PDA

Visualizza Versione Completa : Il mito delle Sirene



Tomás de Torquemada
20-05-02, 21:12
Dal sito http://www.misterisvelati.isnet.it/default.htm

CAPITOLO IV
di Lello Capaldo
(autore del volume MISTERI SVELATI. Immagini, forme e riti misteriosi a POMPEI, PAESTUM e in MAGNA GRECIA. - Casa Editrice Fausto Fiorentino, Napoli 1994)

Cominciamo con lo splendido mare che, secondo antichi confini, orlava a occidente la Lucania (1).

Donne bellissime che, seducenti, apparivano tra le spume del mare chiedendo con un canto suadente ai marinai di interrompere la loro solitaria navigazione, di indugiare con loro.... Nessuno, meno l'astuto Odisseo, resisteva all'invito -che precedeva una fine crudele- ed il mancato ritorno di tanti marinai, insieme alla dolce ma infame lusinga raccontata dai superstiti, furono premesse formidabili per diffondere il mito delle Sirene, che trova le sue prime origini nella terra degli Arii, incredibilmente lontana nel tempo e nello spazio.

Ma come poté nascere questa leggenda di sempre ?

Incentrata sull'inesauribile fascino del femminile, essa viene indagata in questo capitolo.

IL MITO DELLE SIRENE

Più delle leggende, delle massime, dei proverbi - di solito nati più tardi- è il mito che, svelato, diventa storia. E, trovandoci in terra lucana, parliamo delle Sirene, due delle quali, secondo Licofrone, Apollonio Rodio ed altri, avevano dimora e culto sulle coste che a questa regione appartenevano secondo i suoi più antichi confini, precisamente a Licosa e a Palinuro-Molpa, mentre altre due ebbero stanza nella penisola di Sorrento e a Napoli (2).

Premesso che mito vuol dire parola, racconto, "e, in quanto parola, anche narrazione primordiale tratta da un tempo oscuro e mancante di storia, cosa favolosa della quale si parla come esistente, ma che veramente non sia" (3) dobbiamo ammettere che ad esso si attaglia un linguaggio di sogno, mentre assai male rendono rigide parole scritte con la pretesa che possano "squadrare l'animo nostro informe". Occorre, dunque, un linguaggio di sogno col quale è più facile tentare di esprimere la tendenza primitiva a personificare eventi e fenomeni: e l'uomo lo ha fatto col cielo, col vento, col fulmine ecc., ma anche con quei fatti, con quelle inspiegabili coincidenze che condizionavano la sua esistenza. Tra queste non poteva mancare l'esperienza base della "attrazione e danno" che caratterizzava frequenti situazioni nella sua vita e del mondo attorno a lui: si pensi, ad esempio, a tutte le imprese che, attirandolo col miraggio di conseguire fama e ricchezza, si concludevano invece con la sua rovina o la sua morte. Più semplicemente si pensi agli inganni tesi dall'uomo ai suoi nemici (ad es. il cavallo di Troia) o alle sue prede (le esche sulle trappole per i selvatici): fatti, questi che, sempre sostanziando l'esperienza base in oggetto, non potevano sfuggire all'esigenza di una rappresentazione, di una "personificazione".

Né questo processo deve suscitare incomprensione poiché costituiva una forma di approfondimento, di "spiegazione" da parte dei primitivi, come noi interessati al quia.

E furono appunto queste personificazioni, queste interpretazioni personalistiche, frequente origine della inconsapevole creazione dei miti. In seguito il processo della mente umana si caratterizza attraverso un sempre più ampio riconoscimento delle forze naturali esterne all'uomo e si riduce così il campo della persona.

Ma torniamo ai miti, in particolare a quello delle Sirene, esseri, questi, cui viene universalmente riconosciuto il ruolo di "attrarre e procurare sventura" ed il cui nome deriverebbe da una radice sanscrita (svar=cielo) legata al significato di "splendore" (e quindi "attrazione") oppure, secondo altri etimologi (forse più verosimilmente avendo esse fama di demoni dal canto seduttore) dalla base semitica "sjr", che vuol dire cantare.

Di esse si legge nel Pianigiani (op. cit.): "esseri mitologici il cui busto era di vaga donna e terminava in pesce, i quali avendo stanza sul lido del mare adescavano col soavissimo canto i naviganti per poi farli naufragare".

Sostanziava questa favola il mortale rischio di coloro che, dirigendo la nave verso tratti di mare resi splendenti dalla poca profondità delle acque, increspate e suonanti, si perdevano con essa. Continua, il Pianigiani, sempre con riferimento alle Sirene e in armonia con quanto detto: "ebbero questo nome perché in origine furono il simbolo della piana e lucida superficie del mare, sotto la quale stavan coperti gli scogli e i banchi di sabbia; donde la favola che fossero vergini fanciulle le quali, stanziate in un'isola, colla dolcezza del loro canto attraevano a sé i naviganti e poi li uccidevano. Omero ne annovera due e le colloca in un paese immaginario; di poi furon comunemente tre lungo la costa meridionale d'Italia.

Più tardi appaiono talvolta come geni della morte e il lor canto è funereo, tal'altra come immagine di un'attrattiva irresistibile e ingannatrice".

Tuttavia in una più approfondita lettura del mito dobbiamo riconoscere che l'accostamento delle Sirene al mare nulla ci dice delle origini del mito stesso, quando cioè esse venivano rappresentate come donne-uccello: dobbiamo, piuttosto, prendere atto che la prerogativa del canto come richiamo si sposa meglio a questa primitiva figurazione (per antonomasia gli uccelli sono canori e col canto si richiamano e attraggono l'uomo) che è propria della cultura vedica (4). Nelle leggende brahamaniche troviamo le Apyas, "lusinghiere ed omicide", con quelle qualità, cioè, che da sempre le distinguono, donde probabilmente le Arpie greche. Queste ultime infatti sono anch'esse donne-uccello e sono legate al concetto di possessività muliebre e all'immagine dell'uccello di rapina (arpàzoo = rapisco, strappo a forza). Evidenti le analogie con la Sfinge, la Gorgone e la Medusa: sfingi ed arpie son poste sulle steli dei sepolcri, sempre in relazione al causare la morte di chi osi accostarsi ad esse con desiderio, inoltre la Sirena è posta, come avvertimento e come genio custode, sulla omonima porta della città di Paestum.

Fin qui, tuttavia, nulla che spieghi perché il concetto di "lusinga-morte" (trappola, adescamento e morte, inganno, sofferenza) si manifesti come immagine di donna-uccello nel Rigveda, come prodotto di una cultura lontana dal mare e familiarizzata con le grandi pianure e i grandi spazi interni, nonché con la fauna ad essi collegata, e come immagine di donna-pesce quando divenne successivamente patrimonio di quelle civiltà che nel mare trovavano una loro ragione d'essere (5).

Ma, solo che un po' ci si rifletta, ecco che la spiegazione appare immediata come quando affiora alla coscienza, finalmente compreso, il significato di un sogno, di un archètipo dell'inconscio collettivo (6).

La donna-uccello o la donna-pesce sostanziano, con la metà superiore, la donna come massima attrazione e, con la metà inferiore, una natura non umana e, assieme con questa, l'indicazione della impossibilità di ottenere da essa la prosecuzione della vita e quindi delusione, morte. Come, se non immaginando un mostro quale le Sirene, poteva una mente primitiva "sognare" (visualizzare) l'esperienza base "attrazione-morte"? come, se non immaginandolo attraente come una vergine e mortale, sterile, come un essere con cui è inutile unirsi? In altri termini quando l'uomo primitivo ha voluto simboleggiare, "inventare" qualcosa (una figurazione, naturalmente, poi diventata un simbolo) che difendesse, con la sua sola presenza, città, tombe o itinerari segreti, che servisse ad intimorire, spaventare, distogliere l'uomo da certe azioni, egli "pensò", al di fuori di ogni processo razionale, l'immagine di un qualcosa di attraente (per antonomasia la donna) con la contestuale presenza di elementi idonei ad annunciare la "non vita", l'estinzione, la morte (7). Così nacque l'immagine della Sirena e, ovviamente, il mito fu parto di una mente maschile (8).






Note

1)"Si estesero i primi limiti della Lucania dal fiume Silaro (=Sele, n.d.r.) infino a Reggio ..." Da Antonini, 1983.

2)Berard, 1963.

3)Da Pianigiani, 1988. L' accostamento tra mito e sogno discende dall'esprimersi ambedue attraverso simboli cioè qualcosa che ha valore per quel che significa e non per quello che rappresenta. E' merito fondamentale della psicoanalisi l'approfondimento dall'attività cosciente all'inconscio (vedi più sotto la nota 6).

4)I Greci inizialmente conservarono l'immagine della Sirena come donna-uccello. Si vedano in proposito le numerose raffigurazioni tra le quali ricordiamo quella, assai bella, su un'anfora dipinta da Python e conservata nel museo di Paestum, la pittura vascolare del mito di Ulisse (British Museum), la Sirena sull'omonima porta di Paestum, le figurazioni sul vaso greco, detto delle Sirene, esposto nel Museo Correale di Sorrento ed infine l'inedita anfora del VI secolo riportata in figura 13.

Le prime rappresentazioni come donne-pesci si hanno, invece, in un vaso di Megara del II secolo a.C. (Museo Nazionale di Atene) e in una lucerna romana del I-II secolo d.C. (Royal Museum di Canterbury). La scena riprodotta è sempre quella che ricorda la vicenda di Ulisse, ma questa volta ad insidiarlo sono, appunto, donne-pesci.

5)Ferma la perennità dei valori arcaici, l'antica religione iranica, giunta attraverso una peregrinazione durata molti secoli sulle rive dell'oceano Indiano, adatta i propri miti al mondo del mare e, come Varuna, somma divinità vedica, diventa Signore dei flutti, così le Sirene donne-uccello divengono donne-pesci. E' evidente, da quanto sopra, che il mito greco delle Sirene, che a lungo ha continuato a rappresentarle come donne-uccello, si è distaccato dalla matrice in una profonda antichità, prima che le popolazioni dell'interno, che avevano concepito il mito, si spingessero fino al mare.

Ricostruzioni di questo tipo, ipotizzabili senza forzature alla distanza di tre o quattro millenni e a migliaia di chilometri dal "focolaio" iniziale, sono la prova della potenza altrimenti inimmaginabile della tradizione.

6)Gli archètipi sono simboli (qualcosa che ha valore per quel che significa e non per quel che rappresenta), che ritroviamo nei miti, nei riti, nelle religioni, nell'arte, nel folklore, nei sogni di culture pur tra loro separate da spazio e da tempo.

