversi livelli del mandala. L’inserimento del neofito in un mandala, può essere comparata all’iniziazione mediante la penetrazione in un labirinto; alcuni mandala, del resto, hanno un carattere nettamente labirintico».
Marcellin Berthelot, citato dal nostro Adepto, scrive che «la figura del labirinto fa parte delle tradizioni magiche attribuite a Salomone. È una serie di cerchi concentrici, interrotto in certi punti, in modo da formare un percorso bizzarro e inestricabile».
La Capone segnala che «il simbolismo del labirinto si trova inciso su massi megalitici in molte località marine distanti tra loro. Ne abbiamo sulle rocce delle coste atlantiche della Galizia, della Francia, della Cornovaglia; in India, nel Baltico, in Nord America. Questi labirinti sono identici a quello inciso su una medaglia trovata a Creta negli scavi di Cnosso».
Tavolaro cita Hermann Kern che al riguardo scrive:
«Tutti i labirinti raffigurati su manoscritti hanno un orientamento preciso, con l’ingresso a occidente, pure i labirinti rappresentati sui pavimenti delle chiese hanno quasi senza eccezione il loro ingresso a occidente».
Danilo Braccini nota che «il labirinto è una figura che compare di frequente nei manoscritti alchemici come simbolo sia del piccolo Magistero, o magistero lunare (se percorso dall’ingresso al centro), sia del grande Magistero, o Magistero solare (se percorso dal centro all’uscita)».
Il nostro Maestro insegna che «l’immagine del labirinto ci si offre come emblema dell’intero lavoro dell’Opera, con le sue due maggiori difficoltà: quella della strada da seguire per raggiungere il centro — nel quale si scatena il duro duello delle due nature — e l’altra, quella della strada che l’artista deve seguire per uscirne.
I labirinti mostrano almeno tre entrate, che corrispondono, del resto, ai tre portali delle cattedrali gotiche poste sotto l’invocazione della Vergine Madre. Una di queste entrate, assolutamente diritta, conduce direttamente alla camera di mezzo — nella quale Teseo uccise il Minotauro — senza incontrare nessun ostacolo; essa è l’interpretazione della via breve, semplice, dell’Opera del povero. La seconda, che termina anch’essa al centro, vi giunge soltanto dopo una serie di deviazioni, di ritorni, di circonvoluzioni; è il geroglifico della via lunga, dell’Opera del ricco. Infine, una terza galleria, la cui apertura è parallela alle precedenti, e finisce improvvisamente in un vicolo cieco, a poca distanza dall’ingresso, non porta a nulla. È solo causa di disperazione e di rovina per i vaganti, i presuntuosi; per coloro che si mettono lo stesso in viaggio e rischiano l’avventura senza uno studio serio, senza solidi principii».
Di questi personaggi ci dà una bell’immagine Friedrich Nietzsche:
«Cupo in volto era uscito quel cacciatore dalla foresta della conoscenza. Brutte verità pendevano dal suo corpo, erano il suo bottino di caccia. Ed egli si pavoneggiava in abiti cenciosi. Molte spine gli erano rimaste attaccate ai panni; ma io non vidi alcuna rosa».
Un’identica interpretazione di questo particolare punto della scienza, si trova in una figura «del libro del Trismosin. — Segnala Fulcanelli — Si vede una quercia, dalla cui base nasce un ruscello che scorre nella campagna. Tra le fronde dell’albero si vede un corvo, mentre un uomo, vestito poveramente, salito su di una scala, sta per prenderlo. In primo piano, due sofisti, vestiti con ricercatezza di stoffe sontuose, discutono e argomentano su questo punto della scienza, senza notare la quercia posta dietro di loro, né vedere la fontana che scorre ai loro piedi…».
Questi personaggi, pur seguendo la strada della ricerca, si crogiolano nel proprio illusorio sapere, appagando soltanto i propri appetiti e "pavoneggiandosi" spesso in alcune interpretazioni del tutto personali.
La povertà dell’altro personaggio, invece, rappresenta la semplicità che bisogna adottare per accedere alla scienza, e la scala della pazienza che bisogna necessariamente salire per prendere il corvo, geroglifico della morte mistica.
«Quanti ricercatori, ma più entusiasti che penetranti, urtano e inciampano ancora oggi contro l’ostacolo di ragionamenti speciosi. — Continua il Maestro — Non dobbiamo dimenticare che si tratta di una scienza esoterica. Di conseguenza, un’intelligenza viva, una memoria eccellente, il lavoro e l’attenzione aiutati da una forte volontà, non sono qualità sufficienti per sperare di diventare dotti in questa materia».
Krishnamurti afferma che «la logica rende la mente acuta, chiara, obiettiva, lucida. Ma questo non le darà il resto. È la percezione che opera logicamente. Non ha bisogno di logica. Qualunque cosa si faccia è ragionevole, logica, sana, obiettiva».
Quest’inciampo ha causato il proliferare, in tutti i tempi, dei pseudo-filosofi o cosiddetti falsi profeti. Tuttavia il XX secolo, con l’istruzione di massa, ha visto un aumento vertiginoso di costoro che ha spinto Eugène Canseliet a scrivere «quello che abbiamo spesso detto a voce, e che teniamo molto a che sia stampato.
I commentatori moderni si moltiplicano certo. Che beneficio sostanziale è lecito attendersene? Essi si dimostrano incapaci di chiarire il passo sapiente o la scena iconografica che utilizzano senza convincere e per lo più senza motivo.
In Alchimia nessun autore fa opera più dannosa di colui che disserta di operazioni di cui non ha mai effettuato nemmeno la più elementare. Per costui i testi sono per lo più simbolici e di pratica cinicamente intellettuale.
È proprio l’occasione giusta questa perché ci si presenti alla mente la pertinente citazione che prese da Plinio il Vecchio il pittore olandese Jacques Appel, tanto invaghito di Humour e di latino, quanto ricco di talento per i suoi paesaggi:

NE SUTOR ULTRA CREPIDAM
— CALZOLAIO MAI OLTRE LA SCARPA—


Non ci fermeremo a esaminare le mostruose divagazioni di scrittori che riescono a trovare editori e quindi a diffondere novità inconcepibili sul conto dell’Alchimia secolare e dei suoi più degni rappresentanti. D’altra parte non è affatto detto che questi pennaioli piuttosto spregevoli non siano, all’occorrenza, i maneggioni di una vera e propria impresa di demolizione.
La malevolenza e la volontà di nuocere si esercitano troppo chiaramente perché non si abbiano dubbi sulle loro vere intenzioni.
Che lo studioso dell’arcano si guardi con cura dalla lettura e dalla compagnia degli pseudo-filosofi; in effetti non vi è nulla di più pericoloso per colui che apprende una scienza, del commercio con uno spirito ignorante o ingannatore, a causa del quale sono inculcati come veri dei falsi principi, per i quali un’anima senza macchia e in buona fede s’impregna di cattiva dottrina.
Scriviamo perché vi siamo spinti dalla doppia necessità dell’inesorabile mondo temporale, che bisogna soddisfare, e dell’apostolato, per quanto modesto sia, che è importante esercitare».
Segnaliamo pure le stupidaggini che tuttora si studiano nei licei a causa dei pseudo-filosofi. Questi, scrive Matteo (XV, 14), «sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, entrambi cadranno in un fosso!»
Anche le velenose ideologie politiche sono state elaborate da loro. Matteo (VII, 15-16) segnala ancora:
«Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecora, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete».
I cosiddetti maestri spirituali, poi, possono comunque confondere, tanto che i Vangeli avvertono che potrebbero «indurre in errore, se fosse possibile, anche gli eletti».
Krishnamurti dice che «se esaminiamo l’idea che sta dietro la figura del guru, che sta quasi diventando una seccatura sia qui che in America, in tutto il mondo — mi spiace ma sono alquanto allergico ai guru — ne conosco molti, vengono a trovarmi. Dicono: "Quel che dite è l’eccelsa verità", sanno adulare! "Ma", dicono, "noi abbiamo a che fare con gente ignorante e funzioniamo da intermediari: vogliamo aiutarla".
Mi chiedo perché questi si debbano paragonare a chi sta parlando. Mi chiedo perché mai debbano pensare che quello che sta dicendo chi parla, è ciò che anch’essi vanno dicendo. Perché debbano dire queste cose.
Innanzitutto perché paragonano quel che dicono con K? Qual è il motivo nascosto? È per stare dalla parte vincente? È perché pensano di non essere del tutto in regola ma che, paragonandosi a K, potrebbero diventare del tutto in regola? Per questo s’investono di autorità e negano la libertà. Non so se vi siete mai accorti che neppure un solo guru ha alzato la voce contro la tirannia.
Andiamo alla ricerca di qualcuno che c’insegni a essere sensibili: seminari, ashram e altri buchi infami dove imparo a essere sensibile. — Successo significa Cadillac e Rolls Royce, seguaci europei e americani, e tutto il trambusto che ne consegue —
Una volta venne a trovarmi un monaco, rinomato e con moltissimi seguaci. Ancora oggi è molto conosciuto. Mi disse: "Insegno ai miei discepoli", ma lo disse pieno d’orgoglio per avere migliaia di discepoli, orgoglio che sembrava decisamente assurdo per un guru.
Mi disse: "Ce l’ho fatta perché ho imparato a controllare i sensi, il corpo, i pensieri, i desideri. Li trattengo, come si legge nella Gita, tirando le redini al cavallo". Lo lasciai continuare, poi gli chiesi: "E cosa ha ottenuto? Ha controllato, e poi?". Ribatté: "Cosa vuol dire? Io sono arrivato". "Arrivato dove?" "Ho raggiunto l’Illuminazione. L’ho presa, la tengo in mano, so cos’è". Risposi soltanto: "Benissimo". Ma si agitava sempre di più perché voleva convincermi di essere un grand’uomo e tutto il resto. Io sedevo in silenzio ascoltandolo tranquillamente e questo lo smorzò. Eravamo seduti sulla riva del mare. Gli chiesi: "Vede il mare?". "Naturalmente", rispose. "Può tenere in mano dell’acqua? L’acqua che tiene in mano non è più il mare". Non capì. Una fresca brezza gentile soffiava dal Nord. Gli dissi: "Può tenere questa brezza?". "No". "Può possedere la Terra". "No". "Allora che cosa possiede? Parole?". Si adirò talmente che esclamò: "Non voglio più ascoltarla, lei è un uomo malvagio". E se ne andò».

