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Visualizza Versione Completa : Dal welfare agli attentati - Cos'è e cosa vuole Hamas



Roderigo
19-06-02, 22:32
La pace va a picco, Hamas va alle stelle
Dal welfare agli attentati, cos'è e cosa vuole il «Movimento di resistenza islamica» sunnita che si oppone col sangue ad Arafat

STEFANO CHIARINI

Il «Movimento di Resistenza Islamica», più noto per il suo acronimo Hamas, ha rivendicato ieri pomeriggio l'attacco suicida di Gerusalemme ad una televisione di Gaza. Lo stesso aveva fatto due giorni fa con un videotape chemostrava l'ultimo colloquio tra un combattente palestinese -che poco dopo avrebbe ucciso due soldati israeliani prima di essere a sua volta crivellato di colpi nel nord della striscia di Gaza- e la madre nel salotto di casa. Il video si conclude con la madre, Naima al-Obeid, che saluta suo figlio Mahmoud, studente di 23 anni augurandogli «Con l'aiuto di Dio, riuscirai nella tua impresa». Mahmoud, quasi imbarazzato, risponde «Grazie per avermi cresciuto». Poche ore ai giornalisti accorsi per intervistarla appena diffusasi la notizia della morte di Mahmoud, Naima al-Obeid rispondeva :« Nessuno vuole che suo figlio sia ucciso, Anzi gli ho sempre augurato una vita felice. Ma il nostro paese è occupato dagli Israeliani. I nostri figli si sacrificano per la nostra libertà». L'abitudine ad usare la televisione per amplificare l'impatto degli attacchi è stata importata in Palestina dall'esperienza degli Hezbollah libanesi sciiti filo-iraniani (che nulla hanno a che fare con Hamas movimento islamico sunnita che affonda le sue radici nella fratellanza musulmana egiziana) che dai primi anni `80 cominciarono a distrubuire cassette con le ultime dichiarazioni dei combattenti o degli attentatori suicidi pronti a sacrificarsi per cacciare dal Libano gli occupanti israeliani. Nonostante le grandi differenze religiose, teoriche e pratiche, il successo conseguito dagli Hezbollah con la cacciata dell'esercito israeliano dal Libano meridionaledopo 22 anni di occupazione (anche se c'è da ricordare che la resistenza in Libano venne iniziata nel 1982 dai palestinesi e dalla sinistra libanese, in particolare dal Pc costretto poi a rinunciarvi dalle pressioni della Siria e dalla diserzione dell'Urss) ha avuto un impatto molto forte sulla seconda Intifada indicando a livello di massa una possibile alternativa alla linea sostenuta dalla componente maggioritaria dell'Olp di Yasser Arafat. Anche se tale ragionamento non tiene conto del fatto che gli Hezbollah avevano nelle retrovie il sostegno della Siria e dell'Iran mentre la resistenza palestinese avviene in un grande campo di prigionia senza la possibilità di consistenti aiuti militari dall'estero. In ogni caso forse è bene ricordare che nel mondo palestinese le forze contrarie al processo di Oslo e alla soluzione dei due stati in Palestina, come Hamas e la Jihad, pur se forti sono comunque all'opposizione mentre in Israele si trovano al governo e con Ariel Sharon gestiscono l'esecutivo di Tel Aviv. Le cassette con le dichiarazioni dei martiri palestinesi inoltre, a differenza che in passato, grazie alle televisioni via satellite, sono state viste da milioni di cittadini del mondo arabo intervallate con le scene di distruzione e di morte provenienti dai territori occupati. E nella West bank e Gaza il loro effetto si è sommato alle umiliazioni e alla disperazione di una popolazione alla fame ormai tutta rinchiusa in tanti piccoli ghetti senza la possibilità di lavorare, studiare, persino di camminare o di andare a scuola. Le più semplici azioni quotidiane come in una grande Sarajevo dimenticata dai nostri intellettuali, sono divenute pericolosissime: 2.000 morti, 18.000 feriti molti dei quali per sempre handicappati. In questa situazione il messaggio di Hamas, della Jihad e degli altri gruppi più radicali della resistenza, quando non si vede alcuna speranza, diventa sempre più popolare. Anche per l'accorta gestione del movimento e dei media da parte dello sheik Ahmed Yassin, quadriplegico sin dalla sua gioventù per un incidente, che dirige Hamas dalla sua povera e semplice casa in uno dei quartieri più degradati di Gaza. Nulla di più lontano dalle ville di molti dirigenti dell'Anp. Tranne che in casi eccezionali Hamas, sotto la guida dello sheik Yassin, ha sempre evitato di contrapporsi all'Autorità nazionale palestinese e ad Arafat limitandosi a sostenere la necessità di portare avanti senza alcuna remora la resistenza all'occupazione e le rappresaglie per gli attacchi israeliani alla popolazione palestinese. In tal modo molti che non condividono il messaggio islamista di Hamas finiscono per seguire il movimento per la sua «efficacia» nel combattere Israele e così finiscono per rafforzarne il carattere di movimento di resistenza.

