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Visualizza Versione Completa : I comunisti, Stalin, Togliatti e la democrazia



Pieffebi
06-06-02, 21:40
Sì, ormai lo sappiamo con certezza. Il "Cominform", con Stalin in persona ordinò ai partiti comunisti occidentali di insistere nella lora propaganda ideologica, sul concetto di “difesa dell’indipendenza nazionale” , nella lotta contro la costituzione della N.A.T.O., ossia dell’alleanza difensiva del mondo libero contro il totalitarismo comunista, modello ideologico e politico del Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti. Fiumi di inchiostro si sprecarono sulle pagine de l’Unità, di Rinascita, dell’editoria marxista o codista verso il marxismo, per la sacra causa “dell’indipendenza nazionale” contro “l’imperialismo americano”. Imperialismo americano che con il piano Marshal consentiva all’Europa occidentale di accelerare il processo di ricostruzione in modo mirabile, di costruire società democratiche e pluralistiche, mentre ad est, ove andavano in ferie i dirigenti del Partito Comunista Italiano, e ove stavano sorgendo le “democrazie progressive e popolari” (indicate da Togliatti come ….obiettivo di medio lungo termine della lotta dei comunisti italiani, a partire dalla Costituzione antifascista) si costruivano società totalitarie ed oppressive.
A Savona, sui pilastri di uno dei ponti cittadini sul torrente Letimbro si leggono ancora, in vernice nera, ormai alquanto sbiadita, alcune scritte della propaganda degli uomini di Stalin e Togliatti contro la Nato. Del tipo: “abbiamo combattuto i fascisti per essere liberi e non servi degli americani”, oppure “viva l’Italia indipendente, abbasso il Patto Atlantico”.
E mentre il PCI operava come “quinta colonna” del totalitarismo sovietico in terra italica, secondo i canoni dell’internazionalismo proletario (versione stalinista: totale subordinazione del movimento comunista internazionale agli interessi dell’Unione Sovietica), mentre ancora a Roma, durante le Olimpiadi del 1960, gli agit-prop comunisti plaudivano gli atleti sovietici (e tifavano spesso per loro anche contro quelli italiani, lasciando bene intendere in che cosa consisteva il loro “patriottismo”), nei paesi dell’est si edificavano le gloriose “democrazie popolari”.
E tutti, persino i comunisti più ottusi, sanno oggi in che cosa consisteva “l’indipendenza nazionale” di quei paesi del “campo socialista”. La dottrina della “sovranità limitata” in nome dello “internazionalismo proletario” sarà formalizzata in epoca brezneviana, ma praticata con chiara durezza ed intransigenza fin dal 1945. Del resto le truppe dell’Armata Rossa si trasformarono immediatamente, in quegli sfortunati paesi, da forze di liberazione in forze di oppressione, che avrebbero imposto i “processi rivoluzionari” di trasformazione di quegli stati in regimi totalitari comunisti subordinati all’Unione Sovietica.
Certo, alcuni paesi, segnatamente la Jugoslavia di Tito e l’Albania di Hoxa, per ragioni diverse, pur rimanendo dei totalitarismi comunisti (l’Albania addirittura utracomunista e poi maoista) , si emanciperanno dalla dominazione sovietica. Ma non l’Ungheria o la Cecoslovacchia, che subiranno l’invasione diretta delle truppe del Patto di Varsavia. E il PCI fu nel primo caso completamente schierato contro l’autonomia dell’Ungheria e contro i “comunisti riformisti” che come Nagy, volevano traghettare il loro paese ad un “socialismo democratico”, libero dalla dominazione sovietica e dalla dittatura. La migliore dimostrazione della totale servitù del PCI di Togliatti ad una potenza totalitaria straniera ed avversa, è data appunto dall’atteggiamento assunto nei confronti della sanguinaria repressione della “rivoluzione ungherese” del 1956.
Nel 1968, l’anno dell’elezione dello stragista ex ergastolano Gemisto alla carica di senatore comunista, le truppe del Patto di Varsavia invadevano la Repubblica democratica (tutti le dittature comuniste sono ed erano “democratiche”, lasciando chiaramente intendere il significato della parola democrazia quando è pronunciata dai comunisti) e popolare di Cecoslovacchia, ponendo fine alla “primavera di Praga”, e al tentativo riformista di avviare la trasformazione della dittatura stalinista cecoslovacca in un “socialismo dal volto umano”. Il PCI, questa volta, si dissociò dall’intervento diretto dell’URSS, ma senza porre minimamente in discussione i principi delle “democrazie popolari”, tanto che i critici più severi dell’invasione cecoslovacca e delle società dell’est furono espulsi dal partito, come gli ingraiani radicali della rivista “Il Manifesto” (poi quotidiano), per la verità allora attirati da posizioni “filo-cinesi” (ignoravano forse la sorte del Tibet?).
Dunque mentre strumentalmente i comunisti italiani innalzavano la bandiera patriottica, per erodere la solidarietà atlantica dei paesi capitalistici del mondo libero, la loro vera patria ideologica, l’Unione Sovietica, si comportava davvero come una potenza imperiale nei confronti dei paesi del “blocco socialista”, con la copertura dell’internazionalismo proletario, e con il sostanziale consenso dei togliattiani.
Mentre nell’Europa occidentale capitalistica avanzavano società democratiche e pluralistiche, e si costituiva tra sei paesi liberi, con il Patto di Roma, il Mercato Comune Europeo (contro il quale il PCI per anni polemizzò quasi con la stessa veemenza usata contro il “patto atlantico”), nell’Europa orientale l’oppressione totalitaria comunista investiva non solo i paesi sottoposti al controllo diretto sovietico, raggruppati nel Patto di Varsavia e nel Comecon, ma anche quelli “indipendenti” e “non allineati” come la Jugoslavia di Tito e l’Albania stalino-maoista di Enver Hoxa.
Il partiti comunisti che si trovarono ad operare, in piena fedeltà alle direttive moscovite, nella parte libera dell’Europa, dovettero tenere conto strettamente di alcuni fattori fondamentali:
a) l’Unione Sovietica considerava essenziale e intangibile la difesa dei propri interessi di Stato Socialista. E questa difesa era prioritaria , secondo la dottrina staliniana derivante dalla vecchia concezione de “il socialismo in un paese solo” rispetto alla stessa esportazione della rivoluzione comunista in altri paesi, e all’espansione immediata dal “campo socialista”;
b) la politica estera sovietica era sì ideologicamente fondata sul mito dell’ineluttabilità del trionfo finale del comunismo sul capitalismo imperialistico, ma al tempo stesso era fortemente realistica , attenta agli interessi concreti dello Stato Sovietico, ai rapporti di forza, sia economici che soprattutto strategici e militari con gli Stati Uniti e il mondo libero;
c) in tale ambito, l’Unione Sovietica, voleva evitare ogni azione precoce che mettesse lo Stato Guida del fronte socialista….prematuramente in campo ad affrontare un avversario più potente economicamente e quindi anche militarmente superiore, o in grado di ridiventarlo con relativa facilità in ragione della forza enorme del suo apparato industriale;
d) fu per questi motivi che Stalin abbandonò ai propri destini la rivoluzione comunista in Grecia, ed ordinò a Togliatti e Thorez una politica di moderazione al loro ritorno in occidente, alla guida dei loro partiti comunisti, impegnati nel “fronte antifascista”;
e) fu anche per questi motivi che gli “studi strategici” sovietici, nel 1943-44, previdero che il processo rivoluzionario in Europa occidentale, seppur ineluttabile, avrebbe impiegato non meno di una generazione, e forse anche due per concretizzarsi, consigliando ai partiti comunisti occidentali una politica di adattamento, di “guerra di posizione”, di “penetrazione nelle istituzioni” borghesi;
f) L’Unione Sovietica era però abituata a non considerare questi piani in modo dogmatico, per cui ci si doveva pur sempre preparare a tutte le eventualità, del tipo di una crisi radicale post-bellica del capitalismo che accelerasse il processo rivoluzionario e consentisse all’Unione Sovietica di sfondare la propria zona d’influenza verso occidente, o , viceversa, una non accettazione occidentale della politica di sovietizzazione dell’europa orientale con la creazione di un conflitto armato fra i blocchi, con la necessità di avere nei partiti comunisti occidentali degli importanti supporti politici, propagandistici, logistici e militari , oltre le linee nemiche;
g) Su queste basi i partiti comunisti occidentali, e soprattutto quello italiano, costituirono il loro apparato militare clandestino , sotto il controllo sovietico, di cui sono state recentemente pubblicate parti delle ricerche scientifiche ad opera dei consulenti della “Commissioni stragi” della precedente legislatura, e su cui vi è l’autorevole intervento anche di esperti russi, del tutto meravigliati del modo con il quale in Italia si è cercato di creare una sorta di cortina fumogena…su questi eventi, ricorrendo addirittura all’arma della derisione e delegittimazione preventiva, tipica della “disinformacia” sovietica di staliniana memoria, che non dovrebbe….più essere operativa nel XXI secolo, a dodici anni dalla caduta del muro di Berlino (altro simbolo della libertà nazionale dei paesi comunisti!).
h) La politica di “moderazione” del PCI, a copertura e protezione degli interessi vitali del “campo socialista” e dell’Unione Sovietica in primo luogo, è stata garantita mirabilmente da Palmiro Togliatti, intellettuale stalinista molto duttile e capace, subordinato fin dalla fine degli anni venti alla frazione staliniana del PC (b) R (poi PCUS), dopo una breve militanza “filo-buchariniana” che vedrà di far dimenticare …..presto.
i) L’atto simbolico più celebre e famoso di questa “moderazione” è sicuramente quello relativo agli attimi successivi all’attentato, quasi mortale, che Palmiro Togliatti subì nel 1948, e che vide il medesimo, insieme alla direzione del partito, operare per frenare le spinte insurrezionali della base , in un momento in cui la rivoluzione in Italia sarebbe stata del tutto contraria alla strategia sovietica, già gravemente disturbata dalla frattura con la Jugoslavia di Tito, che privava i comunisti italiani del supporto logistico di Belgrado , che aveva, come è noto dagli studi di Zaslavsky, operato come “ponte” verso Mosca durante l’immediato dopoguerra;
j) La posizione degli USA verso la partecipazione al governo, nel periodo 1945-48, di un partito comunista filo-sovietico, fu di crescente preoccupazione e contrarietà man mano che si deterioravano i rapporti fra le due potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, e man mano risultava chiara l’intenzione russa di sovietizzare integralmente la propria “zona di influenza” ;
k) Con l’inizio della guerra fredda…. lo scontro fra i due blocchi diventò feroce, facendo sì che anche nel campo democratico occidentale si facessero avanti posizioni radicali, contenute a fatica, e sulla scorta delle quali ci furono certamente deviazioni anche gravi, dai principi ispiratori di una politica democratico liberale.
Detto questo deve però risultare chiaro che, quello che più tardi Enrico Berlinguer chiamerà significativamente “l’ombrello protettivo della NATO”, consentì complessivamente alle società dell’Europa occidentale di sviluppare la democrazia rappresentativa, i diritti politici, sociali e civili, laddove la cappa del “patto di Varsavia” generò soltanto società totalitarie, oppressive, radicalmente antidemocratiche, secondo gli schemi ideologici e politici del “marxismo-leninismo”.
E al di là di tutte le mistificazioni della “disinformacia” staliniana, i cui residui si vedono ancora chiaramente nelle ricostruzioni “storiche” degli eredi dei fedeli rivoluzionari filo-sovietici e di coloro che ne hanno subito l’egemonia culturale, la sinistra italiana fu sempre largamente minoritaria in questo paese. Il PCI togliattiano-staliniano, nel periodo 1948-1970) non raggiunse mai il 30% dei voti, e si lanciò al di sopra di quella soglia solo quando inizio’ un deciso, seppur insufficiente, processo di revisione e di distacco da Mosca. Tanto è vero che il Pci propose una strategia di “unità antifascista e nazionale” per poter accedere al potere, per poter adempiere al mandato sovietico di “pentrare nelle istituzioni capitalistiche”.
Su questo fronte il comportamento del PCI fu sempre quello di paventare uno stato di emergenza, di crisi pericolosa, sia economica, che politica. La tattica del PCI fu in sostanza sempre attesista e neo-ciellenista, di dialogo con "i cattolici" e tutte "le forze popolari" proprio in ragione della debolezza (relativa) strutturale della sinistra italiana, che imponeva sia socialmente che politicamente una “politica delle alleanze” , anche sul piano sociale (alleanza della classe operaia con "i ceti medi produttivi".
Ogni volta che si profilava all’orizzonte una crisi economica, politica, sociale, il PCI agitava le acque, accentuava nella sua analisi la pericolosità della situazione per il “benessere del popolo” e per la “tenuta democratica del paese”, agitando ogni genere di spettri.
La parola d’ordine era “senza il PCI non si governa” , giacchè queste situazioni critiche non potevano essere governate “senza la classe operaia” e senza “la sua rappresentanza politica”.
Questo comportamento favorirà , insieme alla linea segnata dalla famosa “svolta di Salerno” del 1944, l’idea di un PCI “rivoluzionario a parole, filosovietico nelle intenzioni, ma democratico e integrato nella società occidentale nella prassi” , idea che rappresenta una delle dinamiche concrete della politica italiana per tutta una fase, ma che non tiene affatto conto dei moventi ispiratori di questa linea, e della loro totale compatibilità, almeno fino ad una certa data, con la strategia complessiva del movimento comunista internazionale dominato dalla potenza avversaria e totalitaria sovietica.
Una politica quindi, al di là delle apparenze, subordinata ad una potenza straniera ed avversaria, ad una potenza antidemocratica e totalitaria . Una politica che non si può non definire, nella sua potenzialità e nei suoi moventi concreti, come rivoluzionaria, antioccidentale ed eversiva .
E’ però senz’altro vero che, come aveva profetizzato "l’eretico " Amadeo Bordiga già negli anni 20, l’abitudine al lavoro nelle istituzioni borghesi e ai metodi isituzionali e politici della democrazia borghese, influenzò fortemente la mentalità delle nuove generazioni comuniste, “corrompendo” anche “la purezza rivoluzionaria” di parte di quelle vecchie. E questo fu senz’altro positivo . E ciò sfociò, quasi ineluttabilmente, nella crescita di un’ala riformatrice e migliorista nel partito che consentirà gradualmente allo stesso di precisare la propria ideologia in senso più riformistico, giungendo persino ad una formale “rottura” (mai completa, come risulta dalla recente documentazione) con Mosca .
E tuttavia la “socialdemocratizzazione di fatto” del PCI, denunciata dall’estrema sinistra, si svolse in gran parte in continuità con l’impostazione togliattiana di una ricerca, per rientrare nell’area di governo, di “un’ampia convergenza fra le forze popolari e antifasciste”.
Durante gli anni settanta la strategia del “compromesso storico” riproponeva, in fondo proprio questo obiettivo “immediato” che fu del togliattismo, ma lo proponeva in modo nuovo .
Mentre l’estrema sinistra agitava lo spettro del Cile e della “fascistizzazione dello Stato” per lanciare parole d’ordine “rivoluzionarie”, fino a predicare l’insurrezione e la “lotta armata” (poi praticata dalle frange più esagitate) come “nuova resistenza” , vista però finalmente come “ponte verso la rivoluzione socialista”, il PCI si indirizzava in senso opposto.
Per Berlinguer l’insegnamento cileno, ed i pericoli di svolta “reazionaria” in Italia, dovevano indurre i comunisti italiani ad una politica di collaborazione strategica con le parti sane e democratiche del popolo italiano e della stessa borghesia . Tanto più che la grave crisi di ristrutturazione del capitalismo italiano, seguita alla crisi energetica, con le forti tensioni inflative, rendeva indispensabile una posizione “responsabile” del movimento operaio, senza la cui collaborazione era impossibile alla borghesia italiana “uscire dalla crisi”.
La divaricazione strategica fra il PCI berlingueriano e l’estrema sinistra fu pertanto fortissima, anche perché, a differenza che nel 1943-45, il mito rivoluzionario non era solo più accantonato e congelato sull’altare della “unità antifascista” , ma definitivamente abbandonato con una progressiva revisione ideologica dei fondamenti stessi del “comunismo occidentale” .
“L’eurocomunismo” metteva ora, per la prima volta, in discussione le società dell’est Europeo, non negando ancora loro il loro ruolo “progressivo”, e quindi complessivamente positivo e “superiore” al capitalismo, ma criticando il “deficit di democrazia” che indubitabilmente lì si era generato in ragione di un modello di sviluppo del processo rivoluzionario che stava manifestando evidenti limiti.
Il PCI di Berlinguer metteva per la prima volta in seria e non strumentale discussione anche le basi economico-sociali di una futura società socialista, parlando apertamente del ruolo positivo che poteva assumere, anche in tale contesto, la piccola e media proprietà , e quindi la sussistenza di un mercato libero, seppur vigilato e sottoposto alla programmazione economica di piano da parte del Governo (una simile idea di “socialismo”, anzi addirittura maggiormente statalista, era presente nel pur platonico e coevo programma laburista inglese!).
Ciò nondimeno ancora nel 1975 Berlinguer parlerà della superiorità delle società dell’est, perché avevano evitato la crisi (!!!) e avevano maggiormente protetto il tenore di vita dei loro lavoratori (!!!!), e il PCI continuerà ad avere rapporti con i servizi sovietici e dell’est (ancora nel 1979 la direzione comunista, come risulta dai documenti sovietici, chiederà tre apparati radiotrasmittenti al KGB), ad invitare delegazioni dell’Europa orientale ai propri convegni, congressi, festival, lasciando sussistere un’ampio margine di ambiguità….
Questa insufficienza della revisione eurocomunista del PCI, questa sua ambiguità di fondo, nonostante gli “strappi” proclamati e parzialmente attuati, nonostante le professioni di fede pluralistica, faranno in modo che il maggior partito della sinistra italiana giunga in profondo ritardo ad uno strappo reale e profondo con il marxismo-leninismo. Il PCI si lascerà sorprendere e travolgere dalla caduta del muro di Berlino, e non farà nessuna Bad Godesberg italiana prima del crollo definitivo dell’URSS!! .
Ora, in altre realtà dell’Europa occidentale, dove il peso comunista nel secondo dopoguerra fu inferiore o nullo, ci fu la possibilità reale di un’alternanza al governo fra partiti di centrodestra e partiti di centrosinistra o sinistra. E’ responsabilità del Partito Comunista Italiano, e non di altri, l’aver impedito questa alternanza in ragione della propria fedeltà ad un blocco politico miltare avverso e antidemocratico, ed a principi ideologici (il marxismo-leninismo), obiettivamente incompatibili con la democrazia pluralistica occidentale.
Le società che sono “fuoriscite dal capitalismo”, non hanno saputo creare niente di buono, ne’ sotto il profilo della capacità di produrre ricchezza, ne’ sotto il profilo di una concreta “giustizia sociale” (visto lo sfruttamento schiavistico della manodopera forzata, i privilegi della nomenklatura…), ne’ soprattutto sotto il profilo delle libertà politiche, sociali e civili. Ciò nonostante c’è chi vuole ripercorrere la strada verso il paradiso…. Nonostante l’esperienza abbia dimostrato che conduce all’inferno. E nel far questo usa le “armi critiche” e i “miti mistificanti” che furono ieri parte qualificante della propaganda sovietica e marxista-leninista, diffondendosi, è vero, a settori dell’intellettualità internazionale “progressista”, in virtù dell’indubbia capacità comunista di egemonizzare ampi settori della produzione culturale delle società occidentali . Persino laddove i comunisti come forza politica quasi non esistevano la “disinformacia “ sovietica ha imposto i propri modelli tramite i “pacifisti” (molti movimenti dei quali, oggi lo sappiamo erano, quelli sì, eterodiretti dall’URSS e finanziati dal KGB).
Nel thread “i profeti” riporto citazioni di noti intellettuali italiani (ma ce ne sono anche di francesi, inglesi, americani , tedeschi…) che ci indicavano….la via.
La forte attrazione del marxismo verso gli intellettuali, e la sua influenza verso le sinistre “liberal” non comuniste, resta, come diceva Bernanrd Russel, uno degli aspetti insieme più inquietanti ed affascinanti della storia contemporanea . Come lo fu l’attrazione del nazionalsocialismo verso tanti intellettuali tedeschi, anche di valore, negli anni trenta.
Il comunismo è tuttavia seducente, lo dico per esperienza personale, giacchè secolarizza la speranza escatologica giudaico-cristiana, dandole una veste rigorosamente scientifica (in realtà scientista). La mistificazione del bene, l’ha chiamata qualcuno .


Cordiali saluti.

Pieffebi
23-07-02, 16:39
e allora continuiamo:

La strategia dei comunisti italiani durante la “guerra civile di liberazione” fu quindi sostanzialmente e fortemente subordinata alle direttive sovietiche. Ovviamente questo non avvenne senza contraddizioni e conflitti interni. Infatti a seguito della “svolta di Salerno” e ancor prima della politica “Ciellenista” del PCI nacquero numerosi gruppi di comunisti “dissidenti”, anche fuori e in contrapposizione al PCI ufficiale.
Tra il finire del settembre e il finire dell'ottobre del 1943 nel PCI si svolse un certo animato dibattito fra Mauro Scoccimarro, autore del “manifesto” antifascista del Partito, del 23 settembre e Luigi Longo.
Lo Scoccimarro pur impostando il documento, di cui fu l'estensore, nel senso della “guerra per cacciare i tedeschi ed i fascisti”, considerava apertamente inevitabile la direzione comunista sul movimento “pur unitario”, guidato dai lavoratori. L'Unità delle forze della sinistra, nella battaglia antifascista era sostanzialmente un'unità ideologica e strategica, che doveva pur sempre avere nel pensiero “di Marx, Lenin e Stalin” il proprio punto di riferimento.
Luigi Longo fu invece il portavoce di un pensiero politico notevolmente più realistico e concreto, che anticipava i temi della strategia togliattiana. Mentre lo Scoccimarro considerava, ad esempio, il governo Badoglio un' espressione del potere del nemico di classe, verso il quale dunque si doveva adottare una linea dura di contrapposizione e di lotta, per Longo era necessario scendere a compromossi con i badogliani per non indebolire la lotta antifascista che doveva andare ben oltre, per essere efficace, agli schieramenti “classisti” della sinistra.
Si può dire che effettivamente, soprattutto al nord, in un primo momento fu l'anima “dura e pura” della linea illustrata da Scoccimarro ad avere una maggiore influenza, soprattutto sulle prime formazioni armate di partigiani comunisti. Tuttavia da Mosca giunsero fin dai primi dell'ottobre 1943 dei segnali piuttosto espliciti, e presto Palmiro Togliatti (Ercoli) fece sapere ai compagni italiani di ritenere comunque quello di Badoglio, senza esitazioni, come il “legittimo governo del nostro paese”.
Prima di lasciare l'Unione Sovietica per raggiungere l'Italia, come è confermato dai diari di Dimitrov, Togliatti (come anche il capo dei comunisti francesi Thorez) ricevette personalmente da Stalin le istruizioni sulla linea politica da adottare, linea che fu conosciuta come la “svolta di Salerno” e che un dirigente comunista come Giorgio Amendola avrebbe chiamato....come la “bomba Ercoli”, per rendere idea di come le posizioni del leader rientrato in Italia provocassero un vero sconvolgimento psicologico in moltissimi militanti comunisti...e non.
Prima che Togliatti sbarcasse a Salerno, intanto, e siamo nei primi giorni di marzo del 1944, l'Unione Sovietica di Baffone annunciò di riconoscere formalmente l'Italia di Badoglio. Togliatti che in quel momento si trovava ancora ad Algeri, in attesa di potersi imbarcare per l'Italia meridionale, rilascerà alla stampa una dichiarazione in cui si sottolineava la generosità e la saggezza del gesto compiuto dai massimi responsabili dell'URSS, gesto che “ toccherà il cuore di tutti i veri patrioti italiani, aprendo la via della rinascita di un'Italia libera e rispettata nel mondo ”.
Il commento del presidente americano Roosevelt al riconoscimento sovietico dell'Italia badogliana è di notevole lucidità politica, anche se sopravvaluta le possibilità comuniste:
“ I russi sono senza dubbio uomini realistici, ma è anche naturale che il loro obiettivo possa essere un'Italia comunista e che possa riuscire loro utile servirsi del re e di Badoglio fino al momento in cui tutto sia pronto per una soluzione rivoluzionaria ”.
L'ambasciatore sovietico negli Usa Andrey Gromiko, il 19 marzo 1944 consegnò al segretario di Stato americano Cordell Hull un memorandum in cui erano contenute, fra l'altro, le seguenti significative parole: “ il governo sovietico propone ai governi della Gran Bretagna e degli Stati Uniti di prendere misure per l'unione di tutte le forze democratiche e antifasciste dell'Italia liberata sulla base di un appropriato perfezionamento del governo italiano ”. La strada per la prossima “svolta” impressa da Togliatti alla strategia dei comunisti italiani era definitivamente ....tracciata. Da Stalin.

.....continua....

Pieffebi
26-07-02, 22:09
L'atteggiamento "moderato" del partito comunista italiano non era gradito a tutte le formazioni e organizzazioni comuniste presenti sul territorio nazionale, tanto nelle zone controllate dai tedeschi e dalla "Repubblica Sociale Italiana", che in quelle liberate dagli anglo-americani e "controllate" (si fa per dire) dal legittimo Regno d'Italia, con a capo del Governo il Maresciallo Badoglio.
Proprio nel Sud Italia libero, accanto ai partiti politici antifascisti, torna alla luce del sole il movimento sindacale con la ricostruzione della CGL (confederazione generale del lavoro) in cui i militanti di matrice comunista acquistano subito una certa egemonia.
Alla testa del movimento sindacale si attestano in particolare i militanti più accesi, con posizioni più conseguentemente classiste, che spesso mal digeriscono la linea del Partito Comunista italiano, protesa invece all'unità antifascista, ormai, anche con le forze "borghesi" più conservatrici.
Il conflitto fra questi quadri sindacali e il PCI è pertanto in qualche modo inevitabile. Siccome detti quadri sono anche spesso, come è ovvio, dei militanti del partito, ecco che le frizioni esistenti si riversano inevitabilmente sull'organizzazione politica.
A Napoli, sul finire del 1943, si avrà la "scissione di Montesanto", dove per 45 giorni la locale sezione del PCI uscirà dal partito e ingaggera' una dura battaglia con la direzione centrale, all'insegna di parole d'ordine classiste e rivoluzionarie, contestando anche la presenza di manipoli di ex notabili fascisti, socialmente "borghesi", nei partiti democratici e negli stessi partiti di sinistra.
A Salerno fin dall'autunno "43 nasce, su posizioni di contestazione dei partiti della sinistra ufficiale, la "Frazione di Sinistra dei Socialisti e Comunisti d'Italia" che pubblica il giornale "Il Soviet", e il foglio "Il Proletario", mentre il PCI rimarrà senza un proprio organo di stampa per tutto il 1944!
I comunisti intransigenti salernitani contestano fortemente la provvisoria accettazione della monarchia da parte di Togliatti e del PCI, e attaccano i sindacalisti cattolici presenti nel neo-nato movimento sindacale invitando la CGL a "non ricadere nei vecchi errori dell'Italia pre-fascista", individuando nel riformismo il primo fra gli sbagli commessi dal sindacalismo rosso.
Il PCI non mancherà di accusare la "frazione" di "trotzkysmo" inducendo i rivoluzionari campani ad un'autodifesa piuttosto ironica. Da un lato questi ultimi rivelano prontamente come il termine trotzkysmo sia riferibile solo a divergenze interne al bolscevismo, e dall'altro affermano non senza ambiguità che " con il trotzkysmo si han punti in comune di interpretazione, ma anche valutazioni differenti ". Del resto il marxismo campano è ancora fortemente influenzato dalla sua storia e dalla "ingombrante " presenza del "fantasma" (si fa per dire) di Amadeo Bordiga, "l'eretico", "il settario", "l'amico di Trotzky", "il Trotzky italiano".
Nel giugno 1944 sul foglio "Il Proletario" la frazione dei Socialisti e Comunisti d'italia parla ormai apertamente di "degenerazione del PCI", rilevando anche come molta parte della gerarchia del partito ufficiale del comunismo italiano sia, almeno a livello locale, costituita da ex membri dei Gruppi Universitari Fascisti e del suo "fogliaccio".
Movimenti e gruppi analoghi si costituiranno ovunque, sia al nord che al sud. A Roma sarà importantissima, anche nella locale lotta partigiana, la formazione di marxisti intransigenti e dissidenti del Movimento COmunista d'Italia (Bandiera Rossa) avente un numero di partigiani combattenti addirittura superiore a quello inquadrato dal PCI. Il gruppo romano di Bandiera Rossa vedrà una sessantina di suoi militanti perire nell'eccidio delle fosse ardeatine, e alcune interpretazioni su un "doppio scopo" dell'attentato gappista di via Raselle, che scatenò la feroce rappresaglia nazista, vedono proprio nei "trotzkysti" romani, ossia nella loro liquidazione, il secondo obiettivo degli attentatori comunisti "ufficiali".
Al Nord agiranno varie formazioni di socialisti di sinistra, tra cui quella di Lelio Basso, e di comunisti dissidenti, fra cui il gruppo di "Stella Rossa".

....continua....