I GIORNI DI FESTA

«Calendario civile, calendario zodiacale, calendario liturgico cristiano: tante divisioni dell’anno sfasate l’una rispetto all’altra. — scrive Cattabiani — Come trovare un minimo comun denominatore per cominciare il nostro viaggio dell’anno? Da dove partire? Dall’equinozio primaverile, capodanno zodiacale, o semplicemente dall’inizio dell’anno legale, il 1o gennaio? Ma il 1o gennaio è connesso al periodo solstiziale; sicché la data più logica per incamminarci sarebbe il solstizio d’inverno con la festa che l’ha solennizzato, il Natale del Sole di giustizia».
Nell’antica Roma il solstizio invernale era celebrato con i saturnali, una settimana (17-23 dicembre) di feste in onore del vecchio Saturno e in memoria dell’età dell’oro, dove, secondo la leggenda, tutti gli uomini erano uguali, per questo gli schiavi erano lasciati liberi e si scambiavano doni e dolci.
Il culto del sole vero e proprio si trovava nell’adorazione di Apollo (Helios), e più tardi nel dio solare indo-iranico Mitra che si diffuse per tutto l’impero.
Il mistero mithriaco aveva tante analogie con quello cristiano da creare difficoltà alla nuova religione. Cattabiani scrive che quando nel terzo secolo «fu istituito al 25 dicembre la festa del Natalis Solis Invicti, il Natale del Sole Invitto, divinità solare di Emesa introdotta dall’imperatore Aureliano (270-275), la Chiesa, preoccupata della straordinaria diffusione dei culti solari e soprattutto del mithraismo, che con la sua moralità e spiritualità non dissimile dal cristianesimo, poteva frenare se non arrestare la diffusione del vangelo, pensò di celebrare nello stesso giorno il Natale del Cristo come vero sole».
La sacra famiglia, come sappiamo, è l’emblema del sole del Magistero e l’immagine propria del Santo Natale. Questo è il mistero celato nel giorno della solennità voluto dagli antichi Saggi. Infatti, è qualche giorno dopo il solstizio d’inverno, simbolo del sole appena nato (dies natalis Solis) che avviene il festeggiamento. Si tratta della traduzione segreta di quell’importante punto che segnalava a Stonehenge il sole con la Heel Stone. La tradizione del sole invitto proclama lo stesso significato con estrema chiarezza. Il nuovo sole è salito percettibilmente sull’orizzonte, dichiarando che esso è ormai non vinto, invincibile. Per questo motivo è d’obbligo rivolgersi al prossimo augurandogli "buon Natale".
Qui s’incontra il solstizio estivo che, generalmente, simboleggia l’Illuminazione Suprema, ma alla massima esaltazione solare non si dà affatto questo valore.
La festa di San Giovanni Battista — il battezzatore per eccellenza — la cui ricorrenza cade il 24 giugno, indica il giorno del battesimo, cioè la vigilia del 25 giugno, giorno simbolico e non menzionato dall’identico significato esoterico del 25 dicembre dell’altro solstizio. Quindi, come nella Heel Stone, il solstizio estivo è preso come simbolo dell’illuminazione primitiva, e il sole fisso inizia la sua mortificazione decrescendo sull’orizzonte fino al solstizio invernale. Così, la figura solare di San Giovanni Battista, parlando del frutto da lui generato — il bambino appena nato — dice, come rivela il Vangelo di Giovanni (III, 30): «Egli deve crescere, io, invece, diminuire».

Tomás de Torquemada
29-08-02, 21:20
Dal sito http://www.vialattea.net/

L'ENIGMA DELLA STELE DI TUROE
di Adriano Gaspani
La stele di Turoe (Irlanda) e' un esempio di arte celtica insulare che traspone simbolicamente, secondo un complicato stile criptico, l'immagine del cielo osservato dai Celti d'Irlanda durante
il I secolo a.C.

La Pietra di Turoe e' un monolite cilindrico in granito datato tra il I
secolo a.C e il I secolo d.C. e ritrovato durante una campagna di scavo condotta nel 1938 in Irlanda, nelle vicinanze di Feerwore.
La pietra e' alta complessivamente 168 centimetri ed un peso di circa quattro tonnellate.
La sua caratteristica principale e' quella di avere la parte superiore, che si estende in altezza per circa 80 centimetri, decorata a motivi curvilinei in stile celtico e frutto di un lavoro artigianale di notevole bravura. Lo sviluppo della parte decorata puo' essere divisa in quattro quadranti, due dei quali, quelli laterali est e ovest, sono di forma semisferica e gli altri due, i quadranti nord e sud, sono di forma grosso modo triangolare curvilinea.
La decorazione e' un magnifico esempio dell'arte lateniana irlandese. La tipologia delle decorazioni e' quella curvilinea ricca di anse, spirali semplici e multiple, trisceli e forme lobate e subtriangolari. L'analisi delle configurazioni presenti sulla stele di Turoe mostra subito una caratteristica fondamentale della decorazione che va al di la' delle questioni puramente estetiche e cioe' i motivi di tipo curvilineo si ripetono a scale dimensionali diverse distribuite su alcuni ordini di grandezza.
Questo fatto diviene particolarmente evidente prendendo in esame le spirali che vi sono rappresentate e misurando la distribuzione dei loro raggi di curvatura.
Infatti e' possibile mettere in evidenza che nelle decorazioni incise sulla stele di Turoe e' presente il concetto matematico di "autosomoglianza". Infatti rileviamo spirali che sono parte di spirali piu' grandi e che inglobano spirali piu' piccole, ma dello stesso tipo.
La ripetizione di motivi autosimili e' un fatto abbastanza comune nell'arte celtica.
Le decorazioni presenti sulla stele di Turoe non rappresentano quindi un motivo ornamentale casuale, ma e' un disegno ideato, con grande probabilita', applicando regole precise che sembrano essere quasi universali nell'arte celtica.
La funzione originaria della stele di Turoe ci e' ovviamente sconosciuta, ma l' ipotesi piu' naturale e' che essa fosse legata al culto e che le decorazioni presenti su di essa abbiano rivestito un preciso significato simbolico e di codifica di qualche tipo di informazione.
In questo modo si tenderebbe ad escludere che le decorazioni curvilinee siano state prodotte solamente per motivazioni di tipo estetico, ma si tenderebbe ad affermare che quello rappresentato nel complesso disegno altro non sia che l'immagine codificata in qualche modo di qualcosa di realmente osservabile.
Infatti un semplice ragionamento ci porta ad affermare che coloro che produssero la stele di Turoe e che la utilizzarono nei rituali fossero le stesse persone, i Druidi, che custodivano anche i sapere astronomico del tempo.
Osservando la stele di Turoe e' possibile notare immediatamente sul settore nord la presenza della spirale triscele posta circa ad un terzo dell'altezza della parte del monolito che risulta coperta dai disegni. La spirale, motivo simbolico molto comune presso i Celti, e' stato molte volte interpretato come un simbolo solare (M.Green,..., Dechelette,1911) al pari della ruota.
La ruota triscele appare una sola volta, rappresentata in grande e praticamente nel baricentro del settore triangolare settentrionale della stele.
La ruota trispiralica in questo caso e' posta esattamente sulla direzione Nord-Sud, vale a dire sulla direzione del meridiano astronomico locale, la quale e' parallela all'asse di rotazione della Terra o, cambiando il sistema di riferimento, all'asse di rotazione apparente della sfera celeste. La triplice spirale chiusa appare una sola volta sulle decorazioni presenti sulla stele di Turoe e sembrerebbe indicare la direzione dell'asse del mondo.
La spirale e' sinistrorsa, tale cioe' da chiudersi ruotando da est a ovest. Tale rotazione e' concorde con il senso di rotazione apparente della sfera celeste visualmente rilevabile da un osservatore rivolto a settentrione. Quindi non solo la spirale potrebbe indicare la direzione dell'asse del mondo, ma codificherebbe anche l'idea del movimento rotatorio di tutto l'universo osservabile in un determinato senso ed intorno ad un determinato asse.
L'idea della ripartizione della sfera celeste in due settori demarcati dal meridiano emerge in maniera spontanea osservando la struttura della stele. Infatti sia le dimensioni che i profili delle quattro facce sono differenti, ma accoppiati a due a due.
I due settori settentrionale e meridionale sono di forma triangolare, mentre i settori orientale e occidentale sono di forma grosso modo emisferica e consistentemente piu' ampi.
Supponendo in prima approssimazione che la linea immaginaria passante per il centro della ruota trispiralica, peraltro marcato in maniera ben definita sulla pietra e per l'apice della stele (che in questo caso potrebbe simboleggiare lo Zenit) sia una trasposizione del meridiano astronomico locale, allora la linea equinoziale intersecherebbe esattamente i due settori orientale e occidentale esattamente nel mezzo.
Ora che il sistema di riferimento e' stato definito possiamo occuparci delle linee di demarcazione che separano i quattro settori in cui il disegno della stele di Turoe puo' essere scomposto.
Queste linee definiscono quattro direzioni a due a due opposte che potrebbero corrispondere in maniera simbolica ad altrettante direzioni astronomiche fondamentali.
Due di queste direzioni sono rivolte rispettivamente a nord-est e a nord-ovest, mentre le direzioni opposte sono a sud-est e sud-ovest. La linea nord-est che rappresenta la congiunzione tra il settore settentrionale e quello orientale della stele potrebbe simboleggiare la direzione di levata del Sole al solstizio d'estate, mentre la linea di demarcazione tra i settori settentrionale e occidentale potrebbe indicare simbolicamente la direzione di tramonto del Sole solstiziale estivo. Allo stesso modo potrebbe esistere una corrispondenza simbolica tra la linea di demarcazione tra i settori meridionale e orientale e la direzione di levata del Sole nel giorno del solstizio d'inverno e tra la linea di demarcazione tra i settori meridionale e occidentale e la direzione del tramonto del Sole solstiziale invernale.
Questa e' una visione simbolica che potremmo definire di tipo solare, ma non e' l'unica possibile, infatti possiamo avanzare anche un'ipotesi legata invece alla Luna.
In questo caso la linea di separazione tra il settore settentrionale e quello orientale della stele potrebbe simboleggiare la direzione di levata della Luna al lunistizio estremo superiore, cioe' quando il nostro satellite raggiunge la sua massima declinazione positiva sulla sfera celeste, mentre la linea di demarcazione tra i settori settentrionale e occidentale potrebbe indicare simbolicamente la direzione di tramonto della Luna allo stesso lunistizio.
Allo stesso modo potrebbe esistere una corrispondenza simbolica tra la linea di demarcazione tra i settori meridionale e orientale e la direzione di levata della Luna al lunistizio estremo inferiore e tra la linea di demarcazione tra i settori meridionale e occidentale e la direzione del tramonto del nostro satellite allo stesso lunistizio. All'epoca in cui la stele di Turoe fu prodotta gli azimut dei punti estremi di levata della Luna raggiungevano rispettivamente 36.1 gradi ad est della linea meridiana, (36.1 gradi ad ovest al tramonto) quando il nostro satellite raggiungeva la sua massima declinazione boreale, pari a 28.9 gradi a nord dell'equatore celeste e 144.5 gradi ad est del meridiano (144.5 gradi ad ovest al tramonto) alla minima declinazione, pari a -28.9 gradi sotto l'equatore celeste, ad intervalli di 18.6 anni.
Le posizioni estreme raggiunte dalla Luna concordano molto bene con i profili delle linee di demarcazione dei settori sulla stele di Turoe. Potrebbe comunque essere avanzata una terza interpretazione che potremmo definire di tipo rituale-stagionale.
Infatti secondo questa terza interpretazione la linea di separazione tra il settore settentrionale e quello orientale della stele potrebbe simboleggiare la direzione di levata del Sole nel periodo della festa di Belteine, mentre la linea di demarcazione tra i settori settentrionale e occidentale potrebbe indicare simbolicamente la direzione di tramonto del Sole a Belteine.
Allo stesso modo potrebbe esistere una corrispondenza simbolica tra la linea di demarcazione tra i settori meridionale e orientale e la direzione di levata del Sole nel periodo della festa di Samhain corrispondente a Trinox Samoni per Celti continentali, e tra la linea di demarcazione tra i settori meridionale e occidentale e la direzione del tramonto del Sole nel periodo relativo alla stessa festa.
La festa di Belteine stabiliva, per i Celti, l'inizio della stagione estiva che terminava a Samhain quando iniziava la stagione invernale e contemporaneamente anche l'anno celtico.
La visione solare sostiziale e' tale per cui i punti di levata e di tramonto del Sole devono essere obbligatoriamente compresi tutto l'anno entro i due settori semisferici rispettivamente orientale e occidentale, mentre nella interpretazione di tipo lunare lunistiziale i punti di levata e di tramonto della Luna rimangono confinati entro i due settori citati per tutto il ciclo di 18.6 anni.
L'interpretazione solare stagionale potrebbe invece rivestire una maggior rilevanza dal punto di vista agricolo e rituale.
Quello che e' pero' importante e' l'idea che la stele di Turoe codifichi in qualche modo simbolico la nozione di sfera celeste trasponendo in un modello litico convesso, grosso modo semisferico, l'illusione ottica che il cielo visibile sopra l'osservatore abbia l'aspetto di una cupola su cui i corpi celesti compiono i loro moti apparenti.
L'ipotesi che ne deriva e' che la stele di Turoe codifichi nelle sue decorazioni un'immagine simbolica della volta celeste e del suo movimento apparente trasposta secondo lo stile criptico tipico dei Celti.
Si potrebbe tentare di spingersi piu' oltre nell'interpretazione dicendo pero' chiaramente che non esistono fatti sperimentali che possono essere chiamati a supportare le nostre ipotesi.
I settori triangolari nord e sud potrebbero, secondo questa ipotesi, riprodurre la frazione di cielo tutto intorno alla direzione del meridiano. I settori est e ovest potrebbero contenere indicazioni relativamente alle stelle rispettivamente in levata e al tramonto visibili ad occhio nudo durante l'anno.
Ovviamente e' possibile ricostruire al computer il cielo visibile a quell'epoca e nella localita' geografica in cui presumibilmente la pietra fu utilizzata per i rituali, ma questo non ci e' di molto aiuto in quanto la rappresentazione codificata sulla stele di Turoe dovrebbe essere la trasposizione statica di una situazione dinamica quale e' il movimento apparente della sfera celeste durante la notte e lungo l'anno quindi essa non deve essere sicuramente di tipo completamente simbolico, tale da non permettere la rilevazione di una corrispondenza diretta con qualcosa di direttamente osservabile, ad esempio tra i centri di curvatura dei singoli cerchi e delle singole spirali e la posizione di talune stelle luminose e costellazioni visibili nel cielo a quell'epoca, anche se alcune posizioni sembrerebbero coincidere abbastanza bene.
Le decorazioni a settori incise sotto la decorazione curvilinea potrebbero essere una rappresentazione dell'orizzonte e i settori incisi potrebbero essere dei marcatori utili ad esempio per la misura del tempo oppure per identificare i punti del sorgere e del tramontare del Sole e della Luna durante l'anno indicando ad esempio la posizione degli equinozi e soprattutto quella dei solstizi o forse i fenomeni eliaci che stabilivano le date di celebrazione delle feste rituali presso le comunita' celtiche irlandesi dell'eta' del Ferro.
La stele di Turoe sembrerebbe, secondo queste ipotesi, un magnifico esempio di efficente codifica delle informazioni ad uso esclusivo di coloro che nella societa' celtica erano in grado di comprenderle.
Il riferimento astronomico puo', e deve, essere correlato con l'aspetto rituale e probabilmente proprio la codifica delle possibile informazioni astronomiche e sul moto dell'universo potrebbero avere reso la pietra un oggetto di collegamento tra il mondo umano e quello divino.
La pietra di Turoe non e' l'unico esempio di steli di questo tipo, ma ne esistono altre quattro ritrovate in varie localita' Irlandesi a altre ritrovate in Bretagna a cui le medesime considerazioni esposte in questa sede sembrerebbero adattarsi molto bene.
Rimane comunque il fatto che ci sono del tutto sconosciuti i criteri oggettivi applicati dai Druidi celtici durante il processo di trasposizione simbolica dell'informazione.
Questo ostacolo, per ora ancora insormontabile, ci costringe purtroppo a formulare solamente modelli qualitativi e ancora molto approssimativi e ci preclude una sufficente comprensione di questo interessante ed enigmatico reperto archeologico.

