PDA

Visualizza Versione Completa : Bobbio semplifica la concezione marxista dello stato



Pieffebi
21-05-02, 22:29
Originally posted by Roderigo

Oggi, per la storia che abbiamo alle spalle, e per il significato corrente della parola "dittatura", la formula della "dittatura del proletariato" non può che suscitare diffidenza e penso perciò che sia giusto non usarla più.

Tuttavia, è giusto ricordare che, sia Marx, ma in parte anche Lenin, la usavano in una accezione diversa da quella che possiamo attribuirle noi. Nel marxismo, il termine "dittatura del proletariato" non designa propriamente un regime politico statale, quanto una condizione dei rapporti di egemonia e di dominio tra le classi, poichè ad essere determinante è il movimento economico-sociale.

Dal punto di vista marxista, lo stato è la "dittatura della borghesia sul proletariato", quindi la Rivoluzione, nella fase intermedia tra la distruzione dello stato borghese e l'estinzione dello stato, il sorgere della società senza classi, è il rovesciamento dei rapporti di forza tra le classi, quindi "la dittatura del proletariato sulla borghesia". Marx non precisò mai, e sosteneva non si potesse precisare la forma politica che avrebbe dovuto assumere una tale "dittatura". In Lenin le idee sono più precise, poichè egli traduce la "dittatura del proletariato" in "dittatura del partito politico del proletariato". Ma anche in Lenin, come in Marx, la forma del regime poiltico non viene designata, e come negli antichi, la parola "dittatura" indica un regime transitorio ed eccezionale.

Di Lenin è interessante questo passaggio, scritto in "Stato e rivoluzione" del 1918: "Le forme degli stati borghesi sono straordinariamente varie, ma la loro sostanza è unica: tutti questi stati sono in un modo o nell'altro, ma in ultima analisi, necessariamente, una Dittatura della borghesia. Il passaggio dal capitalismo al comunismo, naturalmente non può non produrre una enorme abbondanza e varietà di forme politiche, ma la sostanza sarà inevitabilmente una sola: la Dittatura del proletariato.

Da qui, prende spunto il punto di vista del filosofo liberal-socialista Noberto Bobbio: "Se accettiamo di chiamare Dittatura della borghesia qualsiasi regime in cui la classe borghese è la classe egemone, dobbiamo poi ammettere che questa Dittatura può essere esercitata in due forme molto diverse: con una forma di governo liberal-democratico e con una di tipo antiliberale e antidemocratico, alla quale soltanto il linguaggio politico comune riserva il termine specifico di Dittatura. E qualcosa di analogo si potrebbe dire per la Dittatura del proletariato". Per distinguere le due principali versioni di Dittatura di una classe su un'altra, Bobbio suggerisce di definire la versione democratica, sostituendo il termine Dittatura con quello gramsciano di Egemonia.

Credo di essere d'accordo con Bobbio. :)

R.

No, non direi che si possa semplificare il tutto così, sebbene i presupposti generali siano corretti.
Non sono d'accordo con Bobbio sull'interpretazione del Gramsci, e dell'egemonia gramsciana. Altrove ho trattato dell'argomento, e anche più sopra....di sfuggita ho espresso la mia opinione. In buona sostanza.....non cambia molto fra "egemonia" e "dittatura". In effetti non è una questione meramente nominalistica. Si resta comunque fuori completamente dalla democrazia liberale, anche con Gramsci, nonostante Bobbio.

Saluti lbierali

Roderigo
22-05-02, 21:47
Originally posted by Pieffebi
No, non direi che si possa semplificare il tutto così, sebbene i presupposti generali siano corretti.
In cosa consiste la semplificazione?


Originally posted by Pieffebi
Non sono d'accordo con Bobbio sull'interpretazione del Gramsci, e dell'egemonia gramsciana. Altrove ho trattato dell'argomento, e anche più sopra....di sfuggita ho espresso la mia opinione. In buona sostanza.....non cambia molto fra "egemonia" e "dittatura". In effetti non è una questione meramente nominalistica. Si resta comunque fuori completamente dalla democrazia liberale, anche con Gramsci, nonostante Bobbio.
Si resta comunque fuori... dalla democrazia liberale ... borghese.

R.

Pieffebi
22-05-02, 22:43
La semplificazione consiste nel mettere in secondo piano l'essenza della concezione marxista e soprattutto engelsiana e leninista dello Stato, per le quali ......lo Stato stesso è sempre "una dittatura" nel senso (negativo) che è "l'organizzazione della violenza", un organo del dominio e dell'oppressione di classe.
La democrazia rappresentativa moderna, anche in regime di suffragio universale, e persino di governo "socialdemocratico",l progressista, di sinistra, resta sostanzialmente "uno strumento per tenere sottomessa e sfruttare la classe oppressa".

L'onnipotenza della ricchezza, scrive Lenin, "è in una repubblica democratica tanto più sicura in quanto non dipende da un cattivo involucro politico possibile per il capitalismo" e Lenin stesso ricorda assai giustamente come Engels avesse definito "in modo categorico il suffragio universale come uno strumento di dominio della borghesia".

La sostanza della dottrina marxista della dittatura del proletariato consiste nel considerare, al contrario degli anarchici, indispensabile, da parte del proletariato, non soltanto abbattere lo Stato (dittatura) borghese, ma anche utilizzare "l'organizzazione della violenza e del dominio di classe" per distruggere la borghesia e avviare la trasformazione della società in senso socialista. Lo Stato è dittatura, violenza ed oppressione come dicono gli anarchici, ma per il marxismo e il leninismo il proletariato deve utilizzare la violenza, la dittatura e l'oppressione se vuole vincere la resistenza della borghesia e avviare l'immane trasformazione della società verso "il regno della libertà", il comunismo senza classi e senza Stato.
La democrazia socialista è democratica per la sola classe operaia, e "più democratica" di quella borghese in ragione del fatto che il proletariato costituisce la maggioranza della popolazione.
La dittatura del proletariato sarebbe pertanto l'utilizzo della violenza e dell'oppressione della maggioranza contro la minoranza. Ma non è proprio così.
COme per la "volontà generale" di Rousseau, il concetto di maggioranza e minoranza sono però, nel marxismo e più esplicitamente nel leninismo, completamente diversi dalla libera espressione (e somma) delle volontà individuali dei singoli componenti della classe sociale. Già Marx distingue fra "classe in sè" e "classe per sè", fra operai coscienti e operai succubi dell'ideologia borghese. Engels e soprattutto Lenin sono ancora più espliciti....
La volontà della classe operaia non è rappresentata dalla somma delle volontà individuali degli operai. La volontà della classe operaia è data dai suoi interessi immediati e storici concreti, conosciuti dagli operai coscienti (e solo da loro), dall'avanguardia rivoluzionaria. L'operaio non cosciente, soggetto alle "superstizioni" borghesi è senz'altro da conquistare ed educare, ma se....non si lascia "plasmare" e si ribella, va trattato come un controrivoluzionario. Il fatto che sia un operaio.....diventa addirittura una potenziale aggravante!
Il partito/avanguardia, il partito/coscienza, il partito/educatore, il partito/scienza rappresenta la classe operaia indipendentemente dal consenso che ha presso di questa. Ovviamente il partito cerca il consenso e cerca di portare alla classe "la coscienza socialista", ma questo attiene ai compiti pedagogici del partito, non a quelli .....democratici.
Lenin insiste sulla necessità di conquistare la fiducia non solo degli operai ma anche dei ceti semi-proletari. eccetera, ma lo fa in un'ottica strategica tutt'altro che...democratica.
Se dunque, in definitiva, la maggioranza degli operai, in regime di dittatura proletaria, ha opinioni in contrasto con la direzione del partito su questo o quell'argomento fondamentale....tanto peggio per la maggioranza della classe operaia.

Finchè esiste lo Stato, per Marx ed Engels, e per Lenin, questo non esiste nell'interesse della libertà. Marx deride l'idea di "Stato Libero popolare" del programma del partito operaio tedesco.
Lenin accoglie pienamente questa concezione e la sviluppa coerentemente.

La concezione occidentale, pluralistica e liberale della democrazia e dello Stato, fondandosi sulle libertà civili, politiche e sociali, PER TUTTI, fondandosi sui valori dell'individuo e della libertà e volontà individuale, e della volontà collettiva come somma di volontà e scelte individuali (da cui il principio di maggioranza), indipendentemente dalla classe, dalla razza, dalla religione, è inconciliabile con la concezione marxista e con quella leninista.

Questa concezione è borghese e capitalistica storicamente, ma questo depone a favore della borghesia e del capitalismo. Questa concezione si realizza anche per la pressione della classe operaia, che fortunatamente è, come diceva Lenin, spontaneamente soggiogata "dall'ideologia borghese".

Ma la democrazia borghese non è una dittatura di classe, non ha bisogno di esserlo. Possono esistere "governi di classe" in regime di democrazia. Possono esistere politiche "classiste" in democrazia. Ma lo Stato democratico non ha una natura di classe.
Lo Stato Operaio, essendo uno stato di classe che deve realizzare un progetto rivoluzionario classista di trasformazione della società in una direzione predeterminata, ed indipendentemente dalle opinioni individuali, essendo "la scienza marxista" garante del percorso da seguire, è invece necessariamente una dittatura di classe che non può permettere interruzioni alla rivoluzione (poniamo perchè la maggioranza della popolazione, viste le conseguenze economiche negative della socializzazione, reclama la restaurazione della proprietà privata e del mercato).

Dunque quello che dice Bobbio.....è una semplificazione che cela moltissimo dell'essenza della questione, riducendo tutto a un ...giuoco di parole intorno ai concetti astratti di dittatura, democrazia, classe.

Se la democrazia liberale è borghese ed è la dittatura della borghesia, allora la democrazia proletaria che deve sostituirla è senz'altro la dittatura del proletariato. Ne consegue che ha ragione Lenin: non basta cambiare il governo, bisogna cambiare la natura dello Stato, ossia annientare lo Stato attuale con le sue istituzioni.