La crescita di Hamas e dei movimenti più radicali infatti è proporzionale al crollo delle speranze di pace. E così gli attentati suicidi in Israele. Quando sembrava che si potesse giungere ad un ritiro israeliano dalla West bank e Gaza, nonostante ritardi e i rifiuti israeliani, le percentuali elettorali di Hamas sono sempre state di molto inferiori a quelle della maggioranza di Arafat e gli attentati suicidi si sono ridotti al minimo: 4 nel `94, 4 nel `95, 3 nel `96, 3 nel `97, 1 nel `98, 0 nel `99 pre-Camp David, 4 nel 2000, per poi salire vertiginosamente con il crollo del processo di pace a 13 nel 2001 e a 24 nei primi mesi del 2002. Non va poi dimenticato che tra il dicembre del 2001 e il gennaio del 2002 Hamas sospese su richiesta di Arafat le sue operazioni in Israele per «vedere» le carte degli Usa, dei vari piani Mitchell e Tenet. Piani che in realtà, come tutta la politica dell'amministrazione Bush hanno proprio come obiettivo la fine della Intifada e di ogni forma di resistenza. E non è da escludere che tra gli obiettivi dell'attentato di ieri vi fosse anche il discorso che Bush dovrebbe fare nelle prossime ore sullo «stato palestinese provvisorio». Stato senza confini e senza ritiro israeliano sul 40% della West bank e Gaza la cui premessa dovrebbe essere la distruzione non solo di Hamas ma di tutta la resistenza palestinese, anche quella laica dell'Fplp inserito ora dalla Ue nella lista dei gruppi terroristici. Il piano Bush secondo questa lettura servirebbe solamente a «raffreddare» la situazione e ad imbarcare egiziani, sauditi e giordani nella prossima guerra contro l'Iraq. Guerra che si dovrebbe collocare tra le grandi speranze della Conferenza internazionale di settembre e il loro inevitabile crollo tra l'inverno e l'inizio della primavera. Impedire quindi che si arrivi ad una qualsiasi intesa tra Bush, Sharon, Arabia saudita ed Egitto costituirebbe così in queste settimane l'obiettivo primario degli attentati di Hamas e della Jihad. I due movimenti sono del resto diversissimi la Jihad è un movimento essenzialmente militare, con pochi quadri, che dà la precedenza alla lotta di liberazione come premessa per la realizzazione dei suoi ideali di uno stato islamico sull'insieme della Palestina. Lo sheik Yassin invece nato nel `38 in Palestina, sino allo scoppio della prima Intifada aveva seguito una linea opposta che gli era valsa il via libera del governo militare israeliano alla costruzione di decine e decine di moschee nei territori occupati e una sorta di immunità in un periodo -gli anni ottanta dopo la cacciata dal Libano dei fedayin- nella quale la repressione dell'Olp era durissima. Lo sheik Yassin infatti, studioso all'università al Azhar del Cairo, culla dei fratelli musulmani poneva soprattutto l'accento su un messggio essenzialmente sociale-religioso e sulla necessità di costruire un vero e proprio «welfare» islamico laddove le autorità di occupazione non fornivano alcun servizio e i movimenti maggioritari laici avevano fatto dei servizi sociali una fonte di clientelismo e di corruzione. Senza contare che Hamas ha sempre goduto per il suo welfare di lauti finanziamenti da parte dell'Arabia saudita e di altri paesi arabi. Il culmine di questa tendenza si ebbe nel 1985 quando una manifestazione di Hamas, sotto gli occhi compiaciuti dei soldati israeliani, dette fuoco ai libri della biblioteca pubblica messa in piedi dal «comunista» Heider Abdel Shafi.

