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Visualizza Versione Completa : Attenzione a tutti i Repubblicani ... un'Edera sempre piu' verde ...



G. Oberdan
26-05-02, 01:03
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg

al di là di Pri, MRE o Ami o altro.

Volete ridere? Andate al forum Senescenti e discussione "Mazzini in chiesa". (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=7110)

Legatevi alle sedie. Se non andrete su tutte le furie subito allora riuscirete a divertirvi

nuvolarossa
26-05-02, 10:45
Beh, dobbiamo proprio dire che il livello culturale a cui assistiamo, a volte, su alcuni Forum, e' veramente disdicevole.
Sembra di assistere a ragionamenti fatti da bambini della scuola materna.
Questi ultimi fanno tenerezza per la loro ingenuita' e spontaneita'.......elementi che pero' non e' possibile portare a giustificazione di supercazzole verbali profuse da persone adulte, maggiorenni e vaccinate che dovrebbero, prima di scrivere, attaccare la spina del proprio cervello alla rete energetica del buon senso.

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nuvolarossa
26-05-02, 10:53
anticipiamo di un paio di settimane l'uscita di questo messaggio che, a questo punto della discussione, dovrebbe aprire la mente, si spera, alle persone di buona volonta'
N.R.
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Giù le mani da Cattaneo
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IL 15 giugno 2001 cadde il secondo centenario della nascita di Carlo Cattaneo, una delle più belle figure del nostro Risorgimento che ha avuto tuttavia pochi estimatori, anche se fra quei pochi ci sono stati Luigi Einaudi e Gaetano Salvemini.
La ricorrenza e' stata l’occasione adatta per approfondire il significato della sua opera. Di fronte a recenti commenti che hanno presentato Cattaneo quale un antesignano del federalismo della Lega, è tuttavia bene mettere tempestivamente in chiaro alcuni punti fermi sul pensiero politico dell’esule milanese.
Carlo Cattaneo sosteneva il federalismo perché lo considerava, a ragione, una forma superiore di unità rispetto a quella degli Stati accentrati, monarchici o repubblicani che fossero. Era infatti convinto che la vera unità politica è quella che conserva il pluralismo e trae forza da esso, non quella che lo trascende o pretende di fonderlo in un tutto unico.
Ha sempre rifiutato l’idea che il federalismo sia un mezzo per sottrarsi agli obblighi comuni. In una lettera a Giuseppe Ferrari del 29 ottobre 1851, a chiarire possibili cattive interpretazioni del suo pensiero scriveva: "Il male non si è che il principio federativo non abbia una rappresentanza, ma bensì che non sia ancora popolarmente spiegato e popolarmente compreso. Siccome viene contrapposto alla pretesa unità, si cade facilmente a crederlo un principio d’isolamento e di separazione".
La sua proposta federale si oppone alle unità dall’alto e alle fusioni, ma non all’unità fondata sulla libertà di tutti e sulla libera solidarietà. "Ti ripeto - scriveva a Ferrari il 3 ottobre 1851 - che bisogna contrapporre la federazione alla fusione e non all’unità, e mostrare che un patto fra popoli liberi è la sola via che può avviarli alla concordia e alla unità: ma ogni fusione conduce al divorzio, all’odio".
La ragione per cui Cattaneo ammira lo Stato federale svizzero è che ciascuna "repubblichetta", come le chiamava spregiativamente Gioberti, può fare di più, non di meno, grazie alla struttura federale, per la causa comune. In una lettera a Mauro Macchi del 26 dicembre 1856 scriveva: "Hai visto la repubblichetta di Vaud che alla dimanda di nove battaglioni risponde offrendone venticinque! \ e il Vaud fa duecentomila anime, poco più della provincia di Pavia! Di questa misura le repubbliche d’Italia potrebbero dare più di tremila battaglioni".
Immagini il lettore che cosa Cattaneo avrebbe pensato di presidenti di Regione "federalisti" che nicchiano per partecipare alla sfilata della Festa della Repubblica a Roma, o di leaders come Bossi che addirittura la disertano, o ancora di parlamentari che in nome del federalismo si preoccupano soprattutto di far sì che le risorse prodotte al Nord restino in larghissima parte al Nord, e che solo l’1,5% del prodotto interno lordo possa essere destinato ai fondi perequativi perché servono per garantire alle regioni più povere diritti di cittadinanza paragonabili a quelli delle regioni più ricche.
Cattaneo riteneva che la federazione dovesse essere il mezzo per promuovere l’autogoverno e per sviluppare la coscienza dell’unità nazionale. "La federazione - scriveva a Agostino Bertani nel maggio 1862 - è la pluralità dei centri viventi, stretti insieme dall’interesse comune, dalla fede data, dalla coscienza nazionale". Era un discepolo di Romagnosi, e come il suo maestro sosteneva che il municipio fosse la molla attiva del "vero e sicuro patriottismo". Scriveva infatti che "i comuni sono la nazione; sono la nazione nel più intimo asilo della sua libertà". Vale la pena sottolineare: per Cattaneo l’autogoverno locale è il cuore del patriottismo e dell’unità della nazione, non un espediente per sottrarsi agli obblighi comuni.
E’ bene chiarire che per Cattaneo la soluzione federale era la migliore anche per le regioni meridionali. In una lettera a Francesco Crispi del 18 luglio 1860 scriveva: "La mia formula è Stati Uniti; se volete Regni Uniti; l’idra di molti capi, che fa però una bestia sola. Per essere amici bisogna che ognuno resti padrone in casa sua". I siciliani potrebbero fare un gran beneficio all’Italia, spiegava, "dando all’annessione il vero senso della parola, che non è assorbimento. Congresso comune per le cose comuni; e ogni fratello padrone in casa sua. Quando ogni fratello ha casa sua, le cognate non fanno liti".
Da uomo dei lumi qual era, credeva fermamente nei benefici effetti della circolazione delle idee. Studiava con passione e rigore la storia e i costumi dei popoli più lontani. Era persuaso che la chiusura di un popolo in se stesso fosse causa di declino e vedeva negli innesti culturali una ragione di progresso. Detestava qualsivoglia pretesa di egemonia di una nazione o di una razza sulle altre: "Fermi nel gran principio della comune natura dei popoli \ noi vogliamo onorare la natura umana in tutte le sue manifestazioni". E precisava, a dissipare ogni equivoco, che tutte le nazioni sono "egualmente inviolabili; e non riconosciamo egemonie del genere umano". Di fronte ad un leader politico che avesse pronunciato una frase del tipo "Padania, razza pura ed eletta", avrebbe provato un moto di disgusto.
Norberto Bobbio ha scritto che Cattaneo non fu mai "infangato dal fascismo". Cerchiamo, se possibile, di risparmiargli nuove onte.
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di Maurizio Viroli Presidente della Associazione Mazziniana Italiana
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nuvolarossa
24-06-02, 23:44
Le esternazioni di questi giorni a Pontida sul triparlamento italico (nord, centro e sud) contemperano il notevole calore di queste ore assolate estive.....facendomi rabbrividere a mo' di pelle d'oca....!
Stiamo ritornando al ribaltone del '94 ?
Quale serieta' e lealta' dimostra la Lega dei celoduristi di Bossi....con queste esternazioni ?
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la_pergola2000
25-06-02, 17:21
la lega bossi e qualcosa d'altro...........
quando la lega si trova in difficoltà comincia ad alzare la voce e la politica di sempre del Bossi nazionale.
Non ci voleva il ds Viroli e attuale presidente dell'Ami a spiegarci che Cattaneo proponeva il federalismo per unire e non dividere come fa la lega.
La lega cerca di prendere le distanze, ma se gli operatori della rai fossero stati più cattivi lassù a Pontida avrebbero fatto vedere che i leghisti sono sempre meno, la loro fortuna è stata quella che hanno trattato con la cdl, ed hanno ottenuto molti seggi in parlamento.
Ma se aveste analizzato i risultati delle ultime amministrative, a parte Treviso, in tutti i comuni la lega ha perduto percentuali che si avvicinano al 10%.
A favore in parte del cs, ma anche del cd, maggiormente a favore del cs.
Fraterni saluti.

nuvolarossa
25-06-02, 18:58
A proposito di Pontida

Ci rendiamo conto, naturalmente, che comizi e manifestazioni servono a galvanizzare il proprio elettorato, a proporgli obiettivi, a sollecitare entusiasmi. E sappiamo bene che Umberto Bossi, abile conoscitore del suo popolo, usa con spregiudicatezza gli appuntamenti di Pontida per ricompattarlo sui suoi progetti e sulle sue aspirazioni. E nessuno può ignorare, infine, che a queste manifestazioni - verbalmente estremizzate - fanno poi seguito una ragionevole disponibilità alla trattativa e un concreto interesse alle intese.

E' anche vero, infine, che quest'anno Bossi aveva bisogno di rilanciare il tema della devolution, dopo che i suoi amici di partito - i ministri Maroni e Castelli - avevano occupato l'intera scena pubblica con le riforme della giustizia e del lavoro (e le relative polemiche).

Tutto vero. Ma al di là di queste considerazioni e del solito clima da ultima spiaggia, ci sono comunque almeno due punti da tener fermi tra quelli che il leader della Lega ha sollevato a Pontida. Il primo riguarda la creazione di tre Parlamenti, uno per il Nord, uno per il Centro e uno per il Sud. Parlamenti siffatti svuoterebbero di significato e di potere quelli regionali e sarebbero un ennesimo esempio di elefantiasi pubblica: il contrario degli obiettivi che proprio la base della Lega persegue. Se poi dovessero ridursi a mero coordinamento delle attività regionali, a provvedervi c'è già la conferenza Stato-Regioni.

Perplessità suscita anche l'idea di riformare la Corte Costituzionale su base territoriale e regionale. E' vero che la "devolution" comporta un rafforzamento dei poteri periferici, ma è altrettanto vero che l'unicità di interpretazione della norma costituzionale non giustifica e non legittima un diverso meccanismo elettorale.

C'è infine un aspetto, della riunione di Pontida, che ci trova concordi. Ed è il richiamo alla necessità delle riforme. E' un tema su cui anche il PRI insiste da tempo e che - come abbiamo già rilevato la scorsa settimana - trova conforto nell'indagine fatta da Mannheimer sulle aspettative dell'elettorato. Accelerare questo processo non è un'esigenza della Lega; è una necessità vitale per il Governo.

Roma, 25 giugno 2002
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tratto dal sito web del
http://www.prilombardia.it/imgs/pri.gif (http://www.pri.it)

nuvolarossa
25-06-02, 21:22
Pri/Direzione: no a tre parlamenti e riforma Consulta

La maggioranza faccia chiarezza su proposte Bossi

La direzione del Pri, riunitasi oggi, ha ''bocciato'' due proposte lanciate dal leader della Lega Umberto Bossi a Pontida: i tre Parlamenti e la riforma su base territoriale della Consulta. Punti sui quali, secondo i repubblicani, la ''maggioranza deve fare chiarezza''. I tre parlamenti, sottolineano, ''svuoterebbero di significato e di potere quelli regionali e sarebbero un ennesimo esempio di elefantiasi pubblica, il contrario degli obiettivi che la base della Lega persegue''. Se invece la tripartizione ''dovesse ridursi a mero coordinamento delle attivita' regionali, a provvedere c'e' gia' la conferenza Stato-Regioni''. Quanto alla riforma della Corte costituzionale, il Pri sottolinea che ''e' vero che la devolution comporta un rafforzamento dei poteri periferici, ma e' altrettanto vero che l'unicita' di interpretazione della norma costituzionale non giustifica e non legittima un diverso meccanismo elettorale''.

Roma, 25 giugno 2002 (ANSA)

G. Oberdan
25-06-02, 22:46
La pergola ha scritto il "DS Viroli"...

E' vero? :( :mad: :eek: :confused: :ronf

Garibaldi
26-06-02, 08:09
Quelli che non hanno la tessera del pri per lapergola sono tutti ds.
Non credo che viroli sia un cosista.
E' un mazziniano, questo si e mi basta e mi avanza!!??!?

kid
26-06-02, 11:43
cari amici attenti a voler fare l'esame del sangue, perchè potremmo avere brutte sorpreso.

la_pergola2000
26-06-02, 15:04
Ho già detto un'altra volta che Viroli è un Ds qualcuno confermi o smentisca.
E Scioscioli?
Dire mazziniano non basta, come avrete notato la signora sbarbati cerca di radunare i delusi di Bari , nelle sezioni dell'ami e poi fa manifestazioni, altri lo fanno in Emilia Romagna, Riccione ecc.
come una religione i mazziniani si dividono in varie sezioni ognuna ad uso e consumo dei ras locali o nazionali bell'esempio di democrazia che danno i repubblicani.
perdipiù Viroli lo dico per l'ennesima volta, vuol ritornare in italia e quindi cerca una cattedra prestigiosa, essendo diventato amico di Manzella consulente di Ciampi, e quindi Viroli è stato nominato consulente storico di Ciampi e così via, provoca discorsi con Bobbio ecc. Vogliamo fare qualche scommessa?
Usa l'Ami come trampolino di lancio e c'è chi ci cade, se non si avverano queste profezie, pago una cena a tutti.

la_pergola2000
26-06-02, 15:14
Io vedo ds dappertutto' Mi fa ridere, cerco di avvertire gli amici di non cadere in trappole a loro sconosciute.
Così io considero amico chi mi avvisa se mi sto dirigendo verso sentieri sconosciuti.
Ho potuto vedere le sceneggiate dei seguaci della Sbarbati, i quali non conoscevano niente, ho cercato di avvisare gli amici, che alcuni spostamenti erano dettati da ricche prebende di sottogoverno,vi ricordate? Ancor prima della camera di commercio di Piacenza, episodio squallido a cui tutti dovremo stare attenti.
A proposito se il "signorino" accetta la presidenza della camera di commercio, quanti soldi darà al partito? Vogliamo scommettere anche qui?
E sono svariate decine di milioni all'anno, quindi una famiglia ci può vivere e resterebbero parecchi soldi ancora da versare nelle povere casse del partito.
Quella è una acquisizione Ds, o cosa? Convincono le persone con i soldi pubblici. OK!!!!!!!
Questo è il moralismo dei Ds, e lo facevano anche quando erano PDS, e lo facevano anche quando erano PCI e ancora indietro nel tempo.
Ciao.

kid
26-06-02, 17:19
Viroli cerca un trampolino di lancio e chi glielo offre è ben accetto, ma non è organico ai ds e dubito che possa diventarlo, diciamo che ha buoni rapporti con la componente della sinistra repubblicana sopratutto per gli uffici che questa intrattiene con Ciampi. Ma non è una questione politica, insomma! Scioscioli si è ravvicinato al partito dopo aver gravitato nella stessa area che adesso accoglie con grande calore Viroli. Per il resto, l'analisi di La Pergola sui ds, non è mica male. Diciamo che loro sono dei buon padroni e nutrono volentieri i loro cani. Ogni tanto però il cane, se ha carattere, li morde. Poi è chiaro ci sono i cani che scondinzolano, si mettono a pancia in giu' e abbaiano l'internazionale a comando.

nuvolarossa
30-06-02, 22:52
In considerazione del fatto che su questo thread sono state fatte considerazioni sui desideri o sulle aspettative del Prof. Viroli che non si capisce quanto siano piu' o meno legate a voci vere o voci interessate....ho scovato questo articolo......dove si parla, almeno in parte, di questi argomenti.
Perlomeno abbiamo, anche se in modo parziale, una testimonianza diretta da parte del nostro interessato....in modo poi che ognuno confermi o cambi l'opinione che si era fatta in proposito.....