Il problema dunque non è che "ogni Stato è una dittatura", per cui la dittatura del proletariato e quella della borghesia possono in astratto avere forme diverse. Il problema è che fra la dittatura (Stato) del prolatariato e dittatura (Stato) della borghesia vige la rottura radicale. Il proletariato deve infrangere lo Stato borghese ed annientarne le istituzioni, che sono istituzioni della classe nemica.

Sfortunatamente l'esito di questo processo è conosciuto, e previsto dai liberali fin dagli anni 40 del XIX secolo ( lo sconosciuto karl Heinzen insultato da Marx ed Engels), 70 anni prima della rivoluzione bolscevica: la via della schiavitù.

Saluti liberali

Pieffebi
24-05-02, 22:07
Se invece vogliamo, secondo una "moda" in voga da molti anni in molti ambienti intellettuali, cercare di "interpretare Marx secondo Marx", non solo dimenticandoci di Lenin, Trotzky, Bordiga, Gramsci, Korsch, Stalin, Mao....e persino di Engels, allora possiamo aggiungere ulteriori considerazioni.
Marx, che nella divisione del lavoro con Engels, si occupa principalmente degli aspetti "economico-sociali" e "strutturali" dell'analisi della società capitalistica, ritiene in buona sostanza che lo Stato sia in definitiva, sostanzialmente, un'organizzazione atta a favorire la riproduzione dei rapporti sociali di produzione esistenti.

E' stato spesso ricordato, da taluni critici del "marxismo di Engels" e del leninismo, come Marx, a differenza del suo compagno di lotta, avesse manifestato idee ben diverse sul valore del "suffragio universale", ad esempio in Inghilterra nel 1852, (con un articolo pubblicato in un quotidiano americano).

Marx sostiene, infatti, nell'occasione, che il suffragio universale in Inghilterra, ove la classe operaia costituiva già la maggioranza della popolazione, avrebbe significato una riforma di contenuto più socialista di tante altre, garantendo di fatto il dominio politico del proletariato.
Ma è noto che tanto Marx che Engels sostenevano, in quegli anni, che in Inghilterrra la situazione era, dal punto di vista delle necessità rivoluzionarie, del tutto particolare ...per la mancanza di una burocrazia come quella continentale e di un vero esercito permanente al servizio del potere politico. Ovviamente qualche anno dopo....la situazione era già completamente cambiata.

Voglio sorvolare senz'altro sulle diatribe delle scuole "marxiste" occidentali contemporeanee che facevano capo, rispettivamente, a Galvano Dellavolpe e ad Althusser, perchè in buona sostanza i loro tentativi furono condizionati dalle rispettive ambizioni di "sviluppare" il marxismo secondo linee che prescindevano in gran parte dalla storia ideologica concreta del marxismo stesso. Il tutto a partire da interpretazioni "scientifiche" che gravitavano su complesse analisi del Marx-pensiero implicanti valutazioni esegetiche dei sacri testi che chiamavano in causa l'ermeneutica, l'epistemologia e chissà quale altra diavoleria "scientifica".

Voglio anche considerare privo di fondamento ogni tentativo di interpretare la concezione marxiana dello Stato come "teoria dell'autonomia relativa del politico dall'economico", sostenuta ad esempio da Poulanzas, o ogni riduzione della relazione dialettica fra Stato e formazione economica sociale capitalistica ai manoscritti giovanili (da taluni definiti "premarxisti"), che hanno indotto alcuni a complesse interpretazioni del concetto di "società civile" in Marx, evidenziando le ovvie differenze che si rinverranno poi in Gramsci.

Il problema lo si può risolvere schematicamente, invece, pensando come in Marx si pone la relazione dialettica fra la struttura economico-sociale e la sovrastruttura giuridica a partire dalla relazione esistente fra "l'eguaglianza" giuridica borghese e l'eguaglianza nello scambio fra le merci e fra la merce forza-lavoro e il salario.
Nella concretizzazione del suo dominio di classe, la borghesia ha sempre tenuto in gran conto, secondo Marx, la struttura della società capitalistica come formazione economica e storica in cui si attua il mercato dove i possessori di "valori d'uso" differenti attuano gli scambi dei prodotti, mediamente al loro valore. Ove cioè l'operaio vende "al suo valore" la forza-lavoro al capitalista, il quale corrisponde il salario, ancora si sottolinea... secondo "il suo valore" (nessuna truffa dunque), ma impiegando detta merce per la produzione di un valore superiore (plus-valore) mediante il quale si realizza lo sfruttamento.
La struttura della società capitalistica, sulla quale si erge la sovrastruttura statuale e giuridica, non è soltanto questo "mercato", in cui i rapporti sociali di produzione si realizzerebbero.... come rapporti di sfruttamento, ma è perciò stesso un campo di battaglia, ove si manifestano i conflitti di classe. Lo Stato, che deve garantire la riproduzione dei "rapporti di sfruttamento" di cui sopra, sulla base dell'astratta eguaglianza giuridica fra compratore e venditore della forza lavoro, deve anche costituire un'arma formidabile per la borghesia per "vincere" la lotta di classe operaia e garantire la riproduzione, la più possibile... normale... del sistema.
Perciò in Marx è ben presente il ruolo immediatamente e fortemente coercitivo del potere statale.

Cordiali saluti.

Roderigo
25-05-02, 22:06
Originally posted by Pieffebì
La semplificazione consiste nel mettere in secondo piano l'essenza della concezione marxista e soprattutto engelsiana e leninista dello Stato, per le quali ......lo Stato stesso è sempre "una dittatura" nel senso (negativo) che è "l'organizzazione della violenza", un organo del dominio e dell'oppressione di classe.
La democrazia rappresentativa moderna, anche in regime di suffragio universale, e persino di governo "socialdemocratico",l progressista, di sinistra, resta sostanzialmente "uno strumento per tenere sottomessa e sfruttare la classe oppressa".
In verità, Bobbio non sostiene che il marxismo, nell'ambito dello Stato borghese, apprezzi particolarmente la distinzione tra la variante propriamente dittatoriale e quella liberaldemocratica, ma propone una osservazione diversa, che mira a dimostrare che la Dittatura del proletariato non necessariamente deve realizzarsi in un regime autoritario.
Bobbio dice: "Se accettiamo di chiamare Dittatura della borghesia qualsiasi regime in cui la classe borghese è la classe egemone, dobbiamo poi ammettere che questa Dittatura può essere esercitata in due forme molto diverse: con una forma di governo liberal-democratico e con una di tipo antiliberale e antidemocratico, alla quale soltanto il linguaggio politico comune riserva il termine specifico di Dittatura. E qualcosa di analogo si potrebbe dire per la Dittatura del proletariato".
Naturalmente, il ragionamento è valido solo se "accettiamo" la premessa e cioè che "qualsiasi regime in cui la classe borghese è la classe egemone" sia "dittatura della borghesia". Se non si condivide la premessa, allora non si tratta di proporre una visione più complessa ad una interpretazione troppo semplice, quanto piuttosto di proporre un'altra concezione dello stato, la quale dimostri che lo stato non è borghese e che l'unica dittatura di classe è la "dittatura del proletariato". Ma se lo stato con cui si misuravano Marx, Engels e Lenin, non era una "dittatura di classe", che cos'era?

R.

Roderigo
25-05-02, 22:07
Originally posted by Pieffebì
La democrazia socialista è democratica per la sola classe operaia, e "più democratica" di quella borghese in ragione del fatto che il proletariato costituisce la maggioranza della popolazione.
La dittatura del proletariato sarebbe pertanto l'utilizzo della violenza e dell'oppressione della maggioranza contro la minoranza. Ma non è proprio così.
COme per la "volontà generale" di Rousseau, il concetto di maggioranza e minoranza sono però, nel marxismo e più esplicitamente nel leninismo, completamente diversi dalla libera espressione (e somma) delle volontà individuali dei singoli componenti della classe sociale. Già Marx distingue fra "classe in sè" e "classe per sè", fra operai coscienti e operai succubi dell'ideologia borghese. Engels e soprattutto Lenin sono ancora più espliciti....
La volontà della classe operaia non è rappresentata dalla somma delle volontà individuali degli operai. La volontà della classe operaia è data dai suoi interessi immediati e storici concreti, conosciuti dagli operai coscienti (e solo da loro), dall'avanguardia rivoluzionaria. L'operaio non cosciente, soggetto alle "superstizioni" borghesi è senz'altro da conquistare ed educare, ma se....non si lascia "plasmare" e si ribella, va trattato come un controrivoluzionario. Il fatto che sia un operaio.....diventa addirittura una potenziale aggravante!
Il partito/avanguardia, il partito/coscienza, il partito/educatore, il partito/scienza rappresenta la classe operaia indipendentemente dal consenso che ha presso di questa. Ovviamente il partito cerca il consenso e cerca di portare alla classe "la coscienza socialista", ma questo attiene ai compiti pedagogici del partito, non a quelli .....democratici.
Questo è vero nella concezione leninista, che ripropone nei confronti della classe operaia, lo stesso tipo di rapporto elitario che i populisti proponevano nei confronti dei contadini. Qui emerge la tradizione del populismo russo e quella del rapporto tra intellighenzia russa e masse arretrate, più che il pensiero di Marx. In Marx la coscienza di classe non è indotta nella classe operaia dall'esterno, da parte di un partito avanguardia; il soggetto della rivoluzione è il proletariato, non il partito del proletariato:
I comunisti non sono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai.
I comunisti non hanno interessi distinti dagli interessi di tutto il proletariato.
I comunisti non pongono princìpi speciali sui quali vogliano modellare il movimento proletario.
I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solo per il fatto che da una parte essi mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità, dell'intero proletariato, nelle varie lotte nazionali dei proletari; e dall'altra per il fatto che sostengono costantemente l'interesse del movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi dalla lotta fra proletariato e borghesia. (Marx - Proletari e Comunisti - Il Manifesto, 1948)

R.

