PDA

Visualizza Versione Completa : Chi onora Mazzini, Garibaldi, Oberdan etc etc ... in ricordo dei nostri Eroi



mbragadin
23-06-02, 00:51
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


La rievocazione su Oberdan mi ha riportato alla mente una mia vecchia idea che parte dall'interrogativo : Chi onora Mazzini , Garibaldi , Oberdan e tanti altri ? Perche non fondare una associazione che si prende cura della casa di Caprera , come di quella di Mazzini etc etc ?

So che a Trieste la casa di Oberdan è un museo molto ben curato , ma è sempre cosi ? Non dovremmo fare qualcosa ?


http://freccetricolori.freeweb.supereva.it/galleria/immagini/1983a.jpg


.................................................. ................................

Mazziniani in SARDEGNA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=73060
Associazione Mazziniana Italiana
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=2011
Bicentenario nascita Giuseppe Mazzini (1805-1872)
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=133506
Mazziniani in PIEMONTE
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=15575
Mazziniani nel VENETO
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=4105
Mazziniani in SICILIA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=29799
Il Risorgimento ..... e dintorni
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=2302
Mazziniani in EMILIA e ROMAGNA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=11850
Discussione su Mazzini e il Repubblicanesimo - consensi - immagine - visibilita'
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=21596
Socialismo Mazziniano....per rafforzare il P.R.I ... dal Pensiero all'Azione ...
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=5260
Un 20 Settembre di 132 anni fa...."la breccia di Porta Pia"
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=25441
Mazziniani nel LAZIO
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=15218
Mazziniani in Lombardia
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=3144
Mazziniani in Friuli e nella Venezia Giulia
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=11489
Mazzini e Garibaldi
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=27459
Aurelio SAFFI...triunviro della Repubblica Romana ... con MAZZINI e ARMELLINI
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=5485
Influenza del Pensiero Mazziniano sull'Azionismo
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=62791
Mazzini in Chiesa ... e nella vita di tutti i giorni
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=7109
Chi onora Mazzini / Garibaldi / Oberdan etc etc ... in ricordo dei nostri Eroi
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=14893
Pisa & Domus Mazziniana
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=111677
Mazziniani in CALABRIA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=18657
Itinerari storico turistici : Le colline del Risorgimento
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=3072
Il "fallimento" del Risorgimento....Montecitorio 14 novembre 2002
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=32035
Garibaldi e Anita, benedette nozze
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=17719
Mazzini batte Marx
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=5382
Mazzini, osannato dai nemici della Chiesa
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=42789
Mazziniani nelle MARCHE
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=15577
Mazziniani in UMBRIA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=145041
Mazziniani in ABRUZZO
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=145000
Mazziniani in TOSCANA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=11487
Divagazioni su Mazzini ...
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=43038
Mazziniani in Campania
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=15010
Un pericoloso terrorista internazionale ... (Giuseppe Mazzini)
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=39360
Mazziniani in LIGURIA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=13432
Il PENSIERO MAZZINIANO
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=16664
Mazziniani nel MOLISE
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=129605
Mazziniani in PUGLIA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=11493
Mazziniani in Basilicata
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=51126

nuvolarossa
23-06-02, 09:14
****************************************
IL SIMBOLO DELL'ITALIANITA'
****************************************
Di Meuccio Ruini


Gli italiani devono considerare Mazzini come il tipo
più alto e l' espressione più rappresentativa di ciò che è
nella sua storia, ed aspira ad essere più integralmente,
domani, il popolo d'ltalia. Mazzini deve essere nel cuore
di tutti, fin dalla scuola, il nostro genio, lo spirito puro, il
simbolo dell'italianità. A lui dobbiamo in gran parte ciò
che siamo ora. L'unificazione nazionale fu realizzata in
base al concetto mazziniano di nazione; (lo scandinavo
Lange ha scritto che quando oggi, nel mondo, si parla di
nazione, «si pensa in italiano», come pensava Mazzini).
L'Italia unita è diventata oggi mazzinianamente Repub-
blica. Ed è Mazzini ancora che ci guida verso l'avvenire
con le sue idealità di giustizia e di rinnovamento sociale,
anche al di là delle classi. E' Mazzini che, cento anni fa,
dall'idea stessa di nazione «<Ìo amo la mia patrìa perche
amo le patrìe»; le altre nazioni; la famiglia delle nazioni)
trasse, con la più mirabile e salda trascendenza, la visione
degli Stati Uniti d'Europa.
*****************************************

pigna2
23-06-02, 22:14
Stupendo pensiero , nuvolarossa . Scusami se te lo rubo. E tuttavia il problema della " Conservazione della momoria " esiste .

Bisogna che qualcuno se ne faccia carico con iniziative che costringono i politici e la società a dare maggiore spazio a chi ci ha dato libertà , dignità e democrazia. Oggi il tutto è affidato a pochi volenterosi " custodi " Non basta ....

nuvolarossa
23-06-02, 23:32
Benvenuto a pigna2 sul Forum dei Repubblicani Italiani

nuvolarossa
25-06-02, 21:42
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
IL SUCCESSO E LA GLORIA
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
di Eucardio Momigliano

Il successo non ha arriso a Mazzini. Quando la sua predi-
cazione e il suo apostolato hanno ispirato atti positivi ed Egli
ha diretto l'azione da vicino o da lontano, le imprese si sono
concluse in modo negativo. Dalla spedizione di Savoia a
quella di Pisacane, dai moti del febbraio 1853 di Milano, alla
stessa repubblica romana, la forza bruta ha sempre avuto ra-
gione, e non sono mancati acerbi rimproveri, accuse inique o
sconfortanti deduzioni sulla capacità di Mazzini come uomo
di azione.
Pure su tutti questi giudizi negativi, sovrasta immutata e
luminosa la gloria dell'Uomo, la certezza della sua superio-
rità giganteggiante su tutti gli altri uomini del nostro Risorgi-
mento. Gloria che resiste a qualunque attacco, che non è il
frutto di una organizzata esaltazione, nè di una solidarietà in-
teressata, ma che rimane e tende a farsi sempre maggiore
quanto più la conoscenza dell'opera dell'apostolo è ap-
profondita e quanto più gli avvenimenti sembrano conferma-
re la sue previsioni. La ragione di questo distacco fra il suc-
cesso e la gloria, è la ragione stessa della grandezza di Giu-
seppe Mazzini. Egli è uno dei rari uomini che, al pari dei fon-
datori di religioni e dei profeti, segnano all'umanità delle me-
te lontane, spesso irraggiungibili, di perfezione e di armonia
morale e sociale. E' logico che il raggiungimento di tali mete
sia difficile e talvolta impossibile e che i tentativi dei generosi
che ad esse credono siano, nella società gretta in cui viviamo,
per debolezza di mezzi e di comprensione, condannati all'in-
successo. Ma ciò che rimane di immutabile nell'opera dell'a-
postolo e del profeta, non è l'episodio in cui si concentra il
tentativo generoso dei seguaci, ma è la meta indicata che è
quella che ha acceso i proseliti e che ne creerà dei nuovi e che
li spingerà sulla stessa via, che insegnerà loro a non ripetere
gli errori compiuti e che li porterà lentamente ma sicuramen-
te a raggiungere il fine sperato.
Era impossibile che la predicazione di Mazzini trasferita
nell'azione, potesse avere un successo immediato. Essa indi-
cava un cammino ed un fine, ma questi erano troppo lontani
e troppo in alto perchè fossero immediatamente raggiunti.
la delusione dei mazziniani sulla conclusione del nostro
Risorgimento, è logica ed è giusta.
Non era l'Italia del 1870 quella per la quale essi avevano
combattuto e sofferto prigionia ed esilio, ma essa era la tappa
necessaria sulla via segnata da Mazzini. Era una via troppo
lunga perchè bastasse una sola generazione a percorrerla in-
tera e molta sofferenza e molto sangue sarebbero stati neces-
sari per avvicinarsi alla meta. Forse questo hanno compreso
gli uomini della generazione successiva e comprendono
quelli della generazione odierna. Noi infatti non giudichiamo
e non possiamo soffermarci a giudicare Mazzini alla stregua
degli altri artefici del Risorgimento. Egli è solo e lontano e si
comprende come sia stato in dissenso con tutti. Gli altri ebbe-
ro la gloria del successo che è diversa e talvolta contrastante
con quella più sicura, indiscutibile, eterna che deriva dall'a-
vere indirizzato gli spiriti su un nuovo cammino, di avere in-
segnato ciò che occorreva fare per creare uno stato italiano u-
nitario, ciò che si sarebbe dovuto fare per creare la nuova Ita-
lia e i nuovi Italiani.
I primi ebbero il successo che l'incidente di una battaglia
perduta o un'avversa diplomazia avrebbero potuto distrug-
gere, il secondo la gloria di avere seminato un'idea indistrut-
tibile ed eterna.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

G. Oberdan
25-06-02, 23:05
sono pienamente d'accordo con te. Inoltre debbo ringraziarti perchè della casa di Oberdan non sapevo niente. Se sai anche indicarmi qualcos'altro su Oberdan te ne sarei grato perchè per trovare ciò che ho ho dovuto sudare 7 camicie.

Grazie

nuvolarossa
24-08-02, 08:52
**************************************************
PREVEGGENZA
**************************************************
di Alfredo Galletti

Una delle obiezioni più comunemente rivolte -anche da
ammiratori -al pensiero ed all'azione di Giuseppe Mazzini è
che egli, dominato dal suo allucinante idealismo:
(Tu sol, pensando, o ideai, sei vero)
abbia troppo ignorato le esigenze di quel realismo politico cui
deve piegarsi l'idea ed abbia così preparato la propria sconfitta,
mentre intorno a lui, altri più abili e più realisti, raccoglievano i
frutti della semente che egli aveva gettato. Il Mazzini ne ebbe
coscienza ed ha scritto giustificandosi: «Quando vedevo i miei
fini raccolti e conseguiti da altri, senza e contro di me, cosa po-
tevo fare? Entrare nel movimento come gli altri?». Restò infles-
sibile in disparte e non fu più «l'uomo dell'ora che volge», ma i
fatti dimostrarono che quella sua inflessibilità era preveggenza.
Mostrò, è vero, di non comprendere la necessità storica della
politica cavourriana, ma previde che il liberalismo utilitario
trionfante nel 1860-61, quando si fosse trovato di fronte alle
nuove forze democratiche affacciantisi alla vita politica, sarebbe
diventato facilmente reazionario.
Affermò sempre che il risorgimento politico doveva essere
strettamente associato ad una energica educazione morale della
nazione, e noi, ora, dopo un secolo, siamo testimoni che dall'a-
ver troppo dimenticato quell'ammonimento sono derivati tutti
gli errori e tutte le sciagure della nostra più recente vita politica.
Sostenne contro Carlo Marx che il materialismo morale a-
vrebbe non educato ma inferocito le plebi e che esso, per conse-
guire l'uguaglianza economica avrebbe rinnegato la libertà, e se
consideriamo le presenti condizioni dell'Europa, dovremo rico-
noscere l' esattezza delle sue previsioni.
Perche gli spiriti volgari, preoccupati soltanto degli eventi
che si svolgono sotto i loro occhi, pensano che essi saranno an-
che la realtà di domani e di sempre: l'uomo geniale intuisce le
segrete energie che sono all'opera nel profondo della vita socia-
le e prevede i mutamenti ed i capovolgimenti futuri.
*******************************************

nuvolarossa
04-09-02, 18:36
IL GENIO NELL'ORGANIZZAZIONE

di Nicola Diaz y Perez

Sopprimete questo genio organizzatore, instancabile, te-
nace, costante, incorruttibile, indomabile, intransigente; ora-
tore, apostolo persuasivo, generoso e inspirato, dominante
sempre moralmente con la severità delle sue parole e delle
sue opere; austero, raro e contrariato, che vive come un ana-
coreta, assorbito costantemente nel suo pensiero favorito,
nel suo unico ideale: «L'Italia emancipata dallo straniero,
creare l'unità nazionale, trascinarla a Roma» -e Vittorio E-
manuele non sarebbe oggi re d'Italia nè farebbe di Roma la
sua capitale.

Realizzare quest'utopia, obbligando a servirgli di stru-
mento gli stessi che si burlavano di lui, che lo condannavano
e lo perseguitavano, e infine lasciare che si dividano il botti-
no, e morire in un angolo, oscuro, povero come era vissuto,
con la fronte illuminata dall'aureola del martirio, è in verità
un'epopea magnifica, grande, gloriosa per l'Italia e per la ci-
viltà moderna e sopratutto -perchè non dirlo? -è una delle
prove più evidenti di ciò che può il talento e il carattere del-
l'uomo, di ciò che la volontà umana è capace di realizzare...

nuvolarossa
04-09-02, 18:36
IL GENIO NELL'ORGANIZZAZIONE

di Nicola Diaz y Perez

Sopprimete questo genio organizzatore, instancabile, te-
nace, costante, incorruttibile, indomabile, intransigente; ora-
tore, apostolo persuasivo, generoso e inspirato, dominante
sempre moralmente con la severità delle sue parole e delle
sue opere; austero, raro e contrariato, che vive come un ana-
coreta, assorbito costantemente nel suo pensiero favorito,
nel suo unico ideale: «L'Italia emancipata dallo straniero,
creare l'unità nazionale, trascinarla a Roma» -e Vittorio E-
manuele non sarebbe oggi re d'Italia nè farebbe di Roma la
sua capitale.

Realizzare quest'utopia, obbligando a servirgli di stru-
mento gli stessi che si burlavano di lui, che lo condannavano
e lo perseguitavano, e infine lasciare che si dividano il botti-
no, e morire in un angolo, oscuro, povero come era vissuto,
con la fronte illuminata dall'aureola del martirio, è in verità
un'epopea magnifica, grande, gloriosa per l'Italia e per la ci-
viltà moderna e sopratutto -perchè non dirlo? -è una delle
prove più evidenti di ciò che può il talento e il carattere del-
l'uomo, di ciò che la volontà umana è capace di realizzare...

