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Visualizza Versione Completa : I crimini dello stalinismo italiano: Gemisto (Francesco Moranino)



Pieffebi
06-06-02, 21:28
Il 26 novembre 1944, qui in Piemonte, nel vercellese, i “partigiani comunisti” locali, comandati da un tal Gemisto, nome di battaglia di Francesco Moranino, trucidarono, tradendoli, alcuni partigiani democratici facenti parte della “missione Strassera” (dal nome dell'agente del Regno del Sud che li guidava). I componenti della missione antifascista, lo stesso Strassera e quattro partigiani democratici, avrebbero dovuto essere scortati, secondo gli accordi, dagli uomini di Moranino verso il confine Svizzero, ove erano ad attenderli le mogli.
La radio alleata trasmise il convenzionale messaggio per segnalare che la missione era stata compiuta, tranquillizzando i familiari dei partitigiani democratici rimasti in Italia. Ma , in realtà, i comunisti di Gemisto avevano provveduto a liquidarli, nella logica della “disarticolazione” delle
forze del Sud, variante dialettica della tattica di “unità Ciellenista” del partito stalino-togliattiano.
Le cinque vittime dell'eccidio, meno noto ma altrettanto criminoso di quello infame di Porzus, furono:
. Emanuele Strassera : agente del Sud, sbarcato sulla costa ligure da un sommergibile USA, all'inizio dell'estate 1944;
. Gennaro Santucci: partigiano;
. Ezio Campasso: partigiano;
. Mario Francesconi: partigiano;
.Giovanni Scimone: partigiano;
Al fine di coprire il delitto, il partigiano comunista Gemisto, pensò bene di uccidere anche due delle mogli degli sventurati che aveva assassinato. La criminosa liquidazione di Maria Santucci e Maria Francesconi venne attuata il 9 gennaio 1945. Una quarantina di giorni dopo l'assassinio dei membri della missione Strassera. I partigiani comunisti cercarono di far ricadere la responsabilità della morte delle due donne, liquidate perchè stavano per scoprire la verità sulla sorte dei loro mariti, sui fascisti ed i loro feroci rastrellamenti.
La Corte di assise di Firenze, nel 1956, appurò la responsabilità di Moranino e della sua formazione partigiana comunista e condannò Francesco Moranino detto Gemisto all'ergastolo.
Le motivazioni della sentenza descrivono Moranino attore di ”un comportamento ispirato ad una faziosità politica, ed ai metodi usati, rivelatori di un'assoluta mancanza di umanità che hanno raggiunto i limiti di uno spietato cinismo”.
La sentenza di condanna all'ergastolo per i descritti crimini contro pretese “spie fasciste” e contro le loro mogli, fu confermata dalla Corte d'Assiste d'Appello nel 1957.
Francesco Morarino detto Gemisto, militante stalinista “duro e puro”, era nato a Tollegno, nel Billese, il 15 gennaio 1920 da una famiglia di operai, ed era già stato arrestato nel 1940 per attività antifasciste ed inviato al confino, ove aveva potuto entrare in contatto con uomini di spicco del partito come Amendola e soprattutto Giancarlo Pajetta.
http://www.pageonline.it/pageonline/storiapersonaggi/moranino/immagini/moranico.GIF
Non scontò mai la condanna all'ergastolo. Fu fatto fuggire dall'organizzazione comunista “Soccorso Rosso”, e riparò in Cecoslovacchia, ove lavorò a “Radio Praga”, dando anche la sua voce a trasmissioni di propaganda stalinista “in lingua italiana”. Fu graziato dal Presidente Saragat, e tornò in Italia, ove il PCI lo accolse a braccia aperte. Fu eletto deputato della Repubblica , nelle liste del Partito Comunista Italiano di Luigi Longo, alle elezioni politiche del maggio 1968.
Un onorevole ergastolano, assassino patentato e simbolo della connivenza del partito comunista togliattiano - stalinista con le bande di assassini che nel Vercellese come a Porzus, e in molte altre parti d'Italia, ovviamente per la “sacrosanta” causa “democratica” e “progressiva” del comunismo, avevano compiuto crimini inauditi contro i partigiani democratici ed altri antifascisti, e/o contro le loro famiglie.

Cordiali Saluti.

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Pieffebi
15-03-07, 20:56
Un fatto storico inquietante. Altro tema da riprendere.

Saluti liberali

Red Shadow
21-03-07, 14:47
Francesco Moranino


Nato a Tollegno (Vercelli) il 16 febbraio 1920, deceduto a Grugliasco (Torino) il 18 giugno 1971, operaio e poi tecnico tessile.

Nel 1940 si era iscritto al Partito comunista clandestino e già l’anno dopo era finito davanti al Tribunale speciale. Condannato a 12 anni di reclusione, Moranino fu detenuto a Civitavecchia sino alla caduta del fascismo. Il tempo di tornare a casa ed eccolo organizzare, nel settembre del 1943, con il nome di battaglia di Gemisto, le prime formazioni partigiane nel Biellese. Dopo essere stato comandante del distaccamento Garibaldi "Pisacane", "Gemisto" assunse il comando della 50a Brigata Garibaldi che diresse sino a quando gli fu affidato l’incarico, prima di comandante e poi di commissario politico della XII Divisione Garibaldi "Nedo".
Alla Liberazione, "Gemisto" divenne segretario della Federazione comunista biellese e valsesiana e fu quindi eletto nel 1946 deputato alla Costituente. Sottosegretario alla Difesa nel terzo governo De Gasperi, Moranino fu rieletto deputato nel 1948. Nel 1951 fu nominato segretario della Federazione mondiale della gioventù democratica.
Nello stesso anno una montatura giudiziaria, che aveva come obiettivo la Resistenza nel suo complesso ("Gemisto" era stato accusato dell’eliminazione di sette persone, avvenuta nella zona partigiana controllata dalla sua formazione), costrinse Moranino a riparare in Cecoslovacchia per sfuggire all’arresto. Rieletto parlamentare nel 1953, Moranino poté tornare in Italia, ma dovette di nuovo riparare all’estero, quando una maggioranza di centrodestra votò alla Camera l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Processato in contumacia, nel 1956, "Gemisto" fu condannato all’ergastolo.
Era così evidente l’intento persecutorio contro il comandante partigiano che, nel 1958, il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, decretò la commutazione della pena in dieci anni di reclusione. Il provvedimento avrebbe consentito a Moranino di tornare in Italia, ma il comandante partigiano rifiutò di accettare questa sorta di grazia. Rimpatriò soltanto quando fu ufficialmente riconosciuto che i fatti di cui era accusato erano "atti di guerra" (tra l’altro non da lui ordinati), connessi con la Guerra di Liberazione e quindi giuridicamente legittimi.
Rientrato in Italia, Moranino fu eletto, nel 1968, senatore nel collegio di Vercelli con 38.446 voti. Morì, tre anni dopo, stroncato da un infarto.

Sei un sovversivo che vuole sovvertire le leggi italiane della Repubblica antifascista e democratica.

Red Shadow
21-03-07, 14:52
Da Wikipedia:

Nel 1958 alcuni sospetti sullo svolgimento del processo e delle indagini, che per molti avevano come solo scopo un intento persecutorio contro il comandante partigiano, portarono il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi a commutare la pena in dieci anni di reclusione (cosa che avrebbe permesso al Moranino di rientrare in Italia).
Insomma il solito forcaiolo totalitario antidemocratico!!!

Pieffebi
21-03-07, 15:23
I tribunali dell'Italia democratica e antifascista, sulla base delle indagini delle forze dell'ordine e delle prove schiaccianti prodotte dalla procura della Repubblica di Torino, su istanza delle famiglie dei partigiani antifascisti assassinati da Moranino e subordinati, servi dell'ideologia criminale del comunismo nella versione infame dello stalinismo, hanno provato con sentenza passata in giudicato la responsabilità penale del traditore della causa partigiana Francesco Moranino detto Gemisto.
Il resto è solo frutto della miseria morale e intellettiva del fascista rosso RedShadow, troll stalinista, e noto mistificatore internettiano.

Passo e chiudo.

Shalom


dalla sentenza di condanna di Moranino Gemisto, ergastolano fuggiasco e parlamentare del PCI:


«Perfino la scelta degli esecutori dell'eccidio venne fatta tra i più delinquenti e sanguinari della formazione. Avvenuta la fucilazione, essi si buttarono sulle vittime depredandole di quanto avevano indosso. Nel percorso di ritorno si fermarono a banchettare in un'osteria e per l'impresa compiuta ricevettero in premio del denaro.»


Saluti antifascisti e anticomunisti

Shalom

Red Shadow
21-03-07, 15:34
Ci fu la revisione del processo e Moranino venne assolto. Forcaiolo!!!!
Avevano fatto fucilare, non lui per altro, 5 ex repubblichini sospettati di essere spie.

Pieffebi
21-03-07, 15:43
ma va de via i ciap, nazirosso

Red Shadow
21-03-07, 17:02
ma va de via i ciap, nazirosso

Tu stai infamando un eroe della Resistenza, Moranino, assolto da un Tribunale Repubblicano. Sei passibile di denuncia per diffamazione. La solita tattica infame dei nazi-liberali. Garantista con gli amici e forcaiola con i nemici.
L'unico innocente perseguitato dalla Giustizia è Berlusconi..già lo sappiamo. E' vecchia la storiella.

Red Shadow
21-03-07, 18:53
Comunque qui ci sono la relazione di maggioranza e quella di minoranza per l'autorizzaione a procedere nei confronti di Moranino. Segnalo in particolare la relazione di Riccardo Lombardi a difesa di Moranino. Ci si può fare una idea del problema.
Il pubblico accusatore del primo processo fu il Dott. Nigro ex epurato repubblichino.
Qui siamo comunque sulla stessa falsariga dei processi contro i partigiani di Via Rasella. Non si volle riconoscere a Morarnino lo status di combattente. Secondo l'amnistia qualsiasi azione fatta dai partigiani che non fossero reati comunii, era lecita. Anche l'eliminazione delle spie. I partigiani ritenevano che i 5 fossero spie. Uno era stato espulso dal partito d'azione, che nutriva molti sospetti sulla sua affidabilità. C'erano parecchi indizi a carico. I lanci di armi di cui erano responsabili andavano sempre a cadere in mano fasciste ecc.
http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stenografici/sed0255/sed0255.pdf

Red Shadow
21-03-07, 19:13
Il brigatista nero Quargnul, cosulataosi con il cappellano del carcere, e quindi non ivitato dalla difesa dichiara al PM:
"Io, il Santucci e il Francesconi (due delle vittime) siamo stati incaricati dalla Brigata Nera a recarci nella zona dove operava la Divisione Moranino per fare opera di spionaggio"

Questi non erano partigiani "bianchi" come si dice. Dato che si erano rivolti prima agli azionisti che li avevano rifiutati e poi ai garibaldini. Se erano davvero partigiani, erano partigiani "rossi" a tutti gli effetti.

il problema è che l'anticomunismo è diventata una scienza peripatetica (in senso medievale) per cui non si vanno a controllare i documenti ma dal fatto che uno è comunista si deduce che è un criminale. E' una scienza tipicamente deduttiva.

Pieffebi
21-03-07, 21:02
Tu stai infamando un eroe della Resistenza, Moranino, assolto da un Tribunale Repubblicano. Sei passibile di denuncia per diffamazione. La solita tattica infame dei nazi-liberali. Garantista con gli amici e forcaiola con i nemici.
L'unico innocente perseguitato dalla Giustizia è Berlusconi..già lo sappiamo. E' vecchia la storiella.

Tu stai infamando le vittime innocenti della "giustizia sommaria" di una banda eversiva comunista, come quella che si è macchiata dell'infame strage di Porzus, e tante altre........banda il cui capo è stato condannato all'ergastolo, con sentenza passata in giudicato, dai tribunali della Repubblica antifascista, per aver fucilato un eroe della Resistenza, Emanuele Strassera (a cui la Genova antifascista ha dedicato persino una via) e altri partigiani, suoi collaboratori (e due delle loro mogli, colpevoli solo di ricercare la verità sulla scomparsa dei loro uomini). Tu infami profondamente queste come le altre povere vittime dell'ideologia illiberale e squallida che professi e difendi con tonnellate di mistificazioni e con ridicoli negazionismi alla Irving e Mattogno, persino degli universalmente ormai riconosciuti crimini del comunismo sovietico di Baffone.
Vatti a nascondere, calunniatore da 4 soldi.

Addio


P.S. = a far tacere la campagna di informazione contro Moranino e complici, ordita dal foglio liberale piemontese la Verità, e del suo direttore Morbello ci provarono già nel 1948. Tanto è vero che il giornale dovette trasferirsi da Vercelli a Torino, per sfuggire anche alle minacce dei molto democratici stalinisti locali.
Tra gli accusatori più duri e documentati di Moranino, poi, in parlamento, vi fu ....un certo Oscar Luigi Scalfaro, che forse qualcuno ricorda anche per essersi distinto in sentenze di morte, come magistrato di Novara, contro criminali fascisti repubblicani piemontesi.

Pieffebi
21-03-07, 23:03
Riguardo alla vergognose calunnie di Moranino su Santucci, al processo ben tre testimoni, membri della resistenza azionista smentirono radicalmente le sue dichiarazioni infamanti. Tra questi due dirigenti locali del Partito D'Azione, l'avvocato Francesco Patoja ed Eligio Daffara. E non solo!
Ad esempio, tra gli altri, anche il partigiano azionista Dario Ramella (nome di battaglia FERRO) dichiarò che, contrariamente a quanto asserito dai mistificatori comunisti che difendevano i delitti di Gemisto, "il Sergio e Il Mario (nomi di battaglia dei calunniati da Gemisto) si trovavano nella sua formazione da circa tre mesi dove il predetto Santucci (il "Sergio") ricopriva la funzione di vicecomandante di Divisione.
Secondo il predetto Dario Ramella (partigiano Ferro), le vittime delle esecuzioni sommarie erano tutt'altro che spie fasciste, ed erano invece state eliminati "perchè avevano avuto modo di vedere troppe cose compromettenti per Gemisto: cose che espatriando potevano riferire altrove"
Del resto anche due partigiani comunisti agli ordini dello stesso Gemisto dichiararono nel 1949 (si tratta di Ivano Brina, detto Pistola e Achille Vittino detto Gat) che avevano avuto l'incarico di controllare da vicino "i due genovesi", e di aver riferito chiaramente a Francesco Moranino, detto appunto Gemisto che "sul loro conto non vi era nulla da dire.
Ossia che erano "puliti", e quindi eventuali sospetti che si trattasse di "spie dei fascisti" non trovavano minimamente riscontro nei comportamenti osservati.
Riguardo alle mogli delle vittime di Gemisto, a propria volta uccise perchè stavano per scoprire la verità sulla sorte dei loro uomini, le testimonianze (si veda quella di Silvana Casadei di Flecchia) concordano nell'affermare che "se ne stavano tranquille in casa e non uscivano mai". In particolare la moglie di Santucci se stava rintanata perchè sapeva di essere ricercata dai fascisti, e se ne scese solo una volta in Vercelli per recupare la famosa radio dalla quale sentì dagli alleati il messaggio in codice che "Paolo sta bene", che avrebbe dovuto segnalare l'arrivo dei partigiani della missione Strassera, sani e salvi in Svizzera. Sta di fatto che Gemisto, secondo le testimonianze emerse sia durante le indagini che durante il processo, fece prelevare le due donne e le fece uccidere. In paese si era fatto persino credere che il prelevamento delle due donne era stato fatto per proteggerle dai fascisti!!!
Altro che eroe Gemisto e spie fasciste giustiziate.

Saluti liberali

Red Shadow
22-03-07, 10:09
Ecco in quale tranquillo clima si svolge la riunione per l'autorizzazione a procedere nei confronti dell' Onorevole Moranino. Repressione della libertà di stampa, della libertà di espressione (ridicolo l'intervento contro il Film Senso). repressione antisindacale, provocazi anticomuniste, e gli americani che esigono i licenziamento degli operai di sinistra

4 gennaio 1955
A Parigi, l’ambasciatore italiano Pietro Quaroni invia al presidente della repubblica Luigi Einaudi, tramite il funzionario del ministero degli Esteri B. Mosca, una lettera nella quale fa ironicamente notare come il piano Vanoni sia "l’unico obiettivo serio ed importante della politica estera italiana" che occorrerebbe cercare di realizzare trovando appoggi all’estero, mentre invece il governo è troppo impegnato nella lotta interna al comunismo e alla disoccupazione per svolgere una politica estera seria.

4 gennaio 1955
Su decreto del ministro dell’Interno Scelba, è sciolto il consiglio comunale di Rimini (di sinistra). Fra le motivazioni, vi è la mancata applicazione di alcuni tributi, tassa di famiglia, patente e tassa di licenza, nella misura voluta dalla Prefettura. E’ anche sospeso con decreto prefettizio il sindaco di Camposanto (Modena) Anello Vezzali perché in una pubblica riunione "usando un frasario violento e provocatorio, si è scagliato contro gli organi della Prefettura, accusandoli di intralciare l’opera dell’amministrazione comunale".

6 gennaio 1955
Il ministro dei Trasporti conferma il licenziamento di 1.500 lavoratori degli appalti ferroviari.

7 gennaio 1955
A Roma, il procuratore generale della Corte d’appello, dottor Giocoli, nella inaugurazione all’anno giudiziario, auspica misure restrittive della libertà di stampa, alla quale "non si devono sottoporre i beni dell’ordine pubblico, del buon costume, dell’onore individuale e dei segreti di carattere politico, militare e istruttorio"; viceversa è questa libertà ad essere subordinata all’interesse dello Stato. Repressione

10 gennaio 1955
Il Tribunale di Bologna giudica Giuseppe Brini e Remigio Barbieri, rispettivamente responsabile e articolista di "La lotta" per vilipendio alle istituzioni (cfr.21 dicembre 1954) e li condanna a 11 mesi di reclusione ciascuno. Altri giornalisti e redattori di organi di stampa comunisti e socialisti sono denunciati tra gennaio e febbraio: Davide Lajolo, Rubens Tedeschi, Giosuè Ravaioli, Luciano Bergonzini, Luciano Barca, Aroldo Torelli, Rubens Borghi (condannato a 7 mesi), Vittorio Bardini, Silvano Armaroli, Carlo Colombo, Rinaldo Rinaldi, Ermanno Tondi, Gaetano Loreti, Sergio Soglia, Gaetano Frontali, Lanfranco Bugatti, Vittorio Vezzali, Giancarlo Grazia, Enzo Peruzzi, Domenico Fonti, Mario Stefano Maffei, Adriano Zana e la scrittrice Renata Viganò. In relazione ad un articolo del giornale sindacale "Lotte della Breda", il responsabile della commissione interna della III Breda di Milano è licenziato. Denunciato anche Palmiro Togliatti per vilipendio del Presidente della repubblica, per la reazione allo scioglimento del consiglio comunale di Rimini.

10 gennaio 1955
Con nota diretta al Viminale, si informa che George Weller "nato a Boston il 13 luglio 1907, domiciliato a Roma…, corrispondente in Italia del ‘Chicago Daily news’ con ufficio in Roma in via Mercede 54, ha in questi giorni preso contatto con gli esponenti del movimento ‘Pace e libertà’ col pretesto di voler constatare de visu l’attività e il funzionamento del comitato, allo scopo di farne oggetto di una serie di articoli. Si ritiene però che il Weller sia stato incaricato di svolgere una minuziosa indagine sul movimento ‘Pace e libertà’ in relazione alla recente scissione e costituzione dell’altro movimento ‘Pace e lavoro’…". Controllo politico di Stato e informative. Strutture clandestine e semiclandestine

17 gennaio 1955
A Milano, la Corte d’assise giudica Angelo Bertagna, Aldo Bertagna, Ferruccio Manzoni di Sesto San Giovanni accusati dell’uccisione, avvenuta il 27 aprile 1945 di Hermann, Clelia e Cirena Laube. Secondo i partigiani l’intera famiglia era collaborazionista.

20 gennaio 1955
A Bologna, si riapre la vertenza Ducati con altre 527 lettere di licenziamento dirette a lavoratori che, secondo i precedenti accordi, frequentavano corsi di riqualificazione per sospesi. I lavoratori, che si presentano al corso chiedendo il rispetto degli accordi, sono allontanati a forza dalla polizia. Repressione armata

20 gennaio 1955
A Genova, si apre la lunga lotta dei portuali contro il decreto che impone la ‘libera scelta’, vale a dire il diritto degli armatori di scegliere liberamente la manodopera fuori delle Compagnie. Analogo tentativo era stato fatto da Mussolini nel 1927 ma era rientrato in pochi mesi per l’opposizione delle categorie economiche cittadine e dell’allora podestà. La polizia carica violentemente a piazza Bianchi, provocando contusi e feriti fra i quali il più grave è Rino Lamberti. Scioperano anche i tranvieri, uno dei quali è picchiato durante le cariche. Gli armatori cercano di organizzare il crumiraggio ma il nuovo personale, inesperto, provoca il danneggiamento di una nave ed essi devono temporaneamente desistere dal tentativo.

22 gennaio 1955
Ernesto De Marzio, parlamentare del Msi, rifiuta di pronunciare un intervento alla Camera perché presidente di turno è il comunista Edoardo D’Onofrio, indicato come torturatore di soldati italiani in Russia. La Dc propone di aprire un’inchiesta sul conto di D’Onofrio ma il Psi si oppone. De Marzio è sospeso dai lavori parlamentari.

22 gennaio 1955
A Genova, si svolge uno sciopero di due ore in appoggio all’agitazione dei portuali per contrastare il decreto governativo che vorrebbe introdurre il sistema della ‘libera scelta’. La polizia, presente in forze, crea ancora tensione.

24 gennaio 1955
A Torino, il servizio informazioni della Fiat redige una scheda informativa sul conto di M. D. , ex "staffetta partigiana" e militante del Partito d’azione, di cui ora si sospetta che svolga attività politica a favore del Pci. M. D. non ha alcun rapporto con la Fiat.

25 gennaio 1955
A Genova, la polizia carica nuovamente i portuali in lotta. Tra i feriti per le cariche, 3 sono particolarmente gravi e fra essi una donna aggredita con bastonate alla testa. Molti negozi abbassano le saracinesche per solidarietà con i lavoratori colpiti.

25 gennaio 1955
A Milano, la polizia interviene contro gli operai della Innocenti, in lotta contro 100 licenziamenti, e opera alcuni fermi.

26 gennaio 1955
A partire da questa data, la protesta dei portuali si allarga ai porti di Savona, Vado, Ancona, Civitavecchia e Piombino e in diversi stabilimenti collegati alla produzione navale, come Ansaldo Meccanica.

27 gennaio 1955
La Camera dei deputati vota l’autorizzazione a procedere contro il comunista Francesco Moranino, ex comandante partigiano, denunciato dalla Procura di Torino per fatti accaduti a Portula biellese durante la lotta di liberazione. Moranino (‘Gemisto’), comandante della divisione partigiana Nedo, aveva ordinato l’uccisione di 7 persone (5 partigiani e 2 donne: Gennaro Santucci, Mario Francesconi, Giovanni Simone, Emanuele Strassera, Ezio Campasso, Maria Dau, Maria Martinelli) della cui attività di spie non vi era alcuna certezza; i dubbi anzi riguardavano i soli Francesconi e Campasso, ma ‘Gemisto’ aveva preso la decisione di eliminare l’intero gruppo. (Vedi nota del 29 novembre 1950). Il procedimento si è messo in moto su segnalazione del giornale di Biella "La verità", secondo cui Moranino avrebbe ordinato la soppressione dei sette non perché sospette spie, come asseriscono i comunisti, ma per impedire che segnalassero la sua condotta scorretta nei confronti di partigiani non comunisti. Repressione partigiani

27 gennaio 1955
E’ votata l’autorizzazione a procedere anche per Mario Montagnana, già direttore de "l’Unità", denunciato per ‘istigazione di militari a disobbedire alle leggi’ in relazione ad un articolo in cui si riferiva dell’invito del Comitato novarese per la pace a respingere le ‘cartoline rosa’. Autorizzazione a procedere contro l’onorevole Maglietta, sempre comunista, denunciato per vilipendio alle Forze armate dai carabinieri di Avellino, a causa di un comizio in cui criticava i costumi militari; e infine contro l’on. Faletra per ‘tentata estorsione aggravata’ per avere, come dirigente sindacale, sollecitato e firmato un accordo collettivo che obbligava gli agrari di Gela ad assorbire manodopera in ragione di 10 giornate lavorative ad ettaro e versare entro 5 giorni 11 milioni per costituire un fondo destinato a soccorrere i braccianti feriti durante le manifestazioni di protesta.

28 gennaio 1955
Una nota della divisione Affari riservati del ministero degli Interni afferma: "Il senatore Teresio Guglielmone (Dc) si è prestato per sostenere una parte delle spese che l’organizzazione Pace e Libertà sta affrontando nella campagna elettorale siciliana. Operano colà, per conto di tale organizzazione, tre ispettori: il dottor Armando Pavoni, ex ufficiale della X Mas della Repubblica di Salò, per i contatti con i missini; il capitano Antonio Galante (Dc), monarchico e favorevole al centro destra, per i contatti con la Dc e i monarchici; il dottor Gino Silvestri, già del Pci, per il collegamento con il Psdi e l’estrema sinistra. I compiti assegnati a tale gruppo di ispettori sono quelli di costante disturbo dello schieramento socialcomunista".

gennaio 1955
Il colonnello Luigi Oliveri, comandante dell’organizzazione ‘O’, scrive al generale Renzi, comandante del V Corpo d’armata da cui ‘O’ dipende, che si tratta "di un organismo latente che diverrà operante solo in caso di mobilitazione. I suoi aderenti in pace vincolano la loro parola di cittadini patriottici e hanno solo compiti informativi".

gennaio 1955
La Marzotto di Valdagno (Vicenza) annuncia 546 sospensioni. Altre centinaia sono previste nella zona di Varese, Monza e Villacortese, 600 alla Dell’Acqua del gruppo Riva, mentre a Bergamo si apre l’agitazione contro la chiusura dello Sti (Stabilimenti tessili italiani).