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«Mi chiamano tutti, tranne Forlì»

Maurizio Viroli, nelle ultime settimane la stampa italiana si è interrogata spesso sulla fuga dei «cervelli» all'estero. E' anche il suo caso?
«La mia è stata una scelta dettata dalla necessità. L'alternativa a una carriera accademica a Princeton era nessuna collocazione nell'università italiana. Con gli anni ho avuto la possibilità di tornare in patria, ma le condizioni di Princeton sono molto più allettanti. Dunque, sono partito per necessità e rimasto per scelta».
Insomma, l'accademia italiana l'ha persa per sempre.
«Non ho detto questo, ma Princeton mi vuole molto bene. Va anche detto è il più ricco ateneo degli Stati Uniti, con un capitale, quasi tutto proveniente da fondi privati, di 38 miliardi di dollari Ma la vera ricchezza è l'integrità della vita intellettuale e dei rapporti con i colleghi, gli amministratori e gli studenti. Quindi sono pessimista sul mio ritorno in Italia».
Princeton 20 mila abitanti e 6 mila studenti, Forlì 108 mila residenti e 8 mila universitari: cosa manca alla nostra città per diventare una vera città universitaria?
«Una premessa. Ho tenuto conferenze e lezioni nelle più prestigiose università del mondo, ma non ho mai avuto l'onore di farlo nell'ateneo della città dove sono nato. Il punto è che per diventare una città universitaria, occorre creare una vera comunità intellettuale. E questa comporta che i docenti abitino in città e siano partecipi della vita pubblica. Non mi risulta che questo accada a Forlì».
Un esempio di come opera l'università americana?
«Princeton offre condizioni favorevolissime ai docenti per acquistare casa, un terzo del costo lo finanzia a fondo perduto: ma l'abitazione deve essere entro un raggio di 6 miglia dal campus».
Chiudiamo il capitolo a stelle e strisce a apriamo quello tricolore. Cosa la lega all'Italia?
«Mi sento profondamente italiano. Sono consulente della presidenza della Repubblica per i progetti culturali che hanno come scopo il rafforzamento della coscienza civile degli italiani. Poi sono collaboratore del quotidiano La Stampa e presidente da due anni dell'Associazione Mazziniana Italiana. Tutte queste cose fanno sì che la lontananza spaziale non si trasformi anche in una distanza morale».
Quanto tempo trascorre a Forlì?
«Gran parte dell'estate. Mi sento molto legato alla mia città, anche se mi dà alcuni dispiaceri, come quello della Bidentina. Non capisco cosa c'entrino quei poveri alberi. In generale, però, mi sento pochissimo coinvolto nella vita istituzionale forlivese».
Eppure le proposero di fare l'assessore.
«E' vero, ma chi potrebbe lasciare Princeton per fare l'assessore a Forlì?».
«Ricevuto. Maurizio Viroli non riuscirà mai a essere una risorsa per Forlì.
«Nella vita ci sono anche i sogni, allora dico che mi piacerebbe rientrare in Italia per un impegno politico nelle istituzioni della Repubblica. Oppure nell'Unione Europea, sarebbe molto bello poter mettere a disposizione la mia esperienza internazionale».
Chi vede la città solo ogni tanto ha un occhio più attento per giudicarla. Lei come la trova?
«E' più verde, il centro storico per opera dell'amministrazione è più curato, sono stati recuperati molti palazzi e chiese. Anche i negozi crescono di qualità. Ma al tempo stesso trovo Forlì più fredda e soffocata dalle auto. La piazza è sempre più vuota. Direi che è una città in mezzo al guado».
Forlì stenta a valorizzare le proprie risorse umane: vero o falso?
«Sì, c'è un certo disprezzo per il patrimonio umano. Forlì non valorizza i suoi artisti e i suoi studiosi, è sempre stata culturalmente avara. Una volta non ci provava nemmeno, priva anche dell'università, oggi bisogna dire che non è facile per gli amministratori contrastare una tendenza in atto da molto tempo».
A proposito: gli amministratori locali sono impegnati a fronteggiare quasi ogni giorno un nuovo comitato cittadino che nasce. Da studioso di teoria politica come vede questo fenomeno?
«Se l'obiettivo è la difesa del patrimonio culturale e ambientale, è un fatto positivo. Se si difendono privilegi o si cerca di sottrarsi a doveri comuni, negativo. Ma il dato più grave della vita politica italiana è che non esistono più istituzioni che sappiano dare all'individuo il senso di appartenenza. Molto sta facendo Ciampi, ma gli altri? Bisogna tener presente che il popolo non ha sempre ragione. Il dovere del leader politico è perseguire il bene comune, non ciò che vuole la gente».
Nell'Italia di oggi, suona come un pensiero controcorrente.
«Rileggiamo Machiavelli; capitolo capitolo 53, Discorsi su Tito Livio».

di Fabio Gavelli

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tratto da IL RESTO del CARLINO
del 30 giugno 2002

la_pergola2000
01-07-02, 13:12
In mezzo al guado c'è lui.
Non si sa se l'intervista è stata richiesta o che cosa.
comunque molte delle cose dette, dal professore e dal giornalista, le abbiamo già dette qualche tempo fà.
non riesce sfondare in Romagna, forse perchè lo conoscono?
I riferimenti a Macchiavelli specialmente su quel discorso sono miele per le orecchie dei repubblicani, ma attenzione a farsi coinvolgere.
Ciao a tutti.
P.s. Faccio presente che non intendo criticare minimamente "Mister" Viroli, ma volevo solo far presente agli amici che ancora una volta è riuscito a insinuarsi, dapprima, con il libro, poi con l'associazione mazziniana, poi con Manzella, poi su indicazione di Manzella con Ciampi.
L'incarico "sulla coscienza civile degli italiani" è molto generico, ma consente al signorino di giocarla anche a Princeton questa carica, aho!!!!!! Sono consigliere del presidente della Repubblica italiana!!!!!! Siccome le cariche universitarie in America viaggiano anche su queste gambe, alla faccia del bicarbonato!!!!!
Ecco perchè è in mezzo al guado, intanto ha sfruttato i repubblicani, i mazziniani, gli ex repubblicani e chi più ne ha più ne metta.
Grazie per le notizie su Scioscioli.
Grazie a nuvola rossa per aver messo questa intervista, a proposito, era sulla cronaca di Forlì, o sulla pagina nazionale?
Fraterni saluti.

nuvolarossa
01-07-02, 17:41
Originally posted by pergola2000@yahoo.it
.................
Grazie per le notizie su Scioscioli.
Grazie a nuvola rossa per aver messo questa intervista, a proposito, era sulla cronaca di Forlì, o sulla pagina nazionale?
Fraterni saluti.
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E' apparso sulle pagine di cronaca di Forli'
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G. Oberdan
28-08-02, 20:40
sto discutendo insieme a dei forumisti toscani della necessità di razionalizzare le risorse locali eliminando i comuni che, per le loro piccole dimensioni e per l'esiguo numero di abitanti, non riescono nemmeno a sopperire ai bisogni più elementari dei cittadini. Vorrei invitarvi pertanto a questa discussione sul Forum della Toscana. Il 3d è

Repubblicani in Toscana (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=17567)

nuvolarossa
28-08-02, 20:48
http://www.politicaonline.net/forum/images/sfondi/Toscana.jpg

G. Oberdan
19-09-02, 00:45
su www.pericles.it (http://www.pericles.it) c'è la storia del Partito Repubblicano.
Ci sono però alcune inesattezze. Per esempio non esiste il consiglio nazionale però nel complesso...

nuvolarossa
02-08-04, 20:42
Calendario di incontri su temi di grande rilievo/Libertà individuali, ricerca, energia, istruzione, riforme istituzionali

Un'intesa di indirizzo pragmatico

In quest'ultimo periodo si sono svolti una serie di incontri, organizzati su iniziativa di un gruppo di amici repubblicani, tra cui Simone Ascoli, Carmen Attisano, Valeria Conocchiella, Riccardo Masini, Pasquale Spinelli, Giulio Tartaglia, ed ai quali hanno partecipato, tra gli altri, Giovanni Postorino, consigliere nazionale del PRI, il dottor Paolo Gajano Saffi, il dottor Alessandro Rossi, l'ingegner Andrea Cassalia, il dottor Francesco Di Iorio ed il dottor Valerio Torano.

Questi appuntamenti, che si intensificheranno nel prossimo periodo autunnale, sono volti alla determinazione di linee politico-programmatiche su temi quali la difesa delle libertà individuali, la ricerca scientifica e le politiche energetiche, le riforme istituzionali, le politiche economiche e sociali, il mondo dell'istruzione secondaria e universitaria, il sistema della comunicazione politica. Nell'intenzione degli organizzatori si vuole recuperare lo spirito rivoluzionario del movimento mazziniano-repubblicano, esprimendolo in una nuova carica riformatrice e in un maggiore coraggio nell'azione politica, attuando così un vero rilancio del P.R.I. e fornendo una risposta adeguata alle tante esigenze del nostro Paese: insomma meno chiacchiere vuote e più programmi concreti.

È stata evidenziata, in particolar modo, l'importanza della battaglia contro la legge sulla fecondazione assistita, per il progresso medico-scientifico, la tutela della salute della donna e la possibilità di accedere alle tecniche di fecondazione eterologa e quindi dare una vera speranza a tante coppie sterili. A tal proposito, si sono delineate, per l'immediato, le azioni a supporto della raccolta firme per i referendum e si è deciso di fornire un contributo concreto attraverso la promozione e la partecipazione, insieme agli esponenti di altre forze politiche, ai comitati referendari locali che a breve si andranno a costituire.

È stata anche analizzata la situazione politica e, in linea con il risultato dell'ultimo Consiglio Nazionale, si è convenuto che l'azione di rilancio politico-programmatico del Partito sia da collocare nella più ampia prospettiva del dialogo con i rappresentanti del Nuovo PSI e del Partito radicale e dei movimenti e delle personalità di area laica, liberal-democratica e riformatrice. L'obiettivo è realizzare un'intesa che, superando la contestualità del momento elettorale e gli angusti confini degli attuali schieramenti, sia in grado di maturare una riflessione pragmatica sui bisogni del sistema Paese e sia motore propulsivo per guidare l'Italia verso un progresso economico e sociale che, anche a causa dell'attuale contesto politico, risulta sempre più incerto.

nuvolarossa
05-07-05, 20:04
Ripresa repubblicana

Un partito in salute che vuole guardare avanti e puntare alto

Il recente Consiglio nazionale ha restituito un Partito repubblicano in salute, in cui si mantiene un confronto serio e pacato sui problemi e le prospettive del Paese.

Indipendentemente dalle differenze di vedute, la nostra idea è che questa sia la strada migliore per guadagnare posizioni.

Del resto il partito ha dimostrato di saper recuperare consensi elettorali e soprattutto di avere il riconoscimento che gli spetta in una coalizione di governo. La strada è ancora lunga, ma vi sono risultati positivi che pesano, e che consentono un clima più disteso.

E' altresì chiara la consapevolezza della difficoltà del momento economico e delle incertezze della situazione politica.

Proprio per questa ragione lo sforzo di riflessione e di proposta deve crescere: i ranghi dei repubblicani, i molti che hanno difeso questa identità, non si facciano condizionare dalle divergenze.

La segreteria politica ha cercato di individuare un terreno comune, quale il sostegno alla ricerca scientifica e alla scienza in generale, come impegno principale del nostro partito, secondo le sue più nobili ascendenze nel nome della ragione. Si tratta di una battaglia per il progresso che inizia in una delle principali città del nostro paese, come Milano, con la quale i repubblicani hanno un legame storico profondo.

Il Pri ha difeso la sua esistenza al Sud, ma ora deve puntare al Nord: per ritrovare il legame con la pubblica opinione, interpretarne le esigenze modernizzatrici e riformatrici, che sono alla base della nostra stessa esistenza. Ed è importante che l'intero partito comprenda lo sforzo in cui intendiamo misurarci nei prossimi mesi, per un'azione favorevole alla crescita e allo sviluppo economico.

Come tappa cruciale abbiamo individuato il processo di Lisbona e siamo sicuri che il ministro La Malfa saprà elaborare una proposta di cui l'attuale governo non possa non tenere conto. Crediamo che la posta sia alta, perché non si tratta solo del futuro del Pri, ma della coalizione di maggioranza e dello stesso Paese.

Se riusciremo nel nostro intento, potremo prefigurare per tutti un futuro migliore. Se non vi riusciremo, avremo avuto il merito di parlare chiaro, indicando quali siano davvero i problemi e la maniera per risolverli. Anche solo questo riconoscimento è sufficiente per rilanciare il nostro ruolo con successo nella vita politica nazionale.

Roma, 5 luglio 2005

nuvolarossa
26-07-05, 19:45
Intervista a Francesco Nucara/I valori dell'Edera e le sfide di un mondo in evoluzione

Mantenere le coordinate della nostra linea politica

Il giornale di informazione on line "Diario 21" pubblica la seguente intervista al segretario del Pri Francesco Nucara.

Gli attentati terroristici di Londra hanno creato allarme in Italia e in tutta Europa: secondo lei cosa va fatto per sconfiggere il terrorismo internazionale?

Parliamo di un fenomeno molto complesso che si è manifestato in forme diverse a New York, a Madrid, a Londra, a Sharm el Sheikh. Tutti episodi dolorosissimi, ma con una riduzione di spettacolarità. Evidentemente i controlli e le misure prese hanno diminuito i rischi su alcuni obiettivi, gli aerei ad esempio, ma la potenza del terrorismo è che può diversificare e far saltare i treni, i vagoni della metropolitana, gli alberghi. Il rafforzamento dell'intelligence è fondamentale, come è fondamentale un dialogo aperto con la comunità musulmana. Non so se esiste un Islam più o meno moderato, ma vedo che il terrorismo colpisce anche gli islamici, tutti quelli che convivono pacificamente con l'occidente, per lo meno, o quelli che vogliono conviverci, vedi gli iracheni. E mi faccio una domanda: senza un conflitto aperto in Iraq, sarebbe stato più facile colpire per i terroristi l'America o l'Inghilterra? Credo che la guerra in casa loro l'abbia allontanata dalle nostre case. Se ne sono accorti e si riorganizzano. Data la vastità dei luoghi da difendere subiremo altri colpi. Ma per vincere il terrorismo, bisogna non cedere al ricatto. Oggi vogliono che andiamo via dall'Iraq, domani dall'Afghanistan, dopodomani che lasciamo sola Israele. Se le coordinate della nostra politica internazionale restano salde, se non ci spaventiamo, sconfiggeremo il terrorismo, altrimenti la vittoria sarà sua.

La storia repubblicana italiana oggi è divisa. E' possibile ipotizzare, nel futuro, una ricomposizione dell'unità repubblicana?

Noi abbiamo mantenuto un partito unito, lo stesso che ci hanno consegnato i padri storici del repubblicanesimo. E' un valore che alcuni amici non hanno ritenuto di condividere e se ne sono andati. Capisco che molte scelte che abbiamo preso siano state difficili, ma mi sono sempre stupito che potessero portare all'abbandono del Pri, la casa della tradizione risorgimentale, del patriottismo, della laicità dello Stato. La mia preoccupazione è che questa casa resti aperta e chi se ne è andato possa tornare. Accadde per Pacciardi. Può accadere per altri.

Cosa pensa dell'idea di Berlusconi di dar vita al partito unitario?

Credo che Berlusconi voglia far fare un salto di qualità alla coalizione, rafforzarne la coesione. Il difetto di questo progetto è che le tradizioni europee non sono solo moderate e socialiste. Sono anche liberali. Un appassionato azionista come Mario Vinciguerra ci ha insegnato negli anni '50 che il repubblicanesimo e la democrazia erano elementi propri della tradizione liberale, non moderati. Io credo che questi vadano rappresentati nella loro autonomia. Del resto mi pare che Berlusconi da un partito unitario sul modello dei repubblicani statunitensi, sia più propenso ad una unificazione delle forze che si richiamano o si potrebbero richiamare nel Ppe. Non noi, quindi, che a Bruxelles siamo una forza fondante dell'Eldr e intendiamo restare tali.

Lei condivide lo strumento delle primarie come metodo di scelta del futuro leader della coalizione di centrodestra?

Se si facesse un partito unico, questo strumento delle primarie avrebbe un senso. Ma se c'è una coalizione di forze è giusto che, salvo un accordo di tipo diverso, il premier sia il leader del partito più grande. Le primarie del centrosinistra sono necessitate dalla debolezza di Prodi. Se i Ds indicassero un loro candidato, Prodi difficilmente potrebbe vincerle. Per questo mi sembrano sostanzialmente una perdita di tempo.

La situazione economica italiana non è delle più rosee: quale la ricetta del partito Repubblicano italiano per rilanciarla?

Oggi è necessario pensare ad individuare degli strumenti per la crescita economica. Liberalizzazioni, riforme del mercato del lavoro per una maggiore flessibilità, possibilità di investimenti, riduzione delle imposte, privatizzazioni. Lisbona è la grande occasione di rilancio dell'economia europea, in cui inserire l'Italia. Il solo rigore non basta. Tony Blair è l'esempio da seguire, in quanto il vecchio modello franco - tedesco, basato sul protezionismo industriale e agricolo è in una crisi irreversibile. Ho visto che la migliore qualità di zucchero è di una piccola produzione sudafricana a costi infinitamente inferiori rispetto a quelli delle grandi aziende francesi finanziate lautamente dallo Stato. Senza contare il confronto con i mercati emergenti in cui il costo del lavoro è praticamente nullo. Pensare a diventare competitivi con queste realtà è la sfida che ci sta dinanzi. Se si vagheggia invece il modello svedese degli anni '50, come ha fatto l'onorevole Fassino al congresso del suo partito, non si va da nessuna parte. Si finisce travolti. Questo governo ha fatto meno di quello che si sperava, è vero. Ma almeno in esso c'è ancora un'idea di evoluzione economica da perseguire. Di là vogliono cancellare la legge Biagi. E ad alcuni appare poco, visto che preferirebbero prima abolire la proprietà privata.

nuvolarossa
12-12-05, 20:20
Martedì 13 dicembre h. 14,00
Rai Uno "Conferenza stampa"
Parteciperà il segretario nazionale Francesco Nucara

nuvolarossa
14-12-05, 20:53
Mercoledì 14 dicembre h. 23,00
Rai Uno "Porta a Porta"
Parteciperà Giorgio La Malfa

nuvolarossa
30-03-06, 19:36
Venerdì 31 marzo h. 17,15 Rai due
Tribuna politica, confronto fra liste
Parteciperà Francesco Nucara

FRANCO (POL)
31-03-06, 00:13
questo è il numero, da inserire nella propria dichiarazione dei redditi, per destinare il 5 per mille all'AMI in qualità di onlus. Non vi sono aggravi di imposta.

nuvolarossa
01-06-06, 19:46
Continuità e costanza
Come salvaguardare il nostro patrimonio politico e morale

di Francesco Nucara

Le campagne elettorali sono di fatto terminate.

