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Visualizza Versione Completa : Eutanasia e accanimento terapeutico



ARI6
30-05-02, 21:57
Qual'è la vostra opinione sul tema?
Parlo in special modo di persone in condizioni tali da non poter esprimere la propria volontà: quale potere ai familiari? e quale ai medici?

ARI6
30-05-02, 21:59
Io credo che, in assenza di una volontà del malato (se ci fosse andrebbe seguita in ogni modo) si debba salvaguardare la vita.

Free-Market
30-05-02, 23:08
Originally posted by ARI6
Io credo che, in assenza di una volontà del malato (se ci fosse andrebbe seguita in ogni modo) si debba salvaguardare la vita.

in una societa' libertaria non ci sarebbero questi problemi perche' chi ha stipulato un contratto di assicurazione sanitario avra' gia' deciso cosa fare in determinati casi, sbaglio?

ARI6
31-05-02, 12:47
Originally posted by Free-Market


in una societa' libertaria non ci sarebbero questi problemi perche' chi ha stipulato un contratto di assicurazione sanitario avra' gia' deciso cosa fare in determinati casi, sbaglio?

In generale sì, ma prendiamo un altro esempio. Io non stipulo contratti sanitari (li ritengo malauguranti), ma ad un certo punto mi ammalo gravemente, perdendo coscienza: può la mia famiglia, o comunque un qualsiasi altro individuo, pagare perchè io sia curato?

Nicolò
31-05-02, 13:29
Il valore della vita. E’ questo sostanzialmente il punto focale del dibattito che da molti anni, non solo in Italia, sta animando le coscienze di intere nazioni, le quali regolarmente si scoprono legislativamente impreparate ad affrontarlo.
Solo Olanda e Belgio hanno cominciato ad offrire possibili soluzioni, un tentativo sicuramente apprezzabile perlomeno perché coraggioso. Dell’eutanasia non si può continuare a parlare solo quando all’opinione pubblica, mediante i mezzi d’informazione, giunge la notizia dell’esistenza di un nuovo caso umano che, puntualmente, dopo una - due settimane cade nell’oblio generale.
Il problema è continuo, come il dramma di ogni famiglia interessata, qualunque sia la sua posizione dinanzi alla possibilità di una “dolce morte”.
Non basta che il ministro della sanità, chiunque egli sia, da Rosy Bindi a Umberto Veronesi a Girolamo Sirchia, si presenti una sera a “Porta a Porta” e dica come la pensa. Occorre un impegno serio, anche giocato nell’ombra, che porti all’adozione di una legge, sicuramente imperfetta, che certamente verrà contestata e in seguito migliorata , ma che perlomeno dimostrerà la presenza di una volontà applicata alla ricerca di una soluzione, senza lasciare tutto solo alle parole.
Invece , per ora, sembra che le proposte di cui saltuariamente tanto si parla, siano destinate a rimanere tali. Questo è un fatto triste.

L’ottica con cui ognuno di noi si pone rispetto alla questione dell’eutanasia, è dettata dalla coscienza , e proviene dall’animo, non da una particolare posizione socio - ideologica. Il fatto per cui coloro che la pensano nello stesso modo si coalizzino tra di loro è naturale, e non comporta che essi si debbano identificare in un gruppo politico.
In questi casi la legislazione ricopre il solo compito di approvare le leggi, una veloce procedura che passa freddamente tramite un procedimento elettronico. Il posto per la discussione va lasciato alla genuinità, all’innocenza, all’impulsività dei sentimenti e delle emozioni, ma anche alla razionalità del ragionamento e dell’intelligenza, indipendentemente dalle proprie credenze politiche. Proprio per questi motivi, quali che siano le posizioni di ogni persona, a maggior ragione di ogni famiglia interessata dalla tragedia, meritano profondo rispetto da parte di ciascuno di noi, perché ad entrare nel merito della discussione sono le persone, e non gli ideali.