3 febbraio 1955
A Genova, polizia e carabinieri, con rinforzi pervenuti dalle città limitrofe, caricano una manifestazione di portuali con epicentro nelle piazze Matteotti e Pollaioli. Gli agenti attaccano con lacrimogeni, inseguendo e bastonando i manifestanti fino ai portoni della chiesa di S. Ambrogio. Diversi negozianti solidarizzano coi portuali e gettano carciofi e pomodori in direzione degli agenti.

4 febbraio 1955
Il governo annuncia il licenziamento di 3.000 lavoratori dalle miniere sarde del Sulcis. Più tardi, ridurrà le richieste a 500 licenziamenti.

5 febbraio 1955
La VII flotta americana, facendo seguito alle pesanti intromissioni di Eisenhower e del governo americano nella guerra civile cinese, interviene alle isole Tacen in appoggio a Ciang Kai Sheck. Stati Uniti

5 febbraio 1955
A Roma, in Parlamento, le opposizioni di sinistra denunciano la prevaricazione degli Usa e l’occupazione dei territori: le basi americane esistono in 34 paesi, 31 dei quali come potenziale offensivo verso l’Est; il loro numero sarebbe 850, 500 delle quali in Estremo Oriente. Stati Uniti

5-6 febbraio 1955
A Torino, si svolge un convegno della Cgil sulle libertà sindacali e per denunciare i metodi perseguiti alla Fiat: licenziamenti e sospensioni di rappresaglia, perquisizioni agli ingressi, premi ai dipendenti che non aderiscono agli scioperi, organizzazione della polizia interna. Conclude il convegno Giuseppe Di Vittorio. Movimento operaio- sindacati

6 febbraio 1955
In diverse località si svolgono manifestazioni sindacali delle categorie agricole per chiedere la riforma dei patti agrari. La Cisl si muoverà peraltro in modo indipendente, accettando la bozza di progetto Scelba-Saragat. e

10 febbraio 1955
A Rovigo, la Cisl invia una lettera ai postelegrafonici aderenti alla Cgil: "…Se non siete comunisti dovete capire oramai quale delitto commettete verso lo Stato e verso voi stessi, appoggiando e sovvenzionando il sindacato rosso che in Italia è il fondamento del comunismo, e rischiando di subire delle conseguenze che per i vostri veri sentimenti non meritereste. Presto o tardi in Italia si arriverà a chiarire tutti gli assurdi; perché è assurdo che lo Stato tolleri ancora tra i suoi dipendenti i veri comunisti che per logica necessità devono lavorare per distruggerlo, perché è altrettanto assurdo che chi comunista non è appoggi in qualsiasi modo il comunismo dal quale, appunto perché non comunista vero, deve aspettarsi solo danni e malanni…".

11 febbraio 1955
A Roma, nel corso di una riunione del Consiglio dei ministri, Giuseppe Medici si oppone alla concessione di contributi di sostegno all’agricoltura e a provvedimenti di assistenza a mezzadri e braccianti, affermando: "I quattro quinti dei mezzadri sono di estrema sinistra e concedere loro una mutua significa dar vita ad una organizzazione potentissima che verrà usata contro la democrazia".

11 febbraio 1955
A Palosco (Bergamo), le forze di polizia piombano sul cotonificio Del Cherio, per cacciare i lavoratori che occupano lo stabilimento, minacciato da 3 mesi di smobilitazione. Lo sfratto avviene alla presenza del sindaco. Repressione armata

11 febbraio 1955
A Carpi (Modena), la Ps vieta una conferenza del critico cinematografico Guido Aristarco per presentare "Senso" di Luchino Visconti al Supercinema. In occasione della seconda serata di proiezione, la polizia occupa l’atrio del cinema per fare il controllo dei documenti agli spettatori, essendo il film vietato ai minori di anni 16 (cosa che, pur essendo prevista a livello normativo, in pratica è eccezionale), con la motivazione di ‘verificare la vendita dei biglietti non oltre la capienza della sala’.

11-15 febbraio 1955
A Lecco, 2 giovani operai, Giovanni Riva e Roberto Longhi, sono tratti in arresto mentre stanno diffondendo un volantino contro il riarmo tedesco e l’intervento Usa in Cina. A Roma, la Questura vieta diverse manifestazioni e comizi aventi analogo contenuto. A Reggio Emilia, gruppi di celerini a bordo di camion e jeep scorrazzano per la città per disturbare la manifestazione antiamericana del 15, operando 3 arresti e 25 fermi. Qualche giorno dopo, saranno arrestati 4 giovani che volantinano in Galleria, benché la Pretura abbia appena assolto altri giovani, che avevano effettuato nelle settimane precedenti volantinaggi sullo stesso argomento e nello stesso luogo. Repressione armata

12 febbraio 1955
Il Consiglio dei ministri vota emendamenti alla legge Gozzi fra i quali il superamento del principio della giusta causa nelle disdette agrarie, sostituito con quello di indennizzo. In Commissione agricoltura però il progetto, che significa di fatto la liberalizzazione delle disdette a discrezione degli agrari, sarà sospeso per l’opposizione di numerosi parlamentari. Diverse organizzazioni contadine si mobilitano per contrastarlo.

13 febbraio 1955
A Bologna, il prefetto, in una relazione inviata al ministero degli Interni, segnala i provvedimenti adottati per epurare l’amministrazione pubblica dai dipendenti socialcomunisti, curando "altresì l’individuazione nel personale delle scuole di ogni ordine, ed anche in quello direttivo, di elementi infidi, riferendone al Provveditore agli studi per i provvedimenti di competenza"; nonché quelli assunti a carico di sindaci, compresa la sospensione di quello di San Giorgio di Piano "attraverso la quale è stata sanzionata per la prima volta in forma ufficiale l’attività antireligiosa dei sindaci socialcomunisti". Il prefetto segnala infine di "aver intensificato la sorveglianza di quei circoli ricreativi che sotto l’egida dell’Enal sono passati mano a mano e nella quasi totalità alle dipendenze delle organizzazioni socialcomuniste". Repressione

13 febbraio 1955
A Padova, il vescovo Bortignon, in un discorso al clero convenuto nella cattedrale della città, riferendosi ai fatti di Pozzonovo, afferma: "Un potere giudiziario compete al vescovo: potere che egli deve esercitare seguendo leggi e prassi ben definite; potere indipendente da quello del magistrato civile. Forti di questo potere, noi a suo tempo abbiamo voluto renderci conto dei fatti di Pozzonovo, con coscienza e responsabilità di Vescovo, seguendo strade che non sono quelle del magistrato civile… Fatta la denuncia doverosa alla pubblica opinione, tacendo nome e luogo di persone…a noi non restava altro che pregare ed agire nei limiti della nostra competenza, come abbiamo fatto. Non ci siamo mossi per portare davanti al Tribunale civile i fatti di Pozzonovo. E’ stata la pubblica autorità. E di questo noi non abbiamo a lagnarci, che anzi di questo le facciamo un merito, come, del resto, di quanto fa e farà contro chiunque insidi l’ordine morale ed il vivere sociale. Non è colpa nostra, se le teorie del marxismo conducono appunto per il veleno ateo e materialista, a fatti e atteggiamenti che noi non possiamo non condannare". (Vedi nota del 29 dicembre 1954).

17 febbraio 1955
A Washington, Robert Cutler, assistente speciale del presidente Dwight Eisenhower nel National security Council, prepara un breve documento relativo a "un programma di sviluppo economico che interessa l’ambasciatore Luce", nel quale si legge: "La signora Luce è convinta che gli Stati Uniti debbano spendere il loro denaro dove ci sono maggiori possibilità di raggiungere i propri obiettivi". Stati Uniti

17 febbraio 1955
A Genova, in occasione di una nuova manifestazione dei portuali, la polizia non carica ma interviene presso tutti i negozianti che hanno abbassato le saracinesche in solidarietà con i manifestanti, diffidandoli del ritiro della licenza. Repressione armata

17 febbraio 1955
A Milano, la polizia agli ordini del vice questore Cibella, fa irruzione alla Manifattura Corti, occupata dai lavoratori da una settimana come forma di protesta contro le sospensioni. Repressione armata

18 febbraio 1955
A Paderno Dugnano (Milano), la direzione delle Officine Vittoria, dopo la minaccia americana del ritiro della commessa, toglie i cartellini a 174 operai, su 400, iscritti alla Cgil (più tardi i sospesi diventeranno 240). Gli americani non hanno gradito la conquista di 4 seggi su 5 della commissione interna da parte del sindacato rosso. Nei giorni successivi, i lavoratori sospesi che si presentano egualmente allo stabilimento trovano la polizia, insieme ai guardiani, che stabiliscono chi può entrare e chi no.

19 febbraio 1955
Il sottosegretario agli Esteri Benvenuti, rispondendo ad una interpellanza urgente sulle Officine Vittoria dell’onorevole comunista Roveda, dichiara che le notizie sono esatte e che gli Usa hanno revocato le commesse nei due stabilimenti Vittoria di Milano e Piaggio di Palermo, perché in queste fabbriche si vota Cgil. E’ comprensibile, secondo l’esponente governativo, che gli americani si assicurino circa la esecuzione del contratto, perché i prodotti commissionati sono costituiti da materiale militare la cui fabbricazione comporta la conoscenza di formule segrete; ed il governo non ha diritto di impedire ai committenti di scegliere le fabbriche che più gradiscono. Dal canto suo, l’Ambasciata americana a Roma ha comunicato esplicitamente al governo italiano che gli Stati uniti non concederanno commesse militari a quelle industrie italiane nelle quali risulta maggioritaria la presenza della Cgil.

19 febbraio 1955
A Milano, in una nota alla divisione Affari riservati, la Questura informa sugli sviluppi relativi allo scontro in atto fra Edgardo Sogno, a nome di Pace e libertà, e Luigi Cavallo, a nome di Pace e lavoro. La Questura mette in evidenza che "gli interessi di Pace e libertà sono stati patrocinati dall’avvocato Giovanni Bovio, notoriamente di sinistra…e il giudice che ha emesso il provvedimento, dottor Falletti, è considerato pure come di sentimenti criptocomunisti". Controllo politico di Stato e informative.

21 febbraio 1955
A Roma, la Corte di cassazione conferma la mancata concessione delle attenuanti di particolare valore morale e sociale a braccianti condannati per aver partecipato a manifestazioni di protesta: "Hanno particolare valore morale quei motivi che, nella normalità dei casi, determinano azioni moralmente nobili ed elette, e perciò approvate dalla coscienza etica del popolo in un determinato momento storico; hanno invece particolare valore sociale quei motivi che corrispondono alle direttive e alla finalità della comunità organizzata, e sono quindi conformi ai presenti ordinamenti sociali. Non si riscontrano tali requisiti nel caso in cui alcuni braccianti occupino dei fondi, nell’intento di costringere con la violenza i proprietari ad attuare un diverso sfruttamento dei terreni, già pienamente coltivati, per dar lavoro alla manovalanza disoccupata". Repressione

21 febbraio 1955
Edgardo Sogno incarica un commercialista di curare la liquidazione della società editrice ‘Pace e Libertà’ e della Società italiana pubblicità affissioni distribuzioni (Sipad)

22 febbraio 1955
Paolo Sylos Labini, sul periodico "Il Mondo", osserva che l’aumento del reddito "proviene quasi esclusivamente da aumento nella produttività unitaria degli operai: la schiera dei disoccupati – totali e parziali, manifesti e nascosti – cresce e cresce la proporzione della popolazione improduttiva. In quanto poi quell’aumento si traduce in un incremento dei profitti, esso non fa che aumentare la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi individuali. In quanto si traduce in aumento dei salari, esso va a beneficio soltanto dei lavoratori che hanno la fortuna di essere e di restare occupati. Del resto, questi stessi lavoratori occupati si avvantaggiano dell’aumento dei salari nella misura in cui tale aumento supera quello del costo della vita. E negli ultimi anni l’aumento del costo della vita ha reso in gran parte fittizio l’aumento dei salari monetari… L’indice del costo della vita è aumentato, rispetto al 1948, del 20 per cento".

24 febbraio 1955
A Genova, l’Associazione industriali intima il licenziamento a 5 lavoratori delle officine in lotta a fianco dei portuali. Analoga misura è stata presa a Piombino, con 13 licenziamenti in tronco alla Oarn.

25 febbraio 1955
A Bologna, la polizia con caroselli di jeep sgombera la piazza dove si tiene una manifestazione contro l’Ueo ed il riarmo tedesco, insegue i manifestanti ed opera 60 fermi e 20 arresti. Repressione armata

27 febbraio 1955
Il ministro Tambroni, in visita al porto di Genova, risponde no alle richieste dei lavoratori e difende la ‘libera scelta’.

febbraio 1955
A seguito di un accordo fra il Kyp, servizio segreto greco, e l’Is, nasce ‘Pelle di montone rosso’, segmento di Stay behind. Piani occulti.

febbraio 1955
Il Sifar annota nel fascicolo del confidente Gianfranco Bertoli, criptonimo ‘Negro’: "apprezzabile rendimento". Controllo politico di Stato e informative

Red Shadow
22-03-07, 12:30
Relazione FERRANDI,

In cui si chiarisce anche in quali circostanze fu intitolata la via a Genova


Noi, quando avremo detto - e ciò è pacifico - che si tratta di un fatto avvenuto durante la guerra partigiana, per ordine di un capo partigiano, saremo assistiti da questa presunzione di non punibilità di cui l'onorevole relatore di maggioranza ha pur dovuto compiere il riconoscimento, e che non è frutto di opinioni ma è stabilita da una legge dello Stato; da quell'articolo 1 del decreto 9 settembre 1946, n. 96, in base al quale, onorevoli colleghi, dopo anni di ingiusta detonatone, sono stati ora scarcerati tutti i coimputati dell'onorevole Moranino. Scarcerati i coimputati, si vuole invece perseguitare e arrestare, per gli stessi fatti, l'onorevole Moranino !
Dunque, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, secondo lo stesso relatore di maggioranza, noi non abbiamo bisogno, per chiedere che voi neghiate l'autorizzazione a procedere contro l'onorevole Moranino, di dimostrare che si è trattato di un atto di guerra; l'atto di guerra va ritenuto, sino a prova del contrario, per presunzione di legge. Soltanto quando voi dimostraste che non si tratta di un atto di guerra, ma sì tratta di delitti comuni, non spiegabili secondo le necessità della guerra partigiana, soltanto allora voi potreste dire che la Camera si trova di fronte ad un delitto sprovveduto di quelle ragioni di discriminazione, per le quali la legge ha creato la presunzione di non punibilità in ordine a tutti gli atti di guerra partigiana.
…L'onorevole Scal-faro si chiede: erano quelle sette persone, come afferma Moranino, delle spie ?
E l'onorevole Scalfaro risponde negando che oggettivamente ciò possa essere dichiarato. Lo nega in base ad elementi che noi respingiamo. Comunque, risponde negativamente.
Pone poi un'altra domanda il relatore di maggioranza, ed è questa: anche dato che i sette fucilati non fossero delle spie, potevano l'onorevole Moranino e i suoi colleghi del comando della XII divisione «Nedo» ritenere in buona fede che si trattasse di spie ? La domanda è decisiva e inevitabile poiché come conferma il relatore di maggioranza, e come confermerebbero tutti coloro che sanno di diritto penale, il putativo equivarrebbe al reale, e quindi l'avere ritenuto che si trattasse di spie discriminerebbe la uccisione di costoro quanto il fatto che fossero effettivamente delle spie.
… Onorevoli colleghi, riandate al tempo di allora e, se mai avete avuto la diligenza di leggere queste relazioni, pensate a quella che era la situazione nella quale si trovava il comandante Moranino. Novembre 1944: rastrellamenti in atto, rastrellamenti prossimi e già annunziati; una zona particolarmente delicata per la guerra partigiana, quale era quella in cui operava la 50» brigata comandata dal Moranino, divenuta poi la 12» divisione.
….Mi dicano dunque i colleghi della Giunta se non è vero che, durante le nostre discussioni e poi nelle pagine della relazione di maggioranza, la ragione principale, la ragione essenziale addotta per far ritenere che l'onorevole Moranino avesse commesso sette omicidi anziché due atti di guerra, è stata questa: che Moranino ne ha parlato soltanto nel 1949, in un interrogatorio assunto dai carabinieri. E-invece no. Non è vero.
Questa premessa fondamentale della relazione di maggioranza non dico che sia bugiarda, ma certamente è erronea. È vero soltanto questo: che finita la guerra Moranino non ha risposto a molte domande rivoltegli da privati sulla sorte dei sette fucilati, e in confronto di parenti, in confronto di amici dei morti, egli ha, in certi momenti, taciuto una verità che del resto non era giuridicamente obbligato a dire. A spiegazione di questo suo contegno, Moranino ricorda a noi - e lo sanno tutti i deputati partigiani, di qualsiasi colore - come dopo la liberazione sia stato dato ordine di non rivelare, se non attraverso i comandi, le notizie relative a operazioni di guerra.
Perciò Moranino sino ad un certo momento, dopo la guerra, non ha dato notizia dei fatti. Spesso non ha nemmeno risposto. Ma quando ha risposto ha detto il vero. E se il ritardo nell'avere rispósto potesse indurre a interpretazioni pessimistiche, onorevoli colleghi, varie volte in Commissione noi abbiamo chiesto che gli occhi dei colleghi venissero messi su una carta di questo processo, su un documento che proviene da uno dei testi zelatori dell'accusa, da un ex cappellano, «Macario» durante la guerra partigiana, don Casalvolone al secolo. Ecco il documento. Esso smentisce la relazione di maggioranza. Esso dimostra che Moranino rese note le fucilazioni ancora prima che finisse la guerra.
Io non farò lunghe letture, non porterò via del tempo inutile alla Camera. Ma'voi, se leggete la relazione di maggioranza, dovete soffermarvi su questa argomentazione principale della relazione stessa, per cui la malafede di Moranino si dovrebbe de- ….Badate: siamo nell'aprile del 1945. Mo-ranino, « Gemisto », scrive il 9 aprile di quell'anno a Macario, a don Gasalvolone (mi si corregga se non è vero che don Gasalvolone era il cappellano Macario:) « Rispondiamo alla vostra del 9 corrente » (e la lettera, come accennammo, è stata prodotta proprio da don Casalvolone) «nella quale ci chiedete chiarimenti circa la fine di Sergio e Mario Cam-passo e delle loro due mogli. Dalla vostra lettera dimostrate di sapere molto più dettagliatamente di noi quali sono le vicende di queste persone fucilate perché spie. Il nostro tribunale militare invierà a voi copia degli atti di accusa e del processo istruito presso questo comando di divisione ».
Siamo al 9 aprile 1945. Dunque non è vero, dunque è bugiardo che Moranino non abbia detto fino al 1949 che quelle persone erano state fucilate perché ritenute delle spie. Non solo. Quando i tedeschi si allontanarono dalla zona e fu possibile recuperare e dare nuova sepoltura alle salme in terra consacrata, Gemisto, alla fine di aprile, dava, sempre a don Casalvolone, un suo scritto con la autorizzazione affinchè la sepoltura avvenisse. Anche questa carta è qui sotto i nostri occhi, fra gli atti del processo.
Non ha parlato, Gemisto, sino al 1949, e le famiglie hanno ignorato ? Vi era qualche cosa ancora da nascondere ? Abbiamo rispetto di noi stessi, e smettiamola di parlare di occultamento dei fatti da parte di Moranino. Qui, in queste carte è la pròva che le famiglie dei fucilati, nessuna eclusa, seppero la verità, alcune ancor prima che finisse la guerra, e altre a guerra appena finita. Nessuna di esse fece allora denuncia. Altri fattori diedero origine al processo, da altre fonti politiche e da scopi politici nacque la causa.
..Da dove nasce questo processo ? Io lascio al relatore di maggioranza di controllarmi. Nasce da una offensiva di stampo fascista. Lo vedremo tra poco. Ma intanto vogliamo compiere un altro rilievo. Vi è uno degli esecutori, un certo Giorgio Perricone, il quale non è stato processato. Contro di lui non vi era bisogno di domandare l'autorizzazione a procedere. Eppure non è stato sottoposto a processo.
Questo Giorgio Perricone funziona invece come teste d'accusa. Questo Giorgio Perricone è colui che aveva predisposto gli uomini che dovevano procedere e procedettero alla esecuzione del 26 novembre 1944. E questo Giorgio Perricone dice al magistrato, il 5 marzo 1947, le cose che noi sappiamo oggi dalla relazione di maggioranza. Dice lui stesso che il motivo dell'esecuzione fu indicato fin da allora nella attività, spionistica e degli uomini e delle donne. Tuttavia questo processo non nasce neanche dalle dichiarazioni di un teste di questa fatta, responsabile materiale delle uccisioni.
Davvero non so perché costui (o lo vedo troppo chiaro il perché) non è stato processato, non è stato mai arrestato, mai inquisito come imputato. È stato accolto e viene mantenuto come teste di accusa. Questo Perricone dunque aveva parlato. Perché ? Perché quel cappellano, dì cui ho già fatto parola, don Gasalvolone, fin dal 1946, aveva svolto l'attività preparatoria e provocatrice del processo, della quale noi abbiamo notizia attraverso una lettera da lui diretta, il 5 dicembre 1946, al fratello dì Strasserra: e da costui prodotta: « Egregio signor ragioniere, credo abbia ricevuto la Verità » (la Verità non è quella che noi cerchiamo qui oggi e che gli uomini cercano per indirizzare ad essa, quando sono uomini di buona fede, le loro decisioni: la Verità era un settimanale neo-fascista del biellese), « credo abbia ricevuto la Verità che accennava al caso San lucci » (Santucci è uno dei fucilati). « Ora le invio i due numeri che trattano del suo povero e compianto fratello. Le notizie, come può controllare, non sono del tutto esatte nelle loro circostanze ». (Badate, signori: questo è il teste cardine dell'accusa). « Non sono tutte esatte per evitare che l'interessato possa individuare l'informatore. Copia di questi numeri sarà inviata a Saragat e al ministro dell'interno perché ne prendano atto. Ho voluto che Tim » (Tim non è un partigiano: sì nasconde un libellista sulle colonne di quel giornale, sotto lo pseudonimo di Tim) « ho Voluto, che Tim (Tino Morbelli, adesso noi sappiamo anche il nome) fosse sobrio il più possibile per non disturbare le eventuali ricerche della polizia, ma che, nello stesso tempo, le sue notizie fossero sufficienti ad attirare l'attenzione della stessa. Ho voluto attendere prima di inviare, per avere le due copie insieme. Per ora di questo caso si tacerà, a meno che lei mi consigli di ritornarci sopra. Ne parlai al presidente del tribunale di Vercelli il quale mi disse: se i fatti stanno cosi c'è materia sufficiente per mandare al muro Gemisto o per appioppargli trent'anni. Intanto... (mi dispiace dirlo, ma era nel collegio elettorale di Biella che si fucinava questa azione politica e ci si serviva anche "di un uomo come l'onorevole Scalfaro, deputato dello stesso collegio) le notifico che l'avvocato Scalfaro, giudice di Novara, è incaricato per l'eventuale epurazione della regione ».
E adesso aprite altre pagine di questo processo. Leggete i giornali che hanno dato vita a questa azione penale e vedrete che - tra le più stupide menzogne - si parla d' Gemisto come di un ex gerarca fascista. Aveva i calzoni corti quando lo hanno mandato in galera con la condanna a 12 anni di reclusione pronunciata dal tribunale speciale; è uscito nell'agosto del 1943 ed è andato in montagna: e tuttavia si parla di lui come di un gerarca fascista.
Ma soprattutto, in quel libello, si fa la storia delle sette fucilazioni e la si fa, per vero dire, più fedelmente, a parer nostro, dì quanto non faccia la richiesta del procuratore generale.
«Su denuncia - scriveva il giornale fascista - del gemistiano Veloce, il quale, senza produrre nessuna prova, aveva affermato di aver visto documenti compromettenti nascosti nei tacchi delle scarpe di Sergio e degli altri (di coloro che furono fucilati come spie), si riunì un tribunale segreto di cui facevano parte Gemisto, Massimo e Ciarlo. Mentre gli accusati erano all'oscuro di quanto si andava tramando contro di loro, venivano condotti a morte. Gemisto li mandò a chiamare e ordinò loro di passare la frontiera svizzera per prendere contatto con una missione inglese. Poi ordinò ad una squadra di suoi uomini di farli fuori ».
È una versione monca e capziosa, ma che nella esposizione dei fatti materiali si avvicina a quella data da Moranino quando venne interrogato.
In sostanza dovrebbe quindi esser pacifico che vi erano cinque uomini i quali avevano destato sospetti tali da indurre alla convocazione di quel tribunale e alla emanazione di quella sentenza.
Ora, voi, onorevoli colleghi, conoscete la origine e la natura del procedimento penale, e siete già in grado di ravvisarvi i moventi della persecuzione politica. E quando sappiate, come dice un certo colonnello Romeno assunto come teste già nella prima fase dell'istruttoria, che nel 1945 vi era stata una indagine da parte degli alleati che non era giunta a nessuna conclusione affermativa di responsabilità e aveva anzi sanzionato, o
signori, il fatto come atto di guerra, voi dovete vedere che la origine avuta dall'attuale processo è quanto mai spuria e questo giudizio lo dovrete formulare prima ancora di scendere all'esame delle ragioni che la relazione di maggioranza suggerisce per invocare da voi l'autorizzazione a procedere e che invece dimostrano soltanto la iniquità faziosa dell'accusa.
Cinque uomini dunque. Cinque uomini, cinque nomi che si perderanno domani nella vostra memoria: Santucci Gennaro (Sergio). Campasso Ezio Maria (Ezio), Prancesconi Mario (Mario), Strassera Emanuele (Manuel), Scimone Giovanni (Giovanni). Di costoro, per giustificare la domanda di autorizzazione a procedere nei confronti dell'onorevole Moranino, la maggioranza della Giunta dice che sono fulgidi patrioti, eroi della resistenza, cosicché il nostro collega (non sappiamo perché, e nessuno lo dice e lo può dire quel perché) avrebbe fatto trucidare cinque compagni di lotta. L'onorevole Moranino, che ha concorso ad emanare la sentenza di fucilazione, dice invece che erano cinque spie.
Che cosa dobbiamo decidere noi ? Come dicevo prima, noi siamo di fronte alla presunzione di legge. Portateci voi, signori, la dimostrazione che erano veramente cinque partigiani e che furono uccisi da Moranino e dai suoi pur sapendo che si trattava di cinque partigiani.
Quando sospendemmo la prima discussione in questa Assemblea e la richiesta di autorizzazione a procedere venne rinviata alla Giunta, la minoranza invocò la conoscenza di nuovi elementi di istruttoria, elementi che ora sono in nostro possesso. Eccone alcuni.
Del Gennaro Santucci (Sergio), il senatore Cerniti depose quanto segue: in un primo tempo, a Vercelli, fu considerato come un esuberante partigiano, tanto esuberante da dare qualche motivo di sospetto. In seguito commise degli atti che il teste definisce di criminale leggerezza nell'organizzazione di due lanci di armi che finirono nelle mani dei fascisti. A causa di ciò fu allontanato dal comando militare e diffidato a lasciare Tercelli. A questo ordine egli reagì minacciando di fare la spia e di rivelare tutto quanto sapeva del comando militare partigiano. Questo particolare, la cui gravita non sfugge a nessuno, fu confermato anche da un altro autorevole teste, il colonnello dell'esercito Bono. A seguito di tale atteggiamento, il Cerniti, capo commissario militare del G.L.N. provinciale, diffidò un nostro collega, l'onorevole Bertola, membro allora del C.L.N., a far partire ilSantucci da Vercelli entro 8 giorni: se ciò non fosse avvenuto si sarebbe dovuto procedere alla fucilazione del Santucci. Quando poi il Santucci arrivò nel biellese, sia il colonnello Bono sia l'onorevole Cerniti informarono il Mora-nino che si trattava di persona di cui si doveva diffidare. L'informazione si dimostrò immediatamente veritiera, tanto che il Moranino si accorse ben presto di avere a che fare con una spia che, a Vercelli, aveva fatto arrestare dei partigiani (testimonianza Ferraris), che aveva dato informazioni militari ai fascisti repubblicani, secondo altre testimonianze raccolte nella nuova istruttoria, ed era comparso tra le formazioni partigiane insieme con un transfuga dell'ufficio politico investigativo di Vercelli, il Francesconi, e con un ex brigatista nero quale il Gampasso, contro il quale uno dei partigiani alle dipendenze di Gemisto fece denuncia per avere egli ucciso un parti-giano,-ed essersene vantato, in una azione, di brigatisti presso Candelo. .
Questa triade, onorevoli colleghi, compare nella formazione di Gemisto. I tre - l'obliquo Santucci e i due ex repubblichini -rifiutano di prendere contatto con i comandi, di incorporarsi in un reparto, vogliono andare in Svizzera. Gemisto acconsente all'espatrio. Ma il colonnello Bono denuncia che Santucci, a Vercelli, ha propalato la notizia di quell'espatrio, in modo da rendere edotta l'autorità fascista repubblicana. Tutto questo risulta dagli atti.
Ebbene, è questione di valutatone, onorevoli colleghi. Ma voi qui, ad anni di distanza da quei tragici momenti, come potrete negare la sincerità del giudizio che fu emesso presso il comando della XII divisione contro quei tre, come potrete escludere che si trattasse di tre spie, o quanto meno che il comando partigiano li abbia ritenuti per delle spie ? Alle formazioni comandate da Moranino erano giunti.,, altri due sbandati: uno era lo Strassera, l'altro era un uomo che lo accompagnava, un ex carabiniere, lo Scimone.
Di Strassera l'onorevole Scalfaro scrive che, a ragione veduta, egli appare veramente un eroe. Si dice, da parte della maggioranza, che vi è una cresima della nobiltà della sua condotta: l'amministrazione di Genova - e si mette l'accento sulla composizione di quel consesso comunale: maggioranza di sinistra - ha intitolato a lui una strada. Ma non ci si dice altro, o signori, per conraddìre il pensiero di quelli che erano giudici partigiani il 26 novembre del 1944.
Ma non vi basta, sento chiedermi, che gli sìa stata intitolata una strada ? Fu ricordato anche in sede di Giunta un episodio che possiamo richiamare anche qui, perché il riferimento storico non si presta a dubbi o a discussioni. In una piazza di Mantova, per molti anni, per decenni, in un altorilievo su un monumento che ricordava tutti i martiri di Belfiore, vennero effigiati anche alcuni perseguitati politici condannati dall'impero austro-ungarico durante il Risorgimento. E, tra gli altri, un uomo, che entrò anche In questa Camera accompagnato dalla luce del suo passato di cospiratore.
Vennero dei critici, sopraggiunsero dei revisori; Alessandro Luzio portò a termine l'opera di revisione, e venne scalpellata via l'immagine di quel cospiratore che invece la critica storica constatò essere stato una spia; e per decenni il caso di Castellazzo fu motivo di polemiche in tutta Italia e anche qui dentro. Ma, alla fine, la sentenza della storia fu pronunciata; e non si trattava soltanto di una via intitolata al suo nome, ma di un monumento.
Ora, signori, non è la targa di quella strada che può smentire Moranino.
Io sono andato a Genova, mi sono fatto mostrare la pratica relativa all'intitolazione di quella strada, e ho visto una cosa molto .strana. Il fratello dello Strassera, lo stesso al quale don Qasalvolone indirizzava la lettera del 5 dicembre 1946, e che quindi fin da allora sapeva che il fratello era morto fucilato, si rivolgeva all'amministrazione comunale di Genova, e in un espistola! 31 marzo 1947, allegando degli attestati sull'attività partigiana del caduto; affermava, lui, il 31 di marzo del 1947, che il fratello era scomparso, che si trattava di un disperso, tacendo come era morto e perché era morto, senza dire cioè che era stato fucilato per ordine di una formazione partigiana.
L'amministrazione comunale di Genova, all'oscuro della vera fine dello Strassera, preso atto dei documenti allegati, accogliendo la domanda formulata intitolò una via al suo nome.
Oggi è chiaro : si è taciuto e si è ingannato il comune di Genova per avere una targa al servizio delle accuse contro Moranino ! Ma a noi non interessa in questo momento che venga levata la « targa ». A noi basta, o signori, dire questo, che è provato : che, per Moranino, Strassera e Scimone furono quelli che subito si unirono con Santucci, Francesconi e Gampasso ; che Strassera e Scimone provenivano da una sospetta scarcerazione, non avevano credenziali, si rifiutarono di presentarsi alla missione alleata, pur
volendo andare in Svizzera per pretesi e mai dimostrati doveri di missione; che lo Strassera era venuto in contatto con certo Arcari, attraverso altra persona, la quale poi rivelò che egli era stato accompagnato da un certo Nunzio Costa, sergente della X Mas. Ciò è stato dichiarato dal teste Bonuzzi, e non può essere smentito. E sono queste soltanto alcune delle notizie in base alle quali Moranino e il comando della XII divisione furono ' indotti a pronunziare la condanna a morte.
Sono cadute anche le. due donne ; ma vi sono nel processo, non solo nelle dichiarazioni di Moranino, ma in quelle dei testi, plurimi richiami all'attività successiva alla fucilazione dei cinque uomini, svolta dalla Dau e dalla Martinelli. Attività, chiaramente di delazione, attraverso contatti con gli ambienti fascisti di Vercelli prima e durante rastrellamenti, e poi è un teste d'accusa, un parente di una di loro, che afferma avere le due donne, insospettitesi circa la sorte dei loro mariti, minacciato di far del rumore, di compiere, rivelazioni, di invocare aiuti. Da chi ? Dal nemico ! E nella tragica legge della guerra civile sorse per tutto ciò la fatalità della loro fucilazione.
…Ma di quali errori parliamo ? Chi ha sbagliato di più nella guerra partigiana ? Gii fu troppo duro o chi fu troppo arrendevole?
Non mi rivolgo a coloro che qui possono essere pervenuti, mimetizzandosi nella nuova vita politica italiana, con il bagaglio di vecchie idee e di antichi sentimenti, con l'avversione che chiede soltanto sfogo a se stessa contro il partigianesimo; mi rivolgo a coloro fra voi che hanno ancora la capacità di far vivere in se medesimi i sentimenti, le sofferenze, le speranze, i dolori di quel tempo, avendo quei dolori e quelle speranze sofferto o nutrito insieme con noi e con tutti gli antifascisti.
Chi è che ha fatto la guerra partigiana e che non sia stato testimone di qualche tragico errore in un senso o nell'altro ?
Io invoco testimonianza dai deputati della mia. regione, se non sia vero che il sangue di molti miei compagni è .stato sparso perché alcuno pretese in una certa ora ehe vi fosse un tribunale, che vi fosse una sentenza a giudicare una spia. Il tribunale non arrivò in tempo e molti giovanetti e uomini nobilissimi del Trentino caddero per quell'atto di legalitarismo del quale io stesso fui tra i colpevoli. Le nostre formazioni nel Trentino erano in un periodo di loro più ardito slancio, venivano a noi da tutte le parti i consensi e gli uomini. Tra gli altri capitò anche un uomo che aveva più credenziali di Stresserà (il quale non aveva nessuna credenziale), un uomo che si mise in contatto con gli inglesi più di Stresserà, che Io Strassera rifiutò di essere messo in contatto con la missione Patt che operava accanto a Moranino. Quell'uomo, ex repubblichino come Prancesconi e Cam-passo, aveva portato dall'esercito repubblichino armi e segreti, e aveva mentito con tanta improntitudine da apparire veramente un compagno di cui non si potesse dubitare. Eppure qualcuno dubitò, qualcuno portò elementi molto meno gravi di quelli che Moranino aveva nei confronti dei cinque uomini e delle due donne, per ordine suo fucilati. Ma ci fu chi non volle ucciderlo, chi non volle farlo uccidere, quell'ex repubblichino venuto tra i partigiani trentini. Gì fu, accanto a me, un giovane cattolico, anche se non democristiano, un martire fulgidissimo, Gastone Pranceschetti, di Riva del Garda, il quale fu appunto fucilato per opera di quella spia e mori gridando: Viva Cristo, evviva l'Italia libera ! Questo eroico martire fu lui, con me e con altri, a non volere che quel nuo-
vo venuto sospettato di spionaggio fosse ucciso senza una preventiva contestazione delle accuse. E perciò caddero a decine i nostri compagni. I deputati della mia regione lo possono testimoniare. Quella spia si chiamava Fiore Luterotti ! So noi lo avessimo fucilato senza esitazione, salvando così il Trentino da una terribile strage, noi oggi potremmo essere accusati d'omicidio al pari di Moranino !
Ma ha ragione l'onorevole Scalfaro quando dice che la sentenza di un tribunale parti-giano non avrebbe trasformato l'illecito in lecito. Io gli dico però che la mancanza di una sentenza di tribunale partigiano non trasformerebbe in illecito quello che oggettiva-mente e soggettivamente doveva essere ritenuto lecito. È alla sostanza delle cose che noi dobbiamo guardare. Ed ecco che alla fine si impone il problema del movente. Sorge da tutte queste carte, da questo processo, una domanda che voi dovrete porvi prima di dare il vostro voto, ed è questa: perché, per qualo movente Moranino avrebbe fatto fucilare quegli uomini e quelle donne ?
Scrissero i denuncianti (non so se il Santucci o lo Strassera): per impadronirsi delle prede e dei tesori ! Stoltezza ! Strassera o gli altri non avevano sopra di sé che 40.000 lire consegnate a loro per ordine di Moranino, e furono solo quelle 40 mila lire .insieme con qualche oggetto di nessun valore che i partigiani presero sui cadaveri. Si disse, poi, che costoro vennero fucilati, perché non si voleva che gli inglesi sapessero quel che faceva Moranino. Questa è stata la spiegazione tentata da quel tale teste, don Casalvolone, il cui contegno abbiamo già avuto occasione di illustrare alla Camera. Ebbene, onorevoli colleghi, presso Moranino c'era una missione inglese che vigilava giorno per giorno, ora per ora, tutta l'attività di Movanino e dei suoi compagni, tanto è vero che il teste colonnello Romeno potè parlare dell'attività della missione inglese e del giudizio espresso dagli alleati subito dopo la fine della guerra in ordine alle fucilazioni delle quali ci stiamo occupando. l Onorevoli colleghi, la ricerca del movente é al centro della nostra discussione. Perché noi siamo qui a decidere: dobbiamo negare il procedimento penale per un atto di guerra, o dobbiamo autorizzare il procedimento penale perché sappiamo che non si è compiuto un atto di guerra, ma un volgare e spieiato sterminio per fini di delinquenza comune ?