Restano i ballottaggi, qualche Comune in Sicilia e il rush finale del referendum sulla legge di riforma della Costituzione, approvata dal Parlamento all'inizio di quest'anno.

Da un'analisi generale del voto non sembra ci siano state sorprese rispetto alle precedenti consultazioni amministrative e a noi pare che nemmeno per il Pri siano state registrate grandi variazioni.

Un leggero miglioramento, una maggiore presenza con liste dell'Edera - o anche composite - il ritorno al Comune di Milano, valgono a sottolineare una ripresa apprezzabile del Pri.

Sorprendono - e positivamente - i risultati conseguiti in Romagna: a Ravenna si assorbe una scissione e si confermano percentuali e seggi; a Bertinoro si arriva al 17%; a Cesenatico al 10%; a Rimini, con una lista insieme ad altri, si riesce ad entrare in Consiglio comunale.

Questa affermazione, in Romagna come altrove, è dovuta all'impegno straordinario dei dirigenti locali.

Non è il caso di Roma, dove i dirigenti locali e nazionali sono scomparsi dalla circolazione per tutto il corso della campagna elettorale e financo nell'espressione del voto, che mi auguro sia stato dato, da parte loro, all'Edera.

Potremmo parlare di un'analisi cautamente positiva.

Tuttavia, un partito si costruisce con impegno continuo e costante. Tale impegno trova sbocco naturale nella partecipazione convinta dei veri militanti, prescindendo dal ruolo che si svolge, alle campagne elettorali. Quando un dirigente di partito, chiunque esso sia, si defila proprio durante la campagna elettorale, non è più un dirigente e non c'è bisogno di prendere provvedimento alcuno.

I sermoni si fanno in Chiesa. Il partito non è una Chiesa: è un luogo di discussione, di ricerca e di decisione.

Bisogna porre fine ai percorsi a "strappi". Non servono a nulla e rischiano di farci solo del male.

Come a nulla servono le puntuali chiacchierate ipocrite che sentiamo in giro per l'Italia nelle ormai poche sedi del Pri. Ugo La Malfa sosteneva che un buon politico si distingue per gli atti che produce e per i comportamenti conseguenti.

Spesso ci siamo fermati alla prima parte, generando aspettative illusorie, incertezza sui comportamenti da seguire, svogliatezza nelle battaglie da portare a termine, incoscienza nella gestione dell'attività politica.

A questo va aggiunto che i dirigenti nazionali non si rendono conto dei notevoli sacrifici, anche politici, dei militanti che operano sul territorio.

Essi sono la linfa vitale che consente a pochi, pochissimi, di rappresentare il Pri nelle più alte Istituzioni del Paese.

E' a loro che dobbiamo la salvezza di un patrimonio politico e morale di cui forse non siamo degni.

Sulla "Voce" l'amico Tartaglia ha lanciato un appello per incontrare i repubblicani, "dovunque si trovino" e accertare se sia possibile parlare di valori condivisi.

Riceviamo molti apprezzamenti. E' un primo passo. Quello successivo deve servire ad aprire le porte a chiunque voglia entrare o rientrare nel nostro Partito affinché insieme a noi, "resistenti" degli anni '90, possa contribuire all'affermazione dei principi di cultura laica che ormai vanno scomparendo, annacquandosi in coalizioni che non hanno alcun filo conduttore comune.

I valori laici non sono quelli dell'anticlericalismo tout-court. Essi sono riferibili a ragionamenti senza pregiudizi, senza asserzioni ideologiche, senza fanatismi. Siamo contro gli ‘ismi' per tradizione, per storia e per cultura.

Un buon repubblicano riflette e cerca di convincere gli altri delle proprie ragioni, sempre disposto ad accettare gli altrui convincimenti nella dialettica delle opinioni. Dobbiamo ritrovare lo spirito dei nostri predecessori, essere più generosi con il partito, rinunciare anche a pur legittime ambizioni personali per il bene del Pri e del Paese.

Non ci dobbiamo socialdemocratizzare; è l'ora di uscire allo scoperto con le nostre labili forze, rivedendo, se necessario, il percorso di questi anni.

La classe dirigente del Pri è consunta.

Se il Pri vuole ancora dire qualcosa alle future generazioni, deve attuare una vera e propria rivoluzione morale, politica, statutaria, organizzativa, dirigenziale.

Queste possono essere le condizioni per ripartire e per poter affermare la nostra autonomia vera e non finta o, ancora peggio, occasionale.

Roma, 1 giugno 2006

tratto dal sito del Partito Repubblicano
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nuvolarossa
23-06-06, 19:19
Riflettiamo sul nostro Partito non dimenticando il passato

di Franco Torchia*

Il dibattito che si è aperto nel Partito e scaturito dall'articolo di fondo firmato dal Segretario nazionale sulla "Voce Repubblicana" del 2 giugno, ha avviato una riflessione profonda che potrà trovare le sue conclusioni nel prossimo Consiglio Nazionale o anche in una eventuale Conferenza programmatica ed organizzativa. L'analisi del segretario, partita da un "leggero miglioramento" del risultato elettorale del Pri, ha posto l'accento in modo impietoso sulle carenze organizzative e sull'evanescente impegno elettorale di alcuni dirigenti del partito.

Nella successiva Direzione nazionale e nei giorni seguenti l'attenzione si è tutta incentrata sulla necessità di una riforma organizzativa ed in taluni amici anche di una rivisitazione della linea politica.

Certamente l'organizzazione è il fianco debole del nostro partito. Il Pri, già nel 1994, in seguito all'introduzione del sistema uninominale, ha rischiato di scomparire. Ma chi conosce la storia del partito, sa che altri momenti drammatici sono stati vissuti negli anni Cinquanta e Sessanta.

Le dimissioni del Presidente La Malfa, galeotto il referendum costituzionale, hanno portato la crisi direttamente al vertice del Partito. Ciò ci impone sicuramente una ulteriore riflessione.

La storia del nostro Partito è stata continuamente pervasa dal timore di non riuscire a sopravvivere alle vicende politiche ed elettorali del nostro Paese. Purtroppo temo, anche, che con esso siamo costretti a convivere ancora per molti anni, almeno fino a quando rimarranno inalterate le aggregazioni politiche attualmente presenti nel panorama italiano.

Quello che però non è chiaro è perché alcuni amici abbiano voluto specularmente avviato il dibattito sulla linea politica, riproponendo il tema della "terza via" come la panacea per portare il partito al centro dell'attenzione politica e dell'opinione pubblica.

Ma è evidente a tutti che in Italia il bipolarismo non è affatto in crisi. Infatti, un risultato elettorale che, praticamente, spacca a metà l'elettorato italiano, ed il muro contro muro sul referendum costituzionale, non lasciano spazio ad altre vie che non siano le aggregazioni attorno ai due poli.

A dare forza a questa tesi sono le elezioni amministrative nelle grosse città dove, pur con la presenza di numerose liste, non c'è spazio, se non in casi sporadici, a terze candidature a sindaco. E' dunque per questo che i partiti devono ritrovarsi insieme in un'aggregazione che li accomuna su grandi linee strategiche.

Il Pri è da sempre un partito di frontiera al quale, purtroppo, il bipolarismo ha imposto una scelta politica che, negli ultimi anni, è stata sicuramente premiante rispetto alla seconda metà degli anni '90. Su questo ormai mi pare tutti si convenga e, al di là delle singole scelte governative, la comunanza alla Casa delle Libertà sui grandi valori e sui principi generali ha giustificato totalmente la svolta di Bari.

Non possiamo dimenticare l'entusiasmo del Partito all'indomani della nomina di Giorgio La Malfa a Ministro nel governo Berlusconi, un entusiasmo che aveva dato al partito una carica che non si vedeva da tempo. Dove è andata a finire la gioia di quei giorni ?

Per un anno abbiamo rivissuto i fasti del passato.

Con lo stesso entusiasmo, ad aprile, siamo scesi in campagna elettorale nell'alleanza di centrodestra. Tutto questo è scemato in poche settimane ? Credo proprio di no.

Ed allora perché quella dolorosa riflessione del segretario?

Escluderei la voglia di una rivisitazione della linea politica in assenza di differenze sostanziali con gli altri partiti della coalizione.

Mi soffermerei piuttosto sulle vicende degli ultimi mesi che hanno visto il partito impegnato, in modo quasi marginale, in due competizioni elettorali.

Le sofferte candidature nelle liste di un altro partito e la mancata presentazione delle liste al Senato in molte regioni italiane, tra le quali il Lazio e la Lombardia, hanno creato all'interno del Pri sbandamento e delusione, soprattutto perché la lunga battaglia per riportare il simbolo dell'Edera sulle schede elettorali si era inceppata sulla quasi inesistente organizzazione locale, riuscendo solo parzialmente.

L'occasione elettorale del Senato avrebbe aumentato la visibilità che il partito aveva recuperato negli ultimi anni e non avrebbe indotto i mass media a catalogare, nei risultati elettorali, il Pri alla stregua di "altri".

Aver sentito dai nostri candidati al comune di Roma che il simbolo dell'Edera ha ancora una sua ragion d'essere in questa babele di movimenti estemporanei, mi ha inorgoglito.

Ed il risultato elettorale amministrativo in alcuni comuni dove il Pri era presente con il proprio simbolo, conferma che la scommessa principale che il nostro partito deve affrontare è quello dell'organizzazione e della vicinanza ai cittadini.

E credo anche che affrontare la questione in termini di cambio generazionale possa essere riduttivo.

Non condivido, infatti, le analisi di chi ritiene che la rivoluzione del partito si possa fare accantonando risorse essenziali che fanno parte della nostra storia ma anche del nostro futuro.

C'è bisogno di tutti, dei giovani e dei meno giovani che rappresentano il collante della nostra storia. E questa storia, questa tradizione, questo simbolo, ce li dobbiamo tenere stretti.

Essi sono gli strumenti che abbiamo utilizzato per fare politica, per mettere insieme un gruppo di persone attorno ad un ideale, per parlare alla gente dei loro problemi. E sono gli strumenti attorno ai quali si può costruire una nuova classe dirigente. Senza di essi non si va da nessuna parte.

*responsabile nazionale tesseramento Pri

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nuvolarossa
27-06-06, 20:28
Uil, colloquio Nucara - Musi

Nel corso dei lavori congressuali della Uil il segretario del Pri, on. Francesco Nucara, e l'ex segretario aggiunto Uil, on. Adriano Musi, hanno avuto un lungo e cordiale colloquio.

In particolare si è parlato di come unire il variegato mondo laico sui valori repubblicani, valori che vanno considerati oltre gli schieramenti attuali. Si è convenuto, dopo il risultato referendario, di affrontare, insieme ad altri che si ispirano ai valori repubblicani, come primo tema quello della riforma costituzionale.

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nuvolarossa
10-07-06, 19:44
La relazione del segretario nazionale - Necessaria l'azione autonoma dell'Edera
Nucara: senza vincoli di governo più liberi nelle nostre posizioni

Relazione del segretario nazionale del Pri al Consiglio nazionale del 7 - 8 luglio 2006.

Il Consiglio Nazionale che inizia oggi avrebbe dovuto avere il compito di svolgere un esame delle ultime vicende politico-elettorali e di aprire un dibattito politico-organizzativo sulle tesi per il Congresso che dovremo tenere all'inizio del 2007.

Così non è e non può essere.

Il 13 giugno, infatti, ho ricevuto una lettera di dimissioni di Giorgio La Malfa da presidente del PRI.

Ho invano tentato di convincere Giorgio a ritirare quelle dimissioni che a me apparivano - e che mi appaiono tutt'ora - una forzatura.

In particolare, le motivazioni relative alle dimissioni addotte da Giorgio La Malfa ed esplicitatemi in quella lettera, appaiono, nel complesso, poco convincenti.

E' ovvio che la sua posizione debba ritenersi del tutto legittima e, per alcuni versi, anche comprensibile.

Nel corso della riunione della Direzione nazionale del 5 giugno, tuttavia, non sembrava che la questione in ordine alla nostra posizione referendaria costituisse un punto dirimente per Giorgio La Malfa.

Ho riascoltato il suo intervento e non posso che darne una interpretazione perfettamente in linea con il documento licenziato dalla successiva Direzione del 12 giugno.

Il problema nodale è rappresentato dall'adeguamento della nostra Carta Costituzionale a più rispondenti esigenze dettate dalla attualità storica.

La Costituzione, dunque, va cambiata? Può essere cambiata?

Nel percorso di approvazione della riforma, i nostri due parlamentari - pur con qualche distinguo che ai repubblicani non manca mai - erano favorevoli all'ottenuto miglioramento del Titolo V della Costituzione rispetto alla riforma del 2001.

La contrarietà dei repubblicani, come risulta dagli atti parlamentari, si concentrava sull'attribuzione dei poteri al Capo del Governo, al Capo dello Stato, sul Senato federale e sul conseguente problema della formazione delle leggi.

La Direzione Nazionale conclusasi stamattina, su mia proposta, ha insistito a lungo perché le dimissioni di La Malfa fossero respinte: malgrado ciò Giorgio ha confermato la propria decisione della quale non rimane che prendere atto.

Circa i problemi costituzionali, pretestuosamente all'origine di questo pseudo-scontro politico, abbiamo ricevuto molti articoli di amici che si pronunciavano in favore del SI al referendum: da Pacor a Ravaglia, da Gianna Parri a Italico Santoro, per citare solo alcuni. L'unico NO è pervenuto da Sergio Masini che così premetteva: "visto che la Direzione Nazionale mi ha lasciato libero di esprimere il mio giudizio voto NO".

Che non fossero infondate le nostre preoccupazioni relative al fatto che la vittoria del NO avrebbe bloccato ogni processo riformatore, consentendo il permanere in vita della sciagurata riforma del Titolo V, come approvata nel 2001, è confermato dagli ultimi sviluppi del dibattito politico.

E' ben vero che il Presidente della Repubblica ha sollecitato la ripresa di un dialogo tra maggioranza e opposizione al fine di adeguare la Costituzione del '48 ai mutamenti intervenuti. Ed è altrettanto vero che le voci più responsabili dei costituzionalisti dello schieramento di centro-sinistra, da Barbera a Ceccanti, si sono levate nello stesso senso.

Ma, a fronte di questo, non possiamo non registrare le dichiarazioni del Presidente della Camera che ha richiesto una pausa di riflessione sul tema delle Riforme Costituzionali. E sappiamo bene come, invocare una pausa di riflessione nel nostro sistema politico, significhi spesso rinviare il problema a tempi indefiniti.

Fanno da controcanto a Bertinotti le posizioni di tutte le forze della cosiddetta sinistra radicale, rappresentate non solo da Rifondazione, ma anche dal Partito dei Comunisti Italiani e dai Verdi: voci che si uniscono alle lamentose richieste del senatore Scalfaro perché nulla sia cambiato.

Forza propulsiva

In questo quadro non possiamo che ribadire con chiarezza che il nostro ruolo deve essere quello di forza propulsiva per promuovere un cambiamento equilibrato e bipartisan. Pertanto, dobbiamo esercitare un grande impegno per tentare di riavviare il dialogo tra le parti più sensibili alla riforma tanto nell'ambito delle forze di maggioranza quanto tra quelle dello schieramento di opposizione di cui facciamo parte.

Chiudersi in una cieca difesa dell'esistente non può essere il ruolo dei repubblicani.

Alla luce di questo è opportuno, prima di tutto, stabilire se siamo legati alla Costituzione vigente oppure alle idee repubblicane espresse dai padri costituenti e, soprattutto, dal leader di allora, Giovanni Conti, sui variegati -e sovente contraddittori- aspetti della Costituzione.

Basterebbe scorrere, a titolo di esempio, per rendersi conto di quanto estreme potessero essere le affermazioni repubblicane, quanto lo stesso Giovanni Conti, presidente della Sottocommissione per l'elaborazione del progetto costituzionale, proponeva all'epoca:

-Camera dei Deputati di 400 componenti.