Il movimento facente capo allo sheik Yassin sino al 1986 non era stato altro che una branca della Fratellanza musulmana egiziana poco attento alla «questione nazionale». Hamas, il movimento della resistenza islamica, sarebbe nato successivamente, nell'inverno del 1987, dalla rivolta delle pietre di Gaza repressa nel sangue dall'esercito israeliano.

il manifesto 19 giugno 2002
http://www.ilmanifesto.it

Roderigo
19-06-02, 22:34
«I kamikaze inventano un Islam di cui non c'è traccia nel Corano»

Guido Caldiron

"Il suicidio dei kamikaze islamici sino allora sconosciuto all'Islam politico è apparso negli ultimi vent'anni, dando luogo a un importante dibattito dottrinale sul rapporto tra fede e guerra. Se il suicidio è estraneo all'etica e alla dottrina islamica, esso tuttativa è entrato a far parte degli strumenti di lotta dello jihad nel Libano degli anni Ottanta. I primi a parlare di suicidio e a compiere atti sucidi furono infatti i gruppi Hezbollah filoiraniani nel sud del Libano; essi pubblicarono nel 1989 una fatwa (avviso) che rendeva lecite tali azioni. Più tardi, anche la Jihad islamica e Hamas ne hanno giustificato dottrinalmente la liceità. E' così che il termine kamikaze è entrato a far parte del lessico politico dell'Islam". Con queste parole, ne L'Islam globale il suo ultimo libro pubblicato recentemente da Rizzoli, il sociologo del mondo musulmano Khaled Fouad Allam descrive l'ingresso della figura dei terroristi suicidi in quello che si potrebbe definire come "lo spazio di senso" della comunità islamica internazionale. Profondo conoscitore dell'Islam contemporaneo, insegna alle università di Trieste e di Urbino e collabora, su questi temi, con il Consiglio d'Europa, Fouad Allam studia in particolare da anni lo sviluppo di una comunità musulmana "della diaspora", in Europa come in Italia, e l'incontro, non sempre facile, tra la cultura islamica e i processi di globalizzazione del pianeta. Come descrive nel suo ultimo volume è anzi proprio nella difficoltà, ma anche nell'irreversibilità, del processo di sviluppo di questo "Islam globale" che vanno cercate le chiavi interpretative di quanto sta accadendo drammaticamente in questi giorni anche in Medioriente. Anche alla luce della nuova tragedia di Gerusalemme, abbiamo chiesto a Fouad Allam di spiegarci se gli attentati dei kamikaze, e la loro stessa esistenza, possono, come sostengono i fondamentalisti, trovare una qualche origine dottrinaria nel testo su si fonda l'Islam, il Corano.

«Già nel mio libro ho spiegato come in Palestina è avvenuta una contaminazione con gli Hezbollah, e con gli altri gruppi sciiti rivoluzionari del Libano che adottavano questi metodi da anni - ci spiega Fouad Allam, prima di aggiungere - Inoltre bisogna tener presente che questi gruppi attuano quello che ho definito come un "dirottamento" semantico del Corano e interpretano come vogliono ciò che vi è scritto. La teologia islamica condanna il suicidio, però non bisogna dinmenticare che nell'Islam non esiste una chiesa e quindi ciascuno interpreta le cose come vuole".

Insieme alle tragedie causate dagli attentati dei kamikaze c'è anche un'altro aspetto della vicenda che fa davvero paura. Sono le immagini dei video dei suicidi che fanno pensare alla costruzione sociale che sta dietro a tutto questo...