Roberto (POL)
04-09-02, 23:33
Originally posted by mbragadin
La rievocazione su Oberdan mi ha riportato alla mente una mia vecchia idea che parte dall'interrogativo : Chi onora Mazzini , Garibaldi , Oberdan e tanti altri ? Perche non fondare una associazione che si prende cura della casa di Caprera , come di quella di Mazzini etc etc ?
So che a Trieste la casa di Oberdan è un museo molto ben curato , ma è sempre cosi ? Non dovremmo fare qualcosa ?


Mi scuso del ritardo con cui rispondo agli Amici ma questo post mi era sfuggito.

Per quanto riguarda Caprera, ricordo che sull'isola ha sede il Museo Nazionale del Compendio Garibaldino amministrato direttamente dal Ministero dei Beni Culturali; a Genova poi Mazzini è degnamente onorato dall'Istituto Mazziniano che ha sede nella sua casa natale.

Per Guglielmo Oberdan effettivamente il discorso cambia, il museo cui accenna mbragadin ovvero il Museo del Risorgimento ha sede nel luogo ove sorgeva l'antica caserma austroungarica in cui Oberdan venne rinchiuso prima dell'impiccagione; adiacente al Museo sorge il Sacrario dedicato al martire.

Per quanto riguarda l'associazione da fondare, penso che l'Associazione Mazziniana Italiana possa bastare :D !!!

Saluti.

R.

Roberto (POL)
04-09-02, 23:33
Originally posted by mbragadin
La rievocazione su Oberdan mi ha riportato alla mente una mia vecchia idea che parte dall'interrogativo : Chi onora Mazzini , Garibaldi , Oberdan e tanti altri ? Perche non fondare una associazione che si prende cura della casa di Caprera , come di quella di Mazzini etc etc ?
So che a Trieste la casa di Oberdan è un museo molto ben curato , ma è sempre cosi ? Non dovremmo fare qualcosa ?


Mi scuso del ritardo con cui rispondo agli Amici ma questo post mi era sfuggito.

Per quanto riguarda Caprera, ricordo che sull'isola ha sede il Museo Nazionale del Compendio Garibaldino amministrato direttamente dal Ministero dei Beni Culturali; a Genova poi Mazzini è degnamente onorato dall'Istituto Mazziniano che ha sede nella sua casa natale.

Per Guglielmo Oberdan effettivamente il discorso cambia, il museo cui accenna mbragadin ovvero il Museo del Risorgimento ha sede nel luogo ove sorgeva l'antica caserma austroungarica in cui Oberdan venne rinchiuso prima dell'impiccagione; adiacente al Museo sorge il Sacrario dedicato al martire.

Per quanto riguarda l'associazione da fondare, penso che l'Associazione Mazziniana Italiana possa bastare :D !!!

Saluti.

R.

nuvolarossa
06-10-02, 11:39
MAZZINI, TURISTA OPEN AIR

di Luca Stella

Nessun dubbio sul fatto che i valori Risorgimentali non sono solo la parte sana del nostro vivere quotidiano, ma anche del nostro futuro.
L'euro e' li' a dimostrare a tutti che il grande Mazzini aveva e ha tutt'ora ragione. Quello stato moderno, laico e quella Europa unita pur nelle diversita' culturali diventano il bel regalo che Mazzini ci ha donato e garanzia della sua immortalita'.
Se poi pensiamo al nostro modo di fare turismo, che ha sempre fatto delle frontiere una barriera superabile e dell'interscambio culturale un'occasione di arricchimento interiore, allora non e' azzardato sognare che Mazzini sarebbe un sostenitore di come passiamo il nostro tempo libero e le nostre vacanze estive.

Http://www.abcamp.it/editoriale/mazzini/mazzini.JPG

Si tratta di argomentazioni valide e importanti, perche' nel nostro apparentemente superficiale girovagare trasmettiamo valori alle generazioni future.
Che dire dei numerosi amici delle piu' svariate nazioni i cui indirizzi compaiono nelle nostre agende? Di aneddoti e di occasioni di incontro con gente amica, ma dalla parlata per noi incomprensibile?
Il fatto che dopo l'11 Settembre, grazie all'effetto camino, si sia spostato l'asse turistico a nostro favore ci deve far riflettere. I valori fondanti di questo settore vanno trasmessi a questi nuovi amici.
All'inizio di questo editoriale parlavo di valori Risorgimentali (con la ERRE rigorosamente maiuscola) e per capire la comunanza di tali valori con il turismo open air basta leggere questa strofa dell'Inno nazionale:

Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò.

http://www.abcamp.it/editoriale/mazzini/mameli.jpg

E l'ora di fonderci, con l'euro e la cartina in mano, noi l'abbiamo gia' suonata da tempo.
Se poi andiamo oltre, c'e' un'altra strofa dell'Inno che viene a noi:

Il sangue d'Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.

La forza e' proprio in quell'essere cosi' consapevoli della propria identita' culturale da consentire una apertura verso gli altri tale da poter citare nell'Inno della nazione italiana i dolori di un altro popolo, quello polacco, causati dall'atroce smembramento operato dall'Austria.
Perche' accettare di entrare in contatto con culture differenti, significa essere pienamente consapevoli della propria, e questo Mazzini lo sapeva benissimo e noi lo proviamo ogni volta che siamo a Parigi, come a Capo Nord o sulle rive del Reno.

http://www.abcamp.it/editoriale/mazzini/mazzini_2.jpg

Nel 2005 cadra' il bicentenario della nascita di questo grande e libero pensatore e noi abbiamo gia' iniziato le celebrazioni a suon di chilometri percorsi in tutte le direzioni, attraverso il continente europeo.
----------------------------------

tratto dal sito web dei
Repubblicani della Lombardia (http://www.prilombardia.it/frameset_home_page.html)

agaragar
06-10-02, 11:56
aggiungerei anke la kasa di Oli..........

Anita
06-10-02, 21:43
Kuesta non l'ho Kapita !

agaragar
07-10-02, 13:22
Originally posted by Anita
Kuesta non l'ho Kapita !
------------>
Originally posted by mbragadin
: Chi onora Mazzini , Garibaldi , Oberdan e tanti altri ? Perche non fondare una associazione che si prende cura della casa di Caprera , come di quella di Mazzini etc etc ?
So che a Trieste la casa di Oberdan è un museo molto ben curato , ma è sempre cosi ? Non dovremmo fare qualcosa ?



_____________________
gli è xkè non leggi i trheads...

nuvolarossa
05-12-02, 22:43
SCRITTORE DI PROSA VIVA

di Guido Mazzoni

Giuseppe Mazzini (tutti ormai hanno dovuto riconoscer-
lo) fu grande anche come scrittore di prosa viva, eloquente,
efficace, ora acutamente dialettica, ora magnanimamente
poetica. Mosse in ciò dal Foscolo; ma fu scolaro che superò il
maestro. Poteva il Manzoni, con uno de' suoi arguti giudizi,
ferire, non dirò a morte, ma di grave ferita la retorica di Ugo,
professore cattedratico; quando confessava di non riuscire a
intendere, nelle orazioni di lui, che cosa ciascun periodo a-
vesse a che fare col precedente e col seguente. Quanto al pe-
riodare del Mazzini, la catena delle idee vi è così calda che
non ne puoi spostare un anello; e questo è, insomma, il fon-
damento della prosa e dello stile, questo della concatenazio-
ne logica.
Mosse parimente il Mazzini dal Foscolo, per la critica let-
teraria. Ma pur qui lo sorpassò, sia per la larghezza della cul-
tura, sia per quella della vista. Il Foscolo rimase a mezza stra-
da tra l'erudizione e la penetrazione più propriamente critica;
il Mazzini, non solo volle essere e fu un critico vero e proprio,
risalì cioè sempre nel fatto all'idea, ma, identificando l'idea-
lità estetica con la morale, civilmente intesa, salì anche più al-
to sopra le teorie romantiche, verso la vetta che a me pare
suprema.

nuvolarossa
20-12-02, 16:14
http://www.lastampa.it/common/_img/nordovest120x60.gif
-------------------------------------------------------------------------------
DAI PATRIOTI LAICI E CRISTIANI
UNA LEZIONE PER OGGI ....
...... RISORGIMENTO DOCET

NON credo sia necessario un sondaggio d´opinione per affermare che pochissimi, soprattutto tra i giovani, sanno chi fu Guglielmo Oberdan e chi furono i Martiri di Belfiore. Per fortuna, grazie ad alcune iniziative che si sono svolte o si svolgono in questi giorni - a Ravenna, Mantova, e Trieste - quelle figure del nostro Risorgimento saranno forse un po´ più note e meglio apprezzate. Tanto Guglielmo Oberdan che si sacrifica nel tentativo di uccidere l´imperatore d´Austria, quanto i Martiri di Belfiore che perdono la vita inseguendo un sogno rivoluzionario repubblicano, sono lontani dalla sensibilità morale oggi prevalente. Il nostro è il tempo degli indifferenti e dei tiepidi (anche se non tutti sono indifferenti o tiepidi) o peggio ancora di «martiri» che uccidono vittime innocenti per esasperare l´odio fra i popoli, come ha ricordato Sauro Mattarelli al convegno di Ravenna. Guglielmo Oberdan fu invece un martire vero, che credeva profondamente nell´ideale della fratellanza e della libertà dei popoli. Come ha scritto Giani Stuparich, «tutta l´azione d´Oberdan è antiteatrale, ricorda la dignità, la compostezza, la sovrumana fermezza dei martiri cristiani: la sua religione era la patria. Veramente egli agì e parlò come se fosse stato davanti soltanto al giudizio della propria coscienza». La medesima religione animava anche i Martiri di Belfiore (don Enrico Tazzoli, Angelo Scarsellini, Bernardo del Canal, Giovanni Zambelli e Carlo Poma, uccisi il 7 dicembre 1852; Carlo Montanari, Tito Speri, don Bartolomeo Grazioli e Pietro Frattini, uccisi nel marzo del 1853; Pier Fortunato Calvi impiccato il 4 luglio 1855). Per alcuni di essi la religione della patria era tutt´uno con la religione di Cristo. Don Enrico Tazzoli, il personaggio di maggior spicco della rete mazziniana nel Mantovano, era sacerdote e professore di filosofia al Seminario; don Bartolomeo Grazioli era parroco di Revere. Un anno prima un altro sacerdote, don Giovanni Grioli, fu fucilato dagli austriaci perché trovato in possesso di lettere che provavano la sua appartenenza al movimento mazziniano. Erano sacerdoti cattolici che amavano la cultura illuministica e per loro l´amore della patria era una seconda religione che traeva forza morale dalla fede cristiana e a sua volta arricchiva la fede cristiana di idealità sociali e politiche. Ne sono prova le lettere e le testimonianze che un´altra bella figura di sacerdote e di italiano, monsignor Luigi Martini, raccolse nei volumi Il confortatorio di Mantova (1952). La vicenda dei Martiri di Belfiore (e si potrebbe citare altri esempi simili) dimostra ancora una volta quanto sia storicamente sbagliata la tesi, di tanto in tanto riesumata per ragioni di polemica ideologica, di un Risorgimento anticristiano e anticattolico. Il contributo dei cattolci non fu una «zona grigia», ma un insieme di esperienze di altissimo valore morale e civile che dovremmo tutti, cattolici e non cattolici, conoscere e capire meglio.

viroli@princeton.edu

Maurizio Viroli

Roberto (POL)
21-12-02, 14:34
Originally posted by matteoli1


L' A.M.I. fa quello che può , e quello che può è poco se non si torna ad insegnare ai giovani quali sono i valori e gli ideali che ci sono stati trasmessi attraverso il Risorgimento. E' su questo che bisogna lavorare .

Assolutamente vero!!!

- PENSIERO
+ AZIONE

Saluti

R.

Roberto (POL)
03-01-03, 20:22
da http://www.leganazionale.it

La Lega Nazionale di Trieste, con il contributo della Provincia e la collaborazione dell’Associazione Mazziniana, ha voluto ricordare, il 20 dicembre 2002, nell’aula magna del Liceo “Dante”, il 120° anniversario dell’impiccagione di Guglielmo Oberdan (http://utenti.lycos.it/GOberdanPri/ValledelSerchio.html) (Trieste 1° febbraio 1858 – 20 dicembre 1882). Dire delle parole pacate e basate sulla conoscenza dei fatti, al di là delle sgangherate polemiche che di frequente cercano d’infangare il valore del suo sacrificio, è stato l’intendimento di un incontro di studio che si è aperto con la prolusione di Enzio Volli, Presidente Onorario dell’Associazione Mazziniana Italiana Sezione di Trieste, il quale ha voluto donare al Presidente della Lega Nazionale, Paolo Sardos Albertini, le riproduzioni del materiale d’archivio su Oberdan posseduto dall’Associazione Mazziniana, riguardante, in particolare, il Circolo Garibaldi. Un regalo molto gradito che andrà ad arricchire il cospicuo patrimonio archivistico del centenario sodalizio triestino che ha appena avviato un pluriennale progetto d’inventariazione, catalogazione e informatizzazione del proprio archivio e di quelli ad essa collegati.

Nel seguito dei lavori, gli interventi di Maddalena Guiotto, dell’Istituto Storico italo-germanico di Trento, di Diego Redivo, in rappresentanza della Lega Nazionale, e di Alberto Brambilla, dell’Università di Padova, hanno ricostruito la vicenda di Oberdan e il suo progetto (http://www.isolapiana.com/max/oberdan/oberdan14.htm) di attentare alla vita dell’imperatore asburgico nel 1882. Un anno fatidico in cui l’Italia firmava la Triplice Alleanza abbandonando la tradizione austrofoba, moriva Giuseppe Garibaldi, simbolo del Risorgimento, e ricorrevano i cinquecento anni della dedizione di Trieste all’Austria le cui celebrazioni venivano sentite come un affronto dagli austro-italiani. Un cumulo di eventi che sembrò porre fine al sogno del completamento dell’unità nazionale tanto da generare nel giovane irredento (http://www.retecivica.trieste.it/triestecultura/musei/civicimusei/oberdan/oberframe.htm) la volontà di “andare incontro al patibolo” per suscitare l’auspicato risveglio nazionale e le cui ripercussioni sui rapporti diplomatici tra Austria e Italia, sulla genesi e lo sviluppo della mitologia irredentista nonché sugli influssi sparsi in ambito letterario sono stati analizzati nel corso del convegno mentre Fulvio Salimbeni, dell’Università di Udine, ha tratto le conclusioni della proficua giornata.