-Senato di 300 componenti. "Il criterio di elezione dei senatori dovrebbe essere quello regionale con l'elezione di una parte dei senatori da parte di altri enti quali le organizzazioni sindacali nazionali, le università, gli ordini professionali, ecc."

-La previsione di una Delegazione permanente delle due Camere per l'approvazione di leggi che rivestivano particolare urgenza.

Per non parlare dell'altro costituente repubblicano, Oliviero Zuccarini, che a proposito di autonomie locali andava ben oltre.

Come la Costituzione di oggi (che non è quella del '48 ma quella delle novelle dell'inizio degli anni novanta e del 2001) è il frutto di compromessi politico-partitici, così lo era innegabilmente quella del '48.

E quindi, ora come allora, il PRI ha potuto dare un piccolo contributo, anche in relazione alle riforme oggetto del referendum.

Quindi, come si può evincere facilmente da quanto detto, la materia era ed è e potrà essere argomento di discussione ma non materia dirompente al punto da mettere in crisi i vertici del Partito.

Ben altri sono i problemi che il Partito deve affrontare e la convocazione odierna del Consiglio Nazionale rappresenta la migliore occasione per un chiarimento che, mi auguro, sia definitivo.

Vediamo allora di costruire un dibattito sia sulle vicende che ci siamo lasciati alle spalle sia su quelle che possono essere le prospettive idonee a tenere in vita il PRI, ad onta di coloro che, tanto in seno al Partito quanto al di fuori del PRI, auspicherebbero magari la nostra scomparsa.

Il nucleo dei problemi

Abbiamo gestito per cinque anni il nucleo essenziale dei problemi italiani, prima con la prestigiosa presidenza della Commissione Finanze della Camera dei Deputati e poi con la gestione del Dicastero delle Politiche Comunitarie, mentre io stesso ho amministrato faticosamente le deleghe assegnatemi dal Ministro dell'Ambiente.

Avremmo potuto realizzare, con la gestione di quel Ministero, molto di più. Tra il Presidente e il Partito si è rapidamente creata una discrasia netta e, laddove il Partito perde contatti con il suo vertice, diventa un corpo acefalo, la testa separata dal tronco che, per un breve intervallo, continua a muoversi al pari di ciò che accade ai rettili. La sua fine è, in ogni caso, già decretata.

Il Partito, invece, in questi anni è sopravvissuto: forse perché qualcuno questi contatti li ha mantenuti saldamente.

Cosa fare adesso affinché questo travaso di idee, di suggerimenti, di impegni, di comunanza di lotta politica, di senso di appartenenza alla storia stessa del Paese sia ulteriormente consolidato e proficuamente ampliato?

L'amico Tartaglia ha sostenuto, ed io ho condiviso il suo suggerimento, che sarebbe utile iniziare questo percorso incontrando i repubblicani che sono andati via, quelli che si sono in parte allontanati, per tentare di incontrarsi sui valori del repubblicanesimo prima ancora che confrontarsi sugli schieramenti. Dal canto mio, ritengo sia preferibile avviare questo laborioso tentativo all'interno del PRI.

E ritengo si debba cominciare da quello che ci unisce maggiormente ovvero dall'argomento politico su cui è più facile convenire.

Partiamo naturalmente dalla politica estera. Noi abbiamo sempre dichiarato unitariamente che la collocazione dell'Italia sul piano internazionale dovesse rappresentare la continuazione storica del solido legame con l'Occidente.

Era una delle ragioni, vi rammento, sicuramente la più sostenibile, tra quelle che ci indussero all'alleanza con la CdL.

Oggi il governo in carica, silenziosamente ma tenacemente, mira a ribaltare la politica estera italiana: in quest'ottica annulla l'impegno per l'invio di sei aerei da combattimento in Afghanistan; "scappa" sconsideratamente dall'Iraq mettendo a repentaglio l'incolumità degli operatori civili, pubblici e privati, che lavorano in quei luoghi di pericolosità estrema per creare condizioni civili accettabili; in ultimo, l'arresto del dirigente del SISMI, al di là della sua specificità, di fatto s'incastona in una strategia di attacco alla CIA.

Rispetto al ruolo autonomo dell'Italia esercitato in questi anni per meglio saldare l'amicizia con gli Stati Uniti, si appalesa, adesso, una subalternità all'asse franco-tedesco.

A questo si aggiunge l' "equivicinanza" tra lo Stato d'Israele e Hamas.

Ed in proposito, D'Alema dovrebbe spiegare come si fa ad essere equivicini da uno Stato democratico e da un'organizzazione terroristica.

Naturalmente sto delineando schematicamente solo qualcuno dei problemi sui quali il PRI è chiamato a discutere diffusamente ed ai quali è possibile trovare soluzioni unitarie. I governi e le alleanze tattiche o strategiche possono essere superabili.

Altro argomento a noi caro concerne le liberalizzazioni. Non ha torto Oscar Giannino quando scrive che queste si configurano, attualmente, quali decisioni propagandistiche mediaticamente tese a nascondere i problemi di bilancio in cui versa il nostro Paese.

L'esempio più eclatante è quanto accaduto nella vertenza con i tassisti. Il governo è stato costretto a chiedere una tregua. Se li avesse "concertati" prima, avremmo avuto qualche problema di meno.

E' iniziato il turno degli avvocati, poi verrà quello dei farmacisti e quindi quello delle società di assicurazioni.

Assistiamo ad un progetto abortito ancor prima di nascere, poiché (fatta salva la peculiarità dei problemi accennati) esso difetta di un filo conduttore generale.

Se l'azione politica si fosse basata su un più meditato ordito sul quale inserire la trama di queste specificità sarebbe stato possibile partecipare costruttivamente al dibattito anche dall'opposizione. Con la filosofia della foglia del carciofo è difficile che il governo renda comprensibili i propri obiettivi.

Altra essenziale materia di discussione riguarda il DPEF: licenziato dal Consiglio dei Ministri, lo valuteremo in Direzione Nazionale confrontando le nostre analisi con strumenti operativi di conoscenza ed in particolare con l'aiuto degli amici Gallo e Trezza.

Aspettiamo la finanziaria

Nonostante tutto, però vorrei osservare come sia ancora prematuro esprimere un giudizio sul governo in carica: negatività e positività, comunque presenti, appartengono ai predecessori.

Le prime valutazioni attendibili potremo esprimerle di certo nell'analisi della legge finanziaria.

Non conservo appunti di nulla, non tengo diari e spesso non comunico ad alcuno, se non direttamente interessato, le mie angosce di repubblicano che guida un antico, minuscolo partito.

Tuttavia, ho sempre detto - e voglio qui ribadirlo - che il mio obiettivo prioritario (ed evidentemente propedeutico a qualunque altro) una volta assunta la guida del Partito, sarebbe stato di garantire la sopravvivenza del PRI: per questo ho lavorato, come ho potuto e come ho saputo, senza fare concessioni neppure a me stesso, in questi cinque anni.

Una puntuale elencazione, da parte mia, dei dilemmi affrontati e delle loro implicazioni in questo intervallo di tempo abuserebbe della vostra pazienza.

Voglio solo rammentare come il primo impegno che, insieme all'amico Camerucci, ritengo di aver portato a termine, è consistito nell'evitare che per il PRI fosse dichiarata la bancarotta.

Tra qualche giorno la Direzione nazionale dovrà approvare il bilancio del PRI e vedrete che, rispetto al 2000, tantissime cose sono cambiate.

Ma non basta. Avevamo preso l'impegno di far tornare la "Voce" tra gli iscritti. Certo, non è "Il Riformista" e tanto meno "Il Corriere della Sera", ma è in giro da tre anni e vi posso assicurare che non è sull'orlo del fallimento.

Altro aspetto rilevante era la visibilità.

Nell'accezione corrente, questo termine orribile viene usato per mascherare la ricerca del potere, dei ruoli politici. Giusto!

Avevamo, nel 2001, due parlamentari.

Il sottoscritto, malgrado l'insistenza di Giorgio La Malfa e le offerte, anche allora generose, di Berlusconi, aveva deciso di non candidarsi.

Dunque, con una forza contrattuale di due soli parlamentari e con una pazienza sconosciuta a me stesso, ottenemmo la prestigiosa presidenza della Commissione Finanze. E, sempre su questa linea, cominciò la nostra partecipazione ai vertici della CdL.

Fino a quando, il 23 aprile del 2005, giorno in cui si festeggia San Giorgio, La Malfa fu nominato Ministro della Repubblica.

Ero felice di aver compiuto quasi un capolavoro riportando il mio partito, attraverso il presidente La Malfa, nella pienezza dei poteri di governo della Repubblica.

All'inizio, per la verità, mi era sembrato felice anche La Malfa. Ma l'animo umano è imperscrutabile.

Tutto questo, non per dirvi che voglio onori e gloria. No, cari amici, né gli uni né l'altra. Nessuno mi deve dire grazie.

Quello che ho fatto, l'ho fatto per una cosa che amo moltissimo: il mio partito, il vostro partito, IL PAR-TI-TO RE-PUB-BLI-CA-NO I-TA-LIA-NO.

Non voglio essere ringraziato, è vero, ma non voglio nemmeno essere offeso. La mia dignità politica e personale è pari a quella di chiunque altro repubblicano che abbia a cuore il futuro del PRI così come ce l'ho io.

E, come ho detto in Direzione, la gratitudine è un valore ed è patrimonio delle persone di animo nobile.

Noi repubblicani dovremmo essere grati a chi ci ha aiutato a sopravvivere. Lo dobbiamo essere come politici e come persone. In questo percorso non sempre sono coincisi i ruoli personali con l'interesse del partito anzi, talvolta, essi si sono divaricati.

Qualcuno sostiene, con malizia degna di miglior causa, che è stato il segretario ad accendere la miccia con il fondo pubblicato sulla "Voce" del 2 giugno.

Ebbene, dedichiamo una rapida ma severa analisi a quanto sostenevo: "un leggero miglioramento, una maggiore presenza con le liste dell'Edera * o anche composite * il ritorno al Comune di Milano, valgono a sottolineare una ripresa apprezzabile del PRI", si legge nell'articolo e di seguito: "questa affermazione, in Romagna come altrove, è dovuta all'impegno straordinario dei dirigenti locali. Non è il caso di Roma dove dirigenti locali e nazionali sono scomparsi dalla circolazione per tutto il corso della campagna elettorale e financo nell'espressione del voto che mi auguro sia stato dato, da parte loro all'Edera".

Riconfermo tutto e, se e quando sarà il caso, aggiungerò dell'altro.

Chiudevo quell'intervento con queste parole: "queste possono essere le condizioni per ripartire e per poter affermare la nostra autonomia vera e non finta o, ancora peggio, occasionale".

Autonomia.

Da chi e da che cosa?

Cominciamo dal nostro interno. A nessuna organizzazione locale, in cinque anni di segreteria, è mai stata negata la possibilità di decidere con chi allearsi tranne che per le elezioni regionali del 2005 in Emilia Romagna. Gli amici romagnoli ben conoscono questa vicenda.

Il problema non è mai sorto quando è stata chiesta autonomia nel partito.

Il problema è sorto inevitabilmente quando qualcuno rivendicava l'autonomia dal Partito.

Questo non era possibile, non è possibile e non è comunque nei miei programmi. Peraltro, partendo inevitabilmente dalla base, solo un congresso potrebbe decidere di dare completa autonomia alle organizzazioni locali. Se così fosse -e vogliamo ragionare senza pregiudizi- andrebbe ripensato tutto il sistema politico-organizzativo del piccolo Partito Repubblicano.

Forse ci svilupperemmo di più a livello locale ma rischieremmo di scomparire dalla scena politica nazionale.

Questo è il mio pensiero oggi. Se qualcuno ha delle proposte da fare sono pronto ad ascoltarlo, a valutare i suggerimenti e sottoporli agli organismi a ciò titolati.

Ed invece all'esterno dovremo essere autonomi da chi? Non ci interessa. Ci interessa invece l'autonomia "da cosa".

Siamo noi in grado, nel corso di questa legislatura, di essere così autonomi da portare avanti nostri programmi, nostre idee pur in assenza di solide alleanze politiche?

Trovare una giusta via

A mio avviso occorre trovare una via di mezzo. Avere prima maturato idee e pareri tanto da farne un manifesto, un progetto, un programma repubblicano e poi cercare alleanze compatibili con la realizzazione di questi programmi.

Non siamo un club di soci da circolo degli scacchi, né è sufficiente (a dare respiro al Partito) una cena con personalità che, per quanto autorevoli, nulla hanno a che fare con il Partito Repubblicano Italiano.

Non con la sua storia, né con la sua tradizione né, tanto meno, con il suo futuro.

Un partito che vuole essere tale, piccolo o grande che sia, ha bisogno di basi solide se vuole rimanere nella storia come noi siamo rimasti.

Altrimenti parliamo di meteore e ne abbiamo viste tante: da Leoluca Orlando a Mario Segni.

Noi non siamo un "movimento" che si lascia condizionare di volta in volta dalle occasioni contingenti che, in momenti particolari della storia del Paese, emergono in maniera frammentata dalla cosiddetta società civile. Siamo piuttosto attenti alla Storia, ai bisogni veri che si coagulano su valori condivisi: non inseguiamo le mode, non anticipiamo i sospiri del consenso, ma assecondiamo, solo dopo averli interpretati, quei bisogni e quei diritti davvero meritevoli di tutela.

E' su base programmatica che potremo riunire i repubblicani sparsi nel variegato mondo della politica attuale.

Non è utile -anzi il tentativo si tradurrebbe in uno spreco di energie- formulare ipotesi di riavvicinamento supponendo che qualcuno abbandoni lo schieramento in cui si trova oggi, più o meno soddisfatto, per venire con noi.

Sarebbe velleitario e politicamente improduttivo.

E' nel vero Tartaglia, quando esorta a riflettere sui valori ed io sottolineo la necessità di ragionare anche sui programmi. Ragioniamo su come noi vorremmo che l'Italia fosse, su quegli aspetti più congeniali al sentire repubblicano.

Nella Conferenza programmatica del febbraio scorso abbiamo riunito intorno ad un unico tavolo di discussione esponenti dei DS ed ambientalisti; scienziati ed uomini di destra fino al Presidente del Consiglio.

Sarà pur possibile far discutere gli uomini e le donne di matrice repubblicana?

Per fare questo dobbiamo definitivamente abbandonare atteggiamenti personalistici più o meno giustificati e pensare esclusivamente al bene del partito.

Abbiamo bisogno di una rimodulazione organizzativa con maggiore coinvolgimento delle organizzazioni locali su un Progetto-Paese.

Deve essere un progetto elaborato e condiviso da tutto il PRI o, in ogni caso, da una larghissima maggioranza che esuli dagli schieramenti congressuali.

Come un buon seme ha bisogno di un terreno (e se è fertile tanto meglio) per dispiegare la sua bontà produttiva, così una buona idea ha bisogno di un sistema organizzativo per essere divulgata, metabolizzata e resa politicamente produttiva.

Diversamente si cade nel velleitarismo e nei discorsi da Bar dello Sport.

Non ci sarebbe mai stata la svolta di Bari se qualcuno non avesse pensato a organizzare quel congresso che, pur con qualche forzatura politica, si è svolto nel massimo rispetto delle norme statutarie.

E' indispensabile, dunque, coordinare tre cose: Idee * Programma * Organizzazione.

Se l'indice di correlazione tra queste tre "emergenze" fosse 1 avremmo il massimo risultato.

A me pare che in questi anni e soprattutto in questi ultimi mesi tale correlazione non ci sia stata o sia stata precaria.

Il partito non si risolleverà mai perché qualcuno ha un'idea eccellente.

Il partito potrà crescere se quest'idea viene metabolizzata e fatta propria dai repubblicani.

Come già ho detto in altre occasioni: procedere a strappi è dannoso per oggi e per domani. L'oggi possiamo dire che ci appartiene, il domani no.

Non dobbiamo pensare a noi se pensiamo al domani.

Qualcuno parla di costruire un nuovo soggetto politico archiviando la storia del Partito Repubblicano Italiano. E' possibile. Tutto è possibile. Anche che il partito rompa le fila da subito.

Ci vuole coraggio a sostenere questa proposta. Coraggio apprezzabile e degno di lode. Io questo coraggio non ce l'ho ed è bene che chi ha esperienza di nuovi soggetti politici (e in questo partito ce ne sono tanti) faccia una proposta il più possibilmente concreta.

I sogni sono forieri di brutti risvegli. Per quanto mi riguarda, non ho la capacità di proposizione di nuovi soggetti politici. Peraltro, mi sono dedicato ad un oscuro lavoro, diciamo da mediano, per le cose in cui ho creduto.

E' l'ora della tuta

Ora è il tempo che qualcuno o molti dismettano gli abiti delle feste quirinalizie e indossino la tuta da lavoro.