Pieffebi
25-05-02, 22:27
Originally posted by Roderigo

In verità, Bobbio non sostiene che il marxismo, nell'ambito dello Stato borghese, apprezzi particolarmente la distinzione tra la variante propriamente dittatoriale e quella liberaldemocratica, ma propone una osservazione diversa, che mira a dimostrare che la Dittatura del proletariato non necessariamente deve realizzarsi in un regime autoritario.
Bobbio dice: "Se accettiamo di chiamare Dittatura della borghesia qualsiasi regime in cui la classe borghese è la classe egemone, dobbiamo poi ammettere che questa Dittatura può essere esercitata in due forme molto diverse: con una forma di governo liberal-democratico e con una di tipo antiliberale e antidemocratico, alla quale soltanto il linguaggio politico comune riserva il termine specifico di Dittatura. E qualcosa di analogo si potrebbe dire per la Dittatura del proletariato".
Naturalmente, il ragionamento è valido solo se "accettiamo" la premessa e cioè che "qualsiasi regime in cui la classe borghese è la classe egemone" sia "dittatura della borghesia". Se non si condivide la premessa, allora non si tratta di proporre una visione più complessa ad una interpretazione troppo semplice, quanto piuttosto di proporre un'altra concezione dello stato, la quale dimostri che lo stato non è borghese e che l'unica dittatura di classe è la "dittatura del proletariato". Ma se lo stato con cui si misuravano Marx, Engels e Lenin, non era una "dittatura di classe", che cos'era?

R.

La premessa di Bobbio assomiglia molto, nei suoi effetti, alla "adulterazione liberale del marxismo" secondo Lenin (vedi "il rinnegato Kautsky") e resta comunque una semplificazione.
Lo Stato rappresentativo moderno fondato sul suffragio universale, con il quale esplicitamente si misurano, dal punto di vista teorico, i classici di marxismo, NON è una dittatura di classe per le ragioni che ho già più sopra seppur sinteticamente espresso.

Saluti liberali.

Pieffebi
25-05-02, 22:44
Originally posted by Roderigo

Questo è vero nella concezione leninista, che ripropone nei confronti della classe operaia, lo stesso tipo di rapporto elitario che i populisti proponevano nei confronti dei contadini. Qui emerge la tradizione del populismo russo e quella del rapporto tra intellighenzia russa e masse arretrate, più che il pensiero di Marx. In Marx la coscienza di classe non è indotta nella classe operaia dall'esterno, da parte di un partito avanguardia; il soggetto della rivoluzione è il proletariato, non il partito del proletariato:
I comunisti non sono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai.
I comunisti non hanno interessi distinti dagli interessi di tutto il proletariato.
I comunisti non pongono princìpi speciali sui quali vogliano modellare il movimento proletario.
I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solo per il fatto che da una parte essi mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità, dell'intero proletariato, nelle varie lotte nazionali dei proletari; e dall'altra per il fatto che sostengono costantemente l'interesse del movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi dalla lotta fra proletariato e borghesia. (Marx - Proletari e Comunisti - Il Manifesto, 1948)

R.

No caro mio, Marx si comporta in modo settario, al limite del villano, con tutti i rivali teorici del socialismo e della classe operaia, come ben testimoniano i suoi contemporanei contraddittori. La virulenza settaria di Marx è assoluta. Si veda come tratta Lassalle ( e i suoi) con espressioni al limite del razzismo (anzi, onestamente oltre tale...limite).
Basta leggere "Stato e Anarchia" di Bakunin per avere la controprova di come la fazione "marxista" si comportava nella I Internazionale, e soprattutto ....come come si comportava Marx.
E' vero che Marx non è l'autore della concezione del partito che sarà di Lenin e poi della III Internazionale, ma questo non significa affatto in Marx non esistessero in avanzata fase embrionale TUTTE le premesse di tale concezione.

Nello stesso manifesto del pc, inoltre, al di là delle espressioni generiche, che vogliono solo significare l'appartenenza dei comunisti allo schieramento "rivoluzionario" che allora in Germania si definiva genericamente...."democrazia" ( i comunisti erano un piccolo movimento in fase embrionale, seppur con certe ambizioni e una certa influenza..), vi è una critica dei socialismi "borghese" e "piccolo borghese" piuttosto famosa
Inoltre se si prendono gli scambi polemici fra Marx ed Engels e gli esponenti degli altri "partiti" del fronte "democratico" in Germania,..... ci si accorgerà che la volontà di unità dei comunisti con costoro, tanto sbandierata, si riduceva in pratica ad un mare di insulti e accuse, talora anche meschine.

La battaglia ideologica di Marx sarà sempre durissima contro ogni minima "deviazione" da quella che lui, e il suo fidato amico e collaboratore Engels, determineranno essere la giusta linea (e non solo la giusta teoria). Le critiche anche verso i partiti operai e dell'Internazionale che assumeranno posizioni ritenute "non corrette" e non ortodosse, saranno del resto basilari nella formazione dell'egemonia marxista nel "movimento operaio" tedesco.

Saluti liberali.

Pieffebi
25-05-02, 22:56
Se riprendiamo poi la frase del Manifeso del PC che hai riportato, caro Roderigo...beh......che cosa vuole effettivamente dire? I comunisti non si distinguono se non per il fatto che sostengono gli interessi complessivi del proletariato nelle varie fasi della lotta di classe INTERNAZIONALE. Ossia gli altri non sostengono che interessi parziali o nazionali. Dunque i comunisti sono l'avanguardia, la parte avanzata.
Anche nella "democrazia sovietica" negli organismi elettivi, oltre ai comunisti, erano ammessi gli operai "senza partito"....e nelle democrazie popolari erano spesso ammessi anche altri partiti, che dovevano però riconoscere nel loro statuto "l'insostituibile ruolo guida del partito comunista"....

Saluti liberali

Pieffebi
25-05-02, 23:00
Aggiungo che Marx scrive il Manifesto nel momento in cui egli stesso riteneva che il proletariato avesse ancora, quasi ovunque, dei compiti "democratico-borghesi" da compiere. Si pensi proprio alla Germania, ove ancora non erano risolte la questione nazionale e democratica.

Cordiali saluti.

Pieffebi
26-05-02, 17:51
Forse per comprendere la questione è opportuno fare riferimento ad un teorico marxista che si colloca in una posizione "intermedia" fra i bolscevichi e il revisionismo socialdemocratico: l'austromarxista Otto Bauer.
Come altri "centristi" Bauer reputa, in buona sostanza, la teoria marxista della dittatura rivoluzionaria del proletariato come una sorta di retaggio borghese. Ossia come il frutto del fatto che Marx ebbe come modello soltanto, fino alla Comune, delle rivoluzioni borghesi, e soprattutto l'influenza enorme dell'esperienza giacobina durante la rivoluzione francese.
Per questo la dittatura del proletariato poteva essere considerata ancora valida in Russia, paese arretrato e con compiti ancora "borghesi". Su questo piano Bauer assume posizioni che ricordano un po' presentate su questo forum da Soviet999, e che dal punto di vista del marxismo "ortodosso" e del leninismo...stanno poco in piedi.
Scrive infatti Bauer in "bolscevismo o socialdemocrazia?" che la dittatura rivoluzionaria del proletariato in Russia "non è il superamento della democrazia, bensì una fase di sviluppo verso la democrazia " in quanto " il socialismo dispotico è il socialismo delle masse incolte cui la disciplina e la pianificazione del lavoro devono essere imposte da una potenza troneggiante su di loro. Una volta che la massa della nazione abbia raggiunto il livello più elevato di cultura, allora essa non sopporta più nessuna forma di onnipotenza statale, e nessuna forma di sottomissione ad un potere statale assoluto".
Ma non è tutto. Bauer rileva anche una notevole differenza nei modi e nei processi della rivoluzione socialista tra un paese arretrato come la Russia e l'Europa centrale ed occidentale:
" In Russia l'espropriazione violenta ed improvvisa del capitale, compiuta senza concedere nessun risarcimento, il semplice annullamento di ogni tipo di rendita, delle azioni e delle cartelle del debito pubblico colpisce solo il grande capitale, ed esattamente, sopratttutto il grande capitale straniero.
Nell'Europa centrale ed occidentale, invece, verrebbe esproprieta la vasta massa della piccola borghesia, dell'intellighenzia, del ceto impiegatizio e contadino, che investono qui i loro risparmi(...) e ciò comporterebbe dei sommovimenti sociali immensamente più gravi che in Russia ".
Il socialista di sinistra Bauer, appoggia la rivoluzione bolscevica come rivoluzione buona per la russia, i cui limiti politici ed ideologici, rappresentano una sorta di sovrastruttura dei limiti econmico-sociali e culturali del paese. Per quanto riguarda l'occidente attacca i comunisti in quanto incapaci di comprendere le condizioni concrete della rivoluzione in società capitalistiche evolute, e in cui la situazione culturale e sociale da un lato non permette i metodi sbrigativi dei bolscevichi, dall'altro rende possibile una via al potere nell'ambito della democrazia.
Ma questo è revisionismo, anche se svolto in modo difforme da Bernstein, o dallo stesso Kautsky.
Perchè è revisionismo? Perchè viene abbandonata la concezione catastrofica dell'evoluzione del capitalismo che da Marx in poi ha influenzato, seppur in diversi modi, le tendenze rivoluzionarie dei partiti socialisti. Perchè mette in evidenza la situazione reale concreta (come Berstein) rilevando le difformità dalle previsioni marxiane (la scomparsa dei ceti medi, la pauperizzazione assoluta del proletariato e tante altre cosette del genere, NON si sono realizzate). Perchè come l'ultimo Kautsky pone fra il dominio della borghesia e quello del proletariato la possibilità di una sostanziale continuità istituzionale. Il proletariato perciò non deve abbattere (almeno non subito) la macchina dello Stato e le sue istituzioni, così come esistenti storicamente durante la fase capitalistico-borghese, ma deve utilizzarle e piegarle gradualmente al proprio volere, riformandole semmai con il consenso di tutti e disgregandone gli aspetti burocratici che ostacolano la trasformazione socialista.
Scrive infatti Otto Bauer: " La democrazia è qui la forma nella quale il proletariato può raggiungere ed esercitare il dominio, senza privare violentemente dei diritti quelle classi del popolo operoso avverse al proletariato che esercitano importanti funzioni nell'ambito dell'economia nazionale, senza doverle escludere dalla collaborazione, per lo meno sotto forma di opposizione, senza perdere gli indispensabili crediti esteri, senza condurre, attraverso una interruzione violenta del processo sociale di produzione e di circolazione, ad una catastrofe economica, in cui il dominio del proletariato dovrebbe soccombere ".
Bauer non confonde il dominio proletario con l'idea marxiana (che lui reputa...giacobina e residuo borghese) della dittatura proletaria, e considera la democrazia non una forma della dittatura di classe ma un terreno di scontro fra le classi, che dunque può servire tanto alla borghesia che al proletariato.
Questo evidente revisionismo, seppur "di sinistra", si preoccupa di evidenziare che la rivoluzione non deve distruggere le forze produttive che rendono una società matura per il socialismo, a pena di veder soccombere accanto al capitalismo e alla borghesia anche il proletariato. Questa è anche un'idea dell'ultimo Kautsky, e faceva parte anche del bagaglio delle obiezioni revisioniste al marxismo rivoluzionario da parte di Bernstein ed i suoi.
La rivoluzione non nasce dalla catastrofe inevitabile a cui il capitalismo conduce la società, e a cui la lotta di classe, tramite l'intervento cosciente del partito rivoluzionario, offre una soluzione radicale nella trasformazione della società. La rivoluzione deve preservare le forze produttive e pertanto deve essere la più pacifica e democratica possibile, e limitare l'uso della forza al minimo indispendabile per piegare le resistenze violente che eventualmetne una parte della classe dominante potrà porre in atto.
Cos'è allora più volontarista? Il punto di vista di Lenin, che vede nel socialismo il frutto della crisi distruttiva ed ineluttabile del capitalismo imperialistico, seppur in ragione dell'intervento del partito nel guidare la lotta di classe proletaria sulla via rivoluzionaria, o la posizione del socialismo di sinistra, per la quale sembrerebbe che il proletariato deve procedere verso il socialismo anticipando e impedendo tale crisi distruttiva, e avanzando in modo dal preservare le istituzioni e le forze produttive che eredita dal capitalismo?