Ne è emersa così la figura di un giovane romantico e passionale, cui le vicende della storia hanno assegnato da un lato il ruolo di bersaglio della malevolenza di tutti coloro che ritengono ancor oggi inaccettabile la soluzione nazionale italiana di Trieste e dall’altro, quello più propriamente storiografico, il simbolo maggiormente evidente di quella ottocentesca “religione della Patria”, laica e nazionale, ben esemplificato dal “Sacrario” – il luogo della sua detenzione e della sua impiccagione – attorno a cui è stato costruito il Museo del Risorgimento di Trieste. Il ruolo di Oberdan (http://www.emmeti.it/Arte/FVG/ProvTrieste/Trieste/sacrario_oberdan.de.html), si è detto, è stato non tanto quello del martire, di colui, cioè, che ha consapevolmente ricercato la propria condanna come esempio e sprone, bensì quello di agnello sacrificale, immolato sull’altare delle manovre politiche e diplomatiche internazionali che avevano spinto l’Italia nella direzione opposta a quella sperata dagli irredentisti e che, pur germogliando in maniera quasi sotterranea, grazie soprattutto all’opera di Carducci e D’Annunzio, non riuscì a mettere in crisi i rapporti italo-austriaci fino al 1914. Le inutili polemiche sulla sua origine nazionale, chiaramente italiana per scelta consapevole anche se la madre era slovena (il padre, che pur non lo riconobbe, veneto), sul cognome, privato della “K” dallo stesso Oberdan in quanto com’ebbe a scrivere, gli sembrava avere un suono troppo tedesco e sulla sua responsabilità in merito ad un precedente, mortale, attentato, negata, oltre ad ogni altra considerazione, sia dalle inchieste austriache che dalle deposizioni dei testimoni del fatto, dimostrano come i simboli della storia vengano spesso utilizzati per finalità tutt’altro che limpide. Così come poco limpidi appaiono i tentativi di attribuire la glorificazione di Oberdan (http://utenti.lycos.it/cantidilotta/canti/pag0075.htm) al fascismo che aveva, invece, nei confronti dell’irredentismo, idealità di per se ribelle nei confronti dello Stato, e dei suoi eroi mazziniani e garibaldini una certa diffidenza, tanto da tentare di sostituire al culto di Oberdan il culto di Ruggero Timeus (Fauro), volontario irredento nazionalista sacrificatosi nel 1915, in quanto portatore di una visione teorica riguardante il confine orientale più consona alla politica di potenza messa in atto dal regime fascista.

**********

Saluti

R.

nuvolarossa
03-01-03, 20:43
Inno a Oberdan

Morte a Franz, viva Oberdan!
Morte a Franz, viva Oberdan!

Le bombe, le bombe all'Orsini,
il pugnale, il pugnale alla mano;
a morte l'austriaco sovrano,
noi vogliamo la libertà.

Morte a Franz, viva Oberdan!
Morte a Franz, viva Oberdan!

Vogliamo formare una lapide
di pietra garibaldina;
a morte l'austriaca gallina,
noi vogliamo la libertà.

Morte a Franz, viva Oberdan!
Morte a Franz, viva Oberdan!

Vogliamo spezzar sotto i piedi
l'austriaca odiata catena;
a morte gli Asburgo-Lorena,
noi vogliamo la libertà.

Morte a Franz, viva Oberdan!
Morte a Franz, viva Oberdan!
Morte a Franz, viva Oberdan!
----------------------------------------
anno 1885 ... circa, di anonimo

omorfo
03-01-03, 23:06
Una curiosità : Trieste è l'unica città in Italia a non avere un monumento intitolato a Garibaldi -

nuvolarossa
25-02-03, 17:54
Guglielmo Oberdan
L’uomo e il suo tempo

RAVENNA - Per ricordare Guglielmo Oberdan a 120 anni dal sacrificio irredentistico la Coop "Pensiero e Azione", in collaborazione con l’AMI, ha organizzato un incontro sul tema "Guglielmo Oberdan l’uomo e il suo tempo" per sabato 14 dicembre, presso l’aula magna della Casa Matha. Partecipano il dr. Alberto Malfitano, Università di Bologna, sede di Rimini e il prof. Sauro Mattarelli, direttore del "Pensiero mazziniano" e vice presidente dell’Ente Casa di Oriani. Coordina il presidente regionale dell’AMI dell’Emilia Romagna Angelo Morini. Per la manifestazione è stato predisposto uno speciale annullo filatelico, una cartolina ed un "intero postale".
------------------------------------------------------------

tratto da il
Pensiero Mazziniano
http://www.domusmazziniana.it/ami/r1.gifhttp://www.domusmazziniana.it/ami/r2.gif (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
28-02-03, 14:17
http://www.bresciaoggi.it/img/marchi.gif
------------------------------------------------------------------
Era il 3 marzo 1853
Brescia ricorda i martiri di Belfiore Gran cerimonia a Palazzo Loggia

BRESCIA - Era il 3 marzo 1853 quando impavidi patrioti, venivano impiccati sugli spalti di Belfiore, immolando la propria esistenza al valore della patria e all'Unità d'Italia. Centocinquant'anni dopo, l’eroico gesto di questi uomini riempie ancora di commozione la cittadinanza bresciana che, fortemente legata al concetto di libertà e patriottismo, vuole ricordare il loro sacrificio. Lunedì, sarà il giorno del ricordo: non solo dei martiri ma anche dei valori per cui essi lottarono e che al giorno d'oggi sono in parte dimenticati.
«Come eredi delle tradizioni, abbiamo l'obbligo di ricordare questo evento simbolo di quell'Unità d'Italia per cui molti hanno lottato, e come risposta a coloro che, con il nome di devolution, stanno cercando di dividere la nazione».
Con queste parole il sindaco Paolo Corsini ha voluto spiegare le ragioni della commemorazione, organizzata dall'assessorato alla Cultura e dall'associazione Mazziniana italiana, sottolineandone anche il valore politico.
Alle 11 di lunedì le autorità deporranno una corona d'alloro sotto la statua di Tito Speri, eroe bresciano condannato a morte proprio in questa occasione, mentre alle 17 la manifestazione proseguirà nel salone Vanvitelliano di palazzo Loggia.
Dopo l'introduzione del sindaco e il saluto del professor Amedeo Biglione di Viarigi, presidente del comitato di Brescia dell'Istituto per la storia del risorgimento italiano, seguirà la presentazione del volume ristampato in anastatica sulle attività del comitato segreto insurrezionale bresciano nel 1850-51 da parte di Alfonso Rodella dell'Ami (Associazione mazziniani italiani) di Brescia e la conversazione «La generazione del Risorgimento» tenuta da Roberto Balzani, professore in storia contemporanea all'Università di Bologna.
L'Ami vanta una lunga storia e conta 3000 associati in Italia e circa 40 nel bresciano. L'Associazione, avente sede all'Università Tirandi di via Tosio, pubblica ufficialmente, dal 1946 «Pensiero Mazziniano», rivista trimestrale di buon livello culturale, le cui origini risalgono, però, al 1943.
Nelle parole di Giancarlo Colosio, segretario Ami, i prossimi progetti dell'associazione: «Nell'ambito della nostra ricerca storica, riteniamo importante rivalutare la figura dei prelati ed il loro contributo nel Risorgimento, perché molti di loro lottarono e morirono per l'Italia».

Diego Serino

nuvolarossa
01-03-03, 15:48
Centocinquant’anni fa la condanna a morte del cospiratore bresciano - TITO SPERI - addio alla PATRIA

BRESCIA - A 150 anni dalla morte di Tito Speri, lunedì 3 marzo alle 17 in Loggia si terrà un incontro commemorativo, promosso dall’Associazione Mazziniana Italiana in collaborazione con l’assessorato alla Cultura del Comune. Il professor Roberto Balzani dell’Università di Bologna terrà una conversazione sul tema «La generazione del Risorgimento». Il sindaco di Brescia Paolo Corsini, nelle vesti di professore dell’Università di Parma, proporrà un suo intervento, mentre Alfonso Rodella, dell’A.m.i. di Brescia, presenterà il volume ristampato in edizione anastatica sull’attività del Comitato segreto insurrezionale bresciano del 1850-51. Porterà il saluto anche il professor Amedeo Biglione di Viarigi, presidente del Comitato di Brescia dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, di cui proponiamo un intervento.

Centocinquant’anni or sono, la mattina del 3 marzo 1853, insieme con il sacerdote mantovano don Bartolomeo Grazioli, parroco di Revere e l’ingegnere veronese Carlo Montanari, saliva il patibolo di Belfiore il bresciano Tito Speri. Era una mattina limpida di fine inverno, tanto che il Montanari nel tragitto dal «Confortatorio» di Santa Teresa ove i condannati avevano trascorso i loro ultimi giorni, con l’assidua e amorosa assistenza di monsignor Martini, al luogo dell’esecuzione, fissò con profonda commozione la catena del monte Baldo che si stagliava all’orizzonte. Un atteggiamento che il poeta Giovanni Marradi nell’ode Tito Speri, del 1905, attribuisce anche al patriota bresciano: «Nel fiore / dei suoi bei ventisette anni, vestito / come chi a nozze va, meravigliando / di sua letizia esecutori e astanti, / salì la forca Tito Speri. I gioghi / di Monte Baldo e le pianure e l’acque / de la dolente Patria, sopita / nel velo delle nebbie mattutine, / anche una volta ei salutò d’un riso / d’ineffabile addio». L’esecuzione capitale del 3 marzo fu la seconda delle tre che funestarono quei mesi e che fecero seguito al processo di Mantova, uno dei più dolorosi e drammatici di tutta l’età risorgimentale, coinvolgendo oltre cento patrioti, imputati di attività cospirativa connessa con la diffusione delle cartelle del prestito nazionale per dieci milioni di lire lanciato a Londra da Mazzini nel settembre del 1850. Nove di essi vennero condannati a morte e tali pene, scaturite da tre diverse sentenze, furono infatti eseguite in altrettanti diversi momenti: il 7 dicembre 1852 erano avvenute le impiccagioni di don Enrico Tazzoli, da Canneto sull’Oglio, di Angelo Scarsellini, da Legnago, dei veneziani Bernardo Canal e Giovanni Zambelli e del medico mantovano Carlo Poma; il 3 marzo 1853 avvennero, appunto, quelle di don Grazioli, Montanari e Tito Speri e il successivo 19 marzo fu eseguita quella di Pietro Frattini, da Vigo di Legnago. Nato a Brescia nel 1825, lo Speri aveva studiato presso il liceo classico cittadino, ove ebbe per insegnante Giuseppe Gallia, il futuro segretario dell’Ateneo, e quindi in quello di Lodi, in cui fu discepolo di altre due significative figure di maestri, l’abate Luigi Anelli e Gian Paolo Gorini, di origine bresciana, animati ambedue da sentimenti patriottici. Nel 1848 si arruolò nel battaglione degli studenti, combattendo in Trentino, per il quale transitavano i rifornimenti all’esercito austriaco, e fra la prima e la seconda fase della guerra di indipendenza fu parte attiva del Comitato insurrezionale che a Brescia faceva capo a Bartolomeo Gualla e che teneva contatti con il Comitato centrale di Torino, ove si trovava l’esule bresciano Luigi Cazzago. Lo Speri fu tra coloro che assumevano informazioni sui movimenti dei reparti austriaci nel Bresciano e che si impegnarono in rischiose trasferte di collegamento nella capitale piemontese. A Torino si trovava, ad esempio, nella prima quindicina del marzo 1849, alla vigilia delle Dieci Giornate. Ritornato a Brescia, portando istruzioni per il Comitato della città, prese parte attiva alla Decade bresciana, al comando di un suo gruppo di volontari: il 23 marzo intercettò, costringendolo alla resa, un convoglio austriaco; il 25, nella zona di Nave, impedì l’arrivo a Brescia dei militari della guarnigione di Rocca d’Anfo; il 26 affrontò a Sant’Eufemia la corposa colonna del generale Nugent diretta su Brescia e nelle giornate successive si distinse a porta Torrelunga, al Rebuffone e ancora nella zona di Sant’Eufemia. Della sua partecipazione alle Giornate bresciane del 1849 lo Speri scrisse una relazione che, a cura del Municipio di Brescia, (Brescia, La Poligrafica), Paolo Guerrini pubblicò nel 1924 con il titolo, appunto, Le X Giornate, convinto, tra l’altro, che tali pagine siano l’abbozzo di un resoconto inviato dall’autore a Cesare Correnti, a Torino, quale contributo informativo per la sua celebre narrazione I dieci giorni dell’insurrezione di Brescia nel 1849. Ritornato a Brescia in seguito all’amnistia dell’agosto del 1849, Tito Speri riprese la sua attività cospirativa e nell’autunno dell’anno successivo fu tra i promotori di un Comitato insurrezionale che fra gli scopi aveva quello della diffusione delle cartelle del prestito nazionale lanciato da Mazzini. Per tale motivo venne arrestato il 18 giugno 1852 e tradotto nelle carceri cittadine di Sant’Urbano, per essere poi trasferito a Mantova il 26. I costituti riguardanti gli interrogatori da lui subiti sono sei e furono pubblicati da Luigi Re nel suo Tito Speri nel processo dei Martiri di Belfiore, Costituti e Documenti inediti, Giulio Vannini Editore, Brescia 1933. Il primo di tali costituti è del 28 giugno, due giorni dopo l’arrivo dello Speri a Mantova; l’ultimo del 2 marzo 1853, la vigilia dell’esecuzione capitale, che era già stata sancita con la sentenza del 28 febbraio, e non riguardava, ovviamente la sua ormai decisa posizione processuale. A proposito di questo ultimo interrogatorio scrive Luigi Re: «La firma dello Speri è più franca del solito, più slanciata, più calma, più elegante ed ardita. Sembra fatta per un esercizio di calligrafia. Sembra una sfida! È un documento di serenità e fierezza! La mano che poche ore dopo doveva pendere nella rigidità della morte non aveva tremato». E continua: «Se il magnanimo silenzio di Speri salvò dal carcere e dalla morte parecchi bresciani, non salvò lui dal capestro». Come si vede, Tito Speri consumò in breve volgere di tempo il suo generoso e intenso impegno patriottico dal 1848 al 1852, quando venne arrestato, vale a dire dai 23 ai 27 anni di età. Fu un impegno vissuto con grande entusiasmo, documentato da molteplici testimonianze, fra cui le sue stesse lettere, l’ultima delle quali, all’amico fraterno Alberto Cavalletto, scritta il 2 marzo, alle 10 di sera. Il testamento è stato redatto in data dello stesso 3 marzo, alle 7 di mattina, con una postilla apposta alle 7 e mezzo. Anche l’arida scansione delle ore e degli eventi, in casi come questo, non può che suscitare profonde emozioni.