Il nostro riferimento deve essere la casa comune europea dell'ELDR. Finora abbiamo sottovalutato questa opportunità. Oggi dobbiamo ripartire da lì e trovare con i liberaldemocratici europei un'intesa che ci porti "a pensare europeo" ed a calare nelle nostre teste e in quelle degli italiani un pensare europeo.

A settembre una delegazione del PRI che comprenda tutte le componenti si recherà a Bruxelles per incontrare il presidente dell'ELDR e cominciare a stringere quei legami che sono essenziali per il futuro.

Quando sarà possibile organizzeremo un incontro tra i massimi dirigenti repubblicani con apporto di personalità esterne.

Si potrà ovviamente parlare liberamente ma ci saranno anche temi specifici da affrontare.

Al Congresso dobbiamo arrivare con tesi unitarie sui problemi principali. Ci possiamo dividere nella ricerca degli alleati per sostenere certe posizioni ma è necessario trovare la strada perché le soluzioni che vorremo dare ai problemi siano unitarie.

Sarebbe utile, tanto per semplificare, che il Congresso approvasse con larghissima maggioranza e meglio ancora all'unanimità, delle tesi che riguardino le liberalizzazioni, la politica estera, l'energia, le autonomie locali ed infine trovasse la chiave politica senza pregiudizi e senza schemi preconfezionati.

Non avere più il vincolo di governo ci potrebbe aiutare a essere più liberi nelle nostre posizioni.

Tuttavia, non possiamo essere condizionati nell'affannosa ricerca di entrare comunque in un governo.

Questo Partito ha ancora molto da dare al Paese. Si tratta di stabilire se noi siamo, come ha detto La Malfa qualche anno fa, "la riserva democratica del Paese" e se siamo una riserva indiana.

Per anni ci siamo sentiti dire che il tunnel era finito e si intravedeva la luce. Io credo che se politicamente sapremo agire con coesione, con lungimiranza, costruendo il futuro sulle basi del passato con un ritorno alla politica e con un'efficace riorganizzazione del PRI (che dovrà passare anche attraverso riforme statutarie) noi potremo rilanciare le nostre idee secolari aggiornandole ai nostri tempi ma nel rispetto di quei principi fondanti.

Io non ho fame: di niente.

Il mio futuro sta nel mio passato. E chi non ha passato -o peggio ancora chi ha un passato politicamente poco onorevole- non ha futuro.

Noi siamo repubblicani con il fardello e gli onori della nostra storia e nessuna alleanza per quanto ibrida può farci fare un passo indietro.

Siamo appartenuti al PRI per una vita, apparteniamo al PRI e continueremo a non tradire la nostra storia.

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tratto dal sito del Partito Repubblicano
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nuvolarossa
14-07-06, 13:18
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La crisi, i furbi e le esche

Dire che a seguito degli ultimi avvenimenti politici nazionali, sia sulle prime proposte del governo Prodi, che sulle reazioni che vengono dall’opposizione, ci sia uno sbandamento della società civile, è cosa ovvia. Constatare che da questa situazione di sbandamento stia nascendo un rallentamento di attività e riflessioni profonde nel ceto dei professionisti piccoli e medi imprenditori, è cosa altrettanto facile da constatare. Pensare che in questo quadro sia difficile sfruttare la timida ripresa economica internazionale, che pure esiste, ed agganciare ad essa le speranze di risoluzione di alcune problematiche italiane, è pure realistico. Come dare, quindi, un riferimento politico, un circuito culturale e propositivo, a quella stragrande parte di italiani che attendono dalla politica e dai partiti un segnale?

La crisi attraversa tutti i partiti, sia del centro destra che del centro sinistra. Ciascuno ha una “soluzione”: chiamare “gli altri” per rafforzare se stessi, autoproclamandosi “in pectore” i migliori”. Si è così innescata una gara di furbizia e meschinità sotto un cielo di lucide menzogne, con il solo risultato di porsi l’interrogativo di “chi abboccherà?”. Chi controlla un partito o un movimento attende la mossa dell’altro, ben sapendo che non ci sarà più quel qualcosa di nuovo come quando nel 1994 Berlusconi, aderì alla politica, sconfiggendo la sinistra - già autoproclamatasi vincitrice - oppure quando nel 1996 lo stesso Berlusconi perse la partita dei collegi, ma non la maggioranza dei voti degli italiani. E che, nel 2001 stravinse in una euforia presto soffocata dalla “certezza” dei suoi dirigenti di avere acquisito gli elettori per l’eternità.

La crisi progressiva e paralizzante del centro sinistra è tale da non poter essere più nascosta dalla coesione contro Silvio Berlusconi. Essa è grave non solo perché colpisce una parte importante di una democrazia occidentale, ma soprattutto perché pesa sull’azione quotidiana di governo, e tenta di introdurre elementi culturali inaccettabili in una democrazia liberale e dalla maggior parte dei suoi cittadini. La Casa delle Libertà perso il ruolo di governo del Paese, ha problemi molto grandi, perché strutturali. Infatti, la sua classe dirigente “elitaria”, autodefinitasi insostituibile, blocca la circolazione delle idee, e non elaborando contributi politici originali, vive di rendita e di attese in salti e abbracci anomali. Non c’è stasi politica, ma solo l’attesa di una fuoriuscita di Berlusconi dal gioco per ambire ad una sostituzione impossibile.

Ci pensa Fini (nostalgicamente); ci pensa Casini, ci pensano tutti: i poteri forti, la Confindustria, i personaggi che vogliono governare l’Italia senza fatica, ma solo con i titoli dei giornali e le loro risorse finanziare al sicuro. Insomma, i Prodi ed i De Benedetti del centro destra. Il Pri è al bivio: al suo minimo storico - pur con una rappresentanza in Parlamento, omaggio di Silvio Berlusconi a quei fondamentali dell’azione politica dell’Edera degli Anni 60-70-80, che hanno formato parte della sua cultura politica - deve trovare una strada per dare un apporto alla soluzione della crisi dei partiti e dei movimenti. Deve cioè riuscire a mettere in moto un meccanismo politico che coaguli le ambizioni di innovazione vera e di cambiamento radicale della società italiana, tale che l’Italia veda, comprenda e condivida.

Nella sua responsabilità storica il Pri, al passo con i tempi, deve saper proporre scenari nuovi, anche se dolorosi, ma storicamente doverosi.
Dunque, accantonata l’idea del Partito unico delle Libertà? Sarebbe, questa, una opzione intelligente e razionale se però affrontata con coraggio, fantasia e decisione. Caratteristiche che solo una personalità come Berlusconi, unico vero innovatore tra i politici italiani dal 94 ad oggi, possiede e che potrebbe utilizzare per “inventare” la formula nuova della nuova democrazia. Fini lancia, oggi, solitario, la disperata uscita del “Partito della destra”; Casini torna a sognare il Partito trasversale dei moderati, nel medio periodo, con spezzoni del centro sinistra; il Pri può pensare ad una convergenza della diaspora repubblicana, così pure i liberali, inseguendo un obiettivo vecchio di 30 anni già travolto dagli egoismi di parte.

E Forza Italia? Con Schifani, Bondi, Cicchitto e l’ambizione di Formigoni, la irresponsabilità e velleità dei vari colonnelli, (soprattutto degli sconfitti del centro sud e isole, dove mai avrebbero dovuto essere travolti) è segnata da una crisi di fiducia in sé, anche perché Berlusconi, che ha vinto politicamente contro i suoi che prefiguravano una sconfitta, non ha ancora deciso il da farsi. E’, dunque, su Berlusconi che il Pri deve appuntare un interesse strategico, nell’ipotesi di una proposta nuova e concreta, che solo dopo un forte dibattito sarà possibile delineare e realizzare in una forza degli Innovatori Italiani.

Ai tanti italiani che oggi occupano lo spazio politico di attesa si deve inviare un messaggio forte e nuovo nel quale credere: non il partito “dei moderati”, ma degli “innovatori”, di coloro che riescono a liberare in modo democratico la società italiana da una serie di lacci che rischiano di soffocarla, di coloro che sono capaci di resistere alle manovre politiche dei poteri forti e dei loro portatori politici di destra, come anche di sinistra, di coloro che sono in grado di garantire le regole base dello sviluppo del capitalismo moderno e della finanza trasparente in dimensioni europee e globali, nonché le iniziative dei singoli operatori economici, che, rappresentati per l’ottanta per cento da piccoli e medi, costituiscono la vera ricchezza della società italiana nelle sue molteplici esplicazioni. Un grande appello per aggredire il futuro difficile della giovane Nazione italiana del terzo millennio.

E’ in gioco qualcosa di più delle piccole ambizioni che portano a recitare vecchi copioni. I repubblicani, tutti, quelli dell’ultima tessera e quelli che hanno nell’animo il sacro fuoco che creò la Repubblica, che diedero all’Italia con spirito laico - unitamente alla grande formazione dei cattolici - la capacità di guidare la ricostruzione e lo sviluppo di una Nazione, inserendola nel gruppo delle democrazie occidentali, devono intraprendere un nuovo cammino dalle caratteristiche politiche e culturali diverse dal passato, perché diverse sono le condizioni generali, ma ispirate dagli identici ideali, quelli di continuare ad una maggiore integrazione nel mondo occidentale, con tutte le sue regole vecchie e nuove, impedendo all’Italia un pericoloso scivolamento mediterraneo.

C. De Rinaldis Saponaro
Vice Segretario Nazionale P.R.I.

tratto da L'Opinione 14 luglio 2006

nuvolarossa
14-07-06, 19:26
Dopo il Consiglio Nazionale/Qualche riflessione per definire le prospettive dell'Edera
Oltre gli schieramenti, ritrovare le radici repubblicane

di Giancarlo Tartaglia

Impossibilitato a partecipare all'ultima riunione del Consiglio nazionale che ha dovuto assumere decisioni difficili, vorrei poter esprimere alcune brevi puntualizzazioni, suggerite dagli ultimi avvenimenti e a corollario di quanto ho già scritto sulla "Voce" e precisato in due riunioni di direzione, sulla fase politica che stiamo attraversando e sul ruolo che, a mio giudizio, dovrebbe svolgere il partito.

Innanzitutto vorrei ribadire che continuo a ritenere giusta e seriamente motivata la scelta di schierare il partito ufficialmente dalla parte del "sì" nel referendum sulle modifiche costituzionali. Sia nel merito, perché le norme costituzionali e gli assetti istituzionali voluti nell'ormai lontanissimo '47 mostrano tutti i segni del tempo trascorso e la loro inadeguatezza a rappresentare un'Italia lontana ormai sessant'anni dal fascismo e dall'antifascismo. Sia nella legittimità, perché proprio un partito come il nostro, che ha nella sua stessa denominazione un preciso richiamo istituzionale, non può e non deve estraniarsi dall'analisi e dalle proposte di adeguamento costituzionale, come se si trattasse di un fastidioso argomento marginale da archiviare il prima possibile. Anzi, ritengo che, al contrario, il Pri debba fare delle modifiche costituzionali uno dei suoi punti di forza programmatici e di impegno primario e sono lieto che il Consiglio nazionale abbia voluto ribadire la volontà dei repubblicani di favorire il dialogo tra gli schieramenti "sui temi delle riforme costituzionali".

In quest'ottica, la vittoria referendaria del "no" deve essere letta come il sintomo evidente che le forze della conservazione sono purtroppo prevalenti nel nostro paese e che ogni seria battaglia di modernizzazione, quando non sia pura demagogia, incontra ostacoli insormontabili. Che questa sia la deprecabile situazione italiana lo dimostra, dopo la vittoria del "no", la smodata agitazione dei tassisti a seguito del tiepido decreto Bersani che, stando alla monopolistica propaganda mediatica che sostiene il governo di oggi, come sosteneva l'opposizione di ieri, sarebbe un inizio di liberalizzazione, ma che in realtà, è cosa molto, ma molto, modesta. Peraltro, a ben leggere il testo di quel decreto si scopre che dietro gli specchietti (tassisti, notai e farmacisti) per le allodole liberali si nasconde una complessa e devastante normativa fiscale che se dovesse essere approvata dal Parlamento rischierebbe di risolversi in una stangata mortale per l'intera economia italiana. Già il crollo borsistico delle aziende immobiliari ha indotto il viceministro Visco a dichiarare che le norme sulla retroattività fiscale saranno eliminate. Ma non basta. Tutto l'impianto normativo sembra ispirato a creare un occhiuto stato di polizia piuttosto che a garantire le condizioni per una ripresa economica.

E' però prevedibile che anche le buone modeste intenzioni di Bersani troveranno nella ineludibile concertazione con le categorie interessate (come si può negare il confronto sindacale?) tutti quei necessari aggiustamenti destinati a "recepirne le istanze", garantire la "pace sociale" e, quindi, a lasciare le cose sostanzialmente immutate.

Il male italiano, come dimostrano il "no" referendario e le agitazioni corporative in corso, è tutto qui, nella carenza d una cultura politica realmente liberale. Lo Stato repubblicano, dominato sin dalle sue origini dalle culture cattolica e comunista, si è costruito, da questo punto di vista, senza soluzione di continuità rispetto ai fondamenti etici dello stato fascista: lo statalismo, l'assistenzialismo, il corporativismo.

Occorre, allora, una vera e propria rivoluzione liberale capace di rompere questo circolo vizioso. Abbiamo alle spalle un decennio di bipolarismo, nel quale hanno potuto governare alternativamente due coalizioni, una di centro-sinistra e l'altra di centro-destra. Quale è stata la differenza? Io non sono riuscito a coglierla, se non nell'aspetto, non marginale, della politica estera, che ha più che giustificato la nostra scelta di schieramento. Ma sulla politica economica e sociale abbiamo dovuto registrare una sostanziale uniformità di scelte, perché i due schieramenti sono entrambi pervasi da quell'unica cultura assistenzialistica e statalistica che domina incontrastata da ottant'anni e che abbraccia la stragrande maggioranza delle forze politiche.

Ne consegue che l'obiettivo dei repubblicani deve essere quello di porsi con forza e in termini non equivoci come punto di riferimento per quanti intendono costruire un'area genuinamente liberale e, in quanto tale, antistalistica, antiassistenzialistica e anticorporativa.

In questa prospettiva, tutta di contenuti, le questioni di schieramento non esistono e sarebbe, perciò, negativo per il partito riavvitarsi in una sterile discussione tra centro-sinistra e centro-destra o, peggio, ipotizzare un cambio di schieramento che non avrebbe alcun minimo senso, se non quello di distruggere quel poco che siamo riusciti a costruire.

Si tratta quasi certamente di una strada in salita, di un percorso difficile, ma tentare di essere gli alfieri di una rivoluzione liberale è forse l'unica prospettiva per la quale valga la pena impegnarsi, aggregando nuove energie, che pure esistono, ancorché sparse e minoritarie, e partendo dal confronto senza pregiudiziali fra tutti coloro che, pur allontanatisi dal partito, continuano a definirsi repubblicani.

Il Consiglio nazionale del partito si è mosso in questa direzione, impegnando la segreteria a creare una "piattaforma d'incontro con tutti i repubblicani, anche se non più militanti del Pri, e con le altre componenti laiche e riformatrici".

Occorre, adesso, andare avanti con scelte operative precise, una dirigenza capace di ricercare il dialogo e di riannodare i fili lacerati della nostra storia, e, soprattutto con segni inequivoci e visibili.


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nuvolarossa
18-07-06, 15:36
Consiglio nazionale del Pri: il documento di Riscossa

Pubblichiamo il documento di Riscossa per l'Autonomia repubblicana presentato al Consiglio Nazionale del Pri del 7 - 8 luglio 2006.

Il consiglio nazionale del PRI, riunitosi a Roma nei giorni 7/8 luglio 2006 preso atto della relazione del segretario Nucara,

ritiene essenziale per una efficace azione politica e per una positiva prospettiva del Partito l'avvio di una nuova e più incisiva fase di azione e di progettualità politica, che abbia come coordinate ispiratrici e di riferimento operativo il rilancio ed il consolidamento del ruolo attivo ed autonomo del Partito nel contesto politico nazionale.

In questa ottica il Consiglio Nazionale valuta non consona la scelta politica operata dalla maggioranza nell'ultimo congresso nazionale di Fiuggi, ritiene invece essenziale un grande confronto programmatico che possa consentire la maturazione nell'elettorato nazionale di temi specifici dei grandi movimenti politici che si ispirano alla cultura repubblicana, liberaldemocratica europea ed occidentale che trova nell'ELDR la casa di riferimento, che punti anche al recupero di tutte le anime del repubblicanesimo.

Il Consiglio Nazionale esprime un giudizio positivo sulla proposta del segretario di aprire al più presto un ampio confronto del PRI con l'ELDR che coinvolga ed impegni tutti i repubblicani, per riprendere così un percorso che negli anni più recenti ha forse riscontrato incomprensione e ritardi negli approfondimenti politico - programmatici.