Red Shadow
22-03-07, 12:33
Tu stai infamando le vittime innocenti della "giustizia sommaria" di una banda eversiva comunista, come quella che si è macchiata dell'infame strage di Porzus, e tante altre........banda il cui capo è stato condannato all'ergastolo, con sentenza passata in giudicato, dai tribunali della Repubblica antifascista, per aver fucilato un eroe della Resistenza, Emanuele Strassera (a cui la Genova antifascista ha dedicato persino una via) e altri partigiani, suoi collaboratori (e due delle loro mogli, colpevoli solo di ricercare la verità sulla scomparsa dei loro uomini). Tu infami profondamente queste come le altre povere vittime dell'ideologia illiberale e squallida che professi e difendi con tonnellate di mistificazioni e con ridicoli negazionismi alla Irving e Mattogno, persino degli universalmente ormai riconosciuti crimini del comunismo sovietico di Baffone.
Vatti a nascondere, calunniatore da 4 soldi.

Addio


P.S. = a far tacere la campagna di informazione contro Moranino e complici, ordita dal foglio liberale piemontese la Verità, e del suo direttore Morbello ci provarono già nel 1948. Tanto è vero che il giornale dovette trasferirsi da Vercelli a Torino, per sfuggire anche alle minacce dei molto democratici stalinisti locali.
Tra gli accusatori più duri e documentati di Moranino, poi, in parlamento, vi fu ....un certo Oscar Luigi Scalfaro, che forse qualcuno ricorda anche per essersi distinto in sentenze di morte, come magistrato di Novara, contro criminali fascisti repubblicani piemontesi.

Spiegami perchè Moranino venne assolto nel 67, dato che tu stai contestando una sentenza di un tribunale repubblicano e infamando un patriota.