Amedeo di Viarigi
------------------------------------------------
http://www.giornaledibrescia.it/giornale/img/003/gdb.gif

nuvolarossa
03-03-03, 19:45
http://www.larena.it/img/testata.jpg
----------------------------------------------------------------------------
Carlo Montanari, Il patriota mazziniano fu impiccato il 3 marzo. La Società Letteraria lo ricorderà

Centocinquant’anni fa il sacrificio di Montanari

Léon Kochnitzky, raffinato poeta belga e rivoluzionario ministro degli Esteri di D’Annunzio a Fiume nel 1920, scrisse che le torte di alta tradizione viennese servite nelle belle pasticcerie della città sul Quarnaro erano l’unica possibilità per l’Impero di Francesco Giuseppe di continuare a vivere nella memoria degli uomini. La qualità delle torte (che ci trova consenzienti) ci appare, tirate le debite somme, un titolo di merito troppo esiguo per il ricordo dell’Impero d’Austria. Esso, infatti, rappresentò, per un lasso di tempo non trascurabile, un’area d’Europa vincolata a un modello, più o meno discutibile, ma reale, di reggimento politico e di civiltà. Fatta dunque salva l’obiettività del giudizio storico, se vogliamo però ripercorrere la storia del nostro Risorgimento nazionale, dobbiamo finalmente prendere le debite distanze dalle malinconiche nostalgie alimentate dall’iconografia, più o meno sbiadita, del «povero nostro Franz» e delle «vecchie province», dalle pose fotografiche più classiche e più famose di «Sissi» e dell’infelice Massimiliano. Tutto ciò ci allontana da un severo «ripasso» delle tappe del cammino della Nazione italiana, tanto più necessario dopo tanti (troppi) anni di disinformazione e di indifferenza.
Nel 1852-53, l’Austria, ancora padrona del Regno Lombardo-Veneto, spietatamente reagì, con una serie di condanne a morte, eseguite anche a Belfiore mantovano, alla cospirazione mazziniana, penetrata fino al cuore del sistema difensivo del cosiddetto Quadrilatero. Il giovanissimo Francesco Giuseppe non seppe o non volle resistere alle pressioni del Feldmaresciallo Radetzky e della cerchia di alti ufficiali dell’Esercito che a Vienna sembravano onnipotenti e che pretendevano punizioni esemplari.
Tutto aveva avuto origine dall’instancabile azione rivoluzionaria di Giuseppe Mazzini che, tornato nel suo esilio londinese, mirava a riorganizzare le forze rivoluzionarie europee, sognando di ridestare la fiammata rivoluzionaria del 1848-49. Aveva, a questo fine, lanciato un «Prestito Nazionale», in forma di cartelle di tagli diversi, garantito dalla democrazia europea: un’obbligazione legale emessa dal Governo in esilio della Repubblica Romana di cui egli, come Triumviro, era stato, nel 1849, supremo reggitore. Le cartelle del «Prestito» cominciarono così a diffondersi per la Penisola, ad opera di attivi e coraggiosi protagonisti: il comasco Luigi Dottesio le portò anche a Verona, nella libreria di Domenico Cesconi, luogo di ritrovo di patrioti anche illustri (come l’Aleardi), situata nell’attuale via Mazzini.
Cominciarono, nel 1851, le esecuzioni capitali: quelle dell’intrepido popolano Amatore Sciesa, fucilato a Milano il 2 agosto; del Dottesio, impiccato a Venezia l’11 ottobre; del prete mantovano Giovanni Grioli, fucilato a Belfiore, il 5 novembre, aprirono la lunga serie delle condanne a morte eseguite. Il 7 dicembre 1852, affrontarono coraggiosamente il capestro austriaco, a Belfiore, i mantovani Enrico Tazzoli, capo del locale comitato e Carlo Poma, il legnaghese Angelo Scarsellini, i veneziani Bernardo De Canal e Giovanni Zambelli.
Queste forche destarono sgomento e orrore, ma anche rabbia e desiderio di vendetta, che trovarono sfogo a Milano, nel moto insurrezionale del 6 febbraio 1853, messo in atto da organizzazioni di artigiani e operai salariati dirette da Mazzini. Il tentativo fallì, nonostante l’ardimento dei popolani che assalirono, spesso armati di soli pugnali, le agguerrite truppe austriache e la repressione rincrudì sugli insorti catturati e sugli inermi già in carcere.
Così, il 3 marzo 1853, giusto centocinquant’anni fa, a Belfiore, alle porte di Mantova, subivano il capestro austiaco il mantovano Bartolomeo Grazioli, arciprete di Revere, il bresciano Tito Speri, prode combattente delle Dieci Giornate e il nobile veronese Carlo Montanari.
Quest’ultimo, insigne studioso e benemerito promotore della cultura e della pubblica assistenza, era stato il capo e l’anima del Comitato mazziniano di Verona. Sotto la sua guida, i cospiratori avevano diffuso proclami, opuscoli e cartelle del «Prestito»; avevano addirittura arruolato e addestrato, in dimore sicure, futuri combattenti, rilevate le piante delle fortificazioni e stabilito collegamenti con soldati ungheresi delle guarnigione, inclini alla ribellione.
Pochi giorni dopo, il 19 marzo 1853, fu la volta del popolano legnaghese Pietro Domenico Frattini. Il Frattini, già invalido per una ferita riportata nel 1849, nella difesa di Roma repubblicana, era accusato di aver occultato stampe clandestine e di aver dato ricovero, nel suo alloggio mantovano, ai cospiratori. Condannato a morte e la sentenza fu eseguita, ritardando, a bella posta, di qualche ora la promulgazione dell’amnistia, già stampata da giorni nelle tipografie controllate dall’Imperial Regio Governo.
Silvio Pozzani Il 3 marzo 1853 veniva impiccato a Belfiore, a causa della sua attività cospirativa mazziniana.
Carlo Montanari
Uomo di scienza, benefattore, di nobili origini, Montanari si iscrisse alla Società Letteraria di Verona nel 1842, diventandone nel 1850 Conservatore. In quegli anni, nelle stanze della Letteraria, Carlo Montanari si incontrava con i protagonisti di una stagione culturale e politica tanto penosa per l'oppressione austriaca, quanto feconda per la vivacità degli ingegni: Aleardo Aleardi, Giulio Camuzzoni, Angelo Messedaglia, Gaetano Trezza, Cesare Betteloni, Pietro Maggi, Abramo Massalongo e altri ancora.

A Carlo Montanari è dedicata la Sala conferenze della Società Letteraria, dove fu scoperto nel centenario della morte, il 3 marzo 1953, un busto dedicato alla Sua memoria. In occasione del 150° anniversario del suo sacrificio, il prossimo venerdì 11 aprile, la Società Letteraria ospiterà un convegno commemorativo, al quale parteciperanno il prof. Maurizio Bertolotti, direttore dell'Istituto mantovano di storia contemporanea, con una relazione dedicata a Carlo Montanari e i martiri di Belfiore; Gian Paolo Marchi, docente di Letteratura italiana all'Università di Verona, che parlerà di Carlo Montanari e la vita intellettuale a Verona nella prima metà dell'Ottocento; Silvio Pozzani, presidente della Associazione Mazziniana, che interverrà su Carlo Montanari e le organizzazioni mazziniane; e Gian Paolo Romagnani, docente di Storia del Risorgimento all'Università di Verona, che si soffermerà sul tema «Celebrare il Risorgimento a Verona».

nuvolarossa
03-03-03, 19:59
http://www.bresciaoggi.it/img/marchi.gif
----------------------------------------------
Nel 150mo anniversario dei Martiri di Belfiore
l'Associazione Mazziniana Italiana sezione di Brescia insieme all’assessorato alla Cultura del Comune di Brescia ricorderanno oggi il significato e il sacrificio di coloro che lottarono per l'Unità d'Italia con una conferenza che si terrà alle ore 17 nel salone Vanvitelliano di palazzo Loggia. La conversazione sul tema «La generazione del Risorgimento» (preceduta in mattinata, alle ore 11 dalla posa di una corona al monumento di Tito Speri) sarà tenuta dal prof. Roberto Balzani dell'Università di Bologna, dopo l’introduzione del sindaco Paolo Corsini. Porterà un saluto il prof. Amedeo Biglione di Viarigi, presidente del Comitato di Brescia dell'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. Durante l’appuntamento al Vanvitelliano Alfonso Rodella dell'Associazione Mazziniana di Brescia (libero sodalizio di cultura, di educazione e di propaganda, indipendente dai partiti, che riafferma l'unità e l'indipendenza della Repubblica Italiana) presenterà il volume ristampato in anastatica sulle attività del Comitato Segreto Insurrezionale Bresciano nel 1850 - 51. f.s.

nuvolarossa
12-03-03, 19:25
http://www.bresciaoggi.it/img/marchi.gif
---------------------------------------------------------------
Ricorre oggi quello che gli storici considerano il giorno d’inizio della fase preparatoria dell’insurrezione popolare

Le dieci giornate, 154 anni fa i «primi fuochi»

Riunioni segrete e contatti con il Piemonte. Le figure chiave di don Pietro Boifava e Tito Speri

Il 12 marzo del 1849 è considerata dagli storici bresciani la data d’inizio della fase preparatoria delle X Giornate, il cui effettivo scoppio avvenne undici giorni dopo e cioè il 23 marzo a mezzogiorno in punto. È la data, nel corso della quale, i comitati insurrezionali esistenti in città incominciarono a «scaldare i motori» con l’intensificazione di riunioni segrete, accordi fra futuri capi militari dell’insurrezione, presa di contatto con gli emissari provenienti dal Piemonte, insomma tutti quei dispositivi che dovevano essere preventivamente attivati allo scoppio delle ostilità contro il presidio militare austriaco della città. Non a caso la data del 12 marzo coincise con la rottura piemontese dell’armistizio Salasco, siglato nell’estate dell’anno precedente dal capo di stato maggiore dell’esercito sardo per contro di re Carlo Alberto. Dopo oltre sei mesi di armistizio, il sovrano sabaudo riprese la guerra contro l’Austria, mentre alle spalle del poderoso esercito asburgico comandato dal feld - maresciallo Radetsky, numerose città dovevano sollevarsi e, prima fra tutte Brescia. In questi mesi di stallo fra la nostra città e Torino si svolse un intenso lavoro di messi in partenza e in arrivo, sempre segretamente, in quanto dovevano eludere l’onnipresente polizia austriaca che, ovviamente, temeva una insurrezione alla ripresa delle ostilità fra le proprie truppe e quelle piemontesi. In città i comitati insurrezionali che contavano erano due: quello filopiemontese e quello repubblicano mazziniano. Il 15 marzo per unirsi sotto il comando del feld - maresciallo Radetsky, il 3° corpo d’armata del generale Appel di stanza in città, lasciò Brescia per dirigersi nella zona di confine fra il Regno del Lombardo-Veneto e quello del Regno di Sardegna è cioè nei pressi del Ticino. A Brescia rimasero poche centinaia di soldati che, dal Castello, controllavano la città.
Nei giorni fra il 16 e il 19 marzo, le bande di insorti comandate dal curato di Serle don Pietro Boifava si sistemavano sui Ronchi, pronti per appoggiare gli insorti al comando di Tito Speri, il cui campo d’azione era costituito dalla zona di Porta Venezia, punto nel quale sarebbero arrivate dalla Fortezza del Quadrilatero truppe austriache a sostegno della guarnigione del Castello. Il 19 marzo, Bartolomeo Gualla, medico e patriota, capo del comitato insurrezionale filopiemontese, ricevette da re Carlo Alberto la nomina a dittatore pro-tempore della città. Infatti la città avrebbe, secondo gli ordini prestabiliti a Torino, dovuto insorgere il 19 o il 20 marzo. Questo non si verificò in quanto il Gualla, uomo prudente e riflessivo, prima di dare l’ordine della sollevazione prese tempo per informarsi sull’andamento della guerra, in fase attiva da pochissimi giorni. Egli contava molto sull’arrivo a Brescia della brigata piemontese del generale Solaroli, appositamente preparata e destinata ad accorrere in aiuto a Brescia, subito dopo lo scoppio dell’insurrezione. Questo breve, ma indispensabile lasso di tempi per riflettere fu fatale al Gualla, in quanto il comitato insurrezionale repubblicano mazziniano che faceva capo al Contratti e Cassola ne approfittò e i due si autoproclamarono duunviari, e gestirono praticamente e politicamente l’insurrezione, esauterando il Gualla. Nel frattempo in Loggia veniva a furor di popolo obbligato a dimettersi dalla carica di sindaco lo Zambelli austriacante e al suo posto venne nominato il moderato Saleri. Il giro di valzer dei sindaci non terminò con questa sostituzione in quanto, tre giorni dopo, anche il Saleri si dimise. Il posto di primo cittadino venne ricoperto da Gerolamo Sangervasio, uomo prudente e lungimirante. Prevedendo un prossimo bagno di sangue, egli si prodigò, ma inutilmente, di frenare gli ardori combattivi dei due duunviri che avevano preso in pugno la situazione e incitavano la popolazione alla sollevazione. A causa di questo clima rovente, vista l’inutilità di qualsiasi tipo di mediazione, il 21 e 22 marzo lasciarono la città funzionari amministrativi e molti nobili bresciani che preferirono rifugiarsi nelle loro ville in campagna. Venne così a mancare quella classe dirigente che per status sociale e per tradizione avrebbe potuto gestire al meglio i tantissimi rapporti fra popolazione ed occupanti austriaci. Il 23 marzo ebbero così inizio le eroiche X Giornate.