Secondo una visione diversa da quella junghiana, che afferma l'origine innata degli archetipi, propendiamo a pensare piuttosto che essi sarebbero stati concepiti dall'uomo in modo spontaneo ed immediato fin dalla più remota preistoria, in rapporto alla sua stessa esistenza e all'ambiente in cui viveva, così come i miti più elementari e semplici nati nei primordi più lontani che sia possibile immaginare: l'Urzeit dello spirito umano. L'immenso intervallo di tempo trascorso avrebbe portato a velarne le origini ed essi, in parte nati da un'attività psichica questa sì legata a fattori genetici, si sono diffusi nel mondo insieme con l'uomo, si sono tramandati attraverso l'eredità culturale così da apparirci presenti sempre e dovunque. Anche se non manca oggi chi, con poca verosimiglianza ritiene che acquisizioni culturali, dopo migliaia di generazioni entrino a far parte dell'apparato biologico (Anati 1992, pagg. 121 sgg.).

7) Per rendersi conto del significato negativo della Sirena, in tutta la sua pienezza, si tenga conto che non esiste società senza religione e che questa è, a sua volta, prevalente culto della vita e della sua continuità. Quali che siano le culture sembra che esista una invariante universale, valida ancora oggi: "bene",ed ogni suo sinonimo, è tutto quanto favorisce la vita, la promuove; "cattivo", e termini equivalenti, è tutto quanto tende a distruggerla, a interromperne la continuità. "La vita vive" ed il male assoluto è arrestare questo flusso imperioso e infinito (Boyer 1992): la vita è dunque l'espressione più alta del sacro. Vedi anche il capitolo "Il sogno".

8)Questa breve indagine sulle Sirene chiarisce come, con lo scorrere dei secoli, il mito vada articolandosi e complicandosi fino a velare densamente, ma mai a cancellare, la verità fondamentale.

Tomás de Torquemada
20-05-02, 21:31
Dal sito http://www.misterisvelati.isnet.it/default.htm
(Testi di Lello Capaldo)

http://www.misterisvelati.it/images/vaso_sirene.jpg

Inedito vaso greco rinvenuto in località "Il Deserto", nei pressi di S. Agata sui Due Golfi. Esso è decorato con figure di Sirene: una centrale, ad ali spiegate, e quattro nella fascia superiore, realizzate con la tecnica delle figure nere a silhouette.

Ritrovato nell'agosto dell'81, esso è stato consegnato alla Soprintendenza Archeologica di Napoli grazie alla tenace mediazione del magistrato dott. Domenico Galasso, appassionato studioso di archeologia e assertore della localizzazione di un tempio delle sirene nella contrada del ritrovamento, "in vertice surrentino" (Capasso, 1846 e Poi, 1983).

La dibattuta questione circa il sito ove sorgeva il tempio trova una definitiva soluzione, conforme a quella sostenuta dal Galasso, grazie ad una recente scoperta nel golfo di Napoli: "una epigrafe osca incisa sulla roccia all'estremità della Punta della Campanella, e pertanto visibile solo dal mare e sfuggita finora a tutti. Il testo ricorda che tre magistrati sanniti avevano fatto costruire, probabilmente nel sec. III a.C., una via che permetteva di salire direttamente dal mare al santuario di Atena situato sul promontorio" (Appella e Sisinni, 1991, pag. 75).

Il vaso faceva parte di un corredo funebre databile alla seconda metà del VI sec. a.C. e le sue dimensioni sono: altezza cm 27, diametro della bocca cm 12,5, diametro della base cm 9,2.

In conclusione, nella penisola sorrentina, esisteva un Tempio delle Sirene nel Deserto, appunto dove è stato ritrovato il vaso, ed esisteva un tempio dedicato a Minerva (Atena) sul Monte San Costanzo, dove giungeva la strada osca risalente dal mare di punta della campanella.

http://www.misterisvelati.it/images/vaso_paestum.jpg

Una bella immagine di sirena alata: neck-amphora firmata da Python (dett.), IV sec. a.C., Museo Nazionale di Paestum. Al di sotto della sirena: l’uovo cosmico.

Tomás de Torquemada
09-08-02, 23:52
Dal sito http://members.xoom.virgilio.it/murat/index.htm

Mito delle sirene


Si dice che Napoli sia, o meglio sia stata, terra di Sirene; il luogo eletto a propria dimora da strane e inverosimili figure, mezze uccelli, mezze donne, mezze chissacché. Si dice anche che questa città sia stata la patria della sirena Partenope, la più bella di quelle strane, accattivanti creature. Da essa, pare, ricevette l’antichissimo e primordiale nome.

Confortata da voluttuosa sensualità e gravida malia, Partenope seppe vittoriosamente attirare, incantare, fiaccare la valentia di gente portentosa. Ebbe fra tutti, prima vittima storicamente accettata dalla nostra tradizione, forse lo stesso leggendario, astutissimo e ormai immalinconito Odisseo. Lo dicono gli innumerevoli reperti raffiguranti il Laertiade che, legato all'albero maestro della propria nave, si lascia andare al carezzevole richiamo modulato dalle profetesse della malia. In una stamnos attico ottimamente conservata e in esposizione al Museo Britannico di Londra, è felicemente rappresentata la scena delle Sirene che con intenzioni niente affatto aggressive volano dalle rupi circostanti intorno all'eroe incatenato. Egli volge il capo verso di loro, con l'evidente desiderio di volerne intenzionalmente ascoltare la melopea. La nave, col grande nero occhio guardingo disegnato sulla prua, per contro scivolare in tutta calma sulle onde di un mare affatto placido.

Più tranquillamente, i marinai che siedono, fermi ai loro remi, fanno da contraltare alla scena. E’ fin troppo evidente che ciò che strugge l'intrepido comandante, per loro non esiste: essi, tutelati opportunamente i propri orecchi con della morbida cera, sono insensibili alla fattura del canto; a loro non resta che far andare il più speditamente possibile i remi e superare alla svelta la bonaccia dentro cui s’ingurgita ogni minimo accenno al più semplice flebile filo d'aria. La loro attenzione è dunque tutta rivolta alle indicazioni del timoniere. Dall'alto della tolda, egli li incita solertemente a non attardarsi. A non curarsi d'altro: le sirene sono affari di Ulisse.

Forse altri eroi, altrettanto coraggiosi e impavidi, più grandi ancora dei temuti capitani achei, più audaci dei discendenti appartenuti alla stirpe da cui furono generati gli argonauti, tramandati dalle cronache mitologiche come viaggiatori esperti e maestri di avventure, si erano già lasciati accattivare dalle armonie della giovine sirena e delle sue consorelle. A noi non è dato sapere se si tratttasse di sardi, micenei, o addirittura, anche se molto improbabilmente, dei mitici atlantidi: la storia, quella seria, esige altre carte di credito.

Per riuscire a provare tal fatta d'eroi, Partenope doveva avere dalla sua l'irrefutabile capacità di prendere forme mille volte più insidianti di quante sirene fossero mai apparse tra terra e mare, spiaggia e battigia, monte e campagna. Per sostenere il paragone con la superbia del paesaggio, la sua essenza era probabilmente intessuta della stessa sostanza dei luoghi, e dunque doveva apparire creatura azzurra d'acqua, rossa di fuoco, nera di roccia, vestita, se mai lo fu davvero, di una tunica verde, intramata di ramaglie e foglioline di lucido mirto.

Essa doveva dar vita contemporaneamente a mille arcane manifestazioni, tutte provenienti da una stessa forza naturale, colte nella fase di più selvaggia dinamica e perciò capaci di dar vita a creature di passaggio, a esseri abituati a perdere continuamente le sembianze dell'ieri, a indossare da un giorno all'altro maschere mutevoli, a subire la durevole condanna di vivere l'oggi avendo per tramite solo l'irrequietezza, frequentando la luce del giorno e la risacca del mare come il limite definito delle cose. Oppure, attestare semplicemente di essere esse stesse il limite del mondo.

Partenope, dopo aver invano tentato di sedurre Ulisse con il suo canto, si suiciderà lasciandosi annegare fra le onde del mare. Il suo corpo sarà trascinato fino alle spiagge del nostro golfo dove i pietosi abitanti edificheranno in sua memoria un sepolcro presso il quale ogni anno si celebreranno, per secoli, onori e sacrifici. La memoria di queste origini viene trasmessa anche in epoca romana ed ancora nel 90 a.C. uno scrittore latino - Lutazio Catulo - così ricorda la nascita della nostra città: Gli abitanti di Cuma, allontanatisi dai familiari, fondarono la città di Partenope, così chiamata dalla sirena Partenope, il cui corpo si dice sia ancora sepolto.

«Il culto delle Sirene: era certamente assai antico; ed è attestato in tre località della Magna Grecia - nel golfo di Napoli, sulla costa di Posidonia e a Terina, ed ignoto al resto del mondo greco.... Da quale gente greca sia stato trapiantato in Magna Grecia il mito delle Sirene è estremamente incerto». È probabile che il culto fu attestato da comunità di naviganti rudi pur non avendo nella propria patria traccia di quel culto. Quel che è certo è che «Rodi e Creta furono i centri da cui il motivo della Sirena in figura maschile barbata, oltre che femminile, rielaborato dal sentimento artistico e religioso dei Greci, si propagò nel mondo ellenico». Ma affinché il culto delle Sirene potesse trovare un attecchimento tanto evidente dovevano preesistere anche delle basi reali, diciamo un terreno di crescita particolarmente adatto a questo specifico mito. Che il culto abbia trovato la sua fortuna proprio nel golfo, si può spiegare con «l'insidia rappresentata dall'assopimento che facilmente coglieva i naviganti nell'ora di massima altezza del sole, quando la luce è tersa e abbacinante e i flutti frangono in maniera pressoché eguale rendendo l'ora facile preda del sonno, quel sonno che è più figlio della spossatezza che della necessità di riposo.

E cosa potevano chiedere di più le stanche membra di un marinaio che ha dovuto affrontare dapprima le asperità di Scilla e Cariddi e tenere la nave lontano dalla scogliera amalfitana, vincere la procellosità delle bocche di Capri e sbucare infine nell'ampio seno del golfo di Napoli che subito mostrava il suo aspetto accogliente per l'abbondanza di approdi e la felicità climatica? Teniamo presente che "il viaggio diurno era reso più insidioso dalla dolcezza del clima e dal diffuso splendore del sole; e alle soglie del pericoloso passaggio tre scogli isolati: i tre isolotti di Strabone, gli odierni li Galli di fronte Positano facevano aumentare il rischio. I naviganti li designavano infatti come le rupi delle Sirene, Sirenussai e l'alto promontorio che incombe sul difficile passo divenne sede di un culto destinato a placare e propiziare gli alati demoni nel cui nome riecheggiava quello della stella Sirio, nunzia della più calda estate"».

hussita
10-08-02, 00:10
http://www.virtualmuseum.ca/Exhibitions/Annodomini/THEME_03/IMAGES/J991702.jpg

Silvia
02-10-02, 23:00
LE SEDUZIONI DELLE SIRENE
di Meri Lao (prima parte)


Omero ha tralasciato di descrivere il loro aspetto fisico. Farlo sarebbe stato superfluo dato che, almeno sin dall'età micenea, tutti le conoscevano. Era notorio, per esempio, ciò che in seguito si è dimenticato: che le Sirene erano donne-uccello. Mammelle floride, ali piumate, viso femmineo che talvolta amava anche ornarsi di barba, artigli di rapace quasi sempre, meno frequentemente zampe leonine e, vera rarità, parte inferiore del corpo a forma di uovo. Quando il loro irresistibile canto - caratteristica suprema - richiederà l' accompagnamento di strumenti musicali come la lira, l'aulòs, i cimbali, i tamburelli e i crotali, le Sirene si muniranno di braccia umane per sostenerli e suonarli. Con le ali protese verso l'alto o ripiegate, quelle più antiche vengono raffigurate mentre incombono su guerrieri in viaggio o su marinai. Quelle in epoca più tarda, scolpite su stele sepolcrali, si strappano i lunghi capelli e si battono il petto in segno di dolore e, come le prefiche, intonano lamentazioni funebri per confortare le anime. Neanche il più sprovveduto degli antichi greci avrebbe potuto confonderle con le altre donne alate che popolavano i suoi sogni. Soprattutto le si sapeva distinguere dalle Arpie, pur così somiglianti nell' aspetto esteriore, anch' esse nate da un dio marino e dedite allo stesso compito di rapire gli uomini nel trapasso. Tuttavia, il solo pensiero di incontrarle gracchianti e fameliche, gocciolando le loro feci putride sulle tavole imbandite, suscitava ribrezzo e orrore. Chi non vagheggiava invece di cedere, anche solo per un attimo, al fascino delle Sirene? Chi non si era illuso di udire nel mare la loro voce dolcissima, capace di instillare un tale languore, un piacere così sconvolgente e assoluto da appagare ogni fame e ogni sete?