Pieffebi
29-07-02, 19:01
Per rimanere nel Sud, la suddetta "Frazione" non rappresentò l'unica organizzazione dissidente costituita da "estremisti" espulsi dal PCI. In Campania si costituisce anche, ad opera soprattutto di Mario Caruso, Il "Movimento Marxista d'Italia" che pubblica "Il pensiero marxista", organo teorico che sul numero dell'agosto 1944 espone con grande precisione la natura delle sue critiche al PCI:
" Parlare oggi di lotta al 'capitalismo fascista' è semplicemente infantile se non artificioso. Il capitalismo borghese si traveste secondo la fase di sviluppo raggiunta e secondo le condizioni in cui viene a trovarsi (...) Ma la cosa mirabilante è costituita dall'opera dei comunisti ministeriali i quali, per bocca di Togliatti, al papa, al re, alla borghesia, alla stampa estera hanno dichiarato che il comunismo non è fatto per il proletariato italiano ".
Ma nel gennaio 1944 un altro movimento appare ufficialmente nella sinistra rivoluzionaria campana, il Partito Socialista Rivoluzionario che pubblica l'organo "Bandiera rossa".
Questa organizzazione ci tiene a considerarsi socialista, sebbene rivoluzionaria, e non comunista in quanto " soltanto lo Stato sindacale puro...socialisticamente organizzato...può salvare l'individualità della persona senza ledere ne' sminuire la necessaria autorità dello Stato" ".
Le classiche opposizioni di sinistra allo stalinismo si esprimeranno invece sostanzialmente nel Partito Operaio Comunista (i trotzkysti quartinternazionalisti) e nel Partito Comunista Internazionalista (i bordighisti).
L'atteggiamento del Partito Comunista Italiano verso le organizzazioni dell'estrema sinistra sarà generalmente molto duro, fino all'utilizzo della della accuse più infamanti ("il sinistrismo maschera della Ghestapo" sarà il titolo di un articolo di Pietro Secchia), alla delazione e all'assassinio politico.

Il 2 aprile 1944 l'edizione meridionale del quotidiano comunista "L'Unità" pubblica la famosa intervista a Palmiro Togliatti (Ercoli) che riassume le caratteristiche della "svolta" impressa dal dirigente del comunismo internzionale appena tornato in Italia.
Togliatti precisa subito che " Noi non poniamo l'obiettivo della conquista del potere, date le condizioni internazionali e nazionali (..) vogliamo nondimeno distruggere completamente il fascismo e creare una vera democrazia antifascista progressiva ".
La strategia del PCI, dettata da Stalin a Togliatti, si articola in quattro punti:
1) mantenere intatta e consolidare l'unità delle forze antifasciste "democratiche e liberali";
2) rinviare la soluzione del problema istituzionale all'elezione di un'Assemblea Costituente, una volta liquidato il fascismo e scacciato l'invasore tedesco;
3) creare un governo antifascista di unità nazionale con tutte le forze democratiche e popolari "di massa", in grado di dialogare e collaborare con le grandi potenze democratiche alleate e con il loro aiuto prendere "misure urgenti per alleviare la sofferenza delle masse" e garantire "la rinascita della nazione", e di organizzare un vero "grande fronte di guerra in tutto il paese" contro il nazi-fascismo;
4) assicurare tutti gli italiani delle intenzioni dei comunisti è volta ad una lotta per liberare il paese "dagli invasori tedeschi, dai traditori della patria, dai responsabili della catastrofe nazionale", costituendo un fronte nazionale in cui "c'è posto per tutti coloro che vogliono battersi per la libertà d'Italia, e che domani avranno modo di difendere davanti al popolo le loro posizioni".
Al tempo stesso Togliatti annuncia una profonda trasformazione dell'organizzazione del Partito Comunista in un "partito nuovo" che deve essere:
a) il partito più di tutti antifascista e antinazista, che combatte per sradicare oltre che battere il fascismo;
b) il partito dell'unità della classe operaia e di tutta la nazione in guerra;
c) il partito più vicino agli strati popolari;
d) il partito più vicino alle nuove generazioni;
e) il partito dei "buoni e onesti lavoratori" che accoglie a braccia aperte ma che sa essere "unito e disciplinato, libero da ogni infiltrazione nemica".
L'obiettivo strategico indicato da Togliatti ai comunisti, per tutta questa fase della loro lotta, non è pertanto quello della "rivoluzione socialista" e della "dittatura rivoluzionaria del proletariato", bensì quello della guerra unitaria antifascista e della "democrazia progressiva".
" Democrazia progressiva - spiega Togliatti - è quella che guarda non verso il passato ma verso l'avvenire. Democrazia progressiva è quella che non da' tregua al fascismo ma distrugge ogni possibilità di un suo ritorno " attraverso misure strutturali come una radicale riforma agraria, attraverso la costituzione di un potere "del popolo e per il popolo" che infine Togliatti individuerà fondato " su larghe masse popolari e su una coalizione di forze democratiche ".
I comunisti dovranno conquistare pertanto all'interno di questo fronte le posizioni migliori, per poter contare nel dopoguerra, e per poter partire da tali posizioni di vantaggio per un'eventuale utleriore avanzata. Quello che Togliatti non dice è appunto strettamente correlato con gli studi strategici che in quel momento si stavano compiendo in Unione Sovietica sul futuro dell'Europa, nel contesto del confronto fra comunismo e capitalismo democratico, dopo la liquidazione del nazionalsocialismo germanico e dei suoi alleati.

continua.....

Pieffebi
04-08-02, 17:45
Mentre Togliatti si dava da fare per concretizzare e rendere operativi gli ordini ricevuti da Stalin, vincendo le resistenze all'interno del Partito Comunista Italiano e cercando di convincere gli alleati delle sue intenzioni "democratiche", in Unione Sovietica l'impegno bellico contro gli invasori dell'Asse continuava con grande sforzo e grande coraggio.
Al contempo però i sovietici si dilettavano a studiare la strategia per il dopoguerra, tanto che Stalin creò fra il 1943 e il 1945 almeno tre commissioni che si occuparono di analizzare scientificamente il problema, tanto dal punto di vista degli interessi dell'URSS che del comunismo.
A presiedere dette commissioni di studio furono chiamati diplomatici russi di primo rango, come Ivan Maisky, Maksim Litvinov, e il futuro presidente dell'URSS Andrej Gromiko.
L'11 gennaio 1944, poco più di due mesi prima della "svolta di Salerno" annunciata da Palmiro Togliatti per il PCI, il memoriale della Commissione Maiski, dal titolo: " Sui fondamenti auspicabili del mondo futuro " sosteneva che la futura sicurezza dell'Unione Sovietica era indissolubilmente legata alla trasfromazione socialista dell'intera Europa, o quanto meno della intera Europa continentale. Tuttavia con grande realismo gli studiosi sovietici, consapevoli dei rapporti di forza probabili dopo la sconfitta della Germania hitleriana, fissavano il raggiungimento di questo obiettivo entro 30-50 anni , nel corso quindi di almeno due generazioni. Opinioni più ottimistiche non accorciavano detti tempi che a meno di....una generazione.
Era dunque fuori discussione che l'Unione Sovietica si illudesse di poter "esportare" la rivoluzione socialista in occidente in tempi ravvicinati, anche perchè una qualsiasi iniziativa prematura avrebbe seriamente compromesso, provocando un prevedibile scontro generale con gli Stati Uniti (e Gran Bretagne e Francia...) non solo la sicurezza ma l'esistenza stessa del primo Stato Socialista al mondo, rendendo vani i risultati auspicabili dalla vittoria sulla Germania nazionalsocialista ed i suoi alleati.
Ciò nonostante, scrive lo storico Zaslawsky : " Stalin e Molotov e tutto il vertice sovietico non si sentivano vincolati da nessuna limitazione nelle pretese territoriali, se non dalle previsioni dei rapporti di forza, e intendevano ampliare il più possibile la propria sfera d'influenza, mettendo l'Occidente di fronte al fatto compiuto. ". Nello stesso tempo la politica di moderazione imposta da Stalin ad i comunisti occidentali, nel quadro dell'alleanza con gli USA e il Regno Unito contro le potenze dell'Asse, dimostra la consapevolezza della leadership sovietica sulla propria inferiorità economica e quindi anche militare.
Zaslawski nota che nella fase finale della guerra la dirigenza dell'URSS " elaborò due linee politiche per l'ordinamento post-bellico dell'Europa: una per l'emergente sfera d'influenza nell'Europa orientale, in cui doveva essere attuata una profonda riorganizzazione sociale e politica per mezzo dell'esercito sovietico e dei partiti comunisti locali; e l'altra per i paesi dell'Europa occidentale, assegnati alla zona d'influenza anglo-americana, nella quale erano però presenti forti partiti comunisti, che costituivano un potente fattore d'influena sovietica ".
In questa seconda area Mosca ordinò ai partiti comunisti di frenare le spinte rivoluzionarie, di confluire nei fronti antifascisti con gli altri partiti, di pazientare e di cercare di assumere posizioni di rilievo.

continua.....

Catilina
05-08-02, 16:18
Caro Pieffebi,
questa dotta ricostruzione mi riconferma nell' idea che la "questione nazionale", in modo o nell'altro, per un motivo o per un altro, è stata sempre uno dei punti centrali della teoria e della prassi dei comunisti. Eppure su altro forum e su altro thread, duellando con il sottoscritto, affermasti che la presenza di una "questione nazionale" nel comunismo era una mia immaginazione . Lo sai perchè lo facesti? Perchè sei proprio un bastian contrario...
Cordialità:)

agaragar
06-08-02, 07:46
pieffe...non cambi mai eh....
ti è andata bene che avevo da fare......

ti voglio raccontare una storia.....
riguarda un certo robotti,
nome non conosciutissimo nella storia del "communismo"
eppure a suo modo emblematico

dunque, questo robotti era il cognato di togliatti,
e viveva in russia negli anni '30
sotto stalin (Baffone)
questo povero cristo, ogni tanto veniva arrestato dalla GhePeU
lo caricavano di legnate, poi lo rilasciavano...
poi lo arrestavano di nuovo,
lo caricavano di legnate, poi lo rilasciavano...
non so di preciso per quante volte.....

e perchè mai tutto questo ti chiederai?
semplice, cioè non tanto,
sarebbe stato un pò rozzo per un'artista come stalin buttare togliatti in galera come spia...
gli arrestava il cognato, e lo faceva sudare freddo...
così palmiro, la notte,tutte le volte che sentiva un rumore...sudava freddo.
Chissà baffone le risate che si sarà fatto alle spalle del "migliore"....

Infatti togliatti,tornato in italia, non mise più piede in russia finche stalin visse.
Togliatti scrisse poi il memoriale di Yalta, dove andò oltre la critica di kruscev a Stalin(e ci credo).
Ebbe anche una polemica con lo stesso kruscev, definedo il regime di stalin capitalismo di stato, mentre kruscev difese lo stalinismo come l'unico socialismo possibile in quel periodo.

Altro che stalin e togliatti!
Vedi, tu sei italiano, e se in italia i "comunisti" hanno preso tanti voti, anche tu ne sei responsabile,
e se sono andati al governo lo stesso...
Stalin i "comunisti" come togliatti li metteva in galera,se di nazionalità russa,
altrimenti si divertiva a spaventarli,
e perche doveva togliere le castagne dal fuoco a gente come te???

_________________________
meditate gente meditate...

Pieffebi
06-08-02, 12:44
Ho conosciuto personalmente Robotti e ho parlato con lui tanti, tanti anni fa. Era uno stalinista tutto d'un pezzo. Se avesse letto questo tuo post avrebbe scosso la testa e avrebbe detto:
......tante sofferenze e tante lotte per nulla, guarda come sono diventati i compagni!

Saluti liberali

agaragar
06-08-02, 14:46
...uno stalinista...spezzato.....

Stalin non era Moro...per sua fortuna.

letto il tartufo pieffe??

Pieffebi
07-08-02, 13:35
Sì l'ho letto, ma il significato della frase "Stalin non era Moro" mi sfugge ugualmente.....

Hasta la victoria de la derecha...siempre.

agaragar
08-08-02, 02:49
Moro fu ucciso, stalin morì nel suo letto,furono uccisi gli altri...

non so che vuol dire derecha

Pieffebi
11-08-02, 14:37
Originally posted by Pieffebi
Mentre Togliatti si dava da fare per concretizzare e rendere operativi gli ordini ricevuti da Stalin, vincendo le resistenze all'interno del Partito Comunista Italiano e cercando di convincere gli alleati delle sue intenzioni "democratiche", in Unione Sovietica l'impegno bellico contro gli invasori dell'Asse continuava con grande sforzo e grande coraggio.
Al contempo però i sovietici si dilettavano a studiare la strategia per il dopoguerra, tanto che Stalin creò fra il 1943 e il 1945 almeno tre commissioni che si occuparono di analizzare scientificamente il problema, tanto dal punto di vista degli interessi dell'URSS che del comunismo.
A presiedere dette commissioni di studio furono chiamati diplomatici russi di primo rango, come Ivan Maisky, Maksim Litvinov, e il futuro presidente dell'URSS Andrej Gromiko.
L'11 gennaio 1944, poco più di due mesi prima della "svolta di Salerno" annunciata da Palmiro Togliatti per il PCI, il memoriale della Commissione Maiski, dal titolo: " Sui fondamenti auspicabili del mondo futuro " sosteneva che la futura sicurezza dell'Unione Sovietica era indissolubilmente legata alla trasfromazione socialista dell'intera Europa, o quanto meno della intera Europa continentale. Tuttavia con grande realismo gli studiosi sovietici, consapevoli dei rapporti di forza probabili dopo la sconfitta della Germania hitleriana, fissavano il raggiungimento di questo obiettivo entro 30-50 anni , nel corso quindi di almeno due generazioni. Opinioni più ottimistiche non accorciavano detti tempi che a meno di....una generazione.
Era dunque fuori discussione che l'Unione Sovietica si illudesse di poter "esportare" la rivoluzione socialista in occidente in tempi ravvicinati, anche perchè una qualsiasi iniziativa prematura avrebbe seriamente compromesso, provocando un prevedibile scontro generale con gli Stati Uniti (e Gran Bretagne e Francia...) non solo la sicurezza ma l'esistenza stessa del primo Stato Socialista al mondo, rendendo vani i risultati auspicabili dalla vittoria sulla Germania nazionalsocialista ed i suoi alleati.
Ciò nonostante, scrive lo storico Zaslawsky : " Stalin e Molotov e tutto il vertice sovietico non si sentivano vincolati da nessuna limitazione nelle pretese territoriali, se non dalle previsioni dei rapporti di forza, e intendevano ampliare il più possibile la propria sfera d'influenza, mettendo l'Occidente di fronte al fatto compiuto. ". Nello stesso tempo la politica di moderazione imposta da Stalin ad i comunisti occidentali, nel quadro dell'alleanza con gli USA e il Regno Unito contro le potenze dell'Asse, dimostra la consapevolezza della leadership sovietica sulla propria inferiorità economica e quindi anche militare.
Zaslawski nota che nella fase finale della guerra la dirigenza dell'URSS " elaborò due linee politiche per l'ordinamento post-bellico dell'Europa: una per l'emergente sfera d'influenza nell'Europa orientale, in cui doveva essere attuata una profonda riorganizzazione sociale e politica per mezzo dell'esercito sovietico e dei partiti comunisti locali; e l'altra per i paesi dell'Europa occidentale, assegnati alla zona d'influenza anglo-americana, nella quale erano però presenti forti partiti comunisti, che costituivano un potente fattore d'influena sovietica ".
In questa seconda area Mosca ordinò ai partiti comunisti di frenare le spinte rivoluzionarie, di confluire nei fronti antifascisti con gli altri partiti, di pazientare e di cercare di assumere posizioni di rilievo.

continua.....

Del resto Stalin aveva imposto al movimento comunista russo e a quello internazionale, nel corso dei tre lustri che vanno dal 1926 all'invasione tedesca dell'Unione Sovietica, diverse “svolte”, secondo quell'andamento a zig-zag che sarà notato e denunciato, pur con diversi accenti, tanto dagli oppositori di sinistra che dai critici socialdemocratici e “borghesi”.
Non vi era dunque ragione al mondo per considerare quale “definitiva” la scelta che Togliatti e Thorez, su disposizione di Stalin, comunicarono alle direzione dei rispettivi partiti comunisti occidentali durante gli ultimi 15/16 mesi della guerra mondiale.
Quello che era acquisito “per sempre”, nella formazione ideologica staliniana, era il principio della priorità assoluta degli interessi dello Stato Sovietico su qualsiasi altro.
La vittoria della concezione del “socialismo in un paese solo” negli anni venti, subordinò definitivamente e in modo completo il movimento comunista internazionale a Mosca , e fece pertanto emergere una concezione dell'internazionalismo proletario sempre più lontana dall'originario spirito leninista, che sopravviverà solo nelle opposizioni di sinistra del pc(b)r e dell'internazionale, sgominate con ogni mezzo, compreso il terrore e l'assassinio politico su commissione, dallo Stato e dal parito sovietico e dal Comintern sotto la direzione dei migliori collaboratori stranieri di Baffone : il bulgaro Dimitrov e l'italiano Togliatti (Ercoli).
Quando si ricorda doverosamente il contributo di sangue dato dall'Unione Sovietica di Stalin alla sconfitta delle potenze dell'Asse, guidate dalla Germania Nazionalsocialista, e il contributo importante dato dai partiti comunisti alle varie resistenze antifasciste, compresa quella italiana, a prezzo di immani sacrifici, non si deve tuttavia dimenticare.....la fase precedente, compresa fra la politica dei Fronti Popolari e la Guerra Patriottica e antifascista.
Basti ricordare che il 7 novembre 1939, Dimitrov, il capo dell'Internazionale, lo stesso uomo che aveva guidato la svolta dall'estremismo del “terzo periodo”( con la parola d'ordine del “socialfascismo”, usata contro le socialdemocrazie europee), alla politica “democratica” e “unitaria” dei Fronti Popolari (di alleanza organica non solo con socialisti e socialdemcoratici ma anche con i partiti radicali borghesi), scrisse l'articolo che dettò la linea dei partiti comunisti di tutto il mondo durante la fase dell'alleanza fra Germania Nazionalsocialista e Unione Sovietica comunista, dopo quindi il patto Molotov-Ribbentropp e i successivi accordi fra i due totalitarismi sanguinari.
L'articolo dal titolo “La guerra e la classe operia dei paesi capitalisti” esprime, nel 22° annivarsario della rivoluzione d'ottobre, la linea stalinista imposta al comunismo internazionale, in subordine, come sempre, agli interessi nazionali dell'URSS.
Vi vengono enunciate quattro tesi, che saranno fatte proprie, non senza discussioni, dissensi ed esitazioni, ma in modo infine disciplinato, tanto dal partito comunista francese che da quello italiano, che da ogni altro partito marxista-leninista:
1) anche la seconda guerra mondiale, come la prima, altro non è che una guerra imperialista fra bande rivali di nazioni capitalistiche per la spartizione delle colonie, l'accesso alle fonti di materie prime, il dominio delle vie marittime, il soggiogamento e lo sfruttamento dei popoli;
2) non è corretto, secondo Dimitrov e...Stalin, attribuire alle potenze fasciste dell'ASSE la definizione di stati aggressori, se non in un primo tempo, mentre ormai si faceva sempre più evidente come fossero proprio “ gli imperialisti inglesi e francesi (...) che si presentano oggi come i più zelanti fautori della continuazione e dello sviluppo ulteriore della guerra ”. 3) Questa aggressività attribuita alla potenze democratiche occidentali, è spiegata da Dimitrov proprio come reazione alla conclusione del patto tedesco-sovietico a seguito del quale la borghesia di Francia e Inghileterra “ perduta ogni speranza di una guerra da parte della Germania contro l'Unione Sovietica, fece ricorso alla via della lotta armata contro la principale sua rivale imperialsitica (...) sotto il pretesto di difendere il suo vassallo, la Polonia dei reazionari e dei latifondisti ” ( Polonia che era stata vergognosamente spartita, non dimentichiamolo, fra il compagno Stalin e il camerata Hilter!);
4) Questa fase impone alla classe operaia di tutti i paesi una sola posizione, quella della lotta coraggiosa e intransigente contro la “guerra imperialista”, e dunque contro “ i responsabili e gli agenti di questa guerra ”, ciascuno innanzi tutto nel proprio paese. La lotta contro la guerra imperialista rende ormai superata, se non per la Cina e i paesi coloniali, la “ tattica dei Fronti Popolar i”, essendo ancora una volta evidente la complicità dei partiti socialisti e socialdemocratici con gli imparialisti. Senza usare la parola “socialfascismo” (semplicemente perchè non si usa neppure più, se non marginalmente, quella fascismo), Dimitrov rivela che “ i capi di questi partiti sono passati armi e bagagli nel campo degli imperialisti, mentre alcuni di essi, come i radicali francesi, si sono direttamente incaricati di condurre la guerra ”. Infatti il capo dei comunisti francesi Thorez, in un primo momento volontario per combattere sul fronte i nazisti tedeschi, obbedirà agli ordini moscoviti, dichiarerà la guerra “imperialista”, denuncera il proprio governo come aggressore e nemico della classe operaia francese e internazionale e....diserterà. Ovviamente il governo francese metterà fuori legge il Partito Comunista, considerata dal resto della sinistra al governo come forza antinazionale;
In questa ottica Dimitrov raccomanda i partiti comunisti di rafforzarsi epurandosi dagli “ elementi opportunisti che si perdono per strada alle brusche svolte ”. I partiti comunisti devono, secondo una corretta concezione marxista-leninista dei propri compiti, combattere l'opportunismo revisionistico che si esprime, come sempre, “ nello scivolare in una posizione di difesa della patria /b]” e ora anche “ [b]nell'appoggiare la storiella sul carattere antifascista della guerra ”.
La linea di Dimitrov, che è poi ovviamente quella imposta da Stalin e dai vertici sovietici del movimento comunista internazionale, è ripresa fedelmente da Palmiro Togliatti (Ercoli) nelle sue famose “lettere di Spartaco”, in cui la linea del “disfattismo rivoluzionario” contro la guerra imperialista sarà il filo conduttore del nuovo momento tattico dell'azione dei comunisti italiani, che ora sono solo antifascisti in quanto antiimperialisti e anticapitalisti, e non ritengono di aver nulla da spartire con l'antifascismo democratico-borghese.
Secondo Paolo Spriano, storico ufficiale del PCI per molti anni, le lettere di Spartaco esprimono anche, fra le righe e neppure tanto, alcune critiche alla nuova tattica sovietica. Secondo me devono piuttosto intendersi, invece, come un adattamento della linea staliniana ad un partito comuista costretto pur sempre alla clandestinità da una dittatura fascista. Dittatura fascista che era pur sempre qualcosa di peggio, secondo l'elaborazione teorica di Togliatti (e del Gramsci) nelle forme di “dominio capitalistico e imperialistico” del pur “falsa” democrazia “borghese”, anch'essa forma e maschera della dittatura borghese (Lenin).
E infatti Togliatti, nelle sue lettere, non dimenticherà l'antifascismo, riferendosi però esclusivamente al regime italiano, avendo il fascismo in quel momento nelle sue mani l'intero Stato capitalistico del paese che aveva il compito di condurre al comunismo.
Ma Togliatti non mancherà di paragonare “l'imperialismo fascista” alla socialdemocrazia “ che offre il suo appoggio servile all'imperialismo britannico ”, fra gli avversari mondiali della classe operaia in lotta contro la guerra e per il socialismo.
E' stupefacente .....quanto scontato, vedere come dopo l'aggressione tedesca all'Unione Sovietica a questa “svolta” si sostituirà un'altrettanto radicale “controsvolta”, fino a giungere a considerare le posizioni internazionaliste radicali, sostenute da Stalin, Dimitrov e Togliatti fino a non molti mesi prima, come estremismo oggettivamente “al servizio dell'hitlerismo” se non come direttamete “ maschera della Gestapo ”.
La disinvoltura con la quale i comunisti stalinisti cambiavano idea velocemente su questioni così fondamentali della lotta politica, rendeva giustamente diffidenti non solo gli anticomunisti ma anche gli alleati “moderati” che i comunisti ora si sceglievano ora attaccavano come nemici mortali, ora tornavano a corteggiare per la costruzione di fronti comuni.
Gli studi sovietici del 1944 e 1945 sul “mondo futuro” auspicato dagli stalinisti, non dovevano e non devono pertanto essere assunti quali dogmi, così come la stessa “svolta di Salerno” del marzo 1944, così come ogni altra presa di posizione di Stalin o Togliatti.
E infatti i comunisti continueranno a tenersi “libere le mani” in ogni fase della loro azione politica e militare, pronti a ubbidire a qualsiasi, spesso auspicata e attesa con ansia, “controsvolta”, capace di portare il partito alla conquista del potere politico e al raggiungimento degli scopi per il quale unicamente era stato fondato, nel non lontano 1921, quale sezione italiana della Terza Internazionale Comunista di Lenin, Trotzky, Zinoviev e Bucharin.
Ora Stalin aveva sostituito Lenin, morto nel gennaio 1924, e Trotzky, Zinoviev e Bucharin erano stati diversametne assassinati come traditori, ma “il sogno” della società comunista continuava ad animare i sentimenti di centinaia di migliaia di comunisti d'osservanza moscovita in tutto il mondo e anche in Italia.
Ecco allora che si spiegano tutta una serie di fatti che altrimenti resterebbero di difficile comprensione:
a) la sorpresa e lo sconcerto con la quale una parte del PCI accolse la svolta togliattiana;
b) la divergenza fra Scoccimarro e Luigi Longo, e il contrasto esistente fra i militanti comunisti del nord occupato dai tedeschi e quelli del sud liberato dagli angloamericani;
c) la linea dei comunisti intransigenti che, seppur osannanti all'URSS di Stalin, criticavano la politica “ministeriale” e “ciellenista” del PCI di Togliatti;
d) la linea dei bordighisti, che non ritenendo l'URSS più uno Stato Operaio non ritennero di dover cambiare l'atteggiamento internazionalista contro TUTTE le potenze “imperialiste” in lotta, Russia compresa, dopo l'avvio da parte di Hitler della “operazione barbarossa”;
e) la diffidenza iniziale degli altri partiti antifascisti nei confronti dei comunisti, così adusi a svolte repentine senza alcun imbarazzo.

Ma quale tattica particolare il PCI applicò durante la Resistenza per realizzare nel modo migliore per sé e il mandante sovietico, la strategia della guerra popolare antifascista?

Sicuramente tra il settembre 1943 e il marzo/aprile 1944 vi fu una fase in cui le posizioni più radicali, rappresentate dal manifesto di Scoccimarro, ebbero una notevole influenza sui primi gruppi di combattenti comunisti del nord. In ogni caso il PCI non intendeva affatto partecipare alla guerra civile da posizioni subordinate, senza pensare al proprio futuro e a quello della lotta per il comunismo.
La stessa guerra sul fronte italiano diventò una guerra civile per la combinazione sinergica di almeno due aggiuntivi fattori distinti:
a) la fondazione della Repubblica Sociale Italiana (secondo De Felice “Senza la RSI la Resistenza avrebbe avuto un carattere essenzialmente nazional-patriottico, di lotta di liberazione contro l'occupante tedesco” con meno possibilità di incidenza da parte dei comunisti e della loro ideologia);
b) gli attacchi terroristici improvvisi che i gruppi armati comunisti ordirono, per una lunga fase fuori da qualsiasi accordo con gli altri partiti antifascisti e fuori da ogni direttiva o controllo da pare degli Alleati anglo-americani, al fine di scatenare rappresaglie, indebolire le componenti moderate del fascismo repubblicano, impedire qualsiasi accordo di “contenimento della natura del conflitto” fra fascisti e antifascisti moderati (in buona sostanza.... qualsiasi accordo che vedesse fascisti e antifascisti combattere esclusivamente con le armi i rispettivi alleati stranieri, rifiutando il più possibile di versare reciprocamente sangue italiano). L'egemonia comunista sulla resistenza da un lato e quella del fascismo più estremista e violento imbarbarirono oltre misura la guerra civile, più di quanto l'atteggiamento tedesco da una lato e quello della resistenza non comunista dall'altro avrebbero giustificato.
La tattica dei combattenti comunisti volta all'uccisione degli esponenti fascisti più moderati al fine di scatenare la reazione dei fascisti estremisti (garantendone il successo nel conflitto interno al PFR, e garantendo a se stessi la direzione sostanziale del fronte armato resistenziale) potrebbe essere descritta con pagine e pagine di storia. Non è però questo il fine del presente scritto. Si farà eventualmente, quando necessario, cenno a singoli episodi eclatanti.

.....continua.....