Il Consiglio Nazionale sollecita come prima ed immediata conseguenza di tali proponimenti la convocazione di una Costituente della Federazione repubblicana, liberaldemocratica che possa riunire tutte le componenti - organizzate e non - che si riconoscono in questo movimento politico e culturale.

La peculiarità di tale iniziativa non può che essere riscontrata nella scelta di fondo di un programma efficace ed idoneo a dare la giusta risposta all'attuale crisi che attraversa il nostro Paese.

In particolare va riaffermata con forza la collocazione occidentale ed europea dell'Italia superando la sterile dicotomia tra filoamericani e filoeuropei. Infatti solo una efficace sintesi delle due impostazioni può rappresentare un fertile terreno per una valida politica estera. Il risanamento dei conti pubblici oggi fortemente compromessi è poi la esigenza necessaria per poter realizzare una valida politica economica che consenta il rilancio industriale produttivo e sociale del Paese.

Ma non ci può essere risanamento dei conti pubblici senza una efficace azione di liberalizzazione e privatizzazione, che sono oggi i vincoli più forti per un reale rinnovamento del sistema Paese.

La tempestiva e incisiva rimozione di tali vincoli deve essere oggi l'impegno a cui il movimento repubblicano assegna la priorità di ogni azione politica, e su questi presupposti operare coerentemente nelle sedi istituzionali e nel Paese.

Coniugando tutto questo con una politica di equità sociale che tuteli i ceti più deboli, fortemente penalizzati dalle politiche fiscali del precedente governo.

Infine l'organizzazione periferica del partito va valorizzata attraverso il riconoscimento della piena autonomia delle federazioni locali nella comune ispirazione della cultura amministrativa e politica repubblicana.

Widmer Valbonesi, Saverio Collura, Sergio Savoldi e altri.

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tratto dal sito del Partito Repubblicano
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nuvolarossa
18-07-06, 19:28
Intervento di Giorgio La Malfa al Cn dell'Edera/"Il Pri c'è, c'è ancora"
"Sapete che esistono le votazioni degli organi di partito?"

Intervento di Giorgio La Malfa al Consiglio Nazionale del Pri, Roma, 7 - 8 luglio 2006.

Cari amici, all'indomani delle elezioni politiche che hanno visto un esito quantitativo sostanzialmente pari tra il centrodestra e il centrosinistra, addirittura una lieve prevalenza del voto di centrodestra, anche se una prevalenza nelle elezioni nei seggi del centrosinistra, è cominciato uno spostamento nei sondaggi, diciamo così, nei sondaggi di Berlusconi, che peraltro si erano dimostrati abbastanza efficaci, per cui qualche settimana dopo il voto, Berlusconi faceva sapere che c'erano 2-3 punti di vantaggio del centrodestra se si fosse votato in quel momento.

Un sondaggio (che io non ho visto direttamente ma che mi è stato riferito dallo stesso ambiente) di qualche giorno fa, non so se subito prima delle liberalizzazioni o subito dopo, dava un consistente vantaggio del centrodestra nell'ordine di 3-4 punti percentuali, cioè se si votasse oggi il centrosinistra perderebbe nettamente e credo che sia anche questo un argomento che viene fatto valere nel centrosinistra di fronte alle difficoltà sull'Afghanistan, sulla politica finanziaria dicendo: "State attenti, non ci sfasciamo perché se andiamo a votare perdiamo le elezioni".

Allora il referendum, dico all'amico Pacor e ad altri, non riguardava gli atteggiamenti politici generali del paese, non era uno scontro politico, se è vero che oggi il 52-53% degli italiani è per il centrodestra, una parte di quelli che hanno votato NO al referendum sono quelli che alle elezioni hanno votato o voterebbero per il centrosinistra o per il centrodestra, e quindi esprimere la nostra opinione sul referendum non era, per così dire, incompatibile con una valutazione sulla situazione politica generale del paese. Non lo era perché una parte dell'Italia che oggi voterebbe per il centrodestra ha votato NO al referendum.

Perché non dovevamo farlo noi se questa era la nostra posizione politica? E se questa era stata la nostra posizione politica, perché non dovevamo farlo noi se la Sicilia, con un elettorato di centrodestra larghissimo, ha votato a larghissima maggioranza per il NO; perché non dovevamo farlo noi se la Calabria ha visto una provincia nella quale c'è stato il massimo del NO. Perché in fondo, giusto o sbagliato che sia, il referendum è apparso al Mezzogiorno come una minaccia.

E noi siamo un partito nazionale, ma che ha delle radici ideali oltre che fisiche e geografiche (ce le abbiamo Nucara ed io) piantate solidamente nel Mezzogiorno, e perché ci dobbiamo distaccare dai nostri elettori? Perché avremmo dovuto? Io sono molto felice di aver detto NO perché sono in sintonia con la Calabria, con la Sicilia oltre che con il pensiero di una parte del paese che non è tutta fatta di prodiani, ma è fatta di gente che voterà il centrodestra, che non ama affatto il centrosinistra, ed è giusto così.

Il problema, diceva ieri l'amico Pacor, è che il NO è un guaio perché blocca la riforma costituzionale. Al contrario ritengo proprio che il NO è un vantaggio perché blocca la riforma costituzionale.

C'è una storia del Partito Repubblicano sulle questioni costituzionali, cari amici, che non ci possiamo dimenticare.

C'è un libro di mio padre, curato da Spadolini, che si chiama "Difendiamo la Costituzione", apparso fra il 1982 e l'83.

C'è una introduzione di Spadolini che dice: "Ma che c'entra con i problemi politici del paese la riforma della Costituzione, cosa c'entra!".

E' il tentativo delle grandi forze politiche che non sanno governare quello di dire che la colpa non è loro ma è delle regole. Che bisogna mantenere le forze politiche ma cambiare le regole. No, noi diciamo: mantenere le regole e cambiare le forze politiche.

Questa è stata la posizione storica del Partito Repubblicano, e non lo possiamo dimenticare.

Noi siamo contro le modifiche costituzionali. Siamo per modeste modifiche costituzionali largamente convenute.

C'è un saggio di mio padre del '72 in cui sostiene che "la costituzione si tocca solo a larghissima maggioranza".

E quindi perché non dovevamo dire NO? Io in Parlamento non ho votato la riforma, come non votammo la pessima riforma del 2001, quella dei signori della sinistra, e perché non avendo votato in Parlamento dovevamo votare a favore nel referendum? Che ragione c'era di tutto questo?

A mio avviso era ragionevole votare NO. Abbiamo discusso di questo. Francesco ha un'opinione diversa, io lo capisco, ma una volta che ci siamo formalizzati in un'opinione diversa mi sembra doverosa una scelta conseguente.

Una volta Carlo De Benedetti si comprò una quota del Banco Ambrosiano che allora era del banchiere Calvi. Naturalmente "la Repubblica" scrisse che si trattava di una "importantissima operazione".

Il vecchio Enrico Cuccia disse: "Qui uno dei due ha fatto un tragico errore, poi vedremo chi".

Ora, in questa discussione sul referendum, tra Francesco e me, uno di noi due ha fatto un tragico errore, nel senso che abbiamo formalizzato una differenza di posizioni che è un punto importante.

La Direzione ha dato ragione a questa scelta del SI ed io rispetto questa scelta ovviamente, ma ne debbo trarre le conseguenze.

Il presidente del partito dovrebbe, per così dire, avere una posizione meno contestata di quella del segretario. Il segretario esprime la linea politica, il presidente dovrebbe esprimere l'unità degli ideali del partito, al di là della maggioranza.

Prendiamo atto che la Direzione a larghissima maggioranza ha votato SI e quella è la posizione del Partito Repubblicano, chiaro.

Il presidente avrà anche sbagliato a porre il problema, non doveva magari porlo se voleva rappresentare l'unità del partito, invece lo ha posto, avrà avuto ragione, avrà avuto torto, ed è dimissionario.

Qui non si tratta di votare se accogliere le dimissioni. Il problema non è all'ordine del giorno. Potete scegliere una di queste due cose: siccome è opzionale nominare un presidente, ne fate un altro o aspettate e lo fate un'altra volta, questo è un vostro problema come Consiglio Nazionale.

Certo il problema delle dimissioni di La Malfa, che ieri turbava l'amico Pugliese, non esiste. Tale problema è chiaro che è collegato alla relazione politica perché il segretario ha trattato insieme le due cose. Il problema delle dimissioni è già risolto prima dell'inizio di questo Consiglio Nazionale.

E' evidente che non faccio il presidente del Consiglio Nazionale, perché ho fatto una proposta, la proposta è stata respinta e arrivederci.

E mi fa piacere che abbia avuto ragione il segretario, nel voto, perché sarebbe stato addirittura più grave, se la Direzione Nazionale avesse detto NO. Se ne sarebbe andato il segretario, sarebbe un problema oggi, mentre la perdita del presidente, essendo una carica onorifica, per così dire, è meno grave.

Lo Statuto repubblicano, che è saggio, non dice che bisogna avere per forza un presidente, quindi il problema è risolto, poi vedrete voi al termine del Consiglio Nazionale.

Il ruolo dell'opposizione

Vengo al partito e alle condizioni del partito. Io credo che si debba esprimere un apprezzamento a quel gruppo dirigente del partito che negli anni, dal '93 in avanti, in una situazione tremenda, è riuscito a fare sì che il simbolo del partito figuri ancora nelle liste elettorali. Anche se accompagnato da pochi voti, questo è un miracolo.

In questo miracolo abbiamo avuto parte in tanti, compresi gli amici dell'opposizione che sono ancora nel partito. Lo dissi a Bari: meno male che c'è qualcuno che si oppone, perché vuol dire che il partito manterrà una dialettica che gli consentirà poi di andare avanti.

Quando poi i partiti cambiano posizione devono trovare un riferimento. Se in tutti i partiti sono tutti al 100% unanimi, quando poi debbono cambiare strada che fanno, si suicidano come i samurai giapponesi? Ma se c'è una dialettica interna, quando si cambia posizione, questo può aiutare, si possono ricostituire delle maggioranze diverse dentro un partito e si va avanti.

Ci hanno reso un enorme favore, in particolare gli amici della Romagna in questi anni, con tutte le difficoltà che abbiamo avuto. Nel corso di questi anni, non soltanto da quando è segretario ma anche da prima, da membro della direzione, e da segretario organizzativo, c'è stato un ruolo straordinario di Francesco Nucara.

Questa è la mia opinione, lo era quando era segretario organizzativo. E' la ragione per la quale sostenni con lui, cercai di convincerlo, poi alla fine lo convinsi, a fare il segretario perché ritenevo fosse la persona migliore che potessimo avere come segretario del partito. E se qualcuno lo attacca io lo difendo, perché è evidente, non ha bisogno di pretoriani, questa è la mia opinione, nel senso che il partito, pochi o molti che siano questi risultati, quel poco o molto è merito del segretario del partito.

Se fossero stati di più sarebbe stato meglio, quel che è giudichiamolo come ci pare, se è poco - ma certo che è poco - quel poco non è colpa del segretario del partito. Quel poco è merito del segretario del partito. Quello che sarebbe stato senza di lui sicuramente sarebbe stato meno. Questa è la mia opinione, che desidero esprimere chiaramente davanti al Consiglio Nazionale.

Il mio giudizio su questi anni è questo: ovviamente, errori tanti. Errori miei, errori suoi, errori comuni, errori quasi tutti comuni, perché tranne questa volta (su cui abbiamo pensato diversamente su una cosa), il buono e il cattivo di questi anni è il frutto di una consultazione che il segretario ha fatto con il presidente e il presidente si assume tutte le responsabilità di avere convalidato le decisioni.

Ma il partito c'è, c'è ancora. Del resto lo testimonia questa presenza vostra.

Gli organi di un partito

L'altro giorno un parlamentare di Forza Italia ridendo mi ha detto: "fate la scissione dell'atomo". Gli ho risposto: "Che cavolo parli tu! Voi non avete mai pensato, aspettate che vi dica Berlusconi quello che dovete pensare. Avete mai riunito un organo voi? Avete mai avuto un organo di partito che si chiama Direzione in cui qualcuno dice io farei così, l'altro dice no farei così, vediamo e votiamo. Voi sapete che esistono le votazioni degli organi di partito? No, credo che non abbiate mai avuto un organo di partito che si sia mai riunito se non per fare una cena con Berlusconi".

Parlate a noi? Noi abbiamo un partito, sarà piccolo, sarà 50.000 voti, ma se un partito ha 200 persone che si pagano il viaggio per venire a Roma, per discutere, vuol dire c'è qualcosa di democratico nella vita italiana, che è questa roba qui, che non ce l'ha quasi nessuno.

Ed è la ragione per la quale sarebbe un errore tragico chiuderla questa casa o lasciarla deperire. Allora ci accaniamo a difenderla, a cercare una prospettiva che è una cosa democratica, ma non crediate che gli altri partiti abbiano lo stesso tenore di democrazia interna. Immaginate l'Ulivo che si riunisce democraticamente? La ragione per cui non riescono a fare il Partito democratico è che non riescono a fare un organismo in cui deliberano, perché non hanno più organi democratici, per questo il Partito Repubblicano è unico ed è anche per questo che non bisogna cambiare la Costituzione.

Perché la Costituzione ha un impianto proporzionale bicamerale, cioè di governo parlamentare e il governo parlamentare tendenzialmente richiede la proporzionale e fuori dalla proporzionale il PRI è morto, e allora noi dobbiamo difendere un impianto che consenta di esistere a un germoglio democratico, a una tradizione che difenda gli interessi nazionali; quindi per quale ragione dobbiamo andare alla grande riforma, che vuol dire la cancellazione delle forze politiche che non hanno avuto la responsabilità storica del degrado del paese? Vogliamo attribuire il degrado del paese alla Costituzione? E perché non l'attribuiamo ai sindacati o agli imprenditori o alla cultura del Partito comunista o dei cattolici? Cioè, vogliamo farci fregare da loro? Vogliamo interpretare la storia dicendo, come essi dicono: abbiamo governato, ma non è colpa nostra?

Ritorno del proporzionale

No, avete governato ed è colpa vostra, è la vostra cultura vecchia. Abbiamo colpa noi di non essere stati capaci di spiegarci, ma di essere addirittura incapaci di spiegarci noi stessi, di dire che bella cosa una sistema bipolare di cui o di qua o di là. Uno dei grandi meriti storici di Berlusconi è di aver riportato il proporzionale, e anche gli amici della più stretta ortodossia di opposizione del partito dovranno riconoscere (come sono sicuro che lo riconoscono, anche Savoldi) che un lascito così è importante. Sono certo che la politica estera del governo Berlusconi era altrettanto importante, anzi una cosa talmente importante, che ce ne accorgeremo.

L'altro giorno sul "Corriere della Sera" Venturini (un editorialista che ha sempre votato repubblicano fino al '92 e che in questi anni ha fatto una campagna spietata per dire: "togliamo di mezzo Berlusconi, riandiamo a sinistra") ha scritto: "L'Italia rischia di perdere la faccia …". Io gli ho mandato una lettera privata perché lo conosco, dicendo: "Ma scusa, tu hai una responsabilità, hai fatto il tifo perché questi vincessero le elezioni. Hai detto che l'Italia era ridicola internazionalmente. Oggi l'Italia perde la faccia? Cioè non è in grado nemmeno di mandare i soldati sotto la bandiera dell'ONU, non dico della NATO, e dici l'Italia perde la faccia"?

D'Alema ha detto a Condoleeza Rice, mi risulterebbe, che noi avremmo aumentato la presenza in Afghanistan e che avremmo mandato 6 caccia. Non li mandiamo invece, non li possiamo mandare perché la politica estera italiana scivola sulle posizioni pacifiste di Rifondazione ed del Pdci. Berlusconi ha portato l'onorevole Fini al Mausoleo di Gerusalemme, cioè ha portato la destra nazionalista ad inchinarsi davanti al popolo ebraico.

L'onorevole D'Alema porterà l'Italia ad inchinarsi davanti alle bandiere di Hamas, amici repubblicani, ma lo volete capire che cosa sta succedendo nel paese o non lo volete capire?

Allora non è vero, caro Savoldi: noi non è che dobbiamo dire che ormai è sciolta la Casa delle Libertà. Magari fosse possibile tenerla in vita perché l'Italia farà un passo indietro spaventoso, naturalmente in tutti i campi: i tassisti li liberalizziamo (anche se poi penso che molleranno su questa vicenda perché mi pare abbiano già fatto largamente marcia indietro); allora il partito deve lavorare su qualche altra cosa, e lavorando su qualche altra cosa ritrova la gente, la deve ritrovare fuori, non la deve ritrovare non per mancanza di simpatia dei vecchi amici che sono andati via perché quelli se vengono, figurarsi: tutto quello che si fa in questa direzione è utile, ma noi abbiamo bisogno di leve nuove.