Nelle caratteristiche della cultura occidentale c’è anche la religione, cattolica, che, facendo parte da secoli della storia europea, ovviamente ne influenza tuttora l’aspetto e con esso la popolazione e le sue idee. E’ quindi da considerarsi perfettamente normale che molte persone credenti si sentano legate alla posizione di rifiuto della Chiesa Cattolica rispetto all’eutanasia, e il loro agire del tutto giustificato , più che rispettabile.
La fese, qualunque essa sia, presenta per sua definizione lo scopo di condizionare gli animi delle persone verso i suoi principi: ciò è coretto e legittimo, la questione riguarda sempre la propria coscienza.
Il punto sta nel fatto che non tutti , in Italia, in Europa, nel mondo, sono credenti, o fedeli della religione cattolica, e che non tutti i credenti si allineino per forza sulle posizioni definite dal Vaticano. Sono queste le situazioni che la mancanza di una legge che permetta l’eutanasia penalizza, e che per questo vanno difese. Vietare l’eutanasia è uguale a costringere tutti a farne uso.
Ognuno di noi ha una coscienza diversa e per questo non ha senso parlare di maggioranza o minoranza.
Chiunque ha il diritto di decidere circa il suo destino, in relazione al proprio animo.
IL divieto all’eutanasia è, in questo senso, una limitazione non di poco conto. La “dolce morte” non comporta l’obbligo per tutte le persone di morire, qualora entrassero in una situazione vitale critica ed irreversibile, ma di offrire, a chi ritenesse giusto farlo, la possibilità di essere trattato in questo modo.
E’ necessario ricordarsi che le proprie opinioni a riguardo, non sono niente altro che pareri, le cui conseguenze nel concreto non possono essere estese a tutti quanti: la soggettività è padrona della situazione.
Sostanzialmente, quando si parla di “dolce morte”, “suicidio assistito”, si discute sulla correttezza o meno di porre fine ad una vita, che comunque sarebbe destinata a cessare in breve tempo, dopo un periodo di dolore evitabile.
Ma il punto è: si può chiamare vita uno stato per cui oggettivamente, di quella normale nulla si conserva, tranne il dolore?
Qualcuno potrebbe affermare che il solo fatto di soffrire comporta la sussistenza della vita, dato che anche nella norma, il dolore ne fa parte.
Non è così.
La sofferenza è una conseguenza della mancanza della vita, non viceversa.
Ma, provando a fare una ragionamento inverso, si potrebbe osservare che i risultati sarebbero gli stessi.
Nella nostra normale esistenza, siamo ogni giorno liberi di decidere sulla nostra vita. Chi lo ritenesse tragicamente opportuno, può scegliere di togliersela, di suicidarsi.
Coloro che sostengono che anche in uno stato vegetativo, caratterizzato da dolore continuo, la vita perdura, dovrebbero allora accettare la libertà, anche in quelle condizioni, di agire come nella norma, decidere sul proprio destino, facendo ovviamente una qualsiasi scelta prima di essere impossibilitati a compierla.
Motivi diversi portano alla stessa conclusione.
La volontà di una persona è materia sacra, che non può essere assolutamente condizionata da nessun tipo di convenzioni imposte dalla natura della nostra società, in questo caso dal pensiero della Chiesa, che è si libera di dare una indicazione su una data situazione, ma non di rendere, di fatto, tutti quanti soggetti al suo volere.
Questo discorso vale anche per le leggi che oggi, purtroppo, considerano l’eutanasia come un qualsiasi omicidio, mescolando orribilmente le intenzioni barbare e assassine di un qualsiasi uccisore, con l’amore e la coscienza di una persona segnata dalla tragedia della malattia (e dalla morte, ricordiamolo) di un proprio caro.

L’eutanasia è una realtà continua, una questione di coscienza, e di libertà, una delle più importanti in discussione , perché non riguarda il modo di vivere, le sue regolamentazioni, la giustizia che deve caratterizzarlo, ma la vita stessa.

Oli
31-05-02, 13:53
Originally posted by Nicolò
Il valore della vita. E’ questo sostanzialmente il punto focale del dibattito che da molti anni, non solo in Italia, sta animando le coscienze di intere nazioni, le quali regolarmente si scoprono legislativamente impreparate ad affrontarlo.
Solo Olanda e Belgio hanno cominciato ad offrire possibili soluzioni, un tentativo sicuramente apprezzabile perlomeno perché coraggioso. Dell’eutanasia non si può continuare a parlare solo quando all’opinione pubblica, mediante i mezzi d’informazione, giunge la notizia dell’esistenza di un nuovo caso umano che, puntualmente, dopo una - due settimane cade nell’oblio generale.
Il problema è continuo, come il dramma di ogni famiglia interessata, qualunque sia la sua posizione dinanzi alla possibilità di una “dolce morte”.
Non basta che il ministro della sanità, chiunque egli sia, da Rosy Bindi a Umberto Veronesi a Girolamo Sirchia, si presenti una sera a “Porta a Porta” e dica come la pensa. Occorre un impegno serio, anche giocato nell’ombra, che porti all’adozione di una legge, sicuramente imperfetta, che certamente verrà contestata e in seguito migliorata , ma che perlomeno dimostrerà la presenza di una volontà applicata alla ricerca di una soluzione, senza lasciare tutto solo alle parole.
Invece , per ora, sembra che le proposte di cui saltuariamente tanto si parla, siano destinate a rimanere tali. Questo è un fatto triste.