Pieffebi
16-08-02, 16:16
Il 25 ottobre 1943 il dirigente comunista Luigi Longo telegrafa a Mosca che nell'Italia occupata dai tedeschi è nata la guerriglia. Pietro Secchia e Cino Moscatelli ricordano che : " Ottobre, novembre e dicembre furono soprattutto i mesi dell'organizzazione, dell'armamento e dell'addestramento delle formazioni partigiane. E' vero che queste si creavano ogni giorno nella lotta, che non si poteva attendere di essere forti per cominciare il combattimento, però un mimimo di preparazione era necessario. La maggior parte delle azioni effettuate nei primi tre-quattro mesi ebbe quasi esclusivamente come obiettivo la conquista delle armi, delle munizioni e del materiale necessario alla vita delle formazioni e al combattimento. .
La consistenza delle formazioni armate, secondo una stima (ottimistica) di Leo Valiani, era nel novembre 1943, di circa 10.000 combattenti, un quarto dei quali in Piemonte. Giorgio Bocca è forsa più vicino al vero quando per il medesimo novembre 1943 parla soltanto di 4.000 uomini "in montagna", di cui 1.650 in Piemonte, 200/300 in Lombardia, 700 nel Veneto, pochissimi in Emilia, circa 250 uomini in Toscana, poche diecine di unità per ciascuna delle altre regioni del centro Italia.
Questi numeri si riferiscono alla formazioni partigiane, a cui si devono aggiungere, per i comunisti, i cittadini gruppi d'azione patriottica, usi ad azioni....mirate.
Ferruccio Parri stima invece in 9.000 combattenti i partigiani saliti a tutto il Dicembre 1943 sulle montagne dell'Alta Italia e dell'appennino centrale.
Secondo Paolo Spriano l'organizzazione dei G.A.P comunisti, composti ciascuno di 3-4 uomini e riuniti in distaccamenti " è presa prima di quella dei distaccamenti Garibaldi ma la sua realizzazione è più lenta. Il gappista deve avere un rifugio in piena città, essere un militante a tutta prova. A differenza del partigiano garabaldino il gappista è quasi sempre un militante del partito, un suo quadro(...) La meticolostià della preparazione è importante come il sangue freddo durante l'azione."
I gappisti sono, dal punto di vista della strategia militare, come detto, dei veri terroristi, dediti all'uccisione di fascisti, agli attentanti anche per mezzo di bombe, all'assassinio politico mirato.
Ammette lo storico ufficiale del PCI, Paolo Spriano : " Le azioni gappiste provocano regolarmente rappresaglie, fucilazioni di ostaggi, enorme emozione nelle città. Si tratta anche di superare, se non la vera e propria ostilità, le riserve più aperte di altre formazioni politiche antifasciste che stimano controproducente e troppo rischiosa l'arma terroristica. Ma il PCI sin dall'ininzio insiste su questo punto. L'azione gappistica deve in prospettiva riuscire a proteggere con unità armate uno sciopero, una manifestazione di massa. Non sarà facile raggiungere questo obiettivo, ma anche quando i gappisti sono pochissimi, l'efficacia della loro azione sta proprio nell'atmosfera di guerra che essi riescono a creare, nel panico e nella rabbia che spargono tra il nemico".
Le motivazioni citate da Spriano, circa la "protezione" terroristica di "manifestazioni di massa" non stanno proprio in piedi, ma sono quelle "ufficiali" date dal suo partito nel fuoco dei combattimenti. Il resto è descritto con sufficiente precisione e onestà intellettuale, come era costume dello storico Spriano.
Critiche al terrorismo gappista vengono dai liberali, dai cattolici,e anche dall'Osservatore Romano, organo della Santa Sede, che parla apertamente della creazione di una situazione di "delitto contro delitto" e di uomin che " sono sacrificati alla vendetta e alla rappresaglia della vendetta ".
E' da ricordare che in questa fase, quella che va dall'ottobre 1943 all'aprile 1944 la linea del PCI è ancora decisamente massimalistica, sebbene Luigi Longo (e Togliatti da Mosca) inizino a contenere le intemperanze dei più impazienti e dei vari Mauro Scoccimarro, per i quali (come abbiamo visto) la strategia comunista durante la fase presente dalla "grande guerra patriottica antifascista" condotta dall'URSS di Stalin non è ancora sufficientemente chiara.
Il Partito Comunista Italiano sceglierà dunque la linea della relativa "moderazione", ma non per questo rinuncerà a mezzi di lotta protesi appunto a suscitare, incattivire, indurire la guerra civile, al fine di assumerne l'egemonia politica militare, radicalizzando lo scontro, in modo non solo di "abbattere il fascismo" ma di "sradicarne le radici", verso la realizzazione di una "democrazia di tipo nuovo", popolare e progressiva, che rappresentava il massimo terreno conquistabile da un partito comunista nell'Europa Occidentale, nella fase storica che con la sconfitta tedesca di Stalingrado, lo scioglimento dell'Internazionale Comunista, l'apertura del secondo e del ...terzo fronte di guerra, si era creata e che sarebbe durata fino a che non fossero profondamente mutati i rapporti di forza fra le potenze che si apprestavano a vincere lo scontro mortale con la Germania Nazionalsocialista ed i suoi alleati.
Nel contempo era in pieno svolgimento la "soluzione finale della questione ebraica" e milioni di ebrei d'Europa erano già stati concentrati e uccisi, altri si apprestavano ad esserlo o erano ridotti in condizioni di schiavitù disumana dalle SS naziste e dai loro sgherri.

La costituzione della Repubblica Sociale Italiana, come abbiamo visto, è la causa principale della guerra civile italiana, come ben ha visto Renzo DeFelice.
Dal canto suo uno storico molto vicino al DeFelice e alla sua impostazione, Guglielmo Salotti, nota come non sia del tutto esatto definire la RSI uno "Stato-Fantoccio", sebbene ne avesse molte caratteristiche, e ricorda come Il De Felice in "Il Rosso e il Nero" avesse dato atto al Mussolini di aver accettato di assumere la direzione della repubblichetta sottoposta al controllo tedesco al fine di evitare la "polonizzazione" dell'Italia, senza farsi alcuna illusione di vittoria o rivincita o rinascita fascista.
Dopo "la morte della patria" dell'otto di settembre 1943, dopo "la fuga" del re, la nascita della Repubblica Sociale Italiana ebbe dunque una funzione storicamente duplice e contraddittoria:
provocò (accanto al terrorismo gappista dei comunisti) la guerra civile italiana, e limitò i propositi drasticamente punitivi nei confronti dei "traditori italiani" avanzati dall'alta gerarchia nazionalsocialista germanica.
Dal punto di vista politico il fascismo, morto definitivamente con il 25 luglio 1943, ebbe una tragica, eterogenea ed estremistica (negli esiti complessivi) appendice appunto con il Partito Fascista Repubblicano di Alessandro Pavolini, ove un peso non indifferente fu assunto dai "fascisti intransigenti" e dai "fascisti rossi", che avevano invece avuto un ruolo tutto sommato marginale durante il Regime.

.....continua ...

Pieffebi
20-08-02, 20:51
Nel marzo 1944, mentre l'Unione Sovietica riconosceva il governo Badoglio e Togliatti era in viaggio per l'Italia, ove avrebbe ordinato la "svolta", si registrò un avvenimento sociale di grande importanza che influenzò non poco : il grande sciopero generale nelle citta' industriali del nord del paese, ossia nella aree occupate dai tedeschi e sottoposte al governo della RSI di Mussolini.
Il primo marzo 1944 gli operai torinesi in sciopero a Torino sono quasi cinquantamila, e Milano e dintorni ha un'incidenza ancora maggiore. In entrambe le città gli scioperi sono spontanei, ma il partito comunista vi esercita comunque un ruolo notevole.
Scioperi si svolgono anche in Liguria, Emilia, Veneto.
Lo sciopero è prettamente economico e i comunisti cercano di spostarlo sul piano politico, non sempre ci riescono.
Del resto sebbene il sentimento antifascista fosse ormai diffusissimo nella classe operaia, e ancor più quello antitedesco, i lavoratori non sanno come combattere questi nemici. I partigiani non intervengono e questo impedisce la saldatura fra lotta di fabbrica e lotta armata. Molti operai sono però interessati solo alla dura vita di tutti i giorni, e non fanno gran caso alla propaganda comunista, che sembra loro lontana dai problemi reali che attanagliano la loro esistenza, anzi la loro grama sopravvivenza.
A volte lo sciopero dura soltanto qualche ora, a volta allo sciopero si risponde con la serrata. La repressione non tarda a mostrare il suo volto, sebbene sia selettiva non potendo permettersi di perdere migliaia di lavoratori essenziali in un momento così delicato dello scontro bellico. Ma le porte della Germania con i suoi campi di lavoro....sono sempre aperte.
Il colonnello britannico Stevens commenta : " E' possibile che gli scioperi nell'Italia occupata non abbiano assunto quelle proporzioni apocalittiche che appaiono in certe relazioni della stampa neutrale, ma è certo che gli scioperi dilagano non solo nei centri industriali del Settentrione, dove da mesi le agitazioni operaie si svolgono con carattere endemico ma anche nelle città minori del nord e del centro, paralizzando qui e là la vita cittadina e suscitando sanguinosi conflitti. Questo fenomeno senza precendenti è qualche cosa di più di un movimento di classe in quanto gli italiani di ogni categoria sono intimamente solidali con gli operai che scioperano, coi rivoltosi che si battono sulle barricate, colle innumerevoli vittime torturate a morte dalla Gestapo o fulminate dal plotone di esecuzione. Ed è qualche cosa di più di un movimento nazionale in quanto essi si intona alla guerra di resistenza che si combatte senza quartiere in ogni paese dove ha messo piedi il tedesco(...) La classe operaia italiana è stata trattata dai tedeschi con lo stesso cinismo dagli stessi mostrato nei confronti degli operai francesi, cecoslovacchi e belgi, danesi e polacchi...(..) ".


....continua....

Pieffebi
25-08-02, 15:01
Il marzo e l'aprile del 1944 sono mesi cruciali: l'incremento dell'attività dei partigiani sulle montagne dopo l'inverno, scioperi "di massa" nelle industrie italiane nel territorio della RSI controllato da fascisti e tedeschi, attentati dei Gap comunisti, come quello via Rasella a Roma, con le conseguenti rappresaglie naziste (eccidio delle Fosse Ardeatine, in cui cadono molti comunisti dissidenti e partigiani "badogliani", oltre che ebrei e antifascisti in genere) , il riconoscimento del governo Badoglio da parte dell'Unione Sovietica di Stalin che comunica agli americani la necessità di aprire in Italia un fronte unitario di lotta antifascista fra tutti i partiti italiani "democratici", il ritorno di Togliatti con la "svolta di Salerno" e il successivo dibattito nel partito, l'assassinio da parte degli stessi Gap comunisti del filosofo Giovanni Gentile.
Il 18 febbraio 1944 il maresciallo Graziani, comandante delle forze armate della RSI, aveva firmato il decreto che comminava la "pena di morte mediante fucilazione al petto" nei confronti dei renitenti alla lava che non si fossero presentati entro pochi giorni ai competenti distretti militari.
Verso la fine di aprile le forze inquadrate nell'esercito "repubblicano" sono stimate in circa 150.000 uomini. I disertori sono quasi 30.000 e in molti vanno a incrementare gli effettivi delle bande partigiane.
Dal punto di vista militare le cose non vanno bene per i tedeschi e i fascisti. Il 18 aprile 1944 un nuovo decreto è dedicato questa volta agli "sbandati", ai quali viene dato tempo fino al 26 maggio per presentarsi, dopo di che ....ancora una volta è sancita la pena di morte.
Alle misure legislative e ai bandi la repubblica fascista affianca la propaganda patriottarda e anche.....un certo tipo di reclame, come quando il grande giornalista Concetto Pettinato, su la Stampa del 25 maggio 1944, consiglia agli sbandati di ritornare "tra le lenzuola di bucato" dopo aver trascorso un inverno al freddo e all'addiaccio. Secondo il comando generele partigiano delle brigate d'assalto (controllate strettamente dai comunisti ) "Garibaldi" le forze antifasciste in campo, tra partigiani, gappisti, gruppi d'appoggio logistico, sono ormai vicine alle 100.000 unità, di cui un terzo (poco più di 33.000) in Piemonte.
Una stima di fonte repubblichina, qualche tempo dopo (giugno 1944) limita a 82.000 il numero dei partigiani, di cui 25.000 in Piemonte. Ma in fondo i dati sono abbastanza vicini, e forse anche in questo caso la verità....sta nel mezzo....
In tale contesto si situa il dibattito interno alla direzione del Partito Comunista Italiano sulla "svolta di Salerno" impressa da Palmiro Togliatti. Svolta che pare mettere sotto accusa soprattutto la linea oltranzista seguita dalla dirigenza comunista operante al nord, soprattutto a Milano, e quindi in primo luogo la linea "rivoluzionaria" di Mauro Scoccimarro, ma anche certi aspetti delle posizioni di Luigi Longo, che pur aveva anticipiato Il Migliore in alcuni punti nodali.
Il 3 aprile 1944 a Roma si riuniscono i dirigenti comunisti Scoccimarro, Negarville, Amendola e Novella. La discussione è piuttosto tesa e serrata. La "bomba Ercoli" esplodendo... ha sparso un bel po' di schegge, talune delle quali sono penetrate nelle carni dei capi comunisti che reagiscono cercando di ....interpretarla in modo da attenuarne la portata, considerandola una variante tattica tutto sommato "continuista" con la linea fino ad allora intrapresa. Questa è almeno l'opinione di Mauro Scoccimarro, che pone in relazione la svolta con i "mutamenti avvenuti negli ultimi tempi" ma che al contempo asserisce perentorio: "la nostra politica passata era giusta".
Novella nota invece come "vi è un contrasto profondo fra quanto dice Ercoli [Togliatti] e quanto dicevamo noi finora sulle funzioni della monarchia e di Badoglio" e considera che la linea seguita in particolare da Scoccimarro e dal "gruppo di Milano" fosse stata particolarmente settaria e sbagliata.
Scoccimarro insiste nel considerare il CLN ormai "in crisi e sulla strada di scomparire" e commenta che il fatto non costituisce in fondo "un gran male", tanto più che ormai vi è un riconoscimento internazionale, anche sovietico "della giunta di Bari".
La divaricazione fra "milanesi" e "romani", anche in questa fase appare piuttosto pronunciata.
L'analisi più obiettiva sembra essere quella proposta da Giorgio Amendola, che contrasta nell'impostazione la linea Scoccimarro:
" Ercoli appoggia la sua iniziativa sopra una valutazione del carattere della guerra antinazista, sul piano nazionale e internazionale, della funzione nazionale del partito, e del carattere, base ed estensione del Fronte nazionale nel periodo della guerra antinazista: ed è proprio su tutti questi problemi che il partito non ha avuto una direzione, sul piano ideologici e politico, ferma e giusta (..) Noi abbiamo centrato tutta l anostra politca sul fatto guerra, ma non abbiamo approfondito il carattere di questa guerra nazionale e non abbiamo saputo trarne tutte le necessarie conseguenze. Non abbiamo approfondito ideologicamente la questione nazionale nel modo come oggi si pone, nel quadro della guerra per l'indipendenza e la libertà contro il nazismo ."
Amendola e Novella invitano quindi Scoccimarro a mutare atteggiamento e a lasciare cadere le sue riserve sulla svolta o il suo tentativo di darne un'interpretazione che, nella sostanza, la vanifica.
Scoccimarro difende tuttavia le sue posizioni e ammette la gravità del dissenso, e dunque riparte per milano il 5 aprile con Negarville per riunire la direzione comunista del nord.
Amendola decide di informare Togliatti della resistenza incontrata da parte di Scoccimarro nell'accettare la correzione di linea. Ma il telegramma provoca nuove polemiche fra i dirigenti comunisti, soprattutto da parte di Secchia, Longo, Roasio, che rimproverano Amendola di aver denunciato l'opposizione di Scoccimarro a Togliatti in mancanza della possibilità di questo ultimo di replicare e avanzare le proprie argomentazioni.
Infatti Scoccimarro, praticamente isolato durante la riunione romana, non è più tale una volta ritornato in Milano, ove la dirigenza comunista, seppur senza giungere alla rigidità dottrinaria dello Scoccimarro stesso, difenderà la linea politica sino ad allora seguita. Longo che aveva già avuto dissensi con lo Scoccimarro nell'ottobre/novembre 1943 farà passare una posizione "intermedia" fra quella amendoliana e quella dello Scoccimarro stesso, tuttavia di sostanziale difesa della vecchia linea come non incompatibile con la necessaria svolta, che si impone ora in virtù di una situazione in evoluzione.
Per Longo " Il problema in discussione è di ordine tattico, non di principio: come realizzare nella determinazta situazione l'unione di lotta di tutte le forze antifasciste e antitedesche. Il problema aveva due aspetti: l'unione delle forze e la loro direzione. Noi abbiamo fatto cadere l'accento delle nostre preoccupazioni più sulla direzione che sull'unione. Ercoli ha sempre posto l'accento sull'unione di tutti gli italiani. Questa differenza noi non l'abbiamo sempre avvertita. Nelle nostre posizioni di partito noi abbiamo riconosciuto che si potesse collaborare nel campo militare anche con Badoglio, ma negato che si potesse collaborare anche nel campo politico, di governo. Abbiamo riconosciuto Badoglio come forza antitedesca ma non abbiamo tratto le conseguenze politiche e organizzative di un tale riconoscimento, cioè non abbiamo cercato il modo di assicurare per la lotta la collaborazione di questa forza con il CLN. ."
Detto questo Luigi Longo, che nel suo intervento non ha rinunciato a qualche sottile "frecciatina" allo Scoccimarro, attribuisce un ruolo ai Comitati di Liberazione Nazionali che è incompatibile con la sprezzante sufficienza con la quale Mauro Scoccimarro li aveva trattati nella sua relazione romana.
Ma Longo attacca soprattutto Amendola e i suoi:
" Non sono d'accordo con il modo in mi pare essi concepiscano il Fronte Nazionale. Essi sottovalutano, di fatto, e qualche volta negano addirittura, il problema della direzione interna del Fronte Nazionale, della funzione di motore e di avanguardia che deve avere il nostro partito, e la classe operaia e le forze di sinistra, nella realizzazione di un conseguente programma di Fronte Nazionale. Giorgio si scandalizza perchè a Milano si parla di partito comunista alla testa della classe operaia e questa alla testa delle forze popolari, e di queste alla testa del fronte nazionale. "
La prospettiva insurrezionele del gruppo comunista "milanese" appare tesa, nelle parole di Luigi Longo alla distruzione del fascismo: " nell'Italia occupata si deve porre il problema di un taglio netto tra l'apparato di governo fascista repubblicano e il nuovo ordine, l'ordine che verrà dall'insurrezione nazionale (...) Se tutto l'apparato fascista repubblicano deve essere sfasciato, liquidato, come io penso debba esserlo, come si dovrà supplire inizialmente alla mancanza di ogni apparato di governo? Con i CLN, trasformati in organismi di massa e di autogoverno, che già oggi agiscono come organismi di massa di direzione e di governo contro i tedeschi e i fascisti. "
Scoccimarro tutto sommato ne esce bene, le autocritiche dei milanesi sono limitate, le interpretazioni della svolta togliattiana che vengono elaborate sono abbastanza radicali e si distinguono in modo sufficientemente profondo da quelle dei "romani" raccolti intorno ad Amendola.
Il documento che esce dalla riunione dei dirigenti comunisti del nord, e che è inviato a Togliatti con l'approvazione della "svolta di Salerno", contiene autocritiche limitate : " è da respingere - è scritto - ogni interpretazione della politica attuale del partito come una sconfessione della linea politica fin qui seguita, come tacito rinoscimento della sua sostanziale erroneità, come l'affermazione di un conflitto ideologico e di principio. La direzione del partito non crede che tale sia il senso della iniziativa presa dal compagno Ercoli. Essa respinge anche ogni interpretazione che tenda a sottovalutare la funzione di guida e di motore che nel fronte nazionale, come in ogni altro fronte comune, spetta al partito e alla classe operaia. ". Dietro queste parole non è difficile scorgere anche una lotta...di potere fra le gerarchie degli stalinisti italiani.
A questo punto il conflitto fra "milanesi" e "romani" diventa anche apertamente ideologico. Contemporaneamente a queste discussioni della Direzione del PCI al nord, Amendola e Novella a Roma invieranno direttive ai "comitati federali del partito" in cui viene detto chiaramente che : " il PCI si batte con forza per la liquidazione totale del fascismo, ma esso non si pone l'obiettivo della costituzione immediata di un governo popolare e democratico. Questa formulazione del nostro obiettivo immediati sul piano della politica interna governativa implica la rivendicazione di una democrazia di tipo borghese ".
Apriti cielo! Luigi Longo, a nome dei comunisti del nord non può accettare questa formulazione, come tanto meno lo Scoccimarro. In una nota critica piuttosto pesante Luigi Longo muove rilievi dottrinali severi al documento "romano", sottolineando come in questi vi sia il tentativo di aprire un'inesistente alternativa assoluta "tra democrazia borghese e democrazia popolare".
Longo non difende tuttavia i dogmi del marxismo-leninismo classico, ma li articola in modo diverso, sviluppando l'idea del processo rivoluzionario in modo meno schematico dall'Amendola, aprendo uno spazio tra la lotta antifascista e il processo rivoluzionario, pur nell'ambito delle esigenze manifestate dalla svolta togliattiana: " La democrazia borghese - dice - arriva fino ad una democrazia di tipo popolare, acnhe a quella più accentuata, mentre esclude una democrazia proletaria (...) la contrapposizione della democrazia di tipo borghese alla democrazia popolare oltre ad essere arbitraria significa, nelle lettera dei compagni Giorgio e Giulio, contrapposizione fra la rivendicaizone pura e semplice della democrazia di tipo borghese prefascista e la rivendicazione di una democrazia borghese rinnovata. I compagni Girogno e Giulio si pronunciano per la prima rivendicazione? Io pernso che dobbiamo pronunciarci per la seconda ".
Per Longo insomma l'obiettivo immediato della guerra antifascista non può certo ancora essere direttamente la dittatura del prolatariato (democrazia proletaria), ma non può essere neppure la mera democrazia borghese tradizionale e conservatrice. In Longo l'idea di Togliatti, chiaramente enunciata a Salerno, è vista non erroneamente in di una democrazia "di tipo nuovo", ossia una democrazia rinnovata, larga, progressiva, con la quale si intende descrivere di certo, in senso stretto, una democrazia borghese " ma con un particolare orientamento verso le masse popolari" e "aperta a tutte le conquiste" . Per Longo come per Togliatti, che lascia volutamente fumosa la sua argomentazione, la democrazia non è un obiettivo in sè, è un terreno di scontro da conquistare e da spostare progressivamente in avanti, fino al limite della "democrazia proletaria", in attesa che si creino le condizioni giuste .
Ad Amendola si rimprovera di rimanere prigioniero dello schematismo "o democrazia borghese o democrazia proletaria", tipico dell'estrema sinistra, e di dargli una soluzione "di destra".
Complessivamente dall'ala "sinistra" di Scoccimarro, passando per quella di "centrosinistra" di Luigi Longo, al centro Togliattiano, alla destra di Amendola, tutti i comunisti italiani sono classicamente degli staliniani, nessuno di loro si distanzia significativamente dalla visione opportunistica del "marxismo-leninismo" e dalla sua tendenza alle svolte e controsvolte repentine, secondo il tipico procedere a zig-zag della politica del movimento comunista internazionale, impressa da Baffone.
Tutti sono consapevoli del legame strettissimo fra il "ruolo nazionale" del partito comunista nella "guerra antifascista" e quello internazionale con l'Unione Sovietica, che detta guerra conduce in alleanza con le potenze occidentali.
Sul suolo italiano, è chiaro a tutti, combattono contro i tedeschi ed i fascisti repubblicani non i sovietici, ma gli anglo-americani, ed è quindi probabile che nell'assetto del dopoguerra, che sarà poi formalizzato definitivamente a Yalta, il Bel Paese sia assegnato alla sfera di influenza occidentale. Si tratta di un dato di fatto difficilmente controvertibile, che deve incoraggiare maggiormente i comunisti a paraticare una linea di "unità" tanto con le forze democratiche interne che con "i liberatori" anglo-americani, cercando di anticipare con l'insurrezione generale il sopraggiungere delle loro truppe.
I comunisti, come ben ha presente Longo, non devono perdere di vista le loro mire egemoniche, ma come ben sa Togliatti, devono perseguire una politica attenta, cauta, in cui l'utilizzo della forza rivoluzionaria del partito sia ricondotto ai compiti politici attuali, che non vedono all'ordine del giorno, in ragione della situazione obiettiva, nazionale e internazionale, la lotta per il comunismo e la dittatura del proletariato. Dovrà essere eventualmente ancora una volta Mosca a dare....il contro-ordine!
I comunisti intransigenti dei vari gruppi e gruppuscoli fuori dal partito comunista ufficiale, parte dei quali ugualmente stalinisti, rifiuteranno come liquidatoria e rinunciataria questa parte della linea del PCI, e la denunceranno cercando di influenzarla da sinistra o di costituire ad essa una possibile alternativa.
I comunisti intransigenti "eretici", trotzkysti o bordighisti, si troveranno tagliati fuori e su linee del tutto inconciliabili con il togliattismo e lo stalinismo, fino a giungere a rifiutare, nel settarismo bordighiano, la stessa "guerra di resistenza" per contrapporvi immediatamente la linea internzionalista e disfattista protesa alla trasformazione della guerra imperialista fra nazioni in rivoluzione socialsita mondiale.
La reazione del PCI sarà durissima e tipicamente staliniana: denigrazione, calunnia, delazione, assassinio politico.

....continua ....

Pieffebi
01-09-02, 16:40
Nella primavera del 1944, in ragione dell'esistenza della Repubblica Sociale Italiana da un lato, della linea terroristica assunta dai Gap comunisti dall'altro, imperversava una durissima guerra civile fra italiani che si affiancava alla guerra fra le truppe di occupazione della Germania Nazionalsocialista, arroccate al centro-nord del paese e le truppe liberatrici anglo-americane, con le quali co-belligerava contro i nazisti il contingente di liberazione del Regno Italico .
Il 12 aprile 1944 il re Vittorio Emanuele III di Savoia si ritirava nominando Luogotenente del Regno il figlio Umberto, Principe del Piemonte, ed immediatamente dopo si costituiva, sempre presieduto dal Maresciallo Graziano Badoglio, un nuovo governo del regno d'Italia, detto dell'esarchia, per la presenza dei sei partiti antifascisti (democristiani, socialisti, azionisti, liberali, demolaburisti e...COMUNISTI).
Nelle sue memorie il generale nazista Kesserling ha scritto: " il movimento partigiano diventò per la prima volta molesto nell'aprile 1944 quando le bande cominciarono ad agire sull'Appennino" . A Roma si era già consumata la strage di via Rasella con il conseguente eccidio delle Ardeatine, e la "città aperta" attendeva i liberatori anglo-americani che presto sarebbero sbarcati ad Anzio.
L'aprile 1944 sanciva l'inizio degli ultimi dodici mesi di guerra sul suolo italiano e di guerra civile fra italiani con un assassinio politico particolarmente odioso, eseguito dai comunisti, nei confronti di un intellettuale di grande fama, di un anziano "fascista moderato" impegnato in un opera di pacificazione contraria alla strategia del PCI, che aveva aderito alla Repubblica Sociale per la politica di neutralità assunta dal ministro repubblichino Biggini nei confronti del mondo accademico, tanto da confermare al comunista Concetto Marchesi la carica di Rettore dell'Università di Padova. Marchesi e Biggini erano vicini di casa e vecchi amici, anche se ora si trovavano su fronti opposti.
Il 16 aprile 1944 un "gruppo di azione patriottica" comunista composto da Bruno Fanciullacci, Elio Chianesi, Antonio Ignesti, Luciano Suisola, Giuseppe Marancini assassinò il filosofo Giovanni Gentile.
Sembra che i comunisti fiorentini, autori del delitto, considerato da Paolo Spriano come risposta all'avvenuta fucilazione da parte dei fascisti di Firenze di cinque renitenti alla leva (esecuzione avvenuta in Campo di Marte), avessero discusso fra loro sulla necessità di uccidere un intellettuale fascista "rompi coglioni" per "dargli una lezione", secondo la logica, che diventerà famosa decenni dopo (ad opera degli ultra-comunisti brigatisti) del "colpiscine uno per educarne cento". In un primo tempo il gruppo comunista aveva pensato all'uccisione di Ardengo Soffici, che tuttavia fu ritenuto troppo "stupido", e pertanto non degno del rischio.
Si optò dunque, non senza contrasti, sembra su sollecitazione dei dirigenti romani del partito, per il nome di Giovanni Gentile, evocato qualche tempo prima dal grande intellettuale comunista Concetto Marchesi, che dopo aver, per ordine del partito, rinunciato alla cattedra di cui più sopra e rotti i rapporti con il ministro repubblichino Biggini, fu l'autore di un documento (pubblicato sul foglio comunista resistenziale "la nostra lotta"), probabilmente ritoccato da altri, contro gli appelli alla concordia degli intellettuali fascisti e del "Senatore Gentile", definiti con durezza quali "complici degli assassini fascisti e nazisti" e "manutengoli del tedesco invasore".

Il documento di Marchesi pronunciava un'espressa condanna a morte per Giovanni Gentile, non in ragione della sua particolare esasperazione ideologica fascista, ma piuttosto per la sua moderazione, per il suo tentativo, ovviamente ritenuto ipocrita, di evitare o quanto meno di molto attenuare, in extremis, una guerra civile fra italiani, all'interno del conflitto mondiale in corso.
Pare che alcuni comunisti fiorentini si fossero dichiarati contrari all'indicazione di Giovanni Gentile quale obiettivo dell'azione terroristica, anche in ragione del fatto che molti erano gli allievi del filosofo che militavano nella resistenza, soprattutto fra il partito d'azione, e che non avrebbero di certo approvato l'uccisione a sangue freddo del vecchio professore.
Scrivono Montanelli e Cervi in "Italia del Novecento": " I soli a sostenere la legittimità dell'impresa furono i comunisti. L'antifascismo liberale ne fu indignato, e Benedetto Croce espresse il suo cordoglio. Ma anche gli azionisti pur così duri e intransigenti, si dimostrarono perplessi. Alcuni, come Tristano Codignola apertamente dissenzienti ".
Quello che è certo è che Giovanni Gentile non aveva solo nemici fra i comunisti e gli antifascisti italiani, anche Radio Londra aveva tuonato contro l'accademico mettendolo alla gogna nelle sue trasmissioni di propaganda antifascista.
Sicuramente anche molti fascisti intransigenti aderenti alla Repubblica Sociale non vedevano di buon occhio le posizioni "conciliatorie" con l'antifascismo del filosofo. C'è stato infatti anche chi ha, per la verità senza portare alcuna prova seria, cercato di sollevare i comunisti dalla responsabilità del vile omicdio per attribuirlo ad una faida fra fascisti". Esattamente come era già avvenuto, mesi prima, per il federale del Fascio Repubblicano ferrarese Ghisellini, che un famoso e bel film del dopoguerra, con un magistrale Gino Cervi nella parte di un piccolo ras repubblichino della città, presunto regista del delitto e della feroce rappresaglia successiva, ricostruisce appunto come ucciso da fascisti estremisti della sua medesima città (oggi sappiamo con certezza che non fu così, e che furono proprio i gap comunisti in via di costituzione a compiere l'omicidio).
Del resto l'edizione fiorentina de "L'Unità" clandestina aveva, nell'immediatezza dell'attentato, rivendicato senz'altro l'assassinio di Giovanni Gentile con le seguenti parole:
" Il filosofo del fascismo Giovanni Gentile è stato abbattutto dalla giustizia popolare. Mentre la stampa prostuita al nemico nazista ipocritamente si commuove sulla sua 'nobile e pura' figura di 'educatore, gli intellettuali italiani, gli insegnanti e discepoli, ricordano invece con disprezzo l'opera di corruzione della vita culturale compiuta da quest'uomo che del fascismo fu servo e manutengolo per venti anni (...) L'Italia fu per lui quella dei retori, dei gerarchi in uniforme, del pubblico da cerimonia. La disonestà, le infamie quotidiane, l'oppressione degli onesti, l'offesa alla giustizia, l'immoralità seminata e coltivata lo ebbero tollerante ".
Commentando il delitto Gentile lo storico Sergio Bertelli scrive:
" Se conosciamo i nomi dei partecipanti materiali all'attentato, resta aperto l'interrogativo sui mandanti. Sappiamo pero due cose di certo: 1) l'ordine partì dall'ambiente comunista fiorentino; 2) quella decisione provocò una profonda spaccatura nell'unità delle forze antifasciste, proprio nel momento in cui quell'unità era maggiormente necessaria. Non possiamo dunque che qualificare di avventurismo quell'attentato, quali ne siano state le menti ispiratrici ".
Io credo invece, come in diecine di altri casi, compreso lo stesso attentato di via Rasella a Roma, che quello del possibile "isolamento" dal PCI nel sostenere questo genere di azioni, fosse un rischio calcolato. Il PCI perseguiva i suoi scopi, assumeva un ruolo egemonico crescente, e i dissensi dei partiti democratici nei confronti del suo terrorismo senza scrupoli restavano , tutto sommato, contenuti e meramente verbali, in quanto nessuno intendeva rompere il fronte antifascista o apparire....meno antifascista degli altri. I comunisti questo lo sapevano benissimo.
L'omicidio di Giovanni Gentile, a differenza di altri attentati gappisti, non ebbe come conseguenza diretta alcuna feroce rappresaglia fascista. Del resto la fascista e criminale "banda Carità" stava già compiendo ogni genere di efferatezze im Firenze, scandalizzando anche non pochi seguaci del Mussolini e della Repubblica Sociale. La ferocia della guerra civile stava dimostrando l'illusorietà delle posizioni "moderate" e conciliatrici di Giovanni Gentili e di altri "moderati" sostenitori della Repubblichetta di Mussolini vassalla di Hitler. I comunisti con il loro terrorismo lo avevano messo in particolare evidenza, e in fondo questo era anche uno degli scopi politici di questo genere di azioni.
Infatti il foglio democristiano "Il Popolo" nel prendere severamente le distanze dall'uccisione di Gentile, non dimenticherà di rimarcare che tuttavia i nemici della Patria non erano i suoi assassini ma pur sempre "coloro con i quali si era schierato il filosofo".