Saluti liberali.

Roderigo
26-05-02, 18:26
Originally posted by Pieffebi
Lo Stato rappresentativo moderno fondato sul suffragio universale , con il quale esplicitamente si misurano, dal punto di vista teorico, i classici di marxismo, NON è una dittatura di classe per le ragioni che ho già più sopra seppur sinteticamente espresso.
Non è vero che Marx e i teorici del marxismo si misurano con lo Stato rappresentativo moderno fondato sul suffragio universale. Tu stesso hai scritto che al suffragio universale si giunge "anche per la pressione della classe operaia" e che "Marx (...) riteneva che il proletariato avesse ancora, quasi ovunque, dei compiti "democratico-borghesi" da compiere."

Tra liberali e marxisti la discriminante non verte sul suffragio universale, ma sulla natura di classe dello stato. Semmai, il suffragio universale (una testa un voto) è una rivendicazione del movimento socialista e democratico, che trova tra i suoi avversari proprio i teorici del liberalismo conservatore.

E' Marx a sostenere che il suffragio universale è l'istituto fondamentale della vera democrazia poiché tende a eliminare la differenza tra stato politico e società civile, ponendo entro lo stato politico astratto l'istanza dello scioglimento di questo, come parimenti dello scioglimento della società civile (Opere filosofiche giovanili). E tra le indicazioni sui caratteri del nuovo stato, tratti dall'esperienza della Comune di Parigi, Marx comprende soprattutto il suffragio universale per l'elezione dei delegati con mandato imperativo, quindi revocabili (1871).

Invece, dopo la Rivoluzione francese, Benjamin Costant pone il problema del suffragio universale in questi termini: "se i nullatenenti partecipano all'esercizio dei diritti politici, inevitabilmente ne verrà distrutta o intaccata la proprietà borghese. Una volta che i nulla tenenti vengano posti in condizioni di esercitare i diritti politici, non faranno altro che assalire la proprietà."

Allora, secondo Constant, per evitare questo intervento rovinoso delle masse popolari, sono possibili due modi: o il suffragio indiretto, cioè il suffragio che si esprime in due gradi, per cui un corpo elettorale più esteso elegge un collegio elettorale, che a sua volta poi elegge i rappresentanti propriamente detti, o la restrizione censitaria del suffragio.

Anche altri classici della tradizione liberale sono diffideni nei confronti del suffragio universale. Tocqueville, elogia della democrazia americana, il suffragio di duplice grado, conforme alla prima proposta limitativa di Costant. Egli procede ad un confronto fra il Senato, eletto indirettamente, e la Camera dei Rappresentanti, eletta con suffagio diretto (1835) nei seguenti termini: La Camera dei Rappresentanti presenta un aspetto volgare, ci sono commercianti e persino uomini o rappresentanti dei ceti più umili, mentre invece il Senato, che viene eletto con suffragio indiretto, presenta un aspetto magnifico, sono presenti soltanto gli uomini migliori e più illustri della Nazione.

In Italia, dopo il 1912, quando Giolitti concede il suffragio maschile quasi universale, il liberal-conservatore Gaetano Mosca giudica la concessione un gravissimo errore, a cui bisogna rimediare per disinnescare la carica popolare eversiva in esso contenuta.

Ed infatti, in conseguenza delle resistenze conservatrici, il suffragio universale si afferma pienamente solo nella seconda parte del '900, persino nei paesi ritenuti culla della democrazia liberale, come Inghilterra e Usa. In Inghilterra, il suffragio universale si afferma definitivamente solo nel 1928, ma fino al 1948, ancora mezzo milione di persone godevano del diritto di voto plurale, e non erano certo elementi del proletariato o del ceto medio. Mentre negli Stati Uniti, discriminazioni razziali e censitarie permangono fino a tempi assai recenti. Solo nel 1966, la Corte suprema dichiara incostituzionali i test per accertare il grado di cultura e di alfabetizzazione per l'ammissione ai diritti politici, sia i requisiti che pretendevano il pagamento di una tassa per essere ammessi al diritto di voto.

R.

Pieffebi
26-05-02, 18:33
Quando Marx analizza il capitalismo puro, questi non esisteva in nessun luogo del mondo, neppure in Inghilterra. Non ho detto che Marx, Engels e Lenin si misurano "in concreto" con lo stato democratico rappresentativo, ma che lo affrontano (vista la tendenza in atto) dal punto di vista teorico.
Ho ricordato io stesso almeno un famoso articolo di Marx (1852) con il quale affrontava la questione del suffragio universale, in inghilterra, come forma del passaggio al "dominio della classe operaia", e ho ricordato il perchè e come mai qualche decennio dopo Engels scriverà cose del tutto opposte, affermando come il suffragio universale avrebbe potuto diventare, al massimo, una sorta di termometro per misurare il livello di coscienza della classe operaia, e NULLA più.
Lo stesso Kautsky nel 1889 sosterrà identiche posizioni contro l'idea che il suffragio universale potesse rappresentare una via alla trasformazione dello Stato e alla cosituzione della classe operia in classe dominante, non esistendo più le conedizioni di assenza della burocrazia e dell'esercito permanente neppure in Inghilterra e in nordamerica.
Ciò non toglie affatto che anche secondo Lenin il proletariato debba lottare per il suffragio universale in regime capitalistico (ma ciò attiene al processo di sviluppo della coscienza socialista nelle masse operaie e, eventualmente, ai compiti "borghesi" della rivoluzione nei paesi "arretrati").

Cordiali saluti.

kid
27-05-02, 13:31
Leggo un dibattito appassionante, almeno per me, su il forum di Rifondazione e ve ne ringrazio anche per i toni di civiltà, che spesso nei forum mancano. Io ho sempre avuto una convinzione che desidero sottoporre nel confronto a Pfb e Roderigo. E cioè, che non vi sia una concezione autentica dello Stato in Marx, perchè alla fine il comunismo, lo Stato, desidera abbatterlo. L'unica concezione dello Stato in Marx è quella dello Stato borghese, e in qualunqua forma esso si presenti, gli risulta intollerabile, tanto da preferirgli una dittatura di classe, esplicita, come quella proletaria. Il problema - voglio dare atto di buona fede a Marx - è che egli riteneva quella classe maggioranza. Nel senso che il proletariato era, agli inizi dell'800 per lo meno, sterminato numericamente rispetto alla borghesia. Non c'è ragione alcuna per un pensatore democratico, radicale, qual'è il giovane Marx, di tollerare l'idea che una minoranza governi contro una maggioranza senza diritti, mentre Constant e lo stesso Tocquivelle, subiscono - in grado molto diverso ovviamente - , la continuità ideologica dell'Antico Regime. Marx no. Marx è un figlio del nuovo secolo a tutti gli effetti. Ha un solo torto, se tale si può ritenere a posteriori: non capire fino in fondo il dinamismo interno del capitalismo e quindi della sua capacità di rigenerazione. Dialettico idealista di formazione, Marx applica il metodo corretto al funzionamento dell'economia ma non alla sua sostanza entità. Rimane suo malgrado un dogmatico - l'entità del capitalismo non c'è, non si discute - e anche piuttosto rozzo rispetto alle sue qualità. Non si accorge così, come non si accorgeranno del resto molti economisti a lui successivi, che il capitalismo non va affatto incontro alla sua distruzione, anzi, piuttosto distrugge tutto quello che ha intorno a sè, pur di sopravvivere, ma se può genera e crea nuove possibilità per tutti, e comunque amplia e non restringe la sfera della proprietà. Merito delle lotte operaie, dei sindacati, degli scioperi? No, io non credo. Credo che l'innovazione tecnologica abbia fatto di più a proposito e che il capitalismo stesso promuova l'inovazione altrimenti si esaurisce. Le lotte operaie diverranno un episodio insignificante della storia e guardate che non me ne compiaccio affatto. Non è questo il punto, comunque. Il punto è, se mi consentite, da vecchio marxiano, l'esperienza storica concreta, la realtà. Essa ci dice che dove si è voluto fare la rivoluzione proletaria nel secolo scorso, in occidente, Italia, Germania, Francia, essa è fallita miseramente. Dove è riuscita invece, è in oriente. Lì sì, nella Russia zarista, il proletariato era davvero di massa, ma la sua guida era una minoranza estrema e la dittatura era l'unico metodo possibile di governo. In quest'esempio dittatoriale realizzato, non transitorio, lo Stato si è identificato con il partito, tout court. Marx è stato capovolto proprio nel suo idealismo umanitario, oltre che nella sua interpretazione della realtà economica, stando alla quale i socialisti ritenevano che bastasse il suffragio universale per arrivare al potere, senza bisogno di assalti al palazzo di inverno. Ma anche qui un'idea dello Stato non c'è. Esso è lo Stato democratico borghese quale quello che conosciamo, con il voto per tutti ed infatti i partiti socialisti vi si adegueranno comodamente. E' vero invece che Gramsci pensa all'egemonia e inventa qualcosa a proposito, se non altro un termine. Ma scusate, a me quell'egemonia mi è sempre parsa la soluzione di un comunista in carcere. Senza l'armata rossa mi invento l'egemonia, ma il concetto è lo stesso. Quanto a Bobbio, neanche lo prendo più sul serio.
Il problema dunque è a mio avviso: quale regime difende il suffragio universale e quale lo sopprime. Quale lo introduce e quale lo ignora. Ecco il discrimine fra democrazia e libertà e assolutismo. E' tanto chiaro che gli amici idealisti di Rifondazione non, vogliono più fare come in Russia. Bene, ma mi sa che dovrete pure abbandonare Lenin, oltre che Stalin e persino Gramsci, senza voler togliere nulla ai loro caratteri e alle loro non comuni intelligenze, oltre che al piacere di occuparse sotto un profilo intellettuale.