L’ottica con cui ognuno di noi si pone rispetto alla questione dell’eutanasia, è dettata dalla coscienza , e proviene dall’animo, non da una particolare posizione socio - ideologica. Il fatto per cui coloro che la pensano nello stesso modo si coalizzino tra di loro è naturale, e non comporta che essi si debbano identificare in un gruppo politico.
In questi casi la legislazione ricopre il solo compito di approvare le leggi, una veloce procedura che passa freddamente tramite un procedimento elettronico. Il posto per la discussione va lasciato alla genuinità, all’innocenza, all’impulsività dei sentimenti e delle emozioni, ma anche alla razionalità del ragionamento e dell’intelligenza, indipendentemente dalle proprie credenze politiche. Proprio per questi motivi, quali che siano le posizioni di ogni persona, a maggior ragione di ogni famiglia interessata dalla tragedia, meritano profondo rispetto da parte di ciascuno di noi, perché ad entrare nel merito della discussione sono le persone, e non gli ideali.

Nelle caratteristiche della cultura occidentale c’è anche la religione, cattolica, che, facendo parte da secoli della storia europea, ovviamente ne influenza tuttora l’aspetto e con esso la popolazione e le sue idee. E’ quindi da considerarsi perfettamente normale che molte persone credenti si sentano legate alla posizione di rifiuto della Chiesa Cattolica rispetto all’eutanasia, e il loro agire del tutto giustificato , più che rispettabile.
La fese, qualunque essa sia, presenta per sua definizione lo scopo di condizionare gli animi delle persone verso i suoi principi: ciò è coretto e legittimo, la questione riguarda sempre la propria coscienza.
Il punto sta nel fatto che non tutti , in Italia, in Europa, nel mondo, sono credenti, o fedeli della religione cattolica, e che non tutti i credenti si allineino per forza sulle posizioni definite dal Vaticano. Sono queste le situazioni che la mancanza di una legge che permetta l’eutanasia penalizza, e che per questo vanno difese. Vietare l’eutanasia è uguale a costringere tutti a farne uso.
Ognuno di noi ha una coscienza diversa e per questo non ha senso parlare di maggioranza o minoranza.
Chiunque ha il diritto di decidere circa il suo destino, in relazione al proprio animo.
IL divieto all’eutanasia è, in questo senso, una limitazione non di poco conto. La “dolce morte” non comporta l’obbligo per tutte le persone di morire, qualora entrassero in una situazione vitale critica ed irreversibile, ma di offrire, a chi ritenesse giusto farlo, la possibilità di essere trattato in questo modo.
E’ necessario ricordarsi che le proprie opinioni a riguardo, non sono niente altro che pareri, le cui conseguenze nel concreto non possono essere estese a tutti quanti: la soggettività è padrona della situazione.
Sostanzialmente, quando si parla di “dolce morte”, “suicidio assistito”, si discute sulla correttezza o meno di porre fine ad una vita, che comunque sarebbe destinata a cessare in breve tempo, dopo un periodo di dolore evitabile.
Ma il punto è: si può chiamare vita uno stato per cui oggettivamente, di quella normale nulla si conserva, tranne il dolore?
Qualcuno potrebbe affermare che il solo fatto di soffrire comporta la sussistenza della vita, dato che anche nella norma, il dolore ne fa parte.
Non è così.
La sofferenza è una conseguenza della mancanza della vita, non viceversa.
Ma, provando a fare una ragionamento inverso, si potrebbe osservare che i risultati sarebbero gli stessi.
Nella nostra normale esistenza, siamo ogni giorno liberi di decidere sulla nostra vita. Chi lo ritenesse tragicamente opportuno, può scegliere di togliersela, di suicidarsi.
Coloro che sostengono che anche in uno stato vegetativo, caratterizzato da dolore continuo, la vita perdura, dovrebbero allora accettare la libertà, anche in quelle condizioni, di agire come nella norma, decidere sul proprio destino, facendo ovviamente una qualsiasi scelta prima di essere impossibilitati a compierla.
Motivi diversi portano alla stessa conclusione.
La volontà di una persona è materia sacra, che non può essere assolutamente condizionata da nessun tipo di convenzioni imposte dalla natura della nostra società, in questo caso dal pensiero della Chiesa, che è si libera di dare una indicazione su una data situazione, ma non di rendere, di fatto, tutti quanti soggetti al suo volere.
Questo discorso vale anche per le leggi che oggi, purtroppo, considerano l’eutanasia come un qualsiasi omicidio, mescolando orribilmente le intenzioni barbare e assassine di un qualsiasi uccisore, con l’amore e la coscienza di una persona segnata dalla tragedia della malattia (e dalla morte, ricordiamolo) di un proprio caro.