Silvia
29-09-02, 21:53
Dai dolmen ai menhir
di F. I.

Dopo le caverne, i mitrei, gli antri, i labirinti, con Stonehenge e con altri monumenti della civiltà megalitica, si torna "... a riveder le stelle". E non soltanto in senso figurato, poiché si tratta di costruzioni affioranti dal terreno e spesso a cielo aperto, ma proprio in senso tecnico, perché -com'è stato dimostrato- i giganteschi avvallamenti di terra, i cerchi di buche e di pietre, i possenti menhir (pietre lunghe) solitari o allineati o incernierari in triliti, servivano effettivamente per il computo degli anni mediante l'allineamento con una stella, per il calcolo delle stagioni e del percorso pluriennale del Sole e della Luna nonché per la previsione delle eclissi.

Le popolazioni agricole che vivevano circa 47 secoli fa nel sud dell'Inghilterra (come anche al Nord, in tutte le Isole Britanniche, in Francia, nella Penisola Iberica, in Sardegna, in Puglia ecc.) dovevano evidentemente godere di una relativa prosperità per dedicarsi alla costruzione di opere colossali, equiparate in grandiosità soltanto molto tempo dopo in Egitto, apparentemente prive di un'utilizzazione pratica e non finalizzate -almeno in modo palese- alla soddisfazione di un bisogno primario collettivo. Era allora davvero prevalente -come ci ha tramandato la storia- lo scopo religioso, rituale, cerimoniale per questi monumenti? E quale autorità regale o sacerdotale avrebbe potuto coordinare le energie di migliaia di uomini liberi o di schiavi per opere che sarebbero durate tre-quattro generazioni in epoche in cui la vita media non superava i 40 anni?
E se pure una simile autorità è esistita, in forma non certo individuale, ma con un'organizzazione socio-politica assai gerarchizzata, in un posto o in una regione ben determinati, come si spiega la diffusione vastissima di questo tipo di monumenti - ne sono stati trovati oltre 50.000 - in una fascia pressoché planetaria che va dalla Scandinavia all'Italia e dalla Gran Bretagna all'India e al Giappone? Alcuni di questi megaliti risalgono a circa 5.000 anni prima di Cristo e a oltre 2.000 anni prima della costruzione della Grande Piramide di Giza. Eppure furono progettati, staccati dai fianchi delle montagne e messi in opera da semplici agricoltori del più recente neolitico, senza cioè l'ausilio di alcuno strumento metallico né della ruota. Come?

Una delle ipotesi più verosimili è che venisse scelto uno spuntone di roccia o un masso sporgente o facile da staccare, si mettevano poi cunei di legno nelle fenditure della parete, vi si accendeva sotto un bel falò e si gettava acqua sulla roccia surriscaldata. L'azione congiunta del raffreddamento repentino e del rigonfiamento dei cunei separava il masso dalla montagna, che poi veniva trainato o fatto scivolare su tronchi d'albero.
Sembra facile da descrivere, ma enormemente difficile da realizzare per le costruzioni più grandi come il dolmen di Bagneux, in Francia. Lungo 18 metri e largo 6, questo monumento è composto di 13 lastroni verticali e di 4 pietre di copertura, di cui la più grande pesa circa 86 tonnellate. Un ammiraglio inglese calcolò che occorrevano almeno 3.000 uomini per sollevare e mettere in posizione una pietra di tale mole.
Stando ai risultati di molti scavi archeologici i dolmen (i più semplici hanno tre lastroni laterali e una pietra di copertura) servivano spesso, ma non sempre, da tomba comune, così come i tumuli sparsi nella campagna inglese servivano da cimiteri tribali o familiari per il popolo di Windmill Hill, un gruppo neolitico ancora più antico. Sono stati però trovati dolmen, tumuli conici assai ben fatti e avvallamenti di terra con un perfetto orientamento astronomico, in cui non s'è trovato che qualche raro frammento di ossa. Come se non si trattasse più di tombe, ma di luoghi preposti al culto dei morti in società che consideravano la morte fisica parte integrante del ciclo vitale della Natura.

I menhir, comunque, non hanno quasi mai nulla a che vedere con le sepolture, individuali o collettive: la prova di ciò si ha, per esempio, a Carnac (Francia) dove se ne possono vedere 3.000 in file lunghe 600 metri. Forse erano dei totem fallici anch'essi legati al ciclo vitale, ma è difficile oggi ipotizzare quale spinta culturale o sociale abbia indotto le popolazioni di Locmariaquer, in Francia, a erigere il Grand Menhir Brisé, forse frantumato, in seguito a un cataclisma che raggiungeva i 18 metri di altezza e pesava 340 tonnellate. Come rimane al di là di ogni tentativo di comprensione Avebury, il più grande cerchio di terra e di pietre di tutta la Gran Bretagna, con un diametro di 400 metri, circondati da un fossato profondo 6 metri e largo 20, all'interno del quale sorgono i resti di due cerchi di pietra più piccoli, grandi come quelli di Stonehenge (che si trova 30 chilometri più a Sud ed è stata realizzata 500 anni dopo). Ancora più misterioso il "satellite" di Avebury, Silbury Hill, un tumulo di terra con un diametro di 150 metri e un'altezza di circa 50, piazzato a un chilometro di distanza in direzione Sud come un gigantesco punto di riferimento.
E’ stato calcolato che la costruzione di Avebury, con il fossato, i due cerchi di megaliti in arenaria azzurra, altre pietre "di percorso" lungo l'anello interno e massi ad andamento irregolare (forse "serpentino") lungo la via d'accesso, abbia richiesto non meno di 5 secoli, pari a circa 20 generazioni neolitiche. Lo stesso tempo, o un po' meno, con una probabile sfasatura nella data di inizio dei lavori, dev'essere occorso per il cono artificiale di Silbury Hill, che non è un semplice mucchio di terra, ma un'ingegnosissima costruzione: nove milioni di piedi cubici di pietrame, elevato, su uno sprone naturale di roccia gessosa, mediante sovrapposizione di strati orizzontali ottenuti formando anelli concentrici di roccia. Torna alla mente quasi il labirinto, ma forse è solo- una suggestione.

Gli studiosi della preistoria non sanno spiegare perché le genti di Stonehenge vollero fare il "loro" monumento, simile all'anello meridionale di Avebury, ma più difficile e più "costoso" in termini di tempo e di vite umane. Quale forza o quale fede o quali aspettative e timori possono avere indotto migliaia di uomini a lo secoli di fatiche, a partire dal 2.700 a.C., ad erigere questo tempio-calendario di pietra? Gli archeologi non dànno risposte complete e soddisfacenti, ma si limitano ad elencare tre periodi di costruzione.