Le ragioni addotte per spiegare il perché delle ali delle Sirene rivelano l' aspetto profondo dell' altra componente dell' Ibrido : il femminile umano. Nate come ninfe, infatti, le Sirene ebbero le ali per castigo o per premio. Nate come donne alate, all'opposto, per gli stessi motivi si dice che furono loro tarpate.
La tradizione coinvolge nella vicenda le massime dee che hanno attinenza con la musica, l'amore, la maternità e la morte. Pausania, Eustazio e Giuliano portano in causa le Muse, anch'esse dalla bellissima voce, suonatrici e dispensatrici di sapienza, non più in veste di madri, ma di feroci avversarie. Già dotate di ali, le Sirene avrebbero osato gareggiare nel canto con le Muse, le quali, per deriderle, gliele strapparono senza pietà, facendosene corone. Spennate, impedite di aleggiare, mortificate, è in questa occasione che si sarebbero suicidate: così almeno asserisce Stefano di Bisanzio. Alcune però si rassegnarono a rimanere letteralmente appollaiate sugli scogli, e in questa pedestre posizione le avrebbero viste Ulisse e gli uomini del suo equipaggio. Ma, anche se i nomi e i luoghi - Leucotea, Leucosìa, Leucade, Galatea - sembrano voler designare la bianca epidermide, quest' opinione è smentita dall' iconografia, che le raffigura alate e ricoperte di piume durante l' incontro con Ulisse.
Secondo altri, è Afrodite che le fa diventare passeriformi, per stigmatizzare il degrado da esseri superiori a ibridi. La dea dell' amore puniva così l' insistenza delle Sirene nel mantenersi vergini e il rifiuto di congiungersi non solo con i mortali, ma persino con gli dèi. Pierre Grimal pensa che questa sorte sia capitata solamente a Partenope, una fanciulla frigia che si innamorò nonostante il voto di castità, si tagliò i capelli, si esiliò volontariamente in Campania per consacrarsi a Dioniso, e venne raggiunta da Afrodite che la trasformò in sirena.

La versione più ricca di implicazioni simboliche è quella che associa le ali delle Sirene al mito di Demetra, dea dell' agricoltura e della vegetazione, e sua figlia Kore-Persefone; Demetra, agisce qui nella sua funzione di madre terrestre, come il nome Da Mater indica. Questo mito, nel riconfermare il legame tra le ali e il mondo infero, esprime l' enigma del femminile e i suoi rapporti con la nascita e il destino escatologico dell' uomo. Le Sirene, ninfe del seguito di Kore, la fanciulla divina, sono intente a cogliere fiori e narcisi, e a giocare nelle vicinanze dell' Etna, quando Plutone la rapisce per portarla nel suo regno d' oltretomba. Demetra le accusa di non essere intervenute a evitare il ratto e, per punirle, le trasforma in pennuti, benché qualche mitografo sostenga, al contrario, che proprio per questo motivo la dea le priva della facoltà di volare.
Una spiegazione più benevola viene offerta da Ovidio : sono le Sirene stesse che, per poter andare meglio in cerca di Kore, chiedono agli dei la grazia delle ali; una volta concessa, però, le utilizzeranno in maniera anomala, cioè come remi, per camminare più spedite sulla superficie dell' acqua.
Forti dell' ambiguità della materia, si potrebbe avanzare un' altra interpretazione dei fatti. Le Sirene sono state presenti, come sempre, al transito dal regno dei vivi a quello dei morti, pur trattandosi questa volta della fanciulla della primavera che passava a essere la regina delle ombre, di Kore che mutava il suo nome in Persefone. Un transito che non avrebbero mai potuto ostacolare, se non rinnegando la loro missione principale. Anzi, che hanno facilitato fedeli al loro ufficio e indifferenti ai conflitti di potere come si sono sempre dimostrate. Demetra, madre innanzitutto, voleva che per sua figlia non agissero le leggi; da qui il rimprovero rivolto alle Sirene e il castigo.

(continua…)


Dal sito: http://xoomer.alice.it/bestialbhv/Absindic.htm

:)

Silvia
03-10-02, 22:24
Ops... ho dimenticato di inserire l'immagine... :)


http://www.silviadue.net/bestiari/vaso9.jpg
Vaso corinzio del 600 a.C. con sirene, leoni
e antilopi - Museo dell'Arte di Toledo

Silvia
17-11-02, 22:46
LE SEDUZIONI DELLE SIRENE
di Meri Lao (seconda parte)

La musica
La tetractys è la formula magica dei pitagorici: su essa prestavano il giuramento di non svelare ai profani le verità aritmologico-religiose della loro setta. Sembra che si esprimesse con l' addizione 1+2+3+4=10 e si rappresentasse con un triangolo equilatero costituito da dieci punti, uno centrale e quattro per lato. Il numero quattro è investito di grande potere: ha carattere di universalità, poiché sono quattro le regioni del cielo e delle terra. In base a un sistema analogico venivano associati alla tetractys altri concetti governati dal numero quattro attinenti alla natura fisica, al tempo e allo spazio: gli elementi, le fasi lunari, le stagioni, le età dell' uomo, i punti cardinali, le parti dell' anima, il cerchio diviso in quattro settori uguali ovvero la circolatura del quadrante, la stessa addizione di prima però al rovescio ossia: 10=1+2+3+4, ovvero la quadratura del cerchio. Non ultimo, la tetractys, richiama quella successione di quattro suoni congiunti che si conosce sotto il nome di tetracordo; tutto il sistema musicale greco - calcolato, appunto, da Pitagora - si ottiene tramite l' incatenamento dei tetracordi, presi uno dopo l' altro in senso discendente. A quanto afferma Armand Delatte, le Sirene farebbero da nesso tra questa formula sacra e l'oracolo di Delfo: un precetto, infatti, rivela cha la tetractys è l' armonia dove si trovano le Sirene. Se per i pitagorici la musica degli uomini ha la missione di scuotere le anime ingabbiate nel corpo terreno, stimolando l'amore per le cose divine, la musica oracolare delle Sirene, rivolta alle anime erranti, accende in esse la memoria, la nostalgia dei cieli, rendendo dolce il distacco. In un passo della Repubblica di chiara connotazione orfica e pitagorica, Platone offre la prima notizia della musica delle Sirene, collegandola alla dottrina della metempsicosi. E' la narrazione che Er, un guerriero della Panfilia miracolosamente tornato tra i vivi, fa della sua permanenza nel mondo dell' oltretomba. Per prima cosa, Er allude ad un prato fiorito, l'Anthemoessa, dove erano ferme le Sirene in attesa dei naviganti, che richiama alla mente il giardino fiorito dove giocavano insieme a Kore, prima che questa fosse immersa nell' abisso. Dopo avervi trascorso otto giorni, gruppi di morti si incamminavano per quattro giorni ancora, finché non si offriva ai loro occhi la visione di una serie di fusi astrali incastrati uno nell' altro. L' ultimo degli otto, di diamante, posto al centro dell' universo, li colpisce con il suo bagliore. Il fuso è mosso da Ananke - figlia di Cromo e di Dicé -, la dea che l' orfismo aveva assunto come madre iniziale. In una precisa geometria sono disposte le tre Moire e le otto Sirene, che cantano rispondendo a un'armonia unitaria. Vediamo che Platone colloca le Sirene e la loro musica in un vasto sistema cosmologico pre-olimpico, tra le entità femminili che presiedono al destino dell' universo e degli esseri umani. Ananke rappresenta la legge naturale, la necessità; è lei che imprime movimento ai fusi delle sfere, è lei che determina il numero delle vibrazioni di partenza. Le Sirene sono la manifestazione sonora di Ananke. Ma, allo stesso tempo, cantano in accordo con le Moire, cioè con le leggi che regolano la vita dei mortali, i cui giorni filano, avvolgono in matassa e tagliano. Si può immaginare che le Sirene, situate a distanza proporzionale dalle altre quattro dee e in rapporto doppio di numero, cantassero all'unisono. Più che una musica vera e propria, una risonanza. Chi l'ascolta ottiene la memoria delle cose che sono accadute e di quelle che accadranno sempre, fatalmente.
La musica che - disse Trismegisto - altro non è che conoscere l'ordine di tutte le cose.

(continua...)


