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Pieffebi
06-06-02, 21:25
La nascita del Gabinetto Tambroni (1960)
Giovanni Gronchi, eletto Presidente della Repubblica nel 1955, già esponente della democrazia cristiana di Murri, del partito popolare di Sturzo, segretario del sindacato cattolico CISL nei primi anni “20, fu durante la guerra di liberazione, il leader della corrente di sinistra della democrazia cristiana, e durante governo Ciellenista di Parri, ebbe il dicastero del Lavoro.
La connotazione “di sinistra” del Gronchi, arcinota, lo accreditò addirittura (!!!), da più fonti, ad una chiamata alla presidenza del Consiglio dei Ministri, nel 1948, nel caso di una vittoria del Fronte Popolare socialcomunista (fra gli altri...Indro Montanelli/Mario Cervi : “L'Italia del Novecento” – pag. 341). Si ipotizzava che dapprima, per non spaventare i moderati, i frontisti vittoriosi volessero affidare la guida del governo ad un uomo della sinistra non marxista, appartenente anzi allo schieramento sconfitto.
L'ironia di certi forumisti di fede stalino-togliattiana ("Montalbano" sul forum principale), sulla collocazione di Gronchi quale...“democristiano di sinistra", è pertanto del tutto malriposta, essendo evidente conseguenza dell'ignoranza se non ...peggio.
Tambroni fu appunto, per anni, un “uomo di Gronchi”, entrambi avevano fatto parte del raggruppamento “Politica Sociale”, costituito da sindacalisti cattolici ed uomini della sinistra cattolica.
AL VII congresso della Democrazia Cristiana, nell'ottobre 1959, Tambroni si era battuto per il ritorno della segreteria politica del partito nelle mani del più deciso sostenitore dell'apertura a sinistra, Amintore Fanfani. Ma Fanfani fu sconfitto di misura da Aldo Moro, allora su posizioni centriste, grazie ai voti della correnti “di destra”, quella di Scelba e quella di Andreotti.
Dopo l'elezione alla Presidenza della Repubblica di Gronchi, Fanfani era diventato il leader della sinistra democristiana, ed al congresso fiorentino del 1959, Tambroni si era proposto come il suo numero due.
Il 21 marzo 1960, pochi mesi dopo quel congresso, Antonio Segni abbandono' il tentativo di dare vita ad un governo “tripartito” (DC-PSDI-PRI), con l'astensione dei socialisti di Nenni.
Questo era, invece, l'obiettivo dichiarato del Capo dello Stato, che prendendo atto della rinuncia di Segni, e delle difficoltà del PSI di accelerare una propria marcia verso la collaborazione con la democrazia cristiana, (a causa sia dell'opposizione della destra DC, ma anche del condizionamento forte che il PCI era in grado avere sulla sinistra socialista), si indusse a promuovere un “governo di transizione del Presidente”.
Il quotidiano “La Stampa” nel numero del 22 marzo 1960, così intitolò : “Tambroni tenterà il monocolore per poter approvare i bilanci”. L'obiettivo di Gronchi era infatti quello di affidare al fidato Tambroni l'incarico di un “governo istituzionale” per i compiti di ordinaria amministrazione e l'espletamento dei doveri costituzionali, in attesa di un chiarimento del quadro politico che potesse permettere la ripresa della marcia verso “l'apertura a sinistra” ai socialisti nenniani.
Nel passato di Tambroni, per la verità, non mancavano nei. Dopo l'iniziale fervente attività antifascista degli anni “20, l'avvocato marchigiano si era ritirato dalla vita politica, fino a prendere addirittura la tessera del partito fascista, partecipando alla guerra in camicia nera. Ma già nel 1943/44 la sua partecipazione alla rifondazione della DC, su posizioni “di sinistra” è ampiamente attestata. Tambroni viene anche accusato da Galasso...di aver fatto clandestinamente convogliare i voti missini sulla figura di Gronchi, in occasione dell'elezione di questo ultimo alla carica di Capo dello Stato.
Tuttavia alla nascita del ministero Tambroni le caratterizzazioni da tutte percepite di quel tentativo, promosso dal Capo dello Stato, erano intese universalmente come sopra sintetizzato.