Stonehenge I risale al 2.750 a.C. circa come data del presunto inizio dello scavo del fossato, largo circa 100 metri e con ingresso a Nord-Est (in questa stessa direzione, a una trentina di metri dal fossato c'è un "segnale" come ad Avebury, anche se molto più modesto: la Heel Stone, la "Pietra Tallone" di 35 tonnellate), dotato all'interno della cinta periferica di 56 fori equidistanti, noti come "Aubrey Holes", dal nome dell'inglesejohn Aubrey che li scoprì nel XVII secolo.

Stonehenge II risale al 2.000 a.C. e consiste di due cerchi concentrici di massi di arenaria azzurra provenienti dal monte Prescelly. Il doppio anello non fu mai completato nella parte occidentale e le arenarie furono rimosse e utilizzate nella fase successiva.

Stonehenge III risale al 1.900 a.C. e consiste nella collocazione di 80 megaliti (provenienti dalle alture di Marlborough vicine ad Avebury), collegate da architravi, in un cerchio al cui interno venne eretto un ovale con 20 arenarie di Stonehenge II (poi in parte cadute e sistemate al centro), con altri massi a ferro di cavallo e un altare.

Va precisato che questa datazione non è accettata da alcuni studiosi più prudenti. L'Encyclopaedia Britannica, ad esempio, riporta le seguenti date: Stonehenge I - 1.800 a. C.; Stonehenge II - 1.600 a. C.; Stonehenge III - dal 1.600 a prima del 1.400 a.C.. Questo scarto, che va da un massimo di 950 anni a un minimo di 500 anni, può essere spiegato come un residuo delle teorie di datazione archeologica in uso all'inizio del secolo e via via ritoccate grazie alla misurazione dell'età dei reperti mediante il metodo de l"carbonio 14", scoperto nel 1949, migliorato 27 anni fa dalla dendrocronologia (datazione basata sugli anelli di accrescimento annuale degli alberi). […]

Secondo l'astronomo americano Gerald S. Hawk'ns, che si è avvalso anche di un calcolatore e ha pubblicato le sue ricerche nel 1965 con Stonehenge Decoded ("Stonehenge svelata"), si tratta di un sia pur rozzo osservatorio astronomico, basato sui 56 fori di Aubrey nei quali veniva inserita una pietra o un tronco come contrassegni di computo dei mesi e degli anni lunari e come previsione delle eclissi. Sir Fred Hoyle, l'astronomo più famoso d'Inghilterra, ha avvalorato quest'ipotesi e ha aggiunto: "Dev'essersi messo all'opera un vero Newton o addirittura un Einstein. D'altronde, perché no?".
Lo scrittore Evan Handigliam ha riportato nel suo libro "I misteri dell'antica Britannia" (Newton Compton 1978) sia le teorie di Hawkins, sia quelle di Hoyle e altri, dimostrando con cartine e calcoli come Stonehenge servisse per registrare la levata e il tramonto del Sole ai solstizi d'estate e d'inverno e come, grazie a pali o pietre di riferimento, si potesse computare il ciclo luni-solare di 18,61 anni proprio grazie ai 56 fori di Aubrey (con due cicli di 19 anni e uno di 18) per determinare con precisione l'inizio e la fine di ogni lavorazione stagionale per gli agricoltori del tardo Neolitico. Questi ultimi, tanto "barbari" non dovevano essere, qualunque cosa ne pensasse Giulio Cesare, il quale fu uno dei primi a descrivere i sacerdoti Druidi.
Forse, al tempo di Cesare, questi sacerdoti degli antichi Celti che amministravano la giustizia celebravano con propri misteri le feste stagionali e garantivano la comunità nei suoi contatti con il divino, con il mondo dei morti e con gli aspetti calamitosi o propizi della Natura, erano già decaduti da antichi splendori. A estirparli poi quasi dei tutto ci pensarono le autorità che, non soddisfatte dei costumi "pagani" visti con poca tolleranza, arrivarono durante l'Inquisizione a "flagellare", "mutilare" e "distruggere" i grandi menhir. Quando vedevano che le popolazioni celtiche continuavano ad averne rispetto e venerazione, inglobavano le pietre nelle chiese e in altri edifici affinché il ricordo fosse "ricanalizzato" o scomparisse.
Stonehenge è però ancora famosa e la sua leggenda è fatta per durare. D'altronde, ci pensarono i bardi medievali a tramandare che i suoi grandi massi erano stati trasportati dal solo Mago Merlino con qualche incantesimo. E la "Tavola Rotonda" di Artù può essere una rivisitazione cristianizzata dello stesso mito. Così al pari delle "favole" egizie e greche più o meno "svelate" dal buon Dom Pernety, può darsi che Stonehenge e i suoi "derivati" più moderni nascondano una Sapienza ancor oggi valida. Forse varrà la pena ritornarci sopra.


Tratto da Hiram, n. 6, giugno 1987 – Ed. Soc. Erasmo, Roma


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Silvia
03-11-02, 16:15
CARNAC

Il gran numero di massi bizzarramente disposti, l'altezza raggiunta dai loro lunghi, grigi, muscosi contorni, che si levano dal fango nero in cui affondano le radici, e infine il silenzio assoluto che li circonda, tutto sconvolge l'immaginazione e colma l'animo di una venerazione malinconica per questi antichi testimoni di tempi assai remoti.(De Fréminville)

In tutta la Bretagna si trovano antiche pietre, ma chi si reca a Carnac può vedere uno spettacolo unico al mondo, che colpì la fantasia di un antiquario francese, il cavaliere De Fréminville, che nel 1827 percorreva la regione alla ricerca di mobili ed oggetti per i suoi clienti: vicino alle prime case, a nord del paese, appare un'enorme quantità di massi stranamente allineati in file tra loro parallele. Il tutto forma una serie di lunghi viali che si perdono in lontananza fin dove può giungere lo sguardo.

Sono forse opere di giganti? O di genti straordinarie? Certamente sì: gli antichi popoli che hanno costruito tutto questo sicuramente erano dei veri giganti nelle idee per poter organizzare una simile impresa, ed erano anche straordinari sia per la tenacia che per la temerarietà dell'opera. Certamente erano spinti da una grande idea religiosa che ha generato la forza necessaria al compimento di questi monumenti. Fu sicuramente l'idea di una vita che si prolunga oltre la morte che permeò tutta la loro attività, e fu soprattutto il culto dei loro defunti a vivificare la loro fede, quel culto che anche in epoche più moderne ha lasciato tanti segni incisivi in tutte quelle manifestazioni, artistiche e di costume, che ancora oggi si ritrovano tra le popolazioni della Bretagna.

I menhir, le pietre erette che costituiscono i viali, si possono raggruppare in quattro allineamenti omogenei: quello di Ménec (http://www.fishcat.com/france/pix/348carnac-panorama.jpg), 1099 pietre disposte su undici file per più di un chilometro, in ordine crescente di altezza da Est verso Ovest; quello di Kerlescan (http://www.walter-hermann.de/bretagne/menhir05.jpg), il "luogo della cremazione", con 594 pietre su tredici file che si allungano per quasi novecento metri e quello di Petit Ménec (http://www.megalithia.com/brittany/carnac/p9010033_s.jpg), un centinaio di pietre, forse un tempo collegate a Kerlescan. Infine, un po' più ad Est di Ménec, c'è Kermario (http://www21.0038.net/~gaia-as1/photoalbm2/kermario1.jpg), il "luogo dei morti", un gruppo di rocce enormi, alcune alte più di sette metri, che diminuiscono di dimensioni andando verso la fine del viale.

A che cosa servivano le file di pietre?
Una fantasiosa leggenda cristiana racconta come San Cornelio, un papa bretone scacciato da Roma, avesse pietrificato il contingente di soldati romani mandati a sottomettere la regione e responsabili di soprusi nei confronti della popolazione.
Cornelio, durante la fuga, caricò i bagagli su di un carro trainato da due buoi; arrivato nella sua terra, riconoscente, benedisse gli animali. Il 13 settembre, ancora oggi, l'evento viene commemorato durante una festa dei contadini locali, che portano i loro animali in chiesa per la benedizione, davanti alla statua del santo in atto di imporre le mani. Si dice che le bestie malate vengano condotte a passeggiare tra i viali per guarire.
Nell'area abbondano antichi resti di sacrifici animali ed immagini di un toro sacro.

Gli storici hanno fatto molte ipotesi, per i megaliti di Carnac come per quelli di Stonehenge. E, come a Stonehenge, le pietre di Carnac potrebbero essere state innalzate dagli astronomi dell'epoca per misurare i movimenti apparenti del sole, della luna e delle stelle. La prova più convincente è stata fornita da Alexander Thom, professore di ingegneria presso l'Università di Oxford, che studiò attentamente i megaliti dal 1970 al 1975. A conclusione delle sue ricerche stabilì che il complesso megalitico attorno a Carnac fu concepito per compiere osservazioni astronomiche, soprattutto della Luna. Se l'ipotesi è fondata, i rilevamenti avevano luogo sui viali, dove quattro delle pietre più grandi, tra cui il Gigante di Manio alto 6 m, formano linee di osservazione astronomicamente significative.


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Silvia
01-03-03, 17:06
NELLA TERRA DI MAGO MERLINO
di Rosalba Nattero

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Una antica leggenda bretone narra che i pellegrini di San Cornely eressero migliaia di enormi pietre rivolte verso il cielo in segno di preghiera, e che fecero questo enorme sforzo per lasciare un gesto che sopravvivesse alla loro morte fisica e per dimostrare la loro devozione al santo.
San Cornely è il patrono di Carnac, in Bretagna, dove si trova il più esteso ritrovamento megalitico del mondo. I menhir di Carnac sono migliaia e si estendono allineati per chilometri, imponenti nelle dimensioni e nella disposizione.
La figura di San Cornely è particolare: non esiste nessun santo cristiano con questo nome, l'unico che si avvicina foneticamente è papa Cornelio, Corneille in francese. E tuttavia il patrono di Carnac è celebratissimo, con cerimonie suggestive in cui la partecipazione della gente del posto stupisce per la commozione generale che si viene a creare.
A dire il vero, la cerimonia in occasione della festa patronale ha molto poco di cristiano: gli elementi che spiccano di più sono di chiara matrice druidica. Il prete e tutti i parrocchiani compiono un giro nel paese che forma un cerchio intorno ad una fontana. E' da notare che la fontana è uno dei maggiori simboli druidici: l'acqua delle fontane veniva usata dai druidi a scopo magico, religioso e terapeutico; del resto, in Bretagna, terra dei druidi per eccellenza, le fontane sono numerosissime.
Dopo aver compiuto il giro citato, il prete si ferma davanti alla fontana e qui avviene uno strano rito. In una mescolanza di riti druidici e cristiani, il prete bagna del vischio nella fontana e benedice i presenti pronunciando il motto dei druidi: "Un Dio, una dottrina, un popolo". Poi ritorna sui suoi passi, verso la chiesa, seguito da tutti, portando alto il vessillo di San Cornely, che raffigura il santo tra un bue e un menhir; e anche in questo simbolismo possiamo vedere la presenza di culti pre-cristiani: il bue, animale con le corna, ricorda i simboli della stregoneria.
La cerimonia citata è una delle tante contraddizioni che si possono trovare nei simbolismi religiosi della Bretagna. Il cristianesimo non è riuscito a cancellare le tracce dei riti precedenti, anzi sembra quasi che questi siano tutt'altro che morti e tutto ci fa pensare che i vecchi culti siano potuti sopravvivere proprio mettendosi addosso una veste cristiana. In molti posti della Bretagna il Santo patrono del paese è il Druido che risiedeva nei pressi, molte volte si tratta di una figura mitica ricordata per le sue virtù terapeutiche, che viene celebrata con riti che di cristiano hanno ben poco.
A Trehorenteuc, nella magica foresta di Broceliande (dove secondo la leggenda avvenne la formazione druidica di Merlino), viene ricordato come un santo l'Abbè Gilard il quale, tra varie altre virtù, ebbe il merito di far erigere la chiesa locale. Ma visitando il posto ci si trova davanti ad una chiesa ben strana: non esiste l'ombra di un crocefisso né di altro simbolismo cristiano.
La chiesa è un vero e proprio museo del Graal: tutti i simboli presenti nell'abbazia, dipinti, affreschi alle pareti, vetrate, sono riferiti all'esoterismo delle leggende della Tavola Rotonda. Le uniche croci presenti sono croci celtiche e all'interno spicca un grande affresco in cui è rappresentato un cervo bianco, una delle raffigurazioni di Merlino il Druido. Perfino la Via Crucis è stata rivisitata e reinterpretata in chiave arturiana, con un percorso che di cristiano ha ben poco e che invece rivela un cammino iniziatico dove spiccano i personaggi della leggenda del Graal e in cui Gesù Cristo è decisamente una figura di secondo piano.

