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Visualizza Versione Completa : Intervista a F. C. Casula sul Dizionario Storico Sardo



Josto
06-06-02, 07:20
Storia della Sardegna o Storia di Sardegna? Per anni i libri hanno identificato la nostra isola con la civiltà nuragica. Un modo riduttivo per descrivere una terra che non ha soltanto subito la storia di invasori e conquistatori ma che ha dato vita a quattro Giudicati. Certo la Sardegna di oggi, con tutte le sue problematiche economiche e culturali, politiche e territoriali, altro non è che il risultato di secoli di disorganizzazione, unita forse anche al timore di sperimentare qualcosa di nuovo. Ma se è vero che la storia insegna, allora è dal passato che si può prendere spunto per non ripetere gli errori. Un passato che però sono in pochi a conoscere bene. Lo storico Francesco Cesare Casula ci offre un ampio panorama: lo fa nel suo Dizionario storico sardo, di recente pubblicazione, riportando fatti, personaggi e istituzioni della Sardegna da mille anni prima di Cristo fino ad oggi.
Professor Casula, nel suo Dizionario la storia è intesa come “lezione tematica odierna”. Cosa significa?
«Il mio non vuole essere, e non è, un dizionario storico normale, come per esempio il Dizionario di storia edito dalla Mondadori nel Saggiatore, ma una storia fatta a dizionario. Ha per argomento la storia sarda, dal Mille avanti Cristo ad oggi; e, alla fine, vuole insegnare che la colpa di tutte le nostre disgrazie non è altrui, cioè dei Fenici, dei Punici, dei Romani, dei Vandali, dei Bizantini, dei Pisani, dei Genovesi, dei Catalani, degli Spagnoli e dei Piemontesi, ma esclusivamente nostra, perché non siamo mai stati capaci di gestire la nostra terra».
Perché?
«Perché siamo sempre stati “pochi, stupidi e disuniti”. Pochi lo siamo anche adesso: un milione e mezzo di persone, cioè un terzo della città di Roma, sparpagliati in uno stupendo territorio molto più grande del Lazio ma che non riusciamo a far rendere perché siamo degli “stupidi”, colonizzati economicamente ed autocolonizzati culturalmente, in quanto lasciamo agli altri - a quelli “di fuori” - la possibilità e il potere di soggiogarci e sostituirci nei vuoti che lasciamo. Il quadro di “disunione” è nel rapporto invidioso fra gli uni e gli altri, nella miriade di paesi e paesini della Sardegna che s’ignorano o si combattono per ogni progetto, per ogni anelito di novità: si scannano se devono fare una strada d’utilità comune, s’azzuffano se devono approvare un piano di sviluppo zonale, si odiano se s’accorgono che il vicino migliora...».
E questo, da quando?
«Nel mio Dizionario faccio risalire questo stato al periodo nuragico. Per capire meglio, ecco una parte della “voce” riguardante la cosiddetta “civiltà nuragica”: Espressione più ideale che reale con cui la storiografia sarda tradizionale denota il periodo preistorico o protostorico (...) che va da circa il 1500 al 238 a.Cr., caratterizzato dalle costruzioni megalitiche chiamate “nuraghi” di chiara finalità militare, e dai “bronzetti” di significato sacrale. Io critico l’espressione “civiltà” in quanto il periodo nuragico manca di prodotti finalizzati al gusto estetico (...) mentre è qualificato soprattutto da migliaia di fortezze (...). Questi nuraghi denunciano uno stato continuo di guerra guerreggiata, di circa mille anni, fra contadini delle pianure, fra pescatori dei mari interni, fra pastori delle montagne, fra contadini e pastori degli altipiani per la conquista di prati e di terre più fertili, per l’accaparramento di acque d’irrigazione e di stagni, per l’acquisizione di miniere di selce, di ossidiana e poi di rame, ecc. Dall’esame del periodo emerge un quadro di disunione e di conflittualità delle genti sarde che non solo non può chiamarsi “civiltà”, ma che spiega l’impossibilità dei Sardi di darsi un’unitarietà statuale indigena e giustifica l’esito delle dominazioni straniere, nonché la situazione socio-politica della Sardegna moderna e contemporanea».
È sempre stato così?
«Se si fa la storia della Sardegna regionale, sì. Non c’è mai stato un istante di unità nazionale nel passato, né nel presente, malgrado tutti gli sforzi di Sa Die de sa Sardigna. Se invece si fa la storia statuale di Sardegna, quella che propongo io con la “dottrina della statualità” nella quale è immerso il Dizionario, no. C’è stato effettivamente un lungo periodo in cui i Sardi costituirono delle entità unitarie e, con esse, delle incredibili, avanzatissime civiltà».