Pieffebi
22-03-07, 14:15
Relazione FERRANDI,

In cui si chiarisce anche in quali circostanze fu intitolata la via a Genova


Noi, quando avremo detto - e ciò è pacifico - che si tratta di un fatto avvenuto durante la guerra partigiana, per ordine di un capo partigiano, saremo assistiti da questa presunzione di non punibilità di cui l'onorevole relatore di maggioranza ha pur dovuto compiere il riconoscimento, e che non è frutto di opinioni ma è stabilita da una legge dello Stato; da quell'articolo 1 del decreto 9 settembre 1946, n. 96, in base al quale, onorevoli colleghi, dopo anni di ingiusta detonatone, sono stati ora scarcerati tutti i coimputati dell'onorevole Moranino. Scarcerati i coimputati, si vuole invece perseguitare e arrestare, per gli stessi fatti, l'onorevole Moranino !
Dunque, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, secondo lo stesso relatore di maggioranza, noi non abbiamo bisogno, per chiedere che voi neghiate l'autorizzazione a procedere contro l'onorevole Moranino, di dimostrare che si è trattato di un atto di guerra; l'atto di guerra va ritenuto, sino a prova del contrario, per presunzione di legge. Soltanto quando voi dimostraste che non si tratta di un atto di guerra, ma sì tratta di delitti comuni, non spiegabili secondo le necessità della guerra partigiana, soltanto allora voi potreste dire che la Camera si trova di fronte ad un delitto sprovveduto di quelle ragioni di discriminazione, per le quali la legge ha creato la presunzione di non punibilità in ordine a tutti gli atti di guerra partigiana.
…L'onorevole Scal-faro si chiede: erano quelle sette persone, come afferma Moranino, delle spie ?
E l'onorevole Scalfaro risponde negando che oggettivamente ciò possa essere dichiarato. Lo nega in base ad elementi che noi respingiamo. Comunque, risponde negativamente.
Pone poi un'altra domanda il relatore di maggioranza, ed è questa: anche dato che i sette fucilati non fossero delle spie, potevano l'onorevole Moranino e i suoi colleghi del comando della XII divisione «Nedo» ritenere in buona fede che si trattasse di spie ? La domanda è decisiva e inevitabile poiché come conferma il relatore di maggioranza, e come confermerebbero tutti coloro che sanno di diritto penale, il putativo equivarrebbe al reale, e quindi l'avere ritenuto che si trattasse di spie discriminerebbe la uccisione di costoro quanto il fatto che fossero effettivamente delle spie.
… Onorevoli colleghi, riandate al tempo di allora e, se mai avete avuto la diligenza di leggere queste relazioni, pensate a quella che era la situazione nella quale si trovava il comandante Moranino. Novembre 1944: rastrellamenti in atto, rastrellamenti prossimi e già annunziati; una zona particolarmente delicata per la guerra partigiana, quale era quella in cui operava la 50» brigata comandata dal Moranino, divenuta poi la 12» divisione.
….Mi dicano dunque i colleghi della Giunta se non è vero che, durante le nostre discussioni e poi nelle pagine della relazione di maggioranza, la ragione principale, la ragione essenziale addotta per far ritenere che l'onorevole Moranino avesse commesso sette omicidi anziché due atti di guerra, è stata questa: che Moranino ne ha parlato soltanto nel 1949, in un interrogatorio assunto dai carabinieri. E-invece no. Non è vero.
Questa premessa fondamentale della relazione di maggioranza non dico che sia bugiarda, ma certamente è erronea. È vero soltanto questo: che finita la guerra Moranino non ha risposto a molte domande rivoltegli da privati sulla sorte dei sette fucilati, e in confronto di parenti, in confronto di amici dei morti, egli ha, in certi momenti, taciuto una verità che del resto non era giuridicamente obbligato a dire. A spiegazione di questo suo contegno, Moranino ricorda a noi - e lo sanno tutti i deputati partigiani, di qualsiasi colore - come dopo la liberazione sia stato dato ordine di non rivelare, se non attraverso i comandi, le notizie relative a operazioni di guerra.
Perciò Moranino sino ad un certo momento, dopo la guerra, non ha dato notizia dei fatti. Spesso non ha nemmeno risposto. Ma quando ha risposto ha detto il vero. E se il ritardo nell'avere rispósto potesse indurre a interpretazioni pessimistiche, onorevoli colleghi, varie volte in Commissione noi abbiamo chiesto che gli occhi dei colleghi venissero messi su una carta di questo processo, su un documento che proviene da uno dei testi zelatori dell'accusa, da un ex cappellano, «Macario» durante la guerra partigiana, don Casalvolone al secolo. Ecco il documento. Esso smentisce la relazione di maggioranza. Esso dimostra che Moranino rese note le fucilazioni ancora prima che finisse la guerra.
Io non farò lunghe letture, non porterò via del tempo inutile alla Camera. Ma'voi, se leggete la relazione di maggioranza, dovete soffermarvi su questa argomentazione principale della relazione stessa, per cui la malafede di Moranino si dovrebbe de- ….Badate: siamo nell'aprile del 1945. Mo-ranino, « Gemisto », scrive il 9 aprile di quell'anno a Macario, a don Gasalvolone (mi si corregga se non è vero che don Gasalvolone era il cappellano Macario:) « Rispondiamo alla vostra del 9 corrente » (e la lettera, come accennammo, è stata prodotta proprio da don Casalvolone) «nella quale ci chiedete chiarimenti circa la fine di Sergio e Mario Cam-passo e delle loro due mogli. Dalla vostra lettera dimostrate di sapere molto più dettagliatamente di noi quali sono le vicende di queste persone fucilate perché spie. Il nostro tribunale militare invierà a voi copia degli atti di accusa e del processo istruito presso questo comando di divisione ».
Siamo al 9 aprile 1945. Dunque non è vero, dunque è bugiardo che Moranino non abbia detto fino al 1949 che quelle persone erano state fucilate perché ritenute delle spie. Non solo. Quando i tedeschi si allontanarono dalla zona e fu possibile recuperare e dare nuova sepoltura alle salme in terra consacrata, Gemisto, alla fine di aprile, dava, sempre a don Casalvolone, un suo scritto con la autorizzazione affinchè la sepoltura avvenisse. Anche questa carta è qui sotto i nostri occhi, fra gli atti del processo.
Non ha parlato, Gemisto, sino al 1949, e le famiglie hanno ignorato ? Vi era qualche cosa ancora da nascondere ? Abbiamo rispetto di noi stessi, e smettiamola di parlare di occultamento dei fatti da parte di Moranino. Qui, in queste carte è la pròva che le famiglie dei fucilati, nessuna eclusa, seppero la verità, alcune ancor prima che finisse la guerra, e altre a guerra appena finita. Nessuna di esse fece allora denuncia. Altri fattori diedero origine al processo, da altre fonti politiche e da scopi politici nacque la causa.
..Da dove nasce questo processo ? Io lascio al relatore di maggioranza di controllarmi. Nasce da una offensiva di stampo fascista. Lo vedremo tra poco. Ma intanto vogliamo compiere un altro rilievo. Vi è uno degli esecutori, un certo Giorgio Perricone, il quale non è stato processato. Contro di lui non vi era bisogno di domandare l'autorizzazione a procedere. Eppure non è stato sottoposto a processo.
Questo Giorgio Perricone funziona invece come teste d'accusa. Questo Giorgio Perricone è colui che aveva predisposto gli uomini che dovevano procedere e procedettero alla esecuzione del 26 novembre 1944. E questo Giorgio Perricone dice al magistrato, il 5 marzo 1947, le cose che noi sappiamo oggi dalla relazione di maggioranza. Dice lui stesso che il motivo dell'esecuzione fu indicato fin da allora nella attività, spionistica e degli uomini e delle donne. Tuttavia questo processo non nasce neanche dalle dichiarazioni di un teste di questa fatta, responsabile materiale delle uccisioni.
Davvero non so perché costui (o lo vedo troppo chiaro il perché) non è stato processato, non è stato mai arrestato, mai inquisito come imputato. È stato accolto e viene mantenuto come teste di accusa. Questo Perricone dunque aveva parlato. Perché ? Perché quel cappellano, dì cui ho già fatto parola, don Gasalvolone, fin dal 1946, aveva svolto l'attività preparatoria e provocatrice del processo, della quale noi abbiamo notizia attraverso una lettera da lui diretta, il 5 dicembre 1946, al fratello dì Strasserra: e da costui prodotta: « Egregio signor ragioniere, credo abbia ricevuto la Verità » (la Verità non è quella che noi cerchiamo qui oggi e che gli uomini cercano per indirizzare ad essa, quando sono uomini di buona fede, le loro decisioni: la Verità era un settimanale neo-fascista del biellese), « credo abbia ricevuto la Verità che accennava al caso San lucci » (Santucci è uno dei fucilati). « Ora le invio i due numeri che trattano del suo povero e compianto fratello. Le notizie, come può controllare, non sono del tutto esatte nelle loro circostanze ». (Badate, signori: questo è il teste cardine dell'accusa). « Non sono tutte esatte per evitare che l'interessato possa individuare l'informatore. Copia di questi numeri sarà inviata a Saragat e al ministro dell'interno perché ne prendano atto. Ho voluto che Tim » (Tim non è un partigiano: sì nasconde un libellista sulle colonne di quel giornale, sotto lo pseudonimo di Tim) « ho Voluto, che Tim (Tino Morbelli, adesso noi sappiamo anche il nome) fosse sobrio il più possibile per non disturbare le eventuali ricerche della polizia, ma che, nello stesso tempo, le sue notizie fossero sufficienti ad attirare l'attenzione della stessa. Ho voluto attendere prima di inviare, per avere le due copie insieme. Per ora di questo caso si tacerà, a meno che lei mi consigli di ritornarci sopra. Ne parlai al presidente del tribunale di Vercelli il quale mi disse: se i fatti stanno cosi c'è materia sufficiente per mandare al muro Gemisto o per appioppargli trent'anni. Intanto... (mi dispiace dirlo, ma era nel collegio elettorale di Biella che si fucinava questa azione politica e ci si serviva anche "di un uomo come l'onorevole Scalfaro, deputato dello stesso collegio) le notifico che l'avvocato Scalfaro, giudice di Novara, è incaricato per l'eventuale epurazione della regione ».
E adesso aprite altre pagine di questo processo. Leggete i giornali che hanno dato vita a questa azione penale e vedrete che - tra le più stupide menzogne - si parla d' Gemisto come di un ex gerarca fascista. Aveva i calzoni corti quando lo hanno mandato in galera con la condanna a 12 anni di reclusione pronunciata dal tribunale speciale; è uscito nell'agosto del 1943 ed è andato in montagna: e tuttavia si parla di lui come di un gerarca fascista.
Ma soprattutto, in quel libello, si fa la storia delle sette fucilazioni e la si fa, per vero dire, più fedelmente, a parer nostro, dì quanto non faccia la richiesta del procuratore generale.
«Su denuncia - scriveva il giornale fascista - del gemistiano Veloce, il quale, senza produrre nessuna prova, aveva affermato di aver visto documenti compromettenti nascosti nei tacchi delle scarpe di Sergio e degli altri (di coloro che furono fucilati come spie), si riunì un tribunale segreto di cui facevano parte Gemisto, Massimo e Ciarlo. Mentre gli accusati erano all'oscuro di quanto si andava tramando contro di loro, venivano condotti a morte. Gemisto li mandò a chiamare e ordinò loro di passare la frontiera svizzera per prendere contatto con una missione inglese. Poi ordinò ad una squadra di suoi uomini di farli fuori ».
È una versione monca e capziosa, ma che nella esposizione dei fatti materiali si avvicina a quella data da Moranino quando venne interrogato.
In sostanza dovrebbe quindi esser pacifico che vi erano cinque uomini i quali avevano destato sospetti tali da indurre alla convocazione di quel tribunale e alla emanazione di quella sentenza.
Ora, voi, onorevoli colleghi, conoscete la origine e la natura del procedimento penale, e siete già in grado di ravvisarvi i moventi della persecuzione politica. E quando sappiate, come dice un certo colonnello Romeno assunto come teste già nella prima fase dell'istruttoria, che nel 1945 vi era stata una indagine da parte degli alleati che non era giunta a nessuna conclusione affermativa di responsabilità e aveva anzi sanzionato, o
signori, il fatto come atto di guerra, voi dovete vedere che la origine avuta dall'attuale processo è quanto mai spuria e questo giudizio lo dovrete formulare prima ancora di scendere all'esame delle ragioni che la relazione di maggioranza suggerisce per invocare da voi l'autorizzazione a procedere e che invece dimostrano soltanto la iniquità faziosa dell'accusa.
Cinque uomini dunque. Cinque uomini, cinque nomi che si perderanno domani nella vostra memoria: Santucci Gennaro (Sergio). Campasso Ezio Maria (Ezio), Prancesconi Mario (Mario), Strassera Emanuele (Manuel), Scimone Giovanni (Giovanni). Di costoro, per giustificare la domanda di autorizzazione a procedere nei confronti dell'onorevole Moranino, la maggioranza della Giunta dice che sono fulgidi patrioti, eroi della resistenza, cosicché il nostro collega (non sappiamo perché, e nessuno lo dice e lo può dire quel perché) avrebbe fatto trucidare cinque compagni di lotta. L'onorevole Moranino, che ha concorso ad emanare la sentenza di fucilazione, dice invece che erano cinque spie.
Che cosa dobbiamo decidere noi ? Come dicevo prima, noi siamo di fronte alla presunzione di legge. Portateci voi, signori, la dimostrazione che erano veramente cinque partigiani e che furono uccisi da Moranino e dai suoi pur sapendo che si trattava di cinque partigiani.
Quando sospendemmo la prima discussione in questa Assemblea e la richiesta di autorizzazione a procedere venne rinviata alla Giunta, la minoranza invocò la conoscenza di nuovi elementi di istruttoria, elementi che ora sono in nostro possesso. Eccone alcuni.
Del Gennaro Santucci (Sergio), il senatore Cerniti depose quanto segue: in un primo tempo, a Vercelli, fu considerato come un esuberante partigiano, tanto esuberante da dare qualche motivo di sospetto. In seguito commise degli atti che il teste definisce di criminale leggerezza nell'organizzazione di due lanci di armi che finirono nelle mani dei fascisti. A causa di ciò fu allontanato dal comando militare e diffidato a lasciare Tercelli. A questo ordine egli reagì minacciando di fare la spia e di rivelare tutto quanto sapeva del comando militare partigiano. Questo particolare, la cui gravita non sfugge a nessuno, fu confermato anche da un altro autorevole teste, il colonnello dell'esercito Bono. A seguito di tale atteggiamento, il Cerniti, capo commissario militare del G.L.N. provinciale, diffidò un nostro collega, l'onorevole Bertola, membro allora del C.L.N., a far partire ilSantucci da Vercelli entro 8 giorni: se ciò non fosse avvenuto si sarebbe dovuto procedere alla fucilazione del Santucci. Quando poi il Santucci arrivò nel biellese, sia il colonnello Bono sia l'onorevole Cerniti informarono il Mora-nino che si trattava di persona di cui si doveva diffidare. L'informazione si dimostrò immediatamente veritiera, tanto che il Moranino si accorse ben presto di avere a che fare con una spia che, a Vercelli, aveva fatto arrestare dei partigiani (testimonianza Ferraris), che aveva dato informazioni militari ai fascisti repubblicani, secondo altre testimonianze raccolte nella nuova istruttoria, ed era comparso tra le formazioni partigiane insieme con un transfuga dell'ufficio politico investigativo di Vercelli, il Francesconi, e con un ex brigatista nero quale il Gampasso, contro il quale uno dei partigiani alle dipendenze di Gemisto fece denuncia per avere egli ucciso un parti-giano,-ed essersene vantato, in una azione, di brigatisti presso Candelo. .
Questa triade, onorevoli colleghi, compare nella formazione di Gemisto. I tre - l'obliquo Santucci e i due ex repubblichini -rifiutano di prendere contatto con i comandi, di incorporarsi in un reparto, vogliono andare in Svizzera. Gemisto acconsente all'espatrio. Ma il colonnello Bono denuncia che Santucci, a Vercelli, ha propalato la notizia di quell'espatrio, in modo da rendere edotta l'autorità fascista repubblicana. Tutto questo risulta dagli atti.
Ebbene, è questione di valutatone, onorevoli colleghi. Ma voi qui, ad anni di distanza da quei tragici momenti, come potrete negare la sincerità del giudizio che fu emesso presso il comando della XII divisione contro quei tre, come potrete escludere che si trattasse di tre spie, o quanto meno che il comando partigiano li abbia ritenuti per delle spie ? Alle formazioni comandate da Moranino erano giunti.,, altri due sbandati: uno era lo Strassera, l'altro era un uomo che lo accompagnava, un ex carabiniere, lo Scimone.
Di Strassera l'onorevole Scalfaro scrive che, a ragione veduta, egli appare veramente un eroe. Si dice, da parte della maggioranza, che vi è una cresima della nobiltà della sua condotta: l'amministrazione di Genova - e si mette l'accento sulla composizione di quel consesso comunale: maggioranza di sinistra - ha intitolato a lui una strada. Ma non ci si dice altro, o signori, per conraddìre il pensiero di quelli che erano giudici partigiani il 26 novembre del 1944.
Ma non vi basta, sento chiedermi, che gli sìa stata intitolata una strada ? Fu ricordato anche in sede di Giunta un episodio che possiamo richiamare anche qui, perché il riferimento storico non si presta a dubbi o a discussioni. In una piazza di Mantova, per molti anni, per decenni, in un altorilievo su un monumento che ricordava tutti i martiri di Belfiore, vennero effigiati anche alcuni perseguitati politici condannati dall'impero austro-ungarico durante il Risorgimento. E, tra gli altri, un uomo, che entrò anche In questa Camera accompagnato dalla luce del suo passato di cospiratore.
Vennero dei critici, sopraggiunsero dei revisori; Alessandro Luzio portò a termine l'opera di revisione, e venne scalpellata via l'immagine di quel cospiratore che invece la critica storica constatò essere stato una spia; e per decenni il caso di Castellazzo fu motivo di polemiche in tutta Italia e anche qui dentro. Ma, alla fine, la sentenza della storia fu pronunciata; e non si trattava soltanto di una via intitolata al suo nome, ma di un monumento.
Ora, signori, non è la targa di quella strada che può smentire Moranino.
Io sono andato a Genova, mi sono fatto mostrare la pratica relativa all'intitolazione di quella strada, e ho visto una cosa molto .strana. Il fratello dello Strassera, lo stesso al quale don Qasalvolone indirizzava la lettera del 5 dicembre 1946, e che quindi fin da allora sapeva che il fratello era morto fucilato, si rivolgeva all'amministrazione comunale di Genova, e in un espistola! 31 marzo 1947, allegando degli attestati sull'attività partigiana del caduto; affermava, lui, il 31 di marzo del 1947, che il fratello era scomparso, che si trattava di un disperso, tacendo come era morto e perché era morto, senza dire cioè che era stato fucilato per ordine di una formazione partigiana.
L'amministrazione comunale di Genova, all'oscuro della vera fine dello Strassera, preso atto dei documenti allegati, accogliendo la domanda formulata intitolò una via al suo nome.
Oggi è chiaro : si è taciuto e si è ingannato il comune di Genova per avere una targa al servizio delle accuse contro Moranino ! Ma a noi non interessa in questo momento che venga levata la « targa ». A noi basta, o signori, dire questo, che è provato : che, per Moranino, Strassera e Scimone furono quelli che subito si unirono con Santucci, Francesconi e Gampasso ; che Strassera e Scimone provenivano da una sospetta scarcerazione, non avevano credenziali, si rifiutarono di presentarsi alla missione alleata, pur
volendo andare in Svizzera per pretesi e mai dimostrati doveri di missione; che lo Strassera era venuto in contatto con certo Arcari, attraverso altra persona, la quale poi rivelò che egli era stato accompagnato da un certo Nunzio Costa, sergente della X Mas. Ciò è stato dichiarato dal teste Bonuzzi, e non può essere smentito. E sono queste soltanto alcune delle notizie in base alle quali Moranino e il comando della XII divisione furono ' indotti a pronunziare la condanna a morte.
Sono cadute anche le. due donne ; ma vi sono nel processo, non solo nelle dichiarazioni di Moranino, ma in quelle dei testi, plurimi richiami all'attività successiva alla fucilazione dei cinque uomini, svolta dalla Dau e dalla Martinelli. Attività, chiaramente di delazione, attraverso contatti con gli ambienti fascisti di Vercelli prima e durante rastrellamenti, e poi è un teste d'accusa, un parente di una di loro, che afferma avere le due donne, insospettitesi circa la sorte dei loro mariti, minacciato di far del rumore, di compiere, rivelazioni, di invocare aiuti. Da chi ? Dal nemico ! E nella tragica legge della guerra civile sorse per tutto ciò la fatalità della loro fucilazione.
…Ma di quali errori parliamo ? Chi ha sbagliato di più nella guerra partigiana ? Gii fu troppo duro o chi fu troppo arrendevole?
Non mi rivolgo a coloro che qui possono essere pervenuti, mimetizzandosi nella nuova vita politica italiana, con il bagaglio di vecchie idee e di antichi sentimenti, con l'avversione che chiede soltanto sfogo a se stessa contro il partigianesimo; mi rivolgo a coloro fra voi che hanno ancora la capacità di far vivere in se medesimi i sentimenti, le sofferenze, le speranze, i dolori di quel tempo, avendo quei dolori e quelle speranze sofferto o nutrito insieme con noi e con tutti gli antifascisti.
Chi è che ha fatto la guerra partigiana e che non sia stato testimone di qualche tragico errore in un senso o nell'altro ?
Io invoco testimonianza dai deputati della mia. regione, se non sia vero che il sangue di molti miei compagni è .stato sparso perché alcuno pretese in una certa ora ehe vi fosse un tribunale, che vi fosse una sentenza a giudicare una spia. Il tribunale non arrivò in tempo e molti giovanetti e uomini nobilissimi del Trentino caddero per quell'atto di legalitarismo del quale io stesso fui tra i colpevoli. Le nostre formazioni nel Trentino erano in un periodo di loro più ardito slancio, venivano a noi da tutte le parti i consensi e gli uomini. Tra gli altri capitò anche un uomo che aveva più credenziali di Stresserà (il quale non aveva nessuna credenziale), un uomo che si mise in contatto con gli inglesi più di Stresserà, che Io Strassera rifiutò di essere messo in contatto con la missione Patt che operava accanto a Moranino. Quell'uomo, ex repubblichino come Prancesconi e Cam-passo, aveva portato dall'esercito repubblichino armi e segreti, e aveva mentito con tanta improntitudine da apparire veramente un compagno di cui non si potesse dubitare. Eppure qualcuno dubitò, qualcuno portò elementi molto meno gravi di quelli che Moranino aveva nei confronti dei cinque uomini e delle due donne, per ordine suo fucilati. Ma ci fu chi non volle ucciderlo, chi non volle farlo uccidere, quell'ex repubblichino venuto tra i partigiani trentini. Gì fu, accanto a me, un giovane cattolico, anche se non democristiano, un martire fulgidissimo, Gastone Pranceschetti, di Riva del Garda, il quale fu appunto fucilato per opera di quella spia e mori gridando: Viva Cristo, evviva l'Italia libera ! Questo eroico martire fu lui, con me e con altri, a non volere che quel nuo-
vo venuto sospettato di spionaggio fosse ucciso senza una preventiva contestazione delle accuse. E perciò caddero a decine i nostri compagni. I deputati della mia regione lo possono testimoniare. Quella spia si chiamava Fiore Luterotti ! So noi lo avessimo fucilato senza esitazione, salvando così il Trentino da una terribile strage, noi oggi potremmo essere accusati d'omicidio al pari di Moranino !
Ma ha ragione l'onorevole Scalfaro quando dice che la sentenza di un tribunale parti-giano non avrebbe trasformato l'illecito in lecito. Io gli dico però che la mancanza di una sentenza di tribunale partigiano non trasformerebbe in illecito quello che oggettiva-mente e soggettivamente doveva essere ritenuto lecito. È alla sostanza delle cose che noi dobbiamo guardare. Ed ecco che alla fine si impone il problema del movente. Sorge da tutte queste carte, da questo processo, una domanda che voi dovrete porvi prima di dare il vostro voto, ed è questa: perché, per qualo movente Moranino avrebbe fatto fucilare quegli uomini e quelle donne ?
Scrissero i denuncianti (non so se il Santucci o lo Strassera): per impadronirsi delle prede e dei tesori ! Stoltezza ! Strassera o gli altri non avevano sopra di sé che 40.000 lire consegnate a loro per ordine di Moranino, e furono solo quelle 40 mila lire .insieme con qualche oggetto di nessun valore che i partigiani presero sui cadaveri. Si disse, poi, che costoro vennero fucilati, perché non si voleva che gli inglesi sapessero quel che faceva Moranino. Questa è stata la spiegazione tentata da quel tale teste, don Casalvolone, il cui contegno abbiamo già avuto occasione di illustrare alla Camera. Ebbene, onorevoli colleghi, presso Moranino c'era una missione inglese che vigilava giorno per giorno, ora per ora, tutta l'attività di Movanino e dei suoi compagni, tanto è vero che il teste colonnello Romeno potè parlare dell'attività della missione inglese e del giudizio espresso dagli alleati subito dopo la fine della guerra in ordine alle fucilazioni delle quali ci stiamo occupando. l Onorevoli colleghi, la ricerca del movente é al centro della nostra discussione. Perché noi siamo qui a decidere: dobbiamo negare il procedimento penale per un atto di guerra, o dobbiamo autorizzare il procedimento penale perché sappiamo che non si è compiuto un atto di guerra, ma un volgare e spieiato sterminio per fini di delinquenza comune ?



Sì se vuoi ti posto tutto il discorso vergognoso dell'esponente illiberale, e anche quelli di Oscar Luigi Scalfaro, sostenitore del rinvio a giudizio. Se vuoi ti posto anche la difesa dell'immunità parlamentare fatta in quella circostanza dal PCI.
La via è tutt'oggi intitolata all'eroe partigiano, a servizio del Regno del Sud e collaboratore dei servizi militari degli alleati americani, assassinato dai comunisti del biellese, alla faccia tua e dell'ideologia indifendibile che con sprezzo del ridicolo, difendi con argomenti privi di qualsiasi pregio.

Quanto alle norme a protezione dei fatti , anche dei delitti, commessi durante la guerra di liberazione, le stesse non hanno la ratio di qualificare quali eroiche azioni delle ingiustificate esecuzioni sommarie, o degli omicidi di persone poi risultate del tutto innocenti, e altri effetti ripugnanti di conduzioni della guerra partigiana oggettivamente disonorevoli per la Resistenza stessa. La ratio è quella che essendo atti di guerra, di una guerra causata dal nemico nazi-fascista, e condotta da questi in modo crudele e senza onore, non sono di per sè punibili, salvo che non si dimostri (inversione dell'onere della prova, come precisò Scalfaro in Parlamento) che, appunto, determinati atti furono commessi per interessi personali o altra causa non riconducibile alle vicende e interessi globali della guerra di liberazione.
La non punibilità fu infatti sancita dai tribunali, prendendo atto delle norme, persino per l'omicio di bambini e di persone palesemente estranee alle forze nazifasciste, diciamo così...come "effetto collaterale" di misure comunque protese a infliggere perdite al nemico.
Nel caso Moranino i tribunali competenti che giudicarono nell'epoca in cui i testimoni erano in vita e i documenti recuperabili, giudicarono, sulla base anche di testimoni comunisti implicati nei fatti, che lo scopo di Gemisto era di proteggere non la Resistenza, ma propri interessi "particulari" nel contesto di una guerra di partito condotta secondo la fazione secchiana del PCI, oltre gli scopi della "guerra di liberazione", e che comunque chi fucilò i partigiani della missione strassera era consapevole di sacrificare degli innocenti.

Shalom


Shalom

Pieffebi
22-03-07, 14:21
P.S.= qui se c'è un patriota antifascista degno di onore e rispetto al massimo grado è il signor Strassera, diffamato da te e dal tuo partito illiberale asservito per decenni al dispostismo straniero dell'Unione Sovietica del boia Stalin e dei suoi complici. Moranino fuggì come un coniglio in Cecoslovacchia, dove con il golpe stalinista del 1948 la "democrazia popolare" si era manifestata pienamente quale dispotismo comunista foriero solo di oppressione, sfruttamento e servilismo verso i padroni russi.

Addio

Pieffebi
22-03-07, 14:26
Riguardo alla vergognose calunnie di Moranino su Santucci, al processo ben tre testimoni, membri della resistenza azionista smentirono radicalmente le sue dichiarazioni infamanti. Tra questi due dirigenti locali del Partito D'Azione, l'avvocato Francesco Patoja ed Eligio Daffara. E non solo!
Ad esempio, tra gli altri, anche il partigiano azionista Dario Ramella (nome di battaglia FERRO) dichiarò che, contrariamente a quanto asserito dai mistificatori comunisti che difendevano i delitti di Gemisto, "il Sergio e Il Mario (nomi di battaglia dei calunniati da Gemisto) si trovavano nella sua formazione da circa tre mesi dove il predetto Santucci (il "Sergio") ricopriva la funzione di vicecomandante di Divisione.
Secondo il predetto Dario Ramella (partigiano Ferro), le vittime delle esecuzioni sommarie erano tutt'altro che spie fasciste, ed erano invece state eliminati "perchè avevano avuto modo di vedere troppe cose compromettenti per Gemisto: cose che espatriando potevano riferire altrove"
Del resto anche due partigiani comunisti agli ordini dello stesso Gemisto dichiararono nel 1949 (si tratta di Ivano Brina, detto Pistola e Achille Vittino detto Gat) che avevano avuto l'incarico di controllare da vicino "i due genovesi", e di aver riferito chiaramente a Francesco Moranino, detto appunto Gemisto che "sul loro conto non vi era nulla da dire.
Ossia che erano "puliti", e quindi eventuali sospetti che si trattasse di "spie dei fascisti" non trovavano minimamente riscontro nei comportamenti osservati.
Riguardo alle mogli delle vittime di Gemisto, a propria volta uccise perchè stavano per scoprire la verità sulla sorte dei loro uomini, le testimonianze (si veda quella di Silvana Casadei di Flecchia) concordano nell'affermare che "se ne stavano tranquille in casa e non uscivano mai". In particolare la moglie di Santucci se stava rintanata perchè sapeva di essere ricercata dai fascisti, e se ne scese solo una volta in Vercelli per recupare la famosa radio dalla quale sentì dagli alleati il messaggio in codice che "Paolo sta bene", che avrebbe dovuto segnalare l'arrivo dei partigiani della missione Strassera, sani e salvi in Svizzera. Sta di fatto che Gemisto, secondo le testimonianze emerse sia durante le indagini che durante il processo, fece prelevare le due donne e le fece uccidere. In paese si era fatto persino credere che il prelevamento delle due donne era stato fatto per proteggerle dai fascisti!!!
Altro che eroe Gemisto e spie fasciste giustiziate.

Saluti liberali



Seguita....

Red Shadow
22-03-07, 15:18
Do ancora due interventi tra i quali quello di Nasi del gruppo bonimiano dellDemocrazia del lavoro.
da quanto ho capito il movente per Pieffebi è antropologico: i comunisti sono malvagi. poi non mi ha ancora spiegato se la prima sentenza era giusta o se è giusta la seconda. Cioè se sono fatti di guerra o no.
Le spie cpome spigato nel precedente intervento crearono molte perdite ai partigiani. O si pensa che i fascisti stessero con le mani in mano?



CAPALOZZA, Relatore di minoranza.
autorizzazioni a procedere ha nuovamente deliberato in merito.
Tali precisazioni sono le seguenti.
In primo luogo, tutti i coimputati, che erano stati arrestati e che si trovavano in stato di detersione preventiva, sono stati posti in libertà provvisoria sin dal marzo del 1951. Questo significa, per rispondere subito ad un argomento a sensazione dell'onorevole Scalfaro, che non vi è, allo stato attuale, una diversità di trattamento procedurale, appunto perché i coimputati sono tutti liberi. Questo significa altresì che, comunque, si consenta o non si consenta la autorizzazione a procedere, il processo avrà egualmente corso e non subirà remore, perché i coimputati non sono stati prosciolti, ma solo, come ho detto, scarcerati.
Questo significa, infine, che non ha ragione di essere la preoccupazione che la mancata autorizzazione impedisca di indagare a fondo se le esecuzioni sommarie abbiano colpito delle spie oppure degli innocenti, e non ha ragione d'essere l'entusiasmo di applausi con cui una parte della Camera ha sottolineato il relativo rilievo del collega Scalfaro.
In secondo luogo, è agli atti del processo una vasta documentazione ulteriore, allegata dopo la compilazione delle relazioni scritte: proprio la documentazione di cui ha tenuto conto la relazione di minoranza e che la relazione di maggioranza ignora del tutto.
In terzo luogo la Camera deve tener presente (del resto lo ha già detto l'onorevole Scalfaro) che l'amico Ferrandi ed io siamo relatori di minoranza per quanto riguarda l'autorizzazione a procedere, ma siano invece relatori di maggioranza per quanto riguarda la non autorizzazione all'arresto.
Onorevoli colleghi, non voglio e non posso intrattenermi sui « fatti di reato », non voglio « non posso seguire, qui, il collega Ferrandi e contrastare il passo al collega Scalfaro.
Devo, peraltro, porre una domanda, proporre un quesito: di che cosa si tratta, di che ci occupiamo noi ?
Noi ci occupiamo di episodi di guerra, noi ci occupiamo di episodi accaduti nel periodo più doloroso dell'aggressione nazi-fascista in Italia, nel periodo critico della lotta partigia-na nella zona biellese.
Né il procuratore generale, né il relatore di maggioranza hanno potuto negare che si trattasse di azioni di guerra. Il relatore di maggioranza, che pure ha voluto essere circostanziato, precìso ed esauriente nella descrizione dei fatti e delle loro circostanze estrin-seche, quando si è trattato di affrontare il
problema della causale - se si trattasse o non si trattasse di azioni determinate da necessità belliche - si è coperto, si è quasi trincerato dietro l'affermazione che di questo problema si occuperanno i giudici, si occuperà l'autorità giudiziaria.
No, onorevoli colleghi, fatti come questi, fatti di guerra come questi, buoni o cattivi -oh, i fatti di guerra prescindono sempre dalla morale corrente! -, mantenuti o non sulle rotaie della procedura, cioè della forma, ve ne sono stati a decine, a centinaia, persino nelle operazioni degli eserciti regolari e, soprattutto, in quelle operazioni particolarissime, che sono state le operazioni partigiane.
Ebbene, che cosa volete, colleghi della maggioranza ? Volete veramente fare il processo a tutti i capi partigiani, a tutti i capi della Resistenza, a qualunque parte politica appartengano oggi, uniti, ieri, soltanto nello spirito unitario della Resistenza, in un'unica Volontà di lotta, di sacrificio, di vittoria ? Perché a questo noi siamo. È questo il punto che deve essere presente, a mio avviso, al di "sopra della freddezza delle carte e delle sottigliezze giuridiche e tecniche, è questo il punto che deve essere presente alla, coscienza intima di ciascuno di noi, nel momento in cui ci troveremo d» fronte alle responsabilità di dare il voto, di esprimere concretamente il nostro giudizio.
Dicevo: fatti di guerra che quasi mai hanno dato luogo a procedure giudiziarie e che, quando a procedure giudiziarie hanno dato luogo, sempre, che io mi sappia, hanno portato al proscioglimento in istruttoria n alla assoluzione in dibattimento. È la legge positiva che scrimina i fatti di guerra, o che comunque estingue l'azione penale con l'amnistia del 1946, rispetto ai fatti politici.
Vi sono molti esempi. L'ultimo è di ier l'altro : lo abbiamo letto sulla .stampa quotidiana. La liberazione ormai aveva compiuto il suo ciclo di guerra; l'armistizio era stato già ' firmato: alcuni fascisti, credo due, sono stati condannati a morte come spie da un tribunale popolare improvvisato. L'autorità giudiziaria (la quale non poteva più ritenere che si trattasse di fatti di guerra, perché — ripeto - l'armistizio era stato ormai firmato) ha ritenuto che si trattasse di fatti politici ed ha prosciolto gli imputati in istruttoria per amnistia.
Dove sta, nel caso che ne occupa, la persecuzione politica? - chiede l'onorevole Scalfaro - 11 procedimento contro Mora-nino è stato iniziato perché egli era un deputato comunista, perché egli era stato
un comandante comunista della Resistenza. E persino l'origine dell'istruttoria è tipicamente politica: essa è stata provocata e richiesta da alcuni articoli pubblicati in un giornale politico, avversario del partito comunista.
La campagna contro il collega Moranino si è poi via via allargata e sviluppata e le accuse sono state moltiplicate e amplificate ad opera di coloro contro cui Moranino aveva combattuto da prode, contro cui avevano combattuto i partigiani di ogni tendenza, contro cui si era sollevato il popolo italiano nella gloriosa Resistenza e nella insurrezione nazionale. Tanto che nei giornali neofascisti si sono inventate episodi granguignoleschi, si sono montate scene di stragi, si è detto addirittura che Moranino sarebbe responsabile di massacri in massa eseguiti mediante schiacciamento con carri armati ! Episodi granguignoleschi, scene di stragi, tratti dal repertorio dovizioso offerto dalle gesta dei nazisti e dei fascisti, che hanno davvero commesso simili delitti orrendi in talune parti d'Europa e persino nel nostro paese.
Ci si oppone che il Parlamento non" deve entrare -nel fatto. L'onorevole Sealfaro si fa forte di questa tesi. Vorrei rispondergli che non è coerente con se stesso, dappoiché lutto il suo intervento orale e tutta la sua relazione sono intessuti sui fatti, ed egli è giunto persino a toccare le corde del sentimento, descrivendo i fatti, per indurre alla approvazione delle sue conclusioni.