In Bretagna la tradizione druidica traspare da ogni cosa, a dispetto dei turisti che appiattiscono tutto nella loro ricerca di "folclore pittoresco", e nonostante la gestione parigina di tipo oscurantista che è arrivata al punto di recintare i menhir.
Il maggiore luogo megalitico della Bretagna e del mondo, "les alignements" di Carnac, è infatti stato recintato nella sua parte più antica e più imponente a seguito di un provvedimento del governo di Parigi, il quale, con la scusa di preservare il sito archeologico, è riuscito ad impedirne l'accesso ai legittimi frequentatori del posto. Un tentativo di inibire il protrarsi degli antichi culti pagani? Sta di fatto che la popolazione di Carnac, abituata da sempre a frequentare il posto e ad usarlo per matrimoni, battesimi, feste e riti druidici, è in fermento e sta cercando con ogni mezzo di contrastare la decisione del governo centrale.
Ma la tradizione druidica traspare proprio nel suo rendersi inaccessibile, facendo solo intuire la sua presenza. E in certi luoghi, come i siti megalitici della Bretagna, questa presenza è tangibile...

I Druidi non sono stati i primi sacerdoti della Bretagna. Un misterioso popolo abitava quelle terre prima dei Celti, ed i megaliti ne sono la testimonianza.
Un culto sciamanico di tipo solare ha preceduto il druidismo e tutte le forme religiose conosciute. Il culto di un popolo che è venuto dal nulla ed è tornato nel nulla, lasciando però dietro di sé vistosissime tracce.
Il fenomeno del megalitismo, sparso su tutto il pianeta, fa trasparire la progredita conoscenza di questa misteriosa cultura. Ci lascia intendere che la civiltà in questione era insediata appunto su tutta la Terra, usufruiva di collegamenti planetari, era in possesso di progredite conoscenze astronomiche e, inoltre, conosceva incredibili tecniche di trasporto e di costruzione, visto che le ipotesi finora avanzate sull'innalzamento dei menhir sono poco attendibili.
Il riferimento al mito del Graal è evidente e sembra una volta di più indicare la presenza di quello sciamanesimo solare culla di tutte le tradizioni esoteriche.
Il Graal, ricordiamo, è un mito infinitamente più antico delle leggende del ciclo arturiano che lo hanno reso famoso nella nostra epoca. Presente in pressoché tutti i filoni esoterici, si riferisce ad una Tradizione sciamanica primordiale da cui sono poi derivate tutte le correnti successive. Tradizione che possiamo identificare nello sciamanesimo solare, una antica cultura che ha lasciato profonde tracce nella storia e che si tramanda nel tempo a mezzo delle sue leggende esoteriche, si rende accessibile nei suoi insegnamenti più intimi con una scuola di meditazione e diventa evidente nella manifestazione del megalitismo.
Proprio nelle leggende dello sciamanesimo solare troviamo una spiegazione all'imponente manifestazione dei menhir di Carnac.
Secondo antiche fonti, in quel di Bretagna, nei pressi di Carnac, sorgeva una grande scuola spirituale, precedente al druidismo, con sede, templi ed edifici adibiti a collegi. I menhir furono eretti dagli allievi della scuola a testimonianza della loro scelta iniziatica.
I menhir erano una sorta di "sacrificio" all'Assoluto, un modo per rendere evidente l'eterna preghiera verso il trascendente. Ogni allievo offriva il suo menhir all'Assoluto come se offrisse se stesso, e vi riversava le sue esperienze iniziatiche come in un quaderno esperienziale. Quelle pietre silenziose diventavano così testimoni delle esperienze spirituali di quegli antichi iniziati, pronte a tramandarne i messaggi, a essere "lette" da allievi di altre epoche e ad essere "riscritte" da altri ancora.
Si dice anche che i menhir abbiano poteri terapeutici, e che con opportune tecniche si possano usare a vari scopi magici. Si dicono molte cose su quelle pietre misteriose, e l'aria che si respira tra i menhir sembra poter confermare qualsiasi leggenda. Certo è che ancora oggi c'è chi le usa per riti e cerimonie particolari. Forse i Druidi, forse i pellegrini di San Cornely, o forse gli eredi degli antichi sciamani che tornano con gli allievi nei loro templi ancestrali... I Druidi del posto, pur essendo i maggiori fruitori del luogo, che considerano una loro eredità acquisita, non si rivelano. San Cornely, druido o sciamano, aleggia con la sua presenza. Un giorno, forse, le pietre ci sveleranno il segreto.




Dal sito www.newearth.it

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Tomás de Torquemada
13-07-03, 09:35
Dal sito www.ilnuovo.it

Stonehenge? "E' l'organo femminile"
Secondo uno studio della British Columbia University, il cerchio disegnato dai massi del sito rappresenta l’organo sessuale femminile. Polemiche.

LONDRA - Secoli di studi senza mai arrivare a scoprire la verita'. Gli enormi massi di Stonehenge, risalenti a piu' di quattro mila anni fa, sono stati oggetto di svariate ricerche senza mai arrivare a una risposta univoca da parte della comunita' scientifica. Secondo alcune ipotesi il sito archeologico non era altro che un osservatorio per studiare l'alternarsi delle stagioni, secondo altre un avamposto utilizzato dagli alieni. Ora pero', uno studio pubblicato sul Journal of the Royal Society of Medicine e riportato dal quotidiano Observer, sbaraglia le ipotesi gia' note con una nuova tesi: Stonehenge rappresenterebbe una vagina. Lo sostiene il ginecologo Antohony Perks. "Nell'era neolotica - scrive - la divinita' era Madre Natura. La nascina rappresentava il senso della vita. Stonehenge potrebbe rappresentare il varco attraverso il quale madre natura partorì piante e animali". Lo studioso sottolinea che nelle immediate vicinanze del sito non vi sono ne' tombe, ne' simboli di morte "come se Stonehenge fosse un luogo di nascita".

"Se guardiamo - continua - la parte interna del cerchio, vediamo che e' composta da pilastri di roccia uniti due a due, uno liscio, l'altro no. Per un biologo questo e' il chiaro simbolo dell'incontro tra maschio e femmina". Secondo Perks e' la visione dall'alto che non lascia dubbi: la forma e' quella dell'organo sessuale della donna. "La parte centrale circondata dai massi e' vuota - spiega - perche' rappresenta l'apertura del mondo, il canale della vita".

Silvia
24-06-04, 13:17
Stonehenge, trovati i resti degli «arcieri» che trasportarono le sacre pietre

LONDRA - Archeologi britannici hanno scoperto nei pressi di Boscombe una tomba contenente le ossa di tre adulti, un adolescente e tre bambini, che avrebbero lavorato alla costruzione del misterioso cerchio di pietre di Stonehenge. Soprannominati gli «arcieri di Boscombe», 4.300 anni fa avrebbero contribuito a trasportare massi di calcantite per un percorso di oltre 240 km fino a Stonehenge. Un’analisi chimica dei loro denti ha permesso di stabilire che i sette provenivano dalle montagne del Praseli, nel Galles occidentale, il sito dove già da tempo si ipotizzava provenissero le rocce dai riflessi blu. La scoperta, ha scritto ieri il quotidiano The Times, rappresenta la prima prova del fatto che abitanti del Galles si recarono nell’attuale contea di Wiltshire e lavorarono alla costruzione del luogo di culto. La tomba si trova a pochi chilometri di distanza da Stonehenge. «Finalmente abbiamo trovato i resti di una delle famiglie quasi certamente coinvolte in quest’opera monumentale», ha dichiarato l’archeologo che ha condotto gli scavi, Andrew Fitzpatrick. «Ci sono molte altre tombe. È probabile che molte persone abbiano preso parte al trasporto, perché era una costruzione pubblica», ha aggiunto l’archeologo. I massi di calcantite erano stati i primi ad essere portati nel luogo di culto. Gli 80 massi, del peso di 4 tonnellate l’uno, formavano la parte centrale del cerchio di pietre, ma erano stati spostati in seguito all’arrivo degli ancor più grandi massi di arenaria provenienti da Marlborough. Le calcantiti erano state poi allineate per marcare il percorso del sole dall’alba al tramonto durante il solstizio d’estate. Ieri, 21 giugno, oltre 20.000 persone si sono radunate a Stonehenge per festeggiare il solstizio d’estate intorno alle pietre che da più di 4.000 anni esprimono la reverenza dei popoli primitivi per le forze naturali e le stagioni.


Dal Giornale di Brescia di martedì, 22 giugno 2004

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Silvia
30-06-05, 14:13
EXTERNSTEINE

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Externsteine viene considerato uno dei luoghi iniziatici per eccellenza. Chiamato anche la “Stonehenge tedesca”, in quanto situato alla stessa latitudine del famoso cromlech del Wiltshire (e quindi nei due luoghi il Sole si leva al solstizio alla stessa ora), presenta un mistero reale legato alle sue caratteristiche geometriche e architettoniche. Ovunque sono presenti fori e nicchie di origine artificiale, scavati in epoca imprecisata e che non è stato possibile associare ad alcuna funzione pratica. Inoltre, esistono gradini scavati appositamente nella roccia che non conducono ad alcun luogo, mentre piattaforme e fessure si aprono in continuazione davanti al visitatore.

Potrebbe trattarsi di una sorta di immagine di Escher, in cui lo scopo è quello di evidenziare il cammino tortuoso della vita legata alla materia che non conduce in alcun luogo, ma attrae al sito e lega a sé il viandante. Nel monolito più grande, invece, la scala aerea conduce a una camera di forma irregolare, non raggiungibile in altro modo, in cui penetra il Sole durante il solstizio d'estate, simboleggiando la necessità di una luce superiore in grado di guidare i passi verso l'alto. Chi sceglie la scala giusta, ovvero il giusto iter spirituale nel giusto momento, viene premiato dalla presenza del Sole Invitto, la luce della conoscenza segreta.