Si spieghi meglio.
«Dal 900 dopo Cristo al 1420 si crearono in Sardegna quattro Stati, quattro regni sovrani (Càlari, Torres, Gallura, Arborèa), chiamati malamente “giudicati” dagli storici, ognuno con proprie istituzioni, propria politica, propria economia, propria arte, propria storia. Fare la storia di uno o dell’altro regno giudicale non è fare la storia della Sardegna ma la storia di un’entità che vale di per se stessa, e che può essere messa a confronto con altre simili entità coeve insulari e continentali per stabilirne il valore. Per esempio, il Regno di Torres era tanto importante politicamente che nel 1238 l’imperatore Federico II Hohenstaufen di Svevia fece di tutto per far sposare il figlio Enzo con la regina logudorese Adelasia, pur di ottenerne il controllo. Altro esempio, il codice di leggi del Regno di Arborèa, chiamato Carta de Logu, era tanto progredito da non trovar eguali in Europa, sì che rimase attivo per la società arborense, e poi per quella del Regno catalano-aragonese di Sardegna, per quasi mille anni, dal 900 al 1827».
Quindi, i Sardi sono stati uniti qualche volta.
«Non i Sardi; caso mai, e non sempre, erano i sudditi calaritani ad essere uniti fra loro, così come lo erano quelli turritani, galluresi e arborensi. Ma per un suddito arborense, un suddito turritano o calaritano era unu sardu de foras, cioè uno straniero come lo poteva essere un pisano o un tedesco, e spesso e volentieri lo combatteva in una delle tante guerre intergiudicali. Ancora oggi questo contrasto è visibile in molte espressioni etniche».
Senza eccezioni?
«Un sentimento nazionale unitario si ebbe quando, finiti gli Stati giudicali di Càlari, Torres e Gallura, il rimanente Regno di Arborèa nel 1353 entrò in guerra contro il limitrofo Regno di Sardegna, aggregato alla Corona d’Aragona, e quasi tutti i Sardi si unirono agli Oristanesi per fare sarda la Sardegna, fino a quando non furono sconfitti nel 1420. Fu al tempo del grande Mariano IV e della famosa figlia Eleonora, molto celebrata dalla storiografia romantica ma, in realtà, poco conosciuta».
Poi tornammo ad essere miseri e sottomessi?
«Politicamente sì, istituzionalmente no. Nel 1324 si era formato nell’isola, a lato del Regno di Arborèa, il Regno di Sardegna istituito dai Catalano-Aragonesi come tappa commerciale per arrivare ai ricchi mercati del Vicino Oriente attraverso la “rotta delle isole” (Barcellona, Baleari, Sardegna, Sicilia, Cipro, Beirut). Nel 1420, vinto il Regno di Arborèa, il Regno di Sardegna s’identificò con tutta la Sardegna suddivisa in feudi. Il feudalesimo portò miseria e regressione; ma non perché i Catalano-Aragonesi consideravano la Sardegna una colonia da spogliare, ma perché il sistema economico interno dello Stato creava pochi ricchi e molti poveri; e ciò fino al 1839, quando finì da noi il regime feudale. Di contro, questo Regno di Sardegna, per una strana sorte del destino, si sganciò nel 1720 dalla Corona di Spagna, si aggregò con il Principato di Piemonte, condusse il Risorgimento italiano, cambiò nome nel 1861 in Regno d’Italia, e, nel 1946, divenne Repubblica Italiana. Quindi, siamo istituzionalmente il primo nucleo del nostro attuale Stato».
Qualche curiosità del Dizionario?
«Posso citare “il diritto di ventaglina”. Nel Regno di Sardegna era una propina goduta dagli impiegati governativi per l’acquisto di un ventaglio nella calda stagione estiva. Pure il viceré percepiva la ventaglina, ammontante a circa 54 lire italiane. Chissà che l’usanza annuale di regalare, prima delle vacanze estive, da parte della stampa, un ventaglio ai presidenti del Senato e della Camera non derivi da questa antica tassa sarda. Ancora, il Dizionario termina con la storia dell’abitato di Zuri. In periodo medioevale Zuri appartenne alla curadorìa di Guilcièr nel Regno giudicale di Arborèa, a valle rispetto all’attuale centro ricostruito tra il 1923 e il ’25 quando il sito fu sommerso dal lago Omodeo. I suoi abitanti si resero famosi perché, il 17 luglio 1416, fecero a pezzi, nella stupenda chiesetta del villaggio, i traditori arborensi Valore e Bernardo de Ligia. Tipico esempio di autogiustizia sarda».