Gronchi confidava nel fatto che i socialisti, che si erano dimostrati ben disposti, dal congresso democristiano di Firenze in poi, nei confronti di Tambroni, si inducessero infine a garantire la propria astensione (“non opposizione”) al nuovo governo “ponte”.
Una cauta aperture parve venire da parte dello stesso Pietro Nenni sull'Avanti del 22 marzo 1960, con l'articolo “Una crisi fredda”, ove il leader socialista salutò in Tambroni “l'uomo della coraggiosa battaglia di sinistra al Congresso di Firenze e dell'azione condotta all'interno del defunto gabinetto Segni, contro la sua involuzione in senso reazionario”. Ma questo articolo di Nenni non piacque a Sandro Pertini e Riccardo Lombardi, secondo i quali un'apertura di credito alla DC era prematura, se questo partito non avesse inequivocabilmente dimostrato la volontà di effettuare una definitiva rottura “con la destra economica e politica” del paese.
Secondo la sinistra socialista, nella sostanza, il partito doveva insistere sui tre punti programmatici già presentati ad Antonio Segni, come base ineludibile dell'avvio di una proficua collaborazione.
I tre punti erano : Regioni, nazionalizzazione dell'energia elettrica, riforma della scuola.
Mentre il PSI faceva marcia indietro, si fece avanti Michelini, il segretario “moderato” del partito neofascista, che annunciò, in coerenza con la sua strategia di “entrata del partito nelle istituzioni della repubblica antifascista”,un suo eventuale sostegno al gabinetto Tambroni, qualora si fosse manifestato come un governo “amministrativo, con compiti “tecnici”, senza velleità verso “l'apertura a sinistra”.
In questo quadro si inserì l'ipotesi di Giorgio Amendola, sulla possibilità di un'astensione comunista verso un futuro governo di centro-sinistra con un programma “riformatore”.
Il PCI si spingeva persino a una riapertura di credito nei confronti dei socialdemocratici saragattiani, inducendo Nenni ad un atteggiamento attesista e difensivo, considerata l'influenza notevole che i comunisti potevano ancora vantare sulla sinistra del suo partito.
A questo punto Tambroni sfuggì di mano al Capo dello Stato e non ne seguì i consigli e le direttive, ritenendosi in grado di assicurare “un governo di transizione” puramente “amministrativo”, sul quale la natura delle convergenze non poteva rivestire alcun serio significato politico, se non un tentativo di condizionamento privo di possibilità di concretizzarsi.
Tambroni si orientò di fatto verso un monocolore privo di una concreta caratterizzazione, tanto e vero che, il presidente del consiglio designato escluse persino il tradizionale ricorso alle consultazioni dei partiti, nella fase della sua costituzione.
L'obiettivo strategico di Tambroni, come riconobbe lo stesso Aldo Moro, era da inserire tuttavia nel “processo di transizione” al centro-sinistra. Il Gabinetto comprendeva i rappresentanti di tutte le anime democristiane. Fu nel governo tambroni che trovò spazio la figura di Benigno Zaccagnini (futuro leader della sinistra dc) al ministero del lavoro. Mentre l'ex capo partigiano cattolico Taviani fu insediato al ministero degli interni. Strutturalmente il governo Tambroni non era dissimile da quello Segni, e ciò scatenò una dura reazione del PCI, che a firma di Luigi Pintor.... definì ” impresentabile” il nuovo governo, su l'Unità del 26 marzo 1960.
La fiducia fu ottenuta di fatto grazie al voto determinante di alcuni monarchici e del partito neofascista del MSI. Questo scatenò la “dissociazione” di Taviani e Pastore, che ammonirono Tambroni ad non affidarsi in modo determinante ai voti di “partiti democraticamente non ancora maturi”.
Paradossalmente Nenni e la sinistra DC furono molto meno severi, e per certi versi, persino possibilisti.
Anzi a nome di basisti Galloni confermò la piena fiducia all'esperimento Tambroni, considerandolo sempre una necessaria operazione in vista dell'imminente apertura a sinistra.
Il resto è storia nota, sulla quale, se è il caso, ci soffermeremo più avanti.

Cordiali saluti.