PDA

Visualizza Versione Completa : Gilles Kepel - Il furore di Orianna Fallaci contro i figli di Allah



Roderigo
30-05-02, 14:53
di Gilles Kepel
professore di Storia dell'Islam all'Istituto di Scienze politiche di Parigi

L'uscita in Italia della Rabbia e l'orgoglio di Oriana Fallaci, e lo scandalo che ne è seguito, hanno snaturato il dibattito sull'11 settembre e le sue conseguenze. Nel suo libro, la famosa giornalista italiana confonde - senza distinzione alcuna - l'Islam, il terrorismo e la presenza di mussulmani in Europa, per fare degli attentati di New York gli indicatori dell'essenza della civiltà musulmana. La quale, secondo la signora Fallaci, sarebbe interamente rivolta alla distruzione e al saccheggio dell'occidente.
La rabbia che le ha ispirato l'attacco alle Torri Gemelle, lo spettacolo di persone che si tuffavano nel vuoto agitando le braccia e le gambe e nuotando nell'aria prima di schiantarsi come pietre, hanno ispirato pagine molto forti, che testimoniano il carattere unico dell'orrore che quel giorno si è abbattuto sul mondo, ricordandoci che nessuna impunità deve essere accordata a chi ha commesso questo crimine contro l'umanità. Ma come si può attribuire la responsabilità collettiva, senza nessun processo, a tutti i figli di Allah - secondo l'espressione impiegata dalla signora Fallaci - dipinti principalmente, attraverso gli immigrati in Europa, come stupratori, prostitute che orinano nei battisteri e si moltiplicano come topi?

Chi ha criticato queste semplificazioni (che assomigliano ai peggiori clichés sugli ebrei nella letteratura antisemita o sugli italiani nella stampa francese degli anni 30) viene qualificato come un povero idiota terrorizzato dal politicamente corretto, come un complice o un cieco. Non è più il tempo della riflessione ma del calcio nei coglioni, come c'informa l'autrice nelle pagine in cui gratifica con queste parole gli immigrati che in Italia la aggrediscono. La Rabbia e l'orgoglio pone un serio problema sul tipo di dibattito che le nostre società possono condurre su questioni gravi come l'11 settembre e le sue conseguenze sull'immigrazione, la sicurezza e la loro rappresentazione. Il suo straordinario successo in Italia e in Spagna, la sua iscrizione programmata nella lista dei best sellers (assieme ad un altro libro dal contenuto costernante, L'incredibile impostura di un certo Thierry Meyssan), è un cattivo auspicio sulla nostra capacità di riflessione collettiva rispetto a una delle sfide più grandi che la nostra civiltà si trova di fronte all'inizio del nuovo millennio. Un'epoca che innalza la signora Fallaci e gente come Meyssan a fari dell'intelligenza pubblica, testimonia lo smarrimento del pensiero e l'incapacità degli intellettuali: è una sorta di vittoria per tutti i fanatici, per gli Osama Bin Laden ed i loro confratelli. Questo successo è senz'altro imputabile al modo con cui tali pamphlets rappresentano la psicologia delle masse. L'amalgama e la confusione tra terroristi e immigrati, tra gli attentati al Trade World Center e i quotidiani problemi dell'insicurezza, sono alla radice del libro. Esprimono, in forme viscerali e soggettive che sono nemiche di ogni ragionamento, quel sentimento di paura che poi si traduce, nel segreto dell'urna, nella crescita dei voti per l'estrema destra europea e la massiccia adesione al manicheismo della guerra contro il terrore negli Stati Uniti. Da un tale punto di vista bisogna prendere sul serio questo grido e farne una lettura sociologica.


Comprendere il populismo
Questo può aiutarci a smontare l'odierno impulso populista e a comprendere come Bin Laden sia riuscito a dare il suo nome, e la sua icona, alla paura, a monopolizzare l'universo dell'immaginario televisivo, a polarizzare le rispettive figure del bene e del male sulle quali prosperano gli uomini politici reazionari e gli attivisti islamici radicali. Proprio in questi giorni stanno arrivando, via internet, le lunghe liste dei prodotti ebrei che un buon musulmano deve boicottare. Insomma, un delirio populista chiama l'altro. Ma l'ampiezza della catastrofe cominciata l'11 settembre, meriterebbe un dibattito di ben altra serietà.

Si tratta del ruolo civile degli intellettuali, che devono uscire dai loro cenacoli per assumersi il rischio, senza tabù né autocompiacimenti, d'intervenire nel dibattito. Altrimenti, è vano deplorare il fatto che la demagogia tiene banco, inonda il mercato editoriale, corteggia gli istinti più bassi. Un dibattito che deve coinvolgere anche il ruolo dei media, che devono avere un ruolo adeguato all'altezza delle sfide poste dalla società: per tutto l'autunno il piccolo schermo ha passato in rassegna i pareri di sedicenti esperti pieni di artificiose certezze, rimuovendo una profonda riflessione sul cataclisma che il mondo aveva subito. Poi, in primavera, ha sfruttato fino al midollo l'inesauribile argomento elettorale dell'insicurezza e dell'immigrazione.

Rendiamo omaggio al libro della signora Fallaci, la quale ha fatto quadrare il cerchio, sperando che i suoi successi editoriali risveglino le energie civili degli intellettuali, allo stesso modo in cui i successi elettorali di Jean-Marie Le Pen hanno risvegliato le energie civiche della società francese.

Le Monde 29 maggio 2002