Pieffebi
27-05-02, 16:57
Alcune precisazioni doverose.
Questa lettura di Marx è in parte condivisibile, almeno laddove definisci Marx un “democratico radicale” figlio del nuovo (19°) secolo, e ove rilevi che il fine ultimo della posizione marxiana, come quello degli anarchici, è l’estinzione dello Stato.
Devo però subito aggiungere che non ti posso seguire su tutta una serie di altri punti, che pur sono fondamentali.
In primo luogo, se si definisce il proletariato in modo ortodossamente marxista, ossia non in base al reddito o altro, ma in base alla posizione nei rapporti sociali di produzione, è inesatto affermare che il proletariato fosse di fatto la maggioranza della popolazione (se non in Inghilterra) già nel 1848 o anche nel 1871 o nel 1890.
Il proletariato industriale è poi una minoranza della popolazione quasi ovunque persino agli inizi del XX secolo, se si escludono appunto l’Inghilterra (propriamente detta) ed i vasti distretti industriali di Germania, Francia e degli Stati Uniti.
Questo lascia intendere il fatto che la letteratura marxiana ha, per così dire, come ogni letteratura socio-economica e politica con ambizioni “scientifiche”, una certa inattualità e tendenziale, astratta, proiezione nel futuro.
Come l’anatomia studia il corpo umano perfetto e puro, che non esiste in natura, per poter trarre quelle idee generalizzatici che gli permettono di conoscere i corpi umani reali, così lo “scienziato sociale” studia l’anatomia della società capitalistica pura in movimento, con le sue sovrastrutture, anche se queste, concretamente, non esistono ancora in nessun luogo, neppure in Inghilterra, e anche se probabilmente, in tale stato di purezza, NON esisteranno MAI. Ma da ciò Marx trarrebbe, ad esempio secondo il Lenin di “Che cosa sono gli amici del popolo” (scritto giovanile) tutte quelle idee scientifiche… “generalizzatici che fanno capo ad un intero monte bianco di fatti concreti”.
Per altri versi la collocazione “democratico radicale” del giovane Marx (del Marx pre-marxista…secondo molti, tra cui l’intera scuola Althusseriana), non ha sbocchi …nella misura in cui giunge ad una concezione comunistica degli approdi del divenire sociale (inizialmente ancorata ad una concezione idealistico-hegeliana della storia, seppur filtrata attraverso Feuerbach ed il suo “materialismo”). La soppressione della proprietà privata, per dirla con un linguaggio da marxismo “divulgativo”, è in realtà la soppressione delle condizioni materiali su cui si erge la sovrastruttura delle libertà “borghesi”, che sono il fondamento di QUALSIASI libertà politica, civile e sociale, e sono, nel loro approdo naturale, il fondamento stesso della democrazia rappresentativa, proceduralmente “liberale”, fondata sul suffragio universale.
Quando Marx scrive che la democrazia borghese è “il miglior sistema per il miglior affare”, e quando viene rilevato il rapporto dialettico fra l’ugual diritto borghese e l’uguaglianza necessaria fra venditore e compratore delle merci, compresa la forza lavoro, sul libero mercato capitalistico, ci si avvicina, seppur “a testa in giu’” alla realtà storica concreta.
E tuttavia Marx deride chi lo mette sull’avviso ( e ci fu chi lo fece fin dagli anni quaranta del 19° secolo, ben prima degli esiti storici concretamente totalitari di TUTTE le rivoluzioni “anticapitalistiche” e “proletarie” si manifestassero ) e di ciò se ne hanno le eco, tra il serio e l’ironico, già nel Manifesto (“i comunisti dichiarano apertamente di voler abolire la libertà e la personalità del borghese” …cito malamente a memoria…). Anche gli anarchici, pur sostenendo da parte loro una via ancora più utopistica, mettono bene in rilievo, da parte loro, l’esito necessariamente oppressivo della “dittatura proletaria”, rilevando come questa non possa non essere una dittatura SUL proletariato.
Da liberale posso lodare in Marx molte intuizioni, e soprattutto la serietà dei suoi studi e delle sue analisi, sempre molto profonde e corredate da minuziose ricerche teoretiche e pratiche (l’esame di un vero oceano di dati statistici, di testi, di articoli, di resoconti, di relazione di ispettori di fabbrica….), ma devo purtroppo rilevare che proprio il suo metodo gli avrebbe dovuto consentire di percepire l’indissolubile legame “dialettico” fra le libertà fondamentali e la proprietà privata.
Su questo fronte si può rispondere solo, a mio avviso, che Marx era convinto che il capitalismo stesso avrebbe abolito la proprietà privata per tutti, salvo che per un pugno di grandi borghesi, e che avrebbe ridotto tutto il resto della popolazione allo stato di proletariato fortemente pauperizzato.
Questa previsione si è dimostrata del tutto sbagliata e fuorviante. Marx ha dunque in ultima analisi fuorviato se stesso.
“L’espropriazione degli espropriatori” (termine successivo) è persino definita dal giovane Marx (pre-marxista) come una sorta di restaurazione della proprietà personale (come compartecipazione alla proprietà degli “individui associati”), ma anche questa concezione non sta in piedi. Non sta in piedi sia in relazione al fatto che, in realtà, in regime capitalistico sopravvivono la piccola e media proprietà, che in conseguenza di un altro fenomeno: la proprietà si socializza…ben diversamente.
Sopra ho postato alcune frasi di Otto Bauer, il socialista di sinistra austromarxista che prese una posizione intermedia fra bolscevismo e socialdemocrazia riformista: Bauer nota come l’espropriazione senza indennizzo della grande impresa capitalistica in occidente, a differenza che in russia, ove colpì solo alti papaveri e stranieri, avrebbe colpito altresì migliaia se non milioni di piccoli risparmiatori (azionisti, obbligazionisti….) dei ceti medio-bassi (piccoli commercianti, professionisti, tecnici, impiegati, strati della “aristocrazia operaia”). Bauer pone un problema reale, che lo induce a una linea prudente e gradualista nell’attuazione della “rivoluzione socialista” nei paesi capitalisticamente maturi. Ma il suo obiettivo finale è ancora l’economia pianificata e collettivista, che ha come “sovrastruttura”, necessariamente per un liberale, una qualche forma di autoritarismo (la via …della schiavitù) e soprattutto…. l’indispensabile dominio della burocrazia (si veda il marxista eretico Bruno Rizzi e la sua polemica con Trotzky e i trotzkysti su questo e alti punti).
Dal punto di vista liberale l’ intelligente ammissione sopra riportata di Otto Bauer è comunque una ulteriore dimostrazione del fallimento definitivo del marxismo e della giustezza della (propria) posizione e della previsione sulla diffusione e “socializzazione” (alla rovescia rispetto agli auspici marxisti) della proprietà privata borghese, fino ad investire, gradualmente, i ceti sociali semi-proletari e proletari. Parafrasando Lenin ….direi che si tratta di “una verità politica espressa da un avversario politico”.

Saluti liberali.

kid
27-05-02, 17:19
Sempre che la mia interpretazione fosse esatta mi riferivo all'Inghilterra ritenendo quello per Marx lo schema portante, valido per tutti i paesi industrializzati, in cui il semiproletario secondo il suo pensiero, tenderebbe a farsi proletariato, comunque esso è maggioranza rispetto ai grandi capitalisti. Ma sono curioso di sapere cosa pensate del fatto che io neghi vi sia una teoria dello Stato nel marxismo ed il comunismo russo eredita questa non teoria ed il movimento comunista in genere sbandi su questo punto paurosamente. Tanto che Rifondazione è uno dei principali difensori politici, con la mia parte, della legalità costituzionale dello Stato antifascista.

Pieffebi
27-05-02, 17:45
Non sei l'unico a pensarla così. Non sono però molto d'accordo. Salvo negare ad Engels la patente di co-fondatore del marxismo, e approfittare del fatto che nella "divisione del lavoro" fra i due ....fu Engels ad occuparsi più spesso della questione, mentre Marx (soprattutto in "maturità") trattò più in profondità...l'analisi della STRUTURA capitalistica, e solo incidentalmente degli altri aspetti.
La dottrina marxista sullo Stato esiste, tanto è vero che Bakunin la conosce e la critica (dal punto di vista anarchico e se vogliamo...semplificandola polemicamente), e che Lenin la ricostruisce e "restaura", volgarizzandone alcuni tratti, se vogliamo, con una serie piuttosto nutrita di citazioni e ragionamenti ("Stato e Rivoluzione").