Un giovane amico

Mi ha fatto piacere sentire la parola di questo giovane amico di Cesena che ha detto: "io non vengo da una tradizione repubblicana, faccio il segretario cittadino". E' un miracolo che ci sia una leva nuova. Un altro che ha detto, l'amico Colletto: "io vengo da una famiglia di democristiani, sono entrato nel Partito Repubblicano e ci sto bene".

Questi sono quelli di cui abbiamo bisogno e dobbiamo andare a cercare, gente nuova, perché stiamo diventando vecchi.

Non vorrei, come ha detto un amico, che invece di essere un vecchio partito della Repubblica, diventassimo un partito di vecchi repubblicani, perché questo stiamo diventando, vecchi, per l'età e anche per la voglia di impostare i problemi con coraggio.

Allora bisogna riaprire il partito e trovare dei temi, quindi bisogna fare politica non perché bisogna andare in un altro schieramento, non bisogna andare vreso un altro schieramento (Savoldi non sono d'accordo con te, tu dici: tendenzialmente andiamo nel centrosinistra. Ma tu ti immagini, con la nostra forza straordinaria di 2 deputati alla Camera e 1 senatore, che contribuiamo a tenere il centrosinistra su una linea occidentale?).

Non siamo riusciti a tenere in qualche modo il centrodestra sulla linea della liberalizzazione. Ieri Tremonti ha detto, ho letto in un'intervista: "Noi avevamo fatto l'agenda di Lisbona in cui le liberalizzazioni c'erano". Io non gli ho risposto; avrei dovuto dirgli: l'hai fermata tu, non io. Perché mi dicesti: tu sei matto, di questa roba non gliene frega niente a nessuno. Però poi, per polemizzare con la sinistra, oggi deve dire: "L'agenda di Lisbona è buona".

Anche a Berlusconi, che ha detto che sono un traditore, non ho risposto. Lui mi ha telefonato dicendo: mi scuso molto, mi riferivo a Tabacci e Follini, ma io non gli ho risposto (c'è un tempo per tutto); né lo ha fatto "La Voce Repubblicana", e questo mi è dispiaciuto, avrebbe dovuto dire: "ma che cavolo dice il signor Berlusconi?". Comunque sono cose che poi vedremo, gli ho anche mandato una lettera e un giorno pubblicherò quella lettera a Berlusconi, spiegandogli in quante cose lo abbiamo aiutato.

Quindi insomma c'è tempo … come posso dire, la vita è lunga, speriamo.

Superamento del governo

Allora cari amici bisogna rimettersi in movimento, non verso lo schieramento di centrosinistra ma verso il superamento di questo governo di Prodi che è un pericolo per il paese, che se si consolida farà un disastro per la vita italiana.

E per far questo non abbiamo bisogno di un congresso; intanto perché non è urgente e in secondo luogo perché abbiamo già fissato questa posizione nel congresso ultimo.

Perché se voi vi andate a vedere il dibattito congressuale, noi lì dicemmo che bisognava unire le parti serie delle due coalizioni e tagliare le ali, e per tagliare le ali ci voleva un sistema che non fosse bipolare nelle sue radici e quindi si torna alle questioni costituzionali di cui abbiamo parlato.

L'abbiamo già detto nel congresso, voi ricordate la battuta che io feci allora dicendo bisogna riunire la famiglia Letta perché zio e nipote la pensano nello stesso modo, solo che uno è alleato di Bossi e l'altro è alleato di Bertinotti. Ve la ricordate questa battuta che facemmo al congresso, e che del resto era sostanzialmente condivisa perché il compito storico del PRI in questa fase era di cercare di evitare che la polarizzazione delle forze ci mandasse o troppo in una direzione se vincevano gli uni o troppo nell'altra direzione, se vincevano gli altri; e che quindi bisognava cercare di cucire le forze intermedie.

Questa è la posizione del partito, lo è stata in passato e lo è nella lealtà, naturalmente, nella lealtà non nel tradimento. E' una posizione difficile perché è chiaro che dentro il centrodestra c'è la caccia al voltagabbana ecc., ma sono 40 anni che ce lo sentiamo dire.

Il doppio binario fa parte delle ragioni per le quali i partiti piccoli rimangono piccoli, cioè fanno delle cose che naturalmente non sono popolari, non sono semplici, non sono comprese.

Il congresso precedente

Ma questo è quello che noi dobbiamo fare: non abbiamo bisogno di fissare una nuova linea. Ce l'abbiamo già, l'abbiamo preparata in anticipo con il congresso precedente.

Si pone un altro problema e qui parlo all'amico Francesco Nucara. Ce l'hanno posto vari amici che non so come sono allineati dentro il PRI, maggioranza o opposizione, ma tu ed io, non tu e non io, ma tu ed io siamo ancora in questo momento nelle condizioni di guidare il partito in questa fase che è ben definita? O dobbiamo fare un passo indietro?

Io sicuramente sì! Ieri un giovane amico di Anzio ha detto, grossomodo, riferendosi al presidente del partito dimissionario: "va be', togliti di mezzo". Sono 50 anni che sono qui in mezzo, ringrazio gli amici.

Mi domando allora, se noi non dobbiamo fare, Francesco un passo indietro. Noi abbiamo fatto la politica del centrodestra, era faticosa, l'abbiamo fatta, ce la siamo presa sulle spalle, non tutto il partito ci è stato grato o ha capito fino in fondo quanta fatica. E ieri hai fatto bene a rivendicarlo, con quanta pazienza, con quanto amaro e quanto sapeva di sale il pane altrui quando salivi le scale di Palazzo Grazioli, hai fatto bene a ricordarlo perché gli amici forse non sanno quante umiliazioni subisce il segretario di un piccolo partito per difendere le ragioni del piccolo partito; e Nucara ne ha subite moltissime e siccome è meridionale come sono io, queste cose gli sono costate molto, anche se cerca di non farlo vedere.

L'abbiamo fatto in questi anni, ma se dobbiamo guidare il partito in un'altra direzione, che non è un altro schieramento, perché se c'è questo equivoco non si riapre questa dialettica di cui parlava Morellini. Non si tratta di guidare il PRI nel centrosinistra, sarebbe l'ultimo degli errori da parte nostra, ma si tratta di cercare di vedere se si può salvare l'Italia dallo scivolare in un governo organicamente di sinistra su tutti i campi, dall'economia alla politica estera.

Io non ho una simpatia istintiva per l'UDC, ma debbo dire che ho una certa ammirazione sulla faccenda dell'Afghanistan, ho apprezzato che Nucara cinque giorni fa abbia detto: "ma noi votiamo a favore del decreto sull'Afghanistan", perché era dissennato per il centrodestra dichiarare il voto contrario sull'Afghanistan. Noi abbiamo mandato i soldati lì, e possiamo votare contro il Parlamemento dopo che noi abbiamo votato per mandare i soldati in Afghanistan?

Questioni internazionali

No, non lo potevamo fare. Ieri finalmente Berlusconi ha detto: "Noi votiamo a favore". Ha avuto coraggio Casini, anche Nucara ha detto: io lo voto. Ma è così che deve essere fatto, quello è nostro dovere: votare sulle questioni internazionali se ci crediamo.

Allora la mia domanda è questa: e la faccio con grande franchezza davanti al Consiglio Nazionale: ma non sarebbe meglio che io me ne vada da presidente perché gli amici non ne possono più? Oltretutto, Francesco, siccome noi siamo stati eletti dobbiamo essere grati al partito tu, io e Del Pennino; siamo stati per così dire garantiti da Forza Italia, ma questo ci pone un problema molto difficile. E' chiaro che non appena uno si allontana quelli dicono che siamo voltagabbana, o piangono la mancanza di gratitudine, ma se dobbiamo fare qualche atto, non di tradimento ma di autonomia, se dobbiamo prendere una iniziativa, se dobbiamo cercare dei giovani, forse non siamo né tu, né io, né Del Pennino nelle condizioni di guidare il partito in questa posizione.

Quindi la mia opinione è che dobbiamo fare un piccolo passo indietro, per cercare di trovare delle energie nuove; ci sono queste energie nel partito? Io spero di sì, qualcuno l'ho sentito ieri, l'amico Ferrini mi ha allargato il cuore sentirlo, anche l'amico di Anzio, qualche giovane che parla un linguaggio diverso dal nostro, insomma il nuovo c'è e allora vediamo se riusciamo ad intercettarlo e a dargli spazio. E non serve un congresso, perché il PRI fissa la sua linea politica nei congressi. Qui non si tratta di cambiare la linea politica, e come vedete la mia linea politica non è diversa.

Fase di riflessione

Io pongo questo problema, non lo possiamo certo risolvere oggi, ma il mio consiglio è di risolverlo presto, cioè verso settembre, ottobre, in modo più costruttivo, trovando una strada, perché il partito questa possibilità ce l'ha, questa sala mi incoraggia, vuol dire che la gente sente qualche cosa. E sono sicuro che, se ci sono 200 amici in sala, ce ne sarà qualche migliaio, che può arrivare in Italia, che è interessato alla linea politica.

Quindi io direi: apriamo una fase di riflessione, di questo genere, consideratemi una riserva, questa posizione è libera, occupatela, o la occupate oggi, o la tenete ferma. Vediamo se non dobbiamo fare un passo, Francesco. "Ma il partito ha tanti problemi, anche finanziari", si dice. Ed io dico: ma siccome li abbiamo risolti noi, li hai risolti tu, li risolverà l'amico Ferrini o chi sarà il segretario del partito, cioè si vada avanti comunque.

Cari amici, questo è quello che volevo dirvi con grande affetto; qualche amico molto prudente ha detto: "stiamo attenti, abbiamo bisogno di tempo", e così via. C'è un verso di Goethe che dice così: "Ci vogliono giorni, passano anni".

Ecco, io non vorrei che succedesse questo al nostro partito.

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tratto dal sito del Partito Repubblicano
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nuvolarossa
09-10-06, 19:48
Chiusa una stagione
La sinistra italiana resta impermeabile alla cultura liberale

di Giancarlo Tartaglia

Nel maggio scorso, all'indomani di un disastroso risultato elettorale che aveva confermato tutti i limiti e le ambiguità sui quali erano nati e continuavano a strutturarsi i due poli antagonisti dello schieramento politico italiano, ho tentato con un articolo sulla Voce ("Un tavolo permanente fra tutti i repubblicani ovunque essi si trovino", 26 maggio) di aprire una riflessione all'interno del partito, partendo da due considerazioni. La prima, che il nostro sistema bipolare, costringendo culture e forze politiche di per sé alternative ad allearsi in cartelli elettorali eterogenei, aveva finito per dare vita a due opposti schieramenti carichi entrambi di tali contraddizioni da renderli succubi delle relative ali estreme e, di fatto, incapaci di assicurare una politica di governo autenticamente riformatrice in senso liberale.

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La seconda, che nei repubblicani, ovunque essi militassero, prevalesse comunque "il senso dell'appartenenza ad una cultura politica, sempre minoritaria, ma vissuta e sentita sempre per i suoi valori di libertà come lievito indispensabile alla crescita democratica della società italiana". Da queste premesse traevo la proposta di dare vita ad un tavolo permanente di confronto tra tutti i repubblicani, a prescindere dalla rispettiva collocazione, per discutere sui problemi reali del Paese (politica estera, politica economica, politica delle istituzioni) e farne occasione di confronto e di reciproco arricchimento, tenendo così fede ad una storica lezione di Ugo La Malfa sulla prevalenza dei contenuti rispetto agli schieramenti.

Quella proposta, ripresa da altri amici, ha suscitato un certo interesse nel partito ed è stata, grazie alla relazione del segretario Nucara, oggetto di discussione nell'ultimo Consiglio Nazionale, alla vigilia del quale, sempre sulla Voce ("Oltre gli schieramenti, ritrovare le radici repubblicane", 15 luglio), ho voluto richiamare l'attenzione del partito sulla necessità di porsi "con forza e in termini non equivoci come punto di riferimento per quanti intendono costruire un'area genuinamente liberale e in quanto tale, antistatalista, antiassistenzialista e anticorporativa".

Nonostante, però, l'interesse e il conforto manifestato da molti repubblicani, le iniziative in questa direzione sono state, almeno fino ad oggi, alquanto tiepide, forse a causa della pausa estiva. Ma poiché siamo in autunno inoltrato, nonostante la permanenza di una temperatura estiva, credo che sia ormai giunto il momento di procedere con concretezza e speditezza, anche perché il quadro generale tende inesorabilmente a peggiorare, confermando tutte le più pessimistiche previsioni.

In questa prospettiva, molto opportunamente, il segretario Nucara ha lanciato la proposta di un gruppo di lavoro trasversale che accomunando i liberali dei due poli verifichi la possibilità di comuni modifiche a questa disastrosa legge finanziaria che nel testo varato dal governo rischia di farci regredire a livello dei paesi del socialismo reale.

Sarebbe, perciò, opportuno che la proposta Nucara, che pure ha raccolto immediate e significative adesioni nei due schieramenti, vada presto oltre le semplici enunciazioni e si trasformi da gruppo di lavoro a vero e proprio tavolo permanente tra tutte le forze autenticamente liberali.

Infatti, quello che non ha fatto il risultato elettorale può farlo proprio questa finanziaria che con le sue scelte stataliste ha messo in moto una benefica "resa dei conti", che potrebbe portare ad una chiarificazione proprio all'interno della traballante maggioranza di governo. Se tante sono le critiche che quotidianamente sono state mosse alle oltre trecento pagine di inutili vessazioni da parte di intere categorie o di qualificati economisti, il cuore del problema mi sembra che sia stato centrato da un osservatore, come Nicola Rossi, che non può certo essere accusato di simpatie per il centrodestra. La settimana scorsa dalle colonne del Corriere della Sera Rossi ha sostenuto che con questa finanziaria e con il discorso tenuto dal ministro dell'economia in Parlamento si è chiusa "senza possibilità di appello" un'intera stagione, "quella che nell'ultimo decennio aveva portato molti a pensare che fosse possibile innestare nella cultura della sinistra italiana i temi tipici di una analisi liberale della società".

Se così è, se veramente questa illusoria stagione si è chiusa "senza possibilità di appello", allora se ne può aprire un'altra, quella della costruzione, finalmente, di un'area che voglia, possa e sappia definirsi liberale, senza aggiunta di aggettivi né di sostantivi, che rischiano di trasformarla in un ossimoro o, per dirla con Croce, in un ircocervo. E' certamente un progetto ambizioso, ma proprio per questo il partito repubblicano deve avere il coraggio di mettersi subito alla guida di questo progetto. Non sempre nella storia le occasioni si ripetono.

Roma, 9 ottobre 2006


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tratto dal sito del Partito Repubblicano
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Paolo Arsena
23-04-07, 13:16
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Paolo Arsena
23-04-07, 13:31
Cari amici,

l'8 maggio prossimo il Forum per l'Unità dei Repubblicani terrà un primo importante convegno, organizzato insieme all'Associazione Nazionale per la Rosa nel Pugno e alla fondazione Critica Liberale sul tema "Verso un modello laico di integrazione".

Si tratta di una prima occasione di confronto con altre associazioni di chiara matrice laica, promossa con un duplice scopo.
Da un lato per cimentarsi nel dibattito e nell'approfondimento di un tema di grande attualità per la società moderna, sempre più tendente al multiculturalismo.
Dall'altro per proseguire nel percorso di convergenze iniziato, teso a definire uno spazio politico laico, autonomo, nel panorama italiano.
Il Forum infatti ha attivato una rete di contatti nel mondo laico, democratico e liberale, che intende sollecitare, per passi graduali e attraverso singole iniziative, ad un comune obiettivo.

Il convegno dell'8 maggio è una prima tappa significativa. Che, grazie anche all'interesse di Lanfranco Turci, potrà godere di un'eco in parlamento e su alcuni organi di informazione.
Nel contempo, sarà avviato nei prossimi giorni un chiarimento in seno al coordinamento nazionale del Forum, teso a definire con chiarezza il percorso da intraprendere come associazione, per adempiere all'obiettivo unitario.

A seguito di questo chiarimento, potremo indicare presto le tappe che seguiranno nei prossimi mesi.

Intanto vi invito a partecipare numerosi all'evento dell'8 maggio, che sarà un'ottima occasione per rilanciare sul piano concreto l'attività dell'associazione.