Alla sommità della roccia più grande vi è uno spazio a base quadrata su cui si ergeva, in tempi remoti, la colonna Irminsul, rappresentante Yggdrasil, l'asse del mondo. Il palo sacro si sporgeva su uno spazio aperto ai piedi del monolito, in cui ancora oggi si celebrano le feste solstiziali, grandi kermesse di dubbio gusto in cui si incontrano esponenti del neopaganesimo germanico, cultori di musica celtica, new ager e semplici gaudenti, mentre scorrono fiumi di birra e si canta fino all'alba, per salutare il giorno della vittoria annuale del Sole sulle tenebre. Sul muro esposto a est del monolito maggiore è presente un foro da cui, nel solstizio, i primi raggi solari si insinuano, disegnando sulla parete opposta un pugnale, poi una spada e infine l'immagine di una lancia, secondo l'immaginario collettivo dei partecipanti ai raduni.

Sembra accertato che la stanza solare in cima al monolito maggiore fosse adibita a rituali di purificazione e iniziazione in tempi precristiani. Dopo la lunga parentesi temporale in cui Externsteine fu abitata dai monaci cistercensi, durante il periodo nazista e fino al precipitare degli eventi bellici, Heinrich Himmler e i membri della sezione di ricerca SS Ahnernerbe si recarono qui per compiere studi archeologici sotto la guida del prete-mago Karl Maria Wiligut. Wiligut, in arte Weisthor, cadeva in trance di fronte alle antiche vestigia germaniche e descriveva agli archeologi visioni del passato in cui i ruderi erano nel loro massimo splendore, in un singolare e poco ortodosso metodo di ricerca che univa spiritualismo, neopaganesimo e scienza storica.


Dal sito www.thule-italia.com

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Silvia
13-11-06, 12:52
Massimo Centini

MEGALITI FATE E FERTILITÀ

«Nei menhir e nei dolmen definiti la Roche-aux-fées, pietre delle fate, sopravvive il ricordo della Dea Madre. La fata, con tutto il suo splendore d'incantesimo e di fiaba, non è altro che una tarda derivazione della Grande Dea. Lo rivela già la sua etimologia dal latino fatua, la vaticinatrice, e dal fate del latino popolare, la dea del destino» (F. Baumer, La grande Madre – Genova 1995, p. 70).
L'enfatica affermazione di Franz Baumer ci conduce in direzione di una connessione molto diffusa nel folklore nordico: il legame tra megalitismo e fate. Tale connessione non dovrebbe avere origini molto antiche e può essere considerata frutto di una tradizione popolare tendente a legare aree e opere considerate anomale, diverse o pericolose.

Il piccolo popolo, con i suoi personaggi, è spesso protagonista di tale legame, ma è soprattutto la fata a prevalere, perché?
Le risposte possono essere più di una, ma certamente la figura mitica femminile meglio si inquadra tra gli echi di culti litici in cui prevalgono le pratiche connesse ai rituali legati alla fertilità.
Alcuni di questi luoghi delle fate sono contrassegnati da una struttura particolarmente articolata, come la tomba megalitica costituita da due stanze circolari con una galleria di quarantacinque metri che si trova nei pressi di Arles. Vi sono poi esempi di grande suggestione come il menhir Henher-Hroech (Pietra delle fate) di Locmariaquer che misurava oltre venti metri (spezzato da un terremoto nel 1722 in quattro enormi pezzi – nota mia).


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La Pietra delle Fate di Locmariaquer (Grand menhir brisé)

Le Pietre delle fate erano anche parte dell'ampia ritualità popolare connessa all'amore: tra Vitré e Chateaubriand, «sino a non molto tempo fa, nelle buie notti di luna nuova, i fidanzati venivano alla Roche-aux-fées per avere un responso oracolare facendo la conta dei blocchi che la compongono. Il matrimonio sarebbe stato felice solo se i due avessero ottenuto lo stesso risultato. Era tollerata una piccola differenza. Se però il numero delle pietre contate risultava troppo diverso, era consigliabile astenersi dal matrimonio» (F. Baumer, opera citata, p. 70).

In questa pratica non sembrerebbero assenti echi di tradizioni connesse ai riti di fertilità presenti in molte culture e che hanno nella pietra un elemento catalizzatore di notevole valore simbolico. L'azione fecondatrice poteva estrinsecarsi non solo mediante pratiche divinatorie, ma attraverso veri e propri riti che coinvolgevano dilettamente il masso.
Una tra le azioni più diffuse era la cosiddetta «scivolata» sulle pareti dei megaliti effettuata per favorire la fertilità. In altri casi troviamo le cosiddette «pietre con la pancia», massi la cui conformazione era tale da ricordare il ventre dilatato di una donna incinta: su queste pietre le giovani spose o le donne sterili si appoggiavano per ottenere magicamente una futura maternità.


«L'idea implicita in tutti questi riti è che certi sassi possono fecondare le donne sterili, sia grazie allo spirito dell'antenato che vi abita, sia in virtù della loro forma o della loro origine. La teoria che diede origine a queste pratiche o le giustificò, non sempre si è conservata nella coscienza di chi ancora continua a osservarle. Talvolta la teoria originaria è stata sostituita o modificata da una teoria diversa; qualche volta è completamente caduta in dimenticanza, in seguito a qualche rivoluzione religiosa» (M. Eliade, Trattato di storia delle religioni – Torino 1976, p. 228).


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La Roche-aux-fées di Essé (Ille-et-Vilaine)


Altre esperienze del folklore europeo, praticate intorno e sui megaliti e inerenti la fertilità, riguardano l'accensione di piccoli fuochi nelle cavità naturali dei massi o nelle coppelle, in alcuni periodi dell'anno. In questi casi si possono scorgere delle convergenze con il calendario celtico.
Molto diffuse erano anche le danze intorno ai menhir nei giorno dell'Ascensione, come quelle praticate a Fouventle-Haute in Haute-Saône, o quelle di Guernesey effettuate nel giorno di san Giovanni.

Ancora nella metà del XIX secolo, intorno al grande dolmen di Poitiers, i fedeli effettuavano tre giri di danza e quindi lo baciavano: il rito aveva un ruolo protettivo e serviva per allontanare le malattie. Questo tipo di protezione era offerto anche attraverso piccole parti di pietra tratte dal megalite e conservate in casa per tutto l'anno. La pratica di prelevare frammenti di pietra da massi considerati sacri e di conseguenza provvisti di valore apotropaico è molto diffusa nel folklore di numerosi paesi.
In certi casi, nel passato, anche le chiese locali non riuscivano a sottrarsi alla forte valenza sacrale collettivamente riconosciuta alle pietre: «Prima della Rivoluzione, il clero andava in processione al dolmen de La Madeleine, nella Charente, cristianizzato da una croce; nella stessa epoca veniva detta una messa in arca, al di sopra delle pietre druidiche che si scorgevano sotto il mare vicino a Guilvinec, nel Finistère» (P. Sèbillot, Riti precristiani nel folklore europeo – Milano 1990, pp. 209-210).


Da "Il megalitismo - Luoghi sacri di potere" - Massimo Centini (Xenia Edizioni, pag. 112 e seguenti)

Silvia
04-04-08, 00:34
STONEHENGE UNA LOURDES NEOLITICA? SCAVI PER VERIFICARE TEORIA

31 mar. (Ap-Apcom) - Un mistero lungo 4.500 anni, secolo più secolo meno. Almeno la data di costruzione del 'grande cerchio di pietre' presto dovrebbe essere certa. Ma gli scavi iniziati oggi - i primi dal 1964 - hanno un'ambizione maggiore, definire una volta per tutte il perché Stonehenge sia stata innalzata. Con una tesi in cerca di conferme, quella dei due ricercatori che dirigeranno fino all'11 aprile gli scavi: si tratta di "una Lourdes neolitica".

Neolitica vista la data di fondazione. Lourdes, spiegano i professori Tim Darvill e Geoff Wainwright alla Bbc - che nello specifico è anche lo sponsor delle due settimane, fino all'11 aprile, di scavi previsti - perchè il luogo era una specie di santuario dei miracoli dell'antichità: arrivavano qui malati da ogni parte dell'isola, fiduciosi delle capacità sovrannaturali delle pietre magiche estratte da una cava gallese (a 250 chilometri di distanza) e dei druidi.

Darvill e Wainwright hanno sviluppato la loro teoria basandosi su dati empirici, come l'esame di alcuni scheletri del neolitico recentemente scoperti, e supposizioni. Adesso hanno la possibilità di verificarla. Ma senza alzare troppa polvere: scavi limitati anche nelle dimensioni, e solo nel circolo interno della struttura.


Link (http://notizie.alice.it/notizie/cronaca/2008/03_marzo/31/gb_stonehenge_una_lourdes_neolitica_scavi_per_veri ficare_teoria,14426905.html?pmk=nothpcro)

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Artorius
16-04-08, 10:34
erano ricercati da Templari ed alchimisti e gli stessi Cavalieri della Tavola Rotonda si servivano delle virtù taumaturgiche delle pietre di Stonehenge per guarire malattie, rigenerare ferite e ridare energia.

Silvia scrive quanto sopra ma quali prove esistono che i Templari avessero ricercato le Ley Lines che non erano neanche note. Nessuna! Soprattutto si parla dei Cavalieri della Tavola Rotonda, ma questi sono una mera invenzione letteraria, non sono mai esistiti e se Artù puo essere collegato a Lucius Artorius, comandante romano, niente può essere più aggiunto oltre a questo. Si arriva a creare una fantastoria sennò!!!!!

Federale
24-04-08, 12:03
La società e la cultura moderna presentano oggi, con nuove vesti, antichi retaggi culturali e rituali pagani, spesso assorbiti dalle attuali religioni, che però si ripresentano con forza tra le pieghe del manto tessuto proprio per nasconderli e coprirli. E' così che il vento della reminiscenza fa gonfiare questi veli facendo loro assumere le forme di una antica figura pagana la Dea Madre, divinità dai tanti nomi, Iside, Isthar, Venere, Gaia, Epona, e che oggi potremmo facilmente identificare con le numerose Vergini Nere presenti in tutto il continente.
Per conoscere le sue reali origini e andare alla ricerca delle tracce che la mater ha lasciato nel folklore e nella cultura popolare d'Italia e d'Europa, Andrea Romanazzi si è addentrato tra le lande desolate di miti e antiche leggende. La dea non è mai scomparsa, essa si è solo ritirata nel profondo delle foreste e dei boschi, con il suo compagno, il Dio, apparendo nelle fiabe e nelle tradizioni popolari, lasciando come monito i suoi templi: le pietre.