Silvia Vivanet

Perdu
06-06-02, 13:07
Originally posted by Josto
Storia della Sardegna o Storia di Sardegna? Per anni i libri hanno identificato la nostra isola con la civiltà nuragica. Un modo riduttivo per descrivere una terra che non ha soltanto subito la storia di invasori e conquistatori ma che ha dato vita a quattro Giudicati. Certo la Sardegna di oggi, con tutte le sue problematiche economiche e culturali, politiche e territoriali, altro non è che il risultato di secoli di disorganizzazione, unita forse anche al timore di sperimentare qualcosa di nuovo. Ma se è vero che la storia insegna, allora è dal passato che si può prendere spunto per non ripetere gli errori. Un passato che però sono in pochi a conoscere bene. Lo storico Francesco Cesare Casula ci offre un ampio panorama: lo fa nel suo Dizionario storico sardo, di recente pubblicazione, riportando fatti, personaggi e istituzioni della Sardegna da mille anni prima di Cristo fino ad oggi.
Professor Casula, nel suo Dizionario la storia è intesa come “lezione tematica odierna”. Cosa significa?
«Il mio non vuole essere, e non è, un dizionario storico normale, come per esempio il Dizionario di storia edito dalla Mondadori nel Saggiatore, ma una storia fatta a dizionario. Ha per argomento la storia sarda, dal Mille avanti Cristo ad oggi; e, alla fine, vuole insegnare che la colpa di tutte le nostre disgrazie non è altrui, cioè dei Fenici, dei Punici, dei Romani, dei Vandali, dei Bizantini, dei Pisani, dei Genovesi, dei Catalani, degli Spagnoli e dei Piemontesi, ma esclusivamente nostra, perché non siamo mai stati capaci di gestire la nostra terra».
Perché?
«Perché siamo sempre stati “pochi, stupidi e disuniti”. Pochi lo siamo anche adesso: un milione e mezzo di persone, cioè un terzo della città di Roma, sparpagliati in uno stupendo territorio molto più grande del Lazio ma che non riusciamo a far rendere perché siamo degli “stupidi”, colonizzati economicamente ed autocolonizzati culturalmente, in quanto lasciamo agli altri - a quelli “di fuori” - la possibilità e il potere di soggiogarci e sostituirci nei vuoti che lasciamo. Il quadro di “disunione” è nel rapporto invidioso fra gli uni e gli altri, nella miriade di paesi e paesini della Sardegna che s’ignorano o si combattono per ogni progetto, per ogni anelito di novità: si scannano se devono fare una strada d’utilità comune, s’azzuffano se devono approvare un piano di sviluppo zonale, si odiano se s’accorgono che il vicino migliora...».
E questo, da quando?
«Nel mio Dizionario faccio risalire questo stato al periodo nuragico. Per capire meglio, ecco una parte della “voce” riguardante la cosiddetta “civiltà nuragica”: Espressione più ideale che reale con cui la storiografia sarda tradizionale denota il periodo preistorico o protostorico (...) che va da circa il 1500 al 238 a.Cr., caratterizzato dalle costruzioni megalitiche chiamate “nuraghi” di chiara finalità militare, e dai “bronzetti” di significato sacrale. Io critico l’espressione “civiltà” in quanto il periodo nuragico manca di prodotti finalizzati al gusto