L’eutanasia è una realtà continua, una questione di coscienza, e di libertà, una delle più importanti in discussione , perché non riguarda il modo di vivere, le sue regolamentazioni, la giustizia che deve caratterizzarlo, ma la vita stessa.

Di tutto questo lungo post nn c'è un punto su cui sia in disaccordo.

:)

Free-Market
31-05-02, 21:35
Originally posted by ARI6


In generale sì, ma prendiamo un altro esempio. Io non stipulo contratti sanitari (li ritengo malauguranti), ma ad un certo punto mi ammalo gravemente, perdendo coscienza: può la mia famiglia, o comunque un qualsiasi altro individuo, pagare perchè io sia curato?

io credo di si, dove sarebbe il problema?

Pippo III
31-05-02, 23:12
io credo di si, dove sarebbe il problema?

Nella eventualità di andare contro la volontà del soggetto malato….

Per inserirmi nel tema eutanasia, come ebbi modo di dire in passato su Padania, c’è da considerare anche delle difficoltà oggettive (tra le quali quelle fatte rilevare da Ari)….prime fra tutte l’individuazione della volontà autentica del soggetto, particolarmente difficile in soggetti depressi o magari particolarmente facili da influenzare negativamente.

Sa£udi serenissimi da Pippo III.

Free-Market
02-06-02, 14:40
Originally posted by Pippo III


Nella eventualità di andare contro la volontà del soggetto malato….

ma qui stiamo parlando di volonta' non espressa, secondo il tuo ragionamento nessuno rischierebbe di aiutare volontariamente questa persona poiche' avrebbe solo da perdere in caso che il malato non avesse acconsentito.

ARI6
02-06-02, 22:10
Originally posted by Free-Market


io credo di si, dove sarebbe il problema?

Che non conoscendo la mia volontà si potrebbe anche contraddirla.

ARI6
02-06-02, 22:19
Originally posted by Free-Market

ma qui stiamo parlando di volonta' non espressa, secondo il tuo ragionamento nessuno rischierebbe di aiutare volontariamente questa persona poiche' avrebbe solo da perdere in caso che il malato non avesse acconsentito.

E perchè? mettiamo che io sia un datore di lavoro e il mio miglior dipendente, quasi insostituibile per le sue capacità, tenti il suicidio e non muoia sul colpo. Io, venuto a saperlo, pago per curarlo perchè spero che continuerà, una volta rimesso in sesto, a darmi il suo prezioso contributo.
Lui, una volta ripresa conoscenza, si incazza come una iena: quello che voleva era la morte, non la vita. Chi ha ragione in una situazione del genere?

Free-Market
03-06-02, 19:45
Originally posted by ARI6


E perchè? mettiamo che io sia un datore di lavoro e il mio miglior dipendente, quasi insostituibile per le sue capacità, tenti il suicidio e non muoia sul colpo. Io, venuto a saperlo, pago per curarlo perchè spero che continuerà, una volta rimesso in sesto, a darmi il suo prezioso contributo.
Lui, una volta ripresa conoscenza, si incazza come una iena: quello che voleva era la morte, non la vita. Chi ha ragione in una situazione del genere?


se si incazza solo non vedo dove sia il problema per il datore di lavoro, ma se dovesse essere punito per esempio, penso che nessuno andrebbe a rischiare. Tornando all'esempio pero' la soluzione secondo me e' semplice, il dipendente si suicidi.

ARI6
03-06-02, 20:11
Originally posted by Free-Market

se si incazza solo non vedo dove sia il problema per il datore di lavoro, ma se dovesse essere punito per esempio, penso che nessuno andrebbe a rischiare.

E allora?

Tornando all'esempio pero' la soluzione secondo me e' semplice, il dipendente si suicidi.

Proprio da lì eravamo partiti. :)

Free-Market
03-06-02, 22:13
E allora?

hai ragione, pero' non capisco il motivo per cui si debba incazzare se poi e' sempre libero di suicidarsi :confused:

ARI6
03-06-02, 22:17
Originally posted by Free-Market


hai ragione, pero' non capisco il motivo per cui si debba incazzare se poi e' sempre libero di suicidarsi :confused:

Se voglio morire ora nessuno può decidere di interferire. O no? ;)

Free-Market
03-06-02, 22:52
Originally posted by ARI6


Se voglio morire ora nessuno può decidere di interferire. O no? ;)

se hai espresso la tua volonta' si, ma nel caso citato non la poteva esprimere