Sarà proprio il culto della roccia sacra o belitico, presente nel folklore italiano, a guidarci come mistico filo d'Arianna tra le figure di Artù e del paladino Orlando, di Teseo e il Minotauro, tra le Amazzoni e le divinità arboree, passando poi per Ulisse ed Enea alla ricerca del ramo d'oro che schiude la conoscenza, o della mistica mela dell'albero dell'Eden che tanto ricorda i pomi di Avalon o del giardino delle Esperidi. Ancora oggi si possono udire i menhir cantare e parlare all'orecchio dell'uomo, sono suoni e vibrazioni d'eternità che riescono a lacerare quel velo che oscura il nostro passato.

Il testo constadi 130 pagine ripartite in quattro parti.

Nella I parte l'Autore analizza il culto belitico o delle pietre sacre addentrandosi tra miti e leggende, ascoltando il verbo di Giacobbe o il canto di Esiodo su Zeus, la divin roccia, e la sua nutrice Amaltea. Saranno questi racconti che lo condurranno nelle "foreste di pietra" , tra menhir , dolmen e cromlech sparsi in tutta Europa.
In iter approfondirà il reale significato di questi sacri massi affermando che "il culto delle pietre va ben oltre l'adorazione to court di menhir e dolmen, esso è legato ad una serie di rituali naturali spesso differenti tra loro ma tutti riconducibili all'idea della roccia come tramite tra le divinità", una coniuctio tra l'elemento femminile, il principio produttore, e quello maschile, il principio ingravidatore.
L'Autore formula così una interessante ipotesi, "la roccia infissa nel terreno diventa facile metafora dell'atto di fecondazione, essa è il tramite attraverso il quale il dio può ingravidare la sua sposa e renderla fertile". In una visione microcosmica "i rituali di fertilità legati alla natura diventano riti legati alla fecondità della donna", nasce così una vera e propria "cerca", attraverso il fitto e intricato mondo delle tradizioni e del folklore italiano dalla Val d'Aosta alla Puglia, di rituali per assicurare la fertilità alle giovani donne spesso celati sotto le nuove vesti della religione Cristiana "con una vera e propria opera di sincretismo da parte dei sacerdoti…che sostituiscono la vecchia dea madre con la Vergine Maria",e la cui ricerca su tutto il territorio nazionale, porterà il lettore in luoghi e santuari "ove ancora oggi si può ascoltare la magica atmosfera di antiche tradizioni", echi di antiche reminiscenze mai sopite.
Ecco così, nascoste dietro la Virgo del Puteo o del pozzo, il ricordo del culto delle grotte e delle sacre stalattiti, "immagine acheropita del dio stesso che, generato esso stessa dalla dea, si materializza nel ventre della sua sposa ingravidandola".

Nella II parte, suddivisa a sua volta in tre capitoli, ci propone un mistico viaggio alla ricerca della dea tra le coste delle misteriose isole del Mediterraneo ove le sue tracce sono rimaste ben conservate per millenni a causa del naturale isolamento al quale queste zone son soggette.
Seguendo così un invisibile filo d'Arianna il lettore partirà dall'antica Ogygia omerica, l'isola di Malta e, come novello Ulisse, incantato da una terra che ancora trasuda le magie della dea Calipso, incontrerà negli intricati antri le sacerdotesse della dea, le famose Smisurate.
Si salperà così per nuove mete fino a fermarsi lì dove si posson guardare, usando le parole di Omero, "le opre dell'aurea Afrodite Ciprigna, che risveglia la soave brama dei numi, soggioga le stirpi mortali, gli uccelli alti in cielo e tutte le bestie". Qui tra sacrifici umani e divinità androgine l'Autore spiegherà il mistero che si cela dietro le Amazzoni e le spose di Adamo tra cui Eva, "colei che sorveglia l'albero dei pomi, lo stesso delle terre iperboree, di Avalon o del giardino delle Esperidi", la donna che poi le divinità maschili han trasformato da "grande Dea in peccatrice".
Sempre seguendo questo mistico filo il lettore giungerà a Creta, il ventre della dea, ove come Teseo conoscerà il reale significato del labirinto "l'utero della dea madre nel cui interno dimora il toro universale".

La III parte del testo focalizza la sua attenzione sulle divinità maschili delle foreste, gli sposi della dea che, rappresentando la ciclicità della natura, muoiono e rinascono per assicurare la fertilità della loro sposa: la Natura. Sul ricordo di antiche divinità come Dioniso, Osiride, Adone, Pan, prenderan vita una serie di rituali di smembramento, ancora oggi praticati in molte località italiane, in modo che "ogni fedele possa partecipare alla forza del dio, acquisire prima dalla pianta, poi dalla carne dell'animale e successivamente dalla reliquia il suo potere".

La IV parte conclude lo studio effettuato soffermandosi sulle feste del "fuoco" e i particolare sulle quattro festività celtiche, tra cui la famosa Halloween, le tradizioni e il folklore contadino ad esse legate in Italia e in Europa. Sarà tra rituali ancora oggi espletati che faranno la loro comparsa divinità mai scomparse come il dio Lugh o la dea Brigit poi trasformati nei santi Antonio e Brigida, le cui memorie sono ben conservate nelle nuove immagini con le quali essi si presentano.


da www.pinodenuzzo.com (http://www.pinodenuzzo.com/)

Andrea Romanazzi
La Dea Madre e il Culto BetilicoAntiche conoscenze tra mito e folklore
Levante Editori - Bari

Silvia
18-05-08, 16:48
erano ricercati da Templari ed alchimisti e gli stessi Cavalieri della Tavola Rotonda si servivano delle virtù taumaturgiche delle pietre di Stonehenge per guarire malattie, rigenerare ferite e ridare energia.

Silvia scrive quanto sopra ma quali prove esistono che i Templari avessero ricercato le Ley Lines che non erano neanche note. Nessuna! Soprattutto si parla dei Cavalieri della Tavola Rotonda, ma questi sono una mera invenzione letteraria, non sono mai esistiti e se Artù puo essere collegato a Lucius Artorius, comandante romano, niente può essere più aggiunto oltre a questo. Si arriva a creare una fantastoria sennò!!!!!

Scusami se non ho risposto prima, ma ho letto solo ora il tuo post.

Non ho mai scritto che i Templari "ricercavano le ley lines" (che vennero individuate o, per meglio dire, intuite solo nel 1920): soggetto della frase che hai riportato non sono le ley lines, bensì i "luoghi misteriosi", i luoghi sacri, nello specifico Stonehenge, strettamente legato alla leggenda di Re Artù... :)






Le ley lines si sarebbero successivamente dilatate fino a ricoprire come un’invisibile griglia tutta la superficie del pianeta, congiungendo i luoghi misteriosi della terra e creando un sorta di geografia sacra, che faceva parte del sapere occulto custodito dagli iniziati. A questi luoghi, collegati tra loro da arterie di energia cosmotellurica, sono da sempre attribuiti poteri straordinari: erano ricercati da Templari ed alchimisti e gli stessi Cavalieri della Tavola Rotonda si servivano delle virtù taumaturgiche delle pietre di Stonehenge per guarire malattie, rigenerare ferite e ridare energia.

Silvia
18-05-08, 16:53
Ezio Savino

STONEHENGE
L’OROLOGIO DEI GIGANTI

http://www.silviadue.net/vari/stonehenge-main.jpg


Si danno due metodi per sollevare e trasportare massi. Il primo è violento e primitivo. Il mito greco lo associa ai Giganti, brutali palestrati, figli della Terra, che aggredirono l'Olimpo lapidandolo con le rocce. Gli energumeni fecero leva sui muscoli e sulle possenti gambe a forma di serpente, radicate nella materia tellurica originaria. Furore scomposto, che Zeus, signore dell'ordine razionale, disintegrò a colpi di fulmine, sigillando gli empi nella desolazione del Tàrtaro.
Il secondo dispositivo è poetico e sibillino. Il suo strumento non è il cordame, la sbarra o la carrucola, ma la lira, il gentile corredo dei cantori e dei maghi. Ne furono maestri i bardi, come Orfeo, che con l'energia segreta delle note smantellava monti e sradicava querce nella Tracia nativa, le obbligava alla danza, le immobilizzava in monumenti vegetali che documentavano il primato dell'arte, della mente, sul greggio vigore fisico. Quando si trattò di innalzare i baluardi di Tebe, il gagliardo Zeto, sprezzante della sua forza di atleta, sfidò il fratello Anfìone, esile, ma padrone della lira e della perizia sonora. Il musicista sfruttò, come solo lui sapeva, il potere delle onde acustiche, armonizzando i macigni nel pentagramma degli spalti al respiro di una canzone, mentre l'altro, ansimando, umiliato, ancora stentava a movimentare dalla cava il prmo cubo di sasso.

A 137 chilometri da Londra, 13 a nord di Salisbury, nella piana ondulata e gessosa della contea del Wiltshire, attanagliata dai flutti spesso tempestosi del canale di Bristol e della Manica, il visitatore attonito contempla un'altra pietrificazione della leggenda, seppure nello sfacelo dei millenni. Il suo nome, sinonimo di inlovinello sublime, è Stonehenge, parola che secondo gli etimologisti custodisce nella prima parte, stone, la pietra, e nella seconda, henge, non si sa se lo stare sospesi» degli architravi ai pilastri sovrumani, o il «cardine» che li inchioda ai basamenti. Il sagace miurgo, qui, è Merlino di Vortigern, l'eremita della fonte dì Galabes, a Gewisseans. Nella sua Historia Regum Britanniae, il gallese Geoffrey de Monmouth, XII secolo, ci avvince con la saga. «Devi trasportare qui la Danza dei Giganti!» suggerì Merlino al re romano-bretone Aurelius Ambrosius, che lo interpellava su come edificare un sepolcro perenne ai corpi dei patrioti trafìtti nell'agguato dei Sassoni.
La Danza dei Giganti -spiegò il fattucchiero - era un circolo di magici pietroni trasvolati dall'Africa del nord al monte Killaraus (Kildare), in Irlanda. I superuomini del passato avevano compiuto l'impresa, per sfruttare al meglio le virtù curative dei macigni. L'acqua che vi scorreva diventava miracolosa contro mali e ferite: un antidoto all'umano effìmero, tomba ideale per eroi da consacrare alla memoria del mondo. A nulla valse il diniego di Gillomanius, il sire irlandese: i cavalieri bretoni lo attaccarono e, dopo la vittoria, si rimboccarono le maniche per imbracare i massi. Fecero la magra figura di Zeto. Bicipiti gonfi, sudori, ma nessun progresso nel trasporto. Merlino sorrideva. Memore di Anfione, mobilitò l'agilità della mente, sfoderò lievi ingranaggi. Le lastre di azzurra diorite e di grigia arenaria (sarsen, da sarracen, «straniero», «pagano») ciascuna del peso di un panzer della seconda guerra mondiale (fino a 70 tonnellate), scivolarono sulle zattere via mare, poi sulle correnti dell’Avon, ed eccole lì, ancora oggi, a Stonehenge. Zavorra di incalcolabili enigmi.