Dal sito: http://members.xoom.virgilio.it/bestialbhv/index.htm

Shambler
18-11-02, 02:43
i sirenidi ,creature reali e non frutto di vaneggiamenti, sono molto più interessantihttp://www.marevivo.it/immagini/sirel.jpg
http://www.marevivo.it/sirene2.html

la ritina di steller, lunga 10 metri fu scoperta alla fine del 700 e massacrata per il grasso. dopo 20 anni era gìà estinta.
http://www.musei.unina.it/images/3.2.5.11.jpg

Silvia
18-11-02, 11:18
Meno male che ci pensa shambler a riportarci nel mondo della realtà... :rolleyes:

Shambler
19-11-02, 07:53
non ti piacciono i poveri sirenidi?:eek: :D

Silvia
12-04-03, 15:59
LE SEDUZIONI DELLE SIRENE
di Meri Lao (terza parte)

Abbiamo considerato fin qui le Sirene classiche, seguendole sino alle ultime propaggini, senza fare attenzione all'altro tipo emerso nel frattempo e destinato ad avere un tale successo da soppiantare il tipo antico, e cioè le Sirene pesciformi. Scomparse le penne del volatile, la parte inferiore dell' ibrido si correda di pinne: una o due pinne caudali in bella mostra. Non è da escludere che a questo stupefacente cambiamento di specie zoologica abbia concorso anche una confusione linguistica dovuta a omofonia o paronimia. "Ala" e "pinna", in greco, si designano infatti con la stessa parola: pterùghion. E in latino, tra pennis e pinnis c'è appena una vocale di differenza. Occorre richiamare l' attenzione sull' eccezionalità del caso. Una mutazione così radicale non ha mai investito altre creature del genere come centauri, sfingi o draghi. Questa doppia raffigurazione delle Sirene viene a suffragio dell' insistente duplicità della loro simbologia. Questa loro forma cangiante, disposta ad accogliere le sembianze più inedite, parla di non comuni qualità di metamorfosi che si esplicano nel tempo. Sussiste molta confusione per quel che riguarda le antenate femminili delle Sirene-pesce. Di solito, esse si fanno risalire a certe divinità ben note all'epoca di Alessandro, venerate poi nel tempio di Bel a Palmira durante il periodo tiberino. Da lì, una lunga sequela di associazioni approssimative, se non arbitrarie. Sia come sia, le antenate sotto ogni aspetto delle Sirene pesciformi provengono dalla stessa culla che ha dato i natali a quelle alate. Due reperti del tutto eccezionali, l'autenticità dei quali è definitivamente suffragata, ne danno prova: un vaso di Megara del II secolo a.C., conservato al Museo Nazionale di Atene e una lampada romana del I-II secolo d.C., conservata al Royal Museum di Canterbury. Il soggetto rappresentato è quello di Ulisse e le Sirene, ma queste, invece di uccelli, sono donne dalla coda di delfino che emergono tra i flutti. E' il caso di affermare, dunque, che anche il tipo tardo è di matrice mediterranea. Come se i cromosomi della forma idrodinamica fossero stati congelati per oltre un millennio e poi spuntassero le code rigogliose... Ancora oggi, nel santuario di Tanagra, la mummia di un enorme pesce dalla testa mozza sta a ricordare il tritone ubriaco che perseguitava le donne della Beozia. Pausania ( II secolo d.C. ) è fra i primi a darne notizia, fornendo anche qualche particolare realistico sui tritoni osservati fra le curiosità romane; pure per lui i capelli aggrovigliati, del colore del muschio delle paludi, sono oggetto di stupore. Per il resto, questi ibridi sono provvisti di : "Squame sottili e ruvide come una lima, branchie sotto le orecchie, naso d' uomo, ma con la bocca molto più larga e denti di bestia feroce; occhi verdi come il mare, a quanto mi è parso; mani, dita e unghie che sembrano il guscio delle conchiglie bivalve; sotto il petto e il ventre, al posto dei piedi, pinne natatorie simili a quelle del delfino". Altrettanto plastiche, le Sirene-pesce non tarderanno a presentarsi come il corrispettivo femminile dei tritoni. Non solo morfologicamente. Alla pari dei tritoni, grandi amatori del mare come i satiri della terraferma, le nostre sono ormai pregne di erotismo. Non mancano di ancorarle alle Nereidi, che Properzio ( 47? - 15? a.C. ) aveva studiato in maniera particolare, stabilendo che erano in numero di cento - il doppio di quanto aveva calcolato a suo tempo Esiodo - e che possedevano, come tratti distintivi, i capelli verdi e la coda di pesce. Tuttavia, la data ufficiale delle nuove Sirene, sia nell' aspetto, sia nella funzione, viene registrata da un manoscritto anglosassone composto tra l' VIII e il IX secolo, il Liber Monstrorum. "Le Sirene sono giovanette marine che seducono i marinai con le loro splendide forme e col miele del canto. Dal capo a metà del tronco hanno corpo femminile, e in tutto e per tutto sono identiche alle donne : però hanno le code squamose dei pesci, che tengono ben nascoste sott' acqua fra le onde". Una tale disinvolta spiegazione viene però inficiata qualche pagina avanti, alla voce Scilla. A questo punto il Liber monstrorum annota che la fanciulla trasformata da Circe in mostro marino per amore di Glauco "se ne stava fra l' Italia e la Sicilia, a quanto raccontano i Gentili", e che "lì divorava i marinai". Dopo aver ricalcato la descrizione di Virgilio, il Liber torna a riferirsi alle Sirene, con palese imbarazzo, giacché sente che si impone una distinzione. "Scilla aveva il petto e la testa di ragazza, come le Sirene; però il ventre era da lupa, e la coda da delfino. Un' altra qualità distingue il carattere delle Sirene da quello di Scilla: le prime fanno razzia di marinai grazie al loro canto assassino, mentre quest' ultima, secondo le testimonianze, squartava con la violenza della sua forza fisica i relitti e i resti degli sventurati naufraghi, circondata da foche e da cani marini". Nondimeno, in segno dell' antica regalità difficile da far sopprimere, queste Sirene vengono frequentemente rappresentate con in capo una corona.


Dal sito: http://members.xoom.virgilio.it/bestialbhv/index.htm


http://www.silviadue.net/bestiari/sirena_bruxelles.jpg
Bruxelles, Bibliothèque Royale, MS. 10066-77 (2a metà sec. X)

agaragar
12-04-03, 16:17
Già, è vero, i pesci sono muti....

Shambler
12-04-03, 18:37
scilla ha la stessa radice linguistica di squid. è possibile si trattasse di un calamaro gigante o di una piovra (che talvolta si trovano morte sulle spiagge).
oppure di una grossa foce o di un 'otaria.

Silvia
12-04-03, 22:00
Originally posted by shambler
scilla ha la stessa radice linguistica di squid. è possibile si trattasse di un calamaro gigante o di una piovra (che talvolta si trovano morte sulle spiagge).
oppure di una grossa foce o di un 'otaria.

E’ l’ultima teoria shambleriana? :D Davvero molto interessante… tanto interessante che, per ricambiare, ti svelo un segreto… ;)

Scilla era una bellissima fanciulla trasformata da Circe in un orribile mostro, che terrorizzava gli incauti naviganti (quelli che osavano attraversare il “suo” tratto di mare) afferrandoli con i colli a forma di serpente di cui erano dotati i suoi cani e divorandoli con le possenti mascelle. Eppure esisteva una creatura (l’unica, pare) assolutamente incapace di provare orrore per lei: era lo Xiphias gladius, meglio conosciuto come pesce-spada, che durante la stagione degli amori raggiungeva in grossi branchi questo tratto di mare proprio per corteggiare Scilla. Da qui l’abbondanza di pesce-spada lungo lo Stretto di Messina. Scommetto che non lo sapevi… :)

Shambler
13-04-03, 03:25
no. l'ho letto su un libro di criptozoologia (pieno di stupidate) comprato da ragazzo.
la descrizione coincide perfettamente con un polpo o un calamaro.

Tomás de Torquemada
13-04-03, 18:17
Con un pizzico di campanilismo (riferito al passato storico-artistico, non certo al presente... :D), ecco un'altra Scilla abbastanza nota... ;)

http://digilander.libero.it/messinasito/Messina%20pagine/Fontane/Fontana%20del%20Nettuno.htm

Silvia
02-10-03, 21:01
LA SIRENA ROMANICA: RIVISITAZIONE DI UN MITO

Uno degli aspetti più sorprendenti delle multiformi e spesso enigmatiche decorazioni scultoree delle chiese romaniche è costituito dalla straordinaria diffusione di un repertorio di temi e di soggetti che fu strumento di un lessico figurativo in qualche modo divenuto patrimonio comune della cultura religiosa dell’epoca.
La frequente rappresentazione della Sirena, che a tale repertorio appartiene, non dovrebbe dunque stupire più di tanto, se non fosse per la singolare puntualità con cui questo soggetto si affaccia, pressoché in ogni edificio religioso, da capitelli, architravi, pilastri, pavimenti, quasi misterioso emblema di un allusivo racconto. E dunque, se sotto gli apparati decorativi romanici si dirama, occultato (o, se si vuole, svelato) dal linguaggio cifrato del simbolo, un reticolo di temi teologici e morali, pare corretto concludere che ai significati della Sirena erano attribuite tali peculiarità e rilevanza da rendere quasi ineludibile la presenza di questo soggetto.

Un primo percorso utile a definire le tematiche della Sirena nell’iconografia romanica e a coglierne i motivi salienti è quello che muove dall’identificazione dei caratteri connotativi con i quali questa figura pervenne, dalla cultura antica, al pensiero e all’immaginario del tempo. Una ricerca, peraltro, solo in parte efficace: se, per un verso, il fervore dottrinale e letterario del cristianesimo dei secoli XI e XII consente di ripercorrere le tracce nitide di una tradizione che risale alla lettura in chiave etica dei Padri, è innegabile, nelle molte ambiguità della Sirena raffigurata, di un elemento di alterità e di mistero che sfugge ad un’interpretazione meramente catechistica del soggetto.
L’idea di una seduzione che si fa strumento di morte non sempre emerge chiaramente dalle raffigurazioni romaniche della fascinosa creatura marina. Né, d'altronde, questo è l'unico significato assegnatole, per esempio, dalla stessa letteratura religiosa dell'epoca. E' forse a causa della pluralità e di certa indeterminatezza, se non addirittura di instabilità, del significato di questa figura, che gli studi ad essa dedicati spesso rivelano, oltre a sensibili disomogeneità d’approccio, una singolare molteplicità d’interpretazioni.


http://www.silviadue.net/bestiari/sirena_galligans.jpg
Girona (Catalunya) - Sant Pere de Galligants
(capitello del chiostro)


La Sirena seduttrice
Alcuni antichi testi, assai noti e diffusi nei secoli XI e XII, ebbero un ruolo di particolare rilevanza nella trasmissione del tema della Sirena, e di questo certamente contribuirono ad indirizzare le successive elaborazioni sia sul piano concettuale sia su quello figurativo.Tra questi, vi fu il cosiddetto Physiologus, una piccola opera del II secolo, della scuola greca di Alessandria: attuale, e di gran successo, durante tutta l’età medievale, diede luogo a varie imitazioni ed a traduzioni in diverse lingue. In una delle sue versioni, la "Redazione I", la Sirena è descritta nel modo seguente:

Ci sono nel mare degli animali detti sirene, che simili a muse cantano armoniosamente con le loro voci, e i naviganti che passano di là, quando odono il loro canto si gettano nel mare e periscono. Per metà del loro corpo, fino all'ombelico, hanno forma umana, per la restante metà, d'oca. Allo stesso modo, anche gli ippocentauri per metà hanno forma umana, e per metà, dal petto in giù, di cavallo.Così anche ogni uomo indeciso, incostante in tutti i suoi disegni. Ci sono alcuni che si radunano in Chiesa e hanno le apparenze della pietà, ma rinnegano ciò che ne è la forza, e in Chiesa sono come uomini, ma quando invece se ne allontanano, si mutano in bestie. Costoro sono simili alle sirene e agli ippocentauri: infatti «con le loro parole dolci e seducenti», come le sirene, «ingannano i cuori dei semplici» (Rom., 16.18). Perché «le cattive conversazioni corrompono i buoni costumi» (Cor., 15.33).