Onorevoli colleghi, passando all'autorizzazione a procedere all'arresto, debbo precisare a voi e al collega onorevole Scalfaro, relatore per la maggioranza, che in questo momento, cioè per la questione dell'arresto, è relatore di minoranza, che se la Camera andasse di avviso contrario al nostro, la prima Camera repubblicana, la prima Camera democratica sorta dalla Resistenza, creerebbe, contro un capo della Resistenza e per un episodio della Resistenza, un caso nuovo, perché non vi è precedente, pev quanto mi risulta, nella nostra più che centenaria storia del Parlamento in cui sia stato autorizzato contro un deputato l'arresto preventivo.
Mi son fatto un dovere di compulsare gli atti parlamentari e non ho trovato dei prece-. denti in cui la Camera abbia consentito l'arresto preventivo, ma solo assai rari precedenti, in cui è stato consentito l'arresto esecutivo, vale a dire in esecuzione di una sentenza passata in giudicato. Posso citarvi qualche caso - non potevo portare qui un'intera biblioteca: ho preso un paio di volumi di som-mari analitici di atti parlamentari -. Il 2 aprile 1908 (XXII legislatura) la Camera ha concesso l'autorizzazione a procedere contro il deputato Romani (documento n. 850, relatore Panie) non prendendo in considerazione l'autorizzazione all'arresto.

..; oggi-va esaminata in base al decreto n. 96 del 194Ó, il quale statuisce che nessun cittadino possa essere arrestato 0 mantenuto in detenzione per un fatto commesso durante la lotta partigiana per la resistenza del nostro paese contro i fascisti e contro i tedeschi, se non vi sia la prova certa che il fatto addebitatogli ìntegri un reato comune e non sia stato commesso per fini di guerra.
Sicché l'argomento dell'onorevole Scal-faro si ritorce - mi si consenta - contro di lui. Qui si vorrebbe fare una differenza a danno del deputato ; e di fatti i coimputati parti-giani, ingiustamente arrestati e detenuti sino al marzo 1951, sono stati tutti posti in libertà dall'autorità giudiziaria in forza del più volte ■citato decreto del 1946. Tale è l'assurda, iniqua conseguenza cui si giungerebbe.
Nò si insista nel dire che non sappiamo ancora se si tratti di fatto di guerra 0 se si tratti di fatto comune, che, lo dicevo in principio e lo ripeto concludendo, mentre da un lato, né accusa giudiziaria, né io stesso relatore onorevole Scalfaro possono avanzare la benché minima plausibile causale diversa da quella che è stata conclamata dal collega Moranino, da quella che risulta dalle carte processuali, da quella che noi ancora una volta rivendichiamo, né accusa giudiziaria, né l'onorevole Scalfaro possono escludere il fatto di guerra, l'azione partigiana - episodio, cioè, che rientra e si conclude nell'ambito della nostra gloriosa esistenza nazionale —; dall'altro, solo la certezza che ciò non fosse, consentirebbe l'arresto e la detenzione d'un partivano.

NASI. Democrazia del Lavoro -Onorevoli colleghi, in verità debbo dirvi che le prime parole del relatore di maggioranza, onorevole Scalfaro, mi hanno reso perplesso più di quanto io già non fossi. Egli ha incominciato, infatti, col dire: discuteremo ampiamente in merito e in procedura,, ma ciascuno rimarrà nel proprio pensiero, cioè ognuno, ormai, ha il suo voto in tasca.
SCALFARO, Relatore per la maggioranza. Ho detto ciò riferendomi non al caso in esame ma ad una questione di principio.
NASI. D'altronde, onorevole Scalfaro, ella è molto giovane. Io ho assistito viceversa a parecchie di queste discussioni, le-quali, nella maggior parte, diventano ampie 0 brevi, gravi o meno gravi non per la materia, ma per la persona di.cui si discute. Questo è il precedente parlamentare, purtroppo. E io sono lieto ch6 questa discussione sia andata finora con cai-ma. Ricordo, vedo ancora, dopo la relazione della « commissione dei sette », l'onorevole Giolitti cadere sopra una di quelle, sedie; vedo qui, proprio in questi banchi, Crispi quasi ottantenne, avvilito e inveito da tutta la Camera. Vedo altre scene che forse direttamente mi riguardano; e ho sempre creduto -e vorrei che questa volta mi fossi ingannato -che gli istinti della Camera in certi momenti diventano tali da fare dubitare della coscienza dell'uomo.
Ciò detto, vorrei osservare all'onorevole Sealfaro, che nella sua relazione si è mostrato preoccupato di non entrare nel merito, che abbiamo assistito oggi a discussione profonda di merito.
E vorrei osservare, altresì; all'onorevole collega e a tutta la Camera che le ragioni che portarono l'anno scorso alla sospensiva, e cioè che l'esame di altre carte ed anche le riflessioni avessero potuto portare ad una distensione degli animi e ad un diverso apprezzamento non si sono avverate. L'apprezzamento, sì, c'è stato, diverso, non solo nel senso che l'autorizzazione all'arresto è stata negata ' dalla Giunta in conseguenza di una votazione che ha racolto la parità dei voti; il che non fa che confermare il dubbio che la divisione politica e la prevenzione sui fatti, che si erano manifestate fin dall'anno passato, continuino. Da questo punto di vista, gli oratori che seguiranno dovrebbero approfondire oltre e molto la questione, in fatto e in diritto.
Le impressioni che ho avuto, onorevoli colleghi,, leggendo le relazioni, sono tra le altre queste.
Notai, innanzitutto, che da parte deì[depu-tati sicuramente non si sono studiati tutti i documenti processuali come si auspicava. Dell'onorevole Moranino molto si è 'parlato, ma poco si è letto e poco si è studiato !
Dice l'onorevole Scalfaro: lo farà il magistrato.
No, onorevole Scalfaro, lo dobbiamo fare noi, tanto più che voi avete mésso in pratica oggi profondamente il metodo di addentrarvi nella materia del processo, né mi meraviglio, perché è ormai tacito, perché non si può discutere di prerogative in genere. Non v'è giudice (ella è un giudice), anche di cassazione, che non decida senza considerare il fatto.,
E il fatto, secondo me, per il modo con cui è avvenuto, per il momento in cui è avvenuto, non porta a concedere né l'autorizzazione a procedere, né quella all'arresto, tanto meno quella dell'arresto, perché con-
Atti Parlamentari
34166 —
Camera dei Deputati
DISCUSSIONI — SEDUTA DEL 14 DICEMBRE 1951
traria a tutta la prassi parlamentare. Dirò, a differenza dell'onorevole Capalozza, per essere chiaro e sincero, che non è vero che tutta la prassi parlamentare è in questo senso. Vi citerò due casi, dei quali non è responsabile la Camera ma la passione politica: il caso Pa-lazzolo, innanzitutto. La Camera sommariamente concesse l'autorizzazione, non richiesta dal procuratore generale. E fu unicamente per garantire, si disse, l'individuo alla polizia. Il secondo fu il caso Nasi. Non avrò il cattivo gusto di addentrarmi in questo. Posso assicurare che la Camera, autorizzando contemporaneamente l'arresto insieme all'autorizzazione a procedere, fu ingannata da documenti che erano stati artificialmente occultati, come fu dimostrato in alta corte di giustizia.
Oltre questi due precedenti non ve ne sono altri. Noto che tutte le autorizzazioni a procedere perii 95 per cento sono state negate; quelle all'arresto sono state sempre negate, salvo che si tratti di flagranza (in materia di flagranza dobbiamo ricordare quello che è successo, dopo i moti di Milano del 1898, a Turati, a Bertesi, a Todeschini), salvo che si tratti di individui i quali rieletti erano stati colpiti da sentenza irretrattabile. Ma anche ' in quei casi la Camera sovranamente, contro il parere della magistratura, ha sempre regolato la sua azione salvaguardando la prerogativa parlamentare. Ed è logico che debba essere così.
Deve farsi una deroga pei- l'onorevole Moranino ? Non lo so. Onorevole Scalfaro, ella è acuto nelle sue citazioni. Ne farò una io, che non ho inteso fare neanche dall'onorevole Capalozza. Si tratta di un caso recentissimo. Durante la Costituente abbiamo avuto una domanda di autorizzazione a procedere e all'arresto contro l'onorevole Gallo, il quale era accusato di insurrezione armata contro i poteri dello Stato, omicidio, tentato omicidio, associazione a dehnquere, ecc.
Alla Costituente era stata richiesta l'autorizzazione all'arresto. La Commissione unanime la negò. Ed io non vorrei fare raffronti fra la situazione siciliana di allora, di insurrezione, di delinquenza locale, e quella che fu l'epopea della Resistenza, che merita il nostro maggiore rispetto. Ma domando: quale differenza di giudizio si può fare sui due casi contrastanti ? La Camera e la Commissione hanno detto sempre che separatamente devono essere concesse le autorizzazioni a procedere e all'arresto. E questa negarono per l'onorevole Gallo. Non comprendo come e per quale ragione di fatto o di diritto l'onorevole
Scalfaro abbia cambiato opinione, perché nell'unanimità raggiunta allora nella Commissione c'era anche il suo nome. Non comprendo perciò perché si debba venire all'autorizzazione a procedere e all'arresto contro Moranino.
Ho detto: per il modo con cui avvennero i fatti (e non li posso illustrare in una dichiarazione di voto) e per il tempo in cui gli stessi avvennero non si deve concedere né l'autorizzazione a procedere, né quella all'arresto. Ma debbo aggiungere una mia grave impressione. Noto anzitutto che la magistratura prima ha chiesto l'autorizzazione a procedere, e solo dopo un anno ha domandato quella all'arresto. E nelle sue motivazioni fa un inno al patriottismo ed all'eroismo dei cinque fucilati. Non una parola, una sola, a favore di Moranino. Quest'uomo per essa non ha fatte niente, è nato delinquente comune, ha proceduto da delinquente comune, deve essere giudicato come delinquente comune !
A ciò si ribella la coscienza di qualunque uomo, a qualunque parte appartenga. Non'vi è una sola parola a favore di Moranino, di quest'uomo che, uscito dal carcere, al quale era stato condannato per 10 anni dai fascisti (mentre noi abbiamo liberati tanti traditori fascisti), va in montagna a combattere, per difendere l'Italia unendosi agli uomini liberi di tutta l'Italia. Ed egli non ha nessun merito, è un delinquente comune. Ma quale è il movente ? Perché ha ucciso o ha fatto uccidere i cinque uomini - ex repubblichini -e le due donne ? È il movente, onorevole Scalfaro, quello che deve dirigere la nostra azione e ispirare le nostre decisioni di uomini politici a difesa delle prerogative parlamentari.
Jl movente voi non lo avete dimostrato; tanto meno lo ha dimostrato il giudice, il quale si è riservato di farlo!
In queste condizioni, domando se è possibile fare un'esecuzione sommaria dell'onorevole Moranino, nel momento in cui si lasciano in libertà i carnefici e mentre si colpiscono coloro che salvarono l'Italia. Gli esempì sono infiniti. Non più tardi di alcuni giorni fa, un quotidiano di Roma domandava vendetta per i massacri che avrebbero fatto i comunisti. Come se essi non avessero fatto nulla. Marzabotto non esiste ! I colpevoli sono tutti nei partiti dell'estrema sinistra !
Se in linea di fatto lo scempio e il massacro che fecero i nazisti e i fascisti in Italia è vero, perché vogliamo invelenire la situazione, perché vogliamo colpire chi l'Italia difese e salvò ? Del resto non è dimostrato
affatto, ripeto, che l'onorevole Moranino abbia compiuto atti per odio personale o per altra bassa ragione qualsiasi. Bisogna considerare il fatto guerra e la situazione locale, quando, i partigiani vivevano braccati e morivano di fame. Intorno a Moranino si levarono (e non è senza significato) 5 mila persone, mille di essi caddero. Era evidente che non vi potevano essere mezzi termini nella guerra partigiana. D'altronde non si guardò a mezzi termini neanche nelle guerre mondiali, quando si sparava ad un militare solo perché fumava e si decimava senza alcuna procedura. I Graziani che hanno rovinato l'Italia procedevano con' sistemi sommari. Quale tribunale si può pretendere, quando è vicina una spia e le bombe piovono intorno ? Voglio aggiungere un'osservazione, non ancor fatta e che mi pare rilevante. H Santucci, il primo dei fucilati, si presentò a « Gemisto », cioè alla divisione garibaldina, con altri 15 partigiani - provenienti dalle file repubblichine - poi si unì con i cinque che provenivano da alto*e parti, comunque sempre fasciste. Ebbene, perché Moranino se la sarebbe presa solamente con i cinque e non con gli altri dieci, cioè con i seguaci .di Santucci? Questi rimasero con Moranino indisturbati e salvi. E allora le ragioni che Moranino ha addotte, le ragioni che troviamo negli atti, cioè che i fucilati fossero spie, gente sospetta, da eliminare, sono t'ondate. I partigiani dovevano difendere se stessi e le popolazioni. La giustificazione della condanna appare, più che legìttima, sacrosanta.
E quando si parla delle donne, per commuovere non si dice che, appena allontanatesi le truppe partigiane, vennero i tedeschi e bombardarono Flecchia e uccisero il parroco del posto, e tutto ciò non potè avvenire ohe per delazione o vendetta. Questo non si dice. Se dovessimo addentrarci nella descrizione degli avvenimenti, ci persuaderemmo .che, in linea di diritto e in linea di fatto, aoi non possiamo con sicura e tranquilla coscienza concedere le autorizzazioni richieste.
Io ero venuto qui, onorevole Scalfaro, nella speranza che ella si alzasse per dire che è ora di portare una pazxsla di equità in questa discussione, è ora di chiudere questo grande libro della liberazione e della lotta partigiana, libro pieno di glorie, di sacrifici . e di sangue e non solo di quelli che combatterono.
Questo libro non si vuoi chiudere. Purtroppo vi è gente molto pratica del mestiere che lo impedisce. Non vi è giornale che non domandi le revisioni e la distensione. Però -è incredibile - distensione in- favore di fascisti e condanna di coloro che salvarono l'Italia, compiendo quel secondo Risorgimento che noi tutti dobbiamo rispettare !
In ogni cosa umana vi sono ombre e luci. Ebbene3, possono essere stati commessi degli errori, vi possono essere state delle colpe, ma quando non c'è. la prova provata noi abbiamo il dovere, per il bene del nostro paese, in omaggio al nostro popolo, di dire « no » ad una domanda che è ingiusta e impolitica.

Red Shadow
22-03-07, 15:21
Do ancora due interventi tra i quali quello di Nasi del gruppo bonimiano dellDemocrazia del lavoro.
da quanto ho capito il movente per Pieffebi è antropologico: i comunisti sono malvagi. poi non mi ha ancora spiegato se la prima sentenza era giusta o se è giusta la seconda. Cioè se sono fatti di guerra o no.
Le spie cpome spigato nel precedente intervento crearono molte perdite ai partigiani. O si pensa che i fascisti stessero con le mani in mano?



CAPALOZZA, Relatore di minoranza.
autorizzazioni a procedere ha nuovamente deliberato in merito.
Tali precisazioni sono le seguenti.
In primo luogo, tutti i coimputati, che erano stati arrestati e che si trovavano in stato di detersione preventiva, sono stati posti in libertà provvisoria sin dal marzo del 1951. Questo significa, per rispondere subito ad un argomento a sensazione dell'onorevole Scalfaro, che non vi è, allo stato attuale, una diversità di trattamento procedurale, appunto perché i coimputati sono tutti liberi. Questo significa altresì che, comunque, si consenta o non si consenta la autorizzazione a procedere, il processo avrà egualmente corso e non subirà remore, perché i coimputati non sono stati prosciolti, ma solo, come ho detto, scarcerati.
Questo significa, infine, che non ha ragione di essere la preoccupazione che la mancata autorizzazione impedisca di indagare a fondo se le esecuzioni sommarie abbiano colpito delle spie oppure degli innocenti, e non ha ragione d'essere l'entusiasmo di applausi con cui una parte della Camera ha sottolineato il relativo rilievo del collega Scalfaro.
In secondo luogo, è agli atti del processo una vasta documentazione ulteriore, allegata dopo la compilazione delle relazioni scritte: proprio la documentazione di cui ha tenuto conto la relazione di minoranza e che la relazione di maggioranza ignora del tutto.
In terzo luogo la Camera deve tener presente (del resto lo ha già detto l'onorevole Scalfaro) che l'amico Ferrandi ed io siamo relatori di minoranza per quanto riguarda l'autorizzazione a procedere, ma siano invece relatori di maggioranza per quanto riguarda la non autorizzazione all'arresto.
Onorevoli colleghi, non voglio e non posso intrattenermi sui « fatti di reato », non voglio « non posso seguire, qui, il collega Ferrandi e contrastare il passo al collega Scalfaro.
Devo, peraltro, porre una domanda, proporre un quesito: di che cosa si tratta, di che ci occupiamo noi ?
Noi ci occupiamo di episodi di guerra, noi ci occupiamo di episodi accaduti nel periodo più doloroso dell'aggressione nazi-fascista in Italia, nel periodo critico della lotta partigia-na nella zona biellese.
Né il procuratore generale, né il relatore di maggioranza hanno potuto negare che si trattasse di azioni di guerra. Il relatore di maggioranza, che pure ha voluto essere circostanziato, precìso ed esauriente nella descrizione dei fatti e delle loro circostanze estrin-seche, quando si è trattato di affrontare il
problema della causale - se si trattasse o non si trattasse di azioni determinate da necessità belliche - si è coperto, si è quasi trincerato dietro l'affermazione che di questo problema si occuperanno i giudici, si occuperà l'autorità giudiziaria.
No, onorevoli colleghi, fatti come questi, fatti di guerra come questi, buoni o cattivi -oh, i fatti di guerra prescindono sempre dalla morale corrente! -, mantenuti o non sulle rotaie della procedura, cioè della forma, ve ne sono stati a decine, a centinaia, persino nelle operazioni degli eserciti regolari e, soprattutto, in quelle operazioni particolarissime, che sono state le operazioni partigiane.
Ebbene, che cosa volete, colleghi della maggioranza ? Volete veramente fare il processo a tutti i capi partigiani, a tutti i capi della Resistenza, a qualunque parte politica appartengano oggi, uniti, ieri, soltanto nello spirito unitario della Resistenza, in un'unica Volontà di lotta, di sacrificio, di vittoria ? Perché a questo noi siamo. È questo il punto che deve essere presente, a mio avviso, al di "sopra della freddezza delle carte e delle sottigliezze giuridiche e tecniche, è questo il punto che deve essere presente alla, coscienza intima di ciascuno di noi, nel momento in cui ci troveremo d» fronte alle responsabilità di dare il voto, di esprimere concretamente il nostro giudizio.
Dicevo: fatti di guerra che quasi mai hanno dato luogo a procedure giudiziarie e che, quando a procedure giudiziarie hanno dato luogo, sempre, che io mi sappia, hanno portato al proscioglimento in istruttoria n alla assoluzione in dibattimento. È la legge positiva che scrimina i fatti di guerra, o che comunque estingue l'azione penale con l'amnistia del 1946, rispetto ai fatti politici.
Vi sono molti esempi. L'ultimo è di ier l'altro : lo abbiamo letto sulla .stampa quotidiana. La liberazione ormai aveva compiuto il suo ciclo di guerra; l'armistizio era stato già ' firmato: alcuni fascisti, credo due, sono stati condannati a morte come spie da un tribunale popolare improvvisato. L'autorità giudiziaria (la quale non poteva più ritenere che si trattasse di fatti di guerra, perché — ripeto - l'armistizio era stato ormai firmato) ha ritenuto che si trattasse di fatti politici ed ha prosciolto gli imputati in istruttoria per amnistia.
Dove sta, nel caso che ne occupa, la persecuzione politica? - chiede l'onorevole Scalfaro - 11 procedimento contro Mora-nino è stato iniziato perché egli era un deputato comunista, perché egli era stato
un comandante comunista della Resistenza. E persino l'origine dell'istruttoria è tipicamente politica: essa è stata provocata e richiesta da alcuni articoli pubblicati in un giornale politico, avversario del partito comunista.
La campagna contro il collega Moranino si è poi via via allargata e sviluppata e le accuse sono state moltiplicate e amplificate ad opera di coloro contro cui Moranino aveva combattuto da prode, contro cui avevano combattuto i partigiani di ogni tendenza, contro cui si era sollevato il popolo italiano nella gloriosa Resistenza e nella insurrezione nazionale. Tanto che nei giornali neofascisti si sono inventate episodi granguignoleschi, si sono montate scene di stragi, si è detto addirittura che Moranino sarebbe responsabile di massacri in massa eseguiti mediante schiacciamento con carri armati ! Episodi granguignoleschi, scene di stragi, tratti dal repertorio dovizioso offerto dalle gesta dei nazisti e dei fascisti, che hanno davvero commesso simili delitti orrendi in talune parti d'Europa e persino nel nostro paese.
Ci si oppone che il Parlamento non" deve entrare -nel fatto. L'onorevole Sealfaro si fa forte di questa tesi. Vorrei rispondergli che non è coerente con se stesso, dappoiché lutto il suo intervento orale e tutta la sua relazione sono intessuti sui fatti, ed egli è giunto persino a toccare le corde del sentimento, descrivendo i fatti, per indurre alla approvazione delle sue conclusioni.

Onorevoli colleghi, passando all'autorizzazione a procedere all'arresto, debbo precisare a voi e al collega onorevole Scalfaro, relatore per la maggioranza, che in questo momento, cioè per la questione dell'arresto, è relatore di minoranza, che se la Camera andasse di avviso contrario al nostro, la prima Camera repubblicana, la prima Camera democratica sorta dalla Resistenza, creerebbe, contro un capo della Resistenza e per un episodio della Resistenza, un caso nuovo, perché non vi è precedente, pev quanto mi risulta, nella nostra più che centenaria storia del Parlamento in cui sia stato autorizzato contro un deputato l'arresto preventivo.
Mi son fatto un dovere di compulsare gli atti parlamentari e non ho trovato dei prece-. denti in cui la Camera abbia consentito l'arresto preventivo, ma solo assai rari precedenti, in cui è stato consentito l'arresto esecutivo, vale a dire in esecuzione di una sentenza passata in giudicato. Posso citarvi qualche caso - non potevo portare qui un'intera biblioteca: ho preso un paio di volumi di som-mari analitici di atti parlamentari -. Il 2 aprile 1908 (XXII legislatura) la Camera ha concesso l'autorizzazione a procedere contro il deputato Romani (documento n. 850, relatore Panie) non prendendo in considerazione l'autorizzazione all'arresto.

..; oggi-va esaminata in base al decreto n. 96 del 194Ó, il quale statuisce che nessun cittadino possa essere arrestato 0 mantenuto in detenzione per un fatto commesso durante la lotta partigiana per la resistenza del nostro paese contro i fascisti e contro i tedeschi, se non vi sia la prova certa che il fatto addebitatogli ìntegri un reato comune e non sia stato commesso per fini di guerra.
Sicché l'argomento dell'onorevole Scal-faro si ritorce - mi si consenta - contro di lui. Qui si vorrebbe fare una differenza a danno del deputato ; e di fatti i coimputati parti-giani, ingiustamente arrestati e detenuti sino al marzo 1951, sono stati tutti posti in libertà dall'autorità giudiziaria in forza del più volte ■citato decreto del 1946. Tale è l'assurda, iniqua conseguenza cui si giungerebbe.
Nò si insista nel dire che non sappiamo ancora se si tratti di fatto di guerra 0 se si tratti di fatto comune, che, lo dicevo in principio e lo ripeto concludendo, mentre da un lato, né accusa giudiziaria, né io stesso relatore onorevole Scalfaro possono avanzare la benché minima plausibile causale diversa da quella che è stata conclamata dal collega Moranino, da quella che risulta dalle carte processuali, da quella che noi ancora una volta rivendichiamo, né accusa giudiziaria, né l'onorevole Scalfaro possono escludere il fatto di guerra, l'azione partigiana - episodio, cioè, che rientra e si conclude nell'ambito della nostra gloriosa esistenza nazionale —; dall'altro, solo la certezza che ciò non fosse, consentirebbe l'arresto e la detenzione d'un partivano.

