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Visualizza Versione Completa : Quel Pinocchio d'un Laico



nuvolarossa
07-06-02, 17:22
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Bellissimo Pinocchio
Anteprima Benigni

ROMA — Solo poche immagini, schegge di racconto, niente più che frammenti, ma di sfolgorante bellezza. Tutto il film sarà così? Bisognerà attendere ottobre per accertare se la qualità del trailer corrisponde a quella del film, senza dubbio uno dei più attesi della prossima stagione: il "Pinocchio" diretto e interpretato da Roberto Benigni. Agli "Screenings" che si sono svolti a Ostia da martedì a ieri, sono stati presentati agli esercenti italiani i listini della stagione cinematografica 2002-2003. Sono stati proiettati duecento trailer e oltre il 50 per cento dei 1500 votanti ha deciso di assegnare il primo "Trailer d'oro" proprio al "Pinocchio" di Benigni, preferito al trailer di "Gangs of New York" di Martin Scorsese, arrivato secondo. E sarà sempre "Pinocchio", secondo un sondaggio, il film che il pubblico andrà a vedere di più, seguito da quello di Aldo, Giovanni e Giacomo. «Esercenti, vorrei scendere dallo schermo e abbracciarvi tutti», esordisce Benigni nel filmato rivolto alla platea di addetti ai lavori e che precede il trailer vero e proprio. E spiega che in "Pinocchio" c'è tutto, «poesia, beatitudine, comicità, furberia, cattiveria, bontà, dolore, il ridere, il piangere, l'amore, le sofferenze, le estasi». E avanti a spiegare, a modo suo: «Non potete sapere com'è bello. Io gli ho voluto un bene: l'ho lavato tutto, gli ho messo i vestiti nuovi, il cappellino di mollica di pane. E' un film che piace alle nuvole, che puoi proiettare in cielo, sulle piante. E' una cosa di una bellezza che si schianta. Io ve lo consegno con tutto l'amore del mondo, sapendo che gli esercenti italiani sono i più bravi e forse, dopo questo, farò un film su un esercente, "Via con l'esercente" o "L'ultimo esercente"». Come sempre, anche in filmato, Benigni è incontenibile e travolgente. Prosegue annunciando che il film potrà essere nelle sale l'11 ottobre 2002 e dovrà restarci minimo un anno di fila. «Esce a ottobre, ma poi a Natale i ragazzi dove vanno? Tutti a vedere "Pinocchio". Dice no, non c'è più. Come non c'è più? Chi è stato? Gli esercenti. Gli esercenti? Avete una responsabilità verso i ragazzi e non potete levare il film perchè se no ci appelliamo all'articolo 18, per cui non si può levare un film senza giusta causa. E poi, anche a Pasqua e in estate: dove vanno i ragazzi? A vedere "Pinocchio". Dice, no, "Pinocchio" non c'è più, l'hanno levato. Chi? Gli esercenti. Gli esercenti?...».
Sperano di conquistare un posto alla Mostra del Cinema di Venezia alcuni film pronti, comunque, per uscire a settembre, ottobre. Tra questi i nuovi film di Mimmo Calopresti, regista e protagonista de "La felicità non costa niente", e di Paolo Virzì, "My name is Tanino", prodotto da Vittorio Cecchi Gori, storia comico-avventurosa di un ragazzo che parte da un paesino della Sicilia alla conquista degli States. «Nonostante i travagli che hanno accompagnato la lavorazione — dice Virzì — Cecchi Gori ci ha fatto fare un film ricco, di cui siamo orgogliosi». E' grato a Cecchi Gori anche Sergio Rubini, regista de "L'anima gemella", con Valentina Cervi. «C'è stata un po' di ansia — ricorda Rubini — ma abbiamo avuto tutto quello di cui avevamo bisogno. E auguro a Vittorio di tirarsi su, di farcela».

di Beatrice Bertuccioli
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tratto da IL RESTO DEL CARLINO del 07 giugno 2002

nuvolarossa
18-06-02, 19:12
Da oggi in edicola con il quotidiano il romanzo di Carlo Collodi cui Giovanni Spadolini attribuiva uno spirito mazziniano

Il burattino Pinocchio fra gli uomini che fecero l’Italia

A proposito del Pinocchio di Collodi, adesso riproposto nella «Biblioteca del Corriere», ha ragione Giorgio De Rienzo di sostenere che in quel celebre burattino si possono cogliere i mille volti di un eroe inafferrabile. E gli esempi che fa, sono molti e spesso diversi fra loro. Ma proprio per questo credo che meriti di non essere dimenticata anche l'originale interpretazione, che - in chiave più propriamente ideologico-culturale - ne ha offerto Giovanni Spadolini, un nome caro ai nostri lettori. Per Spadolini, infatti, il mazziniano Collodi (un «mazziniano sfegatato» avrebbe aggiunto Ferdinando Martini) ha saputo dare alla figura di Pinocchio una sua «missione», perché nelle straordinarie vicende, spesse esilaranti o magari dolorose, dell'inquieto burattino si avverte quella sete di «riscatto», quella volontà di «redenzione», che non costituisce solo il fascino segreto del libro, ma diventa una delle «più potenti idealizzazioni» della cosiddetta «morale borghese», che si identifica nel libero arbitrio, nello sforzo individuale, «nella esaltazione del lavoro», segno distintivo del «nuovo laicismo operoso su cui doveva fondarsi lo Stato italiano».
Altri (per esempio, il cardinale Giacomo Biffi anche di recente) hanno insistito su una chiave interpretativa religiosa, addirittura cattolica, magari vedendo nella Fatina dai capelli turchini addirittura la trasposizione della Madonna... Spadolini, invece, questa Fatina la considera «l'espressione allegorica del "miracolo" borghese»; non solo, ma sostiene che «c'è in fondo a Pinocchio un po' della morale mazziniana dei Doveri dell'uomo», aggiungendo che si tratta di «una morale di ispirazione democratica». Tant'è vero che la dannazione di Lucignolo, il compagno di avventure nel Paese dei balocchi, si può interpretare come «la conferma esplicita e spietata, che senza piegarsi alle regole della vita, non vi è possibilità di sopravvivere nel grande gioco del mondo».
Un burattino, dunque, per divertire i piccoli lettori, ma soprattutto per insegnare ai grandi che la rivolta contro il padre, o la fuga dalla casa di Geppetto, con le disgrazie e le disavventure conseguenti, ci fa meglio capire «il contrasto fra il bene e il male». Ecco perché Spadolini ha voluto collocare Collodi nell'ideale galleria di quelli che ha definito Gli uomini che fecero l'Italia (titolo di un suo libro, edito da Longanesi), mettendo il celebre e simbolico papà di Pinocchio accanto a tre altri scrittori, le cui opere letterarie hanno contribuito alla nostra formazione: De Amicis con gli eroi del Cuore , Salgari coi racconti avventurosi dal Corsaro nero ai Pirati della Malesia , e Stoppani con Il Bel Paese e l'esaltazione della natura, come armonia, svago e salute.

Arturo Colombo

nuvolarossa
21-06-02, 23:26
Il Pinocchio del cardinale Biffi, una storia salvifica

BOLOGNA
Il Cardinale Giacomo Biffi torna a parlare di Pinocchio. Lo fa con un commento ai personaggi collodiani e un saggio introduttivo ad un prezioso volume de «Le avventure di Pinocchio», edito da Art’è in tiratura limitata con disegni originali di Mario Ceroli. L’attrazione del card. Giacomo Biffi per Pinocchio dura da 56 anni. L’attuale arcivescovo di Bologna scoprì il capolavoro di Collodi sui banchi del liceo, nel 1946, lo studiò a fondo e al termine di una lunga riflessione pubblicò nel 1977 un "commento teologico": « Contro Maestro Ciliegia», testo che fu ampliato nel 1982 e poi pubblicato nella collana degli Oscar Mondadori. Nella presentazione dell’opera - avvenuta a Bologna a palazzo Re Enzo - il cardinale ha raccontato il «suo» Pinocchio, che trova prima nella morte e poi nella «resurrezione», la soluzione della crisi esistenziale di Collodi. Biffi ha ricordato come nella stesura chiusa con la puntata del 27 ottobre 1881 e l’impiccagione di Pinocchio, Carlo Lorenzini esprimesse la propria «inquietudine» e il «disincanto» per un mondo che lo aveva deluso, dopo l’impegno giovanile nella prima e nella Seconda guerra d’indipendenza. Ma la ripresa del racconto, con la puntata del 16 febbraio 1882, offre «la resurrezione dell’inverosimile eroe» e «la storia si illumina di significato e intenzionalità». Collodi passa quindi dalla morte e dal nulla «come solo desolato traguardo dell’ esistenza» - ha spiegato Biffi, citando il Macbeth di Shakespeare e il Leopardi come esempi di lucido pessimismo - alla speranza. «Ribaltando la primitiva impostazione - ha aggiunto - il Collodi scampa alla sorte di essere l’incauto profeta dell’irrazionalità e dell’angoscia, e diventa il vate non dell’assurdo, bensì del mistero salvifico». Decisivi per questo ribaltamento di prospettiva, secondo Biffi sono gli interlocutori del Collodi che, deluso dagli adulti e comunque dai «personaggi importanti», cambia strada e si rivolge ai ragazzi i quali «non sono né reazionari né progressisti, né clericali n é anticlericali, né mazziniani né sabaudi, né liberali né socialisti», ma hanno ancora «una umanità fresca e aperta alla verità». È quindi anche grazie ai piccoli che Collodi diventa «il cantore di verità sostanziali ed eterne». Il cardinale Biffi ha pure confessato di essere rimasto «progressivamente incantato» dal temperamento del Collodi e dalla sua «ricca ed estrosa umanità»; ha detto di considerare Pinocchio «un enigma» che non ci si deve stancare di indagare; ha parlato di un’opera con il dono di una fantasia inesausta, di «un arcano intrigante», di «suggestiva poeticità», di «deliziosa storia surreale».

nuvolarossa
16-08-02, 00:03
Azione laica scende in campo alla Ugo Pisa

MARINA DI MASSA

E' nata Azione Laica.
E si è presentata ai cittadini martedì sera alla colonia Ugo Pisa a Marina alla Festa dell'Edera.
«Azione Laica nasce dall'esigenza di un gruppo di persone, di diversa formazione culturale e politica, portatrici di un pensiero laico, di discutere al di là dei soliti schemi. Andando al di là delle segreterie di partito» affermano i promotori.
Azione laica è stata presentata da Francesco Elefante (Sdi), Claudio Palandrani (Pri), Bruno Borghini (Verdi), Carlo Del Nero (Radicali) e Giangiorgio Giorgini (Liberali).
«Nasce un luogo di discussione perché la politica lontana dalla gente diventa mestiere e professione» ha detto Palandrani. Attualmente Azione Laica sarà ospitata dal circolo culturale Edera di via Alberica a Massa.