Sandro Albertini

nuvolarossa
16-03-03, 14:32
http://ilrestodelcarlino.quotidiano.net/imgtestata/titolo_carlino2.gif
-------------------------------------------------------------------
Nuova lapide dove caddero i martiri del Risorgimento

FERRARA - A differenza di quest'anno, quei primi 15 giorni di marzo del 1853 furono terribilmente piovosi. Così, all'echeggiare degli spari fatali per Giacomo Succi, Domenico Malaguti e Luigi Parmeggiani, il cielo plumbeo parve ancora più scuro, forse anche a causa della rabbia e dell'incredulità che avvolsero la città. L'esecuzione dei tre mazziniani che furono fucilati sulle Mura dagli austriaci alle 7 del mattino del 16 marzo lasciò infatti un segno tale che ancor oggi, a 150 anni di distanza, l'episodio viene ricordato e commemorato.
Così è stato ieri, con la conferenza tenuta all'Arengo da Luigi Davide Succi che ha parlato (presente anche un gruppo di studenti del liceo Ariosto) di «Succi, Malaguti e Parmeggiani fra storia e passione politica». Al tavolo dei relatori (da sinistra nella foto) il neo assessore Aldo Modonesi, il direttore del Museo del Risorgimento e della Resistenza (sorto nel 1903, in occasione del cinquantenario della fucilazione) Gian Paolo Borghi, lo stesso Mantovani e l'avvocato Ugo Veronesi.
La cerimonia è quindi proseguita con la deposizione di una corona d'allora davanti alla lapide commemorativa di piazza Trento Trieste e la scopertura di una nuova lapide sul monumento ai tre martiri sorto sul luogo della fucilazione, sulle Mura di viale IV Novembre.
Oggi, infine, giorno della ricorrenza, verranno deposti fiori sulle tombe alla Certosa del possidente Giacomo Succi, del giovane medico Domenico Malaguti e dell'oste Luigi Parmeggiani che persero la vita, come detto, per mano austriaca ma perchè accusati, ha ricordato Mantovani, di delitti contro lo Stato pontificio.

nuvolarossa
07-04-03, 13:40
Il sacrificio di Oberdan

Trieste In occasione delle “Celebrazioni del 120° anniversario della morte di Guglielo Oberdan” (20 dicembre 1882 - 20 dicembre 2002) l’AMI di Trieste ha organizzato presso l’aula magna del liceo "Dante Alighieri" un convegno di studi col seguente programma: Prolusione del prof. avv. Ezio Volli (Pres. Onorario Ass. Mazziniana Italiana Sezione di Trieste); prof. Maddalena Guiotto, (Ist. Storico Italia Germania di Trento) "Guglielmo Oberdan tra Italia ed Austria"; dott. Diego Redivo (Lega Nazionale – Trieste), "Guglielmo Oberdan alle origini del mito irredentista"; prof. Alberto Brambilla (Università di Padova) "Guglielmo Oberdan: suggestioni e finzioni letterarie". Ha coordinato i lavori il prof. Fulvio Salimbeni (Università di Udine).
----------------------

tratto da il
Pensiero Mazziniano
http://www.domusmazziniana.it/ami/r1.gifhttp://www.domusmazziniana.it/ami/r2.gif (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
07-04-03, 13:42
I martiri di Belfiore : 3 marzo 1853 - 3 marzo 2003

BRESCIA - Nel 150° anniversario del sacrificio dei martiri di Belfiore la locale sezione dell’AMI, e il Comune di Brescia nel pomeriggio di lunedì 3 marzo 2003 hanno organizzato un incontro al Palazzo Loggia. Alla manifestazione sono intervenuti:
il prof. Paolo Corsini, dell’Università di Parma, sindaco di Brescia, con una relazione introduttiva;
il prof. Roberto Balzani dell’Università di Bologna e vice presidente nazionale dell’AMI, sul tema “La generazione del Risorgimento”;
il prof. Amedeo Biglione Di Viarigi, Presidente del Comitato bresciano dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano;
il dr. Alfonso Rodella dell’A.M.I. di Brescia ha presentato il volume ristampato in anastatica sulle
attività del Comitato Segreto Insurrezionale Bresciano nel 1850 – 51.
-------------------------

tratto da il
Pensiero Mazziniano
http://www.domusmazziniana.it/ami/r1.gifhttp://www.domusmazziniana.it/ami/r2.gif (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
18-05-03, 12:47
http://www.bresciaoggi.it/img/marchi.gif
Dagli archivi spunta una storia

Provezze celebra Luigi Castelli uno degli eroi delle Dieci giornate

PROVEZZE (Brescia) - Provezze può annoverare un eroe del Risorgimento. È Luigi Castelli, che abitava in via Fabio Filzi. A farne riscoprire la storia è il provagliese Alfonso Rodella, un appassionato che ha «spulciato» in vari archivi e ha ricostruito la vita e le gesta di Castelli, che a Provaglio non tutti conoscono. «Luigi Castelli - spiega Alfonso Rodella - deve essere padre di Alessandro che, secondo un pronipote, fu garibaldino. Luigi appartiene al filone carbonaro-mazziniano. Per capire la sua posizione basta conoscere la partecipazione alle 10 giornate di Brescia, il cui Comitato di pubblica difesa era presieduto da Cassola e Contratti, due mazziniani che avevano preso in mano la situazione a scapito degli "albertisti", i monarchici seguaci di Carlo Alberto. Di Luigi Castelli possiamo narrare attingendo dalle testimonianze messe per scritto da un altro combattente delle l0 giornate, Lucio Fiorentini, il quale fu compagno di studi di Tito Speri e, quindi, a conoscenza diretta dei fatti. In una di queste pagine, quella che si riferisce al 23 marzo 1849, la prima delle 10 giornate Fiorentini narra che una compagnia di 80 animosi giovanotti di Gussago predisposti dal Comitato, tutti armati di fucili, comandata dall’ingegner Paolo Moretti, di Gussago col nipote Antonio Chinelli e da Luigi Castelli di Provezze, marciava alla volta di Brescia».
«Gli austriaci, di guardia alla Porta San Giovanni, che sta a Ovest della città, vista a poca distanza quella compagnia di rivoltosi che avanzava, abbandonavano il loro posto, ritirandosi precipitosamente alla volta del Castello».
«Entrata la compagnia trionfalmente in città, le furono assegnate, quale provvisoria caserma, le ampie antisale del Teatro Grande e più tardi quella forza fu distribuita a guardia degli accessi della città, e quello di Torre Lunga, il più importante, fu affidato al loro capo, il Castelli».
Lo scritto di Lucio Fiorentini narra della giornata del 31 marzo, quella dell’arrivo di Haynau, detto la Jena. «L’altro punto sul quale necessariamente per ragioni tattiche, doveva concentrarsi l’azione dell’Haynau -scrive Fiorentini - , era la porta di Torrelunga. Obbligati i difensori dal preponderare delle forze nemiche ad appostarsi più addietro, avendo dovuto abbandonare i primi ripari, vi si tenevano così fermi e pugnaci, che sopraggiunto un capitano Filippini, vecchio veterano napoleonico, diceva, piangendo di commozione al Castelli: non ho mai veduto soldati battersi con tanta energia come i bresciani».
Luigi Castelli fu un eroe? «Fu sicuramente un cittadino meritevole - sottolinea Alfonso Rodella - perchè ha messo se stesso a disposizione della Comunità se stesso. La mia ricerca non ha pretese di lavoro storico. Delle 10 giornate si potrebbe disquisire a lungo e con cognizione di causa. Per valutare la causa e la misura degli eventi in cui si misurò Luigi Castelli basti ricordare che in 10 giorni, in una città di neppure 35 mila abitanti morirono più di 1000 bresciani e più di 2000 austriaci, secondo la relazione fatta da Haynau al maresciallo Radetsky . La lotta fu così cruenta che alcuni cadaveri vennero trovati dopo 20 anni. Il bel Castello di Brescia fu testimone allora di una furia bestiale perché ogni bresciano che vi era condotto finiva fucilato o impiccato sugli spalti. Luigi Castelli, da Provezze fu con gli altri cittadini bresciani disposto a questi rischi per testimoniare e difendere i principi in cui credeva».

Fausto Scolari

nuvolarossa
28-06-03, 10:40
Gian Ruggero Manzoni, Il morbo, Reggio Emilia, Diabasis, 2002, pp. 172, euro 14,00

Solo un rapido cenno, per ora, al bel romanzo di Manzoni, discendente di Giacomo Maria Manzoni, chiamato da Mazzini e Saffi al difficile compito di Ministro del Tesoro della Repubblica Romana del 1849. Il libro racconta la storia di Luigi Compagnoni, rivoluzionario mazziniano, venduto come schiavo dalla Santa Sede all’imperatore del Brasile, dopo la fine dei moti risorgimentali del 1831. Una narrazione affidata a un giovane frate, a guisa di messaggio depositato dentro una bottiglia da lanciare nell’oceano. "Un flusso orgoglioso di coscienza, di vita, di libertà; due coscienze che si scontrano e si incontrano fino al riconoscimento reciproco".
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI211.gif (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
16-01-04, 12:22
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


Ferdinado Martini autore del primo articolo sulla morte di Mazzini

Un documento raro

Ferdinando Martini (Firenze, 1841 – Monsummano, 1928), allora insegnante presso la Scuola Normale di Pisa, pubblicò il primo articolo (11 marzo 1872) sulla morte di Giuseppe Mazzini sul “Fanfullo” e fu tradotto e diffuso in Europa e in America. È un documento di estremo interesse, perché il giovane letterato toscano visitò la salma dell’esule e divulgò la notizia corredata di importanti particolari.
Poi, a distanza di anni, scrisse La mia carriera d’insegnante che fu raccolto nel volume Confessioni e ricordi 1859-1892, dove narra ciò che avvenne alla Scuola Normale di Pisa avuta la notizia della morte dell’Apostolo. Sono pagine rilevanti per la notevole scioltezza stilistica, utili ancora oggi a chi è interessato al culto mazziniano.
Martini fu letterato, commediografo e uomo politico. Fu ministro della Pubblica Istruzione (1892-1893), governatore dell’Eritrea (1897-1900), ministro delle Colonie (1915-1916) e senatore dal 1923. Fondò e diresse con fine senso critico “Il Fanfulla della Domenica” (1879) e la “Domenica letteraria” alla quale collaborarono i migliori scrittori di quel tempo. Fu autore di commedie di successo, i cosiddetti “proverbi drammatici”: Chi sa il gioco non l’insegni, La strada più corta, Il peggior passo è quello dell’uscio.
Si occupò diffusamente di critica drammatica (interessante è la raccolta di saggi Al teatro). Al “Fanfulla” collaborò con il pseudonimo “Fantasio” (ricorda Mazzini nel Lorenzo Benoni di Giovanni Ruffini). Raccolse i suoi scritti letterari nel volume Tra un sigaro e l’altro e Simpatie. Curò le Memorie e l’Epistolario di Giuseppe Giusti. Lasciò volumi di ricordi autobiografici: Confessioni e ricordi, nell’Affrica italiana e libri di novelle e racconti.
Animò il giornalismo letterario del tempo e lo divulgò; diede vita al “Giornale dei bambini” (1880), dove a puntate uscì il Pinocchio di Collodi.
I suoi libri di memorialistica sono una delle più belle autobiografie della nostra letteratura e preziosi anche sul piano linguistico. Alla Scuola Normale di Pisa parlò alle scolaresche per un’ora e mezzo di Mazzini a quegli alunni che manifestavano per la morte dell’Esule, poi, a venti ore dalla morte di Mazzini scrisse quell’articolo che, per essere stato il primo a parlare dell’Apostolo, ebbe un enorme successo.
Martini sentì la grandezza di Mazzini e la sottolineò con la lezione e con i tre articoli che mandò al “Fanfulla”. La sua lezione e i suoi articoli furono censurati dall’autorità scolastica e dovette così concludere la sua carriera di insegnante.

Emilio Costa
tratto dal sito web del
PENSIERO MAZZINIANO (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
16-01-04, 12:25
Le memorie di Ferdinando Martini

La mia carriera d’insegnante da Confessioni e ricordi 1859-1892, Milano, Treves, 1928, pp 63-76.