Assai diffuse furono anche le Etymologiae, un ampio trattato in venti libri composto nel VII secolo da Isidoro di Siviglia (570 circa – 636). La fortuna di questo testo si protrasse per oltre sei secoli: l’opera è sostanzialmente «… una ricostruzione della lingua latina in funzione politica e cristiana, ricostruzione che trascina con sé il patrimonio delle conoscenze antiche ordinate secondo i termini». La versione di Isidoro è la seguente:

...Si racconta che le Sirene fossero tre, per metà fanciulle e per metà uccelli, e che avessero ali e artigli. Di esse, una cantava, un’altra suonava il flauto, la terza suonava la cetra.
Attiravano i marinai con la loro musica, e li facevano naufragare. Ma in realtà si trattava di prostitute che riducevano in miseria gli uomini che si trovavano a passare di là: questi fecero poi credere di essere stati indotti al naufragio. Avevano ali e artigli, perché l’amore vola e ferisce.
Si dice poi che stessero tra i flutti, per il fatto che Venere era nata dalle onde del mare....

Quanto al suo aspetto, la Sirena, sopravvissuta all’oscuramento del mondo mitologico della classicità, sembra conservare ancora la forma di donna-uccello assegnatale dal mito. E tuttavia, nel medesimo VII secolo, compare nel Liber Monstrorum la descrizione della Sirena-pesce, che finirà con l’acquistare nell'iconografia romanica una larga prevalenza rispetto alla precedente…

... fanciulle marine che ingannano i naviganti con la loro bellezza ed il canto dolcissimo; dalla testa all'ombelico hanno il corpo di giovane donna, ma possiedono la coda squamosa dei pesci con la quale restano nel mare.

Il moltiplicarsi delle tipologie della Sirena, effetto di combinazioni della parte superiore femminile con elementi di svariati animali, sembra trovare nei Bestiari catalani del '300 il punto di arrivo del processo modificativo. Qui si parla di tre tipi di Sirene: donne nelle parti superiori, in quelle inferiori sono pesce, o uccello, o cavallo. Traspare, in questo diversificarsi degli ibridi, l'intendimento di rappresentare tutte le specie del mondo animale, da quelle terrestri a quelle che abitano il mare e l’aria.
Di fatto, il progressivo attestarsi nell'epoca altomedievale di un’anatomia non univoca e, come si è visto, spesso diversa rispetto a quello del mito non sembra comportare un’alterazione dei tradizionali caratteri della Sirena, né sul piano etico, né su quello simbolico.

Se ne ha una conferma confrontando tra loro i testi citati ed enucleando gli elementi che, comuni alle rispettive strutture narrative, si configurano come gli aspetti connotativi della figura e del suo agire:

* la duplice natura: nella Sirena coesistono due distinte nature, quella umana e quella animale;

* la seduzione: ciò che nella Sirena appartiene alla natura umana è di sesso femminile e, in quanto tale, implica un’attitudine alla trasgressione seduttiva ( :rolleyes: );

* l'inganno: per realizzare il suo progetto la Sirena si serve di uno stratagemma;

* l’illusorietà dei sensi: quando nell'animo umano dominano le pulsioni dell’istinto, apparenza e realtà si confondono tra loro;

* il suono: la Sirena esercita la sua attrazione mediante il canto, la musica, la parola;

* la morte: chi cede alla seduzione precipita verso un inesorabile destino di morte;

* il mare: la Sirena è una creatura marina.

Si potrebbe dunque osservare che i testi tardoantichi ed altomedievali già citati non introducono granché di nuovo rispetto, ad esempio, allo stesso racconto omerico.
Ma nella prima metà del XII secolo, Onorio di Autun (prima metà del XII sec.) propone in una sua raccolta di sermoni per l’anno liturgico, lo Speculum Ecclesiae, una singolare ed ampia lettura della figura della Sirena in chiave allegorica, che lascia trasparire sia la descrizione di Isidoro sia le notazioni moralistiche dell’antico Physiologus. Onorio esordisce così:

Tra i pagani, dei sapienti scrivono che su di un’isola nel mare c’erano tre Sirene che con strumenti diversi suonavano una melodia dolcissima. Una usava la propria voce, un’altra il flauto e la terza la cetra. Avevano l’aspetto di donne, ma artigli ed ali di uccello. Con la soavità del loro canto trattenevano tutte le navi che si trovavano a passare di là, sbranavano i naviganti vinti dal sonno e facevano inabissare le navi tra i flutti. Un condottiero, tale Ulisse, costretto a navigare in quel braccio di mare, ordinò che lo si legasse all’albero della nave e che ai suoi compagni fossero tappati gli orecchi con la cera: in tal modo sfuggì indenne al pericolo e fece precipitare le Sirene tra le onde.
In questi racconti, carissimi, ancorché scritti da uomini ostili a Cristo, sono rivelati argomenti di fede (il passo completo qui (http://romanico.clab.it/onorio.htm)).

Ogni Sirena impersona una passione umana: «Le tre Sirene, che accarezzando i marinai con il dolce canto li fanno addormentare, sono i tre piaceri che rendono gli animi degli uomini inermi di fronte ai vizi e li portano al sonno della morte» e si distinguono l’una dall’altra per ciò che vanno promettendo ai malcapitati ascoltatori.
L’avaritia è rappresentata dalla Sirena che canta, la jactantia da quella che suona il flauto, mentre la Sirena con la cetra è la luxuria. Nel gioco dell’allegoria e nella differenziazione delle delectationes, Onorio recupera la distinzione isidoriana delle tre Sirene basata sugli strumenti musicali, ciascuno dei quali diventa così elemento distintivo e identificativo di un atteggiamento trasgressivo.
L’autore si richiama esplicitamente alla tradizione omerica, fonte indiscutibile, ancorché priva, per la sua estrazione pagana, dell’auctoritas che è propria delle Scritture, ed appare subito evidente come, nel fervore speculativo e didattico del cristianesimo dell’età romanica, l'elaborazione catechistica si sia ormai impadronita della figura della Sirena e delle tematiche ad essa collegate, portandone a compimento una trasposizione sul piano etico. Un processo evolutivo che i testi più antichi si erano limitati a prospettare.

Che l’iconografia, dal canto suo, colga pienamente il senso del proprio ruolo in questo contesto interpretativo lo confermano le raffigurazioni nelle quali la Sirena sta lacerando il corpo della propria vittima, o compare in prossimità di un acrobata o di un danzatore, tradizionalmente oggetto di riprovazione, oppure, caso peraltro non frequente, impersona esplicitamente il vizio.
L. Charbonneau-Lassay individua nella Sirena-pesce la rappresentazione dell'«antitesi del Cristo pescatore» poiché essa «... al contrario di Cristo, trascina la sua preda negli abissi per un destino fatto di infelicità permanente».
La minaccia di un pericolo mortale, che qui costituisce il concetto intorno al quale si dispiega l’allegoria, è uno dei motivi ricorrenti che accompagnano l’immagine letteraria della Sirena. Ma anche altri caratteri, già individuati come connotativi del soggetto, diventano materia di singolari elaborazioni sul piano figurativo e iconologico per una rappresentazione in chiave etica: l’aspetto seducente è solo uno dei motivi conduttori, non più significativo, ad esempio, di quello della duplice natura umana e animale, o dell’insidia mortale stessa.
L’iconografia romanica sembra così percorrere alcune sue proprie linee di sviluppo del tema e spesso travalicare, come apparirà evidente più oltre, i coevi contenuti letterari. Al punto che questa appropriazione delle potenzialità espressive insite nella figura darà talvolta luogo ad interpretazioni nelle quali il ruolo della Sirena, evolvendo verso valori indeterminati del simbolo, risulterà assai meno esplicitamente ed univocamente negativo di quanto non lo avesse disegnato Onorio nei suoi sermoni.


Dal sito http://romanico.clab.it/index.htm

http://www.silviadue.net/bestiari/sirena_ferrara.jpg
Ferrara - Cattedrale (portale centrale)

pcosta
04-10-03, 10:11
Scilla, Cariddi e le tre lingue

Ci son pur giunti due gran rottami dell'egiziache antichità. De' quali l'uno è che gli egizi riducevano tutto il tempo del mondo a tre età: età degli Dèi, età degli eroi, ed età degli uomini. L'altro, che per queste tre età si fussero parlate tre lingue: la lingua geroglifica, ovvero sacra, la lingua simbolica o per somiglianze, qual'è l'eroica, e la pistolare o sia volgare degli uomini.
(G.B. Vico, Scienza Nuova,XXVIII)


http://www.calliope.free-online.co.uk/odyssey/odyss108.jpg

Con la classificazione egizia delle lingue citata da Giambattista Vico, concorda anche Omero che, sia nell'Iliade che nell'Odissea, fa menzione di una lingua più antica della sua - che è certamente da considerarsi una lingua "eroica" - e la chiama "lingua degli Dèi".
Nel Canto I dell'Iliade, il mostro centìmano è chiamato Briarèo nella lingua degli Dèi ed Egeone in quella degli uomini:
"[...] il gran Centìmano,
che dagli Dei nomato è Brïarèo,
da' mortali Egeóne[...]"

E nel Canto XX, si cita invece
"[...]il vorticoso fiume
dai mortali Scamandro e dagli Dei
Xanto nomato[...]

Nell'Odissea, Canto XII, Circe descrive a Ulisse i pericoli che lo aspettano e chiama Scilla e Cariddi con il loro nome nella lingua degli Dèi, "le Rupi Erranti" :
"Vedrai da un lato discoscese rupi
Sovra l'onde pendenti, a cui rimbomba
Dell'azzurra Anfitrite il salso fiotto.
Gl'Iddii beati nella lor favella
Chiàmanle Erranti"

Scilla e Cariddi, nella lingua degli Dèi si chiamano dunque " plagtai petrai", ovvero "Scogli erranti" dove il termine "errante" assume il doppio significato di "vagante" e "che fa errare", "ingannatore".
La lingua degli Dèi, evocativa e ambigua come si conviene alla divinità; la lingua degli Eroi, sonora e onomatopeica come si addice ad un canto epico.
Infine la lingua degli uomini: una banale "Marina grande" e una altrettanto insulsa "Chianalea" indicano oggi le Rupi Erranti di Scilla e Cariddi e al tempo stesso segnano il decadimento delle lingue nel discendere all'età degli uomini.
Ma non disprezziamo troppo nemmeno questa terza lingua; presto forse una quarta lingua, quella dei burocrati e degli ingegneri, le ribattezzerà in "Cantiere Opere Straordinarie ai sensi del DLG xxxx del yy/yy/yyyy..."

Silvia
19-04-04, 21:29
IL RICHIAMO EROTICO

E' il Medioevo il periodo in cui la Sirena conosce la sua maggior fortuna, come dimostra la notevolissima diffusione della sua iconografia nelle cattedrali romaniche.