Saluti liberali.

Roderigo
27-05-02, 21:29
Originally posted by Pieffebi
Quando Marx analizza il capitalismo puro, questi non esisteva in nessun luogo del mondo, neppure in Inghilterra. Non ho detto che Marx, Engels e Lenin si misurano "in concreto" con lo stato democratico rappresentativo, ma che lo affrontano (vista la tendenza in atto) dal punto di vista teorico.
Non sono persuaso. Marx analizza il capitalismo, avendo presente in primo luogo l'Inghilterra, poi ne deduce un tentativo di analisi generale, quello che tu chiami "capitalismo puro" (tra l'altro, capitalismo non era all'epoca un termine del lessico marxiano). E lo fa soprattutto nella sua opera principale, appunto, "il Capitale".
Invece, non affronta allo stesso modo lo stato democratico rappresentativo, che all'epoca non esistiva, così come noi lo intendiamo. Nè un'altra forma statuale. Infatti, non scrive e non scriverà mai una teoria dello stato.
Vi è poi da notare che l'associazione capitalismo-stato democratico rappresentativo appartiene alla moderna vulgata liberale, non al marxismo e neppure al liberalismo di ogni epoca. Per esempio, negli anni '20 e '30, non era affatto diffusa nel mondo la certezza che il futuro del capitalismo fosse la democrazia. Tale certezza non esisteva certo al tempo di Marx, in cui il capitalismo esprimeva varie forme statuali, alcune ibridate con l'ancien regime, altre liberaldemocratiche, ma con forti discriminazioni censitarie, altre ancora bonapartiste.

R.

Roderigo
27-05-02, 22:04
Originally posted by calvin
Io ho sempre avuto una convinzione che desidero sottoporre nel confronto a Pfb e Roderigo. E cioè, che non vi sia una concezione autentica dello Stato in Marx, perchè alla fine il comunismo, lo Stato, desidera abbatterlo. L'unica concezione dello Stato in Marx è quella dello Stato borghese, e in qualunqua forma esso si presenti, gli risulta intollerabile, tanto da preferirgli una dittatura di classe, esplicita, come quella proletaria.
Sono d'accordo con la tua affermazione principale: in Marx non vi è un'autentica concezione dello stato, o meglio, una teoria dello stato, ma non perchè il suo fine sia quello di abbatterlo. Per Marx lo stato è la dittatura di una classe su un'altra, una dittatura destinata ad estinguersi con il superamento dell'antagonismo di classe, nella transizione dal capitalismo al socialismo.
Il motivo per cui Marx non scrive una teoria dello stato, lo spiega forse nella prefazione a "Per la Critica dell'economia politica" (1859), là dove racconta di essere giunto alla conclusione "che tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello stato non possono essere compresi né per se stessi, né per la cosiddetta evoluzione dello spirito umano, ma hanno le loro radici piuttosto nei rapporti materiali dell'esistenza". In sostanza, lo stato è una sovrastruttura dei rapporti sociali di produzione, dunque sono questi ultimi l'oggetto principale del suo lavoro di ricerca.

R.

Pieffebi
27-05-02, 22:17
Strano, Lenin conosceva molto bene la relazione capitalismo-democrazia rappresentativa fin dal 1889 ("gli amici del popolo"), e nella Russia zarista! E ancor più nel 1917, in Stato Rivoluzione, ove scrive testalmente, tra le tante, tante altre cose, tutte nella stessa direzione: "la repubblica democratica è il miglior involucro politico possibile per il capitalismo", e Marx scrive negli anni 60 del XIX secolo che la democrazia "è il miglior sistema per il miglior affare", per non dire di Engels, e per non dire di Trotzky.....

Ma lasciamo parlare Marx, di cui ho già ricordato l'equazione democrazia=miglior sistema per il miglior affare (nella logica della relazione dialettica struttura/sovrastruttura):
" Le sue rivendicazioni politiche [sue, del partito operaio tedesco e del suo nefasto programma "lassaliano" e "piccolo-borghese"]- nota di pfb] non contengono nulla oltre la ben nota litania democratica: suffragio universale, legislazione diretta, diritto del popolo, armamento del popolo ecc..
Esse sono una pura eco del partito popolare borghese , della Lega per la pace e la libertà. Esse sono rivendicazioni che nella misura in cui non sono esagerate, sono GIA' REALIZZATE. Ma lo Stato in cui sono realizzate non si trova entro i confini del Reich tedesco, ma in Svizzera, negli Stati Uniti eccetera. Questa specie di Stato "futuro" è uno Stato odierno (...)
La stessa democrazia volgare, che vede nella repubblica democratica il regno millenario e non immagina nemmeno che appunto in questa ultima forma statale della società borghese si deve decidere definitivamente con le armi la lotta di classe - la stessa democrazia volgare sta ancora infinitamente al di sopra di questa specie di democratismo entro i confini di ciò che è permesso dalla polizia e non è permesso dalla logica (..) " (Note in margine al programma del partito operaio tedesco), eccetera.
E che dire di Engels? :
prendiamo una citazione a caso:
" Non solo lo Stato antico e lo Stato feudale erano organi di sfruttamento degli schiavi e dei servi, ma anche lo stato rappresentivo moderno è lo strumento del capitale per lo sfruttamento del lavoro salariato (...) Nella repubblica democratica la ricchezza usufruisce del suo potere in modo indiretto, ma tanto più sicuro (..) il suffragio universale è (...) l'indice di maturità della classe operaia. NOn può e non sarà mai nulla di più nello Stato attuale (...)" . Lasciamo stare Lenin, Trotzky, Gramsci per non dir del Bordiga! Lasciamo stare anche il Kautsky del 1889, e persino del 1906....
Di che cosa stiamo parlando allora?

Saluti liberali.

Roderigo
27-05-02, 22:44
Originally posted by calvin
Ha un solo torto, se tale si può ritenere a posteriori: non capire fino in fondo il dinamismo interno del capitalismo e quindi della sua capacità di rigenerazione. Dialettico idealista di formazione, Marx applica il metodo corretto al funzionamento dell'economia ma non alla sua sostanza entità. Rimane suo malgrado un dogmatico - l'entità del capitalismo non c'è, non si discute - e anche piuttosto rozzo rispetto alle sue qualità. Non si accorge così, come non si accorgeranno del resto molti economisti a lui successivi, che il capitalismo non va affatto incontro alla sua distruzione, anzi, piuttosto distrugge tutto quello che ha intorno a sè, pur di sopravvivere, ma se può genera e crea nuove possibilità per tutti, e comunque amplia e non restringe la sfera della proprietà. Merito delle lotte operaie, dei sindacati, degli scioperi? No, io non credo. Credo che l'innovazione tecnologica abbia fatto di più a proposito e che il capitalismo stesso promuova l'inovazione altrimenti si esaurisce. Le lotte operaie diverranno un episodio insignificante della storia e guardate che non me ne compiaccio affatto. Non è questo il punto, comunque.
In Marx non esiste il concetto olistico di "capitalismo". Esiste il concetto di "capitale" e di "rapporti sociali di produzione capitalistici", che consistono nel rapporto tra lavoro salariato e capitale, nella valorizzazione del capitale tramite plusvalore estorto al lavoratore. Questa è l'entità, la sostanza.
Per il resto le tue considerazioni sul capitalismo sono molti simili a quelle di Marx sulla borghesia che "... non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti" (il manifesto, 1848)
Quel che si può rimproverare a Marx è un difetto di analisi predittiva sul lungo periodo storico, ma ancora non possiamo stabilire se questo difetto, riguardi prima di tutto la direzione dell'evoluzione del capitalismo e non piuttosto i tempi di questa. Crediamo forse di poter giurare oggi che il capitalismo è la fine della storia? Invece non possiamo non riconoscere, che nella storia del capitalismo, le stesse idee di Marx ed il movimento operaio, entrando in gioco, ne modificano il quadro. Le classi dirigenti borghesi, in questi ultimi 150, fino almeno agli anni '70 si sono poste anch'esse il problema di una rivoluzione sociale e dei modi per poterla prevenire.

R.

Pieffebi
28-05-02, 20:49
Nel 1908, durante la fase "reazionaria" successiva alla sconfitta dei moti rivoluzionari del 1905 russo, un Lenin non ancora preoccupato ( come si potrebbe dire di quello di "Stato e Rivoluzione" e del "Rinnegato Kautsky"), di difendere la linea rivoluzionaria bolscevica nelle giornate immediatamente precedenti e di poco successive alla "presa del potere", scrive un articolo molto interessante.
Il titolo del breve scritto leniniano, pubblicato a Pietroburgo nell'autunno, è "Marxismo e Revisionismo", e sintetizza le fondamentali questioni teoriche e strategiche che dividono le varie tendenze della socialdemocrazia internazionale.
E' inutile dire che Lenin prende le parti dell'ortodossia rivoluzionaria contro ogni revisionismo riformista, anticipando tutte le tematiche che affronterà negli anni successivi.
Scrive Lenin fra l'altro: " Nel campo della politica il revisionismo ha cercato di rivedere di fatto il principio fondamentale del marxismo, e cioè la dottrina della lotta di classe.
Le libertà politica, la democrazia il suffragio universale distruggono le basi della lotta di classe - ci si è detto - e smentiscono il vecchio principio del Manifesto Comunista: gli operai non hanno patria.
In regime democratico, poichè la "la volontà della maggioranza" che regna, non sarebbe più possibile vedere nello Stato un organo di dominio di classe ne' sottrarsi ad alleanza con la borghesia progressiva socialriformatrice contro i reazionari.
E' fuori discussione che queste obiezioni dei revisionisti formavano un sistema abbastanza armonico, il sistema delle concezioni liberali borghesi da tempo conosciute . I liberali hanno sempre sostenuto che il parlamentarismo borghese distrugge le classi, dal momento che il diritto di voto, il diritto di partecipare agli affari dello Stato appartengono a tutti i cittadini senza distinzione.
Tutta la storia dell'Europa della seconda metà del XIX secolo, tutta la storia della rivoluzione russa dell'inizio del XX secolo dimostrano all'evidenza quanto siano assurde queste concezioni.
Con la libertà del capitalismo "democratico" la differenziazione economica non si attenua, ma si accentua e si aggrava.
Il parlamentarismo non elimina ma mette a nudo l'essenza delle repubbliche borghesi più democratiche come organi di oppressione di classe. Aiutando ad organizzare e a illuminare masse popolari infinitamente più grandi di quelle che partecipavano prima attivamente agli avvenimenti politici, il parlamentarismo non prepara in questo modo l'eliminazione delle crisi e delle rivoluzioni politiche, ma il massimo di acutezza della guerra civile durante queste rivoluzioni "