....continua.....

Pieffebi
29-09-02, 19:05
Fra il giugno e l'agosto del 1944 la lotta partigiana si intensifica e il Partito Comunista Italiano ritiene ora possibile lanciare l'offensiva finale contro fascisti e tedeschi, per anticipare la liberazione dell'Italia centrosettentrionale rispetto all'avanzata degli alleati anglo-americani, che il 4 giugno erano entrati vittoriosi in Roma.
Il 6giugno 1944, da Napoli, Palmiro Togliatti emana gli ordini insurrezionali per "le formazioni del Partito" tramite il "compagno Fanti", ossio il Barontini: " linea generale del partito nel momento presente:
1) insurrezione generale nazionale del popolo in tutte le regioni occupate, per la liberazione del paese e per lo schiacciamento degli invasori tedeschi e dei traditori fascisti.
2) il partito realizza questa linea sulla base dell'unità di tutte le forze popolari, antifasciste e nazionali . Con la convinzione e con l'esempio esso dirige e trascina all'insurrezione nazionale tutte queste forze, oggi organizzate nei comitati di liberazione.
L'insurrezione che noi vogliamo deve essere non di un partito o di una parte sola del fronte antifascista, ma di tutto il popolo, di tutta la nazione . I comitati di liberazione devono essere dunque organi di direzione politica del movimento. La stretta alleanza con i socialisti, il contatto stretto con i democratici di sinistra , con le masse cattoliche, con ufficiali e soldati patriottici, devono permettere ai comunisti di adempiere alla loro funzione di combattenti d'avanguardia nella preparazione della lotta e nella direzione di essa.
Noi vogliamo l'unità di tutto l'antifascismo e di tutta la nazione nella lotta contro l'invasore tedesco e contro i traditori fascisti perche' vediamo in questa unità la garanzia della nostra vittoria " - .
Secondo Kesserling nei tre mesi successivi alla caduta di Roma nelle mani dei liberatori, i partigiani avrebbero ucciso almeno 5.000 soldati tedeschi e ne avrebbero "fatti sparire" o feriti almeno 25/30 mila.
Ovviamente le reazioni germaniche e quelle dei fascisti sono state prevedibilmente .....durissime.
Mentre i "ribelli" liberano numerose vallate e nascono talune "repubbliche partigiane", la controffensiva nazista non si fa attendere.
A sostegno di fatto dell'insurrezione fra il 15 e il 20 giugno 1944 ecco scoppiare una nuova ondata di scioperi nelle aziende del nord, soprattutto a Torino (Mirafiori) ove vi è una rabbiosa reazione delle maestranze alle voci che vogliono i tedeschi approntarsi a trasportare gli insediamenti produttivi in Germania.
L'ala dura del partito, rappresentata da Pietro Secchia, si pronuncia con veemenza anche sulla stampa clandestina per la lotta finale contro il "nazi-fascismo".
Il Secchia il 10 giugno pubblica infatti un articolo su "La nostra lotta" dal titolo significativo: "Passare all'offensiva".
Soltanto il 5 luglio però la stampa dei comunisti milanesi fa riferimento diretto alla linea enunciata da Togliatti il 6 giugno, mentre nell'insieme, ricorda Paolo Spriano, le direttive comuniste lasciano emergere questi punti: " togliere dalla circolazione il maggior numero di fascisti e di tedeschi possibile, attaccare ovunque, intensificare le puntate offensive su caserme e depositi d'armi, i sabotaggi alle vie di comunicazione del nemico, puntare alla liberazione di larghe zone, preparando le grandi masse operaie e contadine ad essere pronte al momento dell'urto finale che si considera imminente."
Non mancano senz'altro interpretazioni rivoluzionarie di queste direttive, tanto più che la debolezza dei CLN in molte aree, anche "liberate", impone ai comunisti di puntare all'esercizio del "potere popolare", certo in accordo con gli altri partiti antifascisti, ma anche e soprattutto come espressione diretta "delle masse". Tuttavia il partito non si allontana dal realismo politico togliattiano, nonostante le tentazioni e nonostante il radicalismo politico della dirigenza comunista del nord Italia, ove uomini come Pietro Secchia....sono tutt'altro che rinunciatari a priori rispetto a prospettive politiche "più avanzate" nel processo insurrezionale, ma sono anche dei realisti pragmatici, da buoni staliniani.
Infatti sia Longo che Secchia sono disciplinati esecutori della linea del partito e delle volontà suprema dell'Unione Sovietica. Coerentemente nelle loro direttive criticano la sottovalutazione " che molti compagni danno delle altre forze politiche e l'eccessivo ottimismo sulla nostra influenza attuale e futura " e infine precisano ( ricordando delle larghe masse al seguito, ad esempio, del partito cattolico, nonostante la sua relativa debolezza nelle formazioni armate):
" Solo la partecipazione di tutto il popolo all'insurrezione renderà possibile la vittoria e questa partecipazione è la condizione indispensabile per il rinnovamento democratico del paese " e concludono il loro appello unitario per la guerra di liberazione dai tedeschi e dal nazi-fascismo sottolineando come : " la presa del potere prima dell'arrivo delle forze alleate è decisiva per l'indirizzo politico e lo sviluppo futuro del popolo italiano ". La via dell'egemonia "proletaria" nel processo di costruzione della "democrazia progressiva", in cui i comunisti svolgano un ruolo di primo piano non poteva fidarsi dei liberatori anglo-americani, ovviamente attestati socialmente e politicamente su posizioni incompatibili non solo con il comunismo ma anche con un assetto dell'Italia volto alla "nuova democrazia" e all'amicizia e cooperazione internazionale, non solo con l'occidente capitalistico ma anche con l'Unione Sovietica.
E' nell'estate del 1944 che la direzione comunista del Nord Italia, insomma, fedele alla propria versione della "svolta di Salerno" (che abbiamo trattato in post precedente), attua le direttive di Togliatti del 6 giugno, esaltando la funzione delle masse operaie e contadine e il ruolo egemonico del partito comunista, spingendo per la lotta verso una "democrazia popolare e progressiva" (Longo) che rappresenta qualche cosa di molto meno della dittatura rossa e proletaria e della rivoluzione comunista ma anche qualche cosa di molto di più della mera restaurazione di una democrazia borghese di tipo classico e liberale.
Tra le forze combattenti comuniste del nord, tuttavia, il mito di Stalin, del socialismo, della rivoluzione è tutt'altro che assopito, e i dirigenti comunisti devono saperlo "incanalare" sulla giusta linea, evitando tanto le devizioni di "destra", eccessivamente supine verso gli alleati, che quelle, assai più diffuse, "di sinistra", volte all'impazienza rivoluzionaria.
Bruno Gombi lamenta infatti, riguardo alla situazione Emiliana, che : " In generale è diffusa la mentalità che dopo la vittoria debba il nostro partito, e possa, fare la rivoluzione comunista per distruggere la borghesia. E' difficile fare capire la linea del partito perchè il modo di ragionare dei partigiani è semplicistico; essi pensano che con le armi in mano, giunti a Modena, non sia difficile imporre a chiunque la propria volontà. Ciò dimostra il grande distacco dei partigiani con il nostro partito e con la situazione reale esistente all'infuori della zona partigiana (lettera al comando delle Brigate Garibaldi del 14 luglio 1944).
L'insurrezione del 1944 non si realizzerà, si manifesterà soltanto come una grande offensiva di partigiani e gappisti (che si saldano in certi momenti con grandi scioperi nelle fabbriche del nord). La situazione militare generale, con la resistenza tedesca infine attestatasi sulla linea Gotica, e la controffensiva di fascisti e Wermacht per annientare i "territori liberati" dai partigiani e le loro piccole "repubbliche", posticiperà fino alla primavera successiva il suo pieno concretizzarsi.


continua....

Pieffebi
06-10-02, 18:20
continuazione....
Il fallimento della prospettiva insurrezionale dell'estate 1944 è parallelo al fallimento del primo tentativo di sfondamento della linea gotica da parte delle forze anglo-americane sul finire di agosto.
In quel contesto e nei mesi successivi gli avvenimenti si succedono in modo impetuoso.
Churchill è palesemente preoccupato per la possibilità che si estenda all'Italia "l'infezione greca", ossia la radicalizzazione del movimento di resistenza comunista, il suo separarsi dal resto del fronte antifascista e il suo lanciarsi in una prospettiva rivoluzionaria di tipo leninista.
La posizione del Partito Comunista Italiano, sotto la guida di Togliatti, è però abile e coerente con le direttive moscovite. Stalin non vuole certamente una nuova Grecia, avendo già abbandonato ...la prima al proprio destino.
Il 13 novembre il generale Alexander dalla radio "Italia Combatte" lancia il famoso proclama di "smobilitazione" (di fatto) invernale dei combattenti partigiani "al di là del Po".
Tra il Comitato di Liberazione Nazionale e i comandi alleati si ingaggiano serrate trattative che approderanno, nel dicembre 1944, durante gli incontri di Caserta e Roma, alla sigla di precisi accordi di collaborazione militare. Per Il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia i firmatari sono Alfredo Pizzoni, Ferruccio Parri, Edgardo Sogno e Giancarlo Pajetta . Alla resistenza gli alleati assegnano un contributo mensile di 160 milioni di lire. Gli accordi statuiscono che il Comando Generale del "Corpo Volontari della libertà" assuma la funzione di esecutore delle disposizioni del comandante in capo alleato , di cui è tenuto ad eseguire gli ordini. Il CVL riconosce "il governo militare alleato concedendogli ogni autorità e tutti i poteri di amministrazione precedentemente assunti".
Il 26 dicembre 1944 con una dichiarazione bipartita " il governo italiano riconosce il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia quale organo dei partiti antifascisti nel territorio occupato dal nemico. Il governo italiano delega il CLNAI a rappresentarlo nella lotta che i patrioti hanno impegnato contro i fascisti e i tedeschi nell'Italia non ancora liberata. Il CLNAI accetta di agire in tal senso come delegato del governo italiano il quale è riconosciuto dai governi alleati come successore del governo che firmò le condizioni di armistizio, ed è la sola autorità legittima in quella parte d'Italia che è già stata o sarà in seguito restituita al governo italiano dal governo militare alleato ".
Si tratta di fatto della fondazione di un supporto giuridico e politico di fondo, legittimatorio, delle azioni politiche, amministrative e militari dei Comitati di Liberazione del Nord.

La strategia politica generale comunista era stata intanto confermata da Togliatti fin dal 24 settembre 1944 a Napoli :
" La classe operaia, abbandonata la posizione unicametne di opposizione e di critica che tenne nel passato, intende oggi assumere essa stessa, accanto alle altre forze conseguentemente democratiche, una funzione dirigente nella lotta per la liberazione del paese e per la costruzione di un regime democratico. Partito nuovo è il partito che è capace di tradurre in atto questa nuova posizione della classe operaia , di tradurla attraverso la sua politica, attraverso la sua attività e quindi anche trasformando a questo scopo la sua organizzazione. In parti tempo, il partito nuovo che abbiamo in mente deve essere un partito nazionale italiano, cioè un partito che ponga e risolva il problema dell'emancipazione del lavoro nel quadro della nostra vita e libertà nazionale, facendo proprie tutte le tradizioni progressive della nazione ".
Lo stato d'animo e la linea politica degli antifascisti non di sinistra, segnatamente dei cattolici democratici sulla questione dei rapporti con i comunisti, nel quadro della lotta unitaria intrapresa, è invece ben rappresentato da queste parole di Alcide De Gaspari scritte a Don Sturzo nel novembre 1944. Nella lettera De Gaspari tratta dei due spettri che incombono sull'Italia del dopoguerra. Il primo ad essere trattato è quello della possibile "dittatura reazionaria", che si deve scongiurare con una "politica chiara e univoca di un governo democratico"..." L'altro aspetto - scrive De Gasperi - è la dittatura socialcomunista (..), uso questa fusione di parole, perchè, nonostante le speranze di alcuni nostri amici e il reale sentimento socialdemocratico di molti intellettuali socialisti, a mio parere è per lugno tempo escluso che i socialisti possano svincolarsi dalla soggezione comunista.
I comunisti hanno il mito e la forza della Russia, dispongno di un funzionarismo propoagandistico addestrato e ben pagato, di mezzi imponenti, di capi abili; ma, soprattutto, dominano i partigiani del Nord, che sono da 100 a 120 mila ; buona parte dei gregari provengono dall'esercito decomposto, molti sono nostri o liberali ; anche fra i capi abbondano gli ufficiali, ma i più preparati, i più organizzati sono i comunisti [/u] . Gli alleati temono qualche tentativo di putsch a Milano o Torino. E' più probabile che essi si impadroniscano degli incarichi più importanti, per poi fare pressione sul governo . Fin d'ora la tattica di penetrazione da loro seguita con tenacia e con frutto. Ho l'impressione che sperino di conquistare una dittatura di fatto attraverso le forme democratiche .
Stando così le cose non è facile bandire il secondo spettro. E' possibile solo dire che l'insurrezione armata è improbabile - data l'occupazione - e fare appello alle resistenze liberali e democratiche. Gran parte del paese è anticomunista, ma non è sulla base dell'anticomunismo che noi possiamo radunare le forze, altrimenti correremmo il rischio di confonderci con le correnti reazionarie ".
Si tratta di un'analisi lucida, tenuto conto che è formulata nel bel mezzo degli avvenimenti, e spiega molto bene il clima in cui si trovavano gli antifascisti non comunisti, e gli antifascisti anticomunisti in quella fase della guerra (e guerra civile).
Quando De Gasperi scrive a Sturzo, da pochi giorni il PCI aveva emanato una direttiva dal titolo: "[b] Rafforziamo i nuclei di partito in seno alle formazioni partigiane ". Manifeste erano a proposito le preoccupazioni Alleate, soprattutto inglesi, per lo strapotere di fatto della componente socialcomunista nelle bande partigiane del Nord Italia nell'approssimarsi della "resa dei conti".
In quel contesto si inserisce anche la questione del fronte orientale, ove la resitenza comunista italiana si trova a collaborare con i partigiani del corpo sloveno di liberazione, agli ordini del partito comunista jugoslavo di Tito. Dall'Unione Sovietica, attraverso l'ex segretario generale della formalmente disciolta Terza Internazionale, giungono a Togliatti disposizioni precise: lavorare affinchè Trieste e una buona parte delle terre vicine siano occupate dagli jugoslavi e quindi assegnate alla nuova entità statuale comunista slava in via di formazione. Nella sostanza il PCI si allinea, seppur riservandosi qualche margine di trattativa e di discusisone per il dopoguerra. Le direttive di Togliatti alle formazioni combattenti comuniste dell'Italia nord-orientale sono volte alla subordinazione delle brigate italiane, anzi al loro accorpamento, pur con una propria fisionomia nazionale, all'interno dell'armata slovena.
La linea generale del PCI tuttavia non cambia, Togliatti è fedele alle direttive di Stalin e opera per rafforzare l'egemonia del partito nelle istituzioni della resistenza, dell'esercito del sud, delle forze di polizia, del governo e del...sottogoverno, mantenendo però una strategia rigidamente unitaria con le altre forze antifasciste, ponendo la priorità sugli obiettivi di guerra (cacciata di tedeschi e fascisti, con sradicamento del fascismo e delle sue condizioni politiche e sociali) e rimandando evidentemente a tempi migliori la parola d'ordine della rivoluzione comunista e della dittatura rivoluzioanaria del proletariato. La lezione greca, se allarma gli alleati e gli antifascisti democratici italiani , conferma al PCI che Stalin fa e dice sul serio e che l'URSS non vuole per il momento dai comunisti italiani, che quello che ha chiesto e raccomandato a Togliatti.
La sconfitta militare dell'offensiva partigiana dell'estate lanciata dal PCI egemonizzando la direzione del CLNAI, rende i comunisti più deboli di quanto non sembrino. E oramai, come nota Gianni Oliva: " Il ruolo del movimento resistenziale nell'Italia settentrionale, dove si continua la lotta contro il fascismo di Salò e l'occupazione germanica, non trova riscontri adeguati nella situazione di Roma, dove le autorità alleate e partiti guardano ormai al dopo-liberazione e ai rapporti di forza su cui fondare i progetti della ricostruzione. ".
Ma questo induce i comunisti ad accelerare ancora il corso degli eventi, per evitare che dal dopoguerra esca vittorioso un assetto politico sociale decisamente sfavorevole, se non proprio volto al rischio di quella "dittatura reazionaria" avvertito dallo stesso De Gasperi.
Scongiurare una restaurazione conservatrice pare diventare un momento essenziale degli obiettivi immediati del Partito Comunista Italiana nella prospettiva dell'assetto politico post-bellico del paese.
I massimi dirigenti comiunisti sanno bene che la presenza delle forze di occupazione anglo-americana è e sarà decisiva, e che ciò non rappresenta esattamente la cosa migliore che loro possano augurarsi per perseguire non solo gli obiettivi rivoluzionari della loro ideologia, ma anche molti di quelli politici immediati della loro strategia e tattica.
Nota infatti Gianni Oliva : " Tutto questo ingenra negli ambienti resistenziali, e in particolare nelle forze comuniste, la convinzione che occorra far presto: ciò che sarà possibile realizzare, in termini di contropotere e di epurazione, è legato alla rapidità con cui il movimento partigiano sparà sfruttare il crollo tedesco, insorgendo e occupando le città prima dell'arrivo delle divisioni alleate. L'eliminazione dei criminali di guerra e delle spie, l'esautoramento dei dirigenti di fabbrica compromessi con gli occupanti tedeschi; l'allontanamento dalla pubblica amministrazione di quanti hanno sostenuto il regime fascista, un una parola le *purghe*, sono subordinate alla capacità di iniziativa autonoma del movimento resistenziale, alla sua conquista del controllo territoriale.
L'insurrezione assume così valenze complesse: sul piano storico, è la dimostrazione della forza politica e miltare dell'antifascismo; sul piano morale, è il completamento del processo di riscatto nazionale iniziato dopo l'otto setembre, sul piano dei rapporti di forza, è la condizione per cercare di controbilanciare i progetti di normalizzazione ".
La deliberazione del CLNAI del 17 gennaio 1945, firmata dagli stessi uomini che a dicembre hanno siglato l'accordo fra resistenza e Alleati, "[i] conferma il proprio orientamento generale, le proprie soluzioni pratiche e le proprie designazioni alle cariche pubbliche [volte alla ] instaurazione di una sana e solida democrazia ".
Anche i comunisti hanno le loro preoccupazioni, e respingono nella sostanza, seppur condividendone lo spirito, le proposte radicali del partito d'azione di dare più solide basi istituzionali al CLN, temendo che ciò si risolva in una contrapposizione istituzionale tra lo stesso CLN e il goveno centrale di Roma, come ricorda Giorgio Amendola:
" Con Tito a Trieste, un sistema che permettesse al PCI di avere una influenza crescente (...) rischiava di spezzare la gabbia della pariteticità (...). Non potevamo permetterci di rompere l'unità del CLN prima delle elezioni per la Costituente: se avessimo provocato subito la rottura dei CLN si rischiava di lasciar spazio alla monarchia e di favorire un intervento armato degli alleati, del tipo di quello già in corso in Grecia "
L'esempio della Grecia, in certi momenti un vero e proprio ....spauracchio, agisce in tutte le direzioni, ed è ben tenuto presente, come detto, dai vertici supremi del PCI togliattiano.
L'opposizione democristiana alla proposta del partito d'azione e alla stessa linea del PCI è assoluta da parte della Democrazia Cristiana e del Partito Liberale.
Intanto le teste calde nel PCI non sono affatto del tutto sotto il controllo dei dirigenti, e continuano le testimonianze, nei rapporti riservati dei dirigenti locali comunisti al Centro Nazionale del partito, di atteggiamenti radicali, estremisti, con vocazioni francamente rivoluzionarie.
L'opera pedagogica di Togliatti e dei suoi riesce però a mantenere la rete dei dirigenti grosso modo sotto l'ala del vertice nazioanle e, comunque, facendo leva sulla disciplina, riesce a controllare quasi sempre la situazione.
Del resto la vocazione rivoluzioanaria non è affatto revocata da Togliatti, è semplicemente subordinata al realismo politico e alle direttive sovietiche.Anzi è utilizzata per il raggiungimento degli obiettivi politici egemonici assegnati al partito all'interno della battaglia antifascista unitaria.
La parola d'ordine della "democrazia progressiva" non risulta troppo gradita a tutti i compagni, ed è interpretata alla base....come un momento transitorio. Ad esempio si veda come è intesa, in fondo in modo ideologicamente corretto, anche se strategicamente....non in linea.... nelle seguenti parole emerse da un militante del Comitato di zona genovese del PCI, nel resconto ufficiale di una riunione del gennaio 1945:
" Democrazia progressiva fino al giorno in cui il proletariato, sapendo di potersi autogovernare insaturerà la dittatura proletaria, unica vera arma efficace contro le manovre della borghesia .
Nel febbraio 1945 i rifornimenti di armi alla Resistenza del Nord da parte degli Alleati si intensificano.
Ma le direttive dei Servizi segreti inglesi sono inequivoche, e chiari sono gli intenti politici di controllo del movimento partigiano affichè operi in un certo modo, facendo avere più....vestiario e generi di conforto che non armi e munizioni. Ecco cosa dicono i servizi di sua Maestà:
" 1)Scoraggiare una indiscriminata espansione dei reparti armati; 2) incoraggiare atti organici di sabotaggio, complementari ad operazioni previste ed a operazioni di contro-sabotaggio; 3) incrementare i rifornimenti di materiale non bellico per sostenere il morale dei partigiani " [citato da Romano Battaglia in STORIA DELLA RESISTENZA ITALIANA - pag. 562 ].
Le bande partigiane e gappiste comuniste tuttavia non si lasciano certamente imbrigliare più di tanto. In Emilia Romagna, ma non solo, l'egemonia che essi hanno sul movimento partigiano è ormai grandissima e gli antifascisti democratici sono in molti luoghi sulla difensiva. La Democrazia Cristiana di Modena, Reggio e Parma, ad esempio, stila un documento comune in data 24 febbraio 1945 (scritto, sembra, dal cattolico di sinistra Dossetti) in cui si denuncia a chiare lettere il comportamento spesso criminoso di molte bande comuniste:
" Si sono moltiplicate negli ultimi tempi le cossiddette azioni di giustizia, contro singoli o anche contro intere famiglie (...) Molte, troppe delle eliminazioni compiute negli ultimi tempi non sono ne' lecite, ne' necessarie, ne' opportune, ne' infine conformi ad un regolare svolgimento dell'azione comune nei vari Comitati di Liberazione ". E il Dossetti, a nome del partito, non evita di prendere fermamente le distanze da fenomeni che non esita a definire criminali.
E' da notare che l'egemonia comunista in queste zone, e la condotta criminosa e inumana di molte bande partigiane rosse, che proseguirà ben oltre la fine della guerra di liberazione, per mesi e a volte...per anni, si dispiega mentre sono formalmente attribuite ad antifascisti cattolici le più importanti cariche all'inteno dei Comitati di Liberazione Nazionale emiliani, e degli altri organismi antifascisti regionali.
In questo contesto, si aggiunga, che alcuni comandanti partigiani comunisti si riferiscono ormai apertamente ai resistenti democratici degli altri partiti, e segnatamente a quelli cristiano-democratici, definendoli sprezzantemente " poveri rottami ".
E' a questo punto che i partigiani democratici cristiani della montagna (di questa regione d'Italia ) si impegnano a costituire un nuovo raggruppamento spontaneo, autonomo da quello egemonizzato dai comunisti, a cui danno il nome di "Brigate d'Italia" , che rappresentò di fatto una delle prime strutture armate anticomuniste di stampo democratico e antifascista, ritenuta da Giorgio Pisanò " a tutti gli effetti un'anticipazione di quella Gladio che sarebbe poi stata istituzionalizzata in modo riservato, con la supervisione della CIA, in clima di guerra fredda, ma con il medesimo scopo ". Pisanò dimentica forse, nell'occasione, la "Franchi" di Edgardo Sogno, che lui cita però diffusamente altre volte.
Questa iniziativa "autonoma" democristiana rientra senz'altro, però, tra quelle necessità di rafforzare e allertare i partigiani cattolici e liberali, denunciate da De Gasperi nella succitata lettera a Sturzo, e per quanto sorta in un contesto ben diverso da Gladio, stante ancora la necessità di sconfiggere nazisti e fascisti, la dice lunga sulle frizioni e reciproche ( e non infondate ) diffidenze... esistenti frai i partiti antifascisti nella preparazione dell'ultimo atto della guerra civile di liberazione.
All'interno dello schieramento antifascista, tanto a livello internazionale che a livello nazionale, le diverse forze che si accingono alla vittoria, si preparano al dopoguerra, ben coscienti delle reciproche e spesso abissali differrenze, tanto di interessi, che di prospettive politiche e strategiche di medio-lungo periodo, oltre che di ideologia, cultura e mentalità.
Il Partito Comunista Italiano, subordinato all'Unione Sovietica, ai suoi interessi di Potenza, prima ancora che alla sua ideologia marxista-leninista-stalinista, agisce sul teatro nazionale di conseguenza, adeguandosi tatticamente alla situazione e non perdendo mai di vista la questione dei rapporti di forza, tanto locali che mondiali, determinato a giuocare comunque, nel dopoguerra, un ruolo di primo piano coerente con il mandato sovietico e con la progressiva avanzata "democratica" in territorio avversario.... in attesa attiva che le condizioni internazionali creino la possibilità di una svolta (o ...contro-svolta), o comunque di un progressivo ulteriore spostamento degli equilibri politici italiani verso la condizione migliore per la propria parte politica e gli interessi dell'URSS.

continua......