Giammarco Puntelli

nuvolarossa
10-09-02, 21:33
Per un approfondimento
sul "Laicismo" si
consiglia la lettura del


Saggio sul Laicismo, di Felice Mill Colorni (70 Kb) (http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//013%20Saggio.PDF)

nuvolarossa
10-09-02, 21:33
Per un approfondimento
sul "Laicismo" si
consiglia la lettura del


Saggio sul Laicismo, di Felice Mill Colorni (70 Kb) (http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//013%20Saggio.PDF)

nuvolarossa
16-09-02, 00:43
La mia lunga battaglia contro le ingiustizie
Un cammino comune fra laici e cattolici

Non c'è dubbio: chi ha ricoperto incarichi di governo deve sempre rispondere del proprio operato. L'assessore al Commercio della giunta Domenici ha domandato al sottoscritto, con un articolo su La Nazione, «cosa facesti quando eri nel governo di Firenze?». Ecco una breve risposta. Come assessore alla casa nelle giunte dei sindaci Bonsanti e Lando Conti feci sgombrare, dalla polizia e dai carabinieri le case occupate abusivamente in Via De' Bosis da famiglie legate alla malavita organizzata. Primo in Italia a fare questo lavoro di pulizia. Durante la giunta Morales (come vice sindaco e assessore alla Finanze e ai Tributi) decisi la linea dura contro gli ambulanti (per la verità sono fermi da decenni nei soliti posti) che stavano sotto gli Uffizi. Lessi le loro dichiarazioni dei redditi nel consiglio comunale (la più alta era di poco più di un milione di lire al lordo di imponibile all'anno). E poi portai quelle dichiarazioni dei redditi alla Guardia di Finanza. Il comune assecondò così lo spostamento degli ambulanti da sotto le Logge degli Uffizi ordinato dal Ministro Ronchey dopo lo scoppio della bomba di Via De' Georgofili. Potrei aggiungere altri fatti. Ma mi fermo qui. Per far capire che la mia richiesta di regolamentare in modo equo il mercato di San Lorenzo rientra in una linea di rigore che non ho mai abbandonato. Certo sono cattolico. E vorrei essere davvero un uomo «pio» ma purtroppo è una battaglia, anche questa, che ogni giorno rischio di perdere. Mi conforto leggendo Francois Mauriac che ha ben descritto i limiti della fede quando si coniuga con le passioni degli uomini. Ribadisco, però, che monsignor Livi ha ragione. La Chiesa di San Lorenzo deve essere liberata dalle bancarelle che la soffocano. Il centro storico non può essere sfruttato da nessuno in modo selvaggio e senza regole.
Ricordo che molte di queste battaglie civili le ho fatte insieme a laici come Lando Conti, Aldo Orvieto, Alfredo Franchini e con Antonio Marotti oggi unico vivente, con Tristano Governi e Sandro Barcali, di questo gruppo «storico» di benemeriti politici repubblicani fiorentini. Nel 1999, quando fui candidato a sindaco di Firenze erano con me Giovanni Gentile jr., Leonardo Conti figlio di Lando, e Guido Spadolini nipote del Presidente Giovanni Spadolini. Una lista che mi appoggiava in questa testimonianza di riscatto democratico era composta da repubblicani e liberali. Tre anni fa vennero a Firenze per sostenere la mia candidatura gli onorevoli Valerio Zanone e Giorgio La Malfa. Credo che tutto questo basti a dimostrare che oggi non cerco di affermare un «fondamentalismo religioso» per riordinare la Piazza San Lorenzo. Mi batto invece per una città dove regni la giustizia e la bellezza. Una certa idea di Firenze che ho sempre proposto è stata, spesso, condivisa dagli animi più nobili della cultura laica italiana e fiorentina. Altro che inutili e superate lotte tra guelfi e ghibellini…

nuvolarossa
18-09-02, 18:09
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI004.JPG

nuvolarossa
21-09-02, 12:31
Marcello Carosi, Pinocchio. Un messaggio iniziatico, Roma, Edizioni Mediterranee, 2001, pp. 259, euro 12,91

Analitica lettura esoterica del capolavoro di Carlo Collodi, al secolo Carlo Lorenzini. Un itinerario meticoloso, compitato diligentemente sulle tracce delle intuizioni di Rudolf Steiner. Un tema su cui, comunque, vorremmo ritornare.
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tratto da il Pensiero Mazziniano (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

Anita
23-09-02, 13:11
Ma il film di Benigni quando esce?

la_pergola2000
23-09-02, 21:12
Anche se Collodi fu un repubblicano, il grande respiro pedagogico che attribuiamo al libro non so se verrà trasfuso nel film, per cui l'aspettativa potrebbe giocarci qualche brutto scherzo.
Ho visto il trailer in televisione, ma non mi ha entusiasmato, qualcuno già vede qualcosa di Disney, comunque speriamo bene , per il compagno "Oscar" Benigni e con lui per La Medusa, compagnia del cavalier Berlusconi in arte presidente del consiglio, che distribuisce il film.
Conflitto di interessi, legge del giudice Cirami, rogatorie, tutto passa in seconda fila quando si è prodotti. e si è schiavi del capitalismo.
Ciao.
11 ottobre o 20 dicembre, bisogna creare l'aspettativa, ci sono tecnici dei lanci che vengono pagati apposta.

nuvolarossa
24-09-02, 17:02
Perché l'unità dei laici

Nino Martinazzoli, ex ed ultimo segretario della Democrazia cristiana, dissoltasi sotto l'urto della cosiddetta "rivoluzione referendaria", per diventare senza successo Partito popolare italiano, oggi scheggia della Margherita, dice dell'attuale sistema bipolare che "lungi dall'essere democrazia dell'alternanza, sa tanto di guerra civile".

Certo, dinanzi alle due coalizioni competitive segnate da lacerazioni profonde al loro interno e che non riescono a darsi un progetto politico coerente, e dove l'Ulivo, o quel che fu, con i suoi "girotondini" e i suoi "no global", continua ad offrire l'immagine di una Babilonia permanente, il disagio di un cattolico democratico che si ispira alla lezione, di Sturzo, De Gasperi e Moro è più che giustificato.

Nasce da constatazioni evidenti e innegabili. Un cattolico che fu vicino a papa Montini e a quel mondo che la "Moricelliana" di Brescia coltivò attraverso le letture di un cattolicesimo francese che coniugava il messaggio evangelico con i valori della Repubblica, sente come incompatibile stare insieme con i Di Pietro, i Rutelli, i Bertinotti, i Cossutta e quant'altri. Né si può chiedere a un guelfo che concepisce il regionalismo e le autonomie locali tasselli del grande mosaico dell'unità nazionale di avere indulgenza per quelle derive scissionistiche e localistiche che la Lega di Bossi getta come oscure ombre sulla coalizione di centro-destra.

Bipolarismo anomalo, dunque, da correggere, secondo Martinazzoli, con il ritorno alla "democrazia del confronto e non dello scontro". Confronto che considera l'avversario mai nemico da schiacciare, ma interlocutore da convincere. È l'ethos dei laici, figli di quel "dubbio metodico" lontano dalle verità precostituite, che specie in politica, rifuggono dalle chiese e dai partiti totalizzanti.

Per il ritorno alla democrazia del confronto, Martinazzoli ritiene indispensabile il rilancio dell'unità e del ruolo dei cattolici in politica. Noi, da laici, riteniamo altrettanto indispensabile l'unità dei laici, più che mai oggi sullo sfondo di quella globalizzazione dell'economia e della scienza, dove la ricerca, in bioetica, come nell'istruzione, non può essere ostacolata dai riflessi condizionati della teologia.

In politica, l'unità dei laici deve costituire quell'emergenza che proprio l'attuale bipolarismo nasconde fra le pieghe di quelle convenienze elettoralistiche volte a gratificarsi il voto cattolico, a sinistra non meno che a destra. Tant'è che nell'Ulivo, come nella Casa delle libertà, i laici, maggioranza nel paese, sono soggetti sconosciuti. Di qui la necessità di quella sveglia che ci ricorda la vittoria sul divorzio e sulla legge che disciplina l'interruzione della gravidanza per sanare la grande piaga degli aborti clandestini.

Ecco perché l'unità dei laici deve costituire per quella diaspora che in gran parte alimenta anche il non voto, un obiettivo primario, nel senso di recuperare attorno ad un nuovo soggetto politico forze oggi disperse fra sigle e sottosigle. In questa chiave va letta la battaglia solitaria di resistenza del PRI a conservare la propria identità e la propria storia senza sciogliersi e annullarsi in confuse e indistinte aggregazioni tese soltanto a soddisfare personali ambizioni o salvataggi di collegi.

La resistenza ha salvato il PRI dalla catastrofe dell'estinzione, e questo gli permette oggi di porsi come punto di riferimento di quel disegno strategico che è l'unità dei laici in nuovo scenario da democrazia maggioritaria.

Roma, 20 settembre 2002

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tratto dal sito web del
http://www.prilombardia.it/imgs/pri.gif (http://www.pri.it)

nuvolarossa
29-09-02, 17:51
Pinocchio come modello pedagogico; base da cui partire per ri-costruire l’identità degli italiani. La storia del burattino di legno, uscita magicamente dalla penna di Carlo Lorenzini (in arte Collodi) viene proposta come elemento essenziale per comprendere il Risorgimento. Un romanzo su cui si può ancora fondare, in altri termini, una religione civile laica, da troppo tempo assente, o almeno latente, nella cultura italiana, europea ed occidentale. Pinocchio è un personaggio, peraltro, che potrebbe fungere da “ponte” anche verso le religioni tradizionali, a cominciare da quella cattolica, almeno stando alle raffinate letture offerteci nell’ultimo decennio dall’Arcivescovo di Bologna, cardinale Giacomo Biffi, pur non completamente condivisibili dalla nostra prospettiva, come cercheremo di spiegare ai nostri lettori attraverso una memorabile pagina di Giovanni Spadolini.
Il personaggio collodiano, grazie anche all’uscita del film di Roberto Benigni, sta comunque suscitando un interesse che da un lato conferma l’universalità e la modernità del messaggio proposto dall’evoluzione del burattino che si fa uomo e dall’altro impone una riflessione proprio sul modello che la storia di Pinocchio offre alle generazioni del XXI secolo, tenendo conto che il concetto di progresso implicito nel racconto esclude ogni automatismo deterministico e si basa sull’apporto decisivo della volontà. Carlo Lorenzini, come noto, aveva infatti anche ipotizzato il fallimento del processo di trasformazione del pezzo di legno in uomo.
Attorno a questi argomenti, oltre alla già citata pagina di Spadolini, in questa sede proponiamo ai nostri lettori un dialogo tra il direttore della nostra rivista, Sauro Mattarelli e il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Gustavo Raffi sul significato del percorso di Carlo Collodi, che era massone. Segue una acuta quanto personalissima ed originale riflessione della scrittrice Sabrina Gioda.
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tratto da il Pensiero Mazziniano (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
29-09-02, 17:54
Il percorso di Carlo Collodi
Un dialogo tra Sauro Mattarelli e Gustavo Raffi