Infatti il vero problema è che sta dilagando in una parte del mondo islamico una cultura della morte, legata a delle situazioni molto complesse ma non per questo meno pericolosa. Non si tratta solo della Palestina, basta pensare all'attentato contro le Torri Gemelle o a ciò che succede nel Kashmir. Siamo di fronte allo sviluppo di un nuovo tipo di terrorismo, dove il corpo non ha più alcun significato, anzi diventa uno strumento di distruzione. Una violenza che gli studiosi chiamano "iperterrorismo" proprio perché sfugge alle tipologie classiche del fenomeno. Per capire qualcosa di più, ci sarebbe forse da indagare in modo più approfondito sul rapporto tra mistica e politica.


Ad esempio, nell'Islam è tra gli sciiti che questa traccia è più visibile...

Sì, la dottrina sciita si nutre di una precisa caratterizzazione martiriologica, che parte dal martirio dei figli di Alì... Però, anche in questo caso, non è tanto quello che è davvero fondativo per gli sciiti ad avere il sopravvento, quanto piuttosto quello che questi gruppi vi leggono. Si tratta di un vero processo di falsificazione di un fenomeno religioso: restando tra gli sciiti, sono stati gli stessi hezbollah che hanno modernizzato la loro teologia.

Tornando ai video dei kamikaze, spesso del terrorismo fondamentalista si parla come della riemersione di qualcosa di arcaico, premoderno, eppure proprio questo modo di comunicare ci descrive l'estrema "modernità" del fenomeno. Non a caso nel suo libro lei descrive la figura dell' "ingegnere terrorista", mettendo in evidenza il fatto che molti leader di questi gruppi hanno una formazione scientifica.

Quanto ai video è chiaro che si tratta di processi di ritualizzazione di una cultura di morte. Processi ancora inediti, fino ad oggi, nella storia dell'Islam. Si identifica questa funzione del corpo con gli aspetti martirologici della tradizione, ma è pura invenzione. Ci si sta inventando un nuovo mondo medievale postmoderno, popolato di cavalieri senza castello, senza regno. Sull'altro aspetto della questione, emerge dai fatti come vi sia un colegamento tra la formazione scientifica di molti quadri di questi movimenti e le loro scelte. Questo perché le scienze sociali sono troppo pericolose per il fondamentalismo perché seminano il dubbio, la ricerca della verità nei fatti concreti, mentre invece le scienze applicate si fondano su verità già definite.


Quindi, volendo riassumere con il titolo del suo libro lo scenario attuale, è all'interno e non ai margini dei processi di globalizzazione che si sono andati sviluppando questi fenomeni.

Per una serie di motivi complessi la globalizzazione obbliga comunque le diverse culture a un confronto, all'interno e con gli altri. E questo può produrre traumi anche profondi: ad esempio c'è un trauma storico dell'Islam che è quello di essere stato escluso dai processi storici fondamentali negli ultimi tre secoli. Anche se naturalmente non tutti condividono la stessa funzione che in base a questo dovrebbe avere l'Islam verso il resto delle culture. Molti tra i musulmani pensano a un post-islamismo che riposizioni altrimenti, rispetto ad oggi, l'Islam all'interno della società, nella sua funzione sociale, politica e culturale.


Tornando ai kamikaze, visto che per giustificare le loro azioni tirano in ballo la religione, una ferma condanna da parte delle autorità islamiche non potrebbe fermarli?

In molti hanno condannato quanto accade, solo che il problema fondamentale nell'Islam è chi ha la legittimità per dire tutto ciò. Credo che quello che può salvarci da tutto ciò sia piuttosto un vasto movimento della società civile di questi paesi. Qualcosa che riesca a fermare questo miscuglio di medioevo e di ipermodernità che si contaminano a vicenda in modo schizofrenico.

Liberazione 19 giugno 2002
http://www.liberazione.it

Paul Atreides
21-06-02, 04:13
Il suicidio non c'entra nulla e stò Allam dice balle consapevolmente. Si tratta di martirio. Ora ci spieghi Allam-spara-ball se il martirio è o no contemplato nel Corano

Sullo sciismo, Allam-spara-ball è costretto ad ammettere che si sul martirologio forse qualcosa è vero ma...ma...Ma cosa? L'Ashura è il fondamento dell'intero sciismo, altro che.