estetico (...) mentre è qualificato soprattutto da migliaia di fortezze (...). Questi nuraghi denunciano uno stato continuo di guerra guerreggiata, di circa mille anni, fra contadini delle pianure, fra pescatori dei mari interni, fra pastori delle montagne, fra contadini e pastori degli altipiani per la conquista di prati e di terre più fertili, per l’accaparramento di acque d’irrigazione e di stagni, per l’acquisizione di miniere di selce, di ossidiana e poi di rame, ecc. Dall’esame del periodo emerge un quadro di disunione e di conflittualità delle genti sarde che non solo non può chiamarsi “civiltà”, ma che spiega l’impossibilità dei Sardi di darsi un’unitarietà statuale indigena e giustifica l’esito delle dominazioni straniere, nonché la situazione socio-politica della Sardegna moderna e contemporanea».
È sempre stato così?
«Se si fa la storia della Sardegna regionale, sì. Non c’è mai stato un istante di unità nazionale nel passato, né nel presente, malgrado tutti gli sforzi di Sa Die de sa Sardigna. Se invece si fa la storia statuale di Sardegna, quella che propongo io con la “dottrina della statualità” nella quale è immerso il Dizionario, no. C’è stato effettivamente un lungo periodo in cui i Sardi costituirono delle entità unitarie e, con esse, delle incredibili, avanzatissime civiltà».
Si spieghi meglio.
«Dal 900 dopo Cristo al 1420 si crearono in Sardegna quattro Stati, quattro regni sovrani (Càlari, Torres, Gallura, Arborèa), chiamati malamente “giudicati” dagli storici, ognuno con proprie istituzioni, propria politica, propria economia, propria arte, propria storia. Fare la storia di uno o dell’altro regno giudicale non è fare la storia della Sardegna ma la storia di un’entità che vale di per se stessa, e che può essere messa a confronto con altre simili entità coeve insulari e continentali per stabilirne il valore. Per esempio, il Regno di Torres era tanto importante politicamente che nel 1238 l’imperatore Federico II Hohenstaufen di Svevia fece di tutto per far sposare il figlio Enzo con la regina logudorese Adelasia, pur di ottenerne il controllo. Altro esempio, il codice di leggi del Regno di Arborèa, chiamato Carta de Logu, era tanto progredito da non trovar eguali in Europa, sì che rimase attivo per la società arborense, e poi per quella del Regno catalano-aragonese di Sardegna, per quasi mille anni, dal 900 al 1827».
Quindi, i Sardi sono stati uniti qualche volta.
«Non i Sardi; caso mai, e non sempre, erano i sudditi calaritani ad essere uniti fra loro, così come lo erano quelli turritani, galluresi e arborensi. Ma per un suddito arborense, un suddito turritano o calaritano era unu sardu de foras, cioè uno straniero come lo poteva essere un pisano o un tedesco, e spesso e volentieri lo combatteva in una delle tante guerre intergiudicali. Ancora oggi questo contrasto è visibile in molte espressioni etniche».
Senza eccezioni?