Pinocchio: ovvero la storia di un pezzo di legno che diventa uomo. Un percorso di emancipazione laica, che non esclude una forte religiosità e appare come una sorta di passaggio obbligato, di monito, di incitazione a chiederci quanto resti in noi del burattino incosciente e cosa, invece, appartenga all’uomo, inteso nella sua concezione più ampia, leonardiana. In che rapporto si pone questo itinerario con la Massoneria?
La trasformazione del burattino in un “ragazzino per bene” simboleggia il difficile percorso dell’uomo per migliorare se stesso e l’umanità e transitare dalle logiche primordiali, dominate dagli istinti, alla razionalità, attraverso una crescita spirituale.
In quest’ottica e, ancor più, nella fiducia riposta nella capacità dell’Uomo di elevarsi e di emendarsi, attraverso l’iniziazione e il superamento di vere e proprie prove, si riscontrano gli influssi che il pensiero massonico ha esercitato su Collodi.
Secondo Emilio Servadio – tesi condivisa da Elémire Zolla – Pinocchio è il protagonista di una vera e propria prova iniziatica, del tutto analoga a quelle indicate in molte tradizioni spirituali che sistematicamente descrivono la permanenza di un profano in una caverna o sepolcro o ventre di un grande animale, e la sua finale uscita quale nuovo essere, “puro e disposto a salire le stelle”.
Solo dopo la tremenda prova del mostro marino, la conquista di un’indipendenza che gli consenta di reggere il proprio padre sopra le spalle, la traversata magica delle “grandi acque” a cavallo di un pesce che parla, Pinocchio, approdato a nuove rive, diventa “un ragazzino per bene”, cioè un Uomo.
Una religione civile o una religione tout court?
Come Pinocchio l’Uomo può, attraverso errori e sconfitte, maturare, risollevarsi e riscattarsi, scoprendo il senso del dovere, la solidarietà, la ragione e i sentimenti, dominando il proprio egoismo e i propri istinti.
Questi valori, connotati dalla presa di coscienza di sè e dall’autodisciplina, appartengono alla religione civile, ma non si pongono in antitesi a quelli espressi da una fede religiosa, perché attengono a piani diversi: gli uni alla Città degli Uomini, gli altri alla Città di Dio, secondo la nota ripartizione cara a Sant’Agostino.
A quale categoria morale potremmo dunque assegnare il lavoro di Collodi?
La morale, che ispira Collodi e viene trasfusa in Pinocchio, è quella mazziniana che si incentra sulla legge del dovere e concepisce il lavoro come strumento di emancipazione dell’Uomo dalle passioni, superstizioni e costrizioni.
Sta in questo il senso della universalità del messaggio?
Il dovere, quale principio educatore, apre le vie per una migliore condizione dell’esistenza morale e materiale dell’individuo e della collettività. Una visione universale di redenzione che va oltre i confini della nazione per abbracciare l’Umanità.
Il rinnovato interesse verso Pinocchio, indotto in parte dalla prossima uscita del film di Roberto Benigni, che cosa può suggerirci? Costituisce un’occasione? Un impegno? Quale messaggio nell’epoca della multimedialità e delle sfide globali?
Rivisitare Pinocchio significa comprendere che il nuovo non si costruisce sul nulla. Attualizzarne il messaggio può sicuramente contribuire ad elaborare il modello di pedagogia civile di cui l’Umanità ha bisogno, per costruire un mondo migliore. Come ebbe a scrivere Spadolini su “La Voce repubblicana” del 23-24 ottobre 1990, “l’impegno di Pinocchio è a redimersi; è la redenzione operata dal burattino che diventa uomo, è la “redenzione laica” di chi si appoggia alle proprie forze, di chi fa leva sul libero arbitrio, sullo sforzo individuale, sul lavoro”.
In un mondo dominato dalle logiche di mercato, che tendono per loro natura a considerare l’uomo come mezzo e non come fine, segnando il percorso opposto a quello intrapreso da un burattino che si fece uomo, la rilettura critica di Pinocchio offre un modello insuperato sul piano pedagogico, che il genio di Benigni contribuirà ad illuminare.
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tratto da il Pensiero Mazziniano (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
29-09-02, 17:56
Pinocchio
Ovvero il trionfo dell’Io

Avrebbe potuto essere un re, o per tale lo avrebbero potuto confondere i piccoli lettori ai quali Carlo Lorenzini, in arte Collodi, si rivolse nelle prime righe del suo geniale libro di avventure. Invece, Pinocchio fu e per sempre rimarrà nella fantasia collettiva, un ciocco di legno.
Il participio passato in questo caso è d’obbligo visto che il ciocco di legno in questione, al termine del romanzo, verrà sopraffatto dalle sembianze umane di un bel fanciullo con occhi celesti e capelli castagni, con tanto di vestiario nuovo e stivaletti di pelle, o meglio, sostituito da quello “schermo” esterno, indispensabile per l’inserimento del giovane Pinocchio nel “gioco” sociale al quale tutti sembrano doversi adeguare.
C’era dunque una volta, e non a caso, un ciocco di legno. Legno: materia prima, sostanza basilare, facilmente riconducibile alla parte più intima dell’essere umano, al nucleo vitale o, per usare una terminologia non ancora coniata negli anni collodiani, al soggetto dell’inconscio. Un ciocco di legno ancora da plasmare, che le abili mani di un padre falegname-scultore levigano e intagliano fino a produrre un burattino a propria immagine e somiglianza. Nonostante le rimostranze dell’indifeso ciocchetto, che ad ogni intaglio pare ripetere: “ohi, non mi far male!”, Geppetto riuscirà, infatti, a realizzare un abbozzo d’infante: Pinocchio. Fortunatamente, la prima fase della creazione si limiterà ad una mera forma fisica esterna, senza intaccare la sostanza di cui Pinocchio è composto: il legno.
Si potrebbe ipotizzare che il Collodi mazziniano, reduce da battaglie risorgimentali conclusesi solo una decina di anni prima rispetto alla stesura definitiva del romanzo, abbia voluto lanciare un monito universale, dimostrando quanto l’influenza esterna, le pressioni politiche, sociali o familiari che siano, possano modificare o addirittura schiacciare la natura dell’individuo, annullando la libertà propria di un organismo allo stato puro. Ma, partendo probabilmente da un messaggio politico e scrivendo con fervore patriottico, Collodi si trovò nella necessità di inventare una forma chiara e giustificativa della configurazione dell’individuo fino a giungere, magari istintivamente e precorrendo i tempi, a creare una distinzione tra inconscio e conscio, tra soggetto e io, o ancora tra Es e Io, dove il legno rappresenti l’inconscio e il bimbo in carne e ossa il conscio.
L’aspirazione a divenire un bambino “vero”, ad assumere una forma esterna adatta ad interagire correttamente, secondo regole socialmente riconosciute, con gli altri, potrebbe essere positiva e accrescitiva a patto che l’essere finale (il bambino umano) non dimentichi la propria origine. In caso contrario, il finale del romanzo,risuonerebbe come una sconfitta, una perdita totale della propria sostanza primaria.
Ripercorrendo le avventure di Pinocchio, pare di aver a che fare con un essere fin troppo consapevole della propria identità e non disposto a sottostare alle regole della società che lo circonda. Pinocchio non accetta la scuola, l’educazione, si rifiuta di chinare la testa persino alla legge e appare sordo ai richiami della propria coscienza, incarnata da un grillo parlante. Eppure, dovrebbe essere proprio la coscienza ad influenzare la formazione dell’Io, modificato dall’azione diretta del mondo esterno, direbbe Freud.
Ma Pinocchio pare non volersi creare un Io. Un Io visto come oggetto, configurazione immaginaria, una facciata esteriore dell’individuo (strutturalmente subordinato, in un contesto sano, alla ragione dell’inconscio, ma che, oserei aggiungere, spesso rischia di acquistare più potere rispetto al soggetto stesso, soprattutto, in società dove la “facciata” conta più del contenuto). Il burattino di legno, disubbidiente e bugiardo, sfugge all’edificazione dell’Io, egli, sostanzialmente, vuole rimanere nucleo, soggetto, come a dimostrare di non aver bisogno di “maschere” per vivere. Ma, la sua nudità lo rende incapace di interagire con gli altri, con la società tutta. Pinocchio cade e ricade in trappole ovvie anche per i più ingenui, non riconosce falsità e inganno, perché facenti parte di un interesse personale, o meglio, di un ego-ismo tipico dell’Io che il “ciocco di legno” non comprende.
Non saranno le disgrazie materiali a sopraffare il legno, eppure l’Io avrà la sua vittoria.
Abbindolato da gatto e volpe, scaltrezza e astuzia, ferito dai sensi di colpa instaurati in lui, naturalmente, dalla fata-madre, il burattino di legno sarà definitivamente sconfitto dall’Amore. Infatti, lontano da case, prigioni e scuole, alla larga da istituzioni a cui non si è piegato, in un simbolico ritorno all’origine, nelle profondità del mare, all’interno del ventre di un pescecane, ecco che Pinocchio, di nuovo di legno, ritrova Geppetto, unica fonte di amore “disinteressato”. E, l’affetto per questo padre, povero e sincero, condurrà il burattino ad una rinascita. Pinocchio uscirà dal ventre del pescecane già mutato e assumerà le sembianze di un bambino “vero”, dopo essersi chinato alle “responsabilità sociali”. Il burattino lavorerà per mantenere il padre, studierà e sarà obbediente fino a risvegliarsi in vesti umane, per il pieno e ineluttabile trionfo dell’Io.
Non rimane che chiedersi: cosa ne sarà del ciocco di legno guardato con sospetto dagli azzurri occhi del nuovo Pinocchio?

Sabrina Gioda

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tratto da il Pensiero Mazziniano (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
29-09-02, 17:58
Burattino d'Italia: l'Unità secondo Pinocchio

PINOCCHIO è stato uno dei grandi elementi unificanti della nazione italiana nella sua adolescenza. Alla pari di Cuore; alla pari dei romanzi di Salgari. Ma con una proiezione più duratura, meno contingente che ha scavalcato tutte le barriere e riunito — con non decisive differenze e nuances —tutte le generazioni.
Ora anche Pinocchio è diventato sinonimo di divisione e quasi di contrapposizione fra un’Italia ideale e ancestrale — violentata dal Risorgimento — e l’Italia come si è costituita nell’Ottocento, nel suo nesso nazionale, figlio di una certa idea della omogeneità culturale linguistica italiana, che non ebbe mai nulla di biologico, di razzistico (la nazione, non la stirpe e tantomeno la razza: come altri risorgimenti nazionali del secolo XIX).
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L’interprete più impegnato e anche più tenace di un Pinocchio contrapposto alla morale civile degli italiani e risognante l’Italia prerisorgimentale e preunitaria è, e non da oggi, il cardinale Biffi, l’arcivescovo di Bologna, che a questi studi si è dedicato con costanza e anche con puntiglio.
Il suo recente discorso a Bologna, nel centenario della morte dell’autore del burattino immortale, Carlo Lorenzini, ha suscitato polemiche, reazioni e confutazioni anche marginali: ma non èstato contestato nel suo nucleo di fondo, nucleo che è collegato a un vero e proprio equivoco, in radice.
È l'equivoco sulle varie forme di opposizione e di critica allo Stato unitario, così come si era realizzato nella versione moderata e monarchica. Secondo il cardinale Biffi è "la crisi ideologica e spirituale del Lorenzini all’origine del suo lavoro", né "questo prodigio letterario sarebbe mai nato senza la crisi che colpisce la nazione italiana contestualmente al Risorgimento".
Il che può essere anche vero. Ma occorre domandarsi: quale crisi? Da quale parte? E in vista di quali obiettivi? Quell’Italia, nata quasi per miracolo e con l’aiuto, per dirla in termini collodiani, della Fatina dai capelli turchini, fu respinta in blocco dai cattolici intransigenti e contestata duramente dai repubblicani e democratici di sinistra, da cui proveniva appunto il Lorenzini.
Le due opposizioni, come si direbbe: la cattolica e la laica. Una temporalista e reazionaria, sia pure con larghe forme di messianesimo sociale; l’altra progressista e democratica, finalizzata ai grandi motivi della Costituente e della Repubblica (la tesi che prevarrà in questo secolo). Opposizioni, l’una alternativa all’altra. Ogni confusione in materia ci indurrebbe in gravi errori.