La Sirena impersona l'erotismo, l'indefinibile, enigmatica femminilità: un volto rotondo, lunghi capelli e la nudità dei seni. La componente seduttiva trova negli atteggiamenti sessuofobici del cristianesimo altomedievale un terreno fertile dove radicarsi ed evolversi e la Sirena fornisce, già pronta, la sua immagine alle “attitudini lascive” che una propensione alla misoginia le attribuisce, senza possibilità di scampo. Il coinvolgimento, tra l'ispirato e il compiaciuto, dei disegnatori e degli scultori, spesso monaci, è in qualche caso evidente. Esemplare è l’interpretazione di Otranto, dove la scioltezza della tecnica musiva consente all’artefice di disegnare un sorriso, o i raffinati orecchini: sotto una piccola corona i capelli si arricciano e si intrecciano a sottili nastri che ricadono ai lati della figura.


http://www.silviadue.net/bestiari/sirena_otranto.jpg

E nella figura della Sirena è condensata tutta una concezione pessimistica relativa alla donna (la sua caducità fisica, la sua fragilità morale), comune presso la maggior parte degli autori monastici medievali. Lo specchio che ha talvolta in mano, al posto dei consueti strumenti musicali, allude alle parvenze che ingannano i sensi, seducono gli occhi e irretiscono gli uomini nelle maglie del peccato.

San Bernardo di Clairvaux così si esprime: ”La donna è lo strumento di Satana. Questa ti incanta con allettamenti mondani e ti indica la scorciatoia del diavolo… È simile alla sirena marina; bellissima, dall’ombelico in su ha l’aspetto di una vergine formosa; dall’ombelico in giù è simile ad un pesce… canta dolcemente. Come la sirena inganna i marinai con dolci melodie, così la donna che vive nel mondo, con i suoi inganni trascina alla perdizione i servi di Cristo.” ( :rolleyes: )

La conformazione stessa della Sirena, nella sua frequente versione bicaudata, in qualche modo suggerisce la linea delle gambe, significativa appendice dell’anatomia femminile. Il deciso richiamo all’elemento erotico prospetta la capacità seduttiva del male, considerata in tutte le sue manifestazioni, come dotata di una energia così straordinaria da risultare quasi irresistibile.

Eppure nel racconto omerico non c'è traccia di un'esplicita componente erotico-sessuale. E neppure nel Physiologus che, pur estraneo alle implicazioni della narrazione omerica, riconduce ancora al canto armonioso il potere seduttivo delle Sirene. Né forse sarebbe altrimenti in Isidoro di Siviglia, se questi non introducesse indirettamente l'elemento trasgressivo sessuale associando la Sirena alla prostituzione. Ed è proprio al tempo di Isidoro che la Sirena, senza rinunciare del tutto alla sua forma di donna-uccello, comincia ad assumere sempre più frequentemente l'aspetto di donna-pesce, quasi che la comparsa di una connotazione erotica della seduzione venisse cronologicamente a coincidere con il prevalere di questa diversa morfologia.

La Sirena-uccello non scompare, neppure nel pieno dell’età romanica, ma è la Sirena-pesce che rivela la presenza di un versante sessuale nel significato della figura. Non c’è dubbio, ad esempio, che all’intendimento di sottolineare tale componente siano da ricondurre alcune raffigurazioni nelle quali il punto di divaricazione delle code è coperto da una foglia, come a nascondere il sesso.


http://www.silviadue.net/bestiari/sirene2.gif http://www.silviadue.net/bestiari/sirene3.gif

Silvia
10-07-05, 19:45
Nel corso del tempo, le sirene cambiano forma. Il loro primo storico, il rapsodo del dodicesimo libro dell’Odissea, non ci dice com’erano; per Ovidio sono uccelli di piumaggio rossiccio e volto di vergine; per Apollonio Rodio, dalla vita in su sono donne e dalla vita in giù uccelli marini; per il maestro Tirso de Molina (e per l’araldica), «mezzo donne e mezzo pesci». Non meno discutibile è il loro genere; il Dizionario classico di Lemprière intende che sono ninfe, quello di Quicherat che sono mostri, e quello di Grimal che sono demoni. Abitano un’isola del Ponente, non lontano dall’isola di Circe; ma il cadavere d’una di loro, Partenope, fu trovato in Campania, e dette il suo nome alla famosa città che ora porta quello di Napoli; e il geografo Strabone vide la sua tomba e assistette alle gare ginniche che periodicamente si disputavano per celebrare la sua memoria.
L’Odissea riferisce che le sirene attiravano e perdevano i naviganti, e che Ulisse, per udire il loro canto e non perire, turate con cera le orecchie dei compagni, si fece legare all’albero della nave. Per tentarlo, le sirene gli offrirono la conoscenza di tutte le cose del mondo:


… Poiché nessuno di qui passò mai, in nera nave,
Senza fermarsi in ascolto, al miele della nostra voce;
Ma sempre il nocchiero ne gode, e prosegue fatto più esperto.
Tutto infatti sappiamo: quanti affanni durarono
In Ilio spaziosa, per volontà degli dèi, Argivi e Troiani;
E tutto quello che avviene, per tutta la terra feconda…

Una tradizione accolta da Apollodoro, il mitologo, nella sua Biblioteca, narra che Orfeo, dalla nave degli Argonauti, cantò con piú dolcezza delle sirene, e che queste si precipitarono in mare e trasformarono in rocce: perché la loro legge era di morire, se qualcuno non avesse subito il loro fascino. Anche la sfinge si precipitò dalla rupe, quando le indovinarono l'enigma.
Nel secolo VI, una sirena fu catturata e battezzata nel Galles settentrionale, e figurò come santa in certi almanacchi antichi, sotto il nome di Murgen. Un'altra, nel 1403, passò per la breccia di una diga, e abitò in Haarlem fino al giorno della sua morte. Nessuno la capiva; ma le insegnarono a filare, e venerava per istinto la croce. Un cronista del secolo XVI ragionò che non era pesce, perché sapeva filare, e non era donna perché poteva vivere nell'acqua.
L'inglese distingue la sirena classica (siren) da quelle che hanno coda di pesce (mermaids). Sulla formazione di quest'ultima immagine avranno influito per analogia i tritoni, divinità del seguito di Poseidone.
Nel decimo libro della Repubblica, otto sirene presiedono alla rivoluzione degli otto cieli concentrici.
«Sirena: preteso animale marino», leggiamo in un dizionario brutale.


(Jorge Luis Borges, Manuale di zoologia fantastica - traduzione di Franco Lucentini, Einaudi)

http://www.silviadue.net/bestiari/sirena_harley.jpg
British Library, Harley MS 4751, Folio 47v

Silvia
11-06-07, 00:37
SIRENE: ERA IL SILENZIO IL SEGRETO DEL LORO CANTO?


«Cosa cantavano di solito le sirene?», domandava l’imperatore Tiberio, che si divertiva a porre questioni bizzarre e impossibili agli eruditi di corte. Non conosciamo le risposte dei suoi malcapitati interlocutori, ma possiamo indovinarne l’imbarazzo. Perché quello delle sirene è, sotto tutti i profili, un mondo misterioso e ambiguo. Esse stesse creature ibride, la loro immagine si sdoppia e si moltiplica come in un infinito gioco di specchi, che inizia ai tempi di Omero. Per noi le sirene sono esseri fantastici metà donne e metà pesce, ma nella Grecia antica avevano il busto di fanciulle e il corpo di uccelli. Un po’ come le demoniache Arpie. E, come le Arpie, le sirene avevano un loro oscuro rapporto con il regno dei morti. Anche se esse sembrano appartenere un po’ a tutti i regni del creato: il mare, dove tendono agguati ai naviganti, e persino il cielo, dove Platone immagina che l’armonia delle sfere sia intonata sulle loro mirabili voci.
La lunga avventura delle sirene, dalla Grecia a oggi, è ora condensata in un libro, scritto a quattro mani dagli antichisti Maurizio Bettini e Luigi Spina (Il mito delle Sirene, Einaudi, pagg. 268, euro 22). Bettini si è riservato la parte introduttiva, nella forma di un racconto che affronta la storia mitica da una prospettiva inedita: qui c’è Ulisse che racconta a un ragazzo misterioso cosa cantavano le sirene. A Spina, invece, è affidata la parte propriamente saggistica, il lungo viaggio sulle tracce millenarie delle sirene. Che qualcuno giurava di avere visto: l’umanista Teodoro Gaza raccontava all’amico Giovanni Pontano di come un giorno, passeggiando su una spiaggia del Peloponneso, si fosse imbattuto in una fanciulla col corpo che finiva in una coda di aragosta e l’avesse poi ributtata in mare. Mentre Cristoforo Colombo, il 9 gennaio 1493, avvistò tre sirene presso le coste americane, lamentandosi poi che «non erano così belle come le si dipinge».


http://www.silviadue.net/vari/odisseo_sirene1.jpg http://www.silviadue.net/vari/odisseo_sirene2.jpg
Odisseo e le Sirene (lékythos attica a figure nere, 500 a. C. circa)


Le sirene sono da sempre creature marine. Anche quando erano mezze donne e mezze uccelli la loro postazione preferita era sempre uno scoglio o un’isola. Tutti i marinai, perciò, da Ulisse a Colombo, correvano il rischio di incrociarle nella loro rotta. Capitò anche alla nave degli Argonauti, i quali si salvarono perché avevano imbarcato con loro anche il sommo cantore Orfeo, che sfidò e batté in una gara di canto le mostruose cantatrici. Uno degli Argonauti, però, raccontava il poeta greco Apollonio Rodio, si tuffò in mare per raggiungerle. Era il giovane Butes: sarebbe morto nell’abbraccio assassino dei mostri, se Afrodite, la dea dell’amore non fosse accorsa a salvarlo. Le sirene, insomma, incarnano da sempre il fascino ambiguo delle acque, del mare che rifulge nella sua doppia luce: luogo di incanti, ma anche spazio di morte e dissoluzione.

A volte esse appaiono come nemiche di Afrodite, che le avrebbe trasformate in mostri perché erano fanciulle testardamente attaccate alla loro verginità e ostili all’amore. Ma, altre volte, è come se rappresentassero il lato oscuro e periglioso di Afrodite. Una funzione che sembra affiorare, in forma per così dire laicizzata, nella storia che fa delle sirene delle semplici rapaci prostitute. Così scriveva per esempio il mitografo Eraclito: «Erano, in realtà, delle etère di straordinaria abilità musicale, sia con gli strumenti sia con la dolcezza della voce, bellissime, i cui clienti dilapidavano con loro le proprie sostanze». Quella delle sirene prostitute è un’immagine ricorrente nella letteratura antica. D’altra parte, Afrodite, signora dell’amore, aveva anche un rapporto speciale col mare. Dalla schiuma del mare di Cipro era nata: e proprio a Cipro, nella località di Ascalona, essa era venerata nella forma bizzarra di una divinità metà donna e metà pesce. Si capisce, dunque, come le sirene possano essere diventate gradualmente, da donne-uccello, donne-pesce. Anche se la prima testimonianza sicura su questa seconda e nuova natura delle sirene risale a un Libro dei mostri dell’inizio dell’VIII secolo.