NASI. Democrazia del Lavoro -Onorevoli colleghi, in verità debbo dirvi che le prime parole del relatore di maggioranza, onorevole Scalfaro, mi hanno reso perplesso più di quanto io già non fossi. Egli ha incominciato, infatti, col dire: discuteremo ampiamente in merito e in procedura,, ma ciascuno rimarrà nel proprio pensiero, cioè ognuno, ormai, ha il suo voto in tasca.
SCALFARO, Relatore per la maggioranza. Ho detto ciò riferendomi non al caso in esame ma ad una questione di principio.
NASI. D'altronde, onorevole Scalfaro, ella è molto giovane. Io ho assistito viceversa a parecchie di queste discussioni, le-quali, nella maggior parte, diventano ampie 0 brevi, gravi o meno gravi non per la materia, ma per la persona di.cui si discute. Questo è il precedente parlamentare, purtroppo. E io sono lieto ch6 questa discussione sia andata finora con cai-ma. Ricordo, vedo ancora, dopo la relazione della « commissione dei sette », l'onorevole Giolitti cadere sopra una di quelle, sedie; vedo qui, proprio in questi banchi, Crispi quasi ottantenne, avvilito e inveito da tutta la Camera. Vedo altre scene che forse direttamente mi riguardano; e ho sempre creduto -e vorrei che questa volta mi fossi ingannato -che gli istinti della Camera in certi momenti diventano tali da fare dubitare della coscienza dell'uomo.
Ciò detto, vorrei osservare all'onorevole Sealfaro, che nella sua relazione si è mostrato preoccupato di non entrare nel merito, che abbiamo assistito oggi a discussione profonda di merito.
E vorrei osservare, altresì; all'onorevole collega e a tutta la Camera che le ragioni che portarono l'anno scorso alla sospensiva, e cioè che l'esame di altre carte ed anche le riflessioni avessero potuto portare ad una distensione degli animi e ad un diverso apprezzamento non si sono avverate. L'apprezzamento, sì, c'è stato, diverso, non solo nel senso che l'autorizzazione all'arresto è stata negata ' dalla Giunta in conseguenza di una votazione che ha racolto la parità dei voti; il che non fa che confermare il dubbio che la divisione politica e la prevenzione sui fatti, che si erano manifestate fin dall'anno passato, continuino. Da questo punto di vista, gli oratori che seguiranno dovrebbero approfondire oltre e molto la questione, in fatto e in diritto.
Le impressioni che ho avuto, onorevoli colleghi,, leggendo le relazioni, sono tra le altre queste.
Notai, innanzitutto, che da parte deì[depu-tati sicuramente non si sono studiati tutti i documenti processuali come si auspicava. Dell'onorevole Moranino molto si è 'parlato, ma poco si è letto e poco si è studiato !
Dice l'onorevole Scalfaro: lo farà il magistrato.
No, onorevole Scalfaro, lo dobbiamo fare noi, tanto più che voi avete mésso in pratica oggi profondamente il metodo di addentrarvi nella materia del processo, né mi meraviglio, perché è ormai tacito, perché non si può discutere di prerogative in genere. Non v'è giudice (ella è un giudice), anche di cassazione, che non decida senza considerare il fatto.,
E il fatto, secondo me, per il modo con cui è avvenuto, per il momento in cui è avvenuto, non porta a concedere né l'autorizzazione a procedere, né quella all'arresto, tanto meno quella dell'arresto, perché contraria a tutta la prassi parlamentare. Dirò, a differenza dell'onorevole Capalozza, per essere chiaro e sincero, che non è vero che tutta la prassi parlamentare è in questo senso. Vi citerò due casi, dei quali non è responsabile la Camera ma la passione politica: il caso Pa-lazzolo, innanzitutto. La Camera sommariamente concesse l'autorizzazione, non richiesta dal procuratore generale. E fu unicamente per garantire, si disse, l'individuo alla polizia. Il secondo fu il caso Nasi. Non avrò il cattivo gusto di addentrarmi in questo. Posso assicurare che la Camera, autorizzando contemporaneamente l'arresto insieme all'autorizzazione a procedere, fu ingannata da documenti che erano stati artificialmente occultati, come fu dimostrato in alta corte di giustizia.
Oltre questi due precedenti non ve ne sono altri. Noto che tutte le autorizzazioni a procedere perii 95 per cento sono state negate; quelle all'arresto sono state sempre negate, salvo che si tratti di flagranza (in materia di flagranza dobbiamo ricordare quello che è successo, dopo i moti di Milano del 1898, a Turati, a Bertesi, a Todeschini), salvo che si tratti di individui i quali rieletti erano stati colpiti da sentenza irretrattabile. Ma anche ' in quei casi la Camera sovranamente, contro il parere della magistratura, ha sempre regolato la sua azione salvaguardando la prerogativa parlamentare. Ed è logico che debba essere così.
Deve farsi una deroga per l'onorevole Moranino ? Non lo so. Onorevole Scalfaro, ella è acuto nelle sue citazioni. Ne farò una io, che non ho inteso fare neanche dall'onorevole Capalozza. Si tratta di un caso recentissimo. Durante la Costituente abbiamo avuto una domanda di autorizzazione a procedere e all'arresto contro l'onorevole Gallo, il quale era accusato di insurrezione armata contro i poteri dello Stato, omicidio, tentato omicidio, associazione a dehnquere, ecc.
Alla Costituente era stata richiesta l'autorizzazione all'arresto. La Commissione unanime la negò. Ed io non vorrei fare raffronti fra la situazione siciliana di allora, di insurrezione, di delinquenza locale, e quella che fu l'epopea della Resistenza, che merita il nostro maggiore rispetto. Ma domando: quale differenza di giudizio si può fare sui due casi contrastanti ? La Camera e la Commissione hanno detto sempre che separatamente devono essere concesse le autorizzazioni a procedere e all'arresto. E questa negarono per l'onorevole Gallo. Non comprendo come e per quale ragione di fatto o di diritto l'onorevole
Scalfaro abbia cambiato opinione, perché nell'unanimità raggiunta allora nella Commissione c'era anche il suo nome. Non comprendo perciò perché si debba venire all'autorizzazione a procedere e all'arresto contro Moranino.
Ho detto: per il modo con cui avvennero i fatti (e non li posso illustrare in una dichiarazione di voto) e per il tempo in cui gli stessi avvennero non si deve concedere né l'autorizzazione a procedere, né quella all'arresto. Ma debbo aggiungere una mia grave impressione. Noto anzitutto che la magistratura prima ha chiesto l'autorizzazione a procedere, e solo dopo un anno ha domandato quella all'arresto. E nelle sue motivazioni fa un inno al patriottismo ed all'eroismo dei cinque fucilati. Non una parola, una sola, a favore di Moranino. Quest'uomo per essa non ha fatte niente, è nato delinquente comune, ha proceduto da delinquente comune, deve essere giudicato come delinquente comune !
A ciò si ribella la coscienza di qualunque uomo, a qualunque parte appartenga. Non'vi è una sola parola a favore di Moranino, di quest'uomo che, uscito dal carcere, al quale era stato condannato per 10 anni dai fascisti (mentre noi abbiamo liberati tanti traditori fascisti), va in montagna a combattere, per difendere l'Italia unendosi agli uomini liberi di tutta l'Italia. Ed egli non ha nessun merito, è un delinquente comune. Ma quale è il movente ? Perché ha ucciso o ha fatto uccidere i cinque uomini - ex repubblichini -e le due donne ? È il movente, onorevole Scalfaro, quello che deve dirigere la nostra azione e ispirare le nostre decisioni di uomini politici a difesa delle prerogative parlamentari.
Jl movente voi non lo avete dimostrato; tanto meno lo ha dimostrato il giudice, il quale si è riservato di farlo!
In queste condizioni, domando se è possibile fare un'esecuzione sommaria dell'onorevole Moranino, nel momento in cui si lasciano in libertà i carnefici e mentre si colpiscono coloro che salvarono l'Italia. Gli esempì sono infiniti. Non più tardi di alcuni giorni fa, un quotidiano di Roma domandava vendetta per i massacri che avrebbero fatto i comunisti. Come se essi non avessero fatto nulla. Marzabotto non esiste ! I colpevoli sono tutti nei partiti dell'estrema sinistra !
Se in linea di fatto lo scempio e il massacro che fecero i nazisti e i fascisti in Italia è vero, perché vogliamo invelenire la situazione, perché vogliamo colpire chi l'Italia difese e salvò ? Del resto non è dimostrato
affatto, ripeto, che l'onorevole Moranino abbia compiuto atti per odio personale o per altra bassa ragione qualsiasi. Bisogna considerare il fatto guerra e la situazione locale, quando, i partigiani vivevano braccati e morivano di fame. Intorno a Moranino si levarono (e non è senza significato) 5 mila persone, mille di essi caddero. Era evidente che non vi potevano essere mezzi termini nella guerra partigiana. D'altronde non si guardò a mezzi termini neanche nelle guerre mondiali, quando si sparava ad un militare solo perché fumava e si decimava senza alcuna procedura. I Graziani che hanno rovinato l'Italia procedevano con' sistemi sommari. Quale tribunale si può pretendere, quando è vicina una spia e le bombe piovono intorno ? Voglio aggiungere un'osservazione, non ancor fatta e che mi pare rilevante. H Santucci, il primo dei fucilati, si presentò a « Gemisto », cioè alla divisione garibaldina, con altri 15 partigiani - provenienti dalle file repubblichine - poi si unì con i cinque che provenivano da alto*e parti, comunque sempre fasciste. Ebbene, perché Moranino se la sarebbe presa solamente con i cinque e non con gli altri dieci, cioè con i seguaci .di Santucci? Questi rimasero con Moranino indisturbati e salvi. E allora le ragioni che Moranino ha addotte, le ragioni che troviamo negli atti, cioè che i fucilati fossero spie, gente sospetta, da eliminare, sono t'ondate. I partigiani dovevano difendere se stessi e le popolazioni. La giustificazione della condanna appare, più che legìttima, sacrosanta.
E quando si parla delle donne, per commuovere non si dice che, appena allontanatesi le truppe partigiane, vennero i tedeschi e bombardarono Flecchia e uccisero il parroco del posto, e tutto ciò non potè avvenire ohe per delazione o vendetta. Questo non si dice. Se dovessimo addentrarci nella descrizione degli avvenimenti, ci persuaderemmo .che, in linea di diritto e in linea di fatto, aoi non possiamo con sicura e tranquilla coscienza concedere le autorizzazioni richieste.
Io ero venuto qui, onorevole Scalfaro, nella speranza che ella si alzasse per dire che è ora di portare una pazxsla di equità in questa discussione, è ora di chiudere questo grande libro della liberazione e della lotta partigiana, libro pieno di glorie, di sacrifici . e di sangue e non solo di quelli che combatterono.
Questo libro non si vuoi chiudere. Purtroppo vi è gente molto pratica del mestiere che lo impedisce. Non vi è giornale che non domandi le revisioni e la distensione. Però -è incredibile - distensione in- favore di fascisti e condanna di coloro che salvarono l'Italia, compiendo quel secondo Risorgimento che noi tutti dobbiamo rispettare !
In ogni cosa umana vi sono ombre e luci. Ebbene3, possono essere stati commessi degli errori, vi possono essere state delle colpe, ma quando non c'è. la prova provata noi abbiamo il dovere, per il bene del nostro paese, in omaggio al nostro popolo, di dire « no » ad una domanda che è ingiusta e impolitica.

Red Shadow
22-03-07, 17:13
Ecco i famosi liberali al lavoro in tempo di guerra:
http://www.thehollywoodliberal.com/021506new_abu_gharib_abuse1.jpg

Red Shadow
22-03-07, 17:32
un'altra opera umanitaria dei combattenti liberali in lotta con il totalitarismo; il massacro di May Lay
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/77/My_Lai_massacre.jpg

Pieffebi
22-03-07, 21:14
Il signor RedShadow, noto mistificatore e negazionista dei crimini dello stalinismo posta cose del tutto prive di correlazione con i fatti (persino fotografie del tutte estranee alle vicende in questione, a solo scopo di dirottamento emotivo della discussione, nel puro stile del troll comunista inintelligente).
Inoltre continua ad infamare quali spie fasciste uomini integerrimi come Emanuele Strassera, e ciò vergognosamente e scientemente contro le prove inconfutabili presenti agli atti dei processi celebrati. Processi che hanno condannato Francesco Moranino alla pena dell'ergastolo, mai scontato vista l'ignominosa fuga "dell'eroe" nella Cecoslavacchia oppressa dalla dittatura comunista, di cui per anni si rese sodale. Pena cancellata SOLAMENTE da provvedimenti di CLEMENZA della Presidenza della Repubblica.

Ecco alcune delle dichiarazioni del del capo della missione britannica nel biellese al tempo dei delitti di Moranino, rilasciate nel 1952, e agli atti del processo contro i crimini imputati a Gemisto:

"
Se l'on. Moranino aveva dei dubbi sull'appartenenza di Strassera alla missione "Montreal"e sull'autenticità dei documenti in suo possesso, egli sapeva che la nostra Missione avrebbe potuto riconoscerla mediante l'interrogatorio diretto, oppure attraverso comunicazioni radio con la base in territorio libero. Inoltre Moranino sapevo che era per lui un dovere militare fornire tali segnalazioni alla Missione e pertanto la fucilazione di Strassera non può essere in nessun modo ritenuta un errore scusabile, non solo dal punto di vista obiettivo ma neppure soggettivo [...]Moranino volle scientemente la fucilazione di Strassera pur conoscendo la sua reale appartenenza alle forze armate regolari, perchè non si spiega altrimenti che ne' prima, ne' dopo comunicò tale espisodio alla Missione Militare Alleata per l'Alto Piemonte""e ciò nonstante il fatto che fossero state all'epoca


frequenti le visite al Moranino al Comando della Missione Alleata posto presso il primo comando di zona Biellese, data l'assoluta tranquillità e intensa fase organizzativa

Ma il teste confermò anche le spiegazioni che in molti avevano dato di quel comportamento di Gemisto, affermando con decisione che


"I capi garibaldini e fra essi principalmente il Moranino, accarezzavano il progetto di operare azioni di forza per disperdere ogni altro movimento di resistenza non comunista per assumere un più netto predominio politico-militare e che i suddetti capi vedevano nell'organizzazione delle Missioni [Alleate] il principale ostacolo a tali piani"

Shalom


seguita...

Red Shadow
23-03-07, 14:07
Pena cancellata SOLAMENTE da provvedimenti di CLEMENZA della Presidenza della Repubblica.
Sei un bugiardo. Pena cancellata da un Tribunale Repubblicano



"I capi garibaldini e fra essi principalmente il Moranino, accarezzavano il progetto di operare azioni di forza per disperdere ogni altro movimento di resistenza non comunista per assumere un più netto predominio politico-militare e che i suddetti capi vedevano nell'organizzazione delle Missioni [Alleate] il principale ostacolo a tali piani"
Cioè vorresti farmi credere che eliminado 5(cinque) persone i garibaldini avrebbero stravolto l'egemonia nella lotta partigiana. Altre azioni un po' più credibili in questo senso? Nulla.
Allora dilla tutta come lo pseudo-storico lagaiolo Gremmo che dice che Moranino si era messo d'accordo addirittura con i tedeschi (per prendere delle tangenti!!!!). Il Patto Molotov-Ribbentropp in salsa piemontese è servito!!! (L'artoclo è stato pubblicato dal noto foglio scandalistico liberale:"Il Giornale")
Oppure altra versione i 5 avrebbero rivelato come agiva Moranino. E come agiva? Non si sa. Manca un movente credibile.

Red Shadow
23-03-07, 14:24
Durantela guerra di liberazione furono giustiziate qualche centianaio di spie da parte di tutte le formazioni partigiane. Nel discorso di Boldrini si dice anche i danni che quetse hanni fatto:


BOLDRINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono obbligato, per inquadrare il mio intervento, à richiamare brevemente alla considerazione della Camera la campagna di svalorizzazione che da tempo viene condotta dai gruppi antinazionali e antirisorgimentali contro la Resistenza. Questa campagna è stata condotta con ogni mezzo fin dal 1945, per gettare fango sulla gloriosa epopea partigiana. Questa azione è stata condotta con alla testa la stampa fascista, con la compiacenza di alcuni gruppi dirigenti, ed ha determinato, da una parte arresti di partigiani, e dall'altra clamorose scarcerazioni di fascisti tipo Borghese e Graziani.
Si è avuta la sensazione precisa nella parte più sana del paese che i valori morali della Resistenza si andassero invertendo e che chi ha avuto l'onore di combattere per la libertà e l'indipendenza stesse diventando l'accusato, mentre il traditore stava diventando l'accusatore.
Si è avuta la percezione precisa che le forze sconfitte e battute il 25 aprile 1945, ritentassero la loro rivincita attraverso la calunnia, l'arresto, l'insulto, l'oblio. Quelli che. avrebbero dovuto rispondere, per aveva condotto l'Italia alla catastrofe, volevano invece condannare o far condannare, chi aveva salvato il paese dal caos, dalla disfatta più .clamorosa.
Sarebbe troppo lungo, onorevoli colleghi, esaminare qui le ragioni e le cause che hanno determinato una situazione cosi paradossale. A me interessa sottolineare e richiamare l'attenzione della Camera sul fatto che, quando ufficialmente le associazioni partigiane fecero presente la gravita.della situazione (che si sintetizza in arresti di partigiani, in non applicazione delle leggi promulgate in difesa della resistenza, in rinascita del fascismo), da tutti i settori politici si elevarono voci autorevoli per dire che era l'ora di fluirla e che bisognava riconoscere la Resistenza per quella che era stata.
Due fatti politici di importanza nazionale accompagnarono l'azione intrapresa dalle associazioni partigiane in difesa della Resistenza. Questi due fatti politici, che. ebbero una grande ripercussione nel paese, furono il convegno della cultura a Venezia e la celebrazione ufficiale del 25 aprile (promossa dal Senato) all'Addano, nell'aprile del 1950.
Nel convegno di Venezia si riconobbe, per dirla con l'ordine del giorno del convegno di Venezia, che « forze ostili alla liberazione nazionale, interpretando come debolezza il generoso sforzo di riconciliazione della democrazia, si riorganizzano nella sistematica denigrazione di ogni aspetto e fase della lotta per la liberazione ». Anche il Presidente del Senato, il compianto onorevole Bonomi, nella sua allocuzione per la celebrazione del 25 aprile 1950, precisava: « Contro quel patrimonio- si appuntano spesso accuse e rancori, ma rivendichiamo a noi uomini della resistenza il diritto di discevuere con equità, e anche con severità, il bene dal male; ma non possiamo tollerare che vi siano facili critici disposti a gettare non solo l'oblio, ma anche l'ignominia in quel complesso di azioni che lo spirito popolare, spesso più perspicuo della storia, ha ormai battezzalo come il secondo risorgimento italiano ».
Questa campagna di diffamazioni! non ha impressionato e non impressiona soltanto le correnti politiche nazionali, ma anche all'estero, in Francia, in Inghilterra, nei paesi dell'Europa orientale, ha sollevato proteste e critiche che non servono certamente a dar prestigio al nostro paese, ma piuttosto a bollarlo come la nazione dove tutto viene fatto per distruggere le migliori tradizioni patriottiche e popolari. E che la campagna antipartigiana avesse oltrepassato ogni limite lo indica il fatto che, quando da molte parti si sono levate voci ad indicare che la resistenza non si poteva attaccare, numerosi magistrati (e vada un vivo riconoscimento a questi magistrati, per avere compreso che la legge deve essere attuata nei suoi giusti termini), sentirono il dovere di prosciogliere decine e decine di partigiani che erano stati illegittimamente arrestati.
A questo punto, onorevoli colleghi della maggioranza, mi potreste dire che anche voi siete d'accordo nel difendere la Resistenza. Il fatto è, però, che la richiesta a procedere contro l'onorevole Moranino non è un caso isolato, ma si unisce ad una serie di altre denunce contro i partigiani, presentate dai fascisti e dalle famiglie dei fascisti, e ad una campagna che ha ripreso la sua azione in grande stile.
Voi chiedete l'autorizzazione a procedere contro l'onorevole Moranino, ma è logico che i gruppi più retrivi del nostro paese, il marciume della nostra società riprenda la campagna contro i partigiani, dal momento che voi date esca a tutto ciò che, infirmando l'operato di un dirigente, colpisce tutta la Resistenza italiana.
Ma permettetemi, onorevoli colleghi, di soffermarmi su un altro aspetto del problema. Chi era, in ultima analisi, l'onorevole Mora-nino ? Chi è « Gemisto » che voi volete colpire ? Io non voglio, naturalmente, fare qui la biografìa, sia pure succinta, di Moranino, per esaltarla, ma perché voi abbiate elementi obiettivi per giudicarlo. Quando si vuole colpire un dirigente partigiano, infatti, è bene che si sappia chi è, che cosa ha fatto, come si è battuto e che cosa rappresenta per il nostro
« Gemisto » (permettetemi di chiamarlo cosi) è nato nel 1920 a Tollegno, centro operaio, da famiglia operaia. Ha frequentato il primo corso inferiore di ragioneria e poi è entrato, come apprendista, nel reparto chimico della filatura di Tollegno. Dal 1940, inizia la sua attività clandestina antifascista: nella sua casa, nell'ambiente del suo lavoro, aveva già succhiato la linfa vitale dell'antifascismo ed aveva subito compreso che l'antifascismo doveva diventare operante e non rimanere nel chiuso, nelle case o nel circolo degli amici fidati. Cominciò così a interessarsi di propaganda antifascista, si mise in movimento "per stampare manifestini e materiale da distribuire ai giovani. Nel gennaio 1941 un provocatore, infiltratosi nei gruppo, determina l'arresto di diversi antifascisti, tra i quali Moranino, che, nell'aprile dello stesso anno, veniva processato dal tribunale speciale o condannato a 12 anni e 6 mesi di carcere. Comincia cosi la lenta agonia del carcere fascista, nel quale tanti giovani sì sono temprati, tenendo alta la bandiera della libertà e della democrazia. Messo a scontare la pena nel carcere di Civitavecchia, ne esce nell'agosto 1943, in seguito ai fatti del 25 luglio.
Ed ecco l'8 settembre: comincia la lotta armata dell'antifascismo contro i tedeschi e i « traditori. Moranino diventa « Gemisto » e assume il comando di una brigata che non esiste, che non ha quadri, uomini, intendenza, armi, rifornimenti, casermaggio, don altri giovani raggiunge Montecucco, poi l'aggiunge la Valsessera ed organizza un piccolo gruppo partigiano e con esso attacca la caserma dei fascisti per conquistare i primi moschetti ed arma i primi uomini della sua brigata. Nel dicembre del 1943 ormai il primo nucleo parti-giano sotto il suo comando è diventato un piccolo reparto - 40 uomini, 40 partigiani - e nasce il primo distaccamento «Pisacane». Ormai vi sono le basi per affrontare su più larga scala la costituzione di una brigata partigiana. Nel gennaio del 1944 Moranino si mette al lavoro con altri partigiani, che intanto si sono conquistati i galloni, per organizzare la brigata partigiana Garibaldi. Il nemico intuisce il pericolo e comincia la serie dei grandi rastrellamenti. In febbraio, con oltre 5 mila tedeschi e fascisti, ha inizio il primo grande rastrellamento. La lotta è furibonda. A massa i fascisti attaccano con i carri armati, con antoblìnde e molte armi. I partigiani subiscono gravissime perdite ed è solo grazie alla decisione, alla fermezza e alla guida di « Gemisto » che la formazione dopo 17- ore e mezzo di marcia in alta montagna riesce a sganciarsi ed attestarsi su nuove posizioni evitando così la sicura distruzione. Dopo questo durìssimo rastrellamento, Morannoo riorganizza i suoi uomini ed esplica ogni sua attività perché la popolazione con ogni- mezzo esprima sempre più la sua solidarietà verso i partigiani, comprendendo pienamente che, senza di questa, è impossibile sostenere la guerra ed il fronte combattente.
Ormai siamo al maggio. Le chiamate alle armi dei fascisti, le rappresaglie tedesche, la coscienza della lotta stava determinando nel paese l'adesione sempre più entusiasta e decisa dei cittadini italiani. I tedeschi capiscono la gravita della situazione ed attaccano la Valsesia. Abbiamo un altro grosso rastrellamento. Ebbene, onorevoli colleghi, leggete il verbale del comando militare. In quel rastrellamento chi salva la situazione ? 6 Moranino, il quale si manifesta non solo un provetto comandante1 ma anche un grande combattente. Il rapporto militare, nelle sue scarne parole, dice: « II 16 agosto 1944, il nemico, inseguendo una brigata di Moscatelli, si porta in Valsessera ed attacca Noveis. « Gemisto », al comando di un distaccamento, accorre in aiuto, prendendo dì fianco i fascisti. Postato saldamente, riesce con una mitragliatrice e pochi uomini ad inchiodare il nemico ed a tenerlo fermo per alcune ore, nonostante la forte pressione. La fermezza di Moranino salva la brigata dì Moscatelli ».
« Gemisto » è ormai il comandante riconosciuto da queste formazioni. A questo rastrellamento ne segue un terzo ancora più