Una delle finestre della Scuola normale di Pisa, a Sant’Antonio, dava verso un orticello nel quale avevo visto più volte, in mattine assolate, passeggiare lentamente un vecchietto di mediocre statura. Fortuna volle che una sera dell’inverno 1872 uscissi dalla scuola, dove nel pomeriggio non avevo occasione di andar quasi mai, mentre passava per quella strada accompagnato da un servo il vecchietto medesimo. Non lo conoscevo, e per conseguenza era non pisano: ché a Pisa, dopo un paio di mesi di soggiorno, la gente della propria condizione si conosce tutta, ed io ci stavo da un anno ormai…
Nonostante la cera malaticcia, il viso macilento e non bello, c’era nella bella fisionomia di quell’uomo tanto di pensosa gravità malinconica, che mi fece impressione; e, improvvisati fra me e me i rudimenti di una biografia, dedussi che quegli era certamente un forestiere o francese o inglese; forse uno scienziato venuto a Pisa per salute. Voltò in via della Maddalena, ed entrò nella casa di n.° 38. Chi stava in quella casa? Non lo sapevo, e lì per lì incuriosito, mi proposi di informarmene: ma, come sempre avviene di cosiffatti proponimenti subitanei, trascorso quel momento, non me ne detti più cura.
Qualche settimana dopo, nel ripassare per la stessa strada, m’imbattei nel medico Rossini che stava appunto uscendo da quella casa.
- Oh! giusto lei, dottore: chi ci sta al n° 38?
- I signori Rosselli.
- Ci vidi tempo fa entrare un signore smunto, bassotto; deve essere un forestiere.
- È il mio malato. Lo lascio ora: il signor Brown.
- Ah! un inglese! Ci ho indovinato.
- Eh! no. Anch’io dal cognome credei così da principio: ma poi, praticandolo, - come può essere inglese – pensai se parla l’italiano meglio di me?...Difatti, accortosi della mia incredulità, fu lui a dirmi senza che io mi permettessi di domandarglielo, che abita da quarant’anni in Inghilterra, ma è italiano, di Genova.
- Lo avevo preso per un inglese e per uno scienziato.
- No, no: è un negoziante, ma ne sa più di molti scienziati; e quando comincia a parlare, si starebbe tutta la giornata a sentirlo.
- E che male ha?
- Ha sofferto nei giorni scorsi di uno spasmo esofageo, doloroso, di cui è quasi guarito; ma ha avuto in Svizzera, nel dicembre ultimo, una bronchite capillare ed è giù di forze: a po’ per volta le ripiglierà, spero: non so che cosa darei per vederlo presto rimesso, perché è proprio una brava e simpatica persona.
E parlammo d’altro.
Una mattina del marzo successivo me ne stavo tranquillamente a casa in piazza San Nicola, leggendo una prosa del Giordani (i menomi particolari di fatti solenni si conglutinano alla mente e non se ne distaccano più), quando un facchino trafelato mi recapitò un biglietto del direttore della scuola, il buon Ulisse Tacchi; conteneva queste sole parole: “C’è bisogno di te: vieni senza perdere un minuto”. Non lo perdei, scesi, traghettai l’Arno nella barca del navalestro (il nuovo ponte non era ancora costruito e si usava a quel modo per abbreviare il cammino) e in due salti fui a Sant’Antonio.
Mi avvidi subito al brusìo che si trattava di cosa seria. Gli alunni, disertate le aule, s’erano radunati nel cortile, per gruppi: e in quel gruppo si mormorava, in questo si vociava, in tutti si gesticolava. Nell’ipotesi che avessero commesso qualche molto riprovevole atto d’indisciplina, non mi fermai a interrogarli, e salite in fretta le scale, trovai i colleghi nella maggiore delle costernazioni.
- Che cos’è stato?
- Come? non lo sai?
- Io? Non so nulla.
- È morto Mazzini.
- Dove? Quando?
- Poche ore fa, a due passi di qui, in casa Rosselli in via della Maddalena.
- Ah! – gridai battendomi la mano sulla fronte – che mi dite?
I colleghi verisimilmente crederono io manifestassi così il mio dolore; ma, per essere sinceri, codesta mimica della quale l’uomo si serve il più spesso per dare a se medesimo dell’imbecille, mantenne quella volta il suo usuale significato. Un genovese che si chiamava Brown, vissuto quarant’anni in Inghilterra, accolto in casa de’ Rosselli, stretti parenti dei Nathan, che ne sapeva più d’uno scienziato, e si stava a sentire per incanto, come non avevo capito alla prima che non poteva essere altri che Mazzini? – Non ci fu bensì tempo a spiegarsi; sicché, diviso mentalmente col dottor Rossini l’epiteto del quale una parte spettava anche a lui, ascoltai i colleghi che tutti mi s’erano fatti d’attorno.
Ho detto che erano costernati; non vorrei che i lettori s’ingannassero sul conto loro, com’essi s’ingannarono verosimilmente sul conto mio. Ottimi cittadini, la morte del gran ligure li addolorava; ma la cagione dell’abbattimento era un’altra. Gli studenti universitarii, piantati in asso i professori e battagliando contro guardie e delegati, erano riusciti a chiudere in segno di lutto le porte della Sapienza; i nostri alunni chiedevano nella Scuola normale si facesse altrettanto.
Tutto sarebbe andato per le lisce, se il Direttore avesse potuto accomodare le cose da sé; era disposto a concedere, ma non osò e domandò istruzioni al Prefetto; il quale, stizzito per lo scacco sofferto da’suoi agenti all’Università, intimò, secco, che gli insegnanti facessero il loro dovere e tenessero a dovere gli alunni. Presto detto: ma perché i predicozzi non avevano prodotto fin allora effetto veruno e sarebbe stato peggio che vano il replicarli, il Direttore pregò mandassero un delegato, qualche guardia almeno per mostra, a passeggiare su e giù innanzi al cortile; forse in presenza dei questurini qualcosa si sarebbe ottenuto: forse: a ogni modo, provare. Il Prefetto, più stizzito che mai, rispose meravigliando si dovesse ricorrere ai delegati e alle guardie, che in quel giorno avevano altro da fare, per tenere a freno quattro ragazzi.
Ma gli alunni non erano né ragazzi né quattro: oltre settanta, e i più giovanotti dai sedici in là; i quali, appena capito che guardie non ne verrebbero, o fingessero o dicessero per davvero, minacciarono, ove non si appagasse il loro desiderio, di fare addirittura subbuglio. […]
E si tenne consiglio per tentare, se vi fosse, una via di accomodamento. […]
Misi innanzi io una proposta. Que’ giovanotti, in sostanza, si preparavano a far baccano per onorare la memoria di Mazzini. E che ne sapevano del Mazzini? La maggior parte quel tanto che ne lessero di quando in quando ne’giornali. Dico la maggior parte perché uno o due, andati più a fondo, s’erano fin d’allora fatta legge e norma delle sue dottrine e le professano da vecchi tuttora. Ma del Mazzini letterato, de’ suoi saggi su Dante, sul Goethe, su Carlo Bini, su Zaccaria Werner, quanto avevano letto? Nulla. Persuadiamoli, conchiusi, che il miglior modo di onorare la memoria del Genovese è l’imparare a conoscerlo pienamente: riuniamo le classi, parlerò loro degli Scritti d’un italiano vivente. Que’ volumi la piccola biblioteca della scuola non li possiede: non importa: li so, sto per dire, a memoria. […]
Ora al Mazzini si erigono monumenti a spese dello Stato e per desiderio del Re; ma sessant’anni fa! In que’ crocchi di rado il suo nome si pronunziava, se non preceduto da un aggettivo ingiurioso o seguito da un improperio; e a furia di udir ripetere quei giudizi oltraggiosamente sintetici, forse non avrei serbata serenità di giudizio intorno a lui e agli atti suoi, se non lo avessi amato fin da ragazzo, appunto in grazia di quegli Scritti d’un italiano vivente che, stampati a Lugano nel 1847, Enrico Nencioni, guida amorevole a’ miei nuovi studi, mi regalò molti anni dopo, e dopo avermeli fatti assaporare in alcune delle nostre peripatetiche conversazioni: tre volumi dai quali imparai parecchie cose, e questa sopra ogni altra utilissima: che a scuola m’avevano insegnate parecchie castronerie. […]
Intanto nel cortile il baccano s’era fatto più confuso e più alto. Alcuni d’altre scuole erano venuti ad accrescere lo scompiglio: le nostre irresolutezze invogliavano a perturbazioni maggiori. Ripetei la proposta…
- Sì… ma… Mazzini… Che dirà il Prefetto!
- Nulla – soggiunsi. – Se non è riuscito a lui con tutti i suoi delegati e le sue guardie di piegare alla propria volontà gli studenti, non potrà rimproverare a noi di avere, senza né guardie né delegati, ricondotto nella scuola l’ordine e la tranquillità.
E senza attendere obiezioni o sollecitare consensi, riunii nella più ampia aula dell’Istituto tutte le classi: parlai loro per un’ora e mezza del Mazzini letterato; la lezione finì tra gli applausi.
Li avevo meritati.
Ero stato tutto quel tempo sui carboni ardenti; e con l’inchiodarmi sulla cattedra per sei quarti d’ora avevo fatto il maggiore de’ sacrifici al mio dovere d’insegnante. Pensate: da un anno scrivevo nel Fanfulla: a que’ giorni non usava spedire articoli per telegrafo; i reporters e i telefoni di là da venire; a Pisa né quello, né altri fogli della capitale avevano corrispondenti; la salma del Mazzini era lì a due passi, potevo essere io il primo a raccogliere e mandare ragguagli che il pubblico indubbiamente attendeva con ansietà, e il tempo fuggiva… Fuggii anch’io.
Volai in casa Rosselli; ordine era dato che non si lasciasse passare nessuno, sino a che non giungessero il Bertani ed il Mario; né parvero da principio propensi a revocarlo, specie per un giornale di salda fede monarchica, e però avverso alle dottrine mazziniane; ma tanto pregai, tanto insistei che potei entrare nella camera e inginocchiarmi presso al letto ove il gran morto giaceva.
Qui, chi volesse e sapesse, potrebbe incastrare una bella e commossa pagina di prosa, ché innanzi al cadavere del Mazzini c’era veramente da commuoversi; tanto più mirando le lacrime che scendevano dagli occhi spenti di Enrico Mayer venuto a dar l’ultimo bacio all’amico, al compagno ne’ pericoli di sfortunate sante congiure; ma io dovrei lavorar di maniera e mentire: la commozione la provai anch’io, sì, ma più tardi ripensando all’altezza di quell’animo e di quell’intelletto, la perseveranza intrepida di quella fede
meravigliosa ad ogni cor sicuro;
lì per lì, in quella camera ove non m’era lecito rimanere che pochi minuti, sia pur detto a mia vergogna, io pensai principalmente all’articolo: a notare, cioè, la coperta di lana a quadrellini bianchi e neri, donata a Mazzini da Sara Nathan e che gli stava ora distesa sul letto; e la camicia di tela a righe sottili alternativamente bianche e violette che coprì il petto affannoso del moribondo, e su cui aveva appuntato un nastro tricolore quella stessa mano femminile che depose sul guanciale una fronda d’alloro.
E dalla casa Rosselli in un attimo alla prossima casa dove il Mazzini aveva precedentemente abitato. Seppi là che le signore Cassoli le quali lo ospitavano, per certi discorsi e certe vigilanze della polizia, ebbero qualche sospetto che colui il quale si dava per Brown, negoziante israelita, fosse invece tutt’altri: e glielo dissero. – Mazzini? – rispose sorridendo: - Dio volesse! Chi sa dov’è a quest’ora, certamente non tormentato come me dalla tosse.
Così l’articolo buttato giù rapidamente e perciò scritto alla peggio, spedito quel giorno medesimo, fu primo a fornire gli aspettati ragguagli; e perché fu primo, anche ristampato in moltissimi giornali e d’Europa e d’America.
Avevo parlato nel Fanfulla del Mazzini con ammirata venerazione: mi stavano traducendo in svedese e in rumeno, potevo esser contento. Ahimè! vennero a turbare gli intimi compiacimenti una chiamata e i riboboleschi rimproveri del Provveditore.
- S’accomodi, risponda e non pretenda di farmi vedere la luna nel pozzo, perché so tutto. Lei prese parte al consiglio dei professori il giorno della morte di Mazzini: lei conosceva gli ordini e fu lei a proporre che si trasgredissero…
- Ma non c’era modo di eseguirli…
- Sicché lei è innocente come l’acqua fresca?
- No. Ho anch’io la mia brava parte di responsabilità e metta pure la maggiore; ma che cosa c’era da fare? Gli alunni non ci davano retta e non potevamo prenderli per il collo… E se mai non tocca a noi…
- Ecco fatto: oh! non c’è pericolo che la parola le muoia in bocca: ma ha da sapere che quando il suo diavolo nacque, il mio andava a scuola…
- Ma scusi…
- L’elogio di Mazzini!... Una bella trovata. Senta, lei vuol far di testa sua, e io non posso lasciarla fare. L’ho già avvertita altre volte, ma è stato come dare l’incenso ai morti. Ora il Ministero vorrà sapere… e s’io scrivo come sono andate le cose per filo e per segno, lei non ci guadagnerà. S’è anche messo a scrivere nel Fanfulla, e ogni tanto punzecchia… Io glielo dico per suo bene. Si ricordi che tanto va la gatta al lardo…
- Che ci lascia lo zampino… Faccia conto che ce lo lasci fin d’ora.
- E così la fine d’un proverbio segnò la fine della mia carriera di pubblico insegnante […]
tratto dal sito web del
PENSIERO MAZZINIANO (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
16-01-04, 12:35
Il primo articolo sulla morte di Mazzini

Dal “Fanfulla”

Pisa, 11 marzo.

Giuseppe Mazzini è morto ieri alle due pomeridiane!... È morto in una casa posta nella via della Maddalena, presso il sig. Rosselli, col quale era legato per vincoli di recente parentela e di antica amicizia.
È singolare! Questa vita così piena di operosità e di vicende, di clamori, di lotte, s’è spenta in una delle quiete città dell’Italia, e nella via più deserta della città!...
Non è il momento di fare considerazioni: né la serenità di giudizi potrebbe oggi essere consentita, sopra una tomba tanto recente.
Il momento verrà, ma occorreranno lunghi anni prima che la figura del Mazzini, che campeggia così largamente nel quadro del secolo nostro, possa essere ricostruita con amore non fanatico, con severità non irosa. Tutto il periodo della preparazione politica, tutto il periodo del rinnovamento letterario si personificano in questo nome – Mazzini. – Gli uomini d’oggi vivono troppo delle loro passioni, e non sapranno lasciarle, per giudicare di pensieri e di fatti che ebbero la loro importanza nel passato.
Giuseppe Mazzini era a Pisa sin dal novembre passato sotto il nome di Giorgio Rosselli-Brown. Gli amici, i parenti del vecchio cospiratore avevano serbato fedelmente il segreto e nessuno – tranne l’autorità trapelava la sua dimora qui, dove egli era venuto per cercare ristoro nel mite clima alla salute affranta dagli studi, dalle fatiche, dalle delusioni; da quaranta anni insomma di indefessa, , per motivi di lavoro, febbrile operosità.
Viveva in una casetta in via della Maddalena al n. 38, aveva poche stanze e modeste; non riceveva nessuno; passava le sue giornate leggendo, scrivendo, e fumando continuamente. La sera, sulle prime ore, usciva per andare a pranzo dai Rosselli che abitavano alla distanza di circa trecento metri da casa sua.
Nel febbraio si ammalò di uno spaventoso spasmo esofageo che durò cinque giorni; fin da allora il medico Rossini che lo curava dubitò che questi restringimenti bronchiali fossero da accagionarsi alle condizioni polmonari.
Guarito da questo malore non abbandonò più i Rosselli, e continuò la sua vita, fatta men solitaria, ma sempre spesa intera in un assiduo lavoro.
Di quando in quando vedeva il medico. – Una volta che questi, credendolo inglese, si meravigliò com’egli parlasse così bene l’italiano, Mazzini battendogli sulla spalla: - Ma sono italiano io… sono ligure… solamente… ahimè! ho vissuto per quarant’anni in Inghilterra.
La sera del 6, dopo pranzo, si sentì oppresso il respiro, e volle coricarsi; ma il male non gli pareva tale da dover mandare pel medico. Questi che lo vide la mattina dipoi lo trovò malato di una congestione polmonare a destra; e lo stato dell’infermo gli parve così grave che desiderò un consulto. Fu chiamato difatti il professore Minati dell’Università. I medici si parlarono – e da quel momento videro il caso disperatissimo.
Il 9 la sera il malato divenne afonico e cominciò a manifestarsi una leggiera esaltazione mentale. Abituato com’era a fumar sempre, gli pareva di fumare e faceva il gesto di chi si pone o si toglie il sigaro dalla bocca. L’esaltazione fu breve, e per tutto il giorno 10 – che fu l’ultimo suo – mantenne, insieme con una quiete inalterata, la pienezza delle facoltà intellettuali e la precisa conoscenza delle sue condizioni.
Alle due meno pochi minuti chiese di parlare al medico che si trovava nella stanza accanto.
Gli stese la mano, fece per parlare… ricadde piegando la testa dalla parte del cuore… era morto!
È morto in una camera al 2.° piano che dà verso il mezzo giorno sopra un giardino piccolo, che ha poche pianticelle, brulle, tisicucce. Steso sul letto di morte, e coperto da una camicia di tela a righe sottili alternativamente bianche e lilla, conserva sul volto cereo le tracce della calma rassegnazione che non lo ha mai abbandonato ne’ giorni che precedettero quello della sua morte. Quasi non sembra morto: pare un profondo pensatore, che si sia addormentato, dopo le soverchie fatiche dell’intelletto.
Stamani, quando ancora la notizia non s’era diffusa per la città, son giunti qui il Corte, il Bertani, il Campanella, il Saffi, il Quadrio. Io ho visto varcare la soglia della casetta il venerando Enrico Mayer, che andava piangendo a dare il bacio dell’addio all’amico della lontana gioventù!