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Heel Stone
Foto Gareth & Rebekah – da www.flickr.com


L'immaginazione popolare, deposto Merlino, vide l'artefice nel Diavolo, che caricò dall'Irlanda il mannello di blocchi, sparpagliandoli nello spiazzo come candeline su una torta, tranne la Heel Stone, menhir «del calcagno» (se pure il nome non si riaggancia a helios, il «sole» greco, dato che al solstizio d'estate l'astro lambisce la punta della pietra) con la quale azzoppò un frate petulante, e che, inclinata dalle raffiche dell'ovest, presidia ancora il viale d'accesso. In pianta, il manufatto integra la forma simbolica circolare con il ferro di cavallo. Un peristilio di trenta montanti (monoliti rastremati alti oltre 4 metri) racchiude il giro di turchesi. Dentro la corona, il perimetro arcuato di 5 triliti è accarezzato al suo interno da altre pietre azzurre, mentre una lastra adagiata, la Pietra dell'Altare, funge quasi da fulcro. In alzato, impressiona il sistema degli architravi esterni, che scalpellini specializzati sagomarono con calcolata curvatura (dall'alto il Sole, se ne era il sacro destinatario, doveva scorgere una circonferenza impeccabile), garantendo coesione verticale con tenoni sulle sommità dei pilastri, incastonati nelle mortase, e orizzontale, tra architravi successivi, con doppi incastri a sezione triangolare.

Questo monumento, la più massiccia opera di pietra a nord delle piramidi, è coevo dei prodigi egizi, ma lo sterramento del diametro di oltre 100 metri che lo cinge è di mezzo millennio più antico. La datazione al radiocarhonio (3000 a.C. le fasi nuziali, in pieno neolitico) ha fatto giustizia delle ipotesi ingenue sul problema storico di chi, quando e perché s'impegnò in una fattura collettiva così immane. Nel 1655 John Webb e l'architetto Inigo Jones videro nel complesso un tempio romano al dio Gelo, in stile tuscanico. John Aubrey (1626-1697), che scoprì i pozzi sacri e fece le prime rilevazioni, lo attribuì ai Druidi celti, che però officiavano nei boschi, non in radure colonnate, ed entrati in Britannia nel III secolo a.C. di Stonehenge videro, se mai, dei ruderi già millenari. La scoperta di utensili dell'età del bronzo fece pensare all'epoca omonima. Oggi il metodo scientifico ha retrocesso la data, garantendo l’unica certezza: Stonehenge è il cuore di un sistema (centinaia di tumuli lineari o a rotonda, buche sacrali, allineamenti di pali preistorici) che fanno del sito di Salisbury un formicaio di cultura e ritualità neolitiche.


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Foto Gareth & Rebekah – da www.flickr.com


Quali maestranze trascinarono i blocchi da cave lontane centinaia di chilometri? Con quali mezzi? Falliti i tentativi moderni di ripercorrere gli itinerari, decaduta l'ipotesi che la glaciazione avesse trascinato i massi erratici fino alla spianata, non resta che immaginare uno sforzo comunitario inserito in un progetto di dividendi dei profitti. Già, ma quali? Ecco il mistero principe: la funzione del cerchio magico. Religiosa? Astronomica? Accantoniamo la stravaganza di un astroporto alieno, alimentata da bagliori e avvistamenti (Warminster, istallazione missilistica nei paraggi, basta e avanza a giustificare le tracce). Stonehenge era un colossale osservatorio, stargate per dialogare con il cielo? Gli archeoastronomi hanno tracciato linee e collegamenti con sole, luna, ammassi stellari. Neopagani e neodruidi festeggiano lì il solstizio, con arpe e trombe. Ma una comunità di pastori e coloni seminomadi, che fatica con falcetti di selce e di corna di cervo, non si rompe la schiena per duemila anni allo scopo, nobile, ma troppo puro, di laurearsi in astrofìsica.
L'ipotesi è allora che una casta sacerdotale scandisse con le pietre le attività sociali, in un tempo in cui l'unico cronografo e calendario era il firmamento, ma pochi addetti ne sapevano leggere il silente tic-tac. Anche il didascalico greco Esiodo comanda al contadino di affilare la falce, per mietere, al sorgere delle Pleiadi, e una linea d'intersezione tra i pilastri guida l'occhio alle sette mitiche sorelle, che gli dei trasformarono in lucenti colombe astrali. La poderosa stretta delle pietre sarsen sulle turchesi simboleggia forse un'alleanza politica fra tribù, o documenta una soggezione? È possibile. Anche i Romani siglarono i trionfi disseminando archi di pietra scolpita. La dioirite è vulcanica, ignea, dalla sua superficie lavorata sprizzano bagliori, anche se oggi la dilavatura secolare e il lichene hanno smorzato le scintille. L'arenaria è pietra di terra. Proiettato al cielo, in orizzonti d'aria, capace di santificare l'acqua, Stonehenge non sarà la traduzione in santuario di antiche religioni fondate sui quattro classici elementi?

C'è chi lo interpreta come il capolinea di una processione dalla morte alla vita rinascente, perché da Woodhenge e Durrington Walls, palizzate preistoriche di tronchi, si poteva passare, tra un'alba e un tramonto, da est a ovest, ai blocchi conficcati, eterni: dalla fragilità dinamica del legname, condannato al marciume, alla staticità codificata. Che, secondo gli antropologi rimanda al culto degli antenati, il centro del mondo, il calcestruzzo della coesione tribale. La spada egea intagliata in un blocco, la maestria goniometrica, mesopotamica, orientale, necessaria a dividere una circonferenza in trenta, il «pi greco» usato per allineare diametri, tutto alimenta il mistero di Stonehenge frutto fantastico di una globalizzazione che viaggiava sulle direttrici dell'ambra e dello stagno, esportando i saperi anche alla periferia dell'impero. Alla base, l'urgenza di partire, esplorare, quel navigare necesse est da cui sgorgarono i Dedalo, i Giasone, gli Ulisse e, più tardi, i Colombo, i Vasco da Gama, i Magellano.


Ezio Savino – da Il Giornale del 28 luglio 2007


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Foto Gareth & Rebekah – da www.flickr.com

Federale
19-05-08, 10:02
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Dolmen Chianca di Bisceglie.
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Dolmen stabile di Giurdignano
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Federale
19-05-08, 10:06
Il dolmen rappresenta il ventre della dea madre terra, nella religiosità paleolitica agricola e pastorale prima della colonizzazione ariana. Inseme alle grotte rappresentava l'utero materno nel quale l'iniziato entrava adolescente per poi rinascere uomo. Il menhir rappresenta un segnale di una strada di iniziazione, che porta ai dolmen. Rappresenta il fallo del cielo che feconda la terra ed è a sua volta fonte di virilità.

Silvia
04-11-08, 19:26
Cinzia Dal Maso

STONEHENGE, L'ULTIMO MISTERO:
"ERA IL PANTHEON DELLA PREISTORIA"


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Non era un osservatorio astronomico, né un tempio per culti della fertilità e neppure un luogo di guarigione. Per l´archeologo Mike Parker-Pearson dell´Università di Sheffield, Stonehenge era un cimitero e il cerchio di pietre era un tempio per il culto di defunti. La prova sono tre sepolture di individui cremati, trovate negli anni ´50 del secolo scorso vicino al terrapieno e al fossato di Stonehenge, che solo ora Parker-Pearson ha datato con precisione. Le prime due furono deposte attorno al 2900 a.C. cioè alle origini di Stonehenge quando si costruirono il terrapieno e il fossato circolari, mentre la terza risale agli anni 2570-2340 a.C. quando fu eretto il monumentale cerchio di pietre. E siamo a conoscenza di altre 49 tombe scavate negli anni ´20 ma poi riseppellite, trovate in parte in livelli di terreno analoghi a quelli delle due sepolture più antiche, e in parte nei livelli più recenti. Ciò significa che "Stonehenge è stato luogo di sepoltura dall´inizio alla fine", scrive Parker-Pearson nella relazione pubblicata sul sito internet dell´università. "Anche quando si costruì il cerchio di pietre, Stonehenge continuò a essere il regno dei morti".

Finora si credeva che Stonehenge fosse stato usato come luogo di sepoltura solo nei suoi primi secoli di vita, quando aveva solo terrapieni e strutture lignee, e che la costruzione del tempio di pietra avesse fatto dirottare le sepolture altrove. Ora invece scopriamo che si è continuato a portare lì i defunti almeno per 500 anni. "Però non gente comune, perché Stonehenge era un posto speciale", afferma Parker-Pearson. "Abbiamo calcolato che in 500 anni vi si portarono circa 240 defunti". Dunque un´élite, dei capi, una sorta di dinastia al potere. Stonehenge fu forse il Pantheon della preistoria britannica.

È questa una prova importante per l´ipotesi che ha spinto Parker-Pearson a indagare Stonehenge. Ipotesi ispirata dalle sue ricerche in Madagascar dove la gente associa il legno alla transitorietà della vita e alla donna, mentre la dura pietra alla morte perenne e all´uomo. Parker-Pearson ha pensato che anche Stonehenge funzionasse in modo analogo. Qualche chilometro più a nord del famoso circolo, nel sito dell´enorme terrapieno circolare di Durrington Walls, ci sono infatti altri circoli di pali di legno dove, sostiene Parker-Pearson, si svolgevano banchetti e cerimonie di passaggio tra la vita e la morte. Poi i defunti venivano portati in barca lungo il fiume Avon e raggiungevano Stonehenge, la casa di pietra garante della vita eterna. Le indagini sono cominciate nel 2003. Ed è stato subito identificato un viale che conduce da Durrington Walls al fiume Avon, molto simile alla via che collega Stonehenge con lo stesso fiume. L´ipotizzato percorso rituale tra i due complessi, incentrato sul fiume come via per l´oltretomba, era dunque una realtà.

A Durrington Walls gli archeologi hanno poi trovato i resti di diverse case di graticcio e fango, il "villaggio dei costruttori di Stonehenge" come ha annunciato Parker-Pearson un anno fa. Ora ha stimato che le case fossero circa 300, sistemate attorno a edifici di culto: il villaggio preistorico più grande di tutta l´Europa nord-occidentale. Abitato però solo stagionalmente, come rivelano le analisi ambientali. Solo per le cerimonie, come i villaggi delle novene in Sardegna. Ma non molti archeologi condividono le teorie di Parker-Pearson. Se plaudono alla sua idea di considerare Stonehenge come parte di un insieme di monumenti, attendono però prove più stringenti per accettare che fosse un complesso funebre. E in questi giorni un´altra tesi suggestiva è proposta dall´archeologo di Oxford Anthony Johnson nel libro "Solving Stonehenge". Convinto che Stonehenge fu costruita usando avanzatissimi principi di geometria. I suoi costruttori conoscevano geometria e simmetria già duemila anni prima di Pitagora.


Cinzia Dal Maso - da Il Tirreno (martedì 27 maggio 2008, pag. 42)

Sherlock Poirot
04-11-08, 20:35
Pochi giorni fa sono stato ad una conferenza di archeologia eretica dove si parlava anche di queste cose.
Secondo me sono stati dei giganti o un popolo a conoscenza di saperi e tecnologie perdute.
Tutte le teorie sulla costruzione delle piramidi o il trasporto di suddetti massi mi sembrano immani buffonate semplicistiche: la realtà delle teorie ufficiali è che sono solo ipotesi strampalate di cui solo una è stata verificata sul campo, che è anche pietosamente fallita.
Il raosio di Occam ha rotto la minchia, bisogna aprire la mente.

"Sì ma poi se la apri troppo ti cade il cervello" NO