Creature del mare, le sirene erano anche demoni della morte. Alcune leggende narravano che fossero le ancelle di Proserpina, sposa del re dei morti. Alcuni ricollegavano il loro nome a Sirio, l’astro che porta la calura meridiana, e Roger Caillois le arruolò nella schiera di quei «demoni del mezzogiorno» che appaiono quando il sole è a picco e rubano il senno degli uomini. La loro seduzione si esercitava attraverso il canto, e perciò alcuni le consideravano figlie di una Musa. Ma, appunto, che cosa cantavano le sirene? Nell’Odissea abbiamo una parziale risposta. Esse dicono a Ulisse e gli dicono di conoscere tutte le sofferenze di greci e troiani e, ancora, «tutto quanto accade sulla terra ricca di frutti». Ma questa è una notizia parziale. In primo luogo perché è riferita dallo stesso Ulisse, unico uomo ad avere ascoltato il canto delle sirene e a esserne uscito vivo. E Ulisse, come sapevano già gli antichi, era un bugiardo. Non toglieremo al lettore il piacere di ricomporre tutti i misteri del canto delle sirene attraverso le pagine esemplari di Spina. Ma almeno bisognerà ricordare la soluzione di Franz Kafka: «Le Sirene hanno un’arma ancora più terribile del canto, ed è il loro silenzio». I mostri, in effetti, posseggono da sempre tutti i registri della sonorità, dalla voce ammaliatrice al grido orrido. Ma c’è qualcosa di più inquietante del silenzio dei mostri?


Da Il Giornale di sabato 31 marzo 2007

Silvia
11-06-07, 00:40
Franz Kafka

IL SILENZIO DELLE SIRENE
(1917)

http://www.silviadue.net/vari/nalbor14.jpg


Per dimostrare che anche mezzi insufficienti, persino puerili, possono procurare la salvezza:
Per difendersi dalle sirene Ulisse si empì le orecchie di cera e si fece incatenare all'albero maestro. Qualcosa di simile avrebbero potuto fare beninteso da sempre tutti i viaggiatori, tranne quelli che le sirene adescavano già da lontano, ma in tutto il mondo si sapeva che ciò era assolutamente inutile. Il canto delle sirene penetrava dappertutto, e la passione dei sedotti avrebbe spezzato altro che catene e alberi maestri! Ma non a questo pensò Ulisse, benché forse ne avesse sentito parlare. Aveva piena fiducia in quella manciata di cera e nei nodi delle catene e, con gioia innocente per quei suoi mezzucci, navigò incontro alle sirene.
Sennonché le sirene possiedono un'arma ancora più temibile del canto, cioè il loro silenzio. Non è avvenuto, no, ma si potrebbe pensare che qualcuno si sia salvato dal loro canto, ma non certo dal loro silenzio. Nessun mortale può resistere al sentimento di averle sconfitte con la propria forza e al travolgente orgoglio che ne deriva.
Di fatti all'arrivo di Ulisse le potenti cantatrici non cantarono, sia credendo che tanto avversario si potesse sopraffare solo col silenzio, sia dimenticando affatto di cantare alla vista della beatitudine che spirava il viso di Ulisse, il quale non pensava ad altro che a cera e catene.
Egli invece, diremo così, non udì il loro silenzio, credette che cantassero e immaginò che lui solo fosse preservato dall'udirle. Di sfuggita le vide girare il collo, respirare profondamente, notò i loro occhi pieni di lacrime, le labbra socchiuse, e reputò che tutto ciò facesse parte delle melodie che, non udite, si perdevano intorno a lui. Ma tutto ciò sfiorò soltanto il suo sguardo fisso alla lontananza, le sirene scomparvero, per così dire, di fronte alla sua risolutezza, e proprio quando era loro più vicino, egli non sapeva più nulla di loro.
Esse invece, più belle che mai, si stirarono, si girarono, esposero al vento i terrificanti capelli sciolti e allargarono gli artigli sopra le rocce. Non avevano più voglia di sedurre, volevano soltanto ghermire il più a lungo possibile lo splendore riflesso dagli occhi di Ulisse.
Se le sirene fossero esseri coscienti, quella volta sarebbero rimaste annientate. Sopravvissero invece, e avvenne soltanto che Ulisse potesse scampare.
La tradizione però aggiunge qui ancora un'appendice. Ulisse, dicono, era così ricco di astuzie, era una tale volpe che nemmeno il Fato poteva penetrare nel suo cuore. Può darsi - benché ciò non riesca comrensibile alla mente umana - che realmente si sia accorto che le sirene tacevano e in certo qual modo abbia soltanto opposto come uno scudo a loro e agli dei la sopra descritta finzione.

Artico
11-06-07, 03:19
La Campania è stata la dimora di alcune Sirene famose: Partenope, Leucòsia e Lige, tre Sirene legare a tre rinomate località.
Partenope ha dato il nome a Napoli, era lì la Baia dove viveva dopo essersi innamorata di Ercole (che leggenda vuole abbia fondato Ercolano, poi distrutta dal Vesuvio) e dove terminò i suoi giorni.
Leucòsia visse presso Punta Licosa e anche questa Sirena diede il nome al posto dove visse i suoi ultimi giorni; infine, ma non meno importante, Lige che le acque del mare trasportarono sulle rocce di Punta Campanella, il promontorio che chiude il Golfo di Napoli e che in suo onore si chiama anche Ligera.


http://www.hellados.ru/img/pic/sirena.jpg (http://www.hellados.ru/img/pic/sirena.jpg)


E comunque ha ragione Kafka

"Sennonché le sirene possiedono un'arma ancora più temibile del canto, cioè il loro silenzio. Non è avvenuto, no, ma si potrebbe pensare che qualcuno si sia salvato dal loro canto, ma non certo dal loro silenzio".

Silvia
11-06-07, 13:11
La Campania è stata la dimora di alcune Sirene famose: Partenope, Leucòsia e Lige, tre Sirene legare a tre rinomate località.
Partenope ha dato il nome a Napoli, era lì la Baia dove viveva dopo essersi innamorata di Ercole (che leggenda vuole abbia fondato Ercolano, poi distrutta dal Vesuvio) e dove terminò i suoi giorni.
Leucòsia visse presso Punta Licosa e anche questa Sirena diede il nome al posto dove visse i suoi ultimi giorni; infine, ma non meno importante, Lige che le acque del mare trasportarono sulle rocce di Punta Campanella, il promontorio che chiude il Golfo di Napoli e che in suo onore si chiama anche Ligera.


Sono le tre Sirene suicide di cui raccontava Licofrone nell'Alessandra. A metà circa del poemetto, accanto al nome di Odisseo, una visione inequivocabile:

Ucciderà poi le tre figlie del figlio di Teti,
che improntavano il loro canto alla voce melodiosa della madre:
verranno giù dall'alto scoglio con un salto suicida
e con le ali s'immergeranno nel mare Tirreno,
dove le trascinerà l'amaro filare del fato.

Le Sirene saranno poi sballottate dai flutti e finiranno in tre località diverse della costa tirrenica, dove saranno onorate con culti particolari.


Una di loro, rigettata dai flutti,
l'accoglieranno la città di Falero e il Glanio,
che con le sue correnti ne bagna la terra.
Là gli abitanti, costruita la tomba della fanciulla,
con libagioni e sacrifici di buoi ogni anno
renderanno onore a Partenope, dea uccello.
Sul promontorio Enipeo, scagliata con violenza,
Leucosia occuperà per molto tempo lo scoglio col suo nome,
dove il rapido Is ed il vicino Lari versano le loro acque.
Ligea, poi, sarà gettata sulla riva a Terina,
sputando acqua di mare, i naviganti le faranno una tomba
con i sassi sulla spiaggia, vicino ai vortici dell'Ocinaro.
Bagnerà la tomba con le sue correnti Ares corna-di-toro,
purificando con le acque il monumento della fanciulla-uccello.

(Licofrone, Alessandra - vv. 712-731)

sideros
11-06-07, 14:21
La città di Pienza che prende il nome da Enea Silvio Piccolonimi, quando che poi eletto papa scelse di Pio II. tutt'ora la città originaria è manenuta viva e carica,quella preesistente e conserva alle pendici della ciittà"nuova". Il monumento straordinario e ancora intatto e visitabile l'antica pieve di Corsignano, Enea Piccolomini nacque in questo borgo. I turisti disattenti arrivano a Pienza e visitano in fretta e furia la città "rinascimentale" senza minimamente preoccuparsi di cosa era presente prima. A pochi minuti della città "Nuova" di Pienza si può visitare l'antica pieve solitaria e colma di fascino. Ora chi arriva in quel luogo romito ,tanto caro a Zolla che negli ultimi tempi della sua vita passava ore nel sagrato antistante, rivive emozioni uniche.
Quattro sono i simboli dionisiaci: la vite, la donna(sirena),il
serpente e il toro.
Ricorrente è il simbolo della sirena unita alla luna, sottolineo
che nella lingua russa lo stesso termine indica sia la luna,
il mese ed il mestruo, ancora le parole mese misura mestruazione derivano tutte dalle medesima radice sanscrita “MR” che indica la luna, ma anche il rito, una perdita di sangue non legata alla morte bensì alla fertilità perciò alla vita.
Nero è uguale luna nera o meglio la grande madre nera ,la pietra di
Selinunte, la Vergine nera che e in procinto di partorire sotto
terra.Portato alle estreme conseguenze il concetto possiamo paragonare il nero alla dea ebraica Lilith ,prima moglie di Adamo paragonabile alla greca Ecate (raffigurata con tre teste vicina a mercurio) o alla stessa Kali
Per riprendere la sirena, simbolo cristiano sino al 1000 d.C.(ne esiste una anche nella bellissima chiesa di San Giovanni in Valle a Verona)
volutamente dimenticato forse perché insistentemente ricorre
nel mondo etrusco,e vicino come simbolo all’Abraxas gnostico.Il simbolo della sirena lo troviamo nelle necropoli etrusche sia laziali che toscane,oltre che nella cattedrale di Modena (molto simile a quella di Corsignano nonché della tomba della sirena a Sorano)
poi è presente nei piccoli oggetti etruschi ed è inoltre simile
ad una dea fenicia.
La città di Pienza che prende il nome da Enea Silvio Piccolonimi, quando che poi eletto papa scelse di Pio II. tutt'ora la città originaria è manenuta viva e carica,quella preesistente e conserva alle pendici della ciittà"nuova". Il monumento straordinario e ancora intatto e visitabile l'antica pieve di Corsignano, Enea Piccolomini nacque in questo borgo. I turisti disattenti arrivano a Pienza e visitano in fretta e furia la città "rinascimentale" senza minimamente preoccuparsi di cosa era presente prima. A pochi minuti della città "Nuova" di Pienza si può visitare l'antica pieve solitaria e colma di fascino. Ora chi arriva in quel luogo romito ,tanto caro a Zolla che negli ultimi tempi della sua vita passava ore nel sagrato antistante, rivive emozioni uniche.
Nella pieve di Corsignano la sirena troneggia sopra
all'entrata,impugna le proprie pinne divaricate, ostentando
l'inguine bene inciso.Nella dea pagana Sheelah-na-gig incisa sulla parete sud est della chiesa normanna di Kilpeck,nei pressi di Ereford in Inghilterra è ben in evidenza la sua vulva a forma di ru. Questo simbolo lo troveremo per tutto il medioevo nei portali delle cattedrali ed è la “mandorla mistica” che avvolge il Cristo come la Maria, è il passaggio della nascita il pertugio che permette a tutto l’umanita di passare da un mondo all’altro, una porta che i mistici o gli “avatar” riescono a percorrerla a ritroso, quasi riassorbiti dalla grande madre,
Ritornando alla sirena della Pieve di Corsignano con due code ,come in questo caso,
trattenute dalle mani e il pube in evidenza rappresenta la fecondità
come antidoto alla morte ,il ritorno all'utero materno,alla sacra ferita,al caos
primordiale,per poi uscire e così rinascere.