Il Sindaco di Genova ha poi spedito questo telegramma al Sindaco di Pisa:
Prego far mettere in cassa metallica salma Giuseppe Mazzini e farla tenere disposta per trasportarla qui.
Podestà

Difatti Mazzini aveva manifestato il desiderio di esser accompagnato dal popolo sì, ma senza ombra di pompa, e di venir sepolto a Genova, sua città natale, presso la tomba ove riposano le ossa della madre di lui.
Il professor Gorini, qui giunto, imbalsamerà il corpo, che domani, a quello che dicono, sarà portato a Genova per la via della Spezia
Gli amici di Mazzini convenuti qui, hanno, mi affermano, espresso il desiderio che queste cerimonie funebri non sieno sterile manifestazione di un partito, ma largo tributo di onoranze che tutti possono rendere al più antico propugnatore della nostra unità.
Se è vero, e lo credo facilmente, gli amici di Mazzini onoreranno la memoria di lui con animo di patrioti; Mazzini fu sin qui diversamente giudicato; e sarà forse più presto giudicato che inteso; ma e gli amici e gli avversari di lui debbono parimente ricordare che Giuseppe Mazzini fu un grande intelletto, un uomo che dedicò ogni suo pensiero all’Italia, consacrandole le parole, gli scritti, l’opera, la vita. Si potè discordare da lui negli intendimenti accessorii, nei mezzi prescelti; ma si ha da riconoscere e pregiare in lui quella tenacità di volere, quella fermezza di propositi, quella immutabilità di convincimenti che si chiamano con una sola parola: fede. Parola che rimane ancora nei vocabolari per accennare una cosa che non esiste più!

tratto da http://www.domusmazziniana.it/ami/

nuvolarossa
20-05-04, 00:40
http://www.nuvolarossa.org/modules/xgallery/cache/albums/01-Album-di-Enzo/2004_05_411.jpg
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA/ZUCCHEROSENZAUNADONNA.mid

nuvolarossa
30-11-04, 11:36
Sublime, improvviso come un vento notturno si alzò su Milano ...

Sublime, improvviso come un vento notturno si alzò su Milano il fuoco della rivoluzione. «E fu un brivido, un contagio furente. Il sogno di libertà, a lungo represso, spiccava finalmente il volo». La caduta di Metternich a Vienna, i moti di Venezia, le coccarde di Parigi. Accadde tutto nella notte tra il 17 e il 18 marzo 1848: «Chiamate i milanesi a raccolta fra San Babila e San Carlo», la parola d’ordine. Trascritto in fretta, al lume di una lampada, il proclama spronava alla battaglia: «Il destino d’Italia è nelle nostre mani: un giorno può decidere la sorte di un secolo. Offriamo pace, ma non temiamo la guerra». Cominciarono così le Cinque giornate che cambiarono Milano. E segue quel percorso anche il film-tv che Raiuno trasmetterà in due puntate, il 5 e il 6 dicembre, con Giancarlo Giannini nel ruolo di Carlo Cattaneo, e poi Fabrizio Gifuni, Chiara Conti, Daniela Poggi. L’occasione per ripercorrere un album di furori e speranze scritto 156 anni fa. Le baionette dell’esercito del maresciallo Radetzky, il fuoco dei fucili austriaci dal Castello Sforzesco, la campana della chiesa di San Damiano sul Naviglio, dove fu eretta la prima barricata.
Racconta Roberto Guerri, direttore delle Civiche Raccolte Storiche, di cui fa parte il Museo del Risorgimento di Palazzo Moriggia, in via Borgonuovo. «Era, quella, la Milano di un’aristocrazia diffusa che portava con sé una casta di servitori e artigiani. Cuochi, cocchieri, falegnami, facchini, panettieri, calzolai erano sempre di più. La vita della città stava nel centro storico. A Porta Vittoria già cominciava il contado. Tra le 300 vittime dei moti del ’48 c’è soprattutto quella gente, l’insurrezione è il racconto del loro coraggio. Milano era allora una città ricca di colori, intellettualmente raffinata, benché inquieta. Una città proiettata verso il futuro. Culturalmente avveduta. Era "la piccola Lipsia". Leopardi l’accostava a Parigi. L’Europa era molto vicina».
I giorni della battaglia. La presa di Porta Nuova e di piazza dei Mercanti, gli spari a Palazzo Reale, la cattura del vicegovernatore austriaco O’Donnel, i combattimenti a Porta Tosa, Porta Orientale, Porta Ticinese, Porta Comasina. L’armistizio respinto da Carlo Cattaneo, l’eroismo di Pasquale Sottocorno. «Nel ’48 - spiega Guerri - Milano pagava il 30 per cento delle imposte di tutto il Lombardo-Veneto: troppo. Le tasse stremavano le intraprese. Di qui le proteste, anche nei luoghi simbolo della città: alla Scala, per esempio. Ma anche le cospirazioni giù nelle cantine, le parole di libertà sussurrate a fior di labbra sotto i portoni, nei mercati e negli ospedali».
Fu la rivoluzione delle marsine e anche del popolo. «Per questo riuscì - spiegano gli storici -. L’ humus dei fermenti rivoluzionari veniva da Mazzini. La Giovane Italia aveva molti adepti e incendiava gli animi. Idealità e speranza. Fu così che le Cinque giornate divennero la prima risposta per l’unità nazionale e l’indipendenza». Le staffette dei Martinitt, le bandiere tricolori in piazza Sant’Alessandro, l’ultima barricata a Porta Romana, il quartier generale dei rivoltosi in via Bigli, gli scontri tra Cattaneo e Gabrio Casati, l’intelligenza di Enrico Cernuschi e Cesare Correnti. E, finalmente, la ritirata degli imperiali. «All’alba del 23 marzo Milano era libera».
Cinque, terribili giornate, durante le quali affiorò anche la civiltà dei milanesi. Quando fu catturato il conte Bolza, il più temuto aguzzino della polizia austriaca, Cattaneo disse agli insorti pieni di odio per il nemico: «Se lo uccidete farete una cosa giusta, se lo salvate farete una cosa santa». Non così gli austriaci, che si resero protagonisti di violenze nei confronti di donne e bambini. Il film-tv di Lizzani promette amore, patria e battaglie. Per Guerri «le fiction , la divulgazione storica sono sempre una buona cosa. Non importa se la correttezza della ricostruzione viene sacrificata alle esigenze del copione. Dico davvero. I ragazzi troppo spesso non conoscono le loro radici: e questo non è un buon auspicio per il futuro. Che si provi a riparare attraverso la televisione non è un male, anzi».

Paolo Baldini

nuvolarossa
05-12-04, 11:54
fiction Stasera e domani su Raiuno il film tv interpretato da Giancarlo Giannini nei panni di un contestato Cattaneo Gifuni: «Le cinque giornate? Storia di tutti» L'attore difende il regista Lizzani dalle critiche leghiste: «L'italiano al posto del milanese serve per farsi capire»

Italiani popolo di santi ed eroi? Sembrerebbe proprio così almeno a giudicare dalle fiction proposte dalle maggiori reti nazionali. Dopo il Don Gnocchi di Canale 5, ora l'ammiraglia Rai risponde con Le cinque giornate di Milano, in onda stasera e domani, in prima serata proprio su Raiuno. La fiction, diretta da Carlo Lizzani, ha suscitato, prima del debutto, grandi polemiche con la Lega schierata a condannare una rappresentazione «nazionalista» dell'avvenimento risorgimentale, della società milanese del 1848 e soprattutto della figura del federalista Carlo Cattaneo, interpretato da Giancarlo Giannini. Di questo e altro parliamo con Fabrizio Gifuni, interprete nei panni del medico Giovanni Grimaldo. Gifuni cosa pensa delle polemiche intorno a questo lavoro televisivo? Non credo che un film debba essere la rappresentazione di questa o quella parte politica. Sarebbe propaganda. In più, la firma alla regia è quella di Lizzani che, come è noto a tutti, è un fine intellettuale prima che essere un regista. La sua carriera parla da solo e garantisce per una ricostruzione storica corretta. I detrattori contestano anche il mancato uso della parlata milanese, sostituita da una parlata tra italiano e accenti romani. Che ne pensa? La scelta di non usare il dialetto non è casuale ma voluta, dato che il prodotto televisivo deve essere comprensibile in tutta l'Italia. Crede che film come questo possano contribuire alla conoscenza della storia da parte del pubblico? Il cinema e la tv non debbono e non possono sostituirsi alla scuola e all'università nell'insegnamento della storia. Sarebbe stupido pensare questo. Lavori come Le cinque giornate di Milano possono dare un contributo importante soprattutto per tenere viva la memoria, che oggi è un filo fragile. Cosa ha significato per lei lavorare in questa fiction dai numeri importanti? Preferirei parlare di cinema per la tv. Fiction mi sembra un termine inesatto per un progetto come questo o per lavori di Cavani (Alcide De Gasperi di cui Gifuni è protagonista e che vedremo prossimamente sempre sulla Rai) o Giordana (La meglio gioventù), cui ho avuto la fortuna di partecipare. Sono delle belle esperienze anche se a me stanno un po' stretti i tempi eccessivamente veloci di lavorazione imposti dalla tv. Si finisce per fare sempre delle gran corse. Parliamo del suo personaggio ne «Le cinque giornate». È Giovanni Grimaldo, un medico. La sua funzione è quella del “narratore” che permette al pubblico di seguire gli eventi sui diversi piani del racconto. Io, che nei miei personaggi cerco sempre il punto di rottura per evitare di fare ritratti scontati e stereotipati, ho cercato di rappresentare il contrasto interiore di Giovanni. È un personaggio tormentato? Alla fine, si risolve come una figura positiva ma durante la storia appare diviso tra l'appartenenza alla borghesia e una simpatia per certe istanze mazziniane che coglie entrando come medico anche nelle case delle classi sociali più basse. In più vive una storia d'amore difficile con Amalia, nipote di un generale austriaco. Lizzani struttura la vicenda d'amore con interessanti rimandi freudiani; in Giovanni convivono ragione e sentimento. Sara Cerrato

nuvolarossa
29-12-04, 14:28
Giuseppe Evangelisti

Leggendario eroe Garibaldino

di U.B.

Nato il 13 marzo 1873, Giuseppe Evangelisti, in Borgo S. Angelo, il rione più popolare e più popoloso di Perugia, era il quartogenito di una numerosa figliolanza. Suo padre, Benedetto, viene ricordato dalle fonti anagrafiche, come "manovale casengolo", mentre la madre era "atta a casa ".

Avviato alle elementari, il piccolo Giuseppe riuscì a fare "un po' di seconda", cosa che allora per i figli della povera gente era considerato un privilegio. Poi, le esigenze della famiglia gl'imposero di andare a guadagnarsi qualche centesimo imparando l'arte del decoratore.

Lavorò come apprendista nella bottega di Giovanni Bisacchi, antico garibaldino e vecchio internazionalista che aveva subito in precedenza galera e persecuzioni d'ogni genere per le sue idee.

Morto nell'anno 1883 il Bisacchi Giovanni, l'azienda passò al figlio Giulio il quale divenne in seguito un pittore di grande talento, massone tra i migliori del suo tempo, e attivissimo anarchico. Giulio Bisacchi alla morte del padre aveva 24 anni, pertanto era di 14 anni maggiore di Giuseppe Evangelisti, ciò nonostante fra i due si era stabilito un rapporto di amicizia e di fiducia, al punto che decisero di condurre la piccola azienda in società. Ciò avveniva nell'anno 1895, quando il giovane Evangelisti (aveva 22 anni) e il suo ormai maturo socio Giullo Bisacchi decisero di entrare contemporaneamente in Massoneria, ricevendo la Iniziazione dal Venerabile Francesco Innamorati della Loggia "Francesco Guardabassi".

Ormai però Evangelisti aveva raggiunto non poca notorietà data la grande passione che aveva per la bicicletta. Inutile dire che la bicicletta di quel tempo non è da paragonarsi a quella odierna essendo la sua caratteristica primitiva molto diversa e molto più pesante. Tra gli anni 1890-96 partecipò a tutte le gare che si effettuarono in Umbria arrivando invariabilmente primo a tutti i traguardi, tanto è vero che, nel 1892, venne proclamato "Campione dell'Umbria", dopo aver vinto una memorabile corsa, organizzata dal "Veloce Club di Perugina", alla quale parteciparono i migliori corridori del tempo. Giova ricordare che al presente il "Veloce Club" perugino, nel quale sono associati centinaia di appassionati, è intestato a Giuseppe Evangelisti.

