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Visualizza Versione Completa : Motivi gnostici nella trattazione di Hans Jonas sul problema del male



Ichthys
17-05-02, 23:30
Quello del senso del male nel mondo è un problema che da sempre assilla l'uomo. Esso risulta ancora più urgente per l'ebreo, perché il male rende "difficile da comprendere l'enigma dell'elezione, dell'alleanza stipulata fra Israele e il suo Dio". Il genocidio compiuto da Hitler è l'evento che rende complicato continuare a credere che ci sia un Dio e nello stesso tempo trovare una spiegazione al male nel mondo. Jonas afferma che i dolorosi avvenimenti di Auschwitz non possono essere intesi nei termini ebraici tradizionali, rinviando la loro spiegazione a una presunta colpa del popolo ebraico, che sarebbe stato infedele all'alleanza stipulata con Dio e per questo sarebbe stato castigato, oppure facendo intervenire il tema della testimonianza, che deve essere data proprio dai giusti nella sopportazione del male. In quell'occasione, infatti, l'elezione del popolo di Israele si trasformò in maledizione. Quale Dio, allora, ha potuto permettere ciò? A questo interrogativo Jonas risponde ricorrendo a un mito, motivato dal fatto che conservare l'opacità del mito è, per ciò che riguarda l'ineffabile, più facile che mantenere la pretesa trasparenza del concetto. Qui emerge il primo motivo gnostico, dal momento che lo gnosticismo spiega la situazione dell'uomo con un linguaggio mitico. Il mito di Jonas racconta che "in principio, per una scelta imperscrutabile, il fondamento divino dell'essere decise di rimettersi al caso, al rischio, e alla molteplicità infinita del divenire", perché il mondo fosse, Dio "deve essersi spogliato della propria divinità per riaverla di nuovo nella odissea del tempo, gravata di quanto ha mietuto e raccolto a caso nell'esperienza non prevedibile del divenire: trasfigurata o, anche, sfigurata". Dal momento della creazione il mondo è affidato alle combinazioni probabili prodotte dal caso cosmico, "in un primo, timido emergere della Trascendenza dalla natura opaca dell'immanenza". Ogni differenziazione di specie che l'evoluzione produce è per Dio "un nuovo modo di provare la propria essenza nascosta e di scoprire se stesso nella sorprese che gli procura l'avventura del mondo" senza possibilità di errore. Poi il primo moto della vita permette "un salto qualitativo repentino [...] nella crescita tesa al recupero della pienezza" dell'Eterno. Questa è l'occasione che la divinità attendeva: è il primo segno del suo possibile riscatto finale. Con la vita si affaccia la morte e la mortalità, che sono il prezzo da pagare, perché proprio dalla finitezza gli individui ricavano quella vivacità che arricchisce la divinità, anche se fino ad allora al di qua del bene e del male, la divinità non poteva subire sconfitte. L'origine dell'uomo è l'origine della libertà, quindi l'origine della responsabilità, che occupa il posto dell'innocenza. D'ora in poi "alla buona sorte e al rischio inerenti questa dimensione ultima è [...] rimessa la causa stessa di Dio [...] e il suo successo oscilla, perennemente in bilico", perciò dal momento della comparsa dell'uomo la divinità "ne segue l'agire trattenendo il respiro". Questo è il mito costruito da Jonas, allorché intende dire qualcosa sul divino, affermando che "nella grande pausa metafisica in cui ci troviamo e prima che essa abbia ritrovato il proprio logos, dobbiamo affidarci a questo mezzo", così come la letteratura gnostica è una letteratura che utilizza il mito per parlare del divino opponendosi al logos della filosofia. Secondo Jonas c'è, infatti, un pericolo nel pensare che uno schema concettuale sia adatto a "dire Dio", in quanto il paradosso del divino è meglio protetto dai simboli del mito che dai concetti, perché "il mito preso simbolicamente è lo specchio in cui noi vediamo oscuramente il divino". Jonas è convinto che i concetti esistenziali spieghino meglio del mito, ma solo in ciò che concerne l'uomo, non in ciò che riguarda il divino. Il destino della divinità nei miti gnostici è nelle mani degli uomini, in quanto, dal momento della creazione da parte dei demoni, alcuni frammenti della divinità sono dispersi nel mondo, più precisamente, racchiusi negli uomini. Alla fine dei tempi la divinità gnostica recupererà tutte le scintille divine, dunque soltanto in quel momento tornerà ad essere integra, mentre nel tempo della storia umana la divinità ha ceduto agli uomini qualcosa di sé. Anche nel mito di Jonas "all'inizio, per una scelta imperscrutabile, il fondamento divino dell'essere decise di affidarsi al caso" e "entrando nell'avventura dello spazio e del tempo, la divinità non trattenne nulla di sé". E' presente nel mito di Jonas, così come nel mito gnostico, l'elemento del rischio della divinità, che si mette in gioco nella alterna e mutevole storia umana, nelle azioni che l'uomo compie liberamente. La differenza fondamentale fra le due narrazioni consiste nel fatto che nel mito gnostico la divinità è costretta a gettarsi nell'avventura della storia umana da un errore nell'emanazione del pleroma oppure dall'esistenza originaria del principio del male, mentre nel mito di Jonas, Dio sceglie volontariamente di creare. Scrive infatti Jonas "affinché il mondo fosse e fosse per se stesso, Dio deve aver rinunciato al proprio essere". La concezione per cui Dio rinuncia alla propria integrità in favore della creazione richiama la dottrina dello Tzimtzùm, come Jonas stesso fa volendo ricondurre il suo mito alla tradizione ebraica. La dottrina dello Tzimtzùm, parola che significa "contrazione", è al vertice del pensiero di Ytzchàq Luria. Il termine deriva da un passo del Midràsh, in cui si afferma che Dio ha concentrato la presenza nel Santo dei Santi e così avrebbe concentrato tutto il suo potere in un solo punto. Il contenuto del termine è però trasformato rispetto questo significato iniziale, poiché "il cabalistico Tzimtzùm non significa la concentrazione di Dio in un luogo, ma il suo ritrarsi fuori da ogni luogo" per garantire la possibilità del mondo. Così il primo atto di Dio non è di rivelazione, ma di occultamento e di limitazione. Anzi, prima di ogni manifestazione si verifica un nuovo atto di occultamento, che è necessario in quanto solo ulteriori contrazioni consentono alle cose finite di restare se stesse. In altre parole, "ogni stadio del processo della creazione contiene in sé una tensione tra la luce che rifluisce in Dio stesso e quella che scaturisce da Lui; e senza questa costante tensione, questa scossa ripetuta con cui Dio trattiene il suo Essere, nessuna cosa di questo mondo potrebbe sussistere".