Pieffebi
19-10-02, 18:35
Il 7 aprile 1945 si tiene a Roma, ormai liberata da quasi un anno, il secondo Consiglio Nazionale del Partito Comunista Italiano. Il discorso di apertura della riunione, in cui sono rappresentate 50 federazioni del partito dell'Italia liberata, è tenuto dal grande latinista staliniano Concetto Marchesi, che allude alla fase finale della guerra al nord che ormai è sentita da tutti come imminente.
Intanto Palmiro Togliatti, ancora nel novembre 1944, aveva fatto pervenire le sue direttive politiche generali ai compagni del nord, segnatamente a Luigi Longo:
" Devi reagire seriamente nel Partito ad ogni tendenza che ancora esistesse a considerare la nostra politica di unità come un gioco (...). Accentuare il carattere unitario della nostra azione, tanto sul terreno politico che su quello militare. Non tollerare nessun urto con i socialisti. Migliorare i rapporti con il Partito d'Azione. ".
Il 10 dicembre 1944 il nuovo gabinetto Bonomi vede rappresentati solo 4 dei sei partiti antifascisti della famosa "esarchia" : democristiani, comunisti, demolaburisti, liberali. Il ministero degli Esteri è assunto da Alcide De Gasperi, mentre Palmiro Togliatti è uno dei vicepresidenti del Consiglio e Mauro Scoccimarro è mininstro per "L'Italia occupata".
I Socialisti e gli Azionisti non partecipano al governo in quanto sono in forte polemica contro l'offensiva moderata e contro la campagna contro "i partiti estremi" lanciata dal Partito Liberale. Inoltre, sollevano questi partiti, ancora , il problema dei "poteri del Luogotenente" e quindi, in sostanza, della monarchia. Ancora una volta la linea di Togliatti è tatticamente molto più duttile e intelligente di quella di Nenni e dei socialisti, egli non intende affatto rinunciare ad essere presente nel governo. Non vuole che tutta la sinistra si trovi schierata all'Opposizione del governo legittimo per evitare una rottura prematura del fronte antifascista, che potrebbe realisticamente avere riflessi indesiderati sulla stessa unità dell'esercito, e ancor peggio, sul movimento di liberazione del nord, ove in certe aree la presenza di formazioni cattoliche, liberali e comunque non socialcomuniste non è affatto irrilevante. La posizione di Togliatti tiene in costante considerazione il contesto internazionale, in cui l'Unione Sovietica sta per portare a compimento il suo attacco finale alla Germania, mentre da ovest gli alleati anglo-americani procedono con grande celerità, superato l'ostacolo delle Ardenne, verso il cuore del Reich. E Togliatti tiene anche in costante considerazione la situazione nazionale, ove le forze anglo-americane si apprestano a sfondare la linea gotica per riversarsi nella pianura Padana.
La strategia comunista è allora, nella visione di Togliatti, saldamente ancorata alla "svolta" di Salerno e alla visione generale che pone al primo posto la lotta contro il "nazifascismo" e il processo di costruzione conseguente di una "democrazia progressiva", piuttosto che una prematura rivoluzione comunista, che metterebbe, al momento, in grave imbarazzo la direzione sovietica, anticipando oltre il necessario e l'auspicabile l'esplosione delle contraddizioni pur esistenti con gli alleati occidentali.
Nel frattempo la situazione sociale del Centro-Sud libero è molto grave, e i comunisti lamentano con forza l'estrema lentezza e parzialità del processo di epurazione, come anche del processo verso le necessarie rifome sociali, i cui abbozzi, sono ostacolati ad avviso del PCI da una salda alleanza costituita dagli Alleati e dalle vecchie classi dirigenti.
La questione meridionale, la questione sicialiana in particolare, inziano a pesare nella politica del Regno del Sud, così come problemi alle stesse indissoluilmente legati, come la riforma agraria.
L'indirizzo di Togliatti per la Sicilia ( e la Sardegna) è annunciato fin dal settembre 1944, quando con un articolo sull'Unità il leader comunista aveva auspicato apertamente una soluzione "autonomistica" capace di evitare il "separatismo reazionario" riconoscendo però al contempo i problemi specifici del territorio.
La questione sicialiana è affrontata da Togliatti con le parole d'ordine di "una Sicilia libera in un'Italia democratica" e della "riforma agraria".
Riforma che è abbozzata con i primi decreti del ministro dell'agricoltura Gullo, con il quale si intendono colpire soprattutto i grandi latifondi.
L'attenzione principale del PCI è però al momento rivolta ancora ovviamente al Nord, ove il partito ha l'egemonia politica e militare sul movimento partigiano, e dove si rende ormai necessario reiterare il tentativo insurrezionale, fallito nell'estate del 1944, giacchè pare sempre più evidente a tutti che l'ultima ora del "nazifascismo" sta fatalmente per scoccare.
Eppure al nord per l'antifascismo non tutto va propriamente per il meglio, i contrasti fra le autorità militari e quelle politiche della resistenza portano alle dimissioni del comandante del Corpo Volontari della Libertà, il Generale Cadorna, che ha ovviamente una concezione della guerra da condurre.... piuttosto differente da quella delle forze politiche e soprattuto dei socialcomunisti, verso i quali vede accrescere la propria diffidenza. Il Cadorna appoggia in modo sempre più evidente le formazioni liberali.
I principali piani insurrezionali vengono formulati dal CLNAI a partire dal febbraio 1945, ma le direttive insurrezionali del Partito Comunista Italiano sono formulate, in via definitiva, solo il 3 (istruzioni politiche) e 10 aprile 1945.
Il documento del 10 colloca la necessaria insurrezione nel contesto del momento:
" L'esercito tedesco è in rotta disordinata su tutti i fronti. Nuovi grandi avvenimenti militari si stanno scatenando che accelereranno il crollo definitivo del nazisfascismo, l'offensiva sovietica sull'Oder e l'offensiva anglo-americana in Italia saranno gli atti finali della battaglia vittoriosa (...) Anche noi dobbiamo scatenare l'assalto definitivo. Non si tratta più solo di intensificare la guerriglia, ma di predisporre e scatenare vere e proprie azioni insurrezionali (...) iniziare gli attacchi in forze ai presidi nazifascisti e spingere a fondo la liberazione di paesi, vallate e intere regioni (...) iniziare operazioni più ampie nelle città per la liquidazione di posto di blocco, di sedi fasciste e tedesche, di commissariati di polizia ecc. (...) iniziare lo sciopero di massa insurrezionale (...) esso non deve essere concepito come uno scoppio improvviso di ira popolare, ma come una progressiva accelerata di movimenti popolari, di fermate, di manifestazioni e di scioperi ". Ad avviso del Partito Comunista è necessario " che tutto il popolo italiano debba già considerarsi in fase insurrezionale ", mentre nei confronti del nemico si rende indispensabile operare un'azione disgregatrice:
" Questo lavoro deve essere fatto e intensificato sempre più a misura dello sviluppo dell'azione insurrezionale. Si tratta di offrire una via di scampo e colpire duramente chi intende resistere. Nell'agitazione e nell'azione devoo risultare sempre bene evidenti i due termini del dilemma: Arrendersi o Perire ".
I comunisti si indirizzano inoltre contro l'attesismo che altre forze della resistenza potrebbero continuare ad oppore, come tattica, a quella insurrezionale. In tal caso l'indirizzo del PCI è categorico:
" Per nessuna ragione il nostro partito e i compagni che lo rappresentano in qualsiasi organismo militare o di massa, devono accettare proposte, consigli, piani tendenti a limitare, a evitare, a impedire l'insurrezione nazionale di tutto il popolo " fermo restando che " se nonostante tutti i nostri sforzi non riuscissimo (...) a dissuadere i nostri amici e alleati, non dobbiamo anche fare da soli, cecando di trascinare al nostro seguito quante più forze possibili ed agendo sempre, però, in nome dei CLN e sul piano politico del'unione di tutte le forze popolari e nazionali pe la cacciata dei tedeschi e dei fascisti e mettendo bene in chiaro che con la nostra attività non ci proponiamo affatto degli scopi e degli obiettivi di parte ".
Mentre gli Allaeti avevano piani ben precisi per la Resistenza, tendendo a indirizzare le formazioni armate partigiane, nel momento decisivo dell'offensiva, pressochè esclusivamente alla difesa e al presidio dei grandi complessi industriali e produttivi e dei porti, le forze del CLN e i comunisti in particolare, pur condividendo questo obiettivo, avevano l'ambizione di riuscire a liberare gran parte della pianura padana e delle valli alpine, con le principali città del Nord, prima dell'arrivo delle truppe anglo-americane, foss'anche poche ore prima. Questo avrebbe permesso ai partigiani di iniziare le operazioni di "resa dei conti" nei confronti dei fascisti, e di costituire forme autonome di governo delle città e delle province, mettendo gli Alleati innanzi al fatto compiuto.
Inoltre era in giuoco il prestigio stesso dell'antifascismo italiano e, all'interno del medesimo, i comunisti miravano a rafforzare il ruolo egemonico, in vista della politica dell'Italia del dopoguerra, e di possibili nuove tappe.....da combattere.
La circolare comunista del 3 aprile fornisce istruzioni dettagliate sul come le città liberate dalla resistenza dovranno accogliere l'arrivo delle truppe alleate:
" Al loro arrivo noi dovremo accogliere le truppe alleate con manifestazioni di giubilo. Dovremo organizzare dimostrazioni di popolo ed esporre alle finestre le bandire degli alleati, le bandiere americana, ingelse e dell'Unione Sovietica, assieme naturalmente alla bandiera nazionale italiana, il tricolore. Non si tratta di manifestazione di servilismo, ma di un meritato riconoscimento dei sacrifici di sangue fatti dai nostri Alleati per liberarci dall'oppressione e dalla ferocia nazifascista.
Noi potremo acuistare rispetto e considerazione presso gli alleati non con salmelecchi ed atti di servilismo, ma dimostrando coi fatti di essere in grado di governarci da noi, dimostrando coi fatti di sapere ricostruire ed amministrare il Paese, dimostrando coi fatti di essere animati dalla più forte volontà di portare il più largo contributo nella lotta per la distruzione del nazifascimo "

Come nell'estate del 1944 anche nell'aprile del 1945 in ogni città del nord si costituiscono i "triumvirati" del Comitato di Liberazione Nazionale, ormai la Repubblica Sociale Italiana e l'occupazione tedesca del Nord hanno i giorni contati. Si appresta la RESA DEI CONTI, la "giustizia partigiana" sommaria, Dongo, "Piazzale Loreto", gli eccidi di fascisti o di ritenuti tali.
La direttiva numero 16 del Partito Comunista assegna a GAP e SAP un ruolo al quale le formazioni sono già state allenate nella fase di consapevole incrudelimento della guerra civile voluto dai comunisti:
" attaccare e abbattere senza pietà quanti più gerarchi fascisti si possono raggiungere, quanti agenti e collaboratori dei nazifascisti, che continuano a tradire la Patria (questori, commissari, alti funzionari dello Stato e dei comuni, industriali e dirigenti tecnici della produzione asserviti ai tedeschi (...) Otterremo dei casi di resa effettiva quanto più batteremo forte (...) ".
Ma non sono solo i social-comunisti a volere e ad attuare queste direttive, che sono presto imitate da quelle dei proclami del CLNAI. Anche combattenti di Giustizia e Libertà, i gruppi autonomi ed i partigiani cattolici sono su questa linea, sebbene forse mediamente meno determinati, e senz'altro meno carichi di odio ideologico e di classe dei loro compagni "garibaldini" e "gappisti".

continua.....:)

Pieffebi
27-10-02, 21:18
Con la sconfitta del fascismo saloino, e la resa (o fuga) dei tedeschi dell'esercito hitleriano, non finisce automaticamente la guerra civile italiana. La resa dei conti, che si concretizza nella sommaria "giustizia partigiana", procederà ancora per diverso tempo con episodi tra la lotta antifascista e la lotta di classe , caratterizzati da durezza e finanche spietatezza.
Ammette l'Oliva che " le eliminazioni sommarie di fine aprile-inizio maggio non sono, di per sè, un segnale di debolezza delle nuove autorità resistenziali, ne' il frutto di un esplodere incontrollato di rabbia popolare, ma un'epurazione voluta, e in larga misura gestita, dal movimento partigiano ".
Secondo Carlo Simiani, i "giustiziati" nel nord Italia sarebbero stati intorno ai 40.000. Giorgio Pisanò nel 1966 parlava di 34.500 vittime, di cui oltre 10.000 in Emilia Romagna. Secondo Paul Serant (che ha studiato il "collaborazionismo fascista" di tutta Europa e i suoi "giustiziati), in Italia il numero delle vittime si aggirerebbe intorno alle 46.000 anime. Da questi numeri si devono intendere esclusi gli infoibati e i trucidati dall'armata di liberazione jugoslava, con il concorso dei resistenti comunisti italiani, sul confine orientale.
Giorgio Bocca, ex giornalista fascista filo-hitleriano de "La Provincia Granda" cuneese, divenuto poi combattente partigiano azionista, ha parlato invece, di un numero di morti fascisti fra i 12.000 e i 15.000, che è effettivamente ridicolo, anche se non tanto come i dati ufficiali del ministero dell'interno, comunicati da Scelba nel 1952 che contabilizzavano le vittime in 1.732.
Del resto la propaganda neo-fascista che è giunta fino ad affermare che nei giorni della "resa dei conti" ci furono fino a 300.000 assassinati politici nel Nord, non è meno assurda.

Il Partito Comunista Italiano dopo il 25 aprile 1945... è forte come non mai e occupa posti chiave nelle amministrazioni del CLN, egemonizza la gran parte del movimento partigiano, dispone di migliaia di uomini armati e determinati, è presente al massimo livello, con propri ministri, nel governo nazionale di Roma, è riconosciuto e temuto dagli Alleati anglo-americani, è legato a doppio filo con l'Unione Sovietica di Stalin che sta assediando il bunker di Adolf Hitler a Berlino.
Il passaggio dalla "rivoluzione nazionale antifascista" alla rivoluzione socialista è senza dubbio voluto da gran parte della base del partito, sognato senz'altro dalla sua dirigenza, auspicato dallo stesso Palmiro Togliatti.
Giancarlo Lehner cita una testimonianza di Nikita Crushov secondo la quale, in questa situazione, Togliatti " era pronto a dare inizio all'insurrezione armata, che sarebbe divenuta forse una realtà se non fossero state presenti nel paese le truppe americane. Stalin scoraggiò Togliatti. Lo avvertì che l'insurrezione sarebbe stata repressa dai soldati americani in Italia ", e implicitamente che, ancora una volta, L'Unione Sovietica non avrebbe mosso un dito, come in Grecia.
L'Urss confermò nella sostanza a Togliatti e ai compagni italiani, la linea alla base della "svolta di Salerno", sconfitto il "nazi-fascismo" i sovietici non ebbero nessuna intenzione di scontrarsi immediatamente contro gli anglo-americani.
La preoccupazione principale dei sovietici, in questa fase, riguardo la situazione italiana, sarebbe diventata la questione di Trieste, per la quale su pressione di Tito i russi optarono per la cessione della città alla Jugoslavia, impartendo direttive a Togliatti e a Di Vittorio (questo ultimo durante un viaggio in URSS).

L'Urss aveva pagato alla "grande guerra patriottica" un prezzo durissimo, non aveva la forza, non disponeva delle energie economiche, politiche, militari e morali per affrontare subito "gli imperialisti democratici" dopo avere annientato, con il concorso decisivo di questi "gli imperialisti fascisti".
Dopo Yalta l'Unione Sovietica aveva ottenuto, ufficialmente, la propria "sfera d'influenza", alla quale non apparteneva l'Italia. E anche nell'Europa orientale il processo di edificazione dei regimi dittatoriali comunisti sarà piuttosto prudente e graduale e passerà attreverso processi di transizione più o meno lunghi, sotto la sorveglianza delle truppe di occupazione dell'Armata Rossa di Stalin, che da liberatrici si tramuteranno repentinamente nel loro opposto.

Siamo dunque alla fine della seconda guerra mondiale, il PCI è fra le forze vincitrici pur nel momento della sconfitta ufficiale e definitiva dell'Italia, e ha un suo programma concordato con Mosca.
Togliatti sa perfettamente che Stalin ha ragione nel delineare la strategia comunista per i paesi dell'europa occidentale, usa il "piccolo padre dei lavoratori" argomenti che sono in sintonia con la sua stessa concezione della politica rivoluzionaria, che sono agli antipodi dell'infantilismo estremista del "tutto e subito, costi quello che costi". La guerra di movimento è per il momento impossibile, dunque Togliatti usa la gramsciana "guerra di posizione", per la quale ha attrezzato il partito dal suo ritorno dall'Urss. Detta guerra di posizione, liquidato il fascismo anche al nord, entra ora nella sua fase cruciale.
I partigiani comunisti non riconsegnano le armi (se non parzialmente e quelle... inefficienti), e semmai le nascondono. L'idea dell'insurrezione rivoluzionaria non è affatto archiviata, è rinviata a "data da definirsi". Si ha così, attorno al movimento partigiano rosso, la nascita di un apparato militare clandestino del Partito Comunista Italiano, con caratteristiche tali da poter entrare rapidamente in azione all'occorrenza. Azione prevista sia per rispondere a un agognato ordine insurrezionale, che per appoggiare un eventuale intervento militare sovietico-jugoslavao in Italia (addavenì Baffone), nel contesto di uno scontro armato fra capitalismo e comunismo mondiali, ma anche...per resistere ad un'eventuale involuzione reazionaria della politica interna italiana che ponga il PCI fuori dall'ordine legale.
Ma torneremo un'altra volta sulla questione.

La storiografia marxista (e codista) ha per decenni divulgato la tesi di una sostanziale autonomia delle decisioni Togliattiane sulla nuova strategia del PCI.
La linea della "svolta di Salerno", della "via nazionale", della "democrazia progressiva", del "partito nuovo" sarebbero state decise dal capo del comunismo italiano senza alcuna direttiva o concreta pressione sovietica, e anzi sarebbero la prova della volontà del "migliore" di promuovere una graduale evoluzione del partito nel senso di una sostanziale presa di distanze dal modello staliniano, pur nella convinzione che l'URSS rappresentasse una forza essenziale per il futuro del socialismo e della pace in tutto il mondo. Anzi ci si è spinti ad affermare che semmai fosse stato il Togliatti a convincere Stalin della necessità di detta "tattica".
Questa interpretazione è priva di fondamento. Oggi si hanno anche delle prove schiaccianti, documentali, anche se gli storici seri, non ideologizzati, non ne hanno mai avuto davvero bisogno per ricostruire con sufficiente esattezza, dal punto di vista politico e ideologico, la natura delle relazioni fra il PCI e Mosca. Desumibili dall'insieme dei fatti con grande precisione.

La linea staliniana è senza dubbio, se paragonata astrattamente all'ortodossia bolscevica di Lenin e Trotzky del periodo che va dal 1917 al 1924, una deviazione ideologica e politica evidente, tuttavia è con lo stalinismo che il "marxismo-leninismo" si consolida come formazione ideologica del movimento comunista internazionale, parallelamente al processo di "costruzione del socialismo" nella sola Unione Sovietica "assediata". Nel 1945, come sempre, Stalin subordina l'ideologia e i suoi dogmi, in apparenza granitici, agli interessi contingenti dell'Unione Sovietica. Il suo costante zig-zagare fra l'estremismo di sinistra più settario e le aperture "a destra" più sorprendenti non viene smentito mai, in tutta la sua vita di massimo dirigente del partito russo e del movimento mondiale.

Un esempio tra i tanti possibili sulla politica di Baffone è narrato dal diario di un esponente di primo piano del comunismo internazionale: Il 28 gennaio 1945 (domenica) Stalin aveva invitato nella sua dacia svariati....compagni, russi e stranieri, e tra un brindisi e l'altro, si era avventurato nel descrivere la sua attuale concezione politica globale, così sintetizzata dall'ex capo della, formalmente disciolta, Terza Internazionale Comunista, il bulgaro Dimitrov:
" La crisi del capitalismo si è espressa nella divisione dei capitalisti in due frazioni: una fascista, l'altra democratica. Si è creata un'alleanza tra noi e la corrente democratica dei capitalisti, perchè questa ultima era interessata a non consentire il dominio di Hitler, perchè questo dominio brutale avrebbe portato la classe operaia all'estremo e la rovesciamento stesso del capitalismo. Noi adesso stiamo con una frazione contro l'altra, ma nel futuro staremo anche contro questa frazione dei capitalisti. Forse noi facciamo un errore quando pensiamo che la forma sovietica sia l'unica che porta al socialismo. Risulta nei fatti che la forma sovietica è la migliore, ma non è assolutamente l'unica. Ci possono essere altre forme: la repubblica democratica e, in determinate condizioni, anche la monarchia costituzionale .. ".
Non sembra proprio che Togliatti abbia inventato nulla, ancora nel 1956 nella famosa intervista a "Nuovi Argomenti" a seguito delle rivelazioni sul rapporto segreto del XX congresso del PCUS, sul "culto della personalità e le violazioni della legalità socialista" in epoca staliniana, Togliatti ripeterà nella sostanza questi identici concetti, usciti dalla mente del tiranno sovietico molti anni prima, e che costituiscono in gran parte, addirittura, una ripresa della linea risalente agli anni trenta, quando la dirigenza sovietica promuoverà "la svolta" dei Fronti Popolari, affidandola proprio, in quanto massimai dirigenti dell'Internazionale Comunista, a Dimitrov e Togliatti (VII congresso del Comintern).
La famosa doppiezza togliattiana è la doppiezza di un partito stalinista costretto ad una guerra di posizione, che si rivelerà assai più lunga dell'auspicato, e infine.....impossibile, in una zona del mondo egemonizzata "dall'imperialismo capitalistico" nella sua forma democratica. E' tuttavia una doppiezza che esclude qualsiasi concreta e reale autonomia dalla Casa Madre sovietica, dalla quale dipende da tutti i punti di vista, ideologicamente, politicamente, strategicamente, emotivamente, finanziariamente .
Il mito dell'Urss, con la vittoria di Stalin nella seconda guerra mondiale, e comunque dopo Stalingrado, è diffuso in tutta la sinistra internazionale, non solo fra i comunisti. Alla diffusione di questo mito il PCI parteciperà con convinzione, determinazione, sprezzo della verità storica e politica, assoluta mancanza di scrupoli morali.
Ricorda Nello Agosti che nel 1945-47 i comunisti facevano parte del governo in un numero elevato di Stati europei: Jugoslavia e Albania ove si trovavano già da soli, Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria ove facevano parte dei "fronti patriottici" unitari, Francia, Italia, Belgio, Lussemburgo, Austria, Danimarca, Islanda, Norvegia, Finlandia, ove erano parte di governi di coalizione secondo la formula "dell'unità antifascista". Per l'Unione Sovietica questa era davvero una situazione ideale: nella sfera di influenza orientale le forze democratiche erano subordinate ai comunisti, e presto sarebbero state assorbite o liquidate, mentre nella zona di influenza occidentale i comunisti erano spesso una notevole e determinante forza politica, a volte organizzata, come in Francia, Italia e Finlandia, in veri partiti di massa.
La parola d'ordine delle "vie nazionali al socialismo" era diffusa sia al di qua che al di la di quella che presto sarebbe stata denominata come " la cortina di ferro" . L'originalità togliattiana era in fondo unicamente determinata dalla particolare intelligenza e creatività del leader comunista italiano e dei suo stretti collaboratori, che seppero al meglio adattare alla situazione italiana la linea stalinana del partito, approfittando anche dell'elaborazione teorica gramsciana.
Al momento, comunque, l'Urss procedeva con prudenza persino ad Est. Fuori dalla propria zona di influenza (riconosciutale dagli accordi di Yalta), la Russia stalinista non voleva, al momento, grane. Nessuno sconvolgimento rivoluzionario poteva essere all'ordine del giorno in quel contesto di rapporti di forza internazionali. Prima di ogni ulteriore avanzata bisognava consolidare le posizioni acquisite e lavorare per spostare ancora i rapporti di forza globali a proprio vantaggio. Il ruolo dei partito comunisti occidentali doveva essere coordinato a questa strategia, a loro era lasciata, al massimo, la tattica locale.
Alla fine del 1945 gli iscritti al Partito Comunista Italiano erano circa 1.800.000, di cui quasi il 76% erano operai, braccianti agricoli, fittavoli, piccoli contadini.
A Roma tra il 29 dicembre 1945 e il 5 gennaio 1946 si tenne il quinto congresso del PCI, durantei il quale Togliatti apre in un certo qual modo, in Italia, la fase preliminare della guerra fredda strisciante, facendosi magistralmente interprete degli interessi dell'URSS di Stalin in nome della lotta per "l'indipendenza nazionale" e per "la pace".
E durante la relazione congressuale "il Migliore", tra le parole d'ordine demagogiche, i distinguo, i richiami all'unità antifascista tanto all'interno che fra "le nazioni democratiche" vincitrici della guerra, afferma chiaramente:
" La rivendicazione di una permanente e stretta amicizia fra il popolo italiano e i popoli dell'Unione Sovietica è coerente con la nostra lotta per l'indipendenza ", o meglio sarebbe stato dire, che ne è il motivo ...ispiratore e l'autentico obiettivo.
Scrive Alberto Cecchi: " Il V Congresso del PCI è (..) insieme un congresso di elaborazione strategica e di scelte immediate, di indicazione di prospettive generali e ravvicinate conquiste urgenti. Il fulcro attorno a cui ruota tutto il lavoro congressuale è quello del progetto di statuizione di un nuovo assetto politico-istituzionale - la Repubblica Democratica - in cui sia nitida l'impronta del ruolo nuovo che alla classe operaia tocca nella direzione del Paese, per aver raggiunto, con l'insurrezione nazionale, nuove responsabilità di guida alla conquista, all'uso, allo sviluppo delle libertà democratiche: come processo destinato a dare una cocerente conclusione alla vicenda del Risorgimento in una nuova unità nazionale, e in una rinnovata prospettiva della rivoluzione italiana. Con la parola d'ordine dell'Assemblea Costituente, si tende a saldare la *tradizione storica* della democrazia italiana con l'urgenza di un nuovo assetto sociale ispirato ai nuovi valori di cui è portatore il movimento operaio "
Questa ricostruzione in stile togliattiano evidenzia i contenuti ideologico-propagandistici della linea della "democrazia progressiva" come dispiegata dalla dirigenza del partito durante il V Congesso, ma pone in evidenza involontariamente l'assoluta contraddizione della visione della "democrazia" che anche in questa forzata limitazione strategica della prospettiva rivoluzionaria è rappresentata dai comunisti, rispetto ai valori del pluralismo democratico occidentale.
La visione classista e marxista-leninista-stalinista del PCI, per quanto stemperata dalla più duttile versione costituita dal gramscismo e per quanto adeguata alla dura situazione internazionale, è appunto quella che associa ai partiti politici le classi e le frazioni di classe, e dunque all'unità nazionale antifascista fra la classe operaia e gli alti ceti popolari la permanenza al governo della coalizione fra i grandi partiti di massa: il comunista, il socialista, il democristiano. Coalizione necessariamente impegnata in un processo di riforme sociali e politiche che se non è immediatamente ..."il socialismo", ossia la prima fase della società comunista, tende però a sradicare la reazione e la conservazione sociale e pone le condizioni per una avanzata significatica verso il socialismo stesso.
Il programma togliattiano, in attesa della rivoluzione che verrà, è quello pertanto di continuare a garantire al partito un ruolo fondamentale nella direzione del paese, permanendo al governo, e influenzando lo stesso verso la politica "più a sinistra possibile", impedendo al contempo l'allineamento dell'Italia in coalizioni internazionali antisovietiche.
L'impossibilità immediata della soluzione rivoluzionaria non deve cioè far regredire il PCI da partito di massa e di governo a partito settario di sterile opposizione, anzi di mera testimonianza. Questo sarebbe esiziale non solo per il partito ma per gli interessi del movimento comunista internazionale e dell'Unione Sovietica. Anzi, per Togliatti il PCI deve mantenere, pur in questo contesto sfavorevole, l'iniziativa politca, intervenendo positivamente nel processo di costruzione del nuovo ordinamento istituzionale, cercando di "fecondarlo" con elementi progressivi che proteggano da un lato la propria agibilità politica, sindacale, culturale e dall'altro favoriscano l'influenza comunista nella società attraverso anche riforme radicali che non devono trovare ostacoli di ordine costituzionale, ma anzi, al contrario, possano addirittura interpretarsi come "realizzazione della Costituzione".

continua....

Pieffebi
03-11-02, 19:07
La doppiezza della politica dei comunisti italiani durante il periodo di partecipazione degli stessi ai governi di unità antifascista, dopo la Liberazione è ricordata da Alcide De Gasperi con queste lapidarie parole: “ Durante le riunioni del governo i comunisti non facevano grande opposizione. Poi, invece, sull'Unità, attaccavano costantemente le decisioni prese “ di comune accordo (citato da Andreotti e ora in “ Truman, la politica dei sacrifici e l'apparato militare del PCI” di Salvatore Sechi in “nuova Storia Contemporanea n* 6 – novembre/dicembre 1999).
Così commenta il prof. Sechi: “ De Gasperi si rende conto che da una prassi politica ispirata – come nel caso della base comunista – all'insurrezionalismo, la macchina dello Stato, a cominciare dalla burocrazia, non è in grado di difendersi. E' quanto aveva rimproverato al suo predecessore Ferruccio Parri ridottosi a fare il portiere di notte del Viminale, dove aveva allestito un lettino in cui amava alleviare l'estenuante fatica di servitore all'antica dello Stato (...). Avverso all'assemblearismo di istituzioni mono-camerali (quale sarà l'Assemblea Costituente) e al giacobinismo della partitocrazia in rapida crescita, De Gasperi si opporrà a fare del CLN la formula duratura del governo che, dopo la sconfitta del nazi-fascismo, avrebbe guidato l'Italia. Preferisce il suffragio popolare, cioè il pronunciamento del popolo e la conservazione di un pluralismo che non pensa di esaurire nelle grandi union sacrée nazionali dei partiti antifascisti. La collaborazione al governo delle sinistre De Gasperi la concepisce come indispensabile per due ragioni. Da un lato per rendere simpatetico all'Italia l'atteggiamento dell'URSS, dall'altro, per distribuire, se non equamente almeno non a senso unico, i costi dell'impopolarità, anche nell'opinione pubblica socialista e comunista, connessi alla firma del trattato di pace, all'inizio del febbraio 1947. “.
Come ricorda Victor Zaslavsky in quel periodo il PCI, nel mentre che partecipava al governo, con gli altri partiti antifascisti e ciellenisti, consultava la dirigenza sovietica su tutti i problemi politici e tattici importanti e riceveva dall'URSS non solo “consigli e suggerimenti”, ma anche finanziamenti e ordini diretti.
Togliatti aveva trascorso in Unione Sovietica molta parte degli anni del suo “esilio” politico dall'Italia, ove aveva occupato una posizione di primissimo piano nei vertici massimi dell'Internazionale Comunista, e, come ricorda la sua segretaria russa Nina Bocenina nelle sue memorie, il capo dei comunisti italiani condivideva, in pieno, l'analisi marxista-leninista sulla natura delle “guerre imperialiste” e sulla prossima apertura di un'era di “guerre e rivoluzioni” che avrebbe dovuto trovare il partito stalinista italiano, stretto alleato dell'Unione Sovietica, politicamente e militarmente pronto.
Nel frattempo, come è ovvio, le potenze democratiche occidentali, vincitrici con l'URSS dell'Asse “nazi-fascista” non stavano certo a guardare e adottarono le loro misure politiche, strategiche, tattiche per contrastare ogni possibile velleità rivoluzionaria dei comunisti occidentali e ogni tentativo sovietico di “andare oltre” la propria sfera d'influenza, ovvero di utilizzare detti partiti comunisti, al governo nelle coalizioni “antifasciste”, come quinte colonne, per destabilizzare i processi di ricostruzione delle società democratiche dell'Europa occidentale devastate dalla guerra.
Alla base della “guerra fredda” si è soliti risalire al “lungo telegramma” di Geroge Kennan da Mosca (febbraio 1946) o al discorso di Churchill a Fulton (marzo 1946). Il tentativo della storiografia filo-comunista e codista di addebitare la responsabilità della rottura, fra le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, con la creazione di un clima di grave tensione, sulle democrazie liberali è sempre stato accolto con favore persino da una parte della storiografia occidentale “progressista”.
Ma nè Churchill, ne' Kennan, ne' Truman erano dei visionari. Il Comunismo rappresentava una minaccia, e quello che pur con gradualità e prudenza gli stalinisti stavano mettendo in atto nelle “nuove democrazie progressive e popolari” dell'Est Europa, esaltate da Togliatti, non poteva non allarmare le forze autenticamente democratiche dell'Europa liberale e degli Stati Uniti d'America.