Ma non solo, il fenomeno storico che i marxisti di tutto il mondo devono affrontare è che il suffragio universale, attuato o tendenziale, NON da automaticamente il potere ai partiti di estrema sinistra, seppure gli strati proletari e semiproletari siano complessivamente ormai la maggioranza della popolazione in molti paesi.
Lo sviluppo da parte di Lenin della tematica della "coscienza di classe", nella sua genesi e nel suo sviluppo, dipende anche da queste considerazioni, che sono tutt'altro che "meramente russe", che non appartengono affatto a problematiche della strategia del partito rivoluzionario in una paese arretrato e autocratico.

E' "nell'ideologia tedesca", scritto giovanile di Marx ed Engels, mai pubblicato durante la loro vita, che i fondatori del "socialismo scientifico" notano per la prima, ma non per l'unica volta, come "l'ideologia dominante fu in ogni epoca l'ideologia della classe dominante" , e come "l'ideologia borghese" si imponga pertanto come egemone anche sulle masse operaie e semi-proletarie.
Marx in "Miseria della Filosofia" trattando della nascita e dell'evoluzione delle "associazioni operaie", evidenzia come queste tendano spontaneamente ad acquisire "un certo carattere reazionario", attraverso meccanismi spontanei, che oggi diremmo di ...burocratizzazione.

Nell'analisi dell'imperialismo Lenin nota come con i sovraproftitti secondo lui estorti dai paesi coloniali e semicoloniali, la borghesia delle metropoli imperialistiche possa permettersi di "corrompere" interi strati della classe operaia, garantendo a loro un tenore di vita più elevato, vicino a quello della piccola borghesia.
La relazione "materialistica" fra imperialismo e aristocrazia operaia e fra aristocrazia operaia e riformismo....sono elementi fondamentali delle analisi non solo di Lenin ma anche di altri esponenti del marxismo rivoluzionaria in lotta contro il revisionismo. Anzi, Lenin dovrà osteggiare, nel suo stesso partito, una deviazione estremistica, sostenuta ad esempio da giovane Bucharin, volta a interpretare in modo "antidialettico" le questioni in campo, cadendo nei grossolani errori teorici e tattici definiti "economismo imperialistico", e caratterizzati da un sostanziale "infantilismo di sinistra" ammantato però da una veste "scientifica" con i caratteri della plausibilità.

Il problema della democrazia rappresentativa è dunque analizzato da Lenin con gli strumenti tipici della teoria di Carlo Marx, ponendolo strettamente in relazione tanto con i processi sociali determinati dallo sviluppo internazionale del modo di produzione capitalistico, giunto ormai alla sua "maturità imperialistica", che con l'analisi della dinamica delle lotte di classe, come correlate con detto sviluppo imperialistico, prestando attenzione alla questione della "coscienza politica di classe" del proletariato.

Se, infatti, l'ideologia borghese è l'ideologia dominante che spontaneamente si impone all'operaio, se questo è ancor più vero nell'epoca imperialistica, ove si aggiunge per la borghesia l'arma della "corruzione delle aristocrazie operaie", allora risulta evidente che il partito rivoluzionario del proletariato deve porsi il problema di come spezzare questa egemonia ideologica del nemico di classe, e di come educare il proletariato al socialismo e alla lotta rivoluzionaria per il potere.

La concezione leninista del partito non nasce dunque separatamente dall'idea che Lenin mutua da Marx, e soprattutto da Engels, dello Stato e dello Stato rappresentativo borghese.
Soprattutto la concezione leninista del partito non è avulsa dall'analisi marxiana della relazione dialettica fra rapporti sociali di produzione e sovrastruttura ideologica, politica e istituzionale....
Se già Engels denuncia il suffragio universale come inservibile, se non come termometro della coscienza politica operaia, per la lotta rivoluzionaria proletaria in ragione dell'onnipotenza della ricchezza, è perchè in embrione egli ha esattamente la stessa visione, mutuata da Marx, della relazione storico-dialettica fra lotte di classe, dominio ideologico borghese tramite la "corruzione" e "l'onnipotenza della ricchezza", e coscienza socialista garantita dalla "socialdemocrazia" rivoluzionaria a cagione della sua consapevolezza teorica e politica degli obiettivi generali ed universali della rivoluzione socialista.

Non è affatto vero che Marx ed Engels ignorano il "suffragio universale" come esperienza storica contemporanea, visto che Marx ridicolizza il programma "lassaliano" notando come lo "Stato futuro" che esso vagheggia sia in realtà "lo stato presente", seppur "fuori dai confini dal Reich tedesco".
E' vero che Marx ed Engels avevano nel 1848 e nel 1852, per l'inghilterra, una fiducia sul ruolo rivoluzionario del "suffragio universale" che saranno costretti a.....rivedere radicalmente.
E' vero, che più avanti, ai tempi di Lenin e della Luxemburg, "l'onnipotenza della ricchezza" è tale da penetrare nei partiti socialisti, inducendo in loro la nascita di tendenze riformiste e conciliatrici con la borghesia, che dichiarano addirittura possibile collaborare e partecipare ai ministeri borghesi, traducendo il voto operaio per il socialismo in un voto per una corrente "di sinistra" del liberalismo!

Ai marxisti - rivoluzionari non passa neppure per l'anticamera del cervello che i revisionisti non facciano che registrare il fallimento delle previsioni fondamentali di Marx ed Engels circa i destini del capitalismo, rettificando la dottrina socialista di conseguenza.

Ai marxisti-rivoluzionari non passa per la testa che le tanto derise "teorie" liberali sulla natura NON di classe della democrazia rappresentativa in quanto tale, e della inevitabilità della relazione fra abolizione della proprietà privata e dispotismo politico (il socialismo dispotico è l'unico socialismo compiutamente possibile come alternativa all'economia del libero mercato) siano elementari constatazioni di tendenze storico-sociali in atto.

Per vincere l'egemonia dell'ideologia borghese, che penetra anche nei partiti e movimenti socialisti (revisionismo), la lotta ideologica può essere solo radicale, e l'organizzazione politica deve essere costituita conseguentemente.

La concezione leninista del partito centralizzato e granitico non sorge tanto in ragione delle condizioni particolari della Russia zarista e del suo regime autocratico, ma sorge soprattutto come strumento della lotta ideologica e della necessità di preservare l'avanguardia del proletariato dall'influenza ideologica delle altre classi!!

Certo, tanto il giovane Trotzky che Rosa Luxemburg attaccheranno il "dispotismo" della centralismo leninista, fino al punto di considerare il partito leninista un "socialismo da guardiano notturno" (Luxemburg), tuttavia non potranno fare a meno di prendere in considerazione le problematiche sollevate dai bolscevichi, cercando di svolgerle in altre direzione, dichiarando una maggiore fiducia nella lotta di classe e nelle masse.

Ma è il partito leninista l'unico che, storicamente ha potuto e saputo prendere il potere e conservarlo. E Trotzky ha dovuto arrendersi all'evidenza dell'inevitabilità dell'idea bolscevica di partito nel contesto della lotta di classe internazionale, prima ancora che dei problemi contingenti della rivoluzione in Russia.

La Luxemburg vedrà la socialdemocrazia tedesca disgregarsi innanzi alla "guerra imperialistica", e il gruppo spartachista non saprà che produrre insurrezioni suicide, inseguendo la spontaneità di masse prive di possibilità innanzi al nuovo Stato tedesco in formazione, in cui importanti organizzazioni del "movimento operaio" rivestivano un ruolo dirigente.

I liberali avevano predetto fin dal 1846/47 l'esito dispotico delle idee di Marx ed Engels, qualora queste avessero trovato la possibilità di attuarsi, ed indipendentemente dalle buone intenzioni dei medesimi. Lenin invererà definitivamente, nella teoria e nella pratica questa..."profezia", e Stalin la renderà addirittura....ottimistica.

Saluti liberali.

