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Visualizza Versione Completa : Arc d'X, di Steve Erickson.



18-05-02, 21:40
Steve Erickson, Arc d’X, Fanucci.


Arc d’X, del californiano Steve Erickson, è un romanzo difficile da riassumere in una trama. Per Milan Kundera un romanzo deve raccontare cose che si possono raccontare solo con un romanzo. Arc d’X calca perfettamente quest’affermazione e riafferma l’importanza di questo “media” per il terzo millennio, rimescolandone le caratteristiche.
La passione narrata in Arc d’X s’incarna, nella Storia. Difatti, il tormentato rapporto tra Thomas Jefferson, il presidente antischiavista e padre della democrazia, e la sua schiava Sally diventa la rappresentazione simbolica della tensione scaturita tra un incontenibile bisogno di libertà e l’incapacità di reggerla.
Ma Arc d’X non è un romanzo storico, bensì un tour de force visionario che fa dell’“ucronia” un bisturi per vivisezionare la tenebra dell’animo umano. Non vorrei soffermarmi sugli incastri temporali che reggono il romanzo, e nemmeno sull’ossessione di fine millennio che lo pervade. Se è vero che qui il paradosso temporale sfocia nella poesia e che il sogno dà l’alibi ad un’inverosimiglianza di radicale coerenza; se è vero che qui l’attesa della fine del millennio non è una moda ma ha ascendenza pynchoniane, a rendere grande il romanzo è la capacità ericksoniana d’indagare nelle contraddizioni dei personaggi, scrutando le scelte che compiono, sempre all’interno delle molteplici possibilità fornite dalla trama. Thomas e Sally, Wade ed Etcher, lo stesso Erickson, che compare nel romanzo per essere ucciso da Georgie, il fanatico nazi, tutti quanti compaiono e scompaiono, mutano secondo il contesto, eppure, nel delirio della passione, rimangono solidi e credibili.
L’ossessione millenarista ha comunque ragione d’essere, poiché permette ad Erickson di dare al tempo un moto entropico e permette inoltre di sorreggere l’intera poetica del libro: il dissidio tra cuore e libertà (l’Arc d’X del libro). Anche la parte dedicata ad Aenopolis, città tecnocratica, che lascerebbe presagire tristi risvolti orwelliani, si tinge di poesia. Al suo interno non mancano quelle “finestre” che Kundera ritiene importanti nell’economia di un vero romanzo. Pensiamo a Wade che fa riprodurre il vertiginoso Arboretum nella stanza di Mona, ad Etcher che espugna i volumi della Storia Inconscia per restituirli ai preti, cioè ai regnanti, foglio dopo foglio.
Grande parodista del linguaggio, Erickson scansa ogni suggestione orwelliana preferendo il disincanto stilistico di Raimond Chandler.
Nietzsche afferma che la Storia è interpretazione, ed Erickson rispetta quest’assioma. Noi sappiamo che Thomas Jefferson ha avuto davvero una relazione con la schiava Sally Hemings; sappiamo anche che è stato a Parigi durante le sommosse dell’89, con Sally; eppure qui la vicenda è filtrata da una sensibilità minata dal caos: Robespierre è morto sul patibolo, mentre qui muore d’infarto; Danton non ha ricevuto una pallottola in un localaccio; la Berlino degli anni 90 che descrive l’autore californiano non è quella che conosciamo: ha le stesse ossessioni, questo sì, alcune simili genotiopicamente ma non fenotipicamente; la storia americana, qui, ha dei risvolti che nessuna cronaca riporta. Eppure nessuno può negare l’essenza che muove questi rivolgimenti, nessuno può ignorare che l’animo umano è colto con aspetti nuovi, più autentici nonostante la rappresentazione.
Com’è delle grandi opere, in Arc d’X lucidità ed estrema visionarietà s’incontrano. Un lirismo anomalo fa il resto. Leggendo, si viene presi da un vortice di sesso e di sangue che non ha nulla a che vedere con il pulp dei fighetti cresciuti a videoclip. Qui non è importante ciò che accade, bensì ciò che i personaggi vivono interiormente. Non c’è traccia di pornografia. Alcuni momenti, quasi insostenibili, sfiorano la poesia. Ci sono passi straordinari, come quando Sally, nell’orgasmo di uno stupro orale (un cunnilingus), comprende cosa vuol dire “ non sentirsi una schiava”; come il crescendo dei tumulti parigini, non descritti com’erano, ma dagli occhi di Sally che crede di avere ucciso Thomas, il suo padrone.
Per Erickson si è parlato di Garcia Marquez e di Faulkner (quest’ultimo evidentissimo) coniugati al postmodernismo Pynchoniano e alle angosce futuribili di Philip K. Dick. Tutto vero, ma la capacità ericksoniana di sondare gli animi ci riporta a Dostoevskij – naturalmente adattato ad un’epoca come la nostra. C’è in lui la consapevolezza di una visione lucida dell’animo umano e la tendenza ad illustrarla con un delirio che travalica l’apparenza per diventare strumento di verità. Una sorta di tensione etica. D’altronde, tornando a Faulkner, al quale Erickson si richiama per reinventare la storia americana, non è forse egli il più dostoevsckiano degli scrittori americani?

Claudio Ughetto.

Pentothal
21-05-02, 15:46
Urca, c'era pure qui Arc d'X, in parte già rispondi alla mia domanda di su, dovrei leggere meglio prima di scrivere, mannaggia a me :fru
ehehehhe salutoni :D