Del resto nella riunione del Comitato Centrale del PCI del novembre 1946, quando Churchill e Kennan non hanno ancora.....”dato fuoco alle polveri”, è proprio Palmiro Togliatti a parlare apertamente di “ imperialismo americano “, che nel linguaggio marxista-leninista equivale alla riesumazione dell'analisi bolscevica classica, che vuole la potenza capitalistica statunitense un nemico irriducibile delle prospettive di emancipazione dei lavoratori e dei popoli oppressi di tutto il mondo. Un nemico...da abbattere.
Oggi sappiamo, del resto, che fin dal gennaio 1944 con il documento “ Sui fondamenti auspicabili del mondo futuro “ l'Unione Sovietica aveva formulato un'idea di “sicurezza totale” correlata indissolubilmente alla sovietizzazione “quanto meno” di tutta l'Europa continentale.
E' vero però che, con il solito realismo staliniano, il documento noto come “memorandum di Maiski”, prevedeva che questo obiettivo essenziale, non sarebbe sato raggiunto che prima di una o più facilmente due generazioni, ossia, dice il documento (entro 30-50 anni).
La risposta degli Stati Uniti è tutt'altro che “reazionaria”. Come scrive Sechi “ Truman mentre condivide l'esclusione delle sinistre comunista e filo-comunista dai governi, tende a fare dei socialisti (anzi delle forze più rappresentative dei lavoratori) il fulcro della coalizione di governo in Italia e in Europa. Questa opzione per il centro-sinistra di Washington non poteva essere ne' apprezzata, e neanche colta, da chi come i politici e gli storici comunisti condividevano la vecchia e nuova crociata di Stalin e Togliatti contro le Socialdemocrazie “.
Quindi nel periodo 1945-1948 la situazione in Europa Occidentale e in Italia è molto fluida e piena di pericoli e contraddizioni. Le forze in campo hanno strategie che ora possiamo vedere con sufficiente distacco, ma che all'epoca venivano sviluppate in un magma sociale pieno di trabocchetti e con le distorsioni tipiche delle opposte propagande, in cui quella comunista assumeva, al contrario di quella occidentale, tutte le caratteristiche della mistificazione radicale e della menzogna sistematica.
Da Bradeley Smith sappiamo che i servizi di sicurezza alleati informavano i governi occidentali, alla fine della guerra, nel 1945, che i comunisti “sono ben armati e nascondono le armi nelle regioni montuose”.
Già nel giugno 1945, come risulta dai documenti sovietici, il comunista italiano Eugenio Reale riferì all'ambasciatore sovietico che : “ i partigiani dell'Italia del Nord continuano a nascondere le loro armi e i materiali bellici “.
Il 27 agosto 1946 il Direttore del FBI J.E. Hoover scrisse una nota informativa, intitolata PALMIRO TOGLIATTI, al Dipartimento di Stato e a vari uffici di sicurezza del governo americano.
Come ricorda Zaslavsky : “ Hoover sottolineava che i partito comunisti europei erano strumenti della politica estera sovietica e in particolare presentava Togliatti come un leader politico che non soltanto faceva frequenti visite all'ambasciata dell'URSS, ma si trovava in uno stato di dipendenza dalla politica sovietica. Nello stesso tempo il socialista Pietro Nenni gli appariva sotto l'influenza di Togliatti. Secondo Hoover, Nenni, che in assenza di De Gasperi svolgeva le funzioni di ministro degli Interni, cercava di riorganizzare le forze di polizia, eliminando gli elementi anticomunisti e rimpiazzandoli con uomini favorevoli al PCI. Così, concludeva Hoover, ogni investigazione dell'attività comunista era scoraggiata e gli uomini vicini al PCI all'interno della polizia cercavano di sabotare le forze dell'Ordine * per assicurare al partito comunista un'amichevole o almeno debole forza di polizia nel caso in cui i comunisti avessero promosso disordini e insurrezioni*. Hoover fece ogni sforzo per segnalare queste informazioni a De Gasperi in maniera confidenziale. “
Nel maggio del 1946 fu il socialista Romita, allora nenniano, e non Nenni in persona, a far assumere nella polizia centinaia di ex partigiani, molti dei quali delle Brigate comuniste “Garibaldi”.
L'ambasciatore sovietico così riferiva al suo paese : “ Ho chiesto come agisce Romita in quanto ministro dell'Interno. Ercoli ha risposto che Romita è all'altezza del suo compito (...) La polizia di Roma lascia in pace le forze di sinistra e nello stesso tempo dimostra il suo attivismo nel perseguire e liquidare l'attività dei fascisti e dei monarchici. Se la polizia di Roma avesse voluto in questi giorni dare un'occhiata a cosa in certe sezione dei partiti di sinistra, avrebbe indubbiamente scoperto alcuni mezzi di difesa, perché il popolo è pronto a difendere le sue richieste ” (citato da Zaslavsky nella sua relazione per la Commissione Stragi del Parlamento Italiano e pubblicato con il titolo “L'Apparato paramilitare comunista nell'Italia del dopoguerra (45/55)” sul numero1 del 2001 (gennaio/febbraio 2001) della rivista “nuova Storia Contemporanea”).
Un altro episodio significativo, ricordato dall'articolo di Zaslawsky riguarda un viaggio elettorale di Pietro Secchia, l'uomo duro del PCI togliattiano, in Sicilia (marzo 1948): “ Secchia durante un comizio aveva affermato che i latifondisti conservavano impunemente armi pesanti, cannoni, mitragliatrici, mitra, mentre ai lavoratori vengono confiscati persino fucili da caccia arrugginiti. I militanti locali presenti al comizio incominciarono a gridare che anche loro avevano cannoni, mitragliatrici e mitra, ma che erano ben nascosti, tutto questo in presenza delle autorità militari locali e dei carabinieri “.
Più avanti i rossi cacciati dalla polizia avrebbero metastatizzato la parte della Magistratura, soprattutto inquirente, con metodi simili a quelli stalino-togliattiani, con l'aiuto degli “utili idioti” di turno, e con un peso che ancora oggi ha fortissimi effetti deleteri sulla democrazia italiana e la sua stabilità istituzionale. La Socialdemocratica Tiziana Parenti, ex magistrato del pool milanese, ha pubblicamente raccontato la linea di “via giudiziaria al socialismo” promossa ad un certo punto da talune correnti di magistrati fiancheggiatrici del PCI, molti decenni dopo la fine della guerra civile di liberazione.

Se, come vedremo più diffusamente più avanti, il PCI organizzò un apparato militare clandestino di una certa imponenza, non per questo Togliatti e la direzione del PCI non avvertivano la minaccia di un certo estremismo della base, che a volte sfuggiva al controllo Vertice.
Nell'agosto 1945, come risulta dai documenti sovietici, l'ambasciatore Kostylev comunicava a Mosca circa le preoccupazioni di Togliatti “ dell'allarmante fenomeno della degenerazione del movimento partigiano al Nord. Alcuni partigiani cominciano a essere coinvolti nel banditismo, nelle espropriazioni e nella violenza contro i cittadini “. Togliatti è soprattutto preoccupato che certi eccessi, espressi nel momento...sbagliato, possano danneggiare l'immagine del partito in vista delle prossime consultazioni elettorali amministrative, o possano suscitare la reazione delle forze occupanti, dando spago “alla reazione”.
Luigi Longo riferiva allo stesso ambasciatore sovietico nel marzo 1946 che “ lo spirito della corruzione è penetrato in molti ex partigiani ”, riferendo come ad esempio nel campo delle cooperative rosse per il trasporto delle merci, dagli stessi costituite, “ alcuni sono falliti di fronte alla concorrenza e altri hanno cercato di usare la violenza contro i concorrenti “. Longo nota inoltre come i risultati elettorali amministrativi del PCI risultino particolarmente deludenti laddove : “ certi comunisti partigiani si sono compromessi con atti di violenza su abitanti innocenti e in qualche modo hanno utilizzato l'occasione per arricchirsi “.
Di fronte a questo genere di informazioni le direttive da Mosca sono le solite : “ evitare azioni premature ” e continuare a partecipare alle nuove istituzioni in formazione, rafforzando la penetrazione del partito nelle medesime.
Come nota lo storico Zaslavsky : “ La documentazione dimostra che lo storico deve distinguere fra le azioni compiute per iniziativa di alcuni settori del PCI in certe zone del paese, per esempio gli omicidi del cosiddetto *triangolo rosso* e la politica della direzione del partito. Finchè i dirigenti comunisti erano sicuri di poter controllare le attività extralegali dei gruppi partigiani, essi cercarono di utilizzarli per spingere avanti il processo di rinnovamento dell'apparato statale e di altri settori della società. La dirigenza del PCI cominciò a contrastare la violenza e l'illegalità di alcuni gruppi di ex partigiani quando questi comportamenti diventarono controproducenti. L'organizzazione dell'apparato paramilitare era, quindi, anche un importante strumento per tenere sotto controllo gli ex partigiani, coinvolgendoli in una formazione clandestina strutturata gerarchicamente, con ul altro grado di disciplina e una chiara linea di comando . “
Dal canto suo il prof. Sechi nota che : “ Fino al 1956, con diverse intensità, il PCI bandisce la * politica fiacca, di capitolazione * con * troppe illusioni parlamentari * che Zadnov aveva preso di mira (..). Esso quindi investe sulle manifestazioni di massa e di piazza, e minaccia di aprire un secondo ciclo di lotte partigiane rimettendo in prima fila i combattenti del '43-45 “.
Dal canto suo Gian Paolo Pellizzaro scrive, nel suo documentato libro su “Gladio Rossa” :
“ La grande svolta all'interno delle organizzazioni militari comuniste vi fu sul finire degli anni quaranta. Al termine della seconda guerra mondiale, Stalin decide di lasciare in piedi le formazioni partigiane e le reti di resistenza, ma ritenne opportuno potenziarle, ordinando ai responsabili dei vari partiti comunisti europei di inquadrarle in mastodontici apparati parmilitari clandestini, manovrati – com'era ovvio – direttamente da Mosca. La Gladio Rossa nacque, quindi, nel biennio che vadal 1945 al 1946 “.

Nel giugno del 1946 il popolo italiano, fra polemiche sui presunti brogli elettorali, scelse a maggioranza (contrastata) la Repubblica quale forma istituzionale del nuovo Stato Democratico, eleggendo contestualmente un'Assemblea Costituente. La Democrazia Cristiana si era confermata, con l'occasione, il principale partito nazionale con oltre otto milioni di voti (pari al 35,2%), davanti al Partito Socialista (20,7%) e al Partito Comunista (19%) con 4.360.000 voti, la formazione dell'Uomo Qualunque ottenne un ottimo successo con 1.211.000 voti e trenta seggi..
La sconfitta elettorale dei comunisti, con addirittura risultati complessivi, anche se di poco, inferiori ai socialisti (per ora), sarebbe stata ammessa francamente dalla Direzione del Partito.
Capo dello Stato Provvisorio fu nominato Enrico De Nicola, che diede subito l'incarico ad Alcide De Gasperi per la formazione del nuovo governo, ancora di “Unità Antifascista”, con il Pietro Nenni, socialista allora subordinato ideologicamente e psicologicamente al PCI e all'URSS, dalla quale riceveva pure finanziamenti non indifferenti, al ministero degli esteri (!).

continua.....

Pieffebi
17-11-02, 19:36
Scrive Aldo Agosti nel suo “ Bandiere Rosse - profilo storico dei comunismi europei ”, riguardo alla costituzione del nuovo organismo ufficiale del movimento comunista internazionale, cioè il Cominform : “ ..i compiti che nella nuova situazione internazionale l'Unione Sovietica attribuiva ai partiti comunisti europei [sono ] : da un lato l'arroccamento a difesa della zona d'influenza che si era conquistata alla fine della seconda guerra mondiale, con la decisa chiusura degli spazi che erano stati prima lasciati aperti a sia pur prudenti sperimentazioni di regimi pluralisti e di economie miste, e il conseguente richiamo alla più salda unità sotto la sia guida dei partiti che erano al governo nelle * democrazie popolari *; dall'altro un controllo più stretto sui due grandi partiti comunisti che avevano messo radici nell'Europa occidentale, e che attraverso la loro capacità di orientare quote consistenti di opinione pubblica e di incidere sulla dinamica dei conflitti sociali potevano rappresentare una spina nel fianco del blocco avversario “. Questo giudizio è corretto ma non sufficiente. E' evidente che oltre che spina nel fianco i partiti comunisti occidentali dovevano rappresentare, nel blocco avversario, delle vere e proprie quinte colonne del neo-costituito “campo socialista”, nella prospettiva della futura espansione dello stesso e comunque della sua difesa “dall'imperialismo”.
La posizione di “ quinta colonna ” dell'URSS di Stalin ha condizionato per molti anni la politica dei comunisti italiani, tanto nella loro elaborazione teorica, che nella definizione della strategia politica di medio-lungo periodo, quanto nello sviluppo delle varie mosse tattiche e propagandistiche, che nelle scelte e gli adattamenti organizzativi, ivi compresi la parte clandestina, costituita dall'apparato “para-militare”.
Stringendosi fanaticamente all'URSS staliniana e alla sua ideologia, disprezzando al contempo la “democrazia borghese” dell'Europa occidentale, con i suoi “collaborazionisti” socialdemocratici, il PCI di Togliatti non poteva non sviluppare una retorica violentemente anti-americana, con la demonizzazione sempre più aperta e radicale degli Stati Uniti, dei suoi governi, del suo sistema politico-sociale, del suo “imperialismo”.
Ma fino a quando il PCI è stato ammesso a governare il paese, in coalizione con democristiani, socialisti e laici, le sue critiche sono rimaste tutto sommato contenute: l'appello all'unità antifascista interna, unica condizione, per il momento, della presenza dei comunisti nella “stanza dei bottoni”, faceva il paio con l'appello all'unità delle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, secondo il classico modello del “pacifismo” di stampo filo-sovietico, diffuso dalla poderosa macchina propagandistica dei “movimenti democratici e progressisti” ispirati da Stalin e dal movimento comunista internazionale.
Togliatti fu in questo contesto il migliore garante di questa politica, sicuramente “IL MIGLIORE”, come veniva definito dai compagni sovietici.
Mentre da un lato i comunisti contribuivano, nell'Assemblea Costituente, alla redazione della Costituzione Repubblicana, dall'altro continuavano a considerare la carta dell'insurrezione rivoluzionaria come facente parte del mazzo e come ASSO determinante per stabilire, in una giuocata o nell'altra, la svolta decisiva della partita.
Nota Gianni Donno, a proposito delle risultanze degli studi su “Gladio Rossa” che era “ l'intero corpo del Partito Comunista a praticare, a fianco all'azione legale, quella illegale, eversiva, anticostituzionale. Due facce indistinguibili della stessa medaglia, ove la violenza armata era – secondo l'ideologia marxista-leninista – considerata uno strumento utilizzabile * alla pari * di quello legalitario, quando questo si fosse considerato inapplicabile “.
Ricordo che Lenin nel suo celebre libro : “ L'estremismo, malattia infantile del comunismo ” del 1920, aveva teorizzato come linea guida fondamentale della tattica comunista nei paesi occidentali : “ la combinazione del lavoro legale con il lavoro illegale “, all'interno della quale dava indicazione ai partiti rivoluzionari di “partecipare al lavoro dei parlamenti borghesi” utilizzandoli fondamentalmente come “tribune rivoluzionarie”. Egualmente i comunisti non dovevano rifiutare i “compromessi “ tattici (sì invece quelli sui principi), ne' il “lavoro rivoluzionario nei sindacati reazionari”.
Con lo stalinismo la duttilità tattica leninista si espande alla massima potenza, perdendo quella totale subordinazione ai principi teorici e ideologici fondamentali, che in epoca leniniana era comunque in qualche modo garantita, nonostante le critiche dei comunisti “di sinistra”, accusati da Lenin di infantilismo (il contenuto dell'estremismo tatticamente rigido e impaziente). Più la teoria si fossilizza e la dottrina globale si irrigidisce, più lo zigzagare tattico si diffonde e si manifesta con chiari moventi opportunistici.
La battaglia politica dei comunisti all'interno dell'Assemblea Costituente non è stata improntata alla traduzione dei principi ideologici del marxismo-leninismo nella Carta fondamentale della Repubblica italiana, nella misura in cui tanto Togliatti che i suoi compagni avevano ben presente che il quadro istituzionale e politico che si andava trattando, era pur sempre nell'ambito di un sistema sociale di tipo capitalistico e di una forma politica “democratico borghese”, sebbene ormai “di nuovo tipo”, ossia con una presenza fondamentale e condizionante dei partiti e movimenti della classe operaia e degli altri ceti popolari.
La “democrazia progressiva” non era [ancora] la “dittatura rivoluzionaria del proletariato” e la mera adozione della nuova Costituzione Repubblicana non costituiva pertanto, per i comunisti, una conquista rivoluzionaria capace di garantire di per sé l'avanzata del partito verso il potere e della società verso il socialismo.
In questo quadro, risultano segno di una profonda incomprensione del modello politico-ideologico staliniano del secondo dopoguerra, le domande che si poneva quasi tre lustri orsono Giorgio Spini sulle motivazioni che indussero Togliatti a non insistere per una più decisa presenza di “principi leninisti” nella Costituzione Repubblicana, e il PCI a “difendere ed elogiare” una Costituzione “nettamente liberal-democratica” seppure con un certo spirito progressista nelle enunciazione dei principi generali.
Anche Domenico Settembrini, pur in un notevole e lucido articolo pubblicato sul numero di Settembre/Ottobre 2002 di “ Nuova Storia Contemporanea ”, si avvale di strumenti non del tutto corretti, nella sua analisi ideologica e tattica del Togliattismo, soffermandosi troppo sull'abusato paragone con la socialdemocrazia “rivoluzionaria” classica, riguardo all'esigenza del PCI di Togliatti di affrontare “ il problema ineludibile di ogni partito rivoluzionario: come alimentare e tener desta la speranza nella rivoluzione quando la forza delle cose, invece di collaborare con segni che consentano agli spiriti palingenetici di interpretarli quali preannunci dei prodigi a venire, mostra testardamente di non volersi uniformare in nessun modo alle profezie, di volerle anzi inequivocabilmente smentire “.
Come lo stesso Settembrini nota più avanti, il paragone cade innanzi all'esame dell'autentica natura del PCI togliattiano che è “ un partito diverso da tutto gli altri perché per nascita è votato a realizzare, in questo angolo d'Europa che è l'Italia, il rovesciamento del capitalismo, già realizzato in URSS “ e, aggiungiamo noi, in sostanziale subordine all'URSS medesima e al suo modello politico-sociale complessivo.
Questa “contraddizione” è alla radice dell'ambiguità e della doppiezza togliattiana del PCI, ove la “ combinazione del lavoro legale con quello illegale ” non è che la sua più eclatante e classica manifestazione (leninista), aggiornata però alle condizioni rinnovate del secondo dopo guerra e all'evoluzione ideologica opportunistica del marxismo-leninismo dell'era staliniana.
A giusta ragione i comunisti respingevano con rabbia la qualificazione di riformisti (questo almeno fino alla seconda metà degli anni settanta) , reclamando, invece, con forza quella di “riformatori”, giacché questa ultima definizione non era in conflitto e in contraddizione con l'ispirazione e aspirazione rivoluzionaria del partito.
La politica “riformatrice” del PCI di Togliatti fu l'altra faccia della medaglia della sua cospirazione filo-sovietica e della sua ideologia rivoluzionaria, fu il suo modo di essere, sopravvivere ed espandersi, come movimento politico di massa posto da uno scherzo della storia (Yalta) e dalla geografia politica conseguente, al di là delle frontiere legittime del “campo socialista” e sotto l'influenza decisiva del “blocco occidentale” egemonizzato dagli Stati Uniti d'America, blocco a cui, con l'adesione al Patto Atlantico, disperatamente contrastata dai socialcomunisti, l'Italia aderì ufficialmente, una volta cadute le remore e una volta superata la condizione, anche psicologica, di nazione sconfitta.
Il legame tra il partito comunista italiano e l'Unione Sovietica non era soltanto ideologico e politico, era fondamentale anche per garantire, in quel momento storico, il massimo consenso “proletario” e “intellettuale” al partito, considerato il fatto che, come ha giustamente rilevato Donald Sassoon : “ La causa principale della popolarità del comunismo in occidente [alla fine della seconda guerra mondiale] era l'Unione Sovietica – anche causa principale della successiva impopolarità “ ( D. Sassoon “ Cento anni di Socialismo – la sinistra nell'Europa Occidentale del XX secolo “ pag. 110 ).
Questo legame formidabile era anche...economico.
Ricorda Victor Zaslavsky (in “ I finanziamenti sovietici alle forze politiche italiane di sinistra “ pubblicato nel n* 6 del 1999 della rivista “Nuova Storia Contemporanea” ) che : “ Il materiale proveniente dall'archivio della politica estera della Federazione Russa dimostra come nel periodo fra l'immediato dopoguerra e il 1948 gli aiuti fatti pervenire al PCI non ammontassero ad un flusso regolare e consolidato. Si poteva trattare anche di trasferimenti notevoli singolarmente considerati, ma generalmente sembravano assegnati per specifiche finalità. Si pensi, ad esempio, all'acquisto di ventimila tonnellate di agrumi approvato per telefono da Stalin quale finanziamento a * L'Unità *.
I dirigenti del PCI avevano più volte riferito ai diplomatici sovietici che la situazione finanziaria del partito * era molto difficile, specialmente nei confronti con la la DC che riceve grandi somme di denaro dal Vaticano e dagli alleati *. Tuttavia, prevaleva la convinzione che la posizione di governo tenuta in quel periodo dal partito comunista italiano e da quello francese potesse garantire loro l'utilizzo delle risorse dei propri Stati. La chiusura dell'Unione Sovietica all'economia mondiale, che implicava l'impossibilità di convertertire i rubli in valuta straniera, spesso rappresentava un ostacolo alla fornitura di aiuti finanziari ai partiti comunisti occidentali e spingeva di tanto in tanto ai pagamenti in natura “.
Del resto, anche secondo Valerio Riva, nel suo “ORO DA MOSCA”, il PCI aveva recuperato un certo...bottino, durante la guerra civile di Liberazione, bottino che era stato prontamente investito in immobili. Ad esempio a Roma : “ i soldi del bottino del Nord furono subito investiti nel mattone. La tecnica era sempre la stessa: comperare aree su chi si stessero costruendo dei palazzi iniziati nei primi anni di guerra e rimasti a metà per via degli eventi bellici. Il caso più noto è quello del palazzo di via delle Botteghe Oscure, che doveva diventare la sede della Direzione [nazionale] del PCI, che era stata fino ad allora al primo piano di uno stabile in piazza S.Andrea della Valle (...). Gli avversari politici ribattezzarono subito il Bottegone con il nome di * palazzo Dongo * “, con evidente riferimento all'oro della Repubblica Sociale Italiana....* misteriosamente sparito *.......dopo l'arresto e la fucilazione in quel di Dongo, in riva al lago, di alcuni dei massimi “gerarchi” del fascismo repubblicano.
D'altro canto i documenti del governo americano sulla situazione dei finanziamenti sovietici ai comunisti italiani, in quegli anni, parlano addirittura di una “età dell'oro” negli anni 1946/47 e 1948.
Scrive Zaslavsky che : “ il regime degli aiuti sovietici al PCI era destinato a mutare con l'estromissione dal partito dal governo, avvenuta nel maggio 1947. L'opposizione frontale al governo richiedeva una macchina di partito di professionisti e funzionari a tempo pieno e quindi un afflusso di risorse regolare e istituzionalizzato. La necessità di avere un apparato di partito stabile indusse anche ad intensificare i finanziamenti sovietici al PCI.. L'espediente che venne utilizzato prevedeva un meccanismo di rapporti commerciali italo-sovietici creato appositamente per finanziare il PCI. L'idea fu lanciata da Matteo Secchia quando le necessità economiche del partito aumentarono per condurre la campagna elettorale del Fronte Popolare nel 1948 ( in quel caso ci fu almeno un finanziamento “in natura” di mille tonnellate di carta oltre che quello in denaro di 600.000 dollari dell'epoca!). In un colloquio con l'ambasciatore sovietico a Roma avvenuto nel marzo di quell'anno, Secchia si lamentò del fatto che il partito socialista lasciasse al PCI l'onere delle spese, incapace di provedervi anche solo per la sua parte, e propose di collegare i finanziamenti al PCI agli imminenti accordi commerciali che l'Italia avrebbe concluso con l'URSS. Si trattava di * utilizzare un certo numero di imprenditori e commercianti fidati, che avrebbero versato il ricavato delle loro attività nelle casse del partito per migliorarne la situazione finanziaria ...* “.
Grazie a questo e ad altri espedienti, scrive Zaslavsky : “ già verso la metà del 1949 il bilancio del partito (...) era stabilmente in attivo “, mentre ai finanziamenti all'organizzazione comunista, i sovietici affiancarono dei “fringe benefits” a favore dei dirigenti e attivisti comunisti italiani.
Un certo numero di dirigenti comunisti ottennero annualmente posti riservati di villeggiatura in località adeguate dell'Unione Sovietica (Crimea, Caucaso). Più tardi i sovietici passarono a sovvenzionare anche, con ulteriori finanziamenti, “ specifici giornali non appartenenti alla stampa del partito “, ma...diciamo così....di area o comunque di impostazione progressista e filo-comunista o aperta verso i comunisti.
Dal punto di vista storico e politico, in quegli anni, come ha dimostrato, fra gli altri il buon Valerio Riva, la questione dei finanziamenti e quella degli apparati militari clandestini, si intrecciavano e costituivano due facce della stessa medaglia. Con ciò non si vuole dire che i soldi sovietici servissero principalmente o esclusivamente a finanziare l'apparato paramilitare dei comunisti italiani, ma che la direzione sovietica su questi ultimi era assicurata ANCHE dalla loro sudditanza economica, oltre che politica e ideologica da Mosca.
Importante se non fondamentale fu, fino alla rottura fra Stalin e Tito, il ruolo della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia. I piani segreti del blocco stalinista verso l'Italia, nel caso di conflitto fra “i due mondi” (capitalista democratico e comunista), assegnavano tutti un ruolo preminente alla confinante Federazione Jugoslava. Il “ piano K , in cui nel partito comunista italiano uomini dell'ala dura come Secchia e Moscatelli ricoprivano ruoli chiavi, era finalizzato alla prospettiva insurrezionale :
“ Il piano prevedeva il controllo, in Friuli, della zona di confine con la Jugoslavia (..) e la concentrazione di due brigate speciali * Stalin * (la 12* e la 16 * ) sul tratto Ravenna-Reggio Emilia – Bologna – Perugia che avrebbe spezzato in due la penisola (..). Allo scoccare dell'ora X, a Roma sarebbero stati occupati i ministeri e contemporaneamente il comando insurrezionale avrebbe rivolto un appello alle truppe jugoslave perché entrassero nella penisola per mantenere l'ordine pubblico.
(...) In meno di 48 ore, l'Italia sarebbe diventata una * democrazia popolare * di stampo sovietico. “.
Questo “piano”, che rappresenta al meglio il persistere neppure troppo sullo sfondo, dell'opzione rivoluzionaria nel campo delle scelte strategiche del PCI, si collegava con tutta evidenza, all'ipotesi del relativamente imminente verificarsi di determinati eventi di natura internazionale, che avrebbero reso possibile e utile, al blocco comunista, iniziare un'espansione decisa verso ovest, in modo proficuo. Ed è in questo contesto che vanno letti i coevi documenti segreti dei diplomatici americani in Italia verso il loro governo. Documenti che cercano di ricostruire al meglio, secondo le informazioni che questi funzionari sono stati in grado di raccogliere, la consistenza, il funzionamento, l'efficienza e lo scopo dell'apparato paramilitare dei comunisti nel nostro paese.
Era Togliatti in disaccordo con questi piani, che godevano invece dell'entusiasmo di Pietro Secchia? Personalmente ritengo che non ci sia ragione alcuna per sopravvalutare la natura delle divergenze fra i due dirigenti del PCI, che se pur vi erano, vertevano probabilmente sul maggiore realismo politico del Togliatti e sul maggior ideologismo rivoluzionario del Secchia, nell'ambito di un'unitaria visione politico-strategica, strettamente dipendente, in entrambi i casi, dalle direttive di Stalin.
E' possibile che Stalin giuocasse, con i due, giuochi diversi per garantirsi due distinte opzioni e due distinti massimi dirigenti in grado di attuarle, se del caso, con la massima determinazione e fedeltà? E' possibile, ma ritengo che l'insieme della documentazione esistente e della storia comunista di quegli anni vadano piuttosto verso un “giuoco della parti”, anche se in parte “spontaneo”, del tipo di quello che vi fu fra Scoccimarro, Longo e Amendola durante la guerra civile di liberazione, dopo la “svolta di Salerno” imposta da Stalin tramite Togliatti, e ad “interpretazione” di questa ultima.
Non credo cioè che nel caso si fosse realizzata l'insurrezione rivoluzionaria Secchia avrebbe potuto realmente soppiantare Palmiro Togliatti, che avrebbe avuto comunque il ruolo di massimo ideologo e dirigente politico del partito, lasciando semmai a Secchia il ruolo di comandante politico-militare delle formazioni armate del Partito.
Il 1947 fu definito l'annus horrendus per i partiti comunisti occidentali. Come ricorda Donald Sassoon : “ Essi furono espulsi o allontanati dalle coalizioni di governo di Francia, Italia, Norvegia, Belgio, Lussemburgo e Austria. I comunisti danesi si s'erano già allontanati dal governo nel 1945, i finlandesi nel 1948. I comunisti olandesi si erano rifiutati di prendere parte alla coalizione nazionale a causa del perdurare delle guerre coloniali olandesi “.
Lo stesso storico della sinistra occidentale ricorda come in alternativa alla sempre meno probabile via insurrezionale, che per la maggior parte dei partiti comunisti occidentali era impossibile, data anche la loro sempre più evidente inconsistenza numerica, anche sul piano dei consensi elettorali, vigeva la linea “coalizionista” (in Italia si sarebbe detto di “unità antifascista” o “ciellenista”e poi di “unità democratica” ). “ La cooperazione con gli altri partiti antifascisti, si pensava, sarebbe continuata, e i comunisti si sarebbero gradualmente imposti come forza politica dominante. Attraverso i mezzi legislativi come la nazionalizzazione, i governi post-bellici avrebbero indebolito le fondamenta economiche del grande capitale, privando in questo modo i gruppi conservatori della loro base di sostegno. Tuttavia, dal momento che la preservazione dei governi di coalizione diventava l'obiettivo primario, era necessario contenere, in una certa misura, le tattiche da prima linea della lotta di classe, come scioperi e occupazioni di fabbriche, poiché esse avrebbero soltanto destabilizzato l'economia e spaventato le classi medie “.
Lenin aveva insegnato ai bolscevichi, prima della presa del potere, la necessità per il partito rivoluzionario di formulare delle “tattiche-piano”, sul quale impegnare l'avanguardia rivoluzionaria verso la conquista delle masse, verso la loro elevazione alla coscienza politica di classe, per poter infine assumere la guida del processo rivoluzionario verso la dittatura. Lenin aveva però anche avvertito della necessaria duttilità e soprattutto, una volta formulata una previsione sul corso di sviluppo del processo storico politico in cui i bolscevichi avrebbero dovuto operare, di non legarsi stupidamente ad essa, sapendo prevedere le varianti opportune.
Stalin aveva trasformato profondamente questa concezione della politica rivoluzionaria, sostituendo gli interessi dello Stato Sovietico a quelli pretesi della classe operaia, e accentuando l'opportunismo fino a trasformare la duttilità tattica in uno zigzagare continuo.
La posizione di Togliatti univa all'intelligenza leninista, l'opportunismo staliniano con la visione gramsciana della complessità della rivoluzione in occidente. In questo contesto Togliatti articolava le varianti tattiche del secondo dopoguerra, della “via italiana al socialismo”, fra la sempre meno probabile, nell'immediato, opzione insurrezionale, e l'opzione “coalizionista”, concependo la “democrazia progressiva” (variante della “democrazia popolare” ) come parola d'ordine unificante e indipendene
Per altro, ricorda lo stesso Sassoon “ Il termine * democrazia popolare * fu introdotto precisamente per denotare una forma di Stato o di regime guidato da un governo di coalizione in cui il partito comunista avesse una quota significativa del potere. La linea di condotta di un tale regime sarebbe stata quella dell'allargamento del settore pubblico attraverso la nazionalizzazione delle imprese più importanti, del rafforzamento dei sindacati, dello sviluppo degli organi di * democrazia diretta * (vagamente definita) e di una politica estera genericamente orientata all'amicizia con l'URSS. Con lo sviluppo della guerra fredda, * democrazia popolare * divenne un eufemismo in riferimento ai regimi comunisti dell'Est. Ma esso rappresentò originariamente un nuovo orientamento della terminologia comunista. Era un tentativo di andare al di là della rigida dicotomia in base a cui tutti i regimi non socialisti erano semplicemente * borghesi * e tutti quelli socialisti dittatura del proletariato “.
Diciamo che....è quasi così. Innanzi tutto è da dire che non è assolutamente corretto far discendere la comunistizzazione integrale delle “democrazie popolari” dalla guerra fredda in un rapporto di causa effetto che altrimenti può ben essere, in parte almeno, persino....invertito (si pensi agli effetti del colpo di Stato comunista in Cecoslovacchia). In secondo luogo se è vero che lo stalinismo cerca delle varianti opportunistiche alla concezione marxista e leninista classica sullo Stato borghese e sulla dittatura proletaria, lo fa pur sempre con l'idea di definire un processo di transizione fra i due elementi, di partenza (Stato borghese) e di arrivo (Dittatura Proletaria). Persino Togliatti nelle sue formulazioni pseudo-teoriche della “tattica – piano “ fondata sulla parola d'ordine della “democrazia progressiva”, non smette affatto di indicare nella “dittatura rivoluzionaria del proletariato” il punto d'approdo della rivoluzione proletaria in Italia. Dittatura rivoluzionaria, di cui si evidenzia il contenuto, politico-sociale più che istituzionale, è vero, ma a mero scopo propagandistico (per non spaventare i “ceti medi” produttivi), e in cui parla di pluralismo di partiti in una forma tutto sommato opzionale e niente affatto liberal-democratica. Infatti il pluralismo o pluripartitismo del Togliatti si configura palesemente come mera espressione politica dell'alleanza dei ceti popolari operai, contadini, piccolo-borghesi. I partiti sono semplicemente l'espressione delle classi e delle frazioni di classe facenti parte del blocco popolare e progressista. E' evidente che essendo il partito comunista il partito della classe operaia ed essendo questa ultima, nella visione marxista-leninista, l'unica classe integralmente rivoluzionaria, spetti ai comunisti, in ultima analisi, la direzione tendenziale del blocco “democratico popolare”.
Dunque se la democrazia popolare diventa rapidamente dittatura comunista all'Est, lo fa secondo un processo previsto, solamente fortemente accelerato dagli eventi internazionali. All'Ovest la “democrazia progressiva” diventa parimenti, in un contesto ben diverso, il momento essenziale della “via al socialismo”, indipendentemente che questa apra una lunghissima e contraddittoria transizione con un colpo di stato comunista finale, o che gli eventi la impongano come punto di forza e cavallo di Troja comunista nello schieramento nemico, in vista di un'imminente insurrezione rivoluzionaria risolutrice, che instauri l'anelata “dittatura proletaria”.
Il Partito Comunista deve essere pronto ad entrambe le soluzioni, e alle infinite intermedie che gli eventi, e soprattutto gli insindacabili “ordini” moscoviti, possono imporgli.
Anche in questo consiste, se volete, la “doppiezza” togliattiana del Partito Comunista Italiano.