MARTEDI 8 MAGGIO 2007
ORE 15.00
CAMERA DEI DEPUTATI
Sala delle Colonne - Palazzo Marini
via Poli, 19 - Roma

www.repubblicani.org

P.S. Per eventuali informazioni e chiarimenti, contattatemi in pvt e, nel caso, lasciatemi un recapito telefonico.

nuvolarossa
09-10-07, 16:57
Rilanciare il partito investendo sui giovani

di Fulvio Giulio Visigalli

Rilancio, territorio, sponsorizzazioni :tre parole chiave che dovranno segnare l’attività autunnale del Partito Repubblicano. E’ da tempo che i nostri rappresentanti istituzionali, attraverso diverse modalità segnate dalla propria esperienza personale, stanno seguendo un vigoroso rilancio del marchio del Pri. Grandi passi sono stati fatti anche dalle rappresentanze giovanili che, attraverso un paziente coordinamento del Segretario Postorino, hanno finalmente trovato spazio all’interno delle proprie comunità locali.
E tutto ciò ha portato inevitabilmente (e fortunosamente) alla ripresa di un dialogo tra gli esponenti del partito che nel corso degli anni hanno preferito seguire strade e percorsi politici alternativi. E come conseguenza diretta di tutto ciò è stato il progressivo indebolimento di quei gruppi di repubblicani che da sempre hanno evidenziato solo le sconfitte politiche e gli errori di “gestione”. Eppure, anche oggi, la forza del “nuovo” è parzialmente derisa da alcuni irriducibili che non credono nel progetto di rilancio. Non mi riferiscono ad una situazione in particolare ma solo a qualche atteggiamento di sfiducia verso l’operato di tanti giovani (e non solo) che quotidianamente operano per il partito. Forse le mie solo sensazioni personali. Ma vorrei ribadire, sicuro e rafforzato dalla mia nomina di Consigliere Nazionale, che per proseguire l’opera di rinvigorimento iniziata e sostenuta dal Segretario Nazionale On. Nucara è essenziale che tutti i repubblicani sentano proprio il progetto. Spetta a tutti a noi portare avanti l’iniziativa intrapresa per arrivare alla felice conclusione che da tempo la nostra classe dirigente si aspetta, ovvero la presenza di un gruppo repubblicano alla Camera più folto. Missione ultima e definitiva è proprio questo: portare più bandiere del Pri nelle istituzioni nazionali. Chiaramente questo lungo processo futuro ha già trovato fonte di soddisfazione nell’opera di alcuni amici che sono riusciti a “conquistare” seggi comunali. Un piccolo passo che non è che il primo segnale tangibile di un’intensa attività di rilancio politico. Certamente mi rendo conto che convincere gli amici repubblicani del fatto che solo unendo gli sforzi si può raggiungere un unico obbiettivo condivisibile è arduo. Ma io sono fiducioso. E la sfida più dura dei prossimi mesi, in vista delle prossime (auspicate) elezioni politiche (nazionali ed europee) è proprio quella di sostenerci a vicenda per non cadere nella trappola degli egoismi personali che danneggiano solo l’armonia del Pri. Dunque, cari amici, noi dobbiamo militare nel partito non solo per passione ma per dovere civile. E per rispetto di tutti quelli che ci hanno preceduto nelle battaglie politiche e per dovere per tutti quanti nel futuro si interesseranno per la politica vera, pura e sincera. Dal freddo di Chianciano Terme i giovani hanno trovato uno scopo politico. Dal congresso di Fiuggi gli stessi hanno incominciato ad ammirare i sottili meccanismi della retorica e delle discussioni politiche. Dal congresso di Roma ne è uscita una speranza. Un’opera, un progetto armonioso degno del romanzo più acclamato della scrittrice americana Ayn Rand, considerata una delle personalità più importanti dagli ambienti liberali di matrice anglosassone. Anche nel Partito Repubblicano c’è “Una Fonte Meravigliosa”.

Fulvio Giulio Visigalli

tratto dal sito della Federazione Giovanile Repubblicana
http://www.fgr-italia.it/index.php?option=com_content&task=view&id=216&Itemid=1

nuvolarossa
13-11-07, 09:40
TESSERAMENTO REPUBBLICANO 2007

Si comunica a tutte le sezioni che è prossima la scadenza del 30 novembre, prevista dallo Statuto, così come recentemente modificato, per il pagamento delle tessere relative all'anno 2007. Tutte le sezioni che non abbiano ancora proceduto a regolarizzare la loro posizione sono pregate a farlo al più presto. Tale comunicazione non riguarda, ovviamente, tutte quelle realtà territoriali per le quali è già stato convocato il congresso.

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
07-10-08, 11:19
La mia esperienza al servizio del Pri

Caro Segretario, dopo un lungo periodo che, per motivi personali e politici, mi ha portato a guardare con un certo distacco la situazione calabrese, ho deciso di dare il mio modesto contributo, anche politico, alla terra in cui sono nato.

Ho preso la decisione, dopo un periodo che si può definire lungo o breve a secondo dei punti di vista, di reimpegnarmi direttamente nella politica calabrese.

Dopo gli anni che mi hanno visto impegnato professionista ed imprenditore nel campo della sanità privata calabrese, vorrei mettere al servizio della Regione anche le mie passate esperienze di consigliere comunale e provinciale di Reggio Calabria, nonché di consigliere e assessore regionale negli anni '90.

I motivi che mi hanno indotto a prendere questa decisione vanno in parte ricercati nell'attuale confuso sistema politico.

Appartengo ad una tradizione laica ed ho militato in un partito che insieme ad altri, e tra essi il PRI, ha costruito la storia dell'Italia moderna.

Oggi si sente la necessità che la questione laica, che De Gasperi teneva in gran conto, possa riprendere un cammino interrotto dalle vicende degli anni '90 e da una lunga interminabile transizione politica.

La storia, nel lungo periodo, ha sempre dato ragione alle minoranze politiche.

Oggi più che mai si avverte il bisogno di sostenere quegli ideali che hanno saputo fare a meno di ideologie penalizzanti per l'intera umanità.

E' per questi motivi che ho deciso il mio rientro nella politica attiva con la certezza che nel PRI io possa rinverdire quei valori che sono stati il sale delle mie esperienze passate.

Mi rivolgo a te, non solo per l'apprezzamento e la stima che nutro nei tuoi confronti, che in ogni caso resterebbe immutata, ma per chiederti l'adesione al PRI.

La politica che negli ultimi anni ha elaborato il partito che tu guidi mi convince sempre di più a chiederti, ove lo ritenessi opportuno, di voler utilizzare la mia esperienza.

Grato per l'attenzione,

Oscar Ielacqua

tratto da http://www.pri.it/new/6%20Ottobre%202008/CastagnettiIelacquaAdesionePri.htm

nuvolarossa
21-11-08, 18:01
Dibattito sul futuro del Pri - Nessuna intenzione di riporre il simbolo dell'Edera
Procediamo sul tracciato della liberaldemocrazia

di Antonio Suraci

Opportunamente il Segretario Nazionale ha posto una domanda: "Che fare"? Una domanda che può sembrare retorica o difensiva o provocatoria, se non, addirittura, inutile. Ebbene, rappresenta invece il punto di partenza per comprendere cosa siamo e cosa aspiriamo ad essere, pur non nascondendo il dato economico interno che può impedirci di rispondere con la serenità richiesta. E' bene, comunque, non confondere la necessità con la virtù e tentare, comunque, una risposta.

Cosa siamo. Poco più di una piccola pattuglia in una mischia di area avversaria che non riesce a passarsi la palla nel tentativo individualistico di portarla personalmente in rete.

Qual è l'area avversaria? Qui le teorie possono essere diverse: sinistra, centro, centro-destra, centro-sinistra. In realtà ve ne è una sola: la grave situazione determinata dall'incapacità dirigenziale sia della destra che della sinistra.

Questo può sembrare un assunto dettato dalla pura presunzione o dalla scarsa conoscenza dei fatti. Restando, appunto, ai fatti non è possibile non rilevare un pericoloso arretramento della società civile, del sistema economico e politico. Depurando questo dato dal contesto internazionale non è difficile constatare come siamo proiettati verso un minimo europeo.

Sgombriamo subito il campo dai sospetti: non è colpa di Berlusconi né di Romano Prodi.

La responsabilità d'insieme è da rintracciarsi in un sistema dentro il quale ha potuto germogliare e radicarsi ciò che è nato dall'operazione Mani pulite: la gramigna della prima ed unica Repubblica. La svolta necessaria non potrà mai avvenire senza una ferma opposizione culturale alla semplice trasformazione dell'esistente. In questo quadro i Poli, frutto di alchimie parlamentari, più simili a condomini che a case comuni, non rappresentano quelle novità funzionali alla costruzione di un modello alternativo, bensì rappresentano la continuità di un sistema che ha dimostrato una ‘linearità' fallimentare nell'autoriformarsi.

Pur evidente tale assunto, c'è chi ancora aspira ad entrare a far parte delle diversità di destra o di sinistra.

Ha un senso? A parer mio, no. Non si è di destra o di sinistra solo identificandosi o, peggio, annullandosi in uno dei due schieramenti. Al contrario di Sciascia che riteneva che la verità non è sempre rivoluzionaria, in questo caso lo è. E la verità è che mischiandosi nell'una o nell'altra parte, dando per scontata la nostra prossima fine, veniamo meno al ruolo che la storia, da oltre un secolo, ha affidato a noi repubblicani.

E quale è questo ruolo? Non certamente quello di partecipare alla creazione di barriere politiche elettorali o sociali, bensì quello di favorire lo sviluppo di una democrazia in cui l'individuo possa liberamente partecipare per migliorarsi e per contribuire alla soluzione dei problemi che inevitabilmente l'evolversi della storia pone a tutti.

Non è nostro costume, o non dovrebbe esserlo, chiamare a raccolta i cittadini all'interno di gabbie in cui viene offerta l'impressione che solo in queste sia possibile la salvezza. Una visione che poco si discosta dall'ideologismo salvifico che sempre, in quanto repubblicani, abbiamo rifiutato.

Cosa sono le leggi elettorali, gli accordi tra gruppi, tra inqualificabili lobby, lo spingere tutti a far parte di questo o quello schieramento, se non gabbie in cui i più deboli dovranno soccombere per poter ancora respirare?

E chi ambisce a far parte di queste gabbie è certo di non andare ad ingrossare le fila dei più deboli?

Chi può ancora illudersi che, sebbene si rappresenti l'unica e ancora riconoscibile scuola democratica, potremo svolgere il ruolo che generazioni di repubblicani, quasi sempre in minoranza, hanno saputo rappresentare?

Il problema non è dove andare: se fosse così semplice noi tutti saremmo già andati dove altri ci hanno anticipato. E' il riscontro della solitudine di questi amici che porta qualche altro amico a sostenere l'importanza di una transumanza collettiva in una di queste gabbie, al fine di evitare la sorte di chi lo ha preceduto. Ovvero di evitare di correre il pericolo di contare poco più del due di coppe quando regna bastoni!

La casa non si sposta. I repubblicani non emigrano. I repubblicani devono sapere, come Ulisse, legarsi al palo della nave e non soccombere al richiamo delle moderne, quanto temporanee, sirene. I repubblicani, nell'interesse del popolo a cui la nostra esistenza è sempre stata legata, devono, oggi, rispondere alla semplice domanda: che fare?

La premessa a questa risposta potrebbe apparire retorica, ma non lo è: non si è di destra o di sinistra per investitura divina o per appartenenza. Oggi, liberi dai condizionamenti patiti durante il XX secolo, o si è dalla parte della democrazia o non lo si è. E nell'attuale panorama dei Poli mi è difficile distinguere chi abbia a cuore la democrazia a cui noi aspiriamo. Non possiamo, caduto il muro delle ideologie di appartenenza, autodefinirci diversamente da ciò che rappresentiamo. I principi a cui ci ispiriamo, l'interesse verso l'intera collettività che mai smettiamo di provare, la giustizia verso cui vogliamo che l'Italia si involi, il ruolo di una Nazione, stimabile e dignitoso, in cui riconoscersi, il bene delle future generazioni, la saggezza di una classe politica dedita all'interesse comune, il non venir meno, per interesse o compromesso, ai valori di base che qualificano la storia dei repubblicani, ecco tutto ciò, ed altro, un giorno, dopo aver dato con convinzione corso alla nostra idea di politica, altri potranno, se vorranno, considerare l'azione politica repubblicana di destra o di sinistra. In queste ore, in cui ci dedichiamo con passione a questi temi per noi vitali, non mi considero né di destra né di sinistra, ma altro. Un democratico che cerca, insieme ai propri amici, di ridare un senso alla vita di milioni di cittadini, condannati alla rivolta quotidiana, limitata e limitante, non avendo più fiducia nemmeno nella possibilità di una rivoluzione pacifica e moralmente rigeneratrice.

Né l'attuale crisi economica deve portarci a semplici conclusioni e sbandamenti. In un Paese senza idee e senza progetti le crisi economiche non avranno mai soluzione, solo temporanei assestamenti che altro non producono se non un sistematico impoverimento dell'insieme.

Non credo che gli attuali Poli, nonostante in molti tentino per via parlamentare la loro stabilizzazione, avranno un futuro. Ma se anche lo avessero, non saranno mai gli artefici di un rinnovato pensiero democratico: resteranno i figli di una Repubblica che non ha saputo credere in se stessa, esempi da ‘basso impero' e non figli di una capacità progettuale rinnovatrice e innovatrice. Occorre cambiare modello e non dobbiamo sottrarci a questa sfida.

Dobbiamo restare, pur temporaneamente, in alleanze da valutare, liberi di proporre, di progettare, di essere parte di un dibattito che dovrà, federalismo puro o meno, vederci partecipi nell'interesse e per la difesa dei cittadini e di quegli alti valori che abbiamo ereditato ed in cui fermamente dovremmo tornare a credere. In un condominio non si è mai liberi: chi ha più millesimi deciderà sempre anche il colore dei muri.

Che fare? Tornare nella società, ritrovare il senso della nostra azione politica e organizzare il consenso su proposte concrete. Lavorare. La politica dei repubblicani è sempre stata caratterizzata da uno spirito volontaristico che con passione è stato esaltato anche nei momenti più crudeli della storia. Occorre tornare a quello che eravamo. Non sono i circoli, i club della pipa, o altro a dare senso all'esistenza di un partito. Il senso è dato dalla capacità di capire i problemi della gente e offrire soluzioni credibili, non temporanee ma progettuali. Organizzarsi e, nell'organizzarsi, scegliere la dirigenza che meglio risponde a queste esigenze. Dividersi sarebbe l'ultimo imperdonabile errore che i repubblicani consegnerebbero alla storia politica del Paese. Un Paese che da sempre contribuiscono a far sopravvivere e che oggi, più di ieri, ha bisogno di una forza politica di eccellenza e non di mediocrità déja vu.

Dall'esempio americano dobbiamo trarre insegnamento per smascherare quanti ritengono che solo rifugiandosi in strette gabbie sia possibile far sopravvivere il partito. Obama, i democratici, non avrebbero mai vinto, pur forti di un sostegno lobbistico di cui noi siamo orfani, se non avessero per quasi due anni percorso e ripercorso le strade dall'Atlantico al Pacifico, se non avessero, paese dopo paese, ripreso in mano il filo della speranza direttamente in mezzo alla gente.

Coinvolgere la società significa avere idee, trasmettere sicurezza, avere passione: significa avere uomini che sappiano andare oltre il fascino che suscitano i media, soprattutto quando la stessa Europa invita i Governi, e non solo, ad insegnare ai propri cittadini la lettura dei messaggi mediatici per realizzare una democrazia più attenta e compiuta.

Che fare? Innanzitutto chiamare tutti i dirigenti a semplificare le proprie ambizioni per dedicarsi alla rinascita di un partito che non intende abdicare e passare l'Edera in mani che nulla hanno a che spartire con la nostra storia e la nostra cultura. Se necessario scommettere su un rinnovamento generazionale, con la maturità di saperne creare le condizioni e non condannandolo, preventivamente, alla solitudine.

Tralascio volutamente l'argomento della fondazione, non avendo in questo momento altra idea che far vivere il partito a cui appartengo, ma anche perché se dovessi partecipare ad una fondazione parteciperei a quella in grado di infondermi un sentimento di vita e non di morte.

Abbiamo dato vita ad una riflessione seria sulla liberal-democrazia. Cerchiamo, dunque, di continuare su questa strada andando a recuperare tra quel 22/30% di elettori che evita accuratamente la politica (a cui vanno aggiunti i tanti cittadini che, pur avendo votato, si sono già candidati all'astensionismo futuro), quella minima percentuale utile per continuare a sperare di cambiare questo sistema basato esclusivamente su interessi particolari e dedito al totale disinteresse di chi soffre. Se il futuro è delle nuove generazioni è nostro dovere consegnare loro uno strumento politico attraverso il quale dar vita a quell'opposizione culturale oggi ineludibile per far rivivere, nelle coscienze di tutti, quei valori democratici per i quali con tanta passione i ‘nostri giovani' di allora si sono sacrificati.

tratto da http://www.pri.it/new/21%20Novembre%202008/ViscoGilardiFuturoPri.htm