«Un sentimento nazionale unitario si ebbe quando, finiti gli Stati giudicali di Càlari, Torres e Gallura, il rimanente Regno di Arborèa nel 1353 entrò in guerra contro il limitrofo Regno di Sardegna, aggregato alla Corona d’Aragona, e quasi tutti i Sardi si unirono agli Oristanesi per fare sarda la Sardegna, fino a quando non furono sconfitti nel 1420. Fu al tempo del grande Mariano IV e della famosa figlia Eleonora, molto celebrata dalla storiografia romantica ma, in realtà, poco conosciuta».
Poi tornammo ad essere miseri e sottomessi?
«Politicamente sì, istituzionalmente no. Nel 1324 si era formato nell’isola, a lato del Regno di Arborèa, il Regno di Sardegna istituito dai Catalano-Aragonesi come tappa commerciale per arrivare ai ricchi mercati del Vicino Oriente attraverso la “rotta delle isole” (Barcellona, Baleari, Sardegna, Sicilia, Cipro, Beirut). Nel 1420, vinto il Regno di Arborèa, il Regno di Sardegna s’identificò con tutta la Sardegna suddivisa in feudi. Il feudalesimo portò miseria e regressione; ma non perché i Catalano-Aragonesi consideravano la Sardegna una colonia da spogliare, ma perché il sistema economico interno dello Stato creava pochi ricchi e molti poveri; e ciò fino al 1839, quando finì da noi il regime feudale. Di contro, questo Regno di Sardegna, per una strana sorte del destino, si sganciò nel 1720 dalla Corona di Spagna, si aggregò con il Principato di Piemonte, condusse il Risorgimento italiano, cambiò nome nel 1861 in Regno d’Italia, e, nel 1946, divenne Repubblica Italiana. Quindi, siamo istituzionalmente il primo nucleo del nostro attuale Stato».
Qualche curiosità del Dizionario?
«Posso citare “il diritto di ventaglina”. Nel Regno di Sardegna era una propina goduta dagli impiegati governativi per l’acquisto di un ventaglio nella calda stagione estiva. Pure il viceré percepiva la ventaglina, ammontante a circa 54 lire italiane. Chissà che l’usanza annuale di regalare, prima delle vacanze estive, da parte della stampa, un ventaglio ai presidenti del Senato e della Camera non derivi da questa antica tassa sarda. Ancora, il Dizionario termina con la storia dell’abitato di Zuri. In periodo medioevale Zuri appartenne alla curadorìa di Guilcièr nel Regno giudicale di Arborèa, a valle rispetto all’attuale centro ricostruito tra il 1923 e il ’25 quando il sito fu sommerso dal lago Omodeo. I suoi abitanti si resero famosi perché, il 17 luglio 1416, fecero a pezzi, nella stupenda chiesetta del villaggio, i traditori arborensi Valore e Bernardo de Ligia. Tipico esempio di autogiustizia sarda».

Silvia Vivanet

:eek: :eek: :mad:
detto da uno storico che dice:
"l'unificazione italiana è nata dai sardi"..........mi fa un pò ridere.

RealPerdullari
06-06-02, 19:10
Originally posted by Perdu


:eek: :eek: :mad:
detto da uno storico che dice:
"l'unificazione italiana è nata dai sardi"..........mi fa un pò ridere.

La Dedica dell'opera "Storia di Sardegna" è:

A Francesco Cossiga
a cui devo il mio momento migliore.

35.000 Francus (beçus) nel 1980.

Perdu
07-06-02, 01:31
Originally posted by RealPerdullari


La Dedica dell'opera "Storia di Sardegna" è:

A Francesco Cossiga
a cui devo il mio momento migliore.

35.000 Francus (beçus) nel 1980.


mmmm.....bell'amighixeddu ki tenit!!!!
:rolleyes: