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Visualizza Versione Completa : In Texas il boia non fa sconti - Dossier sulla pena di morte



Roderigo
31-05-02, 12:23
Ucciso da un'iniezione nel penitenziario di Huntsville, Beazley aveva solo 17 anni quando commise l'omicidio per cui è stato condannato. In Texas solo l'anno scorso sono state effettuate 40 esecuzioni

EMANUELE GIORDANA*

Morire a 25 anni, accusati e giudicati per un reato commesso a 17 anni, ancora minorenni. La barbarie di stato (come non chiamare così la pena capitale?), ha colpito ancora una volta commettendo una doppia violazione delle regole di un diritto planetario che sempre più stati adottano. Napoleon Beazley è morto in Texas sull'asettico lettino di una prigione del braccio della morte per iniezione letale, in uno stato che si distingue per l'uso della pena di morte, una pratica inumana che ogni anno ammazza nel mondo almeno 2.500 persone (duemila solo in Cina!). L'assassinio di Beazley è però doppiamente odioso proprio perché Napoleon aveva solo 17 anni quando sparò e uccise John Luttig, 63 anni, per rubargli una Mercedes. Secondo l'accusa, Napoleon aveva preparato con due complici un'imboscata a Luttig e alla moglie per portargli via una vecchia macchina di dieci anni. Con premeditazione dunque, secondo il giudizio, confermata dal fatto che, nella macchina della madre di Napoleon, c'erano una pistola e un fucile e che il ragazzo, allora un promettente atleta di Grapeland, aveva un passato attraversato dall'uso di stupefacenti. Il processo a Napoleon non è stato però privo di ombre. Il ragazzo è di colore ma si è ritrovato di fronte una giuria di soli bianchi: inoltre uno dei figli di Luttig è un importante giudice federale d'appello. Una miscela che si è coniugata col dato eclatante dell'applicazione della pena capitale in Texas, lo stato americano che uccide di più: 40 esecuzioni l'anno scorso e già 13 quest'anno. La quattordicesima vittima è stata Napoleon.

La vicenda, come ormai accade quasi per ogni esecuzione americana, non è però passata inosservata. Per Napoleon si sono mossi attivisti per i diritti umani, lo stesso Consiglio d'Europa e anche un grande leader religioso con un passato forte in difesa dei più deboli, l'arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, Nobel per la pace. «Mi lascia attonito - ha scritto l'uomo che con Nelson Mandela ha combattuto contro l'apartheid - che il Texas e pochi altri stati degli Usa prendano dei ragazzi dalle loro famiglie per poi mandarli a morte».

Negli Stati Uniti sono stati uccisi nel 2001 63 uomini e tre donne, portando a 794 il numero dei prigionieri giustiziati da quando la Corte suprema americana ha sospeso la moratoria sulle esecuzioni nel 1976. Molti dei prigionieri nei bracci della morte sono persone di colore. Le sentenze di morte a minori di 17 anni sono prerogativa di cinque stati - ricorda l'emittente britannica Bbc - ma altri 17 stati consentono che la pena capitale sia applicata anche a ragazzi che ne hanno solo 16. Se ne hai 15 o meno, insomma , ti salvi.

Sergio D'Elia, dell'organizzazione abolizionista internazionale Nessuno tocchi Caino, spiega che «gli Stati Uniti continuano a essere uno dei pochissimi Paesi al mondo a praticare la pena di morte nei confronti di coloro che erano minori al momento del fatto per cui vengono condannati. Anche nel 2001 hanno giustiziato minori. Questo tipo di esecuzione non va solo contro un'evoluzione interna dell'opinione pubblica americana rispetto alla pena capitale e in controtendenza rispetto agli Stati che apertamente dissentono (come nel caso dei governatori dell'Illinois o del Maryland che hanno deciso una moratoria delle esecuzioni), ma - prosegue D'Elia - viola il diritto internazionale. Viola cioè il Patto sui diritti civili e politici,firmato e ratificato anche dagli Usa ma con riserva sull'articolo 6, quello appunto riguardante l'esecuzioni di minori. Eppoi la Convenzione sui diritti del fanciullo, che gli Stati Uniti hanno firmato ma non ratificato. Sarà forse il caso di ricordare - conclude il segretario di Nessuno tocchi Caino - che per quel che riguarda le esecuzioni dei minori, gli Stati Uniti sono in compagnia di Pakistan e Iran, Paesi, specie quest'ultimo, che l'America giustamente critica proprio per le violazioni dei diritti umani». Rispetto all'Iran, che secondo Amnesty International ha ucciso l'anno scorso almeno 127 persone, gli Usa ne hanno giustiziate "solo" 66. E il Pakistan solo una. Paesi canaglia? Da questo punto di vista sicuramente sì. Nessuno escluso.

*Lettera 22.
il manifesto 30 maggio 2002
http://www.ilmanifesto.it

Roderigo
31-05-02, 12:24
http://www.amnesty.it/~pdm/

Roderigo
31-05-02, 12:26
M. DE. C.

Mentre i riflettori saranno puntati sulla palla rotonda, presa a calci da Totti, Ronaldo e soci, oltre 110 persone condannate a morte marciscono nellecarceri giapponesi, alcune situate solo a poca distanza dagli stadi che ospiteranno la kermesse calcistica. Per questo il governo del premier Junichiro Koizumi merita un solenne "cartellino rosso", afferma una campagna lanciata da Amnesty International, in collaborazione con la trasmissione radiofonica Zapping. «La pena di morte in Giappone è una drammatica realtà che si consuma nell'ombra, lontano dagli occhi del mondo e pressoché sconosciuta dai propri cittadini», recita un appello di Amnesty, ricordando che la metà dei condannati rischia l'impiccagione. I condannati conoscono la propria sorte soltanto la mattina dell'esecuzione, mentre i loro familiari e avvocati sono informati a fatto già compiuto. «Dal 1993 sono stati messi a morte 41 prigionieri. 10 sentenze emesse e 2 eseguite nel 2001 - ricorda l'organizzazione - alcuni anziani, altri malati di mente. Tutti avevano trascorso anni, a volte decenni, fra i gravissimi abusi fisici e psicologici dei bracci della morte». Amnesty lamenta la mancata riforma del sistema di detenzione preprocessuale chiamato Daiyo Kangoku, più volte criticato dalla Commissione Onu per i Diritti Umani. Il sistema lascia mano libera alla polizia per gli interrogatori, senza alcuna tutela per gli accusati e dà luogo spesso a confessioni forzate. E a nulla sono servite, finora, le pressioni esercitate sul Giappone dal Consiglio d'Europa (in cui Tokyo ha lo status di osservatore) per proclamare una moratoria sulle esecuzioni e migliorare le condizioni di detenzione nei bracci della morte, in vista di una l'abolizione definitiva della pena di morte. Nessun segnale è arrivato dal Sol levante: per questo, mentre il paese sarà per un mese al centro dell'attenzione internazionale per i Mondiali di calcio, Amnesty ha lanciato una campagna di invio di cartoline rosse al premier Koizumi. Gli abolizionisti sperano che la questione della pena di morte abbia maggiore risonanza rispetto alla querelle sul consumo di carne di cane che è scoppiata nella vicina Corea del Sud, altro paese che ospita la Coppa del Mondo.

il manifesto 30 maggio 2002
http://www.ilmanifesto.it