grave, ancora più duro, ancora più massiccio. A quel rastrellamento partecipano seimila uomini fra tedeschi e fascisti. I reparti partigiani si difendono e si ritirano per sfuggire all'accerchiamento. Durante una marcia di trasferimento, la pattuglia capeggiata da « Gemisto », per colpa di spie, cade in una imboscata. Dieci partigiani, fra cui il Mora-nino, stanno riparandosi in una casa, mentre altri tre sono fuori di guardia. L'attacco d." sorpresa dei fascisti da luogo ad una In ti a furibonda. Nove partigiani cadono. « Gemisto » riesce a salvarsi miracolosamente perché un suo compagno d'arme, il partigiano Fontanelli Elio, si sacrifica per permettere che il comandante Moranino possa scappare. Moranino scappa dopo avere utilizzato quelle poche bombe a mano che aveva a Iracolla., ferito da sette colpi d'arma da fuoco. E qui, secondo me, vi è uno degli episodi più significativi della vita di Moranino che dimostrano l'animo dì questo comandante partigiano. Nella fuga cerca di rifugiarsi in una casa. Bussa alla porta di questa casa. Gli apre un uomo il quale, anziché soccorrerlo, gli spulo, in faccia e lo schiaffeggia. Egli si allontana a--=stento, riprende il doloroso calvario e riesce a salvarsi. Ebbene, mai il Moranino ha rivelato il nome di quell'uomo, perché egli haripetutamentedichiaralo: «Potrebbe considerarsi questo un caso personale e i casi personali sono miei e non interessano la Resistenza».
Si salva, riprende il comando e )1 primo ' agosto 1944 il distaccamento Pisacane, diventa la 5° brigata Garibaldi, « Nedo », prendendo il nome dell'eroica medaglia d'oro del biellese.
Il comandante del settembre 1943, senza brigata, senza armi, senza uomini, senza intendenza, senza quadri, ha ora la sua brigata, che ha forgiato giorno per giorno, guidato con rara maestria ed intuito, portandola continuamente contro i tedeschi e contro t fascisti.
Ma il comandante non è soltanto un militare, ma è anche un'organizzatore. Vuole che i suoi uomini abbiano il loro giornale, perché la popolazione conosca ciò che fanno i partigiani e i partigiani ciò che vuole la popolazione. Il C.L.N. rimane sorpreso per questa capacità, . sagacia di « Gemisto » e decide di elogiarlo non solo per la sua attività militare, ma anche per la sua capacità organizzativa, per l'organizzazione interna delle sue formazioni.
Nel settembre-novembre 1944 la brigata, per la sua organizzazione, per la sua capacità, per la sua tenacia, per il suo spirito combattivo, venne riconosciuta dal comando volontario della libertà per il Piemonte come divisione. Quel comando scrive: « Questo comando generale, constatato lo sviluppo degli effettivi e l'efficienza organizzativa, l'attività della 50» brigata « Nedo B, ha deciso che detta brigata sia suddivisa in tre brigate che vanno a costituire la XII divisione d'assalto « Piemonte ».
Era così-costituita la gloriosa XII divisione, al comando di « Gemisto », che si coprì di gloria fino alla liberazione.
Nel frattempo, gli stessi alleati riconobbero l'importanza della zona e l'importanza delle operazioni militari condotte dalle formazioni partigiane, e mandarono presso « Gemisto » una missione comandata dal maggiore inglese Mac Donald, composta da Roberts e da altri. Non solo riconobbero l'importanza della zona e l'importanza delle operazioni, ma superando le varie prevenzioni, contrattempi, indugi ben noti a chi ha comandato reparti partigiani, fecero di tutto per assicurare alle formazioni rifornimenti di armi e di materiale.
E permettetemi, per inciso, di dire che un ufficiale di quella stessa missione a proposito del fatto che siamo chiamati a ghidicase, dichiara di essere stato d'accordo con Mora-nino quando prese quei provvedimenti.
La XII divisione è nuovamente provata prima della fino dell'anno 1944, « cioè nel mese di dicembre subisce una serie di rastrellamenti, una serie di colpi che la mettono in pericolo, ma la divisione si salva perché ancora una volta è capace di tener duro e di resistere alla pressione avversaria. A .questo punto sarebbe interessante, onorevoli colleghi, leggere i bollettini militari dell'attività della XII divisione: allora passerebbero davanti alla Camera centinaia di fatti d'arme, di azioni, di colpi di mano. Basta per lutti ricordare due documenti che dimostrano quale sia stata la combattività, l'eroismo, la capacità di « Gemisto » e della formazione che egli guidava.
Ecco come un rapporto della repubblica di Salò, compilato dall'ex maresciallo Graziani, descrive la situazione nelle zone del vercellese e del biellese: « Le bande sono sempre localizzate nella zona di Valsesia, Val Sessera e Valle d'Adorno. Dette valli, dopo la partenza per la zona di operazioni della 63» legione repubblicana « Tagliamento », ecc. sono rimaste in completa balìa dei ribelli. Le bande si spostano continuamente ed è difficile individuarne le sedi ».
In un altro rapporto del generale tedesco Temsfeil si legge: « La zona più preoccupante in questo momento è il biellese. Nella zona del biellese il punto più nevralgico è costituito dalla Serra; anche preoccupante è considerata la zona della Val Sessera e quella della Valsesia alta, dove vi sono truppe ». Per questo
il nemico cerca di non dare tregua ai partigiani. Escogita tutti i sistemi pur di distruggere quelle formazioni. E ai rastrellamenti fanno seguito i massacri contro i partigiani arrestati e le popolazioni. Gli episodi sono raccapriccianti, brutali, commoventi. E non si dimentichi che molte rappresaglie sono avvenute per delazioni, per spionaggio, per opera di falsi partigiani infiltrati apposita mente nelle formazioni partigiane.
Sono di triste memoria i fatti causati do agenti provocatori adoperati dai tedeschi.
Porto alla vostra attenzione un documento del Comitato di liberazione nazionale alta Italia, che dimostra come i tedeschi mascheravano i loro informatori. In una circolare del C.L.N.A.I. è.detto esplicitamente: «Diffidate dell'aiutante Antonio Mulas, nato in Sardegna, italiano, che fa il fiio-partigiano; di Giordano Jolanda, con marito, che cerca di ospitare partigiani; Giordano Enrico, da Rapallo, Poerettino Felice e fratello che fanno le vittime dei tedeschi».
Queste erano le armi ed i sistemi, che tedeschi e fascisti adoperavano per entrare nello nostre formazioni, carpire informazioni precise e colpire duramente.
In seguito a queste delazioni, vi è stala una serie di rappresaglie, che è bene che la Camera non dimentichi. Non si deve dimenticare l'episodio di Mottalciata, accaduto nel mese di maggio del 1944, nel quale 20 partigiani vennero catturati in seguito a delazione di spie. Particolare cenno merita pure l'episodio di Salussola, nel quale 21 partigiani venivano catturati nel sonno, in seguito a denuncia di spie, e fucilati, dopo essere stati barbaramente torturati. E così non bisogna dimenticare: la strage di 26 partigiaui e di 26 civili a Santhia, la fucilazione di 20 partigiani a Biella nel giugno del 1944, la fucilazione di 12 partigiani alla Garella, l'impiccagione di 12 partigiani a Burozno, l'impiccagione di 6 partigiani a Vigliano. Tutte queste azioni sono avvenute per spionaggio ed infiltrazioni nelle nostre formazioni.
È prezioso a questo proposito il documento di un fascista, firmato dal sottotenente Molteni Paolo, della repubblica di Salò, il quale scrive : « Abbiamo bruciato case a Cerniti e tutte quelle di Baldicati. Qui, a Flecchia. dove siamo giunti da circa i due ore, la popolazione è già tutta in subbiiglio. Credo che i delatori esagerino e ci facciano commettere dei gravi errori politici ».
Naturalmente: i responsabili di questi crimini circolano liberamente, non sono stati condannati e non si conducono indagini per stabilire Je loro colpe. Dico stabilire, perché tutte le persone che qui nominerò hanno sulla coscienza i crimini più nefandi : tenente Baldo Moio, colonnello Zuccari, tenente Montuori, Pecoraro di Biella, professore Zappi. Questi sono tutti Uberi cittadini, e voi chiedete l'autorizzazione a procedere contro Mo-ranino, il comandante della XII divisione Piemonte !
Onorevoli colleghi, si dice oggi che Mo-ranino ha approfittato della sua autorità di comando ed ha avuto il pugno duro. Io non voglio qui elencare le disposizioni dei C L. N., dei C. V. C. L., né addentrarmi nell'aspetto giuridico, lo so soltanto che quei comandanti, che hanno avuto il pugno duro in quei momenti, hanno fatto bene, hanno fatto il loro dovere! (Vivissimi applausi all'estrema sinistra).
La guerra parligiana seguiva la ferrea legge della lotta parligiana che si sintetizzava nella parola d'ordine, onorevole Scalfarò : « Chi spara per primo ha ragióne ». Non potevamo andare ad esaminare tutti gli clementi ed a cercare "tutte le prove, come si fa oggi, pretendendo il timbro e la carta intestata. Allora l'unica parola d'ordine, che valeva, era questa. L'aveva data il Comitato «li liberazione alta Italia, nel quale vi erano Marazza ed i vostri rappresentanti.
' Si dice che Moranino ha approfittato della sua autorità di comandante, lo lio due documenti di estrema importanza.
II primo è firmato dalla direttrice delle suore «maddalene» della zona di Postua. In questa lettera si scrive : « Signor capo, per la vostra generosità godiamo assicurarvi che ogni giorno la fervida preghiera delle care nostre assistite \i seguirà in tutte lo vostre imprese per invocare su di voi e sui vostri dipendenti grazie e benedizioni,divine per una speciale protezione e conservazione, onde presto la nostra cara patria possa godere pace e tranquillità come tutti desideriamo ».
Il secondo documento è del nipote del famoso statista Quintino Sella, che fu arrestato dalle formazioni partigiane su false informazioni: lo si credeva un collaboratore dei tedeschi. Ebbene, alla fine dell'inchiesta esperita dal comando della XII divisione « Piemonte ». il Sella cosi scriveva al comandante Moranino: « II rispetto più assoluto mi fu sempre ed in ogni circostanza riservato. L'aiuto morale, tanto necessario, non mi mancò "mai da parte dì capi e di gregari, cosicché nessuna preoccupazione circa l'incolumità della mia persona turbò il mio pensiero in tutto il periodo vìssuto nei vostri distaccamenti ».
Il senso di responsabilità del comandante Moranino risulta da un documento inconfutabile del comando della 50* brigata d'assalto « Garibaldi ». Moranino ordinava in questa circolare: «Tutti gli arrestati o prelevati, m fatti d'armi o non , devono essere immediatamente accompagnati da una guardia al comando gruppo distaccamenti, che a sua Volta ne darà urgente comunicazione a questo Comando, aspettando la risposta in merito, dato che il comando esperirà una inchiesta sui prigionieri secondo quanto stabilito dal corpo Volontari della libertà.
Onorevoli colleghi, voi vi appellate al senso di giustizia, al senso della discriminazione. A questo vi rispondono le madri dei caduti della XII divisione, le madri dei mille e mille partigiani del biellese. Il loro appello supera qualsiasi voce e penetra nel più profondo del nostro cuore. Leggete la lettera della madre di un partìgiano caduto, la madre di quel partigiano Elio Fontanella (« Linee ») immolatosi per salvare la vita di « Gemisto », per salvare il suo comandante. Questa madre scrive: « Permettete egregi parlamentari ad una povera mamma, che mentre i fascisti uccidevano il proprio figlio con altri otto compagni e ferivano gravemente «Gemisto»... permettete che vi esprima la mia indignazione per la proposta di cattura di « Gemisto ». Sara Fontanella ». È la madre di un parligiano caduto per salvare « Gremiste » che vi scrive queste parole.
Ascolterete queste parole ? Cosa farete ? Darete l'autorizzazione a procedere contro « Gemisto ? » Concederete l'autorizzazione a procedere contro un ex sottosegretario per la difesa nominato tale per il suo valore di combattente partigiano ? Darete vo» H via alla più sfacciata campagna, antiparlt-giana ? Metterete in crisi migliaia di coscienze di giovani, di madri, di vedove ? Dimostrerete all'estero che in Italia si continua a sotterrare la Resistenza ?
Signori, non dimenticate l'esperienza del primo Risorgimento. Anche allora molti vollero seppellire la Resistenza, colpire il guribaldinismo, tanto è che Valzania, Bixio e compagni ebbero a dire: « Io sostengo che non è lontana l'epoca in cui sarà un'ingiuria dire a qualcuno: «sei un garibaldino ». Ma il popolo ne ha fatto ammenda ed il garibaidinismo è entrato nella Coscienza delle grandi masse del popolo italiano.
Ricordate, però, che qualunque sia la decisione che il Parlamento prenderà, la gloria, l'eroismo, il sacrificio della XII divisione partigiani del biellese e del suo comandante non saranno offuscati. Ricordate l'invocazione carducciana: « O Italia, quanta gloria e quanta bassezza, e quanto debito per l'avvenire ! ». (Vivìssimi, prolungati applausi all'estrema sinistra - Molte congratulazioni).

Red Shadow
23-03-07, 14:30
Infine gli interventi di Gullo e Riccardo Lombardi



GULLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, lasciatemi dire che è con un senso di profonda tristezza che prendo la parola su questa richiesta di autorizzazione a procedere, ed è con un senso di grande tristezza ohe vedo straordinariamente affollati i banchi della maggioranza. Potrei forse dire che non è soltanto un senso di tristezza quello che mi vince in questo momento. La domanda di autorizzazione a procedere contro l'onorevole Moranino è accompagnata da una relazione la quale dimostra, fin dal suo primo periodo, in quale maniera insidiosa sia stata posta la questione.
L'onorevole Scalfaro afferma che egli vuole ribadire il concetto centrale che ispira l'istituto dell'autorizzazione a procedere: difesa del deputato da ogni anche larvata persecuzione politica. Onorevole Scalfaro, ella è sincero o rio, quando fa questa affermazione?
Una voce al centro. Domanda retorica.
GULLO. A me riesce arduo credere che ella possa „ vedere in questa, che oggi si discute-, un'ordinaria e normale autorizzazione a procedere. Il problema di oggi non è quello da lei indicato nel momento in cui dice che bisogna difendere il deputato da ogni anche larvata persecuzione politica. No, qui non si tratta di esaminare se l'onorevole Mo-l'anino sia vittima di una sia pur larvata persecuzione politica. Qui è vittima di una persecuzione politica qualche cosa di molto più grande del collega Moranino: è vittima di una persecuzione politica la stessa tradizione della Eesistenza e della guerra di liberazione ! (Applausi all'estrema sinistra — Commenti al centro e a destra),
È cosi che bisogna porre il problema, non soltanto per una ragione morale e politica, ma per una ragione ~ sto per dire -soprattutto giuridica. Si è ricordato il decreto del 12 aprile 1945, e anche quel decreto si è voluto considerare come mi provvedimento di ordinaria amministrazione. Non si è ricordato lo spirito di quel decreto, la ragione fondamentale che l'ha suggerito ed imposto. Nel momento in cui con quel decreto - e mi fermo ora soltanto su questo aspetto - si dice che occorre considerare come azione di guerra la lotta parti giana (e dico partigiana, qui, per usare un aggettivo che compendia e riassume tutte lo varie azioni in difesa del territorio della patria), nel momento in cui -quel decreto da questa definizione della lotta partigiana, esso la equipara senz'altro alla guerra guerreggiata da un esercito regolare.

Ebbene, io vorrei domandare ai colleghi (e purtroppo la domanda è resa necessaria da una dolorosa esperienza): da quando in qua si è chiesto a un comandante, per l'azione da lui svolta in una guerra guerreggiata, di renderne conto nel campo penale, nel campo della legge penale comune ?
Noi arriviamo a questo assurdo, a questa conseguenza aberrante: che, mentre ci si chiede di sottopporre alla legge penale un comandante parmigiano che ha il passato che avete sentito or°ora rievocare, un comandante come l'onorevole Moranino, nello stesso tempo si è dimenticato che vi è stato un esercito regolare, di italiani, il quale ha combattuto contro i partigiani e contro gli alleati nella guerra di liberazione: un esercito sorto consumando un tradimento, in quanto il governo legittimo aveva ingiunto a tutti gli italiani di combattere dovunque il nemico, e il nemico era il tedesco. Ebbene, a questo esercito che, ripeto, consumò dall'inizio il tradimento, che quindi agì costantemente in una situazione illegittima, a questo esercito e ai suoi comandanti noi non abbiamo chiesto alcun conto di fronte alla comune legge penale. E si viene qui oggi (ed ecco il senso di tristezza che ci vince e ci domina), si viene qui oggi a pretendere di mortificare la gloriosa ed eroica azione del comandante Moranino negli schemi infamanti di una disposizione del codice penale ! Ma ha visto ella il problema, onorevole Scalfaro ? Ella che è concittadino dell'onorevole Moranino ! Già questo le avrebbe dovuto suggerire di non assumere l'incarico che ella ha assunto ! Ma, comunque, ella è suo concittadino; ella conosce la gloriosa ed eroica attività che ha svolto nella sua terra l'onorevole Moranino; ella sa che, se la sua terra è stata liberata, se ella e qui a rappresentare la nazione, ella sa, ripeto, di doverlo in gran parte all'azione del comandante Moranino. (Vivi applausi all'estrema sinistra).
Il tribunale vedrà se è azione di guerra, ha detto l'onorevole Riccio. E ha ritenuto cosi di aver risoluto la questione. E su questo stesso motivo ha parlato lungamente l'onorevole Scalfaro, con veste ed accentri di pubblico ministero. Non è che io non abbia i! massimo rispetto per il pubblico ministero, anche perché è un istituto che bisogna trattare sempre con il massimo riguard.0. Ma. non potevo astenermi dal domandare a me stesso: ma è sul serio questo un terreno adatto perché intervenga un pubblico ministero ? È davvero questo un problema da deferire al giudice penale perché lo risolva ? In questi casi una sola condizione è da accertare e qui è. stata più che accertata; e faccio capo per questo non alla relazione di minoranza, ma alla stessa richiesta del procuratore generale. Una sola condizione: che si tratti cioè di azione legata alla guerra, legata intimamente, indissolubilmente all'attività dell'onorevole Moranino come comandante di una divisione partigiana.
Ebbene, onorevole Scalfaro, io non starò a leggere quanto sulla richiesta è scritto., Ma può ella forse porre in dubbio questa circostanza: che l'uccisione dei cinque uomini e delle due donne fu deliberata non soltanto dall'onorevole Moranino ma da lutti i comandanti della XII divisione ? Non le dice niente questo fatto ? Non le dice soprattutto questo: che, a ragione o a torto, errore o non errore che ci sia stato, ad ogni modo, tutti i responsabili di quella unità bellica erano concordi nel ritenere costoro delle spie e nel deciderne quindi la morte
È nella richiesta di autorizzazione a procedere che il procuratore generale riconosce, appunto, che l'ordine di predisporre quello che egli definisce « agguato » (non per niente anche lui è un pubblico ministero) era stato impartito dall'onorevole Moranino (Gemisto) comandante la XII divisione, confermato da Carlo Gasparro (Spartano), vicecomandante, da Silvio Bertone (Carlo), commissario politico divisionale, da Argante Boccino (Massimo), vicecommissario politico della medesima divisione. Dico: questa unanimità di giudizio, per cui tutti i comandanti, tutti coloro che erano al posto di comando della XII divisione furono concordi nel «tenere che i sette fossero delle spie e che essi meritassero quindi la morte, non le dice niente ? Non esclude in maniera assoluta ogni motivo che non sia di guerra ? Perché non credo che ella possa pensare questa cosa assurda, ossia che i comandanti avessero tutti delle ragioni personali, estranee alla guerra, per volere l'uccisione dei sette ! Non penso che voglia infamare la reputazione di tutti i comandanti partigiani ! Questo fatto, ripeto, è riconosciuto dallo stesso procuratore generale nella sua richiesta di autorizzazione a procedere. Posta questa premessa, occorre davvero che un tribunale penale indaghi ed esamini se questa è un'azione di guerra, onorevoli colleglli ? Non entro nel merito dell'azione di guerra, perché la legge lo vieta. Basta accertare che si tratti di un'azione di guerra. E basta ciò perché si sia (ed è perciò che io dicevo di far capo ad una considerazione giuridica e non soltanto morale e politica) nella

sfera di applicazione del decreto del 12 aprile 1945.
Ma se non bastasse tutto questo a stabilire che si trattò di azione di guerra e che quindi non è concepibile che si applichi il diritto penale comune, se non bastasse tutto questo, non basterebbero forse le attestazioni di tutti coloro che furono a contatto con questo episodio doloroso ? Perché noi non neghiamo affatto che si tratti di un episodio doloroso. E per questo mi riporto alla stessa relazione di maggioranza. Ebbene, che cosa hanno detto tutti gli esecutori materiali, riferendo le parole dei comandanti quando furono incaricati della triste bisogna ? Essi hanno detto: «Ci congedarono ammonendo: «Andate, perché si tratta di spie, e bisogna ucciderle per la salvezza nostra e per la salvezza vostra ». Si ha la dimostrazione palmare che in tutti coloro che concorsero a questa azione di guerra vi fosse la coscienza precisa che si trattasse di spie. E questo, ripeto, risulta, non dalla relazione di minoranza, dalla parola del difensore, ma dagli atti del processo e dalla stessa relazione di maggioranza, stesa da colui che vi chiede che sia concessa l'autorizzazione a procedere !
Ma io impicciolirei la cosa se mi attardassi su questo terreno. Giorgio Clcmenceau, il « tigre » della prima guerra mondiale, del quale non si può dire che non avesse vivo e sempre presente il senso dell'autorità dello Stato, Giorgio Clemenceau opponeva ai pubblici ministeri in ritardo, che volevano impicciolire il significato della rivoluzione francese, che la rivoluzione francese è uno di quei fatti storici che o si accettano in tutto il loro complesso o si respingono in tutto il loro complesso.
Così è della Resistenza, onorevole Scalfaro e onorevoli colleghi ! Vi sono fatti storici grandiosi, che stanno atta base stessa della vita, di più, alla base stessa della ragione di vita di una nazione. Ebbene, questi fatti non possono essere sottoposti ad una critica disintegratrice, soprattutto ad una critica di carattere giudiziario.
Fra i pubblici ministeri che hanno avuto l'illusione di impicciolire la rivoluzione francese, ve n'è stato pur uno dell'altezza di Ippolito Taine. E anche leggendo i suoi libri si ha la sensazione precisa di quanto fosse angusta la visione che egli aveva del grande episodio storico che sta alla base, come fondamento granitico, della Francia moderna, anzi del mondo moderno.
Noi siamo di fronte ad un fenomeno storico che nella nostra vita nazionale ha lo stesso peso. Ecco perché ci opponiamo a questa autorizzazione a procedere, e diciamo che voi non volete colpire soltanto un uomo. Voi colpite necessariamente la Resistenza, nel momento in cui trascinate dinanzi a un giudice penale un comandante parmigiano che ha quel passato, che ha spiegato tanta eroica attività nella guerra di liberazione.
Le pareti di un'aula giudiziaria sono troppo anguste per contenere questa epica pagina della storia d'Italia ! Guai a noi se scuotiamo il fondamento ideale della nuova Repubblica democratica ! E purtroppo.sono molte le ragioni per le quali noi ci sentiamo autorizzati a pensare che si voglia appunto scuotere questo fondamento ideale. E siamo qui a difendere la grande idealità, che sta alla base della Repubblica democratica. Sentiamo così di interpretare la grande anima popolare, che.di tanto supera le anguste pareti dì un'aula giudiziaria, che intende le grandi ragioni storiche e il valore che esse devono avere nella vita del nostro paese, e sente che se queste grandi ragioni storiche dovessero essere tradite, allora sarebbe l'ora della fine per la Repubblica democratica italiana. Noi vogliamo che la Repubblica democratica italiana esista e si consolidi, e che in essa il popolo nostro trovi la via del suo progresso e del suo avvenire. (Vivissimi applausi all'estrema sinistra).


LOMBARDI RICCARDO. Onorevoli col leghi, vorrei richiamare l'attenzione di tutti, al termine di questa discussione, su un fatto che è emerso da un recente episodio, che sotto certi aspetti è analogo a quello che ha formato oggetto dell'indagine della nostra Giunta per le autorizzazioni a procedere.
Voi sapete che la legge militare, e di riflesso anche la legge civile, americana, fa espresso divieto di perseguire qualsiasi militare per atti, di qualsiasi ordine e natura, con riflessi civili e penali, commessi durante il suo servizio in caso di guerra, una volta che questo militare, a qualsiasi grado egli appartenga, sia stato congedato con la formula normale del congedo, che in Italia ' ha la sua corrispondenza nella ben nota formula « con fedeltà e con onore ».
Spero che chiunque di noi vorrà domandarsi il ' perché di questa norma. E vorrà domandarsi se per avventura la mancanza di una norma analoga almeno nella stèssa forma imperativa, nella nostra legislazione militare e civile, non sia una menomazione alla quale noi abbiamo oggi, come Parlamento italiano, una rara, occasione di supplire.
Ho sentito la discussione testé svolta. In realtà coloro che - io devo presumere in buona fede - si sono esposti il problema di coscienza se concedere o no l'autorizzazione a procedere contro il collega Moranino, si sono preoccupati di un motivo. Io tralascio gli eventuali motivi deteriori, non mi interessano, cerco di giudicare ciascuno di voi al più alto livello possibile, cioè supponendo che vi siano elementi validi ed alti che ispirino la vostra coscienza e suggeriscano le vostre determinazioni.
Mi sembra che il solo motivo (che riesco a comprendere) della perplessità o della decisione, se volete, in senso contrario alla mia, che agita alcuni colleghi della maggioranza, sia questo : la difficoltà di stabilire se nei fatti imputati o imputabili all'onorevole Moranino si possa, ravvisare un legame diretto con l'azione di guerra prevista dalla legge. A me sembra che l'onorevole Riccio, nel suo discorso, abbia soprattutto puntato su questo, ed abbia domandato che persino la valutazione del fatto «se si tratta o non si tratta di azione di guerra » sia deferita al tribunale. Soltanto sotto questo profilo l'onorevole Riccio pensava di dover suggerire la concessione della autorizzazione a procedere.
Onorevoli colleghi, se noi non vogliamo trincerarci dietro una ipocrisia o un fariseismo giuridico, il che è sempre possibile e a volta perfino solleticante, io Vorrei richiamare all'attenzione di noi tutti quello che fino a questo momento è sfuggito, almeno parzialmente, a quanti hanno parlato in questa sede: intendo dire l'ambiente, le condizioni nelle" quali l'azione imputata all'onorevole Moranino si è svolta: ambiente e condizioni che testimoniano come essa non poteva che essere una azione di guerra. Mi basterà una brevissima elencazione di fatti per dimostrarlo.
Ricordo anzitutto che i fatti imputati al collega sono avvenuti alla fine del novembre 1944. È facile oggi, a freddo, nell'atmosfera in qualche modo calma e tranquilla, da lontano, giudicare queste cose. Io mi appello a coloro che in quel momento erano impegnati nella lotta e che avevano responsabilità sia per coloro che uccidevano che per quelli che risparmiavano. {Applausi all'estrema sinistra).
Il 15 giugno 1944, onorevoli colleghi, si organizza la grande offensiva dei rastrellamenti, col quarto grande rapporto del generale Mischia ai gerarchi dell'esercito fascista, in Bergamo. Il 30 ottobre, ha inizio l'azione con l'attacco al centro di Alba che potete farvi narrare dall'eroico vescovo di allora e che potete leggere nella relazione del comandante Mauri.
È proprio di quei giorni l'ordine di Mussolini ai prefetti: «Poiché alcuni leoni vegetariani continuano a parlare di una eccessiva indulgenza del governo della repubblica sociale italiana, siete pregati di mandare i dati delle esecuzioni avvenute di civili e militari con processo sommario dal 1° ottobre». Segue, sempre in quei giorni, il telegramma di Buffarmi Guidi: «Precisare numero esecuzioni capitai suddivise per civili e militari e dire quante con processo e quante sommarie ».
In queste condizioni sulla Resistenza, che in quel momento si organizzava, si è abbattuta una sciagura assai peggiore del proclama di Mussolini e del telegramma di Buffarini Guidi: tale sciagura è costituita dal proclama del maresciallo Alexander del 13 novembre che decideva la « contrazione » invernale della guerra partigiana, ed a cui l'onorevole Longo ripose con un appello che dovremmo tutti ricordare; il freddo, la fame e il terrore pendevano su tutte le formazioni partigiane. Quel proclama ai Alexander, ripeto, costituì una vera sciagura (anche se non voluta dal generale alleato) in quanto provocò lo scatenarsi di pericoli e insidie di ogni natura sulle formazioni partigiane: nel corso di tali eventi si è svolta l'azione dell'onorevole Moranino.
Che cosa, dunque, avvenne, alla immediata vigilia dell'azione Moranino, in conseguenza diretta dell'azione fascista da una parte e del proclama del generale Alexander dall'altra ? Non dimentichiamoci, intanto, che la Resistenza italiana osò disubbidire al maresciallo Alexander ! (Applausi all'estrema sinistra). Non dimentichiamoci che, quando il maresciallo Alexander ordinò di ripiegare e di procedere alla contrazione invernale, la Resistenza rispose con una azione che trovò anche la parola che la definisce, «la pianurizzazione », svolgendo una di quelle operazioni che costituiscono una grande gloria anche dal punto di vista militare e tecnico. Onorevoli colleghi, non cerchiamo, di inserire in queste pagine gloriose, non soltanto dal punto di vista sentimentale e politico, ma anche, ripeto, da quello tecnico-militare, la piccola malvagità dei nostri animi.
Che cosa succede ? Nei giorni immediatamente precedenti o immediatamente susseguenti a quelli durante i quali Moranino è