L'islam ortodosso, quello inventato e cazzate varie. Non esiste un'ortodossia islamica perché non esiste una chiesa islamica con un papa che parla ex cathedra. Se trovi un'ulema che ti emana una fatwa, voilà les jeux sont faits. Esempio chiarissimo, le fatwe di appoggio ad Antar Zouabri emesse dall'ulema salafista Abu Hamza.

Sono le stesse cazzate dette sui Taliban, dichiarati, of course, totalmente alieni dall'islam ed invece, ma guarda un pò, pienamente dentro quella tradizione islamica rappresentata dalla scuola halafita e dalla corrente deobandita

Patrizio (POL)
21-06-02, 13:56
D'altronde, un comunista che parli di religione, è come Biscardi che parli della linguistica di Hjelmslev.

:D

Sta di fatto che la loro linea non attrae più nessuno nel "terzo mondo". L'asse della dialettica politica si è spostato ormai da tempo dal bipolarismo tutto laico tra marxismo e capitalismo (di cui ora non gliene frega più niente a nessuno) a quello tra modernismo dissolvente all'occidentale e Tradizione.
Ecco cos'ha significato il crollo del muro di Berlino, evento che ha lasciato spiazzate le teste d'uovo di entrambe le parti, pronte a programmarci altri decenni di contrapposizione fittizia Marx-Capitale - logica tutta interna al Sistema mondialista.
Ora siamo già con un piede fuori dal Sistema.
E' solo questione di tempo il farlo crollare del tutto.

W Hamas!
W gli ayatollah!
W lo sciismo!
W il BJP indù!
...

Morte all'Occidente mondialista, in qualunque salsa!

Marco Sferini
21-06-02, 20:09
Ho sempre pensato e tuttora penso che con la violenza tout court non si ottiene mai nulla, anzi molto spesso si ottiene l'effetto contrario a quello desiderato.
Si vedano mille esempi nello storicismo di ogni continente, anche riducendo la storia ad un unico grande esempio che diventa dettame di comportamento dell'umanità.
Sono dell'opinione, altresì, che il popolo palestinese, vessato da un'occupazione che lo umilia in ogni parte della sua (?) vita..., in ogni momento, in ogni condizione, debba scegliere la propria strada per liberarsi da questa tirannia sionista.
Sharon resta il problema numero 1, pari pari all'occupazione pluridecennale della West bank e di Gaza, della zona mediorentiale.
Detto questo, io non sto affatto dalla parte dei kamikaze palestinesi o meno che siano. Preferisco stare dalla parte di Arafat che ha sostenuto mille battaglie per la costituzione di uno Stato palestinese (anche di stampo socialisteggiante - Barghouti docet) e ora ha appieno ragione quando afferma con viva voce che si metta fine a questi attentati vigliacchi e che sortiscono appunto l'effetto contrario di cui parlavo prima.
Ogni kamikaze è convinto, a quanto ho letto in una intervista ad uno di loro fatta da un giornalista de "La Stampa", di trovare un paradiso al di là della morte, come afferma il Corano, e intanto la sua famiglia riceve agevolazioni danarose (anche se forse insufficienti per una vera vita dignitosa...).
Sta di fatto che così non si risolve nulla: con Sharon da una parte, massacratore e sanguinario all'ennesima potenza, e i kamikaze che - loro malgrado - gli forniscono l'alibi per rioccupare Betlemme, Ramallah, Gerico, Gaza... non si arriverà mai ad una pace.
Primo dunque: battere Sharon, scalzarlo dalla scena politica completamente.
Solo il pacifismo critico israeliano può fare questo miracolo insieme ai soldati ribelli, insieme ai pacifisti palestinesi e a tutta l'ANP.

Viva la Palestina libera!

Marco

www.geocities.com/prcsvcentro

www.geocities.com/rossebandiere

Oasis
21-06-02, 21:01
W anche Israele libero dai kamikaze.