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Carlo Lorenzini, che si chiamò Collodi in omaggio al paese natale della madre da lui adorata fino al punto di non sposarsi mai, era di origine mazziniana e repubblicana. Il suo Dio era il "Dio e popolo".
Aveva combattuto nel ‘48 a Curtatone e Montanara, guidato da un professore rivoluzionario e per i tempi quasi "sovversivo" quale era Giuseppe Montanelli. Aveva diretto, nella Firenze dei tanti e contraddittori tumulti fra ‘48 e ‘49, un giornale satirico anticlericale e nettamente repubblicano e unitario, quale era Il Lampione.
E aveva percorso nel decennio della restaurazione la parabola che fu di tanti patrioti del suo tempo, quella che porterà intere falangi della sinistra ad accettare la "Società nazionale", l’incontro con la monarchia dei Savoia purché unificatrice. Che sarà poi la bandiera di Garibaldi e dei Mille.


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L’Italia, in cui si consumerà l’esperienza centrale di Lorenzini scrittore, e scrittore per l’infanzia, non era l’Italia sognata o sperata nel ‘48 o nel ‘59. "Oh non per questo... ": aveva cantato Carducci, interprete massimo di quella frustrazione e di quella amarezza.
C’era la rivolta contro il fiscalismo eccessivo (Sella sarà uno dei bersagli di Lorenzini). C’era la denuncia dei legami — male antico —fra gruppi politici e gruppi affaristici. C’era la scontentezza dei partiti e della loro frantumazione in gruppi personalizzati e quasi lottizzati. C’era la sfiducia nelle riforme anche dopo l’avvento della sinistra al potere.
È rimasta celebre la lettera aperta di Collodi a Michele Coppino ministro della Pubblica Istruzione: "Date retta a me che sono insegnante: meno chiacchiere e più pane! Il proletario cencioso e affamato, che non ha da portare alla sua famiglia altro nutrimento che pochi tozzi di cavolo raccattati nella spazzatura, cosa volete che se ne faccia della vostra istruzione e dei vostri libri?"
Il tutto sullo sfondo di una toscanità risentita, aspra e in qualche punto vilipesa. Al punto da fargli proporre, a Minghetti, l’abolizione della Toscana e la trasformazione nella regione"Carolina" (quasi un motivo pre-Pinocchio). E da fargli dire dei fiorentini, egli che ne era un interprete schietto e intero, "I morti vanno lesti! Ma io conosco dei vivi che se ne vanno più lesti anche dei morti: e sono i fiorentini".


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Di questi "malanni" il libro Pinocchio è tutto intriso. Libro per grandi, oltre che per bambini, esso offre uno spaccato della società italiana in via di costruzione che parte da una finalità ideale, tipicamente mazziniana, di una società migliore. La morale di Collodi è la morale dei Doveri dell’uomo. Solo il lavoro può difendere l’uomo da tutte le tentazioni e da tutte le perdizioni.
Non è Pinocchio un libro di agiografia patriottica. La giustizia esce male, perché male funziona in Italia; il tocco sui carabinieri non è un tocco né affettuoso né incoraggiante. Il paese di Acchiappacitrulli finisce per identificarsi, nella sua fantasia solo apparentemente scanzonata, con una specie di sintesi dei mali italiani.
L’impegno di Pinocchio è a redimersi; e la "redenzione" operata dal burattino che diventa uomo è la redenzione "laica" di chi si appoggia alle proprie forze, di chi fa leva sul libero arbitrio, sullo sforzo individuale, sul lavoro. Segno distintivo, appunto, del nuovo laicismo operoso su cui doveva fondarsi lo Stato italiano.


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La stessa Fatina dai capelli turchini è stata talvolta identificata col simbolo religioso della Madonna, e non solo dal cardinale Biffi. È molto più probabile che essa risusciti il mito della madre e lo collochi in una cornice del "miracolo borghese", di quella fede nella bontà connaturata all’uomo, che toglie ogni margine alla trascendenza, che sostituisce fin dall’infanzia Dio con le fate, il demonio con l’orco.
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"Come era possibile che diventasse popolare un’unificazione compiuta senza giovarsi della forza spirituale antica e sempre nuova del cattolicesimo?" L’interrogativo del cardinale Biffi si riallaccia a quelli di "Comunione e liberazione", si colloca nel quadro di un processo al Risorgimento, che non esita a stabilire parallelismi fra Risorgimento e fascismo, fra Risorgimento e"anomalia comunista" nella vita italiana.
Sono gli stessi temi del "federalismo"delle Leghe. Ma chi ricorda in questi giorni che il tentativo federale c’è stato in Italia e si è spezzato nel necessario universalismo del Papato? Chi ricorda il ‘48-’49, che nacque neoguelfo e finì repubblicano?
Quando il ministero della Pubblica Istruzione ha assegnato a giugno il tema sul neo-guelfismo, abbiamo visto alla


televisione tanti studenti che dichiaravano di ignorare anche la parola. Con l’attuale scuola non ci meravigliamo di niente. Ma il "neoguelfismo" fu la più impetuosa febbre che abbia colpito l’Ottocento italiano.
Si tentò in tutti i modi di realizzare l’indipendenza della penisola d’accordo col Papa, immaginato presidente di quella confederazione, dopo gli entusiasmi collettivi sollevati da Pio IX. Il Pontefice mandò le sue truppe a fianco di quelle di Carlo Alberto nella pianura padana, salvo richiamarle d’improvviso —con l'allocuzione del 29 aprile 1848 — non appena si delineò la scissione dei cattolici tedeschi e austriaci, insofferenti di ogni Vaticano a dimensione nazionale italiana. Chi lo ricorda?
L’errore del cardinale Biffi è di confondere il temporalismo col cattolicesimo. Il Risorgimento fu contro il potere temporale e, abbattendolo, liberò la Chiesa dal più grande ostacolo alla sua universalità (come ha riconosciuto Paolo VI). Non fu contro la religione dei padri che Manzoni conciliò perfettamente con la scelta di Roma capitale e che compenetrò tutto il filone cattolico-liberale sopravvissuto a ogni delusione, a ogni amarezza, a ogni smentita.
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Tiro fuori dalla mia biblioteca un piccolo libriccino postumo di Collodi, stampato circa cinquant’anni fa. Si intitola: Biografie del Risorgimento, Ricasoli, Cavour, Farmi, Daniele Manin.
Proporrei a un editore di ristamparlo, e dissipare ogni equivoco, in appendice a una nuova edizione di Pinocchio.
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Anche attraverso Pinocchio i valori di patria si conciliano con quelli di umanità. Ha ragione Croce che collocò Pinocchio fra i grandi libri del secolo scorso. "Il legno in cui è intagliato Pinocchio è l’umanità, ed egli vi si rizza in piedi ed entra nella vita come l’uomo che intraprende il suo noviziato: fantoccio, ma tutto spirituale". E su tutto vince "la forza morale della bontà". Ricongiunzione, questa volta, fra la morale cristiana delle origini e la morale laica.

14 ottobre 1990 Giovanni Spadolini


Tratto da G. Spadolini, Il mondo frantumato, Milano, Longanesi, 1992
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tratto da il Pensiero Mazziniano (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
29-09-02, 18:02
http://www.crs4.it/~riccardo/Letteratura/Pinocchio/pino.gif

nuvolarossa
29-09-02, 18:04
http://www.crs4.it/~riccardo/Letteratura/Pinocchio/pinocol.gif

Garibaldi
30-09-02, 08:45
Non vi nascondo che ogni tanto me lo rileggo!!!?!?!?

nuvolarossa
22-10-02, 18:26
questo messaggio e' di Francesco Carrassi
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Caro Benigni, non te la prendere, ma stavolta non ci hai proprio convinto con questo tuo Pinocchio. Colorato, certo, con dei momenti di poesia, ma lontano, troppo lontano dal cuore della favola di Collodi.
Ora: non stiamo certo a discutere sulla libertà dell'artista, né sulle forzature e sugli adattamenti del testo, ma sui capovolgimenti dell'anima stessa dell'amatissimo burattino di legno che, alla fine di un percorso a ostacoli, diventa bambino.
Forse facevi bene a cambiare titolo al tuo film. Avresti dovuto chiamarlo "Lucignolo", e tutti noi l'avremmo visto con un'ottica diversa. Lucignolo appunto, "anima grande" e cuore del tuo film. La pellicola trasuda della tua simpatia per la sua renitenza alle regole. Lucignolo, personaggio che hai voluto ribelle e vero, in lotta contro un potere corrotto (i giudici e i carcerieri che si godono la merce dei suoi furti; la scuola e i suoi maestri, pronti a bocciarlo comunque vada). Lucignolo, destinato a una brutta fine perché, a differenza di Pinocchio, non ha nessuno, né un padre falegname, né una fata turchina, pronti a perdonare i suoi errori e a correggere il destino. Tutto molto bello, tutto molto politicamente corretto, ma tutto molto lontano da Collodi. Caricando la figura di Lucignolo, personaggio-contro, con motivazioni ideologiche, si rischia infatti di far fare al povero Pinocchio un percorso inverso, di regresso: da bambino a burattino fatalmente dipendente dalle manovre del burattino di turno, con buona pace del Grillo parlante, libera coscienza di ciascuno di noi.
E ancora: sarà perché alla mia età purtroppo ho sempre negli occhi lo straordinario Pinocchio televisivo di Comencini, ma quanta improbabilità ho visto in molti tuoi personaggi della favola. E nel match-race fra gli interpreti di allora e quelli di oggi (Manfredi-Giuffrè, Lollobrigida-Braschi, Franco & Ciccio-Fichi d'India) il tuo film ne esce vincente solo nello straordinario Lucignolo di Kim Rossi Stuart. Troppo poco.
Peccato, Roberto, peccato davvero. Perché conoscendo la forza della tua maschera, questa è una grande occasione sprecata. I maligni dicono tu abbia voluto fare un film pensando più a Hollywood che ai bambini. Ma questa, sono convinto, è solo una cattiveria gratuita.
Certo è, caro Roberto, "anima grande" della tradizione toscana, che uscendo dalla sala dopo i titoli di coda, l'impressione è netta: hai disegnato un Pinocchio simpatico e di sinistra, buono sicuramente per i girotondi: ma sei davvero sicuro che Collodi avrebbe gradito?

nuvolarossa
30-10-02, 20:00
Il prof. Roberto Balzani, dell’Università di Bologna e vicepresidente dell’Associazione Mazziniana Italiana, il dott. Pietro Caruso, giornalista, il prof. Sauro Mattarelli, direttore del “Pensiero Mazziniano”, sono i relatori al seminario di studi che si tiene a Cervia su iniziativa dell’Associazione Mazziniana Italiana e della sua rivista, “Il Pensiero mazziniano”, in collaborazione con la locale Cooperativa “Aurelio Saffi”. Durante i lavori verrà affrontato il tema:

“Pinocchio: le bugie del potere. Paese reale, Paese legale, Paese virtuale.”

L’iniziativa, coordinata da Ornella Piraccini, costituisce l’ideale proseguimento di un analogo incontro che ha avuto luogo nell’aprile scorso ed è rivolta specificatamente a un gruppo di circa 40 giovani studiosi provenienti da tutta Italia, ma viene aperta al pubblico e si svolgerà secondo il seguente calendario:

venerdì 1 novembre presso la sala riunioni della Coop. Saffi di Cervia (RA), viale Roma n. 3, a partire dalle ore 15.00: Prima sessione dei lavori, preceduti dai saluti delle autorità presenti;
sabato 2 novembre, ore 09.00: Seconda sessione dei lavori, presso la stessa sede.

È prevista una ampia riflessione e un dibattito sui temi esposti nelle relazioni principali.

nuvolarossa
04-11-02, 22:09
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI42.jpg

tratto da
http://www.frangipane.it/archiviox.gif (http://www.frangipane.it/index.html)

nuvolarossa
23-12-02, 19:56
Per la lettura di Pinocchio ... in rete

Copertina (http://www.liberliber.it/biblioteca/c/collodi/pinocchio/html/index.htm)
Pinocchio (01) (http://www.liberliber.it/biblioteca/c/collodi/pinocchio/html/testo_01.htm)
Pinocchio (02) (http://www.liberliber.it/biblioteca/c/collodi/pinocchio/html/testo_02.htm)
Pinocchio (03) (http://www.liberliber.it/biblioteca/c/collodi/pinocchio/html/testo_03.htm)
Pinocchio (04) (http://www.liberliber.it/biblioteca/c/collodi/pinocchio/html/testo_04.htm)

nuvolarossa
16-01-03, 20:18
Pinocchio:
le bugie del potere

L’uso sistematico della menzogna presuppone un controllo di tipo monopolistico sui cosiddetti mezzi di informazione di massa e, soprattutto, una meticolosa opera di cancellazione delle memoria storica. L’impiego martellante dei media come lavagna cancellabile giorno per giorno, aggiunto al lancio del messaggio politico con le stesse modalità di uno spot pubblicitario, facilita notevolmente la riduzione della profondità temporale. La gran parte delle persone viene così indotta a "dimenticare" o, meglio, a ricordare solo ciò che viene sollecitato alla memoria secondo scelte mediatiche funzionali al potere.
"Sono tanto semplici li uomini – scriveva Machiavelli nel Principe XVIII, 3 – e tanto obbediscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare." Dello stesso parere sembra in nostro autore di riferimento, Carlo Collodi: nel colloquio successivo all’inseguimento nel bosco, il Gatto neppure nasconde i segni della lotta seguita al vano assalto a Pinocchio; ma il burattino crede alla incredibile spiegazione "umanitaria" dello zampino offerto in elemosina a un povero affamato. Anche Manzoni mette ripetutamente in guardia i suoi lettori dal pericolo della menzogna, sia nella Storia della colonna infame, sia nei Promessi sposi. Come evidenziato da molti critici, finché Renzo si affida all’osservazione dei comportamenti, degli atteggiamenti delle persone, dei "segni" riesce a formulare giudizi assennati. Quando fa riferimento alle parole si lascia facilmente ingannare. "Ci sono più sciocchi che furbi al mondo – asseriva il poeta inglese S. Butler – altrimenti i furbi non avrrebbero abbastanza da vivere". Ma il discorso andrebbe allargato a tutta la categoria delle persone "semplici" a cui bisognerebbe insegnare a difendersi dalla menzogna.
Oggi il problema si complica ulteriormente. Senza richiamare in causa le tesi sui messaggi subliminali (che però andrebbero sicuramente esaminate con l’aiuto di esperti), non si può tuttavia ignorare che la gran parte delle persone può essere indotta artificiosamente a "dimenticare", oppure a ricordare solo ciò che viene sollecitato alla memoria secondo le scelte di quanche elite. Napoleone affermava che se avesse allentato le briglie sul collo della stampa non sarebbe restato al potere più di qualche giorno. Mussolini venne definito "grande attore" in una pungente analisi del professore anarchico Camillo Berneri; e infatti, grazie a un mirato uso dei media, poté ben presto trasformarsi nel "grande statista", nel "grande lavoratore", nel "grande condottiero" che buona parte degli italiani riconosceva in lui durante il "Ventennio". Analoghi e ancor più calzanti ragionamenti potrebbero essere svolti attraverso lo studio dei protagonisti del totalitarismo sovietico (Stalin) e del nazismo (Hitler), ma sono possibili anche curiosi esempi "a rovescio": un’abile propaganda potrebbe ridipingere gli artefici del New Deal e dello "stato sociale" come precursori del totalitarismo comunista e "statolatro". Nel tempo de "li dei falsi e bugiardi" un sondaggio d’opinione ha la facoltà di sancire, "democraticamente", fuori da ogni ragionevole dubbio, la fondatezza "storica" di qualsiasi affermazione, rendendo superflua anche una eventuale consultazione sull’argomento. Oppure può condizionare pesantemente gli esiti delle elezioni stesse per la nota legge cosiddetta "placebo" legata alle attese di un risultato. Il paese virtuale può in questo modo fondarsi su una menzogna (storica e non) perpetuata e sostituire o, meglio, costruire, agevolmente, senza violenze apparenti, un paese reale a misura del potente di turno. E il paese "legale"?
In un simile contesto dovrà per forza coincidere con il paese reale, scaturito dal virtuale. Per stabilire se si tratti di fantascientifici scenari orwelliani o di nuove, concrete, forme di tirannia e di dispotismo riproponiamo la lettura della scena di Pinocchio di fronte al giudice del paese di Acchiappa-citrulli dopo che ha finalmente capito di essere stato derubato e ha perfino individuato i malfattori.

"Preso dalla disperazione, tornò di corsa in città e andò difilato in tribunale, per denunziare al giudice i due malandrini, che lo avevano derubato.
Il giudice era uno scimmione della razza dei Gorilla: un vecchio scimmione rispettabile per la sua grave età, per la sua barba bianca e specialmente per i suoi occhiali d’oro, senza vetri, che Era costretto a portare, a motivo di una flussione d’occhi, che lo tormentava da parecchi anni.
Pinocchio, alla presenza del giudice, raccontò per filo e per segno l’iniqua frode, di cui era stato vittima; dette il nome, il cognome e i connotati dei malandrini e finì col chiedere giustizia.
Il giudice lo ascoltò con molta benignità: prese vivissima parte al racconto: s’intenerì, si commosse: e quando il burattino non ebbe più nulla da dire, allungò la mano e suonò il campanello.
A quella scampanellata comparvero subito due can mastini vestiti da giandarmi.
Allora il giudice accennando a Pinocchio disse loro:
· Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d’oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione. –
Il burattino, sentendosi dare questa sentenza fra capo e collo, rimase di princisbecco e voleva protestare: ma i giandarmi, a scanso di perditempi inutili, gli tapparono al bocca e lo condussero in gattabuia.
E lì v’ebbe a rimanere quattro mesi: quattro lunghissimi mesi: e vi sarebbe rimasto anche di più, se non si fosse dato un caso fortunatissimo. Perché bisogna sapere che il giovine Imperatore che regnava nella città di Acchiappa-citrulli, avendo riportato una gran vittoria contro i suoi nemici, ordinò grandi feste pubbliche, luminarie, fuochi artificiali, corse di berberi e velocipedi, e in segno di maggiore esultanza volle che fossero aperte le carceri e mandati fuori tutti i malandrini.
· Se escono di prigione gli altri, voglio uscire anch’io – disse Pinocchio al carceriere.
· Voi no, - rispose il carceriere – perché voi non siete del bel numero…
· Domando scusa, - replicò Pinocchio – sono un malandrino anch’io.
· In questo caso avete mille ragioni, - disse il carceriere; e levandosi il berretto rispettosamente, e salutandolo, gli aprì le porte della prigione e lo lasciò scappare."

S’impone ora una riflessione ulteriore sull’uso sistematico della menzogna e sul tipo di libertà che ne deriva. In questa sede ci limitiamo solo a rapidi accenni.
Una caratteristica sembra accomunare i regimi dispotici e quelli tirannici e riguarda l’uso della menzogna per gestire il potere: un’evidente conseguenza del fatto che la legge venga sostituita dall’arbitrio, dal capriccio momentaneo del potente che è fuori dalle regole comuni e anzi può modificarle in ogni momento come nell’assurda partita a "croquet" di Alice. I regimi dispotici e tirannici possono apparire liberali, concedere grazie ma, nella sostanza, la loro caratteristica è il rifiuto della libertà (sia nella concezione liberale del termine, sia, a maggior ragione, nella concezione repubblicana) perché, come ha insegnato Montesquieu, con la scomparsa di ogni riferimento alla legge e della certezza del diritto, viene incoraggiato, o richiesto, in realtà il servilismo. Pinocchio, mentendo e asserendo di essere un malandrino come gli altri, compie un gesto servile, di sottomissione. È questo che gli chiede il potere: di essere più burattino che mai.
La libertà che egli ottiene è evidentemente una falsa libertà, sempre revocabile.
La eventuale libera adesione a un siffatto regime (indotta) non ci dice nulla sul fatto che quel popolo sia effettivamente libero. Manca ogni presupposto di "non interferenza", manca, soprattutto, l’indipendenza individuale e quindi la piena consapevolezza della persona che compie le scelte. In un simile scenario, un magistrato servile, potrebbe arrestare non tanto per adempiere ai dettati della legge, ma per compiacere il "regime". Mancano, dunque, i presupposti per ogni dialogo, partecipazione a dimensione umana, pari dignità fra le persone senza distinzione di censo, sesso, razza, religione, fede politica.
Ora il problema è di stabilire fino a che punto si spinga la realtà oggi; se nelle nostre democrazie occidentali i germi del dispotismo e della tirannide si annidino davvero, ammantati dalla demagogia, dalla menzogna elevata a potere. In altri termini, la questione che poniamo è se il presunto "anacronismo" di questi concetti non derivi semplicemente dal fatto che sono cambiati gli strumenti utilizzati per perseguire fini che restano, sostanzialmente, gli stessi. Il dispotismo contemporaneo (il "virus del dominio", come lo definiva Danilo Dolci) potrebbe, dunque, materializzarsi coltivando le abissali solitudini, i profondi silenzi della nostra epoca. Fare leva sui bisogni, sulla povertà di ampie masse di diseredati. Affermarsi grazie a paure reali o artificiosamente costruite. Consolidarsi sotto l’incalzare di martellanti operazioni omogeneizzanti, rese possibili dalla evidente sproporzione fra i poteri (economici, politici, dell’informazione) di dimensione "globale" e le persone comuni.
E la bugia? Qual è il suo ruolo? La letteratura sterminata sull’uso della menzogna nell’esercizio del potere si sofferma spesso sulla lode della menzogna. Non stiamo parlando della bugia innocente, "privata", occasionale, "pinocchiesca", legata alla fantasia, al desiderio di evadere da una realtà scomoda; ma di un uso scientifico del falso e della falsificazione, tipico delle forme totalitarie che oggi possono proporsi in forma anomala, subdola come tentativo metodico di rendere "instabile" ogni riferimento. Il contrario, almeno in apparenza, dei vecchi totalitarismi di tipo sovietico, ma con effetti simili. Dal punto di vista filosofico una tale "logica" (senza scomodare le analisi popperiane della falsificabilità), per coerenza, dovrebbe presupporre l’eliminazione di ogni costante, con l’affermarsi di una sorta di legge dell’ineffabile, della vacuità di tutte le strutture (statali in primis). A questo "livello" dovrebbe però essere legittimo rivendicare anche "l’instabilità" del despota-tiranno. Ma in realtà, più spesso, la bugia funge da semplice supporto quotidiano al potere del despota, fino a diventare mezzo di oppressione in caso di disponibilità in forma monopolistica dei mezzi di trasmissione di massa. a cui ci si può opporre solo con forme di resistenza che vanno dal "passaparola" a tentativi violenti di abbattimento del tiranno, a casi di terrore, funzionali, anche se "opposti", alla stessa logica dispotica, come tesi che alimenta l’antitesi.
Il potere che invece ambisca a una democrazia di lunga durata (superiore alla vita di un solo individuo), fondata su un autentico (non artificioso) consenso popolare dovrebbe fare a meno, mazzinianamente, della menzogna che implica non responsabilità e, comunque, un divario inaccettabile fra potere esercitato e responsabilità conseguente. L’uso sistematico, plateale, grottesco della bugia caratterizza un dispotismo tirannico, direbbe Umberto Eco, "da Basso Impero".
Nel passato, come abbiamo rimarcato, ci sono stati numerosi tentativi di manipolare l’informazione, anche presso sistemi democratici. Ricordiamo il caso recente quando l’amministrazione Nixon affidò a Herv Klein, responsabile del servizio di comunicazione, il compito di imbastire una campagna capace di distruggere la credibilità della stampa che stava sollevando il caso Watergate. Curioso notare come, in quella occasione, molti intellettuali si fossero posti al servizio di questa manovra attratti, oltre che dal denaro, dalla prospettiva di smantellare uno dei cardini della Costituzione americana. Proprio nel paese in cui, nel 1858, Lincoln, nel noto discorso di Clinton, aveva solennemente dichiarato che:
"Puoi imbrogliare tutta la popolazione alcune volte, o imbrogliare parte della popolazione tutte le volte, ma non si può imbrogliare tutte le volte tutta la popolazione."
Nella realtà presa in esame, comunque, media e giudici non erano asserviti all’esecutivo e il messaggio che ne deriva implicherebbe, almeno, un uso moderato della menzogna in democrazia e la non sovrapponibilità fra paese virtuale, paese reale e paese legale pena il rischio di "neutralizzare" la democrazia stessa.
Più drastica l’opposizione alla menzogna di Mazzini, non tanto per una ragione utilitaristica, ma per un principio morale. Oriani vedeva un limite evidente in quell’incapacità di mentire, lui che concepiva machiavellianamente la politica come "l’inganno sublime". Ma per Mazzini la lotta politica non consisteva nell’esercizio del potere fine a se stesso; era ricerca dell’uomo, di res publica, di strutture a dimensione umana capaci di far(ci) crescere. Per questo motivo l’uomo politico, l’apostolo, andava valutato sui gesti quotidiani, sui fatti a cui la popolazione deve guardare al momento di scegliere i propri rappresentanti. Non una rinuncia all’esercizio del potere: dovere, alto e tutt’altro che disprezzabile, solo un monito per comprendere come muoversi nel mondo dei "furbi", come resistere, per esistere da uomini liberi, per liberarci dalle forme di "schiavitù della mente" che oggi possono perpetrarsi anche senza ricorrere a forme violente, attraverso la trasformazione dei cittadini in consumatori, la sistematica "banalizzazione del male", la coltivazione della superficialità morale e culturale, perché, come diceva Ignazio Silone, "non c’è peggiore schiavitù di quella che si ignora".
Affrontare il tema altamente etico della individuazione (del controllo) della menzogna nella politica impone, allora, un percorso che è innanzitutto interiore, capace di liberare l’uomo dal burattino, di recidere i fili della schiavitù che possono allignare nella povertà, nella violenza, nel ricatto, nella persuasione occulta, nell’ingiustizia diffusa, nei diritti violati, nei doveri irrisi, nelle immense solitudini.
Per evitare gli "omini di burro" che propongono improbabili paesi dei balocchi, i prestigiatori e i demagoghi occorre, inoltre, che il paese virtuale resti sul piano della virtualità, sia sempre utopia. Non il "non luogo", di Tommaso Moro, ma, semmai, la meta, kantiana, verso cui tendere, la siepe leopardiana oltre cui gettare i sogni per poi inseguirli, se è vero che il progresso è (anche) la "realizzazione delle utopie".

Sauro Mattarelli
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http://www.domusmazziniana.it/ami/r1.gifhttp://www.domusmazziniana.it/ami/r2.gif

tratto dal sito web del
PENSIERO MAZZINIANO (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
12-02-03, 23:11
http://www.ilpiccolo.quotidianiespresso.it/giornalilocali/images/piccolo/logo.gif
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«Chicago» fa il pieno di nomination, delusione per Roberto Benigni
Pinocchio escluso dagli Oscar

LOS ANGELES - Il musical «Chicago» ha fatto il pieno di nomination agli Oscar con ben 13 candidature tra cui quella per il miglior film. Seguono «Gangs of New York» di Martin Scorsese e «The hours» con Nicole Kidman rispettivamente con 10 e 9, mentre resta a secco Roberto Benigni con il suo «Pinocchio» escluso dalla corsa al miglior film in lingua straniera. A competere per le ambite statuette del cinema che saranno assegnate il 23 marzo anche «Il signore degli anelli: le due torri» e «Il pianista» di Roman Polanski.

nuvolarossa
04-03-04, 21:20
Divertiamoci a teatro . Pubblico scarso ma generoso negli applausi per il balletto di Fabula Saltica che offre numerose e belle suggestioni

Pinocchio muove la magia

Alessandro Vigilante rende con efficacia il burattino

È uno spettacolo molto grazioso e curato Pinocchio, burattino senza fili , accolto con calore l’altra sera al suo debutto al Nuovo: il balletto proposto da Fabula Saltica (nell’ambito della rassegna Divertiamoci a teatro) offre una bella occasione per avvicinare i più piccoli all'opera collodiana e per offrire un’ora e mezzo di piacevole intrattenimento ai più grandi. Il balletto, con molta pantomima nell'impianto, ricrea con fedeltà e rispetto gli episodi principali della fiaba, su coreografie di Claudio Ronda e sulle indimenticate, grandi canzoni dell'album di Edoardo Bennato che regala il titolo. La scenografia, unica, è un grande Gioco dell'oca, le cui caselle luminose scandiscono i quadri dello spettacolo. La voce di Bennato attacca Ogni favola è un gioco , prima casella che si illumina e che segna l'inizio del percorso. Ecco dunque Geppetto alle prese con il tronco da cui, con paziente ed abile lavoro di intaglio, ricaverà il burattino (Alessandro Vigilante); questi non fa neppure in tempo a muovere i primi, incerti passi che è già pronto a fare malanni, nascondendosi ai carabinieri e al babbo. Il grillo, con una danza aggraziata ed elegante, tenta di raddrizzare il monello di legno, ma con i noti scarsi risultati. Ben preferibili gli appaiono le atmosfere invitanti che circondano il gran Mangiafuoco, che si manifesta su un quadro di ballo scatenato e ravvivato da costumi di indovinato impatto. Vigilante, di acerba magrezza esaltata dal costume che richiama il suo stato di burattino, continua il suo scapestrato peregrinare e si imbatte ne Il gatto e la volpe , sulle note più conosciute di Bennato.
Si uscirà dal teatro con la voglia di riascoltare o di acquistare quel disco, vecchio di ormai 27 anni, ma senza una ruga. Non può mancare, eterea nelle sue vesti turchine, la fata che si prende cura di Pinocchio tra dotti, medici e sapienti che sputano sentenze e tra le burle in danza di una coppia di asini (ancora un doveroso elogio ai costumi). Un successivo cambio di luci e un tappeto trasformano la scena nel campo dei miracoli, dove il citrullo di legno nasconde una moneta sotto terra per vederne un albero la mattina successiva, ma arrivano prima il gatto e la volpe a derubare l'allocco.
"Fermo un giro in prigione", nella migliore tradizione del gioco, è il pretesto per uno dei quadri più originali dello spettacolo, in cui un giudice corrotto danza su un dado-cubo, attorniato da detenute abbigliate nel più classico costume a righe. Un intermezzo scolastico, con Lucignolo che porta scompiglio tra una schiera di scolaretti, vestitini alla marinara, grembiulini, cappellini e fiocchi. Chi può riuscire a traviare Lucignolo se non il nostro monello? L'euforia data dal paese dei balocchi è breve ed effimera; ecco aprirsi la pagina più triste della fiaba, in cui l' "asino" Pinocchio è vessato e maltrattato, fra personaggi di un circo crudele, e quindi eliminato. Sembrano personaggi felliniani nei loro costumi luccicanti e nelle forme posticce che indossano: la pancia del trapezista strizzata da una fusciacca dorata, i seni prosperosi, esagerati della ballerina.
Per l'epilogo suonano le onde del mare, a coronare l'incontro fra Pinocchio e Geppetto nel ventre della balena. Così, il burattino diventa bambino, toglie i buffi abiti con cui lo aveva teneramente addobbato il babbo falegname e festeggia a passo di danza tra i compagni la nuova vita.
Pubblico scarso, ma caloroso nel premiare con applausi la riuscita rappresentazione, la simpatia e l'arte dei giovani in scena. Un particolare, ulteriore apprezzamento per i costumi divertenti e nello stesso tempo eleganti, curati, colorati, da fiaba, opera di Ivan Stefanutti. Vigilante, primo ballerino, è snodato a sufficienza per rendere con efficacia la legnosità del suo personaggio e viene supportato da affiatati compagni. Replica questa sera alle 21.
Alessandra Moro

nuvolarossa
02-02-05, 13:45
Mazzini e l’uomo

L’uomo posa i piedi (sulla terra), e la sua fronte si volge al cielo, come se egli volesse avviarsi in quella direzione. Lassu’, splendente luminosa nel cielo serenamente felice, o nascosta da nuvole oscure di tempesta, sta la sua stella polare.

(G.Mazzini, 1846, Pensieri sulla Democrazia in Europa, pag.129, Feltrinelli 1997)
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA/INNONAZIONALEBELGA.mid