chiamato ad assumere le sue responsabilità di comandante, responsabilità degli uomini sottoposti al suo comando, che cosa succede ? Citerò soltanto alcuni dati che non posso pensare non abbiano una immediata rispondenza nel vostro animo.
Villamarzana: 42 massacrati nella piazza. È l'inizio della grande offensiva dei rastrellamenti subito dopo Alba; e tralascio deliberatamente ciò che succede nella provincia di Novara. Ossola: numerosi impiccati ai ganci da macellaio.
Bassano del Grappa: 36 impiccati. Valenza: 27 fucilati. 12 agosto: massacro di Sant'Anna di Stazzena in Lucchesia: 560 morti. 28-29-30 settembre: massacro di Marza-botto (fra l'8 settembre e il 5 ottobre: 1830 morti). Murazzano: 8 fucilati. Strada Faentina: 35 fucilati. Roasio: 26 fucilati. Oltrepò pavese: rastrellamento durato cinquanta giorni, con epicentro Varzi; rastrellamenti nello spezzino. Il «grande rastrellamento » della quarta zona ligure con 20 mila uomini (duecento partigiani uccisi). 7 novembre: battaglia di Bologna. 15 novembre: battaglia della Bolognina. 5 novembre: battaglia cosiddetta della Modena. Massacro di Castelrotto, massacro di Sant'Agata Bolognese, ove di tutta la popolazione non sono rimastiche 70 fra vecchi e bambini. Massacro di Sesso (Reggio): 19 massacrati. 26 novembre: grande rastrellamento nel Veneto {Val Collina, Carnia, Monte Rosso) con infiniti fucilati, massacrati, impiccati.
In queste condizioni, in questi giorni, non oggi, non un anno prima o un anno dopo (Applausi all'estrema sinistra), l'onorevole Moranino dovette difendere i suoi uomini dall'insidia. Non è possibile, onorevoli colleghi, avere le mani pulite in queste cose. Solo le mani neghittose rimangono pulite, ma di una pulizia non onorevole ! [Applausi all'estrema sinistra). Quando si è in guerra e vi si prende parte, prendendovi parte si assumono delle responsabilità, e le responsabilità non sono soltanto per eccesso di vigore: ci sono anche responsabilità non minori per mancanza di vigore. Quanti di noi non abbiamo sulla coscienza — l'ha ricordato dianzi l'onorevole Ferrandi - amici, compagni di lotta, che abbiamo lasciato uccidere per incapacità di vigilanza, per incapacità di prevenzione, per indulgenza verso noi stessi, perché non abbiamo voluto assumere nel tempo giusto le responsabilità che avevamo il dovere di assumere ? Moranino si è trovato nelle condizioni in cui tutti noi, chiunque abbia avuto una responsabilità di comando, grande o pieccola, si è trovato dieci, cento, mille volte nel corso della guerra partigìana.
A un certo punto le scelte sono alternative, ed jl comandante in una guerra, anzi in una guerra di tipo particolarissimo che ha le sue leggi speciali e le sue condizioni speciali, ciascun giorno doveva porsi di fronte il problema di far soggiacere a una possibile insidia i propri uomini, oppure prevenirla, e non era sempre possibile, ed anzi quasi mai fu possibile, onorevole Scalfaro, riunire con la carta da bollo i tribunali regolarmente costituiti per l'esame di questa materia. Le decisioni sul campo di battaglia - e nella guerra partigiana il campo di battaglia era molte volte nella notte che precedeva lo scontro più che nel corso stesso dello scontro -sono affidate alla coscienza e al senso di responsabilità di ciascuno degli uomini che di questa responsabilità è investito, e ciascuno non può che rispondere davanti alla propria coscienza. Queste situazioni che ella auspica di legalità, anche di legalità deteriore, non esistono neppure nell'esercito regolare di fronte a certi tipi d'azione dell'esercito regolare. A me basta ricordare quello che avvenne durante ed anche dopo Gaporetto: se tale legalità nei confronti del codice militare non sempre è stata rispettata neppure dall'esercito regolare, figuriamoci nella guerra partigiana, in cui tutto era volontario, ed in cui volontario diventa anche l'esercizio della giustizia, e non per questo meno responsabile davanti alla propria coscienza, davanti alla responsabilità collettiva di tutti gli italiani.
Onorevoli colleghi, non dico questo per ragione di parte: non faccio una dichiarazione di voto a nome del mio gruppo. Io penso che di fronte a domande di questo genere ciascuno debba rispondere in piena autonomia, anche rispetto agli altri colleglli e compagni del suo gruppo, sia della maggioranza che della minoranza. Io posso pensare di esprimere un'opinione unanime del mio gruppo, ma faccio una dichiarazione che riguarda soltanto me stesso.
Invito perciò ciascuno di voi a fare il proprio dovere rispettando soltanto la propria coscienza. Perché guardate, onorevoli colleghi, noi abbiamo oggi una rara occasione: quella di dimostrare, come Parlamento nazionale, che noi facciamo un apprezzamento complessivo della Resistenza, ben diverso da quello che si vuole accreditare non soltanto con le parole, ma con una persistenza inquietante di fatti, nell'opinione pubblica nazionale.

Io non so se votando in un modo o in un altro faremo il processo alla Resistenza, ma sono certo che votando contro l'autorizzazione a procedere contro l'onorevole Moranino noi avremo reso sicuramente, in piena coscienza e responsabilità, un virile riconoscimento alla Resistenza, che è l'origine certa della nostra vita democratica. (Vivissimi applausi all'estrema sinistra - Congratulazioni).

Red Shadow
23-03-07, 15:06
Spie trovate solo dopo la fine della Guerra di Liberazione:

28 maggio 1945
A Roma, è tratto in arresto accusato di gravissimi reati Vincenzo Sofia Moretti, sospettato di aver provocato la detenzione e la morte di numerosi partigiani dopo essersi infiltrato in Bandiera rossa.

29 maggio 1945
Giuseppe Romita, sul conto di Vincenzo Sofia Moretti annota nel suo diario: "La spia Moretti ha salito ieri i gradini di Regina Coeli dopo aver salito, come Salvarezza, quelli del Quirinale per tramare col Luogotenente".

30 maggio 1945
A Roma, l’organo del Pri "La voce repubblicana" pubblica un comunicato di Bandiera rossa che definisce Sofia Moretti "un famigerato avventuriero internazionale".

31 maggio 1945
Il quotidiano "l’Unità" indica Sofia Moretti come responsabile della cattura di Ezio Malatesta, fucilato insieme ad altri suoi compagni il 2 febbraio 1944 a Forte Bravetta.

1 luglio 1945
Da un fascicolo del Sim risulta che fu svolta un’attività investigativa sulla ‘quinta colonna’ organizzata dalla X Mas. Il fascicolo risulta intestato a tale Angelo Zanessi, alias Ennio Belli, agente doppio al servizio dei tedeschi, dell’organizzazione Franchi e della brigata Osoppo.

e prima:
2 ottobre 1943
A Taliedo (Milano), una squadra gappista capeggiata da Eugenio Rubini fa saltare un deposito di munizioni. E' il primo attentato dei Gap (gruppi dТazione patriottica), nati per iniziativa dei comunisti che, diversamente dalle brigate partigiane operanti in montagna, hanno il compito di agire nelle città. Ogni Gap è composto da pochi uomini (3-5 in media), il cui responsabile è collegato al comando generale dei Gap di città. Loro compiti sono il sabotaggio di sedi e uffici fascisti, gli attacchi a sorpresa a presidi militari o mezzi di trasporto, le uccisioni di spie.


28 marzo 1944
A Roma, i gappisti uccidono 2 fascisti e 2 persone ritenute spie.

30 novembre 1944
A Genova, le squadre armate delle Sap e del Fronte della gioventù organizzano una ‘giornata della spia’, che si conclude con un bilancio di 17 delatori uccisi, 5 feriti e 7 presi prigionieri.

2 dicembre 1944
In Piemonte, nella zona del Mottarone, una colonna tedesca apre il fuoco su una pattuglia di partigiani autonomi, guidati da ‘Cinquanta’ il quale si arrende consegnando i suoi 40 uomini, che vengono passati per le armi, avendo salva la vita. Successivamente ‘Cinquanta’, considerato spia e collaborazionista, sarà giustiziato dai garibaldini. Un altro plotone garibaldino guidato da ‘Edo’ e dal georgiano Pore, rimasto accerchiato, resiste strenuamente asserragliato in una cascina. All’intimazione di resa, Pore si uccide per non consegnarsi, gli altri superstiti sono uccisi sul posto

5 gennaio 1945
A Recco, sulla sponda lombarda del Ticino, una formazione fascista sorprende una postazione partigiana per l’informazione di una spia. Cinque partigiani cadono combattendo: Nino Locarno (‘Walter’), Dante Pozzi, Vano Fantini, Claudio Magnoli, Arturo Adorato. La sera dello stesso giorno, i partigiani compiono un’incursione, catturando 4 fascisti. Resistenza- caduti. Resistenza- lotta armata

4 febbraio 1945
In Piemonte, una squadra partigiana cattura 7 militi fascisti presso il comune di Trivero; una seconda squadra fa prigioniero, a Santhià, un milite della Muti ed una spia.

30 aprile 1945
A Torino, il comando del distaccamento arditi ‘Alvaro’ della l9’ brigata ‘Gambone’ invia una relazione al responsabile della stessa: "La mattina del 29 cominciavo le operazioni di polizia. In piazza Castello evitavo il linciaggio di una spia catturata da un volontario della divisione ‘Monferrato’, che per primo picchiava il fermato, dando prova di scarsa disciplina, in ciò assecondato da una folla inferocita. Caricati sulla mia vettura il fermato e il volontario, li consegnavo al comandante Sergio nella sua sede, ricevendone ringraziamenti e congratulazioni. Altro caso di linciaggio ho evitato il pomeriggio del giorno 30, all’incrocio dei corsi Regio Parco e Palermo, di una donna gravemente indiziata dalla stessa popolazione. Essa era ferocemente picchiata e denudata. Fermata una autoambulanza della 4^ brigata garibaldina, la consegnavo loro con l’ordine di portarla alla nostra caserma, unitamente a una signorina che poteva testimoniare dell’attività delatoria della fermata. Responsabile dei fatti era una squadra Gap. In ognuno di questi casi ho dovuto fare uso delle armi per ottenere ascolto e procedere in modo adeguato. All’angolo dei corsi Novara e Giulio Cesare un impiccato ritenuto per l’ex sbirro Cabras, era sparacchiato da volontari delle varie formazioni; anche in questo caso, facendo uso delle armi riuscivo a far sgomberare la strada, rivolgendo loro severi rimproveri per il comportamento che lede l’integrità morale di tutti i partigiani".

Red Shadow
23-03-07, 15:33
Crimini dei liberali diventati totalitari:
«SABOTATORI» DELLA RSI FUCILATI DAGLI ALLEATI Furono trattati come spie degne di disprezzo e presto furono dimenticati: in realtà furono dei puri eroi
Filippo Giannini
http://www.italia-rsi.org/farsiservspe/specialicapuavet.htm#sabotatori

Red Shadow
23-03-07, 16:26
Ohibò sentie cosa dicono le liberalissime leggi americane:


Onorevoli col leghi, vorrei richiamare l'attenzione di tutti, al termine di questa discussione, su un fatto che è emerso da un recente episodio, che sotto certi aspetti è analogo a quello che ha formato oggetto dell'indagine della nostra Giunta per le autorizzazioni a procedere.
Voi sapete che la legge militare, e di riflesso anche la legge civile, americana, fa espresso divieto di perseguire qualsiasi militare per atti, di qualsiasi ordine e natura, con riflessi civili e penali, commessi durante il suo servizio in caso di guerra, una volta che questo militare, a qualsiasi grado egli appartenga, sia stato congedato con la formula normale del congedo, che in Italia ' ha la sua corrispondenza nella ben nota formula « con fedeltà e con onore ».
Spero che chiunque di noi vorrà domandarsi il ' perché di questa norma E vorrà domandarsi se per avventura la mancanza di una norma analoga almeno nella stèssa forma imperativa, nella nostra legislazione militare e civile, non sia una menomazione alla quale noi abbiamo oggi, come Parlamento italiano, una rara, occasione di supplire.
Ho sentito la discussione testé svolta. In realtà coloro che - io devo presumere in buona fede - si sono esposti il problema di coscienza se concedere o no l'autorizzazione a procedere contro il collega Moranino, si sono preoccupati di un motivo. Io tralascio gli eventuali motivi deteriori, non mi interessano, cerco di giudicare ciascuno di voi al più alto livello possibile, cioè supponendo che vi siano elementi validi ed alti che ispirino la vostra coscienza e suggeriscano le vostre determinazioni..

Pieffebi
23-03-07, 17:16
Il signor RedShadow, noto mistificatore e negazionista dei crimini dello stalinismo posta cose del tutto prive di correlazione con i fatti (persino fotografie del tutte estranee alle vicende in questione, a solo scopo di dirottamento emotivo della discussione, nel puro stile del troll comunista inintelligente).
Inoltre continua ad infamare quali spie fasciste uomini integerrimi come Emanuele Strassera, e ciò vergognosamente e scientemente contro le prove inconfutabili presenti agli atti dei processi celebrati. Processi che hanno condannato Francesco Moranino alla pena dell'ergastolo, mai scontato vista l'ignominosa fuga "dell'eroe" nella Cecoslavacchia oppressa dalla dittatura comunista, di cui per anni si rese sodale. Pena cancellata SOLAMENTE da provvedimenti di CLEMENZA della Presidenza della Repubblica.

Ecco alcune delle dichiarazioni del del capo della missione britannica nel biellese al tempo dei delitti di Moranino, rilasciate nel 1952, e agli atti del processo contro i crimini imputati a Gemisto:
e ciò nonstante il fatto che fossero state all'epoca



Ma il teste confermò anche le spiegazioni che in molti avevano dato di quel comportamento di Gemisto, affermando con decisione che



Shalom


seguita...


Scusate lo spam del troll negazionista dei crimini dello stalinismo, purtroppo incapace di argomentare e costretto a comportarsi come sopra, fra il patetico, il ridicolo, l'OT.
Poeretto.

Shalom


P.S: la pena è stata cancellata dalla clemenza presidenziale (27 aprile 1965 - Grazia - presidente Giuseppe Saragat a favore di Moranino ma anche di taluni criminali repubblichini ancora reclusi).


In Italia il potere di grazia, sia nell’epoca monarchica, sia
nell’epoca repubblicana, e`
stato sempre duale. Il motivo duplice: da un
lato, occorre una collaborazione effettiva tra i due organi (lo ricordava anche
Esposito, che pure era un giurista molto favorevole al potere presidenziale),
perche´ la verifica del comportamento del graziando puo` essere effettuata
soltanto dal Ministro della giustizia; dall’altro, perche´ la grazia
spesso incide su materie politiche. Leopoldo Elia ha ricordato la grazia
data dal presidente Einaudi ad alcuni responsabili di vicende gravi nel passato
recente. Si puo` aggiungere la grazia concessa dal presidente Saragat a
Moranino: furono casi che destarono grande polemica politica e che finirono
in Parlamento.

http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/stenografici/14/comm01/01a_20041125p_IC_1376.pdf

Red Shadow
23-03-07, 18:41
io traggo da qua:

Nel 1958 alcuni sospetti sullo svolgimento del processo e delle indagini, che per molti avevano come solo scopo un intento persecutorio contro il comandante partigiano, portarono il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi a commutare la pena in dieci anni di reclusione (cosa che avrebbe permesso al Moranino di rientrare in Italia).

Il 27 aprile 1965 Francesco Moranino, sempre esule a Praga, venne poi graziato dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat ma rimpatriò solo quando fu ufficialmente riconosciuto che i fatti di cui era accusato erano "atti di guerra" (tra l’altro non da lui ordinati), connessi con la Guerra di Liberazione e quindi giuridicamente legittimi.

Pieffebi
23-03-07, 20:55
Il testo dell'enciclopedia libera online (su cui chiunque può scrivere, possibilmente citando le fonti) è piuttosto cerchiobottista e si rifà, evidentemente, in questa parte, alla "biografia" di Moranino-Gemisto pubblicata sul sito dell'ANPI, da cui estrapola appunto talune frasi con le quali l'organizzazione tenta di difendere l'indifendibile. Infatti su quel sito si parla dell'indulgenza del presidente Gronchi ma sul fondamentale episodio della grazia del presidente Saragat.......si sorvola completamente!!!

http://www.anpi.it/uomini/moranino.htm

Il testo dell'ANPI è quindi l'evidente fonte di quanto sopra, ed è del tutto grottesco se non farsesco (si dice che la commutazione gronchiana della pena dall'ergastolo a dieci anni di galera avrebbe consentito al LATITANTE stalinista riparato nella sua patria putativa cecoslovacca di rientrare in Italia! Si per frasi anni di galera!!!
Il LATITANTE Moranino-Gemisto.... eroicamente, secondo l'ANPI, rifiutò di rientrare per farsi, appunto, i 10 anni di galera... fino a che non fu assolutamente certo dell'impunità! Non a caso si tace della grazia saragattiana!!!).

Ma torniamo alla testimonianza del rappresentante della Missione alleata, che fra l'altro rivelò, l'esistenza....da parte delle locali brigate "garbaldine" di:


episodi di intolleranza verso altre formazioni e verso membri di Missione, come ad esempio, alla fine dell'ottobre 1944 la cattura e il disarmo di reparti GIUSTIZIA E LIBERTA' operanti sulla serra, la cattura del tenente Marincola e del tenente Gabory della mia Missione in pari data, il disarmo dei reparti della "Santarosa" (liberali) a Rovasenda ai primi di novembre ad opera di un distaccamento della Brigata di Moranino.


E' in questo contesto che, appunto, matura secondo il nostro la decisione della soppressione di Strassera, che come ha testimoniato anche il partigiano FERRO (azionista) fu ordinata da Gemisto


"perchè avevano avuto modo di vedere troppe cose compromettenti per Gemisto: cose che espatriando potevano riferire altrove"

E identica è, nel significato, la conclusione a cui giunse il responsabile della Missione Alleata: Moranino fece uccidere Strassera e compagni in quanto questi


si proponeva di segnalarlo al comando alleato rientrando alla base

Non solo, a dimostrazione della "erocità" e della non faziosità [di partito] della condotta di Moranino e dei suoi, il testimone ricordò anche l'episodio dei "fratelli Biscotti". Questi erano dei socialisti che si erano separati dalla brigata di Moranino per costituire un gruppo partigiano indipendente.


Nell'episodio Biscotti una colonna tedesca attaccò il settore della formazione che resto' circondata mentre ai lati tutti i reparti garibaldini erano stati ritirati prima del combattimento. Nelle stesse fila garibaldine non si faceva successivamente mistero che il comando aveva *fatto fuori* i dissidenti facendo agire a tal fine il nemico

Il memoriale dell'avvocato Bonvicini ribadisce che eistono prove inconfutabili che l'eccidio degli antifascisti della "Missione Strassera" è avvenuto per ordine di Moranino


e movente di tale uccisione può trovarsi nel proposito di eliminare direttamente e indirettamente tutti coloro che conducevano la lotta partigiana obbedendo al governo legittimo o ad altre organizzazioni di resistenza e non si adattavano a sottostare al comando comunista, e in particolare al comando di Moranino

Seguita....


Saluti liberali

Conterio
02-04-07, 14:05
Sei un sovversivo che vuole sovvertire le leggi italiane della Repubblica antifascista e democratica.


:-0008n simpatica questa...

Pieffebi
03-04-07, 19:11
Contemporanemante ai processi contro i delitti attribuiti dalla giustizia e dalla storia a Francesco Moranino detto Gemisto, negli Stati Uniti d'America si aprì un processo contro un ex agente al servizio degli americani che aveva svolto la sua opera nell'Italia occupata dai nazisti durante la guerra civile di Liberazione. Si trattava del capitano Aldo Icardi, membro della Missione Alleata " Chrysler", che nel settembre 1944 fu paracadutata nell'Alto Novarese, quasi contempraneamente all'invio della missione "Strassera" nell'Alto Vercellese e nel Biellese.
Dei fatti del "processo" contro l'ufficiale dell'OSS fu dato resoconto, fra gli altri, sul quotidiano "La Gazzetta del Popolo" del 17 aprile 1956, ove nell'articolo " La difficile difesa del Ten. Icardi accusato da due partigiani italiani " Leo Rea si cimentò nell'informare dei fatti l'opinione pubblica piemontese.
In sintesi il Capitano (tenente all'epoca dei fatti) Icardi fu accusato di falsa testimonianza in merito alle dichiarazioni rese alla "Sottocomissione per le Forze Armate della Commissione Difesa" degli Stati Uniti dove aveva negato ogni responsabilità in merito alla morte del proprio capo-missione maggiore William Holohan, assassinato il 6 dicembre 1944 fra i partigiani del Cusio.
Tuttavia era giunta anche negli Stati Uniti la notizia che tanto il tenente Icardi che il suo collaboratore, sergente Carlo Lo Dolce erano stati processati e condannati in Italia, dalla Corte d'Assise di Novara per tale "torbido e criminale episodio", e che decisiva per la condanna fu la testimonianza resa da due partigiani: Giuseppe Manini (detto Manin) e Gualtiero Tozzini (detto Pupo). I due testimoni avevano dichiarato di avere assistito all'avvelenamento del maggiore americano e poi alla scena del colpo di grazia " sparatogli dal sergente Lo Dolce per ordine di Icardi ".
Il movente del delitto sarebbe stato politico, in quanto mentre Icardi e il suo sgherro simpatizzavano per i partigiani comunisti (come altri agenti dell'OSS), il loro superiore, preferiva le formazioni partigiane autonome e diffidava degli scopi ultimi dei "garibaldini" egemonizzati dal PCI.
Il processo di Novara aveva condannato i LATITANTI Lo Dolce (a 17 anni di reclusione) e Icardi (alla pena dell'ergastolo).
Icardi tentò di difendersi dall'accusa di falsa testimonianza, dinanzi al "Gran Giurì" statunitense giustificandosi ma ammettendo che l'eliminazione del suo superiore era avvenuta " perchè costituiva un inciampo ai piani politici postbellici del Partito Comunista oltre ad essere un ostacolo alla condotta delle azioni di guerra . La difesa di Icardi addossò la responsabilità dell'eliminazione del maggiore americano direttamente ai partigiani comunisti di Moscatelli.
Innanzi al Gran Giurì il capitano Icardi rivelò inoltre di aver offerto, su disposizione di Vincenzo Moscatelli detto Cino, al maggiore Holohan un salvacondotto per la Svizzera. Ma la vicenda resta assai confusa.
Per questi fatti si veda l'articolo " Accuse della difesa di Icardi contro i partigiani comunisti " su IL CORRIERE DELLA SERA del 18 aprile 1956.
Morale della favola: Il Giurì americano prosciolse, senza ascoltare i numerosi testimoni convocati dalle parti e fatti venire dall'Italia, il tenente Icardi, stabilendo che la "sottocommissione" non aveva avuto il diritto di porre all'agente dell'OSS quelle domande compromettenti alle quali egli aveva risposto mentendo. Le ragioni per le quali i servizi americani coprirono fino alla fine, il tenente Icardi, tutt'oggi considerato un ottimo agente dalla maggior parte della storiografia statunitense sul periodo, non sono del tutto chiare. Certo è che a protezione di Icardi intervennero prontamente i vertici dei servizi americani. Sui motivi, tanto delle accuse dei testi partigiani contro Icardi, quanto della difesa strenua degli americani del loro agente, considerato il complicato contesto storico, si possono fare purtroppo soltanto congetture. Resta, accanto alla decisione del "Gran Giurì" americano, la sentenza dei giudici di Novara. Altro non si può onestamente dire con certezza.


Saluti liberali


http://www.namebase.org/cgi-bin/nb06?_ICARDI_ALDO_

http://aasarea2.org/HolohanHistory.php

Una moderna versione innocentista pro-Icardi : http://www3.varesenews.it/busto/articolo.php?id=55528

Conterio
20-04-07, 16:42
Tu stai infamando un eroe della Resistenza, Moranino, assolto da un Tribunale Repubblicano. Sei passibile di denuncia per diffamazione. La solita tattica infame dei nazi-liberali. Garantista con gli amici e forcaiola con i nemici.
L'unico innocente perseguitato dalla Giustizia è Berlusconi..già lo sappiamo. E' vecchia la storiella.

:-0008n

Eroe ?

ma mi facci il piacere, tu sei un esaltato !

Io abito a quelache Km da Tollegno, paese di nascita di questo assassino graziato per scambio di favori dal presidente della repubblica. Coloro che lo conoscevano, hanno ancora paura adesso a denunciare la ferocia stalinista di questo Eroe...

Viva Pansa, abbasso la resistenza comunista !!!

Pieffebi
28-04-07, 12:05
I negazionisti sono negazionisti, siano rossi o neri o bruni o viola, niente di più, niente di meno.

Shalom