. Concludendo la Pieve di Corsignano attraverso il sinbolismo della Sirena sottolinea la sessualità legata al femminile, alle acque, al mestruo, al ciclo lunare. Chiese lontane dalla religiosità post rinascimentale, legate al paganesinìmo del medioevo con radici precristiane e addirittura preromane. Le concezioni esaltate nel mondo estruscho, di esseri che aiutano la comprensione dell'immortalità come atto di credenza e devozione vera. Una porta verso l'eterno. La spiritualità cristiana di fronte alle antiche civiltà italiche è miseria e supeficiale.

waglione
11-06-07, 14:34
Tralaltro dopo circa 40 anni, il gruppo scultoreo in marmo ( 8 metri per 5) raffigurante la Sirena Partenope, recentemente restaurato, tornerà a far bella mostra di sè sul frontone del Teatro San Carlo di Napoli.

Nel 1969 l'opera fu sbriciolata da un fulmine che colpi' il frontone ed è stata col tempo ricostruita, pezzettino dopo pezzettino, usando come riferimento i disegni originali del progettista Niccolini e le foto d'epoca dell'archivio Alinari.

sideros
11-06-07, 14:45
Quattro sono i simboli dionisiaci: la vite, la donna(sirena),il
serpente e il toro.
Ricorrente è il simbolo della sirena unita alla luna, sottolineo
che nella lingua russa lo stesso termine indica sia la luna,
il mese ed il mestruo, ancora le parole mese misura mestruazione derivano tutte dalle medesima radice sanscrita “MR” che indica la luna, ma anche il rito, una perdita di sangue non legata alla morte bensì alla fertilità perciò alla vita.
Nero è uguale luna nera o meglio la grande madre nera ,la pietra di
Selinunte, la Vergine nera che e in procinto di partorire sotto
terra.Portato alle estreme conseguenze il concetto possiamo paragonare il nero alla dea ebraica Lilith ,prima moglie di Adamo paragonabile alla greca Ecate (raffigurata con tre teste vicina a mercurio) o alla stessa Kali
Per riprendere la sirena, simbolo cristiano sino al 1000 d.C.(ne esiste una anche nella bellissima chiesa di San Giovanni in Valle a Verona)
volutamente dimenticato forse perché insistentemente ricorre
nel mondo etrusco,e vicino come simbolo all’Abraxas gnostico.Il simbolo della sirena lo troviamo nelle necropoli etrusche sia laziali che toscane,oltre che nella cattedrale di Modena (molto simile a quella di Corsignano nonché della tomba della sirena a Sorano)
poi è presente nei piccoli oggetti etruschi ed è inoltre simile
ad una dea fenicia.
La città di Pienza che prende il nome da Enea Silvio Piccolonimi, quando che poi eletto papa scelse di Pio II. tutt'ora la città originaria è manenuta viva e carica,quella preesistente e conserva alle pendici della ciittà"nuova". Il monumento straordinario e ancora intatto e visitabile l'antica pieve di Corsignano, Enea Piccolomini nacque in questo borgo. I turisti disattenti arrivano a Pienza e visitano in fretta e furia la città "rinascimentale" senza minimamente preoccuparsi di cosa era presente prima. A pochi minuti della città "Nuova" di Pienza si può visitare l'antica pieve solitaria e colma di fascino. Ora chi arriva in quel luogo romito ,tanto caro a Zolla che negli ultimi tempi della sua vita passava ore nel sagrato antistante, rivive emozioni uniche.
Nella pieve di Corsignano la sirena troneggia sopra
all'entrata,impugna le proprie pinne divaricate, ostentando
l'inguine bene inciso.Nella dea pagana Sheelah-na-gig incisa sulla parete sud est della chiesa normanna di Kilpeck,nei pressi di Ereford in Inghilterra è ben in evidenza la sua vulva a forma di ru. Questo simbolo lo troveremo per tutto il medioevo nei portali delle cattedrali ed è la “mandorla mistica” che avvolge il Cristo come la Maria, è il passaggio della nascita il pertugio che permette a tutto l’umanita di passare da un mondo all’altro, una porta che i mistici o gli “avatar” riescono a percorrerla a ritroso, quasi riassorbiti dalla grande madre,
Ritornando alla sirena della Pieve di Corsignano con due code ,come in questo caso,
trattenute dalle mani e il pube in evidenza rappresenta la fecondità
come antidoto alla morte ,il ritorno all'utero materno,alla sacra ferita,al caos
primordiale,per poi uscire e così rinascere.

. Concludendo la Pieve di Corsignano attraverso il sinbolismo della Sirena sottolinea la sessualità legata al femminile, alle acque, al mestruo, al ciclo lunare. Chiese lontane dalla religiosità post rinascimentale, legate al paganesinìmo del medioevo con radici precristiane e addirittura preromane. Le concezioni esaltate nel mondo estruscho, di esseri che aiutano la comprensione dell'immortalità come atto di credenza e devozione vera. Una porta verso l'eterno. La spiritualità cristiana di fronte alle antiche civiltà italiche è miseria e supeficiale.

Artico
11-06-07, 19:49
"Li Galli" e il mito delle Sirene

Il culto delle Sirene risale al periodo greco. La presenza di queste entità è sempre localizzata nei pressi di scogli e rupi sporgenti sul mare: di qui infatti nasce il mito che caratterizza queste figure.
Le rupi o gli scogli rappresentavano in lontananza un punto di riferimento per i naviganti anche se, quando le imbarcazioni vi giungevano nelle vicinanze, erano spesso sopraffatti dalle correnti, che in queste zone si generano e le imbarcazioni finivano per infrangersi sugli scogli.
Dunque con il culto delle sirene, viste come esseri che attiravano ammaliando i navigatori per poi ucciderli, si propiziava la buona riuscita del passaggio attraverso gli insidiosi ostacoli che si incontravano durante la navigazione.
Tutta la zona risente del culto di queste divinità, basta osservare i nomi di alcune località: la più celebre, Parthenope, si narra sia sepolta a Pizzofalcone; a sud abbiamo la presenza di Licosa, da cui prende il nome Punta Licosa; a nord Ligea, che risiedeva a Punta Campanella.
Le isolette de "Li Galli" sono tre: Isola del Gallo Lungo, Castelluccio e La Rotonda. Devono il loro nome al culto delle sirene e propriamente alla loro iconografia: infatti, le sirene, nell'arte figurativa greca arcaica, erano rappresentate come delle creature dalle sembianze in parte umane ed in parte animali, ma l'animale in questione non era un pesce, com'è giunto a noi dalle affascinanti immagini medievali, bensì un pennuto con solo il volto di donna. Da qui il nome "Li Galli", perché l'immagine dell'uccello era facilmente riconoscibile.
In letteratura sono molte le citazioni, i brani ed i passi che ricordano il culto delle sirene e la loro ubicazione presso "Li Galli": menzioniamo i termini Sirenai o Sirenusai, che indicano sia le sirene vere e proprie, sia la loro dimora e nel I secolo a.C. ce ne parla Strabone, geografo greco e poi Stratone di Sardi nel 120 d.C.
E' facile intuire che nell'antichità molte imbarcazioni siano naufragate nei pressi della sede delle sirene e l'abilità di Ulisse, in Omero, di resistere al loro canto ammaliatore e alle loro tentazioni è, in effetti, la trasposizione in chiave mitologia dei progressi della navigazione e di come fosse possibile superare tali ostacoli con una buona conoscenza del mare e delle sue correnti.

Artico
11-06-07, 20:15
Sono le tre Sirene suicide di cui raccontava Licofrone nell'Alessandra. A metà circa del poemetto, accanto al nome di Odisseo, una visione inequivocabile:

Ucciderà poi le tre figlie del figlio di Teti,
che improntavano il loro canto alla voce melodiosa della madre:
verranno giù dall'alto scoglio con un salto suicida
e con le ali s'immergeranno nel mare Tirreno,
dove le trascinerà l'amaro filare del fato.

Le Sirene saranno poi sballottate dai flutti e finiranno in tre località diverse della costa tirrenica, dove saranno onorate con culti particolari.


Una di loro, rigettata dai flutti,
l'accoglieranno la città di Falero e il Glanio,
che con le sue correnti ne bagna la terra.
Là gli abitanti, costruita la tomba della fanciulla,
con libagioni e sacrifici di buoi ogni anno
renderanno onore a Partenope, dea uccello.
Sul promontorio Enipeo, scagliata con violenza,
Leucosia occuperà per molto tempo lo scoglio col suo nome,
dove il rapido Is ed il vicino Lari versano le loro acque.
Ligea, poi, sarà gettata sulla riva a Terina,
sputando acqua di mare, i naviganti le faranno una tomba
con i sassi sulla spiaggia, vicino ai vortici dell'Ocinaro.
Bagnerà la tomba con le sue correnti Ares corna-di-toro,
purificando con le acque il monumento della fanciulla-uccello.

(Licofrone, Alessandra - vv. 712-731)


No. E' troppo triste.

Preferisco questa:

E' facile intuire che nell'antichità molte imbarcazioni siano naufragate nei pressi della sede delle sirene e l'abilità di Ulisse, in Omero, di resistere al loro canto ammaliatore e alle loro tentazioni è, in effetti, la trasposizione in chiave mitologia dei progressi della navigazione e di come fosse possibile superare tali ostacoli con una buona conoscenza del mare e delle sue correnti."Fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza".

Magari è una visione un pò troppo "progressista" e buonista?

Mah?

Il sommo poeta però lo sbatte all'Inferno a Ulisse.
E forse se lo meritava pure.
Dove passava faceva danni.
E rendeva infelici le fanciulle che lo conoscevano.
Ma nel suo cuore c'era solo Penelope e la sua Itaca.
E questo un pò gli fa onore.


E son finito irrimediabilmente in O.T.
A parlare delle Sirene spesso si finisce per tirare in mezzo anche Ulisse.

:-00w09d

Silvia
11-06-07, 22:53
No. E' troppo triste.
Forse. Ma la morte in un mito non è mai la morte di un mito. E quello delle sirene credo sia il più tenace e affascinante, perché unisce due misteri, il canto e la seduzione, con il laccio impenetrabile della morte.



E son finito irrimediabilmente in O.T.
A parlare delle Sirene spesso si finisce per tirare in mezzo anche Ulisse.
:-00w09d
Inevitabile... ;)

Artico
11-06-07, 23:59
Intermezzo surrealista

La sirena di Magritte




http://www.abcgallery.com/M/magritte/magritte57.JPG (http://www.abcgallery.com/M/magritte/magritte57.JPG)



:confused: