PDA

Visualizza Versione Completa : Comunista, socialista, socialdemocratico, laburista - Cosa significano oggi?



Roderigo
17-06-02, 21:34
Prosegue da:
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=13487


Originally posted by Jan Hus

Embè?
Guarda che il mito della classe operaia io non ce l'ho mica!
:lol
Spiritoso.

Tu non credi alla missione rivoluzionaria della classe operaia che liberando se stessa libera l'intera umanità. Beh, neppure, io. Ma credo alla esistenza di operai e lavoratori dipendenti. Sono tra questi e lo sei anche tu. Non pensi, che abbiamo interessi diversi e contrapposti a quelli dei nostri datori di lavoro? E se sì, non dobbiamo dotarci di un'autonoma rappresentanza sindacale e politica. Poi, possono esserci opinioni diverse su come queste debbano essere ed agire, ma il lavoro subordinato deve, secondo te, essere un soggetto collettivo, politico, o reputi sia solo una somma indistinta di individui?

Chi si pone il problema di rappresentare il lavoro parasubordinato, di organizzarlo, di aggregarlo, si pone anche il problema della efficacia comunicativa nei suoi confronti, a partire dal nome che si dà. In astratto, oggi, un partito del lavoro potrebbe indifferentemente pescare nella stroria del movimento operaio e chiamarsi comunista, socialista, socialdemocratico, laburista. La scelta dipende dalla capacità aggregante di questi nomi, più che dal loro significato politico-ideologico, che è sempre cambiato nella storia, e da paese a paese. Pur con tutti i suoi limiti ed equivoci, in Italia, la parola migliore continua ad essere "comunista". Altrove sarebbe diverso.

R.

Pieffebi
17-06-02, 21:36
Dal "Materialismo Storico" al "Nominalismo Storico"...:fru :fru :fru

Roderigo
17-06-02, 22:04
Originally posted by Pieffebi
Dal "Materialismo Storico" al "Nominalismo Storico"...:fru :fru :fru
Non ho detto, che mi chiamerei indifferentemente comunista, liberale, fascista o democristiano. Ho citato alcuni nomi apparentabili, tutti parte della storia del movimento operaio, la cui distinzione di significato non è sempre stata uguale a se stessa, ed in particolare oggi non ha grande senso. Qualcosa di simile, scrisse anche Engels nella prefazione all'edizione tedesca del Manifesto nel 1892, quando giustificava la scelta del nome "comunista" ad un pubblico, che in larga parte si riconosceva nella Spd, lasciando intendere che "oggi" la scelta avrebbe potuto essere diversa.

"Oggi il Manifesto è indubbiamente il prodotto più largamente diffuso, più internazionale di tutta quanta la letteratura socialista, il programma comune di molti milioni di lavoratori di tutti i paesi, dalla Siberia alla California.

Eppure, quando fu pubblicato, non l'avremmo potuto chiamare Manifesto socialista . Nel 1847 con la parola socialisti s'intendevano due tipi di persone. Da una parte i seguaci dei vari sistemi utopistici, specialmente gli owenisti in Inghilterra e i fourieristi in Francia, che già allora s'erano rinsecchiti in pure e semplici sette che si estinguevano a poco a poco; dall'altra parte i molteplici ciarlatani sociali che volevano eliminare, con le loro varie panacee e con ogni sorta di toppe, gli inconvenienti sociali, senza fare il più piccolo male né al capitale né al profitto. In entrambi i casi gente che stava fuori del movimento operaio e cercava anzi appoggio fra le classi "colte". Invece, quella parte degli operai che, convinta dell'insufficienza d'una rivoluzione puramente politica, esigeva una trasformazione a fondo della società, quella parte di operai si dava allora il nome di comunista . Era un comunismo di prima lavorazione, soltanto istintivo, spesso un pò rozzo: ma aveva la forza sufficiente per generare due sistemi di comunismo utopistico, in Francia quello "icarico" del Cabet, in Germania quello del Weitling. Nel 1847 socialismo significava un movimento di borghesi, comunismo con movimento di operai. Il socialismo, per lo meno nel continente, era ammesso nella "buona società", il comunismo proprio il contrario. E poichè noi avevamo già allora, e molto decisa, la convinzione che l'"emancipazione degli operai dev'essere opera della classe operaia stessa", non potevamo dubitare neppure un istante quale dei due nomi scegliere. E anche dopo non ci è mai venuto in mente di respingerlo."

R.

Pieffebi
17-06-02, 22:19
Quando scriveva Engels i comunisti non avevano ancora chiamato "socialfascisti" i socialdemocratici, ne' li avevano accusati di aver assassinato la Luxemburg, ne'............
Proprio oggi il significato storico di socialdemocratico è assolutamente inconciliabile con quello di comunista, proprio in ragione dell'atteggiamento verso il capitalismo, eccetera, come tu sai bene.
Dovresti anche sapere, visto che hai parlato di liberali, che il partito liberale fu, in un certo qual modo, fino ai primi anni del XX secolo, anche il partito della classe operaia inglese, ossia di quella del paese capitalisticamente più evoluto......parola di Lenin.
Come larghi strati di operai e di salariati agricoli furono organizzati dai cattolici, e in certe aree anche dai repubblicani, per non dire degli anarchici. E persino il fascismo....


Saluti liberali

Jan Hus
17-06-02, 22:58
Originally posted by Roderigo
Spiritoso.

Beh, alla tua affermazione estremamente arrogante non ho pottuto che contrapporre una feroce ironia.


Originally posted by Roderigo
Tu non credi alla missione rivoluzionaria della classe operaia che liberando se stessa libera l'intera umanità. Beh, neppure, io. Ma credo alla esistenza di operai e lavoratori dipendenti. Sono tra questi e lo sei anche tu. Non pensi, che abbiamo interessi diversi e contrapposti a quelli dei nostri datori di lavoro? E se sì, non dobbiamo dotarci di un'autonoma rappresentanza sindacale e politica. Poi, possono esserci opinioni diverse su come queste debbano essere ed agire, ma il lavoro subordinato deve, secondo te, essere un soggetto collettivo, politico, o reputi sia solo una somma indistinta di individui?

Non credo alla politica organizzata per classi, mi spiace.

Sono un lavoratore dipendente e credo di avere interessi diversi (non sempre contrapposti, ma diversi sì) a quelli dell'azienda per cui lavoro.

Trovo legittimo e giusto difendere questi interessi: infatti sono iscritto ad un sindacato.

Ma non mi sento "appartenente ad una classe"; men che mai credo che da questo derivi un'affiliazione politica.


Originally posted by Roderigo
In astratto, oggi, un partito del lavoro potrebbe indifferentemente pescare nella stroria del movimento operaio e chiamarsi comunista, socialista, socialdemocratico, laburista. La scelta dipende dalla capacità aggregante di questi nomi, più che dal loro significato politico-ideologico, che è sempre cambiato nella storia, e da paese a paese. Pur con tutti i suoi limiti ed equivoci, in Italia, la parola migliore continua ad essere "comunista". Altrove sarebbe diverso.

No, non sono d'accordo.

Socialista, socialdemocratico o laburista da una parte, e comunista dall'altro, sono parole che hanno un significato completamente diverso.

Non a caso per anni fu lo stesso PCI a rifiutare sdegnosamente l'etichetta di "socialdemocratico"; e non per colpa di Saragat.

Sebbene non mi senta socialdmocratico ho molta simpatia per quella tradizione politica, per la quale provo anche una certa attrazione, per vari motivi.

Attrazione che è nulla, invece (anzi, nutro una vera e propria avversione) per il comunismo, in tutte le sue manifestazioni.

Roderigo
17-06-02, 23:16
E' il contrario, Jan Hus: è la mia "affermazione estermamente arrogante" che succede alla tua.

Jan Hus: Oggi, pochi potrebbero proclamarsi comunisti senza farsi spernacchiare, considerato il completo fallimento degli esperimenti comunisti dal punto di vista sociale, politico ed economico.

R. :Ti inviterei a venire con me, davanti ad una grande fabbrica, o in qualsiasi altro luogo dove si possono raccogliere molti lavoratori dipendenti. Tu ti presenteresti come ?repubblicano?, io come ?comunista?. Potremmo così verificare, chi otterrebbe più attenzione e chi più pernacchie.

Ma, non è un problema.

Al resto, rispondo domani (o nei prossimi giorni)

R.

Pieffebi
18-06-02, 16:21
Originally posted by Jan Hus


No, non sono d'accordo.

Socialista, socialdemocratico o laburista da una parte, e comunista dall'altro, sono parole che hanno un significato completamente diverso.

Non a caso per anni fu lo stesso PCI a rifiutare sdegnosamente l'etichetta di "socialdemocratico"; e non per colpa di Saragat.

Sebbene non mi senta socialdmocratico ho molta simpatia per quella tradizione politica, per la quale provo anche una certa attrazione, per vari motivi.

Attrazione che è nulla, invece (anzi, nutro una vera e propria avversione) per il comunismo, in tutte le sue manifestazioni.

"siamo e resteremo sempre dei comunisti e non saremo giammai dei socialdemocratici" - Enrico Berlinguer (il più "socialdemocratico" dei comunisti di tutti i tempi dopo Amendola)

Roderigo
18-06-02, 16:38
Ai suoi tempi, il "socialdemocratico" era Tanassi.

R.

Pieffebi
18-06-02, 19:41
Non è a Tanassi che si riferiva, e lo sai bene:D

Saluti liberali e rigorosamente anti-leninisti

Jan Hus
18-06-02, 20:11
Originally posted by Roderigo
Ai suoi tempi, il "socialdemocratico" era Tanassi.

Ma lui si riferiva a Helmut Schmidt e a Olaf Palme!

Roderigo
19-06-02, 11:54
Originally posted by Jan Hus
Ma lui si riferiva a Helmut Schmidt e a Olaf Palme!
E Tanassi, per dirsi "socialdemocratico" a chi si riferiva? E con quale esito? :D
Non so a chi si riferisse Berlinguer. Dovrei conoscere la situazione in cui ha fatto quell'affermazione, ma, come al solito, Pieffebì riferisce fatti e frasi decontestualizzandole: se una persona esce di casa per raggiungere la scuola, lui te la fotografa mentre passa davanti alla posta, per dire che li voleva andare o che li si è fermato o che da li non si è mai mosso. E nella foto in effetti non si muove.
Probabilmente Berlinguer voleva solo dire (ahimè, con notevole difetto di previsione) che il Pci non rinuncerà mai all'obiettivo di superare il capitalismo e di trasformare la società in senso socialista. Negli anni '60 e '70, il discrimine tra socialdemocratici e comunisti era l'anticapitalismo, poichè l'impostazione dei partiti comunisti, almeno in occidente, era sostanzialmente simile a quella dei partiti socialisti e socialdemocratici prima di Bad Godesberg: gradualismo, parlamentarismo e, come orizzonte, il socialismo.
Non credo proprio che Berlinguer provasse ostilità verso i dirigenti delle socialdemocrazie europee. Fu il primo segeretario del Pci a stabilire relazioni con i partiti socialdemocratici ed avere ottimi rapporti con Willy Brandt e con lo stesso Olaf Palme.
Quando entrai nel Pci, nel 1981, era già opinione diffusa, specie tra i giovani, l'idea che le socialdemocrazie scandinave fossero molto meglio dei regimi dell'est. Nella campagna elettorale per le europee del 1984, con Berlinguer ancora in vita, su cartelloni giganti nelle feste dell'Unità, anticipate per l'occasione, si scriveva: la sinistra in Europa vota "Pci in Italia, Gauche in Francia, Spd in Germania, Labour Party in Inghilterra ..." Ed era pacifico che fosse così.

R.

Roderigo
19-06-02, 11:57
Originally posted by Jan Hus
Socialista, socialdemocratico o laburista da una parte, e comunista dall'altro, sono parole che hanno un significato completamente diverso.
Non a caso per anni fu lo stesso PCI a rifiutare sdegnosamente l'etichetta di "socialdemocratico"; e non per colpa di Saragat.
Completamente diverso? Ed in cosa consisterebbe questa "completa" differenza?
Non ignoro la divisione esistita nel cosiddetto secolo breve tra le due anime del movimento operaio, ma appunto, si è trattato di una "divisione" tra due movimenti, che evidentemente, prima ne componevano uno solo. Come può esserci una completa differenza tra elementi che hanno le stesse radici? Ed anche nella storia di questa divisione, le due parti non si sono considerate quasi sempre cugine? Alleati naturali? Non hanno continuato entrambi a definirsi sinistra e a convivere in sindacati, associazioni di massa, case del popolo, amministrazioni comunali? Non vi sono stati partiti socialisti che si sono chiamati comunisti o partiti comunisti che si sono chiamati socialisti?
Ricordo una intervista di Willy Brandt nel 1989, in cui gli si chiedeva se il Pci dovesse cambiare nome per entrare nell'Internazionale socialista. Egli rispose che il nome non era una discriminante e comprendeva che un partito si preoccupasse di salvaguardare il proprio insediamento sociale. Ragionamento non molto diverso da quanto ho scritto sopra e da quanto diceva Engels nel 1892: un nome si giustifica anche per la sua capacità ed efficacia aggregativa e per la tenuta di questa.
La differenza di cui parli c'è stata, ma era irriducibile come piace pensare agli anticomunisti? La pensano così comunisti e socialdemocratici?
E questa differenza, oggi è ancora attuale?
Anch'io rifiuto l'etichetta di socialdemocratico, ma non sdegnosamente. Se qualcuno mi definisce "socialdemocratico", mica mi offendo.

R.

Roderigo
19-06-02, 11:57
Originally posted by Jan Hus
Non credo alla politica organizzata per classi, mi spiace.
Sarebbe interessante capire, intorno a cosa, secondo te, si organizza la politica.

R.

Pieffebi
19-06-02, 13:38
Originally posted by Roderigo

Completamente diverso? Ed in cosa consisterebbe questa "completa" differenza?
Non ignoro la divisione esistita nel cosiddetto secolo breve tra le due anime del movimento operaio, ma appunto, si è trattato di una "divisione" tra due movimenti, che evidentemente, prima ne componevano uno solo. Come può esserci una completa differenza tra elementi che hanno le stesse radici? Ed anche nella storia di questa divisione, le due parti non si sono considerate quasi sempre cugine? Alleati naturali? Non hanno continuato entrambi a definirsi sinistra e a convivere in sindacati, associazioni di massa, case del popolo, amministrazioni comunali? Non vi sono stati partiti socialisti che si sono chiamati comunisti o partiti comunisti che si sono chiamati socialisti?
Ricordo una intervista di Willy Brandt nel 1989, in cui gli si chiedeva se il Pci dovesse cambiare nome per entrare nell'Internazionale socialista. Egli rispose che il nome non era una discriminante e comprendeva che un partito si preoccupasse di salvaguardare il proprio insediamento sociale. Ragionamento non molto diverso da quanto ho scritto sopra e da quanto diceva Engels nel 1892: un nome si giustifica anche per la sua capacità ed efficacia aggregativa e per la tenuta di questa.
La differenza di cui parli c'è stata, ma era irriducibile come piace pensare agli anticomunisti? La pensano così comunisti e socialdemocratici?
E questa differenza, oggi è ancora attuale?
Anch'io rifiuto l'etichetta di socialdemocratico, ma non sdegnosamente. Se qualcuno mi definisce "socialdemocratico", mica mi offendo.

R.


Comunismo e socialdemocrazia hanno radici comuni? Senz'altro. 600 milioni di anni fa, circa, l'uomo e la mosca avevano un antenato comune. C'è qualcuno che scrive su questo forum che si sente parente.....di una mosca? Eppure, in un certo senso.....
Tra noi e il coniglio la distanza genetica è...diciamo ....90 milioni di anni? C'è qualcuno che si sente cannibale quando mangia il coniglio, magari con la polenta? E' vero ci sono gli animalisti e i vegetariani.....ma 4 miliardi di anni fa esisteva probabilmente persino l'antenato comune fra la lattuga e l'uomo. Dunque o si mangiano le pietre.....
Dice Roderigo che comunisti e socialdemocratici hanno "convissuto" in un mucchio di associazioni ed istituzioni. Vero, verissimo, incontestabile. Talmente vero che, ad esempio, nella repubblica democratica Tedesca (tutte le tirannidi rosse si chiamano....democratiche) il partito socialdemocratico tedesco si fuse con il partito comunista tedesco nel partito socialista unificato. I dirigenti di provenienza socialdemocratica furono quasi tutti emarginati e poi epurati nei messi successivi alla "spontanea" fusione, e la "democrazia popolare", tanto ammirata dai comunisti italiani degli anni cinquanta, sessanta....settanta...., con qualche critica minore (ricordo un intervento di Alessandro Natta (primi anni settanta) contro certe misure repressive nei confronti dei dissidenti con la seguente motivazione: "sono pochi, lasciate che dicano quello che vogliono"....e se fossero stati molti?) durò fino al famoso "crollo" del muro. Formalmente il regime della germania "democratica" non era monopartitico. Nell'assemblea legislativa esistevano rappresentanti di organizzazioni "democratiche" non socialcomuniste: il partito democratico, il partito contadino, mi pare persino un partito cristiano. Queste organizzazioni avevano un numero di seggi fissato dalla legge, non potevano fare propaganda, avere una propria stampa, delle proprie libere associazioni, non potevano presentare candidati all'elezione di nessun organismo. I rappresentanti di questi partiti nelle "istituzioni democratiche" erano scelti ....d'intesa con il governo popolare. Nella Germania Est la teoria dell'egemonia di Gramsci era apprezzata...e applicata quasi alla lettera.
Berlinguer nel 1975 disse che mentre la Germania ovest capitalista era colpita dalla grave crisi economica successiva alla crisi petrolifera, eccetera, la Germania "socialista" era, come tutti i paesei dell'est, con tutti i loro difetti circa il "deficit di democrazia" che si iniziava ad ammettere, IMMUNE.
Infatti, come tutti sanno, il muro di Berlino è stato costruito per impedire ai tedeschi dell'ovest, affamati dal capitalismo, di recarsi in massa nel prospero est socialista, regno dell'eguaglianza e dell'abbondanza!
Nonostante ciò, è vero, il PCI, fin dagli anni trenta, malgrado la stretta complicità (fattiva) del gruppo dirigente togliattiano con la cricca stalinista dell'URSS, sapeva fare....marketing. La doppiezza togliattiana consisteva appunto nel far apparire un ferreo partito stalinista....come un partito riformatore, occidentale, assolutamente innocuo per le istituzioni democratiche rapparesentative "borghesi". Diede da intendere, con una menzogna in perfetto stile staliniano, che la svolta di Salerno fosse stata una sua idea autonoma.....diede ad intendere che esisteva un'acccettazione strategica del "quadro costituzione democratico" con la svolta del 1956, mentre osannava ai carri armati sovietici che reprimevano nel sangue la rivolta ungherese!
Si, c'è stato, anche fra la base comunista, fra i quadri dello stesso partito, chi ha creduto a questi evidenti....aggiustamenti TATTICI al contesto del mondo di Yalta. ANche famosi leader della socialdemocrazia europea ci hanno creduto, e pare che persino alcuni presidenti degli USA siano stati....sedotti dalla "moderazione" relativa del comunismo italiano, almeno da un certo periodo in poi.
Sicuramente, come diceva il Bordiga nelle sua argomentazioni contro la tattica della partecipazione dei comunisti ai parlamenti borghesi, lavorare nelle istituzioni della democrazia capitalistica....corrompe la saldezza rivoluzionaria e la purezza ideologica dei leninisti. Ed è indubbio che molte contraddizioni siano nate nella formazione ideologica del PCI, e tra questa e la sua strategia politica di lungo periodo, e fra la strategia e l'attiuvità politica quotidiana nelle istituzioni borghesi. Molti quadri comunisti divennero di fatto così abituati a lavorare politicamente in questo modo da ....diventare effettivamente dei riformisti di fatto, salvo diverse disposizioni del vertice....
Il realismo staliniano, che poneva gli interessi dell'URSS avanti a quelli della "rivoluzione mondiale", e che è anche alle origini del togliattismo, consentiva una divaricazione fra ortodossia e ortoprassi, e la possibilità di una duttilità tattica per certi versi geniale, già dimostrata da Stalin negli anni trenta nello zig-zagare fra estremismo e riformismo, fra teoria del socialfascismo e fronti popolari, a seconda dei bisogni contingenti dell'URSS e con un pragmatismo assoluto...
Ma il togliattismo non era per nulla riformista, rifiutava con sdegno questa etichetta, ed a ragione.
Comunismo, socialdemocrazia non sono riducibili fra loro proprio in ragione della diversa opzione storica di fronte alle prospettive politiche concrete nell'epoca della pretesa "crisi mortale" (o putrescenza) del capitalismo.
Il comunismo "occidentale" fu infine NECESSARIAMENTE "riformatore" nel senso che promosse un'avanzata all'interno del campo nemico (nel mondo di Yalta), all'interno cioè del suo quadro politico-istituzionale e sociale, ma senza mai rinunciare all'obiettivo finale, verso il quale ci si poteva già avvicinare prima della rottura di sistema. In effetti non aveva altra scelta per continuare politicamente a contare e non ridursi ad una setta di pochi quadri "ideologicamente puri".
La socialdemocrazia rifiutò la concezione comunista e si avviò progressivamente ad abbandonare anche solo la vaga idea di una società socialista intesa come "altra" e "ulteriore" alla società democratica occidentale. Il socialismo per la socialdemocrazia divenne presto ....un capitalismo democratico riformato e gestito politicamente dalle organizzazioni di sinistra con forme di partecipazione dei lavoratori alla gestione dell'economia e/o delle imprese. Per i comunisti questo rappresentò, fino al 1989 compreso, una rinuncia inaccettabile alla prospettiva ultima dell'abbattimento (superamento) della società divisa in classi, del modo di produzione capitalistico ed una incomprensione della impossibilità per il capitalismo di mantenere indefinitivamente le concessioni che era costretto a fare sotto la pressione della lotta di classe proletaria....e della minaccia del "campo socialista".
La dottrina berlingueriana-lamiana della "austerità" ne è la controprova.

Saluti liberali

Pieffebi
19-06-02, 13:56
Originally posted by Roderigo

E Tanassi, per dirsi "socialdemocratico" a chi si riferiva? E con quale esito? :D
Non so a chi si riferisse Berlinguer. Dovrei conoscere la situazione in cui ha fatto quell'affermazione, ma, come al solito, Pieffebì riferisce fatti e frasi decontestualizzandole: se una persona esce di casa per raggiungere la scuola, lui te la fotografa mentre passa davanti alla posta, per dire che li voleva andare o che li si è fermato o che da li non si è mai mosso. E nella foto in effetti non si muove.
Probabilmente Berlinguer voleva solo dire (ahimè, con notevole difetto di previsione) che il Pci non rinuncerà mai all'obiettivo di superare il capitalismo e di trasformare la società in senso socialista. Negli anni '60 e '70, il discrimine tra socialdemocratici e comunisti era l'anticapitalismo, poichè l'impostazione dei partiti comunisti, almeno in occidente, era sostanzialmente simile a quella dei partiti socialisti e socialdemocratici prima di Bad Godesberg: gradualismo, parlamentarismo e, come orizzonte, il socialismo.
Non credo proprio che Berlinguer provasse ostilità verso i dirigenti delle socialdemocrazie europee. Fu il primo segeretario del Pci a stabilire relazioni con i partiti socialdemocratici ed avere ottimi rapporti con Willy Brandt e con lo stesso Olaf Palme.
Quando entrai nel Pci, nel 1981, era già opinione diffusa, specie tra i giovani, l'idea che le socialdemocrazie scandinave fossero molto meglio dei regimi dell'est. Nella campagna elettorale per le europee del 1984, con Berlinguer ancora in vita, su cartelloni giganti nelle feste dell'Unità, anticipate per l'occasione, si scriveva: la sinistra in Europa vota "Pci in Italia, Gauche in Francia, Spd in Germania, Labour Party in Inghilterra ..." Ed era pacifico che fosse così.

R.


Io non decontestualizzo nulla. Ovviamente "il contesto" di riferimento deve essere quello reale, e non quello artatamente costruito per giustificare o minimizzare le responsabilità storico-politiche dei dirigenti e dei teorici del più grande movimento ideologico tendenzialmente totalitario della storia contemporanea.

Quanto al fatto che il PCI avesse rapporti cordiali con i partiti socialdemocratici europei....è incontestabile. La critica ideologica non cessò mai, fino all'ultimo. E quando Berlinguer disse quella frase, la spiegò anche....nel senso che non era accettabile...l'accettazione da parte della socialdemocrazia ...del capitalismo, del suo miglioramento, della sua gestione. Bisognava superare e abbattere il capitalismo perchè non c'era altra scelta per il movimento operaio.

Saluti liberali

Roderigo
19-06-02, 15:40
Sulla storica divisione del movimento operaio, preferisco questa più sobria e sintetica descrizione:

"socialisti e comunisti sono figli dello stesso sangue hanno ideali pressochè simili ma se le sono date sempre di santa ragione"

Giuliano Amato, congresso Ds di Pesaro

R.

Pieffebi
19-06-02, 17:37
Se parlava dei socialisti italiani, massimalisti, ha ragione. Nenni stesso fu stalinista e insignito della decorazione di Lenin, oltre che finanziato, con il suo partito da Mosca, fino ad almeno metà degli anni cinquanta. L'intero PSI fu parte della Terza Internazionale, e la frazione maggioritaria del congresso di Livorno, capeggiata da Serrati....si chiamava dei "comunisti unitari". Questo genere di "socialisti" ha poco a che fare con la grande socialdemocrazia europea fino ad almeno gli anni sessanta con il prevalere delle ragioni "autonomiste" e "occidentali", e sopratutto fino al craxismo che rappresentò, dal punto di vista ideologico-politico, una svolta socialdemocratica.

Per il resto il signor Amato sarà ...sottile....ma quello che ha detto, riferito alle basi storiche serie delle vicende....è al massimo una battuta brillante.

Sono contento che Amato si senta moralmente corresponsabile degli....ehm....atti eticamente e umanamente discutibili del comunismo. Un atto di onestà intellettuale. Spero che con ciò abbia deciso di darsi....alla letteratura economica.

Saluti liberali

ripeto:
Comunismo e socialdemocrazia hanno radici comuni? Senz'altro. 600 milioni di anni fa, circa, l'uomo e la mosca avevano un antenato comune. C'è qualcuno che scrive su questo forum che si sente parente.....di una mosca?

Jan Hus
20-06-02, 03:36
Originally posted by Roderigo
Sarebbe interessante capire, intorno a cosa, secondo te, si organizza la politica.

Alle idee.

Roderigo
20-06-02, 09:43
Originally posted by Jan Hus
Alle idee.
Lo immaginavo, sei un idealista. :)

Però, la mia domanda aveva per soggetto la politica, non Jan Hus.
Potrei allora chiederti, attorno a cosa si formano le idee. Come e perchè nascono liberalismo e socialismo. Soprattutto come e perchè diventano progetti politici, partiti e stati, nella storia moderna e contemporanea. Se fossero solo idee, qualcuno le avrebbe sicuramente pensate prima. Anzi, sono state davvero pensate anche prima, ma non si sono mai tradotte in politica, non hanno mai organizzato la politica, fino all'ascesa della borghesia, alla rivoluzione industriale, alla formazione del proletariato.

Proprio questo hanno avuto in comune socialdemocrazia e comunismo, anche nel secolo breve: la rappresentanza sociale. Tutti e due hanno rappresentato il proletariato ed hanno letto la realtà attraverso la chiave interpretativa del conflitto sociale, della dualità di interessi tra proletariato e borghesia. L'idea, il socialismo, come orizzonte di una società nuova, o come valore etico a cui ispirare il comportamento politico, ne è stata una conseguenza.

La divisione tra le due parti, non ha mai riguardato il SE rappresentare il proletariato nella contrapposizione di interessi con la borghesia, nè il SE trasformare la società in senso socialista, ma solo il COME fare questo: con le riforme o con la rivoluzione; dentro le istituzioni liberali o fuori e contro di esse, con il compromesso o con lo scontro frontale; con l'universalizzazione dello stato sociale o con il collettivismo statale.

Divisioni in parte analoghe le si possono ritrovare anche all'interno dei due movimenti e queste stesse divisioni possono ricondursi alla rappresentanza di interessi diversi in seno al proletariato: per esempio, nella repubblica di Weimar i socialdemocratici rappresentavano soprattutto i lavoratori, oggi diremmo meglio garantiti, gli occupati, mentre i comunisti rappresentavano i disoccupati, gli esclusi. E questo sicuramente incideva sulle rispettive linee politiche. Così come il progressivo benessere della classe operaia occidentale nell'epoca dell'imperialismo concorse alla formazione delle tesi revisioniste di Berstein e l'arretratezza e debolezza quantitativa del proletariato russo determinò il leninsmo e la successiva vicenda sovietica.

Per questo secondo me non ha senso parlare di differenze "irriducibili" tra comunismo e socialdemocrazia. Tant'è che entrambi, fanno parte dell'insieme del movimento operaio e dell'insieme della sinistra. Però è comprensibile che ne parlino i "liberal" conservatori: la divisione della sinistra e l'isolamento della sua componente più radicale, è per loro una condizione ottimale.

Ora, per quanto ho letto di te, in due anni, non sono certo che il tuo essere liberale, comunque esterno alla tradizione socialista, sia di sinistra. Secondo me, sta in bilico. Probabilmente nelle tue scelte politiche ha un peso di rilievo la tua collocazione religiosa, o meglio la tua cultura religiosa, che conosco però solo in modo approssimativo (l'etica individualista, insomma). E alcuni elementi ti spingono obiettivamente a destra, per esempio, l'anticomunismo, che in Italia è sempre stato il collante delle forze più conservatrici e reazionarie. E lo è tuttora. se Berlusconi usa l'anticomunismo come tema principale della sua propaganda, non lo fa perchè è stupido o anacronistico.

R.

Pieffebi
20-06-02, 13:36
I comunisti imputano ai socialdemocratici, a piena ragione, la rinuncia sostanziale (e spessisimo anche ideologico-programmatica), a concepire "il socialismo" come un'alternativa di sistema all'economia "capitalistica" del libero mercato. Il socialismo etico...non ha nulla a che fare con la previsione di un'organizzazione dei rapporti di produzione che faccia a meno della proprietà privata, del libero mercato, eccetera. AL massimo discute di regole, di controlli, di "dosaggi", di compiti di un "settore pubblico" strategico in un'economia mista che un marxista che si rispetti non può esimersi dal definire pienamente capitalistica anche se ....poco "liberale".

Questo è stato, mi pare, anche uno dei "punti forti" delle ragioni della scissione dei "comunisti" rifondaroli dal Partito Democratico della Sinistra. Non a caso anche su questo sito il sottotitolo del forum "comunista" fa riferimento alla "sinsitra anticapitalista". Dunque l'altra, non è qualificabile come tale.


Sul determinismo economico un tantino meccanicistico e ben poco dialettico del "comunista" Roderigo ...ho poco da dire.
Sull'interpretazione dell'anticomunismo da dire ne avrei persino troppo. E' la tipica interpretazione di una determinata cultura politica che ha origine da un ben determinato CONTESTO storico, (quando i liberaldemcoratici si trovarono giocoforza alleatidi Stalin e cricca totalitaria rossa per contrastare i fascismi e soprattutto la potentissima Germania hitleriana) e che fuori da quello è solo.....mistificazione storica e ideologismo propagandistico.
Berlusconi non c'entra un accidente di niente, io sono anticomunista da quasi venti anni, e non ho interessi particolari, personali o "di classe" da difendere. Ho da difendere i valori della verità storica, delle libertà economiche, politiche, religiosi, sociali, della democrazia pluralistica....e ho da difendere la memoria di milioni di vittime di un'ideologia tendenzialmente totalitaria. E su questo, lo dico da ben prima che Berlusconi si esprimesse su altro che sul Milan, l'anticomunismo, in tale definizione, è un dovere morale. In tale CONTESTO e in tali limiti... persino Roderigo, se è sincero quando condanna l'autoritarismo, la violenza, il totalitarismo, i crimini compiuti nel nome del comunismi, deve dichiararsi un tantino....anticomunista.

Saluti liberali.

Jan Hus
20-06-02, 23:48
Originally posted by Roderigo
Però, la mia domanda aveva per soggetto la politica, non Jan Hus.
Potrei allora chiederti, attorno a cosa si formano le idee. Come e perchè nascono liberalismo e socialismo. Soprattutto come e perchè diventano progetti politici, partiti e stati, nella storia moderna e contemporanea. Se fossero solo idee, qualcuno le avrebbe sicuramente pensate prima. Anzi, sono state davvero pensate anche prima, ma non si sono mai tradotte in politica, non hanno mai organizzato la politica, fino all'ascesa della borghesia, alla rivoluzione industriale, alla formazione del proletariato.

Non, non sono d'accordo. Non è vero che "se fossero idee, qualcuno le avrebbe pensate prima".


Originally posted by Roderigo
Proprio questo hanno avuto in comune socialdemocrazia e comunismo, anche nel secolo breve: la rappresentanza sociale. Tutti e due hanno rappresentato il proletariato ed hanno letto la realtà attraverso la chiave interpretativa del conflitto sociale, della dualità di interessi tra proletariato e borghesia. L'idea, il socialismo, come orizzonte di una società nuova, o come valore etico a cui ispirare il comportamento politico, ne è stata una conseguenza.

La divisione tra le due parti, non ha mai riguardato il SE rappresentare il proletariato nella contrapposizione di interessi con la borghesia, nè il SE trasformare la società in senso socialista, ma solo il COME fare questo: con le riforme o con la rivoluzione; dentro le istituzioni liberali o fuori e contro di esse, con il compromesso o con lo scontro frontale; con l'universalizzazione dello stato sociale o con il collettivismo statale.

Pieffebi ha colto il punto.

Riformare significa trasformare un sistema mantenendone le caratteristiche fondamentali. Nel linguaggio politico tedesco socialdemocratico aveva un significatoi molto più sinistrorso rispetto a quanto comunemente s'intende; ma le cose cambiarono con Bad Godesberg nel 1956.

Non a caso, nei paesi latini, più adusi alle velleità retoriche, non esistono partiti "socialdemocratici" o "laburisti", che sono invece tipici dei paesi anglosassoni, dalla mentalità più pragmatica. Esitono, invece, partiti socialisti: che alla "socialdemocraziea" ci sono arrivati più tardi e in modo più malfermo.

I comunisti non sono mai stati socialdemocratici. Il loro obiettivo non è mai stato "trasformare" le democrazie occidentali ad economie di mercato, anche profondamente, mantenendone inalterate le fondamenta, ma sostituire un sistema con un altro completamente diverso. Proprio questa era la critica che il PCI, forte dei suoi successi elettorali, muoveva ai partiti socialdemocratici negli anni Settanta: quella di aver accettato un obiettivo "minimo"; in altri termini, di aver abbandonato il "massimalismo".

Per la stessa ragione, è ingiusto e sbagliato anche nel merito affermare che i comunisti vogliono "cambiare" il mondo, e che questo costituirebbe la loro peculiarità. Anche i socialdemocratici vogliono "cambiare il mondo".

Una delle differenze tra socialdemocratici e comunisti è che i primi, a differenza dei secondi, il mondo l'hanno generalmente cambiato in meglio.

I partiti socialdemocratici europe


Originally posted by Roderigo
Per questo secondo me non ha senso parlare di differenze "irriducibili" tra comunismo e socialdemocrazia. Tant'è che entrambi, fanno parte dell'insieme del movimento operaio e dell'insieme della sinistra. Però è comprensibile che ne parlino i "liberal" conservatori: la divisione della sinistra e l'isolamento della sua componente più radicale, è per loro una condizione ottimale.

Non soltanto ha senso; ma è anche "falso" che socialdemocratici e comunisti facciano entrambi parte del "movimento operaio".

Che i comunisti non abbiano mai avuto un atteggiamento leale e corretto nei confronti dei loro concorrenti di sinistra è cosa risaputa, e se ne potrebbero portare numerosi esempi tratti dalla storia di diversi paesi europei: dall'Italia alla Spagna, dalla Germania alla Russia, dalla Cecoslovacchia all'Ungheria.

Ma anche i socialdemocratici sono stati, quando hanno potuto, implacabili con i comunisti; e sono stati ben attenti a tenerli sotto controllo. Quando si sono alleati con loro l'hanno sempre fatto da posizioni di forza.


Originally posted by Roderigo
Ora, per quanto ho letto di te, in due anni, non sono certo che il tuo essere liberale, comunque esterno alla tradizione socialista, sia di sinistra. Secondo me, sta in bilico. Probabilmente nelle tue scelte politiche ha un peso di rilievo la tua collocazione religiosa, o meglio la tua cultura religiosa, che conosco però solo in modo approssimativo (l'etica individualista, insomma). E alcuni elementi ti spingono obiettivamente a destra, per esempio, l'anticomunismo, che in Italia è sempre stato il collante delle forze più conservatrici e reazionarie. E lo è tuttora. se Berlusconi usa l'anticomunismo come tema principale della sua propaganda, non lo fa perchè è stupido o anacronistico.

Le mie posizioni in materia religiosa e in materia politica sonodue facce della stessa medaglia; non sono l'una la conseguenza dell'altra; e, in retrospettiva, se così fosse, sarebbero caso mai le mie posizioni religiose ad essere "figlie" di quelle politiche, perché le mie simpatie repubblicane hanno preceduto quelle protestanti.

Ciò detto, contesto vivamente che l'anticomunismo collochi a destra; e, simmetricamente, che l'antifascismo (o il comunismo) collochino a sinistra.

Il fatto che Berlusconi usi l'anticomunismo in maniera strumentale (ma anche la sinistra ha spesso utilizzato l'antifascismo in maniera strumentale) è un artificio retorico al quale non darei molto peso.

Pieffebi
21-06-02, 13:41
Bene, è ora di contestualizzare.
I marxisti rivoluzionari del XIX secolo, da un certo punto in poi, hanno usato definirsi "socialdemocratici". Se si vuole dire che esiste identità fra il socialdemocratico Bebel e il comunista Lenin su tutte le questioni fondamentali dell'ideologia e della concezione politica, si dice una cosa vera.
Se nel 1925, nel periodo storico successivo al crollo della II internazionale e alla scissione dal movimento socialdemocratico dei partiti comunisti di impianto leniniano, si fosse affermata questa identità si sarebbe commessa già una evidente falsificazione, seppure ancora vi fossero, altrettanto evidentemente, una buona parte di cose comuni.
Ma le tendenze della socialdemocrazia internazionale erano molto diversificate, si andava dai "quasi bolscevichi" della Internazionale 2 e mezzo (austromarxisti e assimilati), ai riformisti social-liberali che già avevano mandato Marx ed Engels "IN SOFFITTA", con al centro le varie correnti tradizionali, di impianto kautskyano (criptorevisionismo per usare il termine di Korsch) e bernsteniano (revisionismo aperto ma con ancora alcuni riferimenti al marxismo, almeno sul piano del metodo).
I laburisti marxisti non lo sono mai stati, sono sorti dalla confluenza di una costola dell'estrema sinistra liberale con i socialisti fabiani, cementati dalla prassi riformista tradeunionistica. Vi sono stati "entrismi" marxisti nel laburismo, teorizzati apertamente da Lenin in "Estremismo, malattia infantile del comunismo", ma queste piccole minoranze erano un partito nel partito, persino ufficialmente e si autodefinivano senz'altro comunisti.
In Svezia la socialdemocrazia ha raggiunto stabilmente il potere dagli anni trenta ma ha subito assunto un atteggiamento moderato, stemperando ogni riferimento ideologico e assumendo di fatto l'accettazione della monarchia e del capitalismo, impegnandosi soltanto a.....gestirlo in modo..."socialista".
Dopo la seconda guerra mondiale e con la guerra fredda la divaricazione fra comunismi e socialdemocrazie diviene ideologicamente e strategicamente radicale ed irreversibile, salvo convergenze tattiche e pratiche. Con Bad Godesberg la più grande socialdemocrazia occidentale ripudia le residue zavorre ideologiche marxiste e sempre di più...ogni riferimento concreto ad una società collettivista radicalmente alternativa all'economia capitalistica del libero mercato. Nacque un anticomunismo ideologico di matrice socialdemocratica che fu addirittura parossistico in ampi settori del laburismo, della socialdemocrazia scandinava (persino ove tatticamente ed elettoralmente vi erano alleanze con i comunisti!!!).
Con l'eurocomunismo sembrò che fossero alcuni dei principali partito comunisti occidentali, rimasti irrimediabilmente da questa parte del mondo, a spingersi sempre più, con la revisione ideologica e politica, ad una concezione del socialismo e del rapporto di questi con la democrazia, paragonabile a quello della socialdemocrazia. In verità, però, come appunto Berlinguer spiegò, questo era apparenza, giacchè l'eurocomunismo non rinunciò all'obiettivo finale del rovesciamento radicale del capitalismo e della sua trasformazione, seppur con metodi ed alleanze non più riconducibili all'ortodossia marxixta-leninista.
L'eurocomunismo non fu socialdemocrazia ma al massimo socialdemocratizzazione incompiuta dei partiti di matrice stalinista. Il compimento del processo di socialdemocratizzazione, a mio avviso non ancora....del tutto coerente, si è attuato solo DOPO la caduta del "muro": in Italia con il partito democratico di sinistra (in cui tutt'ora vi sono però tendenze che si dichiarano comuniste).

Saluti liberali

soviet999
21-06-02, 17:08
Originally posted by Pieffebi

in Italia con il partito democratico di sinistra (in cui tutt'ora vi sono però tendenze che si dichiarano comuniste).

Saluti liberali

:lol :lol :lol :lol

...ma fammi il piacere!!!

Pieffebi
21-06-02, 19:47
Nei Diesse esistono tutt'ora le correnti dei "comunisti unitari" (derivati da una prima scissione rifondarola, ossia prima di quella di Cossutta) ed i "comunisti democratici". Prenditela con loro;)

Saluti liberali

Roderigo
22-06-02, 00:03
Originally posted by Jan Hus
Non, non sono d'accordo. Non è vero che "se fossero idee, qualcuno le avrebbe pensate prima".
Ma sono state pensate prima! Il comunismo è stato pensato da Platone, dagli evangelici, da Thomas More, da Tommaso Campanella, ma è diventato un programma ed una organizzazione politica solo con il formarsi di un proletariato urbano concentrato in grandi stabilimenti industriali.

R.

Roderigo
22-06-02, 00:07
Originally posted by Jan Hus
Pieffebi ha colto il punto.
Riformare significa trasformare un sistema mantenendone le caratteristiche fondamentali. Nel linguaggio politico tedesco socialdemocratico aveva un significatoi molto più sinistrorso rispetto a quanto comunemente s'intende; ma le cose cambiarono con Bad Godesberg nel 1956.
Non a caso, nei paesi latini, più adusi alle velleità retoriche, non esistono partiti "socialdemocratici" o "laburisti", che sono invece tipici dei paesi anglosassoni, dalla mentalità più pragmatica. Esitono, invece, partiti socialisti: che alla "socialdemocraziea" ci sono arrivati più tardi e in modo più malfermo.
I comunisti non sono mai stati socialdemocratici. Il loro obiettivo non è mai stato "trasformare" le democrazie occidentali ad economie di mercato, anche profondamente, mantenendone inalterate le fondamenta, ma sostituire un sistema con un altro completamente diverso. Proprio questa era la critica che il PCI, forte dei suoi successi elettorali, muoveva ai partiti socialdemocratici negli anni Settanta: quella di aver accettato un obiettivo "minimo"; in altri termini, di aver abbandonato il "massimalismo".
Per la stessa ragione, è ingiusto e sbagliato anche nel merito affermare che i comunisti vogliono "cambiare" il mondo, e che questo costituirebbe la loro peculiarità. Anche i socialdemocratici vogliono "cambiare il mondo".
Una delle differenze tra socialdemocratici e comunisti è che i primi, a differenza dei secondi, il mondo l'hanno generalmente cambiato in meglio.
L'ho scritto io stesso, nello spiegare l'affermazione di Berlinguer, secondo cui il Pci non sarebbe mai diventato socialdemocratico, che la discriminante tra comunisti e socialdemocratici era, negli anni '60-'80, l'anticapitalismo. Ma in quegli anni, i partiti comunisti occidentali erano simili al partito bolscevico o ai partiti socialdemocratici prima di Bad Godesberg (1959)?
Faccio notare che la mia posizione consiste nel negare, non la differenza tra comunisti e socialdemocratici, ma il presunto carattere irriducibile di tale differenza, cioè la tesi secondo cui tra le due componenti non esisterebbe intersezione, nessun divisore comune. Ne esistono invece di molto importanti: la matrice ideologica, gli obiettivi ideali, la lettura della realtà attraverso il conflitto di classe, ed i riferimento sociale (la classe gardé).

Riguardo al confronto tra le realizzazioni della socialdemocrazia e quelle del socialismo reale sono d'accordo sul fatto che le prime siano superiori. Ma questo riguarda principalmente l'ideologia o il diverso contesto ambientale in cui si sono verificate? E le realizzazione socialdemocratiche nulla devono all'estistenza dell'Urss come deterrente alternativo al capitalismo? I comunisti a Oriente non hanno comunque realizzato progressi rispetto alle società precedenti dei loro paesi? Le fortune e le sfortune delle due parti non sono sempre andate di pari passo? E quando i comunisti hanno preso atto del loro "fallimento", non hanno trovato naturale cambiare nome in "socialista" (ma alcuni già si chiamavano così) e chiedere l'adesione all'Internazionale socialista? E l'IS non ha ritenuto naturale accoglierli?

R.

Roderigo
22-06-02, 00:08
Originally posted by Jan Hus
Non soltanto ha senso; ma è anche "falso" che socialdemocratici e comunisti facciano entrambi parte del "movimento operaio".
Questa affermazione davvero non l'ho capita.
Comunisti e socialdemocratici non fanno parte del movimento operaio?

R.

Roderigo
22-06-02, 00:15
Originally posted by Jan Hus
Ciò detto, contesto vivamente che l'anticomunismo collochi a destra; e, simmetricamente, che l'antifascismo (o il comunismo) collochino a sinistra.
Il fatto che Berlusconi usi l'anticomunismo in maniera strumentale (ma anche la sinistra ha spesso utilizzato l'antifascismo in maniera strumentale) è un artificio retorico al quale non darei molto peso.
Prima di tutto bisogna intendersi sul significato delle parole. Per "antifascismo" non s'intende solo l'opposizione al fascismo, ma anche la negazione della sua legittimità: il fascismo nella democrazia non ha diritto di cittadinanza. Temo che per "anticomunismo" si intenda la stessa cosa nei confronti dei comunisti: chi mira all'abolizione della proprietà privata è un pericolo (per la libertà, la democrazia, ecc.) e va quindi bandito e combattuto con ogni mezzo. Naturalmente, su questa china è sospetto ogni intervento pubblico sulla proprietà privata.

E' vero, sia Berlusconi, sia la sinistra possono usare antifascismo e anticomunismo in maniera strumentale (ma quando lo fece la sinistra negli anni '70, per giustficare i governi di solidarietà nazionale e l'emergenzialismo, invece di unirsi si spaccò). E l'idealista ferma qui la sua obiezione. Ma c'è un problema: poiché queste posizioni reali e/o strumentali si propongono di coalizzare un arco di forze, antifascismo e anticomunismo cosa coalizzano? E per fare cosa?

R.

Roderigo
22-06-02, 00:17
Originally posted by Pieffebi
I comunisti imputano ai socialdemocratici, a piena ragione, la rinuncia sostanziale (e spessisimo anche ideologico-programmatica), a concepire "il socialismo" come un'alternativa di sistema all'economia "capitalistica" del libero mercato. Il socialismo etico...non ha nulla a che fare con la previsione di un'organizzazione dei rapporti di produzione che faccia a meno della proprietà privata, del libero mercato, eccetera. AL massimo discute di regole, di controlli, di "dosaggi", di compiti di un "settore pubblico" strategico in un'economia mista che un marxista che si rispetti non può esimersi dal definire pienamente capitalistica anche se ....poco "liberale".
Questo è stato, mi pare, anche uno dei "punti forti" delle ragioni della scissione dei "comunisti" rifondaroli dal Partito Democratico della Sinistra. Non a caso anche su questo sito il sottotitolo del forum "comunista" fa riferimento alla "sinsitra anticapitalista". Dunque l'altra, non è qualificabile come tale.
No, perchè l'anticapitalismo oggi non vuole necessariamente un partito alternativo, non essendoci alcuna rottura rivoluzionaria alle porte. Se il Pci avesse solo rotto il suo involucro ideolgico, confermando nel nome, la sua prassi già riformista, cioè se si fosse solo compiutamente trasformato in un partito socialdemocratico, i comunisti avrebbero potuto organizzarsi in una corrente al suo interno, così come volevano Ingrao, Tortorella, e persino il Manifesto. Chi, come me, sceglieva Rifondazione, valutava invece che il nuovo Pds fosse ormai un partito liberale e che la discriminante fosse non tanto l'anticapitalismo, quanto l'antiliberismo.

R.

Jan Hus
22-06-02, 00:30
Originally posted by Roderigo
Ma sono state pensate prima! Il comunismo è stato pensato da Platone, dagli evangelici, da Thomas More, da Tommaso Campanella, ma è diventato un programma ed una organizzazione politica solo con il formarsi di un proletariato urbano concentrato in grandi stabilimenti industriali.

Oppure si può dire che ha avuto la possibilità di estrinsecarsi in un movimento politico soltanto in presenza di un sistema politico che consentiva il dissenso.

Inoltre, il comunismo di Marx non è quello di Thomas More o di Campanella.

In fondo, stiamo parlando di idee diverse.

Paul Atreides
22-06-02, 00:36
Che mi tocca leggere! Il divino Platone, l'aristòcrate Platone arruolato tra i komu:(
Giammai!!

Jan Hus
22-06-02, 00:49
Originally posted by Roderigo
L'ho scritto io stesso, nello spiegare l'affermazione di Berlinguer, secondo cui il Pci non sarebbe mai diventato socialdemocratico, che la discriminante tra comunisti e socialdemocratici era, negli anni '60-'80, l'anticapitalismo. Ma in quegli anni, i partiti comunisti occidentali erano simili al partito bolscevico o ai partiti socialdemocratici prima di Bad Godesberg (1959)?

Erano senz'altro più simili ai partiti comunisti dei paesi dell'Europa orientale.

Tanto è vero che i soldi li prendevano dall'Unione Sovietica. Nessuno partito laburista o socialdemocratico occidentale ha mai fatto una cosa del genere.

Per non parlare dello stretto coordinamento politicotattico su certe questioni, come quelle di politica estera. E' noto che il PCI divenne, tanto per fare un esempio, visceralmente antiisraeliano quando la stessa cosa fece l'Unione Sovietica; per non parlare della posizione sulla questione degli euromissili.

Il PCI ambiva ad accreditarsi come l'autentico rappresentante: anzi, come il partito EGEMONE della sinistra italiana. In quest'ambizione era disposto ad accettare nel suo seno anche tendenze e istanze che, altrove, erano tipiche dei partiti socialdemocratici. Ma questo non lo rese mai un partito socialdemocratico. Scelse esso stesso di rimanere più vicino ai partiti "bolscevichi" che ai partiti socialisti occidentali.


Originally posted by Roderigo
Faccio notare che la mia posizione consiste nel negare, non la differenza tra comunisti e socialdemocratici, ma il presunto carattere irriducibile di tale differenza, cioè la tesi secondo cui tra le due componenti non esisterebbe intersezione, nessun divisore comune. Ne esistono invece di molto importanti: la matrice ideologica, gli obiettivi ideali, la lettura della realtà attraverso il conflitto di classe, ed i riferimento sociale (la classe gardé).

Divisori comuni esistono fra tante cose...fra cristianesimo ed ebraismo, tra cristianesimo ed islamismo, persino tra ebraismo ed islamismo.

Divisori comuni esistono tra italiani e francesi, tra francesi e tedeschi, tra francesi e britannici, tra francesi e statunitensi.

Divisori comuni esistono tra socialdemocratici e comunisti: ma anche tra socialdemocratici e cristianodemocratici, tra socialdemocratici e liberali, eccetera eccetera.

Ma discuterei degli esempi che tu citi come prova della "matrice comune" tra socialdemocratici e comunisti.


Originally posted by Roderigo
Riguardo al confronto tra le realizzazioni della socialdemocrazia e quelle del socialismo reale sono d'accordo sul fatto che le prime siano superiori. Ma questo riguarda principalmente l'ideologia o il diverso contesto ambientale in cui si sono verificate? E le realizzazione socialdemocratiche nulla devono all'estistenza dell'Urss come deterrente alternativo al capitalismo? I comunisti a Oriente non hanno comunque realizzato progressi rispetto alle società precedenti dei loro paesi? Le fortune e le sfortune delle due parti non sono sempre andate di pari passo? E quando i comunisti hanno preso atto del loro "fallimento", non hanno trovato naturale cambiare nome in "socialista" (ma alcuni già si chiamavano così) e chiedere l'adesione all'Internazionale socialista? E l'IS non ha ritenuto naturale accoglierli?

La mia risposta alle prime domande è senz'altro no.

Non è vero che il comunismo è stato la "socialdemocrazia per i poveri". La stessa Russia, agli albori della rivoluzione bolscevica, era senz'altro un paese più arretrato degli altri paesi europei, ad esempio dell'Italia. Ma era comunque un paese in trasformazione. Personalmente sono convinto che, senza il comunismo, con il tempo si sarebbe evoluta verso in una democrazia parlamentare ad economia di mercato, come noi, come la Spagna e come altri paesi che alla democrazia ci sono arrivati. Tardi, ma ci sono arrivati.

Le realizzazioni socialdemocratiche non devono nulla al comunismo sovietico.

Il comunismo ha realizzato progressi? Certo, anche il fascismo. E con ciò? Quando si parte da una situazione molto arretrata è difficile non migliorare qualcosa. E' comunque indiscutibile che in non pochi casi il comunismo sia stato assolutamente controproducente. Quando furono invase dall'Unione Sovietica, l'Estonia, la Lettonia e la Lituania (nell'ordine) avevano un tenore di vita paragonabile a quello della Finlandia (l'Estonia era anche più ricca); la Cecoslovacchia era senz'altro più ricca dell'Austria nel 1945, e anche dell'Italia. Tutti questi paesi erano non solo ricchi, ma anche avanzati e progrediti dal punto di vista degli indicatori civili, sociali e culturali. Per non parlare della Germania orientale.

Le fortune dei socialdemocratici e dei comunisti sono collegati. Ma direi che, anche da questo punto di vista, i comunisti hanno lasciato un'eredità avvelenata ai socialdemocratici. Il fallimento del comunismo è stato talmente radicale e inguistificabile da mettere in crisi la possibilità stessa di un "superamento" del capitalismo, e di questo hanno risentito anche i socialdemocratici e, più in generale, la sinistra.

L'adesione dei comunisti all'IS e il cambiamento di nome, in certi casi (Spagna) sono stati operazioni meramente cosmetiche o poco più; in altri (Italia) non lo sono stati ed hanno comportato uno sforzo di rilettura, peraltro alquanto imbarazzante, del passato. Nel primo caso parlerei di opportunismo tattico più che di presa di coscienza dell'affinità con i socialdemocratici.

Tanto è vero che non tutti i partiti postcomunisti sono stati accolti (e non tutti l'hanno chiesto) nell'IS.

Jan Hus
22-06-02, 00:52
Originally posted by Roderigo
Comunisti e socialdemocratici non fanno parte del movimento operaio?

No, non assieme.

Basti pensare al fatto che, in certi paesi (ad esempio in Svezia) i socialdemocratici contrastarono vigorosamente (ed efficacemente) qualsiasi tentativo da parte dei comunisti di infilitrarsi nelle LO.

Jan Hus
22-06-02, 00:58
Originally posted by Roderigo
Prima di tutto bisogna intendersi sul significato delle parole. Per "antifascismo" non s'intende solo l'opposizione al fascismo, ma anche la negazione della sua legittimità: il fascismo nella democrazia non ha diritto di cittadinanza. Temo che per "anticomunismo" si intenda la stessa cosa nei confronti dei comunisti: chi mira all'abolizione della proprietà privata è un pericolo (per la libertà, la democrazia, ecc.) e va quindi bandito e combattuto con ogni mezzo. Naturalmente, su questa china è sospetto ogni intervento pubblico sulla proprietà privata.

Senz'altro antifascismo e anticomunismo sono simmetrici, hanno le stesse finalità e la stessa legittimità, vale a dire la difesa della llibertà fondamentali e del pluralismo democratico.

Si può discutere se la proprietà privata sia, in sé, una precondizione perché ci sia democrazia in questo senso. Pieffebi pensa di sì, io tendo a pensare di no, almeno in astratto.

Comunque non credo che la proprietà privata sia il fulcro dell'anticomunismo.


Originally posted by Roderigo
E' vero, sia Berlusconi, sia la sinistra possono usare antifascismo e anticomunismo in maniera strumentale (ma quando lo fece la sinistra negli anni '70, per giustficare i governi di solidarietà nazionale e l'emergenzialismo, invece di unirsi si spaccò). E l'idealista ferma qui la sua obiezione. Ma c'è un problema: poiché queste posizioni reali e/o strumentali si propongono di coalizzare un arco di forze, antifascismo e anticomunismo cosa coalizzano? E per fare cosa?

La mia risposta è che nessuno dei due, nella pratica, coalizzi qualcosa.

In astratto dovrebbe esistere una "disciplina democratica", in virtù della quale i partiti che si prefiggono di "difendere la democrazia", siano essi di sinistra o di destra, si dovrebbero rifiutare di allearsi con le rispettive ali estreme.

In pratica questa disciplina democratica vale soltanto quando le ali estreme contano talmente poco che se ne può fare a meno. Se diventano essenziali per vincere certi principi vanno alle ortiche, tranne casi eccezionali.

Di conseguenza, nel dibattito politico dire che la funzione dell'antifascismo e dell'anticomunismo è essenzialmente propagandistica. Si tratta di parole che fanno parte della retorica politica.

Pieffebi
22-06-02, 16:27
A rigore l'affermazione che il fascismo (inteso ...come "ideologia") non ha in generale diritto di cittadinanza in una democrazia, è intrinsecamente e irrimedialmente illiberale e NON democratica. Questa affermazione rappresenta appunto solo l'antifascismo antidemocratico di comunisti e "compagni di strada" (comunque questi ultimi qualifichino se stessi).
E' da trattare alla stessa maniera l'affermazione opposta che il comunismo (inteso ...come "ideologia") non abbia, in generale, diritto di cittadinanza in una democrazia. Anche questa affermazione è intrinsecamente ed irrimedialmente illiberale e NON democratica.
Storicamente vi è stata una necessità inderogabile di giungere ad un'alleanza politico-militare fra antifascismo democratico e antifascismo comunista. Altrettanto sarebbe stata necessaria un'alleanza fra anticomunismo democratico e anticomunismo fascista, nel caso di una concreta e micidiale minaccia sovietica o comunque "rivoluzionaria" nei confronti delle democrazie occidentali o per abbattere le tirannidi rosse nell'est europeo. Ma l'antifascismo democratico resta distante, ideologicamente, eticamente, politicamente, dall'antifascismo comunista ....milioni di anni luce. Così l'anticomunismo democratico resta altrettanto distante dall'anticomunismo fascista.
I liberali non negano, in generale, diritto di cittadinanza a NESSUNA opinione politica (o ideologia) per quanto ripugnante essa sia, e ciò tanto per ragioni di principio che per ragioni..."pragmatiche". Ovviamente non sono considerabili mere opinioni le istigazioni a violare le leggi o la violazione delle medesime: la tolleranza liberale non si applica quindi agli intolleranti.

Saluti liberali

Pieffebi
22-06-02, 16:54
Originally posted by Jan Hus

Hus:
No, non assieme.

Basti pensare al fatto che, in certi paesi (ad esempio in Svezia) i socialdemocratici contrastarono vigorosamente (ed efficacemente) qualsiasi tentativo da parte dei comunisti di infilitrarsi nelle LO.


----
Persino uno storico marxista come Donald Sassoon giunge, nella sostanza, ad ammettere che il "movimento operaio" è un'invenzione ideologica che si è incarnata, in alcuni paesi, in realtà storico-politica.

Saluti liberali

Paul Atreides
22-06-02, 17:44
Mi sembra che nella discussione manchi qualcosa. Niente da dire su Sorel e sul sindacalismo rivoluzionario? Capisco la ritrosia ma "i soreliani sono dunque i primi rivoluzionari formatisi nella sinistra che rifiutano di mettere in discussione la proprietà privata, il profitto individuale e l'economia di mercato" (Z. Sternhell, "Nascita dell'ideologia fascista", Baldini e Castoldi, 2002, p. 38). Una posizione decisamente originale e innovativa rispetto a quegli stessi socialdemocratici che all'epoca, per Sternhell, pur avendo scelto la via democratica non avevano affatto rifiutato l'idea della socializzazione della proprietà.

Saluti

Pieffebi
22-06-02, 20:45
Per quanto io non sia un esperto di "sindacalismo-rivoluzionario" (conosco però piuttosto bene le tesi dei vari marxismi che riguardano questa corrente) mi sembra che questa interpretazione sia, a dir poco, piuttosto....forzata.
Naturalmente la negazione, da parte degli anarco-sindacalisti della funzione autonoma della "politica", del "partito" e la negazione dello Stato (come per gli anarchici classici) implica che non sia auspicabile, per questa corrente (per nulla omogenea, del resto) alcun "socialismo di Stato". Tuttavia lo "scopo finale" dei vari anarchismi, sindacalismi anarchici, sindacalismi rivoluzionari, comunismi anarchici o libertari, resta, oltre che la distruzione dello Stato "borghese", anche la distruzione della società capitalistica e l'avvento della Comune, della federazione dei produttori e del loro autogoverno, secondo schemi sostanzialmente comunistici o collettivistici.
E' pur vero che non vi è alcuna pregiudiziale anarchica contro la proprietà individuale( intesa come possesso dei propri mezzi di lavoro e vita), a condizione che questo possesso non si costituisca in potere economico (sfruttamento) o gerarchico su altri uomini.
Del resto l'autocoscienza della condizione di "proletario" ha corrisposto raramente alla concezione "scientifica" marxiana fondata sul ruolo ricoperto all'interno dei "rapporti di produzione".
Molti artigiani o piccoli commercianti si sono considerati storicamente "classe operaia" o "proletariato" per il fatto che lavoravano con le mani e avevano pochissimi denari! Questi soggetti, che sono stati presenti nel "movimento socialista" e soprattutto in quello anarchico, erano dal punto di vista del marxismo ortodosso (e persino del comunismo anarchico ortodosso di un Malatesta) dei lavoratori piccolo-borghesi.
Quanto al rapporto fra Sorel e il sindacalismo-rivoluzionario (Sorel non fondo' il movimento, vi giunse tardivamente ma ne divenne indubitabilmente il maggior teorico, per poi ....) e fra il sindacalismo-rivoluzionario, socialdemocrazia e comunismo mi riprometto di riparlarne in un prossimo post.

Saluti liberali

Roderigo
22-06-02, 23:46
Originally posted by Jan Hus
Oppure si può dire che ha avuto la possibilità di estrinsecarsi in un movimento politico soltanto in presenza di un sistema politico che consentiva il dissenso.
Inoltre, il comunismo di Marx non è quello di Thomas More o di Campanella.
In fondo, stiamo parlando di idee diverse.
Il partito comunista italiano sotto il fascismo, il partito comunista francese sotto il regime di Vichy, il partito comunista cileno sotto Pinochet, il partito comunista sudafricano sotto l'apartheid, non hanno goduto di nessuna libertà di dissenso (che è una libertà conquistata non concessa), eppure sono esistiti lo stesso. E così, altri partiti di sinistra o democratici.

Il comunismo di Marx (che non è mai stato definito) non è quello di More o di Campanella, ma questo cosa significa? Che con More e Campanella non si sono formati sindacati, partiti e stati, solo perchè essi non ci hanno pensato? Inoltre, il comunismo di More e Campanella è una pura idea o esprime anche le trasformazioni sociali del loro tempo? Nell'Inghilterra di More, le comunità rurali vengono cacciate dai campi, destinanti al pascolo per le pecore che devono rifornire di lana le manifatture tessili e parte dei contadini espulsi dalle campagne vanno a lavorare, in pessime condizioni, nelle nuove manifatture, o finiscono a fare i vagabondi affamati e dediti al brigantaggio. La differenza con i tempi di Marx, oltre che nella quantità del nuovo proletariato consiste nell'assenza di grandi fabbriche che agiscano da integratori sociali, favorendo la formazione di una "coscienza di classe".

R.

Roderigo
22-06-02, 23:47
Originally posted by Jan Hus
Erano senz'altro più simili ai partiti comunisti dei paesi dell'Europa orientale.
Tanto è vero che i soldi li prendevano dall'Unione Sovietica. Nessuno partito laburista o socialdemocratico occidentale ha mai fatto una cosa del genere.
Per non parlare dello stretto coordinamento politicotattico su certe questioni, come quelle di politica estera. E' noto che il PCI divenne, tanto per fare un esempio, visceralmente antiisraeliano quando la stessa cosa fece l'Unione Sovietica; per non parlare della posizione sulla questione degli euromissili.
Il PCI ambiva ad accreditarsi come l'autentico rappresentante: anzi, come il partito EGEMONE della sinistra italiana. In quest'ambizione era disposto ad accettare nel suo seno anche tendenze e istanze che, altrove, erano tipiche dei partiti socialdemocratici. Ma questo non lo rese mai un partito socialdemocratico. Scelse esso stesso di rimanere più vicino ai partiti "bolscevichi" che ai partiti socialisti occidentali.
I partiti comunisti dell'Europa orientale erano partiti burocratico-ministeriali, privi di una reale vita associativa e azione di massa, gestivano un sistema di collettivismo statale, mediante piani quinquennali. In alcuni paesi, non solo non erano partiti operai, malgrado il nome, ma si ponevano come controparte della classe operaia.
I partiti comunisti dell'Europa occidentale, soprattutto dell'Europa mediterranea, erano invece partiti di massa, organizzati in cellule sui luoghi di lavoro ed in sezioni territoriali, svolgevano una funzione di opposizione e propugnavano programma ispirati ad una universalizzazione dello stato sociale, una sorta di riformismo radicale, che restava nell'ambito di un sistema di economia mista, pur intendendo procedere, mediante le riforme e la lotta democratico parlamentare, verso il socialismo. Proprio come i partiti socialisti pre-Bad Godesberg, o le correnti di sinistra dei partiti socialdemocratici.
L'involucro ideologico e la politica estera dei partiti comunisti occidentali era invece simile, ed anche dipendente, dai partiti comunisti dell'Est, ma con una progressiva autonomizzazione, a partire dalla destalinizzazione (1956). L'esempio che citi, quello degli euromissili, non dimostra affatto una dipendenza del Pci dall'Urss, ancora negli anni Ottanta. Nel 1977, il Pci si era dicharato contro anche l'installazione degli SS20, nel 1979 aveva condannato l'invasione sovietica dell'Afghanistan e nel 1981 il colpo di stato in Polonia, realizzando lo "strappo", con la dicharazione sull'esaurimento della spinta propulsiva della rivoluzione d'ottobre. Posizioni che indussero i sovietici a sostenere e finanziare una propria corrente nell'ambito del Pci, quella cossuttiana, dotata di un proprio organo di informazione "interstampa". Contro gli euromissili erano anche la Spd, il partito socialista spagnolo ed il partito laburista inglese, e se non ricordo male, anche la socialdemocrazia svedese.

R.

Roderigo
22-06-02, 23:48
Originally posted by Jan Hus
Divisori comuni esistono fra tante cose...fra cristianesimo ed ebraismo, tra cristianesimo ed islamismo, persino tra ebraismo ed islamismo.
Divisori comuni esistono tra italiani e francesi, tra francesi e tedeschi, tra francesi e britannici, tra francesi e statunitensi.
Divisori comuni esistono tra socialdemocratici e comunisti: ma anche tra socialdemocratici e cristianodemocratici, tra socialdemocratici e liberali, eccetera eccetera.
Ma discuterei degli esempi che tu citi come prova della "matrice comune" tra socialdemocratici e comunisti.
Sulle religioni, mi affido a te. :)
Sui partiti osservo che non tutti i comuni divisori hanno la stessa valenza, non tutti costituiscono degli insiemi politici: socialdemocratici e comunisti sono le due anime della sinistra e del movimento operaio novecentesco. La loro divisione, se intesa nel senso di riformisti e rivoluzionari, è stata persino vissuta interiormente dai loro militanti. Io stesso vivo dentro di me, entrambe le componenti.
Ad essere comune è la matrice ideologica e la matrice sociale. Una comunanza così forte da non aver mai definitivamente eclissato il tema della riunificazione.

R.

Roderigo
22-06-02, 23:50
Originally posted by Jan Hus
Non è vero che il comunismo è stato la "socialdemocrazia per i poveri". La stessa Russia, agli albori della rivoluzione bolscevica, era senz'altro un paese più arretrato degli altri paesi europei, ad esempio dell'Italia. Ma era comunque un paese in trasformazione. Personalmente sono convinto che, senza il comunismo, con il tempo si sarebbe evoluta verso in una democrazia parlamentare ad economia di mercato, come noi, come la Spagna e come altri paesi che alla democrazia ci sono arrivati. Tardi, ma ci sono arrivati.
Se è per questo, non è neppure vero che il "comunismo" sia stato il comunismo. L'Urss e i vari regimi dell'est non sono mai stati società comuniste.
Può essere, che la Russia comunque avrebbe intrapreso la strada dell'industrializzazione. Il fatto è, che dalla sua crisi rivoluzionaria, che non è stata determinata dai bolscevichi, non è emerso il soggetto di questo processo. O meglio, è emerso il partito bolscevico, l'unico determinato a rompere radicalmente e definitivamente con lo zarismo, e a costruire lo stato che avrebbe industrializzato il paese. Nei paesi più arretrati, il soggetto dell'industrializzazione è lo stato e non la borghesia.

R.

Roderigo
22-06-02, 23:51
Originally posted by Jan Hus
Le realizzazioni socialdemocratiche non devono nulla al comunismo sovietico.
Il comunismo ha realizzato progressi? Certo, anche il fascismo. E con ciò? Quando si parte da una situazione molto arretrata è difficile non migliorare qualcosa. E' comunque indiscutibile che in non pochi casi il comunismo sia stato assolutamente controproducente. Quando furono invase dall'Unione Sovietica, l'Estonia, la Lettonia e la Lituania (nell'ordine) avevano un tenore di vita paragonabile a quello della Finlandia (l'Estonia era anche più ricca); la Cecoslovacchia era senz'altro più ricca dell'Austria nel 1945, e anche dell'Italia. Tutti questi paesi erano non solo ricchi, ma anche avanzati e progrediti dal punto di vista degli indicatori civili, sociali e culturali. Per non parlare della Germania orientale.
Quando parlo delle realizzazioni del "comunismo", non intendo togliere nulla ai fallimenti, ai crimini e alle nefandezze. Constato solo, che nella loro parte del mondo, anche i partiti comunisti hanno realizzato progressi (l'industrializzazione, la scolarizzazione, la protezione sociale) ed hanno partecipato anche ad alcuni meriti storici: la lotta al nazifascismo, il sostegno alle lotte di indipendenza nazionale contro il colonialismo. Sul fatto che fosse difficile non migliorare qualcosa nei paesi arretrati, ho in parte risposto sopra, ciò è vero a condizione di rompere definitivamente con i rapporti sociali semi-feudali di quelle società.
Per quanto riguarda la Cecoslovacchia, probabilmente hai ragione, ma qui non si tratta più di rivoluzione, ma di conquista territoriale da parte sovietica, nel quadro degli accordi di Yalta. Negli anni sessanta, la parabola sovietica si arresta e tende ormai al declino, ma fino al dopoguerra, e soprattutto negli anni '30, dopo la grande depressione, anche nel mondo occidentale, non vi era affatto certezza che quel sistema non funzionasse. Anche gli economisti liberali studiavano la pianificazione dell'economia. E la paura che l'Urss potesse essere davvero una alternativa al capitalismo spinse le borghesie occidentali al compromesso sociale. In questo senso, le socialdemocrazie devono qualcosa anche alla presenza del deterente sovietico. Allo stesso modo, la sua crisi il suo crollo ha influito e influisce sullo smantellamento dello stato sociale.

R.

Roderigo
22-06-02, 23:52
Originally posted by Jan Hus
Le fortune dei socialdemocratici e dei comunisti sono collegati. Ma direi che, anche da questo punto di vista, i comunisti hanno lasciato un'eredità avvelenata ai socialdemocratici. Il fallimento del comunismo è stato talmente radicale e inguistificabile da mettere in crisi la possibilità stessa di un "superamento" del capitalismo, e di questo hanno risentito anche i socialdemocratici e, più in generale, la sinistra.
Sono d'accordo, con la correzione di qualche termine.
Direi allo stesso modo, che il fallimento del modello staliniano-brezneviano ha lasciato una eredità avvelenata all'idea stessa di socialismo. E di comunismo.

R.

Roderigo
22-06-02, 23:53
Originally posted by Jan Hus
L'adesione dei comunisti all'IS e il cambiamento di nome, in certi casi (Spagna) sono stati operazioni meramente cosmetiche o poco più; in altri (Italia) non lo sono stati ed hanno comportato uno sforzo di rilettura, peraltro alquanto imbarazzante, del passato. Nel primo caso parlerei di opportunismo tattico più che di presa di coscienza dell'affinità con i socialdemocratici.
Tanto è vero che non tutti i partiti postcomunisti sono stati accolti (e non tutti l'hanno chiesto) nell'IS.
D'accordo anche qui, con la precisazione che il Pds-Ds non ha prodotto alcuna rilettura della storia del "comunismo", l'ha semplicemente rimossa, tutta la elaborazione e la letteratura critica sull'argomento è stata espressa da dirigenti e autori del Pci. Ed oggi, di Rifondazione.
Tuttavia, a nessun partito dell'est è venuto in mente di aderire ad una internazionale diversa da quella socialista, e l'IS ha preso in considerazione ogni singola domanda di adesione, non ha reagito dicendo "siamo due cose diverse, tra noi vi è una differenza irriducibile".

R.

Roderigo
22-06-02, 23:54
Originally posted by Jan Hus
No, non assieme.
Basti pensare al fatto che, in certi paesi (ad esempio in Svezia) i socialdemocratici contrastarono vigorosamente (ed efficacemente) qualsiasi tentativo da parte dei comunisti di infilitrarsi nelle LO.
Dipende dal periodo e dal paese.
Per movimento operaio s'intendono tutte le forme organizzative e associative espresse dalla classe operaia: partiti, sindacati, leghe, cooperative, case del popolo, ecc.
In alcuni periodi ed in alcuni paesi, le due anime del movimento operaio hanno convissuto nelle stesse organizzazioni ed in altri no. Ma questo mondo è stato sempre comune ad entrambi.
I socialdemocratici svedesi non hanno certo rifiutato il sostegno dei comunisti, quando ne hanno avuto bisogno per formare maggioranze parlamentari. E gli stessi comunisti hanno vigorosamente contrastato, nelle proprie organizzazioni, "infiltrazioni" da parti di componenti minoritarie, per esempio i trotzkjsty, ma non per questo si può dire che i trotzkjsty non facciano parte del movimento comunista. Piuttosto, quando la convivenza è rifiutata per motivi ideologici, e la partecipazione dell'altro è una "infiltrazione", si dà il settarismo, uno dei difetti peggiori del movimento comunista, da cui i socialdemocratici, non sempre sono stati immuni.

R.

Roderigo
22-06-02, 23:55
Originally posted by Jan Hus
Senz'altro antifascismo e anticomunismo sono simmetrici, hanno le stesse finalità e la stessa legittimità, vale a dire la difesa della llibertà fondamentali e del pluralismo democratico.
Si può discutere se la proprietà privata sia, in sé, una precondizione perché ci sia democrazia in questo senso. Pieffebi pensa di sì, io tendo a pensare di no, almeno in astratto.
Comunque non credo che la proprietà privata sia il fulcro dell'anticomunismo.
Qui c'è un abisso.

Affermare che antifascismo e anticomunismo sono simmetrici, equivale a dire che lo sono anche fascismo e comunismo. E questo è falso, perchè i comunisti non si propongono di abolire le libertà fondamentali e il pluralismo democratico. Soprattutto nella storia del nostro paese. L'antifascismo non è dipeso da una valutazione astratta dell'ideologia fascista, è stato la lotta contro il fascismo, contro una dittatura, che è esistita realmente, e contro la quale si è concretamente costruita la democrazia. E di questa costruzione, i comunisti sono stati una parte, forse più coerente delle altre.

Se non credi che la proprietà privata sia, in sé, una precondizione perché ci sia democrazia, allora non puoi escludere a priori un comunismo democratico.

Qual è secondo te, il fulcro dell'anticomunismo? E del comunismo?

R.

Roderigo
22-06-02, 23:56
Originally posted by Jan Hus
La mia risposta è che nessuno dei due, nella pratica coalizzi qualcosa.
In astratto dovrebbe esistere una "disciplina democratica", in virtù della quale i partiti che si prefiggono di "difendere la democrazia", siano essi di sinistra o di destra, si dovrebbero rifiutare di allearsi con le rispettive ali estreme.
In pratica questa disciplina democratica vale soltanto quando le ali estreme contano talmente poco che se ne può fare a meno. Se diventano essenziali per vincere certi principi vanno alle ortiche, tranne casi eccezionali.
Di conseguenza, nel dibattito politico dire che la funzione dell'antifascismo e dell'anticomunismo è essenzialmente propagandistica. Si tratta di parole che fanno parte della retorica politica.
In parte ti ho già replicato sopra.
Qui ti chiedo: l'anticomunismo non fu uno dei collanti della P2?
Non è oggi uno dei collanti della coalizione di governo, che comprende liberisti, xenofobi populisti, clericali, e fascisti o post-fascisti. Neppure tra costoro esistono differenze irriducibili. L'anticomunismo non è uno delle loro principali intersezioni? E perchè sono anticomunisti? Vogliono combattere Stalin?

Il ragionamento sulle ali estreme ripropone, sempre in astratto, l'equiparazione già citata sopra. Con l'aggravante di definire i pericoli per la democrazia in termini geometrici, cioè ancora più astratti.
Rifondazione Comunista è considerata l'ala estrema della sinistra. La consideri un pericolo per la democrazia? L'Ulivo dovrebbe rifiutare ogni alleanza con lei, per disciplina democratica?

R.

Roderigo
22-06-02, 23:58
Chiedo scusa a Pieffebi se lo trascuro in questo topic, ma preferisco, nelle discussioni, specie se ideologiche, dare la precedenza ai liberaldemocratici di sinistra. :)

R.

Roderigo
23-06-02, 00:00
Originally posted by Paul Atreides
Mi sembra che nella discussione manchi qualcosa. Niente da dire su Sorel e sul sindacalismo rivoluzionario? Capisco la ritrosia ma "i soreliani sono dunque i primi rivoluzionari formatisi nella sinistra che rifiutano di mettere in discussione la proprietà privata, il profitto individuale e l'economia di mercato" (Z. Sternhell, "Nascita dell'ideologia fascista", Baldini e Castoldi, 2002, p. 38). Una posizione decisamente originale e innovativa rispetto a quegli stessi socialdemocratici che all'epoca, per Sternhell, pur avendo scelto la via democratica non avevano affatto rifiutato l'idea della socializzazione della proprietà.
Si, certo, anche Sorel ed il sindacalismo rivoluzionario hanno fatto parte della storia del movimento operaio. Anche l'anarchismo. Ma si tratta di movimenti ormai superati.
Questa discussione è partito da uno scambio di battute tra me e Jan Hus. Hus sosteneva che oggi non è possibile farsi chiamare comunisti senza farsi "spernacchiare", da qui la scelta di "no-global". Gli ho replicato che "no-global" non lo abbiamo scelto noi, e che se, qui in Italia, ci chiamiamo comunisti è anche perchè riteniamo che questo nome, rispetto agli altri nomi del movimento operaio (socialista, socialdemocratico e laburista) garantisca ancora una maggior capacità e tenuta aggregativa, rispetto agli interessi sociali che vogliamo rappresentare. Naturalmente il discorso sarebbe diverso in altri paesi, per esempio nel Nord-Europa. Quindi Hus ha contestato l'equivalenza tra "comunista" da una parte e "socialista", "socialdemocratico" e "laburista" dall'altra. Contestazione giusta, in parte, nella storia del Novecento, ma secondo me oggi non più attuale: non ritengo che comunismo, socialismo, socialdemocrazia e laburismo costituiscano tuttora famiglie politiche omogene a livello internazionale. Di conseguenza, il significato dei loro nomi tende a livellarsi, a farsi sinonimo.

R.

Paul Atreides
23-06-02, 01:28
Originally posted by Roderigo

Si, certo, anche Sorel ed il sindacalismo rivoluzionario hanno fatto parte della storia del movimento operaio. Anche l'anarchismo. Ma si tratta di movimenti ormai superati.
Questa discussione è partito da uno scambio di battute tra me e Jan Hus. Hus sosteneva che oggi non è possibile farsi chiamare comunisti senza farsi "spernacchiare", da qui la scelta di "no-global". Gli ho replicato che "no-global" non lo abbiamo scelto noi, e che se, qui in Italia, ci chiamiamo comunisti è anche perchè riteniamo che questo nome, rispetto agli altri nomi del movimento operaio (socialista, socialdemocratico e laburista) garantisca ancora una maggior capacità e tenuta aggregativa, rispetto agli interessi sociali che vogliamo rappresentare. Naturalmente il discorso sarebbe diverso in altri paesi, per esempio nel Nord-Europa. Quindi Hus ha contestato l'equivalenza tra "comunista" da una parte e "socialista", "socialdemocratico" e "laburista" dall'altra. Contestazione giusta, in parte, nella storia del Novecento, ma secondo me oggi non più attuale: non ritengo che comunismo, socialismo, socialdemocrazia e laburismo costituiscano tuttora famiglie politiche omogene a livello internazionale. Di conseguenza, il significato dei loro nomi tende a livellarsi, a farsi sinonimo.

R.

Grazie per la spiegazione.

PS. Su ciò che sarebbe superato, mai sentito parlare di libertarismo comunitario:) ?

Paul Atreides
23-06-02, 01:36
Originally posted by Pieffebi
Per quanto io non sia un esperto di "sindacalismo-rivoluzionario" (conosco però piuttosto bene le tesi dei vari marxismi che riguardano questa corrente) mi sembra che questa interpretazione sia, a dir poco, piuttosto....forzata.
Naturalmente la negazione, da parte degli anarco-sindacalisti della funzione autonoma della "politica", del "partito" e la negazione dello Stato (come per gli anarchici classici) implica che non sia auspicabile, per questa corrente (per nulla omogenea, del resto) alcun "socialismo di Stato". Tuttavia lo "scopo finale" dei vari anarchismi, sindacalismi anarchici, sindacalismi rivoluzionari, comunismi anarchici o libertari, resta, oltre che la distruzione dello Stato "borghese", anche la distruzione della società capitalistica e l'avvento della Comune, della federazione dei produttori e del loro autogoverno, secondo schemi sostanzialmente comunistici o collettivistici.
E' pur vero che non vi è alcuna pregiudiziale anarchica contro la proprietà individuale( intesa come possesso dei propri mezzi di lavoro e vita), a condizione che questo possesso non si costituisca in potere economico (sfruttamento) o gerarchico su altri uomini.
Del resto l'autocoscienza della condizione di "proletario" ha corrisposto raramente alla concezione "scientifica" marxiana fondata sul ruolo ricoperto all'interno dei "rapporti di produzione".
Molti artigiani o piccoli commercianti si sono considerati storicamente "classe operaia" o "proletariato" per il fatto che lavoravano con le mani e avevano pochissimi denari! Questi soggetti, che sono stati presenti nel "movimento socialista" e soprattutto in quello anarchico, erano dal punto di vista del marxismo ortodosso (e persino del comunismo anarchico ortodosso di un Malatesta) dei lavoratori piccolo-borghesi.
Quanto al rapporto fra Sorel e il sindacalismo-rivoluzionario (Sorel non fondo' il movimento, vi giunse tardivamente ma ne divenne indubitabilmente il maggior teorico, per poi ....) e fra il sindacalismo-rivoluzionario, socialdemocrazia e comunismo mi riprometto di riparlarne in un prossimo post.

Saluti liberali

Sarà forzata ma...ma...gli elementi a sostegno ci sono eccome anche in questo messaggio, giusto eliminando pochi dettagli tipo "la distruzione della società capitalistica" e "gli schemi comunistico-collettivistici". Per quanto riguarda la Comune, beh, tutto sta nella sua lettura, ossia gli occhiali son quelli di Marx o invece quelli di...Proudhon?

Saluti

Jan Hus
23-06-02, 02:52
Originally posted by Roderigo
I partiti comunisti dell'Europa orientale erano partiti burocratico-ministeriali, privi di una reale vita associativa e azione di massa, gestivano un sistema di collettivismo statale, mediante piani quinquennali. In alcuni paesi, non solo non erano partiti operai, malgrado il nome, ma si ponevano come controparte della classe operaia.
I partiti comunisti dell'Europa occidentale, soprattutto dell'Europa mediterranea, erano invece partiti di massa, organizzati in cellule sui luoghi di lavoro ed in sezioni territoriali, svolgevano una funzione di opposizione e propugnavano programma ispirati ad una universalizzazione dello stato sociale, una sorta di riformismo radicale, che restava nell'ambito di un sistema di economia mista, pur intendendo procedere, mediante le riforme e la lotta democratico parlamentare, verso il socialismo.

Insomma, si può sapere da dove venivano i partiti comunisti dell'Europa orientale?

Saranno stati anche loro partiti di massa, saranno stati anche loro organizzati in cellule sui luoghi di lavoro ed in sezioni territoriali, avranno svolto anche loro una funzione di opposizione e avranno propugnato anche loro programmi ispirati ad un'universalizzazione dello stato sociale, no? (anche se su quest'ultimo punto ci sarebbe da discutere: l'obiettivo dei partiti comunisti non è mai stato quello di restare nell'ambito di un'economia mista e della democrazia parlamentare, altrimenti che difficoltà avrebbero avuto questi stessi partiti a chiamarsi socialisti e ad aderire all'Internazionale Socialista?)

Oppure venivano da Marte?


Originally posted by Roderigo
Proprio come i partiti socialisti pre-Bad Godesberg, o le correnti di sinistra dei partiti socialdemocratici.

Vedi sopra.


Originally posted by Roderigo
L'involucro ideologico e la politica estera dei partiti comunisti occidentali era invece simile, ed anche dipendente, dai partiti comunisti dell'Est, ma con una progressiva autonomizzazione, a partire dalla destalinizzazione (1956).

Non considererei una dimostrazione di autonomia il fatto che i partiti comunisti occidentali abbiano criticato Stalin solo dopo che lo fece Kruscev.


Originally posted by Roderigo
L'esempio che citi, quello degli euromissili, non dimostra affatto una dipendenza del Pci dall'Urss, ancora negli anni Ottanta. Nel 1977, il Pci si era dicharato contro anche l'installazione degli SS20, nel 1979 aveva condannato l'invasione sovietica dell'Afghanistan e nel 1981 il colpo di stato in Polonia, realizzando lo "strappo", con la dicharazione sull'esaurimento della spinta propulsiva della rivoluzione d'ottobre. Posizioni che indussero i sovietici a sostenere e finanziare una propria corrente nell'ambito del Pci, quella cossuttiana, dotata di un proprio organo di informazione "interstampa". Contro gli euromissili erano anche la Spd, il partito socialista spagnolo ed il partito laburista inglese, e se non ricordo male, anche la socialdemocrazia svedese.

L'SPD non era affatto contro gli euromissili; la decisione di installare gli euromissili nella Germania Federale fu presa proprio da un cancelliere socialdemocratico, Helmut Schmidt; anche se Schmidt la prese apertamente solo DOPO che anche l'Italia approvò quella scelta, alla faccia della leggenda secondo cui saremmo solo un paese di pagliacci.

Quanto ai socialisti spagnoli...all'epoca la Spagna non faceva neanche parte della NATO; ma furono proprio i socialisti a portarvela.

Infine, per quanto riguarda la socialdemocrazia svedese: la socialdemocrazia svedese, allora al governo, rimase neutrale anche durante la Seconda Guerra Mondiale.

Inoltre resta una differenza sostanziale: né i socialdemocratici svedesi o tedesco-federali, né i socialisti spagnoli prendevano soldi da Mosca.

E' un po' difficile essere "autonomi" da chi ti finanzia; ed è ancora più difficile far credere di volerlo essere.

Jan Hus
23-06-02, 02:57
Originally posted by Roderigo
Sulle religioni, mi affido a te. :)

Affidati piuttosto a Bernard Lewis. :)


Originally posted by Roderigo
Sui partiti osservo che non tutti i comuni divisori hanno la stessa valenza, non tutti costituiscono degli insiemi politici: socialdemocratici e comunisti sono le due anime della sinistra e del movimento operaio novecentesco. La loro divisione, se intesa nel senso di riformisti e rivoluzionari, è stata persino vissuta interiormente dai loro militanti. Io stesso vivo dentro di me, entrambe le componenti.

Problema tuo.

Ognuno sceglie le proprie contraddizioni. ;)


Originally posted by Roderigo
Ad essere comune è la matrice ideologica e la matrice sociale. Una comunanza così forte da non aver mai definitivamente eclissato il tema della riunificazione.

Ma quando mai in Francia o in Germania i socialdemocratici si sono posti il problema di riunificarsi ai comunisti? ;)

Jan Hus
23-06-02, 03:02
Originally posted by Roderigo
Se è per questo, non è neppure vero che il "comunismo" sia stato il comunismo. L'Urss e i vari regimi dell'est non sono mai stati società comuniste.

Allora quel che proponete è un'"utopia"?

Ma non era Marx quello che aveva bollato di utopistiche le teorie socialiste che erano state elaborate prima di lui?

Se il tuo comunismo è "utopistico", Marx lo puoi anche buttare a mare.

Comunque, non sono d'accordo sul fatto che l'Unione Sovietica non sia mai stata una "società comunista".

Lo è stata eccome: infatti ha riprodotto gli stessi difetti, ed ha fallito per gli stessi motivi, che erano stati previsti dai critici del comunismo, come Weber, ad esempio.


Originally posted by Roderigo
Può essere, che la Russia comunque avrebbe intrapreso la strada dell'industrializzazione. Il fatto è, che dalla sua crisi rivoluzionaria, che non è stata determinata dai bolscevichi, non è emerso il soggetto di questo processo. O meglio, è emerso il partito bolscevico, l'unico determinato a rompere radicalmente e definitivamente con lo zarismo, e a costruire lo stato che avrebbe industrializzato il paese. Nei paesi più arretrati, il soggetto dell'industrializzazione è lo stato e non la borghesia.

I bolscevichi non rovesciarono lo zarismo, bensì una democrazia parlamentare in fieri.

Deposero Kerenskij, non un autocrate reazionario.

Jan Hus
23-06-02, 03:10
Originally posted by Roderigo
Quando parlo delle realizzazioni del "comunismo", non intendo togliere nulla ai fallimenti, ai crimini e alle nefandezze. Constato solo, che nella loro parte del mondo, anche i partiti comunisti hanno realizzato progressi (l'industrializzazione, la scolarizzazione, la protezione sociale) ed hanno partecipato anche ad alcuni meriti storici: la lotta al nazifascismo, il sostegno alle lotte di indipendenza nazionale contro il colonialismo.

Perché, dove hanno governato, non hanno forse avuto meriti anche il fascismo, il nazismo, il franchismo o il peronismo?


Originally posted by Roderigo
Sul fatto che fosse difficile non migliorare qualcosa nei paesi arretrati, ho in parte risposto sopra, ciò è vero a condizione di rompere definitivamente con i rapporti sociali semi-feudali di quelle società.

La Cecoslovacchia, l'Ungheria, l'Estonia o la Lettonia erano forse paesi semifeudali?


Originally posted by Roderigo
Per quanto riguarda la Cecoslovacchia, probabilmente hai ragione, ma qui non si tratta più di rivoluzione, ma di conquista territoriale da parte sovietica, nel quadro degli accordi di Yalta.

Gli accordi di Yalta prevedevano la divisione dell'Europa in sfere d'influenza.

Essi non prevedevano affatto che il partito comunista cecoslovacco attuasse un colpo di stato con l'appoggio sovietico e facesse fuori i socialisti, a cominciare da Benes.


Originally posted by Roderigo
Negli anni sessanta, la parabola sovietica si arresta e tende ormai al declino, ma fino al dopoguerra, e soprattutto negli anni '30, dopo la grande depressione, anche nel mondo occidentale, non vi era affatto certezza che quel sistema non funzionasse. Anche gli economisti liberali studiavano la pianificazione dell'economia. E la paura che l'Urss potesse essere davvero una alternativa al capitalismo spinse le borghesie occidentali al compromesso sociale. In questo senso, le socialdemocrazie devono qualcosa anche alla presenza del deterente sovietico. Allo stesso modo, la sua crisi il suo crollo ha influito e influisce sullo smantellamento dello stato sociale.

Certo, questo può valere per gli anni Trenta o Quaranta; forse anche per gli anni Cinquanta.

Ma il PCI rimase comunista anche negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta.

Allora le cose sarebbero già dovute diventare evidenti.

Jan Hus
23-06-02, 03:14
Originally posted by Roderigo
Dipende dal periodo e dal paese.
Per movimento operaio s'intendono tutte le forme organizzative e associative espresse dalla classe operaia: partiti, sindacati, leghe, cooperative, case del popolo, ecc.
In alcuni periodi ed in alcuni paesi, le due anime del movimento operaio hanno convissuto nelle stesse organizzazioni ed in altri no. Ma questo mondo è stato sempre comune ad entrambi.

Come definizione mi sa tanto di forzatura.


Originally posted by Roderigo
I socialdemocratici svedesi non hanno certo rifiutato il sostegno dei comunisti, quando ne hanno avuto bisogno per formare maggioranze parlamentari.

Certo; ma sono sempre stati ben attenti a tenerli in posizione di inferiorità.

I loro governi godevano dell'appoggio esterno dei comunsiti, quando serviva; ma al tempo stesso i comunisti li sorvegliavano e li spiavano.

Hanno usato i comunisti; non ne sono mai stati alleati.

Jan Hus
23-06-02, 03:19
Originally posted by Pieffebi
Persino uno storico marxista come Donald Sassoon giunge, nella sostanza, ad ammettere che il "movimento operaio" è un'invenzione ideologica che si è incarnata, in alcuni paesi, in realtà storico-politica.

In effetti anch'io mi sono pentito di aver accettato l'espressione "movimento operaio" subito dopo aver scritto la mia risposta.

LogicadiVelluto
23-06-02, 08:32
Scusate,non ho dimestichezza con il forum,sono un nuovo iscritto.la discussione cmq è molto interessante.:rolleyes: :o

23-06-02, 12:02
Originally posted by Roderigo

Prima di tutto bisogna intendersi sul significato delle parole. Per "antifascismo" non s'intende solo l'opposizione al fascismo, ma anche la negazione della sua legittimità: il fascismo nella democrazia non ha diritto di cittadinanza. Temo che per "anticomunismo" si intenda la stessa cosa nei confronti dei comunisti: chi mira all'abolizione della proprietà privata è un pericolo (per la libertà, la democrazia, ecc.) e va quindi bandito e combattuto con ogni mezzo. Naturalmente, su questa china è sospetto ogni intervento pubblico sulla proprietà privata.

E' vero, sia Berlusconi, sia la sinistra possono usare antifascismo e anticomunismo in maniera strumentale (ma quando lo fece la sinistra negli anni '70, per giustficare i governi di solidarietà nazionale e l'emergenzialismo, invece di unirsi si spaccò). E l'idealista ferma qui la sua obiezione. Ma c'è un problema: poiché queste posizioni reali e/o strumentali si propongono di coalizzare un arco di forze, antifascismo e anticomunismo cosa coalizzano? E per fare cosa?

R.

Secondo me, in una vera democrazia, tutti hanno diritto di cittadinanza, fascisti e comunisti compresi.
Una forza politica che traesse la sua ragione di essere esclusivamente dall'antifascismo o dall'anticomunismo si caratterizzerebbe in negativo ed avrebbe vita breve. Perfino Berlusconi, con la sua ossessione anticomunista, viene votato dalla maggioranza dei suoi elettori non per questa cosa, quanto, piuttosto, per le sue promesse ingannevoli da omino del carro, tipo quello di Pinocchio.

Pieffebi
23-06-02, 14:31
Alcune....annotazioni.
Sono d'accordo con gdr, salvo sulla valutazione dell'anticomunismo del signor Berlusconi che è liberale con alcune venature vetero-democristiane, se volete scelbiane, ma non certo tese... a porre i comunisti "fuori legge" in quanto tali.

I partiti comunisti occidentali sono stati prima leninisti e poi stalinisti, e sono rimasti stalinisti molto a lungo, ben oltre il 1956, nella misura in cui la "destalinizzazione" in URSS si è risolta in una mera ristrutturazione del gruppo dirigente comunista, con la rinuncia al potere terroristico aperto (e micidiale) ma non alla repressione in generale e al totalitarismo integrale costruito in epoca leniniana e rafforzato in quella staliniana.

Le aperture dei comunisti occidentali verso la "democrazia borghese" sono TUTTE avvenute, fino ad almeno all'ultimo scorcio degli anni sessanta, su DISPOSIZIONI o ispirazioni...moscovite.
Queste aperture si aprivano e si restringevano a seconda degli interessi dell'URSS. Allo stesso modo funzionavano i rapporti dei partiti comunisti occidentali con i partiti socialisti e socialdemocratici (dal "socialfascismo" ai fronti popolari, a nuove lotta ideologiche durissime, a nuovi tentativi d'unità d'azione, con continue oscillazioni o zig-zag).
Ciò non significa che i leader occidentali non avessero qualche margine di manovra, ma solo applicativo, non di costituzione della linea politica generale. Togliatti fu senza dubbio un "creativo" e si avvalse della produzione intellettuale di Gramsci (che pubblicò a rate e interpretò secondo gli interessi contingenti del partito) per elaborare raffinatezze tattico-politiche degne di ammirazione dal punto di vista dell'intelligenza, ma aveva assai meno autonomia effettiva dall'URSS di quanto...un qualsiasi deputato di Forza Italia ne abbia oggi dal presidente Berlusconi;) .
Tanto la "svolta di Salerno" che quella del 1956 (contestuale alla piena approvazione togliattiana della criminale invasione sovietica dell'Ungheria in rivolta!!!!) furono volute o accettate dall'Unione Sovietica. La prima fu assolutamente dettata, anzi ordinata personalmente da Stalin, come è ormai dimostrato. La seconda fu...ispirata dalla nuova leadership (meno dura e perentoria di Baffone, ma non meno esigente, come dimostrarono proprio i fatti di Budapest).
Ovviamente....come ho già detto, queste svolte ebbero un effetto sulla natura del partito e sull'abitudine dei suoi quadri a lavorare nelle "istituzioni borghesi". Effetto che non poteva non determinare, alla lunga, una notevole influenza sulla formazione ideologica del comunismo italiano, con l'apertura di contraddizioni non da poco tra ideologia e linea politica, fra ortodossia, ortoprassi e politica quotidiana effettiva.

Altro punto, indissolubilmente legato al precedente, è quello dello stalinismo: anche il PSI di Nenni fu per anni, a suo modo, indubbiamente stalinista. Il PSI al contrario delle socialdemocrazie europee ricevette ingenti finanziamenti dall'URSS, che poi furono destinati allo PSIUP (per la verità questo fu il nome dei socialisti nenniani ben prima di diventare quello della setta "socialista di sinistra" contraria al centrosinistra e amica del PCI).
E' assolutamente falso che prima della "denuncia" Crushoviana del "culto della personalità" con la famosa relazione segreta al XX congresso del PCUS, non si avessero sufficienti informazioni nel "movimento operaio" occidentale sui crimini "di Stalin "(e sul quelli del leninismo....si sorvola ancora?).
Non solo liberalconservatori, reazionari, "guradie bianche" avevano diffuso ampie informazioni su quanto stava accadento nella Russia bolscevica durante la ferrea tirannia comunista di Stalin e compagni, ma anche anarchici, socialisti, socialdemocratici, comunisti eretici "di sinistra" e "di destra" ne avevano scritto, parlato, fornendo anche spesso dati e descrivendo fatti, quanto meno, con buona approssimazione.
Eppure ancora negli anni settanta il più "liberale" dei comunisti italiani, il "migliorista" Giorgio Amendola non faceva mistero, ad esempio nella sua nota "Intervista sull'antifascismo", che all'epoca i processi di Mosca del 1936 e 1938 contro i "vecchi bolscevichi" non solo non lo turbarono ma addirittura lo entusiasmarono (testuale!!!!!!!), in quanto dimostravano come in URSS il "compagno Stalin" dominasse con una disciplina d'acciaio, edificando una barriera invincibile per il capitalismo imperialistico e la sua forza d'urto fascista!
Questo dimostra come i comunisti occidentali continuassero ad essere stalinisti nel profondo della loro formazione ideologica persino quando avevano col tempo assunto posizioni pratiche decisamente "riformistiche" e "di destra", con tratti persino "liberaleggianti" che scavalcavano "a destra" la socialdemocrazia classica su alcuni temi politici concreti.

Ultima considerazione: se si accettano i canoni ideologici della "scienza" marxista-leninista in URSS non ci fu mai una società comunista, per il semplice fatto che vi era ancora lo Stato, il diritto, il partito, la moneta, la divisione del lavoro.
In URSS ci fu "il primo stadio della società comuista" o "socialismo", ossia la dittatura rivoluzionaria del proletariato diretto dal partito comunista con la collettivizzazione dell'economia e la soppressione della società borghese (e della società civile!!!!). Fu la forma storica concreatamente realizzabile dell'utopia marxista e leninista.

Cordiali saluti

Jan Hus
23-06-02, 15:02
Originally posted by Pieffebi
Ultima considerazione: se si accettano i canoni ideologici della "scienza" marxista-leninista in URSS non ci fu mai una società comunista, per il semplice fatto che vi era ancora lo Stato, il diritto, il partito, la moneta, la divisione del lavoro.
In URSS ci fu "il primo stadio della società comuista" o "socialismo", ossia la dittatura rivoluzionaria del proletariato diretto dal partito comunista con la collettivizzazione dell'economia e la soppressione della società borghese (e della società civile!!!!). Fu la forma storica concreatamente realizzabile dell'utopia marxista e leninista.

Infatti, se non erro, alcuni critici (come Weber) sostennero sempre che il comunismo non sarebbe mai potuto andare oltre questa prima fase, perchè i mezzi che erano stati scelti erano intrinsecamente incongruenti con i fini.

Pieffebi
23-06-02, 15:04
Originally posted by Roderigo
Chiedo scusa a Pieffebi se lo trascuro in questo topic, ma preferisco, nelle discussioni, specie se ideologiche, dare la precedenza ai liberaldemocratici di sinistra. :)

R.


Su un unico punto hai ragione contro i miei amici liberaldemocratici "di sinistra": con il loro rifiuto di considerare, ovviamente in modo "dialettico", l'indissolubilità del rapporto storico e concreto fra libertà politiche e libertà economiche, vanificano buona parte delle loro sacrosante obiezioni al comunismo e al marxismo in generale. Ed è per questo che io non mi sono fermato al liberalismo "di sinistra". E' autocontraddittorio.

Saluti liberali

Catilina
23-06-02, 19:32
Originally posted by Paul Atreides
Mi sembra che nella discussione manchi qualcosa. Niente da dire su Sorel e sul sindacalismo rivoluzionario? Capisco la ritrosia ma "i soreliani sono dunque i primi rivoluzionari formatisi nella sinistra che rifiutano di mettere in discussione la proprietà privata, il profitto individuale e l'economia di mercato" (Z. Sternhell, "Nascita dell'ideologia fascista", Baldini e Castoldi, 2002, p. 38). Una posizione decisamente originale e innovativa rispetto a quegli stessi socialdemocratici che all'epoca, per Sternhell, pur avendo scelto la via democratica non avevano affatto rifiutato l'idea della socializzazione della proprietà.

Saluti



Di sicuro interesse, nell’opera di rivalutazione di alcune correnti politico - culturali in grado di dare contributi anche per un dibattito sulla costruzione dell’antagonismo del futuro, sono alcuni protagonisti di quella corrente “sindacalista rivoluzionaria” che opero’ in Italia nel periodo antecedente al primo conflitto mondiale e che contribuì non poco allo sviluppo della lotta di classe in questo paese.

Il "sindacalismo rivoluzionario", così come l'arditismo e il legionarismo fiumano, viene considerato uno dei filoni maggiori confluiti nel fascismo. Anche in questo caso, tuttavia, la realtà storica è assai più complessa, basti pensare alla scelta dei principali esponenti del movimento: Alceste de Ambris, che nell 'esilio fu tra i fondatori della "Concentrazione antifascista" e morì in Francia nel 1934; Arturo Labriola, costretto anch' egli a rifugiarsi in Francia e in Belgio, che concluse la sua carriera come consigliere comunale a Napoli nelle file del partito comunista (1956); Giuseppe Di Vittorio, nel dopoguerra popolarissimo segretario generale della Cgil (1945-1957) e presidente della Federazione sindacale mondiale (1949-1957), oltre che deputato del PCI dal 1946, partito al quale aveva aderito già nel 1923; Ernesto Cesare Longobardi e di Enrico Leone coerenti nel loro impegno meridionalista. Un'altra figura centrale del sindacalismo rivoluzionario, quella di Filippo Corridoni, morto combattendo sul Carso nel 1915 ad appena 27 anni, fu volgarmente strumentalizzata dal regime, esempio tipico la biografia fattane nel 1932 da Tullio Masotti, intitolata "L'arcangelo sindacalista".
E se è innegabile che molti sindacalisti rivoluzionari (Michele Bianchi quadrumviro della marcia su Roma, Edmondo Rossoni segretario della confederazione delle corporazioni e successivamente dei sindacati fascisti, Sergio Panunzio, Angelo Oliviero Olivetti, Paolo Orano, Ottavio Dinale, Cesare Rossi, Agostino Lanzillo) aderì al fascismo, è altrettanto innegabile che il sindacalismo rivoluzionario aveva costituito la punta di diamante della classe operaia del primo Novecento sia in termini di capacita’ di mobilitazione (basti pensare allo sciopero generale del 1904 ed al grande sciopero agrario di Parma nel 1908), sia come corrente capace di introdurre caratteri innovativi e rivoluzionari nel campo socialista.

Fortemente influenzato dalle teorie di Sorel sulla violenza e sull’uso insurrezionale dello sciopero generale, il sindacalismo rivoluzionario italiano si configura come fenomeno originale, autonomo ed indipendente rispetto ad altre dottrine politiche ,mosso dalla necessita’ di “coordinare la rivoluzione sociale col fatto nazionale”.

La nuova concezione sindacalista si colloca in un’ottica di frattura dirompente con la tradizione del socialismo italiano che affonda le sue radici nel millenarismo pacifista di Prampolini e nel riformismo turatiano, origini che traevano linfa dal complesso di incrostazioni socialdemocratiche, positivistiche e fatalistiche che si erano sedimentate sul marxismo sin dagli ultimi decenni dell’Ottocento e che in larga misura permangono tuttora nella sinistra “progressista” di oggi.

Cio’ fara’ dire allo stesso Sorel in un’articolo del 1898 sulla “necessita’ ed il fatalismo nel marxismo”: “ leggendo le opere dei socialisti democratici si rimane sorpresi dalla sicurezza con la quale essi dispongono dell’avvenire : essi sanno che il mondo cammina verso una rivoluzione inevitabile…essi hanno una tale fiducia nelle loro tesi che finiscono nel quietismo”.

Per il sindacalismo rivoluzionario, invece, l’elemento volontaristico si contrappone al determinismo ed al fatalismo del socialismo riformista ed in Italia i sindacalisti rivoluzionari si pongono come gli autentici interpreti di quel marxismo che Arturo Labriola riconosceva essere essenzialmente “teoria dell’azione”, raccomandando di tenersi lontani dai “glossatori del marxismo”.

Rigettando, quindi, il pacifismo opportunista e conservatore dei socialriformisti, il sindacalismo rivoluzionario si trova a fare i conti con la questione dell' ”interventismo” nel 1914, schierandosi per la maggior parte a favore di quest'ultimo.

Questa scelta portò alla scissione della Unione Sindacale Italiana fondata nel 1912, ma quanto fosse debole la posizione “internazionalpacifista” dei partiti socialisti europei all’epoca lo dimostrera’ in modo inequivocabile il voto a favore dei “crediti di guerra “ al Reichstag da parte della socialdemocrazia tedesca! D'altronde lo stesso Lenin, dinanzi all'evolversi degli eventi, avrebbe successivamente proclamato la necessità di "trasformare la guerra imperialista in guerra civile", arrivando- pur essendo partito da posizioni inizialmente pacifiste- ad una conclusione analoga a quella dei sindacalisti rivoluzionari interventisti.

La nuova concezione sindacalista del rapporto guerra –rivoluzione muove, innanzi tutto, dalla oggettiva constatazione che non si realizza il declino dello Stato - Nazione a favore di quell’universalismo dei popoli preconizzato da Marx e, subito dopo , dalla presa di coscienza che gli stessi processi costitutivi dell’ identita’ del proletariato non si fondano solo sull’appartenenza di classe , ma anche sull’appartenenza etnico - culturale. Il sindacalismo rivoluzionario fa, cioè, riferimento alle origini, tradizioni, e radici ben piantate all’interno di dinamiche collettive determinate territorialmente, che possono essere, ed anzi, in molti casi , sono in contraddizione con le frontiere statali esistenti.

Infatti, fermo restando che per i sindacalisti, la Prima guerra mondiale, è la conseguenza della politica imperialista della Germania e dell' Austria-Ungheria, risulta del tutto evidente che proprio in questa contraddizione affondano le radici della “questione slava” e dell’ ”irredentismo italiano”.

Cio’ che si intende superare è il dogma marxista secondo il quale “il proletariato non ha nazione”. In questo senso, Arturo Labriola, aveva storicizzato tale affermazione del "Manifesto del partito comunista" come descrizione pertinente di una realtà nella quale il proletariato del tempo di Marx si trovava a vivere : una realtà fatta di durissime condizioni economiche e di totale esclusione dal godimento dei diritti civili e politici.

Lo spirito di appartenenza a una comunità che trascenda i confini di classe, col riconoscimento di una comunanza di lingua , di cultura e di tradizioni , si manifesta nella classe operaia, secondo Labriola, solo nella misura in cui essa possa trarre dei significativi benefici dalla propria inclusione effettiva nell’organizzazione nazionale ai vari livelli, nessuno escluso, dal benessere economico all’istruzione e alla cultura, dai diritti politici alla partecipazione al Governo del paese. Nella stessa direzione va l'impegno di Filippo Corridoni, molto influente nelle lotte operaie dell'anteguerra in quanto riesce in diversi casi a far superare ai lavoratori le tradizionali divisioni basate sul "mestiere".

Solo a queste condizioni gli operai non esiteranno a difendere lo spazio nazionale e culturale cui appartengono, come dimostra la storia del Novecento, percè solo a queste condizioni lo sentono come proprio.

Persino un conservatore come Prezzolini aveva riconosciuto che la mancanza di spirito patriottico fra gli operai non risiedeva tanto nella negazione dell’idea di patria tout-court, ma nel rifiuto pratico “della patria di lorsignori”, della patria della borghesia, per la quale avrebbero dovuto versare il loro proprio sangue : “mentre la borghesia gli ha tolto tutto quello che poteva dargli un senso di patria”.

Da questo si deve desumere che lo stesso processo di costituzione nazionale può dirsi effettivamente compiuto, in senso democratico e socialista, solo quando si sia realizzata l’inclusione della maggioranza del popolo lavoratore all’interno delle istituzioni economiche e politiche.

E’ questo il concetto di “nazionalismo proletario” che si differenzia e si oppone in maniera sostanziale al nazionalismo reazionario alla Corradini o alla Mussolini della “nazione proletaria”: il nazionalismo proletario non è il carattere distintivo di una nazione posta in condizione di inferiorità economica rispetto ad altre, ma il carattere distintivo di una comunità nazionale che ha riconosciuto alle classi lavoratrici il pieno diritto ad esercitare le funzioni di comando e di governo che spettano loro.

La testimonianza più duratura che ci consegna il sindacalismo rivoluzionario è dunque proprio questa: il sogno di realizzare il principio di nazionalità attraverso l’emancipazione delle classi lavoratrici nel solco della rivitalizzazione delle più genuine tradizioni culturali e spirituali, come piena affermazione di indipendenza e autonomia sociale e comunitaria, contro le imposizioni imperialiste.

Pieffebi
23-06-02, 19:48
Per la verità il sindacalismo-rivoluzionario nasce dalla crisi del movimento "operaio" internazionale negli anni 80 e 90 del XIX secolo, come prodotto originale della frattura fra marxisti (autoritari) e anarchici (anti-autoritari), ed è, come il socialismo marxista, in teoria, fortemente internazionalista.
Il mito dello sciopero insurrezionale e dell'azione diretta (senza cioè l'intermediazione istituzionale) saranno elementi fondamentali della sua formazione ideologica, che riceverà da Sorel, nel secondo lustro del XX secolo, una sua "sistematizzazione" creativa.
La crisi del 1914 che vide il precipitare della grande maggioranza dei partiti socialisti (marxisti) nel "socialsciovinismo", coinvolgerà anche gran parte degli anarco-sindacalisti, sebbene per vie e modalità assai diverse, solo in parte confluite nel fascismo.

Saluti liberali

24-06-02, 15:46
Originally posted by Pieffebi
Alcune....annotazioni.
Sono d'accordo con gdr, salvo sulla valutazione dell'anticomunismo del signor Berlusconi che è liberale con alcune venature vetero-democristiane, se volete scelbiane, ma non certo tese... a porre i comunisti "fuori legge" in quanto tali.

Cordiali saluti

L'anticomunismo di Berlusconi, così come il suo cattolicesimo, o il suo antifascismo, o il suo liberalismo, è di natura meramente opportunistica: è cattolico con i cattolici, liberale, con i liberali, antifascista quando gli comoda e anticomunista quando gli conviene. Se la cosa gli procurasse un vantaggio, si proclamerebbe anche buddista.

Catilina
24-06-02, 21:56
Originally posted by gdr


L'anticomunismo di Berlusconi, così come il suo cattolicesimo, o il suo antifascismo, o il suo liberalismo, è di natura meramente opportunistica: è cattolico con i cattolici, liberale, con i liberali, antifascista quando gli comoda e anticomunista quando gli conviene. Se la cosa gli procurasse un vantaggio, si proclamerebbe anche buddista.

Ecco un significativo esempio di quello che qualcuno ha definito "antiberlusconismo mistico", una vera jattura per un'efficace opposizione della sinistra in Italia.

Roderigo
24-06-02, 22:27
Originally posted by Jan Hus
Insomma, si può sapere da dove venivano i partiti comunisti dell'Europa orientale?
Saranno stati anche loro partiti di massa, saranno stati anche loro organizzati in cellule sui luoghi di lavoro ed in sezioni territoriali, avranno svolto anche loro una funzione di opposizione e avranno propugnato anche loro programmi ispirati ad un'universalizzazione dello stato sociale, no? (anche se su quest'ultimo punto ci sarebbe da discutere: l'obiettivo dei partiti comunisti non è mai stato quello di restare nell'ambito di un'economia mista e della democrazia parlamentare, altrimenti che difficoltà avrebbero avuto questi stessi partiti a chiamarsi socialisti e ad aderire all'Internazionale Socialista?)
Oppure venivano da Marte?
Non credo proprio che i partiti comunisti dell'est abbiano avuto simili caratteristiche, prima di coquistare il potere. Tutti i partiti comunisti nascono come sezioni nazionali della nuova Internazionale comunista. Tutti i partiti aderenti o costituenti devono assumere la denominazione "comunista" per distinguersi, anche simbolicamente, dai partiti socialisti e socialdemocratici riformisti. Il loro scopo è la rivoluzione e la conquista del potere politico, combinando azione legale e illegale, rompendo con il parlamentarismo, senza trascurare il terreno elettorale, subordinando l'attività di deputati e giornalisti a quella del partito. L'obiettivo della rivoluzione è immediato, non di prospettiva. Quando esso si allontana, si procede alla riorganizzazione dei partiti comunisti, cioè alla cosiddetta "bolscevizzazione", sempre però in funzione di una nuova ondata rivoluzionaria, che si reputa prossima, anche se in realtà la "bolscevizzazione" viene soprattutto piegata alle esigenze di egemonia del Pcus sul movimento comunista internazionale ed alla lotta al trockijsmo. Si tratta in sostanza di uniformare il modello organizzativo dei partiti comunisti a quello del Pcus, già molto diverso dall'originario partito bolscevico del 1917, quindi monolitismo e rafforzamento del centralismo. Sono queste, strutture e modalità organizzative, non di partiti di massa, ma di sette rivoluzionarie che agiscono prevalentemente in condizioni politiche drammatiche, caratterizzate dalla guerra civile, dall'occupazione straniera, e dalla repressione poliziesca.
Ma se è vero che nei primi vent'anni del movimento comunista, il ruolo dell'Internazionale fu centrale e prevalente rispetto ai singoli partiti nazionali, la situazione si capovolge progressivamente nell'Europa del secondo dopeguerra, in particolare in Occidente. È a questo nuovo contesto che mi riferivo, nell'afferamare che i partiti comunisti dell'ovest, soprattutto quello italiano, per programmi e organizzazione diventano sempre più simili ai partiti socialisti di massa, precedenti a Bad Godesberg o alle loro correnti di sinistra, pur conservando l'obiettivo storico del superamento del capitalismo e della trasformazione in senso socialista, proprio come la socialdemocrazia prima del 1959.

R.

Roderigo
24-06-02, 22:29
Originally posted by Jan Hus
Certo, questo può valere per gli anni Trenta o Quaranta; forse anche per gli anni Cinquanta.
Ma il PCI rimase comunista anche negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta.
Allora le cose sarebbero già dovute diventare evidenti.
La questione del nome "comunista" che viene conservato si spiega in parte per le questioni a cui ho già accennato - "Non è tanto decisivo il nome con il quale un raggruppamento politico oggi opera. Mi pare del tutto ovvio che il tradizionale radicamento non deve essere messo a repentaglio (Willy Brandt, Bonn 29 giugno 1990) - ed in parte al fatto che, modificandosi il significato di "socialdemocratico" in senso riformista, il nome "comunista" segnala la discriminante "anticapitalista", una discriminante che non è più adesione al modello sovietico e che introduce il tema di una terza via tra riformismo socialdemocratico e collettivismo burocratico.

R.

Roderigo
24-06-02, 22:30
Originally posted by Jan Hus
Gli accordi di Yalta prevedevano la divisione dell'Europa in sfere d'influenza.
Essi non prevedevano affatto che il partito comunista cecoslovacco attuasse un colpo di stato con l'appoggio sovietico e facesse fuori i socialisti, a cominciare da Benes.
D'accordo, io ho solo fatto una distinzione tra regimi sorti da una rivoluzione e regimi sorti dalla imposizione di uno stato straniero.

R.

Roderigo
24-06-02, 22:32
Originally posted by Jan Hus
Non considererei una dimostrazione di autonomia il fatto che i partiti comunisti occidentali abbiano criticato Stalin solo dopo che lo fece Kruscev.
Neppure io, infatti non ho parlato di una autonomia già compiuta, ma solo dell'inizio di un processo. I partiti comunisti occidentali, ed in particolare il Pci, a partire dal 1956, iniziano gradualmente a rendersi autonomi dall'Urss. Il rapporto tra dipendenza dall'Urss e dipendenza dalla propria realtà nazionale si modifica sempre più a favore della seconda.
Per restare in Italia, Togliatti non fu certo contento per la rivelazione del rapporto Krusciov sui crimini di Stalin: sia per le responsabilità che gli competevano, sia per la miniera d'oro che esso costituiva per la propaganda anticomunista, sia per lo smarrimento che causò tra la base del partito.

Io non sono proprio d'accordo con Krusciov perchè mi domando: "E loro dov'erano quando Stalin commetteva tutti quegli errori che dicono abbia commesso". Questa questione di Stalin mi ha scosso in quanto per tanti anni ho litigato con tutti quelli che dicevano che era un dittatore mentre adesso dovrei dire che hanno avuto ragione. Io mi domando se il partito lo sapeva perchè non l'ha detto subito, così sembra che ci ha presi in giro ... Rimango convinta che Stalin era veramente un genio".
Intervista a Wanda L. in Operai del nord, Edio Vallini, 1957

Questa operaia, militante del Pci, pur negandola a se stessa, comprese che la verità andava molto oltre il rapporto Krusciov. E lo stesso Togliatti lo ammise, poiché la sua reazione non si limitò a riecheggiare le denunce del nuovo vertice sovietico, come fecero gli altri dirigenti comunisti occidentali. Nella famosa intervista a Nuovi Argomenti, il capo del Pci, pur ribadendo la superiorità del sistema sovietico rispetto al sistema occidentale, criticò Krusciov per non essere andato abbastanza avanti, di essersi limitato a denunciare i fatti, a parlare di degenerazioni nella società sovietica trascurando di affrontare il tema del giudizio storico complessivo, cioè una spiegazione convincente sul come e perchè in una società socialista a Stalin fosse stato possibile fare tutto ciò che il rapporto denunciava.

Si potrebbe giustamente obiettare che una spiegazione convicente, Togliatti, aveva tutti gli strumenti, per iniziare a darla lui stesso. Ma intanto il tema lo pose: la questione dello stalinismo riguardava non solo una persona, Stalin, ma lo stesso modello sovietico. E lo pose, in funzione di un obiettivo politico: l'autonomia del Pci. Nella stessa intervista, Togliatti introdusse il concetto del "policentrismo" là dove affermò che il movimento socialista internazionale non doveva più solamente ruotare intorno all'Unione sovietica, ma che andava progressivamente articolato e doveva per ciò stesso avere un carattere policentrico. Nel comitato centrale successivo, egli chiese "piena autonomia dei singoli movimenti e partiti comunisti e dei rapporti bilaterali tra di essi".

R.

Roderigo
24-06-02, 22:34
Originally posted by Jan Hus
I bolscevichi non rovesciarono lo zarismo, bensì una democrazia parlamentare in fieri.
Deposero Kerenskij, non un autocrate reazionario.
Il governo Kerenskij non era nulla e può essere definito "democrazia parlamentare in fieri" solo per pregiudizio ideologico: non fu mai eletto e non indisse mai le elezioni. Non aveva il consenso dei contadini, perchè non fece la riforma agraria, non aveva il consenso dei soldati perchè non fece la pace con la Germania, non aveva l'appoggio delle vecchie classi dirigenti, perchè esponeva il paese alla rivoluzione sociale, non aveva il consenso della classe operaia delle forze rivoluzionarie radicali, perchè non assumeva le decisioni necessarie per rompere definitivamente con l'ancien regime zarista. Era, come è stato detto molte volte, un "vaso di coccio tra vasi di ferro". Incapace di difendersi dai controrivoluzionari senza i rivoluzionari ed incapace di difendersi dai rivoluzionari senza i controrivoluzionari. Se i bolscevichi non ci fossero stati, Kerenskij sarebbe semplicemente caduto per mano del generale zarista Kornilov. L'alternativa era tra Kornilov e Lenin.

R.

Roderigo
24-06-02, 22:35
Originally posted by Jan Hus
Perché, dove hanno governato, non hanno forse avuto meriti anche il fascismo, il nazismo, il franchismo o il peronismo?
Qualsiasi governo o regime può rivendicare qualche merito. Il punto è stabilire, se nella storia del proprio paese, ha svolto complessivamente una funzione progressiva o regressiva.

R.

Roderigo
24-06-02, 22:37
Originally posted by Jan Hus
L'SPD non era affatto contro gli euromissili; la decisione di installare gli euromissili nella Germania Federale fu presa proprio da un cancelliere socialdemocratico, Helmut Schmidt; anche se Schmidt la prese apertamente solo DOPO che anche l'Italia approvò quella scelta, alla faccia della leggenda secondo cui saremmo solo un paese di pagliacci.
Quanto ai socialisti spagnoli...all'epoca la Spagna non faceva neanche parte della NATO; ma furono proprio i socialisti a portarvela.
Infine, per quanto riguarda la socialdemocrazia svedese: la socialdemocrazia svedese, allora al governo, rimase neutrale anche durante la Seconda Guerra Mondiale.
Inoltre resta una differenza sostanziale: né i socialdemocratici svedesi o tedesco-federali, né i socialisti spagnoli prendevano soldi da Mosca.
E' un po' difficile essere "autonomi" da chi ti finanzia; ed è ancora più difficile far credere di volerlo essere.
E' vero che la Spd al governo con Schimdt approvò l'installazione degli euromissili, anzi formalmente li richiese, ma la Spd all'opposizione, sotto la guida di Willy Brandt si oppose. I socialdemocratici furono parte del movimento pacifista tedesco ed europeo nel 1983-84. Ricordo anche iniziative ed incontri comuni sull'argomento tra comunisti italiani e socialdemocratici tedeschi, questi ultimi spesso invitati alle feste dell'Unità di quegli anni. I socialisti spagnoli al governo, portarono la Spagna nella Nato, ma dall'opposizione, in precedenza, erano contrari all'adesione del loro paese al patto atlantico e nella piattaforma della loro campagna elettorale vi era proprio l'indizione di un referendum contro Nato. Altra posizione di rilievo era quella dei laburisti inglesi, i quali, non solo erano contro gli euromissili, ma proponevano addirittura il disarmo unilaterale. Si trattava dunque di posizioni anche più radicali di quelel sostenute dal Pci, che nel movimento pacifista italiano, respingeva sia la posizione del disarmo unilaterale, sia quella che chiedeva l'uscita dell'Italia dalla Nato.
Evidentemente, Mosca otteneva di più e gratis dai socialisti spagnoli e inglesi, che non dai comunisti italiani. :) Tuttavia, a me risulta che i finanziamenti dell'Urss al Pci cessarono, per disposizione di Berlinguer, almeno dal 1977 e che eventuali finanziamenti successivi riguardarono solo la piccola corrente filosovietica.

R.

Roderigo
24-06-02, 22:39
Originally posted by Jan Hus
Ma quando mai in Francia o in Germania i socialdemocratici si sono posti il problema di riunificarsi ai comunisti?
Non lo so, temo mai, ho parlato di riunificazione pensando soprattutto alla storia della sinistra italiana. Ma credo che prima o poi la questione potrebbe porsi anche in Francia o Germania, a meno che i partiti socialdemcratici di quei due paesi non divengano stabilmente liberali.

R.

Roderigo
24-06-02, 22:40
Originally posted by Jan Hus
Problema tuo.
Ognuno sceglie le proprie contraddizioni.
Se fossi un "socialdemocratico anticomunista" o un "comunista antisocialdemocratico", allora si che sarebbe un problema, una vera e propria automutilazione, anche se non me ne accorgerei. Senza contraddizione non c'è evoluzione e per essere organicamente coerente non mi taglio un braccio.

R.

Pieffebi
24-06-02, 22:42
Originally posted by Roderigo

Qualsiasi governo o regime può rivendicare qualche merito. Il punto è stabilire, se nella storia del proprio paese, ha svolto complessivamente una funzione progressiva o regressiva.

R.

Sì l'hai già detto che senza Stalin l'Urss non sarebbe arrivata in tempo all'appuntamento con la seconda guerra mondiale con una struttura industriale capace di creare un apparato difensivo adeguato.
Altro che superamento dello stalinismo.....
Ma senza la rivoluzione d'ottobre....sarebba mai nato Hitler?


Saluti liberali:K

Roderigo
24-06-02, 22:42
Originally posted by Jan Hus
Allora quel che proponete è un'"utopia"?
Ma non era Marx quello che aveva bollato di utopistiche le teorie socialiste che erano state elaborate prima di lui?
Se il tuo comunismo è "utopistico", Marx lo puoi anche buttare a mare.
Comunque, non sono d'accordo sul fatto che l'Unione Sovietica non sia mai stata una "società comunista".
Lo è stata eccome: infatti ha riprodotto gli stessi difetti, ed ha fallito per gli stessi motivi, che erano stati previsti dai critici del comunismo, come Weber, ad esempio.
Il mio comunismo (parlo per me, ma credo valga anche per RC) è il comunismo, cioè una società in cui la ricchezza e il potere sia comune a tutti i suoi membri, una società nella quale "il libero sviluppo di tutti sia condizione del libero sviluppo di ciascuno"; dove "ciascuno riceva secondo i suoi bisogni e dia secondo le sue capacità". È la società, libera dallo sfruttamento capitalistico e dall'alienazione del lavoro, la società senza classi e senza stato, la società dell'autogoverno dei produttori. Questi obiettivi utopici sono indicati dallo stesso Marx e non c'entrano nulla con i caratteri del sistema sovietico, che si risolse in una sorta di capitalismo statale. L'utopismo che respingeva Marx era quello dei modelli di società futura definiti a tavolino da questo o quel trasformatore del mondo. Sarei un utopista se mi mettessi a descrivere l'ideale architettura di un sistema politico, economico, giuridico, cuturale, sociale di una società comunista, per proporla alla bontà di qualche governante illuminato. Darei così vita a quelle che Marx definiva "ricette che saranno discusse nelle osterie dell'avvenire". Quel che distingueva Marx dagli utopisti era l'analisi della società capitalistica, delle sue tendenze, e l'individuazione del soggetto rivoluzionario. Il soggetto rivoluzionario può benissmo essere animato da una tensione utopica, avere obiettivi utopici a cui ispirare il proprio comportamento politico.

R.

Roderigo
24-06-02, 22:44
Originally posted by Jan Hus
Come definizione mi sa tanto di forzatura.
Il dizionario politologico della Utet definisce il movimento operaio come "il complesso dei fatti politici e organizzativi nei quali, soprattutto nell'Europa continentale, si è concretata la consapevolezza politica, ideologica e sociale della classe operaia o, più ampiamente, del mondo del lavoro. (...) In esso si coagulano e si esaltano le istanze di combattività, tutte le organizzazioni, le istituzioni e le scelte d'azione che il proletariato si è dato nel suo corso storico (...).
Il resto, cinque pagine fitte, fitte, non le riproduco. :) Ma la sostanza mi pare questa.

R.

Roderigo
24-06-02, 23:00
Originally posted by gdr
Secondo me, in una vera democrazia, tutti hanno diritto di cittadinanza, fascisti e comunisti compresi.
Una forza politica che traesse la sua ragione di essere esclusivamente dall'antifascismo o dall'anticomunismo si caratterizzerebbe in negativo ed avrebbe vita breve. Perfino Berlusconi, con la sua ossessione anticomunista, viene votato dalla maggioranza dei suoi elettori non per questa cosa, quanto, piuttosto, per le sue promesse ingannevoli da omino del carro, tipo quello di Pinocchio.
Sono d'accordo sul piano giuridico, nel senso che si può e deve consentire l'esistenza di gruppi che si ispirano al fascismo, se non commettono reati, ma sul piano politico i fascisti non possono essere legittimati, cioè non possono essere considerati e trattati come una parte tra le altre.

R.

Pieffebi
25-06-02, 12:41
Solo nei regimi autoritari si danno ai partiti legittimazioni diverse che quelle giuridiche ( si pensi alla situazione di semi-legalità di partiti diversi dal comunista nell'est europa secondo talune "costituzioni" che legittimavano politicamente ma non giuridicamente o viceversa...in una situazione perennemente precaria ad assicurare la dittatura rossa dei comunisti). Dal punto di vista politico ogni associazione o movimento e anche ogni individuo...legittima un po' chi gli pare. Ovviamente i partiti e le associazioni politiche risponderanno agli elettori degli altri partiti o associazioni che hanno o non hanno...."legittimato".
Per quanto mi riguarda la "legittimazione politica" di comunisti e fascisti...è molto simile, fermo restando che in democrazia liberale la legittimazione politica autentica è data dalle elezioni e dai relativi "numeri".

Saluti liberali