nuvolarossa
12-04-06, 10:04
La consapevolezza e lo scetticismo dei laici

La prima cosa di cui ci si deve rendere conto da laici, se si vuole essere coerenti con il metodo che sa nutrire il proprio cammino intellettuale di dubbi, è che i numeri hanno la loro importanza, anche se per fortuna non bastano da soli a definire il proprio posto nel mondo e nella storia. In Italia le correnti politiche e culturali che si richiamano, in modo intransigente, alla laicità sono una minoranza, forse ancora più ridotta che nel secolo scorso. Lo sono non soltanto per la capacità con cui, storicamente, la Chiesa cattolica di rito romano ha saputo essere il principale faro di orientamento morale per la maggioranza degli italiani, ma anche perché lo stesso sistema politico è stato influenzato dagli aspetti della dottrina sociale ecclesiastica ed anche perché il mondo laico non ha saputo e voluto costruire, in modo altrettanto strutturato, un sistema con gerarchie così forti, favorito anche dall’assenza dei dilemmi e della complessità a cui obbliga la democrazia che riconosce il principio dell’alta autorità ma non quello della obbedienza devota, cieca davanti a tutto. Il bagno di umiltà e la conseguente consapevolezza conviene sempre quando si voglia pesare la forza delle componenti culturali, ideali e politiche del mondo laico dal medioevo ad oggi nel territorio nazionale. Nessuno dei vecchi contendenti, così ben descritti nel conflitto di potenza e di potere, più che di fede o di dottrine, fra l’imperatore Federico II e il papa Innocenzo IV, può ai nostri tempi proporre nella lotta fra un principe, più o meno illuminato e un papa, più o meno secolarizzato, un fondato contrasto fra pensiero laico e pensiero religioso. Il dilemma di oggi non è questo, perché entrambi i contendenti hanno fatto tesoro di esperienza. Il tempo dei ghibellini e dei guelfi è finito, anche se le ragioni profonde di quei conflitti non devono essere sottaciute, perché richiamano a comportamenti che per secoli hanno modificato le comuni impostazioni, ma possono tornare ad affiorare se qualcuna delle parti in gioco non alimenta, continuamente, la propria volontà di superamento dei propri limiti e la sottolineatura delle differenze. Nel sistema politico odierno lo scempio continuo che si fa di concetti, idee e pensieri in cambio di una concezione sempre più cinica e mercantile della conquista del potere finisce per sconcertare e per produrre, questa volta non soltanto fra minoranze, un sempre più diffuso scetticismo. Il malessere di un italiano su quattro che comunque ha preferito il voto alla non partecipazione nella tornata referendaria contro la legge sulla procreazione assistita non è ancora assorbito e fa male chi sottovaluta come lo schiaffo inferto dalle gerarchie vaticane abbia aperto ferite in un corpo sociale e politico che dovrebbe, sui grandi valori della civiltà e della convivenza, rimanere unito. Del resto come negare che una parte della gravità della crisi dell’Occidente sia misurata anche dal tasso di crescente incredulità che avvolge parole d’ordine come democrazia, onestà intellettuale e personale delle leadership, forza dell’ideologia liberale che si muove nei Paesi della fascia del capitalismo affluente capace di rendersi elastica quando in discussione sono i propri interessi materiali e ideali? E’ paradossale che esistano comportamenti turbo-capitalistici capaci di rinnovare persino credibilità alle utopie di un Marx che stava per essere, definitivamente, relegato in soffitta. Ha ragione chi ha parlato della necessità di una vera e propria rinascita delle ragioni dell’Occidente ma è proprio su questo terreno che il pensiero laico, irrobustito dalla tradizione mazziniana segnata da rigore morale e vigore ideale, deve cimentarsi. Di fronte ai paladini dello “scontro di civiltà”, ai fomentatori di una pericolosa sostituzione del conflitto fra Paesi capitalisti e Paesi socialisti del secolo scorso, con una contrapposizione frontale nell’oggi fra Cristianesimo e Islamismo, proprio la saggezza di una parte significativa del pensiero laico deve venire in soccorso, scendere in campo. Innanzi tutto perché sottolineando l’importanza di un dio, entità suprema per tutti, lo valorizza sì ma attraverso la dimensione personale ed è proprio Mazzini a ricordare che “è la nostra coscienza a invocarlo nei momenti più solenni, di dolore e di gioia. L’universo lo manifesta con l’ordine, l’armonia, l’intelligenza delle sue leggi”. Chi, in Occidente, per inettitudine, calcolo, ignoranza, strumentalizzazione, esaltazione, sta gettando benzina sul fanatismo religioso di segno islamico commette un duplice, gravissimo, errore: costringe il mondo dei credenti cattolici a schierarsi come di fronte ad una nuova crociata e alimenta la divisione nel mondo fra chi ha una visione più mite e tollerante e chi invece bellicista e insofferente. Può darsi che non ci sia neppure un’occulta regia per favorire questo scontro, ma il sospetto che questa scommessa dello scontro di civiltà sia una trovata, rischiosa, per rinviare i conti con le proprie strutturali insufficienze, la perdita di identità e di ruolo, non può, a nostro avviso, essere fugato. O meglio se si vuole avere un Occidente unito nelle sue ragioni di fondo esso deve rivivere, ma non attraverso la “soluzione finale”, il furore biblico dell’“Armageddon”, il disegno neo-imperialistico politico ed economico su scala mondiale. Questo modo di intendere il presente cozza con la più elevata teologia cristiana, aperta al dialogo interconfessionale e rovina il consolidato (ma non indistruttibile) patrimonio storico della democrazia che ha imparato il valore del metodo negoziale, il ruolo delle istituzioni e delle comunità sopranazionali dopo due sanguinose guerre mondiali. E’ vero: all’interno dei Paesi democratici si muovono minoranze intolleranti capaci di solidarizzare più con il nemico che con le regole le quali, tra l’altro, rendono possibile la manifestazione del dissenso. Lo scetticismo dei laici non è un’arma disfattista, ma la razionaleconsapevolezza che vicende come la vittoria di Hamas in Palestina non aiutano la via della pace, come non lo aiuterebbe però se Likud vincesse ora le elezioni in Israele.Questo scetticismo si nutre di una critica alla gravità di atteggiamenti politici che riducono gli aiuti per le popolazioni più povere, non modificano il proprio prodotto interno lordo a favore del terzo e quarto mondo, rinviano gli esiti dei Trattati sul disarmo sine-die e con essi la possibilità di poter contare non sull’uso della forza
delle nazioni, ma al contrario il potere dissuasivo dell’autorità degli organismi continentali e mondiali, anche attraverso una riforma dell’Onu che è stata ulteriormente rinviata, svuotata di ogni significato. Questo spirito critico dei laici italiani non è diverso da quello dei liberal americani o dei liberali inglesi. Non tradisce le ragioni dell’Occidente, ma non è disponibile a firmare qualsiasi nefandezza nel proprio nome. Nessuno vuole difendere il disegno perverso dei terroristi politici che sfruttano l’integralismo religioso di una parte significativa del mondo musulmano per dissestare il mondo… ma quando si mette in mora l’“habeas corpus”… cioè la custodia personale del corpo del nemico, prima che sia giudicato da un regolare tribunale… la democrazia è violata. Quando ci si compiace delle torture, innestando il sadismo come arma psicologica per scacciare il proprio terrore… la nostra democrazia esce sconfitta, violata. E così dopo dio, già evocato come irrinunciabile principio ordinatore ma non il padre di tutte le guerre (così miseramente umane), l’altro termine con cui bisogna fare i conti è il popolo. Un popolo che, è vero, non ha più le caratteristiche della prima o della seconda metà del XIX secolo, ma una nuova complessa connotazione sociale, un vero e proprio riscontro, nelle masse delle grandi nazioni asiatiche sub-continentali, come l’India, la Cina. Né si può
negare che esista in Europa, se concepiamo questa realtà con interessi socio-economici convergenti, o se ci si rivolge ai ceti del lavoro nella Russia o negli Stati Uniti. Una visione miope, dotata questa sì di un cieco relativismo culturale e ideologico, pretende di spostare il centro di esistenza del capitalismo dagli interessi delle merci, dei prodotti e delle loro leggi di mercato, alla dimensione astratta, essenzialmente di tipo speculativo, economico-finanziario dei “paradisi fiscali”. In questo grande gioco, appena lo hanno compreso, sono saliti alla ribalta tutte le forme di “quasi istituzione”, rappresentate dalle astute ed estese organizzazioni criminali transnazionali capaci di valorizzare in circuiti legali, introiti realizzati anche attraverso efferati crimini, riprodotti a ciclo continuo. Il terreno di alleanza possibile fra cristiani saggi e laici volenterosi è quindi oggi cercare di non fare fallire l’intero sistema di diritti e di doveri conquistati attraverso secoli di lotte e di errori che hanno portato all’idea dell’Europa e che trovano anche nei valori fondanti della democrazia. Invece una parte significativa del mondo politico italiano è su posizioni di grave arretramento ideale. Non solo non siamo più nel gruppo dei sei Paesi più forti del mondo dal punto di vista economico, ma fra quelli che sperimentano con maggiore frequenza alcune degenerazioni gravi del sistema della democrazia: il permanente conflitto d’interessi del Premier, una non imparziale conduzione della televisione pubblica, lo sfregio dello spirito pubblico. Cosa sarebbe accaduto in Italia senza la premurosa azione di tutela dei valori civici esercitati dalpresidente Carlo Azeglio Ciampi? Il popolo dei credenti a sua volta ha bisogno di ritrovare la propria identità non tanto sul potere della propria istituzione, ma su quell’insieme di valori che hanno fatto maturare una religione nata come settaria e minoritaria, nella più matura, e seguita, forma delle fedi moderne. Senza l’incontro con la filosofia greca non sarebbe potuto accadere questo, ma anche senza le tensioni, i cambiamenti, le riforme introdotte dalle sette protestanti e dalle rivoluzioni liberali e democratiche che hanno modificato i rapporti fra sudditi, monarchie, chiese, dio in relazioni fra cittadini, istituzioni repubblicane, istituzioni religiose e dio. Non si vuole prendere atto di tutto questo? L’Occidente vuole assaporare un nuovo enorme bagno di sangue, per poi sperare di “rinascere”? Questa volta non troverà il consenso massimo, l’unanimità, ma dubbi, incertezze, non condivisioni, proteste, divisioni. L’inizio della nostra fine. Il “principe” rappresentato da élite, sempre più oligarchiche, che guidano le moderne democrazie, sembrano non avvedersi della perdita di fiducia che si manifesta nei popoli. La crescita dei diritti dell’individuo, i processi di emancipazione delle donne, la maturazione del senso dell’identità individuale di ragazze e ragazzi, l’innalzamento delle soglie di istruzione e degli accessi alle forme di conoscenza, la riduzione numerica, lenta ma costante, di quella parte dell’umanità che muore letteralmente ancora per la fame e per la sete, una maggiore sensibilità alle crisi ambientali del pianeta non sono aspetti che possono essere trascurati nell’agenda della politica quotidiana. Le parole sono pietre. Per questo mantenere in vita in Italia concetti come patria, indipendenza o società ideali che hanno mostrato il loro fallimento politico, come i regimi comunisti, all’interno della cifra di alcune forze politiche è un segno datato, una pigrizia intellettuale e il comodo orto per strumentalizzazioni politiche avversarie e d’altra parte come si fa ad esaltare in uno solo partito l’idea dell’Italia e la sua forza? Tra feroce cinismo e stupido anacronismo
si stanno giocando i destini del Paese. In Italia la sensibilità emozionale del nostro popolo è più alta che altrove, ma la consapevolezza del coraggio civile che ci vuole nel definirsi cittadini della Repubblica è meno forte che altrove. La facilità con cui
viene illuso l’elettorato, l’arretratezza della sua esperienza nel distinguere, per esempio, cosa convenga fare per innalzare la democrazia, come controllare meglio i propri eletti, cosa sia utile per rendere davvero più trasparenti le procedure interne ai partiti restano patrimonio di singoli studiosi, piccole minoranze. Del resto chi ha sapienza storica non può dimenticare che il cocktail formato da venti anni di fascismo, da una delle più squalificate monarchie della storia coronata dell’Europa moderna, dal più forte partito comunista dell’Occidente… originale, ma pur sempre condizionato, eccome, dal “fattore k” fino al 1989, da un partito democraticoforzatamente aggettivato dal culto religioso prevalente, non poteva per incanto nascere un bipolarismo eccellente sulle modalità della tradizione liberale anglo e americana o con quel piglio repubblicano tipico dell’esperienza francese o con la solidità, nata attraverso un processo molto doloroso di rielaborazione della sconfitta militare e politica, della odierna democrazia consociativa tedesca. Siamo, dunque, quel che siamo. Le minoranze laiche esistono, ma non sono quelle che possono risolvere la questione della “forza”. Tra l’altro sono attraversate da culti della personalità che fanno pena e tenerezza. Queste piccole componenti, tuttavia, sono comunità di grandi valori, ma hanno ormai due soli, potenti, alleati: l’integrità e la memoria. L’integrità perché si riconoscono in quelle tradizioni del Primo e del Secondo Risorgimento impregnate di un idealismo cosmopolita, umanitario, democratico, leale verso il concetto di patria ma anche in grado di distinguere bene chi è soltanto un cortigiano e chi un cittadino. Forse è anche per questo che nella galleria dei maestri di pensiero in cui ci riconosciamo dopo il profeta Mazzini, ci sono anche Salvemini, Salvatorelli, Rosselli, Gobetti, Calogero, Galante Garrone, Valiani e Bobbio. Questa integrità non riguarda i singoli, tutti sono passibili di errori, persino di orrori, ma non il filone di pensiero che li attraversa il quale, tra l’altro, si trasmette anche attraverso riviste, incontri, manifestazioni, battaglie di opinione, discussioni accese, euforie e delusioni, ma non con il culto orgiastico del potere. La memoria è la certezza di avere rintracciato nella storia quel motore incessante contenuto nella teoria del progresso sociale e della ricerca filosofica e religiosa interiore che danno un senso alla Storia, a partire dall’esperienza di ciascun individuo e persona. Non un arido storicismo, disposto a catalogare tutto con la stessa freddezza rimandando a un tomo di biblioteca la definizione dei concetti di dolore o di felicità di un’esistenza, ma l’empito sacro che collega il culto delle virtù antiche alle sfide dei moderni. L’intellettuale laico e scettico non può stupirsi, ormai, di nulla Questo però non lo rende cieco, solitario o inerte. A duecento anni dalla nascita di un “grande sconfitto”, abbiamo la certezza perché è valso la pena celebrarlo ancora e chi, invece, sarà perduto nella polvere del tempo, senza onori.