.....continua .....

Pieffebi
24-11-02, 19:45
Durante il 1947 l'ambasciatore americano a Roma, Dunn telegrafa e scrive a Marshall e al proprio governo informazioni e valutazioni sull'Italia e la sinistra italiana, sui socialisti e soprattutto sui comunisti.
A fine luglio Dunn scrive a proposito di un presunto declino del PCI : " In ogni caso, ci si deve sempre mettere in testa che esso è uno dei maggiori partiti politici italiani, che virtualmente controlla il lavoro organizzato in Italia, possiede dei leaders molto capaci, anche se spietati, cospiratori e vogliosi di potere, e un seguito disciplinato, e può contare su molti soldi e una potenza aggressiva(..)Mosca non rinuncerà senza una reale lotta al disegno di includere l'Italia nella sua orbita ".
Più avanti, interpellato nello specifico da Marshall, Dunn tratta dello scabroso tema dell'attività illegale dei comunisti italiani, da inquadrarsi appunto nel contesto politico sopra delineato: " una forza para-militare nazionale dei comunisti italiani esiste (..) completamente organizzata sulla carta ma scheletrica, eccetto che in certe regioni, come l'Emilia, dove l'organizzazione è stata completamente organizzata fin nei dettagli ".
Secondo Dunn l'apparato paramilitare dei comunisti italiani è forte di 30/50 mila uomini raggruppati in 600 brigate. I combattenti comunisti dispongono di mortai,armi corte, fucili automatici leggeri, granate per guerriglia, mine anticarro e anti-uomo e una buona quantità di esplosivi.
Secondo Dunn l'esercito rosso italiano potrebbe disporre anche di sei carri armati leggeri, alcune autoblinde, radiotrasmittenti e una riserva di autocarri (per il trasporto degli uomini) e di camion.
Di buon livello sarebbero le scorte di munizioni, carburante, lubrificanti.
Dunn sottolinea il ruolo delle cooperative rosse nello stoccaggio di questi ultimi materiali, asserviti alle esigenze militari del partito comunista.
Intanto agiscono gruppi terroristi comunisti, come la "Volante Rossa", con discussi rapporti con il partito, che comunque li soccorre, quando è il caso, facendone fuggire gli esponenti braccati oltrecortina.
In quegli anni, infatti, come nota Salvatore Sechi nel suo articolo del novembre-dicembre 99 su "nuova Storia Contemporanea": " Nei confronti del terrorismo rosso, nato e allevato nelle proprie file e per di più di matrice partigiana, il PCI manifesta solo riserve di opportunità. Al di là dei pomposi messaggi di esecrazione, ha un atteggiamento diplomatico da grande potenza. Alcuni al vertice del partito condannano, ma nei gradi successivi (dalle federazioni alle sezioni),la macchina del comando, che conosce la refrattarietà della base alla politica di solidarietà nazionale, lascia fare. L'antifascismo radicale in gruppi come Volante Rossa si tramuta in una vocazione per la criminalità politica, in cui si creano dei veri e propri esperti nella caccia all'uomo e nell'esecuzione fisica. Questi specialisti negli assassinii politici sono spacciati al massimo come 'compagni che sbagliano' il momento o la tecnica della lotta, ma non gli obiettivi.
Il loro è il mondo dei compagni del sut vuss, cioè del partito sottovoce che impersona una quota fino a metà degli anni cinquanta cospicua del PCI. Non ha rinunciato, e anzi continua a credere, come i loro compagni nel biennio rosso del 1919-1920, nella presa rivoluzionaria del potere. E richiede una struttura parallela armata. Questo mito della doppia linea di cui 'forse il capo è Pietro Secchia', è allora un mito collettivo ma, siccome la cosa non si poteva dire apertamente, era un misto tra il 'grigio-verde' e il 'sut-vuss' (..) ".

Intanto il 30 maggio 1947 era nato ufficialmente il servizio di disinformazione sovietico, istituito come "comitato d'informazione" presso il Consiglio dei ministri dell'Urss. Dal 1949 a capo del Quinto Dipartimento del "servizio" di disinformazione, specializzato per le "campagne" all'estero fu chiamato il maggior-generale Pavel Zhuravliov, residente dell'Ogpu-nkvd (antesignano del Kgb) in Italia negli anni fra il1933 e il 1938.
La creazione del Cominform, con capitale Belgrado, pone la Jugoslavia, in quel 1947 come 'strumento propulsivo' della politica espansionistica di Mosca. Si comprenderà quale disdetta abbia poi rappresentato, per questa prospettiva, soprattutto riguardo all'Itala, la successiva crisi nei rapprorti fra URSS e Jugoslavia.
Fino alla rottura tra Stalin e Tito il PCI fu diretto da Mosca 'via Belgrado', come si esprimerà Caffery in un suo telegramma al proprio governo, trasmesso dall'ambasciata americana di Roma.
L'ipotesi americana, presentata in questo momento da diplomatici e agenti che operano in Europa (non solo occidentale), è che i comunisti italiani e francesi tenteranno di disarcionare i governi dai quali sono appena stati esclusi, giuocando d'anticipo sul piano Marshall, approfittando della situazione sociale delle classi popolari.
L'ambasciatore americano a Varsavia conferma che i comunisti polacchi sono in euforia in quanto ritengono vicino il momento in cui, con la collaborazione di Togliatti e Thorez, l'armata rossa avrebbe raggiunto i Pirenei.
Ancora nel 1947 Pietro Scoppola, ne ' La proposta politica di De Gasperi ' ammetterà che per vari anni, dopo la guerra, nel PCI togliattiano persisterà ' una mentalità leninista che concepisce la democrazia in termini puramente tattici e strumentali, come fase di passaggio alla rivoluzione di classe .'
Del resto sul numero 9 del settembre 1947 di 'Rinascita' , la rivista fondata da Togliatti, l'ideologo comunista Emilio Sereni scriverà un articolo dall'eloquente titolo di 'ILLUSIONI COSTITUZIONALI', ove si negava espressamente che ' la lotta per la costituzione, per una nuova struttura dello Stato e della società italiana ' fosse concepibile ' come una lotta che si svolge solo e si deve svolgere solo sul piano parlamentare: quasi che una costituzione possa esprimere altro che i rapporti delle forze di classe effettivamente operanti nel paese '.
L'esortazione dell'ideologo comunista è quella di ' non aver paura di mezzi estremi ' anche se occorre privilegiare la prudenza.
Al fine di evitare che il governo porti definitivamente l'Italia nel campo 'imperialista', occidentale, 'americano', il PCI è disposto a seminare il caos e scatenare la rivolta. Moscatelli confessa che ' è venuto il momento di tener ben oleate le armi '.
Nel frattempo i comunisti collaborano attivamente alla stesura della Costituzione borghese, dimostrando coma la loro duttilità tattica li porti a giuocare contemporaneamente su più terreni, tenendosi pronti per ogni evenienza che la Storia ( e le scelte finali di Stalin) riservi per loro.
Bradley Smith, sulla base dei documenti dell'OSS, ricorda come il partito comunista italiano, armato fino ai denti da dopo la fine della guerra civile sia penetrato, in quell'epoca e anche successivamente, nella forze di sicurezza di amministrazione dello Stato italiano.
Zaslavsky, nel suo citato articolo del gennaio/febbraio 2001 su “nuova Storia Contemporanea”, rievoca dal canto suo l'intervento conclusivo di Palmiro Togliatti alla direzione del partito del 10 ottobre 1947, in cui “Il Migliore”, che nel frattempo ha avuto qualche problema personale, con riflessi politici, data la sua relazione 'scandalosa' con Nilde Iotti, avverte il PCI che si doveva preparare “ se non all'illegalità, certo a una lotta molto dura ”, ponendosi apertamente la fatidica domanda : “ esiste oggi una prospettiva immediata di insurrezione? “ rispondendo che “ un comunista non la può escludere in eterno “.
La riunione della direzione del PCI seguiva quella polacca del Cominform, ove Zhdanov aveva attaccato il “cretinismo parlamentare” dei compagni occidentali. Togliatti tuttavia non sostenne la tesi insurrezionalistica, semplicemente non la escluse. E, infatti, quando Pietro Secchia nel dicembre del 1947 si recò a Mosca da Stalin, ricevette dal Grande Capo del comunismo mondiale il seguente giudizio:
“ La valutazione della situazione e della tattica presentata dal compagno Togliatti è giusta. Riteniamo che non bisogna puntare sull'insurrezione, ma bisogna essere pronti se il nemico ci attacca. Sarebbe utile rafforzare le organizzazioni dei partigiani italiani e accumulare più armi (Verbale della conversazione di I.V Stalin con P Secchia).
Scrive Zaslavsky andando oltre : “ Due fatti avvenuti in Europa tra il dicembre 1947 e il marzo 1948 ebbero indubbiamente una grande influenza sulla posizione sovietica riguardante la possibilità di ricorso ad un'azione armata, da parte del PCI, dopo le elezioni dell'aprile 1948. Il primo fu il ritiro delle truppe americane dall'Italia (eccetto quelle stanziate nella Venezia Giulia) nel dicembre 1947. Per la leadership staliniana la presenza delle truppe fu sempre il fattore decisivo per determinare la divisione dell'Europa in sfere d'influenza . Non stupisce perciò che i diplomatici sovietici abbiano chiesto ripetutamente e con insistenza ai dirigenti comunisti [italiani] di controllare la partenza delle truppe USA dall'Italia e di fornire dati sui materiali bellici lasciati dagli americani all'esercito italiano e sull'industria militare italiana.
Il secondo avvenimento di enorme portata politica fu il colpo di Stato compiuto dal partito comunista cecoslovacco nel febbraio 1948, preparato con la piena collaborazione sovietica. Gli avvenimenti di Praga rafforzarono i settori dei partiti comunisti europei propensi a passare alle azioni attive e a conquistare il potere attraverso un'insurrezione armata. Dopo il colpo di Stato in Cecoslovacchia la leadership stalinana incominciò a ricevere segnali dai vari paesi dell'Europa occidentale, dove i partiti comunisti pensavano di poter seguire l'esempio di Praga. La documentazione riservata sovietica ci permette di ricostruire gli umori e le speranze della leaderhip del PCI alla vigilia delle elezioni dell'aprile 1948. In merito al risultato elettorale, i dirigenti del PCI, nei colloqui con i rappresentanti sovietici, non nascondono il loro ottimismo, sostenendo fin dal gennaio 1948 che ' se le elezioni si svolgeranno in aprile, in piena legalità, porteranno la vittoria alle forze democratiche [popolari] ' e che la vittoria darà ' al partito comunista la possibilità di passare legalmente ad una tattica molto più risoluta, come è stato in Cecoslovacchia '.
Ricordiamo tuttavia che la Cecoslovacchia era nella sfera d'influenza sovietica, e che il fatto che i locali comunisti , che erano un vero partito di massa con grandi consensi ( a differenza che in altri paesi dell'est) , avessero impiegati quasi tre anni per concentrare finalmente tutto il potere nelle proprie mani, la dice lunga sulla grande prudenza della strategia sovietica....in tutta Europa.

Nell'occasione dell'incontro Stalin-Secchia del dicembre 1947, ricorda invece Valerio Riva, Stalin si preoccupò della “salute” di Togliatti, con allusioni alla sua vicenda amorosa con la Iotti, che Secchia non mancò di tentar di sfruttare a proprio vantaggio....Ma Stalin tagliò corto : “ Non c'è proprio bisogno che il compagno Togliatti si metta a fare l'asceta... “, anche se doveva salvaguardare di più “la sua salute”.
Nel precedente post abbiamo trattato delle varianti Secchia (più estremista) e Togliatti (più pragmatico) a disposizione dell'URSS, riguardo all'Italia. Queste varianti, abbiamo detto, appartenevano ad un'unica politica, ma non escludevano affatto rivalità personali, e usi anche meschini della vita privata del compagno-avversario. Fa parte pienamente della tradizione stalinista lo sfruttamento di qualsiasi argomento nella lotta per il potere. Baffone però volle evidentemente tenersi fino alla fine tutte e due le carte a disposizione.
Tra il 5 e il 10 gennaio 1948 si tienne a Milano il VI Congresso nazionale del Partito Comunista Italiano.
Dalla metà di maggio dell'anno precedente il PCI era ormai inesorabilmente un partito di opposizione, cacciato dal governo da Alcide De Gasperi.
Nella relazione introduttiva il segretario del partito rievocò il tratto di storia percorso dai comunisti italiani nei due anni che li separavanoo dal congresso precedente, e pose subito l'accento sulla nuova Costituzione Repubblicana : “ Questa Costituzione (...) ha parti positive e parti negative, ha lacune e debolezze.
Nonostante questo, essa è la prima Costituzione che tutto il popolo italiano si è data da sé, attraverso i propri rappresentanti liberamente eletti, è un legame che unisce tutti i democratici e, per lo meno nelle grandi linee, traccia il cammino che tutti siamo impegnati a seguire per condurre a fondo l'opera di rinnovamento che abbiamo iniziata con l'instaurazione del regime repubblicano “.
Togliatti qualificò la Costituzione repubblicana come “di tipo nuovo” in quanto oltre che indicare “il cammino futuro” non si limitava a lla proclamazione di 'diritti astratti' di libertà del cittadino, come le vecchie Costituzioni 'borghesi', promuovendo invece il 'nuovo diritto al lavoro' e “ a una retribuzione sufficiente, ai bisogni dell'esistenza, dell'educazione, al riposo, all'assicurazione sociale “.
Questi principi progressivi sono contenuti, secondo Togliatti, nella prima parte della Carta costituzionale, aggiungendo : “ Nella stessa Costituzione non esistono articoli i quali indichino concretamente quali sono i mezzi e gli istituti attraverso i quali verranno realizzate le indicate riforme e attuati i nuovi diritto del lavoro; anzi quando si passa alla seconda parte della Costituzione stessa, la quale organizza i n modo concreto il nuovo regime democratico, non vi è dubbio che in questa seconda parte la confluenza delle forze conservatrici della destra con quelle della Democrazia Cristiana è riuscita a far passera una serie di misure con l'esclusivo intento di porre ostacoli e barriere all'azione di quella assemblea dei rappresentanti del popolo che volesse veramente e speditamente marciare sulla via di un profondo rinnovamento economico e sociale del Paese, applicando nei fatti le promesse della Costituzione. Per questo il nostro avvenire politico e persino costituzionale è incerto poiché si possono prevedere scontri tra una parte progressiva che si appoggerà su una parte della nostra Carta costituzionale e una parte conservatrice e reazionaria che cercherà nell'altra parte gli strumenti della sua resistenza. Commetterebbe perciò un errore politico e ingannerebbe il popolo chi si limitasse a dire che tutto ormai è scritto nella Costituzione: applichiamo quello che ivi è sancito e saranno realizzate tutte le aspirazioni popolari. Questo è sbagliato. Nessuna costituzione è mai servita a salvare la libertà, se a difesa di questa non vi sono state la coscienza dei cittadini, la loro forza, la loro capacità di schiacciare ogni tentativo reazionario . Nessuna norma costituzionale ci assicura di per sé del progresso democratico e sociale, se la forza organizzata e consapevole delle masse lavoratrici non saprà dirigere tutto il Paese, sulla via dei questo progresso, e spezzare la resistenza della reazione ” .
Palmiro Togliatti sviluppò quindi una critica stalinista della Costituzione italiana, mettendo, come si suol dire, le mani avanti. Considerava il Togliatti le petizioni di principio contenute nella prima parte dellA Costituzione un passo avanti rispetto le normali costituzioni borghesi e lo Statuto Albertino. Questi principi non erano ancora socialistici e anticapitalistici, ma per realizzare ciò che promettevano dovevano necessariamente indicare una strada progressista, in fondo alla quale soltanto il socialismo era l'unico sistema politico-sociale capace di portare davvero a compimento il tutto. La parte della Costituzione che tratta delle istituzioni democratiche nel loro concreto funzionamento fu ritenuta invece da Togliatti pienamente borghese, e pertanto sostanzialmente non utile o addirittura d'intralcio alla realizzazione della prima. Togliatti difese sì la Costituzione in questa fase, ma come passo avanti effetttivo solo nei suoi principi “progressivi”, interpretabili, senza gran sforzo di fantasia, in modo socialisticheggiante. Ma Togliatti non sposò la struttura istituzionale dello Stato democratico prevista dalla stessa Costituzione, che era potenzialmente conservatrice e suscettibile di utilizzi reazionari.
La riflessione di Togliatti sulla “democrazia” rimandava direttamente, pur nello staliniano modo “non dogmatico” del “marxismo creativo”, ai concetti classici della lotta sociale del proletariato contro la borghesia e il capitalismo. Per Togliatti la “democrazia”, infatti, è veramente tale solo se a dirigere lo Stato sono le masse dei lavoratori organizzate nelle forze progressiste e in primo luogo nel partito comunista. Per Togliatti l'autentica democrazia è.....la dittatura rivoluzionaria del proletariato, guidato dal partito marxista-leninista, seppur detta dittatura, è concepita nella forma della “democrazia popolare” , così come si sta sviluppando anche nell'est, in ampi fronti popolari guidati dai comunisti, che presto si trasformeranno in regimi apertamente sovietizzati. Rispetto al linguaggio e alla linea delle “democrazia progressiva” della svolta di Salerno, quando l'obiettivo immediato del partito, secondo gli ordini di Stalin, era la guerra contro fascisti e tedeschi, ora Togliatti accorcia di fatto le distanze fra la “democrazia di tipo nuovo” e la “dittatura proletaria”. Proprio come si sta facendo, ma lì non solo a parole, nell'Est europeo in corso ormai di rapido completamento della sovietizzazione bolscevica.
Togliatti non mancò di ricordare, rievocando ancora il cammino compiuto dal precedente congresso, che mentre nel 1946 non solo la Costituzione era da fare, ma il Paese era in pieno regime di occupazione straniera, oggi ormai “ il ritiro delle truppe straniere di occupazione è compiuto”, indi per cui “ abbiamo riacquistato lo statuto di popolo libero e questo è un grande passo in avanti compiuto da tutta la nazione “.
Tuttavia ecco “il Migliore” sottolineare immediatamente come “ nuove forme di intervento straniero nella vita del nostro paese hanno incominciato a manifestarsi, e negli ultimi tempi in forma sempre più preoccupante “. Di questa “ingerenza” Togliatti attribuì ovviamente la responsabilità “ai nuovi gruppi dirigenti dello Stato italiano”. Togliatti tuonò quindi minaccioso: “ Questi gruppi e questi partiti, forse illudendosi che l'appoggio straniero possa assicurar loro un predominio permanente, piegano la nuca davanti all'intervento straniero, immemori, a così breve distanza, della tragica esperienza del fascismo ”.
La faccia tosta di Togliatti è senza paragoni, lui, capo indiscusso della quinta colonna di un regime totalitario che egli più di tutti egli sa sanguinario e terroristico (anche verso gli stessi comunisti....disobbedienti o sospetti), osa paragonare le potenze democratiche che hanno liberato l'Italia dal fascismo e dall'occupazine nazista, alla dittatura mussoliniana e alle sue scelte di sudditanza verso Hitler. Anzi, a ben vedere, egli paragona De Gasperi a Mussolini e gli USA alla Germania Nazionalsocialista! Ecco la statura morale dello stalinista perfetto, a cui tutt'oggi sono dedicate piazze e vie d'Italia....e mazzi di fiori da parte di delegazioni di militanti 'socialdemocratici' un tantino disorientati sulla storia remota del loro partito.
Togliatti non mancò di ricordare, dalla tribuna del VI Congresso, come il PCI, tramite l'Unione Sovietica, non fosse ancora riuscito ad ottenere la riammissione dell'Italia nelle Nazioni Unite, esternando uno strumentale patriottismo italiano contro le potenze democratiche che ancora vi si opponevanb, e che erano qualificate senz'altro, ben più marcatamente che nel 1946, come “imperialismo straniero”.
Buona parte del resto della relazione di Togliatti era volta a dimostrare come, nonostante le rovine della guerra, fossero state rosee le prospettive del paese quando i comunisti erano al governo, e di come invece fossero diventate nere, soprattutto per le masse popolari, ora che avevano prevalso le forze conservatrici e reazionarie, legate allo * imperialismo * straniero.
Togliatti ricordò soprattutto come si fosse ormai fermato del tutto il già lento processo delle necessarie 'riforme di struttura', che doveva essere il programma comune del C.L.N. . Il nuovo governo era anzi soggetto sempre più all'influenza delle vecchie classi conservatrici, che ogni riforma aborrivano e sabotavano.
La relazione di Togliatti non mancò di affrontare le vicende del comunismo internazionale:
“ .... Quando assieme abbiamo deciso di sciogliere l'Internazionale Comunista, l'abbiamo fatto perchè sapevamo che quella forma di organizzazione non corrispondeva più alle condizioni in cui si svolge la lotta della classe operaia e dei popoli per la loro libertà, per la loro indipendenza, per la emancipazione del lavoro. Questo non vuol dire che non sentiamo che l'obiettivo per il quale noi combattiamo e quello per il quale voi combattete [rivolgendosi ai comunisti stranieri] sono obiettivi comuni.
Le vie di sviluppo del movimento democratico dei singoli paesi d'Europa non possono essere eguali; diverse sono infatti nei singoli paesi le condizioni di sviluppo del capitalismo, diverso il peso dei residui del passato feudale, diverse le tradizioni nazionali e rivoluzionarie, diverse le forme di organizzazione della classe operaia e delle forze democratiche. Tutto questo lo sappiamo. Viva è però nei comunisti e nei lavoratori italiani la coscienza che una solidarietà di tutti i lavoratori d'Europa è oggi indispensabile se vogliamo riuscire a fronteggiare e abbattere il nemico comune. La fraterna e volontaria collaborazione, di carattere consultivo, di cui abbiamo posto le basi nella conferenza che ha avuto luogo in Polonia, è uno degli elementi necessari ai popoli d'Europa se essi vogliono allontanare da sé il flagello di una nuova guerra.
Su di noi, sul nostro partito e sul nostro paese, grava una responsabilità particolare. Se la causa dell'indipendenza e della pace trionferà in Italia, tutti i popoli d'Europa trarranno un respiro di sollievo e avranno il compito loro reso molto più facile. Se noi dovessimo essere sconfitti i provocatori di guerra avrebbero conquistato un prezioso punto d'appoggio per i loro attacchi.
(...) Guai a noi se l'imperialismo americano dovesse riuscire a realizzare i propri piani strategici facendo entrare nel quadro di essi la collaborazione anche solo passiva del nostro governo e del nostro paese.
Sarebbero minacciati tutti i beni che ci siamo conquistati con il lavoro e con la lotta di due o tre generazioni. Sarebbero minacciate la libertà, l'unità, l'esistenza stessa d'Italia come Stato indipendente .. “
Fortunatamente il 18 aprile 1948 il popolo italiano ha saputo scegliere, relegando i comunisti all'opposizione per decenni, e portando il nostro paese stabilmente nel mondo occidentale, libero, capitalistico, democratico, liberale, che con tutti i suoi difetti e le sue contraddizioni, è un davvero un Eden (anche e soprattutto per i lavoratori ) rispetto agli infernali paradisi dei lavoratori realizzati dai “fraterni compagni” di Togliatti, che in altre zone d'Europa, grazie al contributo di Mosca, sono approdati in quegli anni a quell'obiettivo che è sfuggito, per nostra fortuna, ai compagni italiani.
Più avanti Togliatti giunse a trattare, citando ampiamente il maestro Stalin, della strategia dei comunisti italiani, ricordando espressamente come la parola d'ordine della “democrazia progressiva” fosse stata elaborata, in relazione alle condizioni di ciascun paese, “ anche da parte di altri partiti comunisti “.
Con ciò Togliatti ammise ancora una volta che la democrazia progressiva della svolta di Salerno era ora diventata apertamente una variante occidentale di quella “democrazia progressiva e popolare' dei paesi dell'Est, che da li a pochi mesi, caduti gli ultimi veli, si trasformeranno tutti in dittature comuniste.
Spiegò così il Togliatti l'obiettivo strategico del comunismo italiano : “ L'obiettivo che ci proponiamo di raggiungere è di distruggere le radici del fascismo [ termine che abbiamo visto...ora investire ben altri soggetti.....nel lessico comunista....che i meri nostalgici del vecchio regime tirannico mussoliniano: ndr] e della reazione capitalistica, trasformando la struttura economica della nostra società, spodestando le vecchie classi dirigenti conservatrici facendo delle masse lavoratrici le vere depositarie del potere “.
In clima di doppiezza Togliatti non avrebbe potuto essere più chiaro! Qui egli parlò abbastanza apertamente di ciò che in termini marxisti – leninisti – stalinisti classici si chiamava e si chiama (nei suoi contemuti politici, istituzionali e sociali) : dittatura rivoluzionaria del proletariato.
Ma ovviamente, Togliatti si rendeva conto che in occidente la via non poteva essere esattametne quella che nell'est Europeo controllato dall'URSS si stava dispiegando. Infatti, rispetto all'obiettivo strategico classico, Togliatti, non dimentico delle elaborazioni gramsciane, propone quella via italiana che “ non si inventa, non la si deduce per via astratta da principi universali, la si costruisce sulla base della lotta quotidiana concreta delle masse. Alcuni elementi di essa incominciano a delinearsi, ma noi stessi, comprendiamo che questa nostra via è ancora in elaborazione e che dobbiamo aprircela con l'organizzazione e lo sviluppo della lotta delle masse e del nostro lavoro. L'esistenza dell'unità sindacale nella forma di un sindacato unico; l'esistenza di un'unità d'azione tra socialisti e comunisti, l'esistenza di un regime parlamentare, ma dall'altra parte lo sviluppo di un largo movimento di massa che si fonda sopra organizzazioni che sgorgano dalle masse stesse e dal loro movimento, sono alcuni degli elementi caratteristici del metodo appropriato al nostro Paese e che noi stiamo applicando per arrivare a costruire una democrazia nuova. Dobbiamo proseguire su questo cammino, senza mai perdere di vista il nostro obiettivo strategico fondamentale, comprendendo che esso è valido per tutto un periodo storico, sapendo regolare sopra di esso la nostra tattica, l'azione politica e le forme di lotta e di organizzazione “.
Come sulla Costituzione Togliatti tentava ancora di separare, nell'analisi, ciò che è contingente da ciò che è duraturo, ciò che è strategico da ciò che è tattico. Seppure il suo linguaggio fosse....quello tipico imposto dalle circostanze in cui si trovava ad operare, per di più in vicinanza delle elezioni politiche più importanti della storia d'Italia, non c'è alcun dubbio su quale fosse il significato concreto e queli fossero gli scopi ultimi del Partito Comunista Italiano: quelli per i quali nacque nel 1921, ossia la rivoluzione sociale, la dittatura proletaria e il comunismo. Oggi non è lecito avere ancora dubbi a riguardo, la documentazione storica che descrive l'insieme dei fatti di quel periodo è ....sostanzialmente univoca e inconfutabile. La leniniana combinazione del “lavoro legale con quello illegale” continuava ad essere, nella pratica quotidiana, lo schema operativo in cui era possibile inquadrare ogni mossa, ogni azione, ogni decisione del partito.