Pieffebi
01-06-02, 19:22
Ciò che, in fondo, distingue i comunisti dalle varie tendenze della socialdemocrazia, comprese quelle "di sinistra" e "rivoluzionarie", è l'atteggiamento nei confronti del destino dello "Stato borghese", nel corso del processo di trasfromazione del proletariato "in classe dominante".
Lenin, riprendendo Engels, ritiene che il proletariato conquistando il potere, debba distruggere lo Stato borghese, le sue istituzioni, i suoi meccanismi, il suo ordinamento, costruendone uno nuovo di sana pianta. I socialdemocratici ritengono invece che il proletariato possa conquistare lo Stato borghese e, organizzandosi in classe dominante, mutando i rapporti di forza, trasformando la dinamica sociale e il suo influire sulle istituzioni, utilizzarlo come Stato proletario.
Non è una differenza da poco, perchè comprende l'atteggiamento "rivoluzionario" che è suggerito al proletariato nei riguardi, ad esempio, della istituzione parlamentare ( delle libere elezioni).
Lenin ricorda come Marx, descrivendo e prendendo "lezioni" dalla esperienza della Comune parigina del 1871, avesse definito "la comune" stessa come un'organismo "non parlamentare, ma di lavoro", esaltando il fatto che fosse "esecutivo e legislativo al tempo stesso".
Per Marx la divisione liberale dei poteri non era utile alla causa della rivoluzione comunista, e non avrebbe dovuto quindi caratterizzare, come dimostrava l'esperienza pratica del proletariato francese, la dittatura rivoluzionaria del proletariato.
Lenin riprende ed estende questi concetti, concludendo che " in parlamento non si fa altro che chiacchierare con lo scopo deliberato di turlupinare il popolino " (il rinnegato Kautsky), respingendo quindi il "cedimento" della socialdemocrazia internazionale verso le idee liberali, operato dallo stesso Kautstky, già difensore dell'ortodossia marxista nei confronti del revisionismo riformista di Bernstein.
Ma nel 1918 Kautsky, che già per la socialista di sinistra Luxemburg era da tempo, anche lui , nient'altro che un opportunista revisionista (Lenin lo ritenne invece per molto tempo ...ortodosso), sostiene l'Assemblea Nazionale e la Repubblica parlamentare contro "la repubblica dei consigli operai" paventata dall'estrema sinistra tedesca, sull'onda provocata dall'ottobre bolscevico russo.
Kautsky è inesorabile nel denunciare il "socialismo dispotico" degli estremisti, e nel difendere il metodo democratico, non solo contro Lenin, ma anche contro Rosa Luxemburg e gli spartachisti tedeschi (Luxemburg che pur accuserà Lenin e Trotzky di "soppressione della democrazia", di "terrorismo", ricordando che la libertà "è pur sempre la libertà di chi pensa diversamente"!).
Per Kautsky " il socialismo senza democrazia, come metodo di emancipazione del proletariato è impossibile ", in quanto l'essenziale del socialismo non è solo l'essere "l'organizzazione sociale della produzione" ma anche " l'organizzazione democratica della società ".
Per "il rinnegato Kautsky" la "repubblica dei consigli" degli spartachisti tedeschi era in realtà "il dominio dei disorganizzati sugli organizzati, degli ignoranti sugli istruiti", ossia la rovina di ogni seria possibilità realmente rivoluzionaria per il proletariato, ovviamente inseparabile dalla costituzione della repubblica democratica parlamentare.
Ancor più per Kautsky la repubblica bolscevica russa non era neppure lontanamente la "dittatura del proletariato", ma la dittatura dispotica di una setta fanatica SUL proletariato e su tutta la società. La rivoluzione bolscevica fu da un lato una rivoluzione "abortita" e dall'altro una "non rivoluzione", un colpo di stato che generò una dittatura burocratico-poliziesca regressiva rispetto al capitalismo , ripetendo i rapporti dispotici dell'autocrazia zarista, senza le aperture a cui i liberali e i socialdemocratici avevano costretto questa ultima.

Il socialismo dispotico di Lenin è stato, per l'ultimo Kautsky ,un "non socialismo", e non "un socialismo incompiuto" o "degenerato" e la democrazia sovietica " è un paravento ideologico per la dittatura di un partito (...) La repubblica sovietica ha distrutto la vecchia burocrazia sovietica, ma al suo posto ne ha messa una nuova, altrettanto centralizzata, con potere ancora più estesi di quanto non ne avesse la precedente, poichè per mezzo di essa bisogna controllare l'intera vita economica, ed essa dispone non soltanto della libertà, ma anche delle fonti di esistenza della popolazione ". Una critica radicale di impostazione socialdemocratica e "revisionista" ma sempre più vicina alle posizioni liberali.

Saluti liberali.

Pieffebi
02-06-02, 17:13
La concezione leniniana della repubblica democratica quale "migliore involucro politico possibile per il capitalismo" rappresenta il punto d'approdo della teoria "rivoluzionaria" che l'estrema sinistra marxista ha elaborato durante decenni di sviluppo, dal "Manifesto del Partito Comunista" alle tesi leniniste su "L'imperialismo" quale "fase suprema del capitalismo".
Il fatto che la democrazia sia, per Lenin, il miglior involucro del capitalismo, non significa affatto che sia l'unico, o che sia quello definitivo.
Lenin è interessato alla trasformazione che la democrazia subisce durante l'epoca dell'imperialismo e non può non notare, dal suo punto di vista apocalittico, come ormai la forma democratica e la forma non democratica della "dittatura borghese" siano fra loro sempre più vicine: " La differenza tra borghesia imperialistica democratica repubblicana e borghesia imperialistica monarchica reazionaria va scomparendo perché l'una e l'altra imputridiscono pur continuando a vivere ".
Se la democrazia politica ha rappresentato, anche per il proletariato, una funzione rivoluzionaria e progressiva nell'epoca del capitalismo in ascesa, del capitalismo liberale della "libera concorrenza", nell'epoca del capitalismo monopolitistico, del capitalismo finanziario, del capitalismo in putrefazione, ossia dell'Imperialismo....NON è più così.
" La reazione politica su tutta la linea è una caratteristica dell'imperialismo , afferma perentoriamente Lenin, e questo si inserisce perfettamente nella sua visione della grandiosa epoca della rivoluzione comunista mondiale, in cui crede di vivere (1916), e di cui la prossima rivoluzione russa (1917) dovrà essere il preludio.
Ancora nel 1938, mentre a Mosca si celebravano i processi criminali contro "l'opposizione di destra" buchariniana (essendo già stata liquidata quella di "sinistra" trotzkysta-zinovievista), l'ex capo sovietico Lev Trotzky svilupperà in questo modo, distratto dal contingente e non molto ortodosso, il pensiero leniniano: " "In termini generali per la borghesia la democrazia è una necessità nell'epoca della libera concorrenza. Al capitalismo monopolistico, basato non sulla "libera" concorrenza, ma sull'imperio centralizzato, la democrazia non serve affatto: lo ostacola e lo disturba. L'imperialismo può tollerare la democrazia sino ad un certo momento, come un male inevitabile. Ma aspira intimamente alla dittatura ".
Amadeo Bordiga sosterrà concezioni molto simili, giungendo, in buona sostanza ad eliminare, sul piano teorico, qualsiasi apprezzabile differenza fra democrazia borghese in epoca imperialistica e fascismo (ma sulle conseguenze strategiche e tattiche di detta visione avrà opinioni opposte a quelle di Trotzky).
Dal canto suo la socialdemocratica d'estrema sinistra Rosa Luxemburg aveva svolto ben diversamente da Lenin (che per un bel tratto seguì, estremizzandolo, Kautsky) la critica al revisionismo bernsteniano anche sul piano della relazione fra capitalismo e democrazia e fra socialismo e democrazia. Tuttavia fin dal 1899 ("Riforma sociale o Rivoluzione?") la Luxemburg pone il problema dell'imperialismo, considerando le novità che stava introducendo nella storia politica:
" Per Bernstein per esempio la democrazia è un gradino inevitabile nello sviluppo della società moderna, anzi, per lui come per il teorico borghese del liberalismo, la democrazia è la legge fondamentale dello sviluppo storico in generale, alla cui attuazione devono servire tutte le forze attive della vita politica. Ma questa teoria espressa in termini così assoluti è fondamentalmente falsa (...) Se in questo modo il liberalismo è diventato nella sua essenza superfluo per la società borghese in quanto tale, esso è invece diventato, sotto altri aspetti importanti, addirittura un impedimento. E qui entrano in campo due fattori i quali dominano tutta la vita politica degli odierni Stati: la politica mondiale e il movimento operaio; entrambi non sono che due diversi aspetti della fase attuale dello sviluppo capitalistico.
Lo sviluppo dell'economia mondiale e insieme l'acutizzazione e la generalizzazione della lotta per la concorrenza sul mercato mondiale hanno fatto del militarismo e del "marinismo" in quanto strumenti della politica mondiale, il fulcro della vita interna ed esterna dei grandi Stati. Ma se politica mondiale e militarismo sono una tendenza in espansione nella fase attuale, la democrazia borghese deve di conseguenza muoversi lungo una linea discendente. (...) E se la politica estera getta così la borghesia in braccio alla reazione, la politica interna, con le rivendicazioni 'della classe operaia, non è da meno.
".
Ma tutte queste considerazioni, sia quelle leniniane sull'imperialismo, che quelle derivate di Bordiga e Trotzky, che quelle precedenti di Rosa Luxemburg (contro Bernstein e il riformismo revisionistico) si fondano sulla convinzione d'essere entrati nella fase finale della guerra di classe fra proletariato e borghesia, e nell'ultimo stadio (supremo) dello sviluppo capitalistico.
Per Lenin, infatti, l'imperialismo NON è una politica di un qualche governo borghese, ma il modo d'esistere del capitalismo che raggiunta la maturità, in mancanza della rivoluzione comunista che lo sradichi consentendo la trasformazione sociale, inizia ad imputridire.
L'imputridimento dell'imperialismo è anche l'imputridimento del suo "migliore involucro politico" (che è tendenzialmente il migliore, non certo l'unico) ossia della democrazia, che divente a propria volta reazionaria, e per così dire "imperialista" (A. Cervetto).
L'unica alternativa reale per i comunisti, come dice Bucharin nel suo "Abc del Comunismo" è fra dittatura del proletariato e dittatura della borghesia.
E' inutile dire che tutte le previsioni forumulate dai marxisti-rivoluzionari (comunisti delle varie tendenze e socialisti di sinistra), si sono dimostrate tendenzialmente errate.
Stalin sosterrà durante la seconda guerra mondiale l'opportunità di approfittare della guerra "civile" fra capitalismo democratico e capitalismo reazionario per eliminarli uno per volta, ad iniziare dall'ultimo, con l'aiuto....del primo.

Nonostante che l'epoca dei fascismi potesse sembrare, nella contingenza, confermare le profezie più apocalittiche dei sostenitori del Terrore Rosso e della feroce dittatura bolscevica (di cui le dittature fasciste furono largamente, sul piano dei metodi, e persino delle forme espressive pubbliche e propagandistiche......degne imitatrici), il capitalismo democratico ha avuto storicamente la meglio, anche con il concorso dei "traditori" socialdemocratici del "marxismo-rivoluzionario" e del "movimento operaio".

Saluti liberali