Pietro Caruso

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tratto da il Pensiero Mazziniano n.3 anno 2005

nuvolarossa
09-01-07, 11:26
La “piccola” differenza...

di Aldo Chiarle

Ho un amico “timorato” di Dio che se passa davanti ad una chiesa si fa il segno della croce e non tocca cibo senza aver prima ringraziato il Signore; ma è anche molto attivo nel volontariato e in opere di bene. In questi giorni nel farmi gli auguri cercava di convincermi che fra un uomo di Fede ed un uomo di Ragione come me, la differenza è minima. Gli ho raccontato la “favola” di Abramo, al quale apparve il Signore dicendogli di salire con il figlio che amava di più su una montagna, di preparare il rogo per l’offerta sul suo altare e che suo figlio Isacco sarebbe stata la vittima del sacrificio. Abramo obbediente partì, costruì un altare con le pietre, vi ammonticchiò le fascine, legò Isacco e lo stese su di esse: ma mentre stendeva la mano per prendere il coltello, una voce dal cielo gridò: “Abramo”. Egli rispose: “Sono qui, Signore”. E la voce riprese: “Deponi il coltello e non fare del male al tuo ragazzo. Poiché non mi hai negato un sacrificio così grande, ora so che il tuo cuore è perfetto”. Mi rispose che avrebbe fatto lo stesso perché nutriva troppa fiducia nel Signore e mi chiese come mi sarei comportato io. “Se mi fosse apparso Dio dicendomi quel che ha detto ad Abramo, gli avrei risposto: ma sei ciucco!?”. Ed aggiunsi: “Ecco la piccola differenza che esiste tra Fede e Ragione”.

tratto da http://www.opinione.it/

nuvolarossa
26-01-07, 15:34
Si,vabbè...ed a proposito del Paese dei Balocchi dell'Unione...

Il naso lungo di «Repubblica»

da Il Giornale

«Collodi, Carlo: scrittore italiano, meglio noto con lo pseudonimo di Carlo Lorenzini». Così - incredibilmente, visto che come anche i bambini sanno, è esattamente il contrario - trattando dell’autore di Pinocchio, l’Enciclopedia Biografica Universale Treccani proposta in edicola da Repubblica. Se si considera che nel testo originale Treccani la citata castroneria non si rinviene, si deve concludere che sia stata introdotta ad arte per «adeguare» l’enciclopedia al livello culturale che è proprio di Repubblica. ... veramente da ridere ...

nuvolarossa
31-01-07, 12:39
Pinocchio specchio dell'italiano
A Firenze una mostra sull'iconografia del romanzo di Collodi a 125 anni dalla pubblicazione

"C'era una volta…". Così Collodi avrebbe cominciato il suo straordinario racconto di Pinocchio e così sembra ripetere in Palazzo Pitti la mostra che, fino al 25 marzo, ne rievocherà la fortuna attraverso la rassegna completa delle sue edizioni storiche nelle quali si coglie l'evoluzione stessa del clima culturale ed artistico del Bel Paese tra la fine dell'Ottocento ed il secolo successivo. A queste prime edizioni si aggiungono quelle più recenti, con una breve citazione delle opere su carta di Mimmo Paladino per l'ultima traduzione in giapponese del testo collodiano, ormai letto sotto ogni cielo e in ogni lingua.

http://www.lasicilia.it/giornale/3001/CT3001/CS/CS01/0103.jpg

Da 125 anni. Da quando, alla fine di ottobre del 1881, il mondo dei bambini cadde nello sgomento perché il loro "Giornale", allineato in mostra, non dava più notizie di Pinocchio che due assassini, neri come la pece, avevano impiccato ad un ramo della Quercia grande. Lunghe giornate di penosi interrogativi per quei piccoli lettori che non riuscivano a darsi pace per la morte del loro eroe. L'incertezza dura fino a quando il caporedattore del periodico, Guido Biagi, non si decide a comunicare ai suoi bambini che il burattino dal lungo naso tornerà presto a farsi vivo. Pinocchio, dunque, non è morto. E anzi non morirà mai.
"Perché - spiega Antonio Paolucci in catalogo - è figura perfetta degli italiani. È bugiardo e opportunista, è sentimentale e patetico. Del nostro popolo ha lo storico disincanto: la scuola è una perdita di tempo, i giudici li hanno messi apposta lì, per castigare gli onesti. Come tutti gli italiani, Pinocchio è attaccato alla mamma e alla famiglia, cioè alla Fata Turchina e al povero Geppetto, e come tutti gli italiani è tendenzialmente anarchico e trasgressivo, insofferente di ogni disciplina. La Volpe e il Gatto esercitano su di lui, come su ognuno di noi, una non resistibile attrazione. Per questo il libro di Collodi è un capolavoro immortale e a noi italiani il burattino piace proprio perché è il nostro ritratto!".
Il "Giornale dei bambini", pubblicato a Roma dal 7 luglio 1881, era scritto da toscani, a cominciare dal direttore, Ferdinando Martini, cui era affidato anche il supplemento domenicale del "Fanfulla", il quotidiano che si era imposto soprattutto nella Firenze postunitaria per il piglio col quale trattava i fatti politici e culturali. Collodi ne era la firma più prestigiosa e meglio pagata e proprio a lui si era affidato Martini prima di accettare la direzione del nuovo periodico per l'infanzia, ricco di illustrazioni come già avveniva in America, in Francia e in Inghilterra. Un'idea geniale che finalmente offriva ai ragazzi una lettura piacevole ed istruttiva, affidata per giunta agli scrittori più illustri del momento. E Collodi era fra questi perché, tra l'altro, aveva già tradotto per i bambini nientemeno che i "Racconti delle fate" e pubblicato addirittura testi scolastici che, nonostante qualche errore, risultavano piacevoli agli scolari perché rompevano la monotonia dei manuali tradizionali.
Il "Giornale per i bambini", che anticiperà di qualche decennio il "Corriere dei piccoli" di Silvio Spaventa Filippi, era a sedici pagine ed usciva di giovedì. I piccoli lettori accolsero con entusiasmo la novità e la tiratura raggiunse le venticinquemila copie, una cifra da capogiro se si pensa che nell'Italietta di allora la legge Coppino sull'obbligo scolastico fino ai nove anni era largamente disattesa tanto che, dal censimento del 31 dicembre 1881, era emerso che non sapeva né leggere né scrivere il 69% dei bambini dai cinque anni compiuti ai dodici. Ad ogni modo, l'ultima puntata de "Le avventure di Pinocchio" comparirà sul "Giornale", ormai diretto da Collodi, il 25 gennaio del 1883. Subito dopo il libraio-editore Felice Paggi, attivo a Firenze in via del Proconsolo 7, avrebbe convinto Collodi a riunire in volume le puntate del suo racconto che sarebbero state illustrate da Enrico Mazzanti.
Non ci mise molto a riuscirci perché ormai Carlo Lorenzini aveva posto fine a trent'anni di battaglie civili, cominciate da giovanissimo con la partenza per i campi di Curtatone e Montanara. Il disincanto che ormai provava, da mazziniano sfegatato qual era stato, davanti agli opportunismi di una classe politica che aveva tradito i valori risorgimentali, spingeva Collodi a parlare ai bambini perché diventassero migliori dei padri. Una lezione che continua ancora oggi attraverso la fortuna di Pinocchio, la cui iconografia sarebbe passata dalle vignette di Mazzanti a quelle di Mussino fino ai disegni di Attilio Cassinelli per l'edizione del centenario collodiano.

Antonio Pecoraro

tratto da http://www.lasicilia.it/

kid
18-10-07, 16:59
http://www.nuvolarossa.org/modules/xgallery/cache/albums/01-Album-di-Enzo/LOGOFORUM03BIG.sized.gif
http://www.fmboschetto.it/musica/Ciaikovski_danza_fata_confetti.mid

dalla voce di domani

Una scelta di civiltà

“Ciò che manca nel nostro Paese è una cultura e una politica laica, degna di questo nome. Una politica che governi davvero il pluralismo dei valori, di cui tutti i politici si riempiono la bocca. Che prenda decisioni legislative difficili, che tracci ‘confini’ nel senso di tenere presenti tutti i criteri morali che entrano in gioco nelle scelte che contano. Anche a costo di scontrarsi con la Chiesa. Di tutto questo non vedo tracce attendibili nei fiumi di parole sentite in queste settimane, dentro e fuori il Partito democratico”. Parole di Gian Enrico Rusconi che ha risposto, con un notevole editoriale sulla “Stampa”, all’attacco frontale dell’”Osservatore Romano” contro la sentenza della Cassazione che ha riaperto il “caso Eluana”, la giovane che da quindici anni si trova in coma irreversibile. La sentenza infatti accoglie la possibilità che, con il consenso del padre, si fermi la macchina che tiene Eluana in una vita vegetativa. Per noi questa è una scelta degna di una società civile sviluppata ed adulta che sa valutare il costo della sofferenza e che comprende quando ha il dovere di interromperlo. Non abbiamo nemmeno bisogno di fare polemiche su questo con l’organo del Vaticano. Ma Rusconi nota anche “il silenzio e l’imbarazzo dei responsabili politici italiani di fronte all’attacco vaticano contro la magistratura, accusata di ‘orientare il legislatore verso l’eutanasia’”.
Siamo d’accordo con Rusconi che ricorda come “nel nostro Paese non esiste un vuoto di valori - come ripetono i clericali - ma una paradossale ricchezza di valori che sono spesso in contrasto tra loro”. E, aggiungiamo, spesso anche in contrasto con i valori della chiesa. Certo il fatto che nel nuovo Partito democratico, come scrive Rusconi, non si senta il bisogno di assumere una posizione a riguardo può destare qualche preoccupazione in coloro che si attendevano da quest’ulitimo un consistente baluardo in difesa della laicità. Per la verità non ci siamo mai fatti troppe illusioni in merito. Si tratta pur sempre di un matrimonio consumato fra i chierici sopravvissuti di due diverse chiese dissolte.