...continua....

Pieffebi
01-12-02, 19:46
Le rivendicazioni “socialpatriote” di Togliatti, contro gli USA e per l'amicizia con l'URSS, già abbozzate nel congresso precedente, erano sviluppate con la massima virulenza, fino al punto di produrre infami paragoni storici fra le democrazie occidentali (“imperialiste”) e il “nazifascismo”, paragoni che grazie al concorso degli intellettuali imbevuti di ideologia “progressiva”, anziché essere denunciati come quanto meno ridicoli e propagandistici, rischiavano di far presa su ampi strati popolari, come in effetti fu. L'antiamericanismo di gran parte della sinistra italiana si consolidò allora e non ha ancora cessato, ben oltre la caduta dell'impero totalitario sovietico e la stessa disgregazione del PCI, di avere i suoi effetti.....
Dunque il discorso di Togliatti del gennaio 1948 si articolava fra il forte risentimento per l'esclusione delle sinistre dalla stanza dei bottoni, avvenuta qualche mese prima, l'attesa e la speranza per le prime elezioni politiche della Repubblica, una lettura della nuova Costituzione fra ortodossia marxista-leninista e pragmatismo politico, e la riacutizzazione della polemica anti-americana e “anti-imperialista” ( con una impostazione tutto sommato... a mezzadria fra socialpatriottismo strumentale e aperto filo-sovietismo “internazionalista”). Il “blocco conservatore” nazionale e internazionale era dunque assimilato, in qualche modo, al fascismo ( e comunque alla reazione), seppure fosse evidente ai più il fine polemico propagandistico di questa sparata del Togliatti.
E' in questo contesto che vanno lette le coeve preoccupazioni americane per i progetti legislativi contro fascisti e monarchici in Italia. Dalla lettura dei documenti appare evidente che gli americani non erano affatto interessati ad una difesa dell'estrema destra italiana, ne' tanto meno dei movimenti di tipo monarchico, ma semmai all'uso strumentale fatto dell'antifascismo da parte dei comunisti, che una volta al potere, avrebbero potuto dare interpretazioni “elastiche” alle norme dirette contro il fascismo, colpendo loro tramite tutte le opposizioni, comprese quelle liberal-democratiche che pur erano state parte integrante dei CLN antifascisti.
E' da rilevare che, in qualche modo, anche sul fronte comunista, c'è stato almeno per un momento il sospetto che le forze moderate potessero interpretare in senso anticomunista le norme dapprincipio emanate contro i fascisti. Del resto, come vedremo in altro post, la politica del PCI verso fascisti ed ex fascisti era in questo momento molto disinvolta....e se c'era persistente e operante (anche sul piano dell'attività illegale) una dura, tradizionale avversione verso ogni neo-fascismo, collocato sul lato “conservatore e reazionario” dello schieramento politico ( neo-fascismo ovviamente caratterizzato principalmente in senso “anticomunista), d'altro canto vi era innegabile un interesse crescente della direzione del PCI verso i giovani “ex “ fascisti saloini “in buona fede”. In particolare verso i movimenti e le correnti, dentro e fuori del Movimento Sociale Italiano, che si caratterizzano per una linea decisamente anticapitalista e antiamericana e aperta ad influenze dichiaratamente “classiste” e “progressiste”, con non nascoste simpatie verso lo stesso Stalin e l'Unione Sovietica.

Rispetto alle elezioni del 1946 la forza del Partito Comunista Italiano e delle sinistre sembrava diventata improvvisamente molto più importante, quasi imponente, tanto da convincere la dirigenza del PCI circa la concreta possibilità di, addirittura, stravincere le prime elezioni politiche della Repubblica.
Gli americani dal canto loro erano comprensibilmente in allarme. Già nell'aprile 1947 nei suoi telegrammi al proprio governo il diplomatico statunitense Dunn sottolineava come * Il Dipartimento è preoccupato per il deterioramento delle condizioni politiche ed economiche dell'Italia che portano all'ulteriore crescita della forza comunista e al conseguente peggioramento della situazione degli elementi moderati, con i comunisti che diventano più sicuri di sé e inclini a non rispettare l'autorità del governo * .
Di fronte al questa situazione Dunn proponeva al Marshall e al Truman di “cambiare musica” rispetto all'inerzia precedente, sottolineando che “ Gli Stati Uniti hanno un profondo e amichevole interesse alla crescita di una reale democrazia in Italia; che noi siamo stati felici di assistere al ripristino della stabilità economica e saremo felici di continuare a prestare qui il nostro sostegno a quegli elementi che hanno profonda e costante fede nei processi democratici e nelle preservazione dell'indipendenza e della libertà del popolo italiano e che in Italia si oppongono al governo dei regimi totalitari sia di estrema destra sia di estrema sinistra (...) Abbiamo fiducia che il popolo italiano non desidera un regime totalitario che inevitabilmente romperebbe gli stretti legami che lo legano a quello americano “.
Del resto il diplomatico americano testimoniava come in Italia si respirasse un clima di “vera a propria paura fisica”, specialmente in Emilia “ dove i terroristi [comunisti] tengono la popolazione in un costante stato di psicopatia ”. Del resto già prima della cacciata dal governo, come ricorda il Sechi, il PCI : “ Siede in parlamento e utilizza ogni spazio di legalità, ma spesso (e volentieri) preferisce la piazza. Scatena e organizza le lotte sociali, sindacali e politiche, di massa e di categoria. Mentre è partito di governo e di unità nazionale NON dimentica di essere partito rivoluzionario, extra (se non anti) parlamentare. ”.
Figuriamoci, in queste condizioni storico-politiche, se il PCI era seriamente disposto a dimenticare le proprie velleità rivoluzionarie...dopo essere stato costretto da De Gasperi a passare di corsa all'Opposizione. Nell'interpretazione degli americani ciò era ancora più improbabile dopo che le truppe di occupazione alleate avevano abbandonato il Paese con il finire del 1947.
Le parole di Togliatti dell'autunno 1947, il viaggio a Mosca di Secchia del dicembre 1947, rivelato nei suoi contenuti politici e strategici dai documenti sovietici di recente rinvenimento, il discorso di Togliatti al nuovo congresso del partito comunista del 1948, i coevi documenti dell'est....e dell'ovest....dimostrano come la Direzione del PCI aspettasse da Mosca un segnale....relativamente alla linea strategica da adottare per la nuova fase. Stalin sembrò rispondere in sintesi : “ lasciamo al nemico la prima mossa, non saremo noi a violare per primi gli equilibri sanciti. Lo faranno di certo per primi gli imperialisti e allora dovremo essere pronti con armi, idee, organizzazione, consensi, astuzia e propaganda. ”. Ancora una volta Baffone si dimostrava estremamente cauto e prudente, ed estremamente legato ad una visione sovietico-centrica della politica europea e del movimento comunista internazionale.
La conseguente propaganda dei comunisti italiani è così presto sintetizzabile : “ il destino del popolo italiano sarebbe diverso dall'attuale di miseria e sofferenza per larghissimi strati, se l'Italia potesse avvalersi dell'amicizia disinteressata dell'Unione Sovietica e fosse diretta da un governo popolare capace di colpire con forza le classi conservatrici assicurando riforme sociali radicali in favore delle masse lavoratrici. Invece il governo attuale sta diventando sempre più uno strumento delle classi conservatrici e reazionarie e dell'imperialismo straniero, e diviene ogni giorno di più una minaccia per la democrazia, la pace, i diritti dei lavoratori“. La moderna mitologia “progressista” su un PCI [fin dal dopoguerra] più democratico dei suoi avversari di centro-destra e di sinistra moderata, sostenuta da storici marxisti occidentali come Hobsbawn e, in parte, Sassoom, da intellettuali post-comunisti come Vacca, e di fatto, dalla relazione Diessina alla “Commissione Stragi” di circa due anni orsono....nasce da questa linea di disinformazione inaugurata da Palmiro Togliatti, allineato completamente agli schemi propagandistici generali formulati per l'intero occidente Stalin e dai suoi ...esperti.
Ci vuole una bella faccia tosta o una profonda ignoranza per non vedere la profonda strumentalità e falsità di questa posizione. Del resto solo negli ultimi mesi uno storico di moda come Hobsbawm, per tanti anni membro del partito comunista britannico (fino al suo scioglimento), ha pubblicamente ammesso che gli anticomunisti hanno avuto ragione nel denunciare i contenuti intrinsecamente totalitari dell'ideologia comunista presenti fin dalle sue origini, e che gli esiti del comunismo non potevano essere in fondo che quelli che poi tragicamente si sarebbero ineluttabilmente, almeno in linea di tendenza, manifestati. Ben 13 anni di meditazioni dopo il crollo del muro hanno consentito allo storico anglo-austriaco di approdare a quella verità elementare che ancora aveva in gran parte respinto sul finire degli anni novanta. Allo stesso modo Norberto Bobbio ha finalmente ammesso, di recente, che le similitudini fra le opposte ideologie e gli opposti sistemi totalitari siano stati molto più profondi di quanto egli avesse mai voluto prima ammettere (anche piuttosto di recente), per ragioni strettamente legate alla storia politica italiana e al timore di favorire altrimenti un anticomunismo più reazionario p che non liberale o democratico. Bontà sua.

Dunque nel 1947/48 si creano le condizioni politiche per una rielaborazione della strategia politica del PCI e delle sue articolazioni tattiche, in dipendenza ad un insieme di avvenimenti che si caratterizzeranno infine con l'esclusione del PCI dal governo e l'inizio della guerra fredda. Il PCI era ora di nuovo pienamente una minaccia per l'assestamento della neo-nata democrazia italiana nella sfera occidentale, capitalistica e democratica.
La politica americana, di contrasto verso questa minaccia innegabile, è sintetizzata da un altro funzionario americano, che così comunicò al proprio governo in quei mesi di preparazione delle elezioni politiche : “ Il PCI non può essere eliminato come potente forza politica nei prossimi cinque mesi con i mezzi di cui dispongono gli USA. Ma un'azione energica ed efficace da parte di un governo moderato non comunista, con l'aperto sostegno degli USA, per migliorare l la posizione politica ed economica dell'Italia offre la migliore chance per controllare la crescita del partito comunista ed evitare che alle elezioni (..) esso venga fuori con una maggioranza parlamentare “.
Gli americani rilevavano, come scrive il prof. Sechi, che la lotta al comunismo richiedeva misure economiche e sociali ben più efficaci rispetto a quelle sino ad allora adottate dai governi italiani, compresi quelli a compartecipazione socialcomunista.
Occorreva , in sostanza, una lotta più efficace al mercato nero e al contrabbando, e necessitavano soprattutto misure finanziarie più adeguate. Ovviamente l'Italia non era ancora in condizione, in questo momento storico (1947/48), di poter provvedere, se non minimamente, da sola. Gli aiuti economici e finanziari americani erano di fatto indispensabili per accelerare la ricostruzione e la ripresa, ma richiedevano un piano articolato che tenesse conto della situazione di tutta l'Europa occidentale, ancora in pieno dopoguerra.
Il 5 giugno 1947 era stato annunciato il famoso “Piano Marshall”. Detto intervento economico-finanziario massiccio in Europa, costituirà certo un momento della linea americana per dare adempimento concreto alla dottrina Truman (di contenimento dell'espansionismo comunista nella sola sua zona di influenza...o anche meno) , ma anche un momento essenziale di una nuova fase della politica economica mondiale post-bellica, sostenuta dagli Stati Uniti, per favorire l'accelerazione dello sviluppo dell'economia capitalistica mondiale ( ritenuta non a torto, in quelle condizioni politiche, il principale fondamento economico-sociale delle possibilità materiali di evoluzione delle istituzioni democratiche in tutti i paesi, sul modello dell'Europa Occidentale e del Nord America).

Dopo il congresso del PCI del gennaio 1948 un grave avvenimento di politica internazionale indicò agli italiani il loro possibile destino e chiarì ancora una volta la natura e i possibili esiti della variante “coalizionista” (variante ....all'insurrezionalismo rivoluzionario bruto) della strategia togliattiana della “democrazia progressiva”: l'evoluzione dittatoriale della “democrazia popolare” in un paese posto sotto la sfera di influenza sovietica, che pareva più lontano di altri dalla sovietizzazione integrale.
Nel 1946 nella Cecoslovacchia liberata dall'Armata Rossa e destinata alla sfera di influenza sovietica il Partito Comunista Cecoslovacco ottenne il 38% dei voti e 114 seggi su 300 del Parlamento. Il blocco socialcomunista disponeva tuttavia di 153 seggi su 300, e quindi della maggioranza assoluta, ma nell'ottica della “coalizione nazionale” antifascista aveva infine cooptato forze di centrosinistra e persino di centrodestra. Il modello di “nuova democrazia” era ancora pluralista, sebbene le angherie e le sopraffazioni delle sinistre iniziassero ad essere pesanti, esistevano ancora considerevoli spazi di libertà e agibilità politica.
La situazione economico-sociale del paese, nel 1947 iniziò a farsi seria, tanto che quando fu lanciato il piano Marshall la stessa dirigenza comunista cecoslovacca si dichiarò interessata. Ovviamente giunse tempestivo il veto sovietico. Nel congresso del novembre 1947 del partito socialdemocratico, l'ala sinistra, filo-comunista, fu sconfitta dalla corrente riformista. Il PCC sembrava in difficoltà e stava iniziando a perdere consensi. Le nuove elezioni politiche erano state fissate per la primavera del 1948, e molti sondaggi davano i comunisti in netta flessione. La direzione comunista del governo cercò allora di imporre un'ondata di nazionalizzazioni e riforme economiche socialiste per ribaltare quella tendenza. In questo contesto, il 12 febbraio 1948, prendendo a pretesto questioni di secondaria importanza, i dodici ministri dei “partiti borghesi” facenti parte del governo di unità nazionale uscirono dall'esecutivo, pensando di provocarne la caduta e di accelerare la crisi del PCC, in vista delle elezioni. La reazione dei comunisti fu però tipica. Il Partito mobilitò tutte le sue organizzazioni di massa, la milizia operaia armata, e agitò le piazze. Ovunque si costituirono sotto la direzione del Partito Comunista dei “Comitati d'Azione per il Fronte Nazionale” che formalmente agivano in nome delle “parti sani e democratiche” di tutte le forze politiche “antifasciste e anti-imperialiste”, contro i traditori “al servizio della reazione e dell'imperialismo”. I comunisti, come nella loro tradizione, cercavano di risolvere in modo extra e antiparlamentare le loro sconfitte economiche e politiche, prevenendo (o rimediando) con le piazze, alle sconfitte elettorali.
Il 25 febbraio il presidente Benes accettò le dimissioni dei ministri non comunisti e promosse la formazione di un nuovo esecutivo, sempre formalmente di “unità nazionale”, in cui accanto a dodici ministri comunisti e a tre socialdemocratici (della corrente filo-comunista) erano rappresentate le correnti “sane” dei partiti populista, socialista-nazionale e democratico. I ministri di questi movimenti denunciarono come traditori i vertici dei loro stessi partiti, di cui si proclamarono i legittimi rappresentanti.
Nelle altre democrazie popolari era avvenuto qualcosa di simile in modo più accelerato e subdolo, con andamento strisciante.... e il processo si sarebbe presto completato in tutto l'Est europeo senza lasciare dubbi di sorta sul significato dei termini “democrazia progressiva” e “popolare”, tanto amati dai comunisti italiani.
Alle elezioni del 30 maggio 1948 i cittadini cecoslovacchi ebbero a disposizione due sole schede, una del sedicente “Fronte Nazionale”, espressione del Partito Comunista Cecoslovacco (che nel frattempo aveva assorbito i socialdemocratici) e dei gruppetti satelliti degli “utili idioti”; l'altra scheda era bianca. Infatti secondo le autorità comuniste cecoslovacche nessun altro partito o movimento aveva raggiunto il numero legale di firme per poter presentare liste alle elezioni.
Il Colpo di Stato comunista in Cecoslovacchia, approvato dal PCI e, a bocca storta, dal PSI, contribuì alla sconfitta del Fronte Popolare italiano il 12 aprile 1948. Come ammette Sassoon “ Questa via al potere, la via cecoslovacca, venne considerata come il modello strategico del comunismo in occidente e la ragione per cui non ci si potesse fidare dei comunisti ”, diremo noi....un'ulteriore formidabile ragione....
Il fronte socialcomunista di Togliatti e Nenni raggiunse, il 12 aprile 1948, soltanto il 31% dei voti contro il 48,5% della Democrazia Cristiana di De Gasperi, e l'oltre 7% dei socialdemocratici di Saragat. Nel nuovo Parlamento repubblicano entrarono anche cinque deputati neo-fascisti del MSI.
Il 10 luglio1948 il capo degli stalinisti italiani, Palmiro Togliatti, pronunciò alla Camera dei Deputati un durissimo discorso contro l'adesione del governo italiano al piano Marshall, considerando inoltre truffaldine e svoltesi sotto l'ingerenza imperialistica le elezioni di aprile, che avevano fermato l'avanzata della “macchina da guerra” allora non ancora gioiosa, delle sinistre marxiste-leniniste.
Togliatti spiegò che il piano Marshall avrebbe asservito l'intero continente Europeo (ad esclusione, ovviamente, delle “gloriose” democrazie popolari) “all'imperialismo economico e politico degli Stati Uniti”, e concluse il suo discorso con una minaccia:
“ Desidererei dirvi però un'altra cosa: ed è che se il nostro Paese dovesse essere trascinato per la strada che lo portasse ad una guerra. Anche in questo caso noi conosciamo qual è il nostro dovere. Alla guerra imperialista si risponde oggi con la rivolta, con la insurrezione per la difesa della pace, dell'indipendenza, dell'avvenire del proprio Paese! Sono convinto che nella classe operaia, nei contadini, nei lavoratori di tutte le categorie, negli intellettuali italiani, vi sono uomini che saprebbero comprendere, nel momento opportuno, anche questo dovere “.
Fu un socialista democratico, Carlo Andreoni, a rispondere a tono dalle colonne del quotidiano L'Umanità a Togliatti:
“ Per quanto ci riguarda dinanzi a queste prospettive ed alla jattanza con la quale il russo Togliatti parla di rivolta, ci limitiamo ad esprimere l'augurio, e più che l'augurio la certezza che se quelle ore tragiche dovessero suonare per il nostro popolo, prima che i comunisti possano consumare per intero il loro tradimento , prima che armate straniere possano giungere sul nostro suolo per conferire ad essi il miserabile potere di Quisling al quale aspirano, il governo della Repubblica e la maggioranza degli italiani avranno il coraggio, l'energia, la decisione sufficiente per inchiodare al muro del loro tradimento Togliatti e i suoi complici. E per inchiodarveli non solo metaforicamente .”
Queste inappuntabili parole furono il pretesto per accusare, da parte del PCI stalinista, il giornalista socialdemocratico, di essere una sorta di mandante morale del gravissimo attentato che il 14 luglio 1948, subì il capo dei comunisti italiani per mano dello studente Antonio Pallante.
Come ricordò Massimo Caprara : “ Colpito alla nuca e al torace, Togliatti cadde senza un grido, in ginocchio: prima si appoggiò al cofano dell'auto, una 1100 nera dell'on. Rondolfo Pacciardi, ministro della Difesa, poi, raggiunto da un proiettile accanto al cuore, scivolò all'indietro gli occhi sbarrati ”.Operato d'urgenza dal professor Valdoni, al Policlinico, Togliatti, cinquantacinquenne, salvò la pelle. L'alessandrino Walter Audisio, colui che si vantava di aver ucciso Mussolini e la Petacci, non si sa quanto a ragione, indicò sfacciatamente in Alcide De Gasperi il mandante dell'attentato, mentre Pajetta ed Amendola accusarono il “traditore del socialismo” Giuseppe Saragat. Allora non vi erano però ancora pentiti di mafia da manovrare da parte di Procuratori fiancheggiatori del partito...
La marea della ribellione comunista montò in tutto il paese, ma soggiunsero presto le direttive del vertice supremo, istruito ancora da Mosca, .... che erano chiare: niente colpi di testa. Togliatti stesso, appena fu possibile, fece sapere al partito che doveva contenere la reazione ed evitare le avventure.
Il PCI aveva appena perso sonoramente le elezioni, che lo avevano qualificato come importante ma inequivocabile MINORANZA nel paese. Nel frattempo la rottura fra Stalin e Tito aveva privato i comunisti italiani del supporto logistico di Belgrado, così importante nei piani sovietici verso l'Italia. In sostanza il blocco sovietico, in quel momento, non confinava più con il nostro paese, e la Jugoslavia comunista era considerata un paese “traditore”, che a propria volta doveva difendersi dall'URSS.
Scrivono Montanelli e Cervi : “ L'Unità preparava un titolo a tutta pagina in cui veniva intimato: * Dimissioni del governo della discordia e della fame, del governo della guerra civile *; fabbriche, strade, piazze, ferrovie, centrali telefoniche, anche caserme di polizia o addirittura città intere cadevano nelle mani delle masse di scioperanti e dimostranti. La marea della ribellione crebbe spontaneamente, tanto che Luigi Longo, capo del Partito in quei frangenti, disse al vecchio militante Barontini : * Se l'onda cresce, lasciala montare; se cala, soffocala del tutto *. Ma alcune iniziative obbedivano senza dubbio a un disegno vasto: così i blocchi delle strade, così il sequestro dei dirigenti di una trentina di fabbriche a Torino – incluso il professor Valletta – l'interruzione ad Abbadia San Salvatore del cavo telefonico che collega il settentrione della penisola con le altre regioni, i chiodi a tre punte buttati un po' dappertutto per impedire il transito di automezzi della polizia, le lastre blindate fissate ai binari del tram a Genova, e dovunque violenze, minacce, spari, disarmo di carabinieri e poliziotti, sangue e morti.
Il PCI fu colto di sorpresa dall'ampiezza della sollevazione: lo fu anche la CGIL che finalmente – assente Giuseppe Di Vittorio in quel momento a San Francisco, a una riunione dell'ILO, l'organizzazione internazionale del lavoro, e rientrato precipitosamente, proclamò lo sciopero generale. Una decisione che i rappresentanti cattolici Pastore, Rapelli e Cuzzaniti, il repubblicano Enrico Parri e il socialdemcoratico Giovanni Canini non approvarono (...). Togliatti nel suo letto d'ospedale non poteva conoscere la situazione, ma la intuiva, aveva sussurrato parole incitanti alla calma: e lo era perchè Matteo Secchia, fratello di Pietro, era corso all'ambasciata sovietica a chiedere lumi: 'Si può fare l'insurrezione?'. Gli era stato risposto: 'No, oggi non si può'. Eppure, come telegrafavano e telefonavano i prefetti, alcuni dei quali assolutamente impari alla prova, * colonna di cinque autoblinde della polizia assalite da forze soverchianti et catturate piazza De Ferrari. Sono altresì piazzate armi automatiche sul ponte monumentale et su diversi caseggiati via XX settembre * (Genova); * ....primi automezzi usciti per pattugliamento fatti segno reiterato colpi di arma da fuoco cui agenti hanno risposto ....due negozi di armi svaligiati ....* (Livorno) (...) ... * a Monte Amiata un gruppo di facinorosi si è impadronito del maresciallo dei carabinieri. Questi è stato trovato stamane ucciso: il corpo era stato completamente denudato. E' risultato che egli era stato dapprima strozzato e poi finito con un colpo alla nuca. A Civita Castellana un carabiniere ha avuto la testa fracassata. A Taranto alcuni carabinieri sono stati aggrediti e calpestati dalla folla *. Si ebbero poi incriminazioni e processi in gran numero, contro i responsabili – o presunti tali – degli eccessi: processi cui il PCI attribuì le caratteristiche deteriori d'una caccia alle streghe ”.
L'attentatore di Togliatti, un giovane spostato con simpatie neo-naziste (aveva sul comodino una copia dell'hitleriano “Mein Kampf”), fu condannato a 13 anni e otto mesi (ridotti a 9 in appello). Gli avvocati comunisti dei parte civile....non insistettero per nulla sulla tesi del complotto, tanto questa era manifestatamente priva di contenuti razionali o supportata dal minimo indizio.
Come ha notato Martin Clark dopo la sconfitta dei comunisti alle elezioni e la sconfitta dei moti popolari succeduti all'attentato al capo dello stalinismo italiano, il consolidamento della democrazia italiana, con i suoi limiti e le sue contraddizioni, fu dovuto al fatto che l'anticomunismo fu abbinato al persistente spirito antifascista : “ I partigiani della resistenza e i deputati dell'Assemblea Costituente non avevano combattuto e sofferto invano. La Democrazia Cristiana poteva essere clericale, ma era anche antifascista. Poteva anche essere appoggiata dai conservatori meridionali ma era guidata dai riformatori settentrionali. De Gasperi fu prudente nella vittoria. I suoi governi dopo l'aprile 1948 furono coalizioni in cui incluse i liberali, i repubblicani, i socialdemocratici di Saragat. Governò con il Centro non con la Destra [intesa come parte fascista e/o monarchica : nota di pieffebi], e non si dimostrò succube del Vaticano di PIO XII. Inoltre, nella nuova repubblica ci fu spazio per il dissenso e l'opposizione. I comunisti potevano anche essere stati esclusi dal governo, ma non furono cacciati dal sistema. E anche per quel che riguarda l'innegabile conservatorismo economico e sociale della nuova repubblica, si trattava di un conservatorismo antifascista: i fascisti, infatti, avevano governato un'economia pianificata e uno Stato sociale finendo per screditarli entrambi. L'Italia del 1948 aveva voltato le spalle al fascismo, al nazionalismo e all'alta politica “.
La vittoria sul comunismo fu, per la democrazia occidentale italiana, il completamento della vittoria sul fascismo e assicurò al Paese la democrazia e la libertà, democrazia e libertà che i comunisti avevano contribuito a costruire combattendo il fascismo, partecipando attivamente ai lavori della Costituente, e che avevano invece potenzialmente minacciato( in virtù del loro scopo finale, della loro dottrina e dato il loro essere parte del movimento internazionale capeggiato dall'URSS staliniana), e che ora erano costretti a difendere come condizione della propria libertà e agibilità politica, in attesa....di tempi migliori.

Continua.....