Ma la notorietà di Giuseppe Evangelisti non proveniva soltanto dalla sua passione sportiva, ma anche dalla sua attività politica. Faceva parte di un Circolo repubblicano un poco selvaggio, denominato "Circolo Gioventù Operosa", che aveva nel giovane Guglielmo Millocchi l'instancabile animatore, e in Publio Angeloni (assessore repubblicano al Comune di Perugia e massone) il teorico e prudente punto di riferimento. Tale Circolo per diversi anni era stato l'anima nera della polizia perugina.

Quando, nel febbraio 1897, a Perugia si apprese che la popolazione dell'isola di Candia si era ribellata agli oppressori turchi rivendicando l'annessione alla Grecia, vi furono dapprima una serie di dimostrazioni popolari in favore degli insorti, indi altre di disapprovazione per il governo italiano che si era associato ad altre potenze europee (Austria e Germania in testa) che avevano mandato la flotta sull'Egeo con la scusa che tale misura sarebbe stata necessaria per impedire un conflitto tra la Grecia e la Turchia.

Fatto sta che la guerra scoppiò dirompente e, mentre i turchi invadevano la Tessaglia, in Italia Ricciotti Garibaldi, secondogenito dell'Eroe e di Anita, allora cinquantenne, lanciava l'appello alla gioventù democratica affinchè si arruolasse nel Corpo dei garibaldini disposto ad accorrere in difesa della Grecia.

Ricciotti non era nuovo alle eroiche imprese. Era stato accanto al padre alla Bezzecca, a Mentana, a Digione, ed ovunque si era comportato da valoroso. In breve si costituì un corpo di volontari che superò le 2000 unità, costituito prevalentemente da repubblicani, gran parte dei quali aderenti alla Massoneria.

Il 25 febbraio 1897 a Perugia, per iniziativa del Comune, il cui Sindaco Ulisse Rocchi, massone, era a capo di una maggioranza costituita di radicali (quelli di Cavallotti per capirci), repubblicani e socialisti, venne organizzata una grande manifestazione in favore del popolo di Candia alla quale aderì pubblicamente anche la Loggia "Francesco Guardabassi". La quale Loggia, il 16 marzo successivo dell_berava "di inviare al signor Konduriotis ministro greco residente a Roma lire 100 a beneficio della causa ellenica". Ciò lo si apprende dal giornale democratico d'i_spirazione massonica, "La Provincia del_l'Umbria", del 18 marzo 1897. Nello stesso numero, detto giornale riportava poi il seguente comunicato:

"Concittadini a Canaia. Il simpatico cam_pione del Veloce Club perugino, Evange_listi Giuseppe, è partito per Candia. Al bravo e generoso giovane che accorre fra le file dei volontari italiani in difesa degli eroici candiotti, noi mandiamo un affet_tuoso saluto ed un fervido augurio".

Evangelisti fu il primo dei perugini a partire, ma il seguente 29 aprile altri giovani perugini seguirono le sue orme. Questi: Publio Baduel, Achille Lualdi, Edgardo Calindri, Carlo Baroni, David Anastasi, tutti repubblicani e quasi tutti massoni.

Il corpo di volontari comandato da Ricciotti Garibaldi non venne destinato, come si riteneva, nell'isola di Candia bensì sul fronte della Tessaglia ove i turchi stavano infliggendo dure sconfitte all'esercito greco. Partecipò a vari fatti d'armi; la battaglia l'affrontò il 17 maggio 1897 a Domokos ove i garibaldini si coprirono di gloria per evitare un colossale disastro all'esercito greco ormai pressochè in rotta. Cadde eroicamente il deputato repubblicano Antonio Fratti, insieme a tanti altri giovani che dettero la propria vita per l'ideale della libertà dei popoli. Giuseppe Evangelisti si comportò da valoroso guadagnandosi i gradi di sergente e, soprattutto guadagnandosi la stima e l'amicizia di Peppino Garibaldi, figlio maggiore di Ricciotti. L'amicizia fra i due si prolungò nel tempo e, come vedremo, fu ricca di fecondi e positivi risultati patriottici.

Tornato a casa a metà giugno 1897, Evangelisti venne festeggiato da tutta quanta la Perugia democratica e progressista. Invitato dalla Loggia "Francesco Guardabassi" a commemorare la figura di Antonio Fratti, nella tornata del 26 giugno, così, tra l'altro, ebbe a dire:

"Antonio Fratti vivrà eternamente nel culto della democrazia che ebbe in lui uno dei capi più autorevoli, una delle più belle figure della nostra storia recente. Il valoroso di Bezzecca e Digione, il discepolo amato di Giuseppe Mazzini, l'esponente più autorevole del Partito Repubblicano, ha dato la sua nobile vita per la libertà della Grecia. A me il doloroso compito di raccoglierne le spoglie mortali ......".

Per alcuni anni Giuseppe Evangelisti non fece più parlare di se. Aveva abbandonato la sua adorata bicicletta per dedicare invece il suo tempo libero allo studio. Si fece una cultura, aiutato dal suo grande amico Guglielmo Millocchi che era maestro elementare, anche se non abilitato perchè la monarchia lo aveva privato dell'insegnamento in tutte le scuole del regno.

Evangelisti e Millocchi furono, il 20 Giugno 1909, cinquantenario delle stragi di Perugia, tra i fondatori della Loggia massonica intestata, appunto "20giugno 1859". Insieme avversarono la guerra di Libia, ritenuta una guerra di conquista imperialista. Ma poco dopo, nel 1912, Evangelisti non seppe resistere al fascino della camicia rossa e al nuovo appello dell'ultra sessantenne Ricciotti Garibaldi; accorse ancora in Grecia a combattere per la libertà di quella nazione.

I popoli della Grecia, della Bulgaria, della Serbia e del Montenegro si erano ribellati ai maneggi degli imperi centrali e degli ottomani al grido:"I Balcani ai popoli balcanici". Vi furono dei conflitti sanguinosi a cui presero parte pure i garibaldini d'Italia. Giuseppe Evangelisti si comportò ancora da valoroso sul campo di battaglia e dell'onore, guadagnandosi il grado di tenente, a Drisko, per meriti di guerra.

Ed eccoci alla seconda metà dell'anno 1914. La guerra era scoppiata tra gl'imperi austro-ungarico e tedesco da una parte, e Francia e Inghilterra dall'altra. In Italia il governo si dibatteva in una problematica neutralista senza via d'uscita; i clericali si erano schierati per l'intervento in favore, naturalmente, della Triplice; i repubblicani fedeli alla loro tradizione risorgimentale, si agitavano per l'intervento in favore dell'Intesa; Mussolini, dal canto suo, se ne stava in attesa del migliore... offerente allo scopo di decidersi da che parte buttarsi.

E mentre tutto questo avveniva, Peppino Garibaldi si era precipitato a Parigi da dove invitava i giovani ad arruolarsi nella Legione Garibaldina disposta a battersi in favore della Francia invasa.

Rispose con entusiasmo la gioventù repubblicana che accorse attraverso mille peripezie, poichè il governo italiano impediva loro di raggiungere il suolo francese. E accorsero anche i veterani delle precedenti campagne di Grecia.

Della campagna garibaldina in Francia abbiamo una validissima testimonianza. Quella di Guglielmo Millocchi che, quasi ogni giorno inviava dal fronte corrispondenze al settimanale repubblicano di Perugia, "Il Popolo", del quale era direttore.

Era partito, Guglielmo Millocchi, il 10 agosto 1914, insieme al giovane segretario della Sezione repubblicana perugina, Lamberto Duranti, anch'egli massone da qualche anno. S'imbarcarono a Civitavecchia su di un vecchio vapore alla volta della Sardegna, poi con rischiosi mezzi di fortuna in Corsica e, alla fine a Parigi ove in pratica venivano concentrati i primi volontari italiani provenienti, non solo dalla madre patria, ma da varie parti del mondo.

"Qui a Parigi, non più festosa, la guerra si sente, si vede e, passatemi la parola, si respira", scriveva Millocchi il 31 agosto al suo giornale. Poi, dando la spiegazione della massiccia partecipazione d'italiani residenti in Francia al volontariato garibaldino, così proseguiva: "La Francia fu buona coi lavoratori nostri, ed oggi, nell'ora del dolore, essi vogliono dimostrarle la loro gratitudine. A Marsiglia visitammo la Sede dei inazziniani italiani, vi fervevano preparativi per la partenza; essi si sono arruolati in massa con le schiere dei volontari. E la loro bandiera rossa fu alla testa della dimostrazione nella quale. a Marsiglia, mille e mille italiani acclamarono alla Francia Repubblicana".

La lettera di Millocchi in discorso aggiungeva infine:"Peppino Garibaldi, che fremendo attende ordini, è salutato e festeggiato da tutti i volontari" i quali,"alternando il grido di Viva l'Alvazia e la Lorena con quello di Viva Trento e Trieste", si spazientivano nell'attesa d'incontrarsi col nemico ormai vicinissimo a Parigi. ''Attendiamo qu icon Garibaldi l'ordine di partire da un giorno all'altro". Quell'ordine che stentava a venire perchè il governo ancora non aveva deciso se i volontari italiani dovevano essere utilizzati autonomamente, oppure incorporati nell'esercito francese. Intanto però i tedeschi s'approssimavano sempre più a Parigi. "La spedizione deve essere - e sarà schiettamente repubblicana. Peppino Garibaldi è entrato perfettamente in quest'ordine di idee e l'Italia sarà ancora una volta grata al Partito Repubblicano ......".

Il 4 Settembre, in un'altra lettera Millocchi manifestava la sua delusione poichè i volontari, anzichè essere inviati al fronte, furono invece spediti nelle cittadine di Montelimar e Nimes, nei pressi di Lione."Avrei volulo che ci avessero inviati a combattere a Parigi. Fra pochi giorni i francesi dovranno battersi in una disperata difesa della loro capitale ......".

Intanto erano giunti gli altri fratelli di Peppino, vale a dire Sante, Ricciotti junior, Costante, Ezio e Bruno. Tutti quanti insomma i figli di Ricciotti, salvo Menotti junior che, trovandosi in Estremo Oriente, raggiunse i suoi fratelli quando la Legione garibaldina era stata sciolta. In tempo però per partire volontario, coi superstiti fratelli, nell'esercito italiano dopo la dichiarazione di guerra.

http://www.esoteria.org/documenti/personaggi/giuseppeevangelisti.jpg

Questa fotografia, più unica che rara, venne scattata a Perugia il 22 giugno 1915 quando i fratelli Garibaldi, figli di Ricciotti, si erano ritrovati con alcuni ufficiali della Legione Garibaldina che operò nelle Argonne. Indossavano la divisa della Brigata Cacciatori delle Alpi nella quale si erano arruolati in quei giorni. Si noti il lutto portato al braccio dai Garibaldi per i loro fratelli Bruno e Costante caduti nelle Argonne.
Seduti, da sinistra, sono: il maggiore Longo comandante del III battaglione, Ricciotti junior, Peppino e Sante. In piedi, sempre da sinistra, il primo Giuseppe Evangelisti, il terzo Menotti junior e il quarto Ezio. Quattro giorni dopo, Giuseppe, Menotti, Ezio e Sante ricevettero l'Iniziazione massonica nella Loggia "Francesco Guardabassi" di Perugia.

Continuava frattanto l'arrivo dei volon_tari a Montelimar compresi quelli di pre_cedenti imprese garibaldine. Millocchi, in una corrispondenza datata 25 settembre, così diceva: "Carlo Bazzi ha ritrovato i suoi compagni; ecco Longo che guadagnò i galloni a Domokos; Cristini che s'è se_riamente battuto tra i boeri; Gnecco, mo_desto compilatore dell'Emancipatore di Genova; Falangola che è accorso dall'A_merica; Fiaschi il sindacalista; Camillo Marabini, lo storico della seconda spedizione di Grecia; poi Chiostergi, Cappel_li, Rovesini, il nostro Baduel; Tonino Or_landi Candini, il vecchio mazziniano fio_rentino che fu a Digione, e oggi, ancora una volta risale a cavallo e ritrova l'antica gagliardia giovanile". Peppino Garibal_di, che nel frattempo era stato insignito del grado di tenente colonnello dell'esercito francese, li riceveva tutti abbraccian_doli affettuosamente. Ad un primo incon_tro collegiale coi veterani (erano quasi tutti ufficiali per meriti di guerra),"qualcuno domandò: E Peppino Evangelisti? Quel_lo verrà, vedrete", rispose Peppino Garibaldi. "Sono tornati da ogn iparte, con_venuti qui, attorno ai fratelli Garibaldi nella febbre tormentata ma ormai brevis_sima dell'attesa. Molti sono a Nimes, ferve lì, come qui, il quasi compiuto lavoro d'organizzazione. Sono venuti alla spic_ciolata e a gruppi, a decine, a centinaia, eludendo con ogni astuzia la vigile sorve_glianza dei reali carabinieri. Arrivavano agitando un cencio, o rosso o tricolore ita_liano o francese, cantando la marsigliese o gli inni della patria, gettando come pri_mo saluto il grido di Viva la Repubblica. Montelimar ne è piena. Giungendo han_no tutti, subito, una prima domanda: quando ci daranno la camicia rossa? E poi, quando si parte? lo non posso nominarli tutti. C'è qualche socialista, qualche sin_dacalista, qualche anarchico; i nomi di quas itutti sono negli elenchi dei Circoli giovanili e delle Sezioni Repubblicane d'Italia".

Proseguendo nella sua corrispondenza del 25 settembre, Millocchi così concludeva: -"Peppino Garibaldi aveva detto: quello verrà, vedrete. E quello - Peppino Evangelisti -piombò tra noi modesto come sempre, buono, affettuoso, sorridente e frettoloso come per dire: scusate se vi ho fatto aspettare ( .. ). Egli è forse il più amato, certo il più conosciuto dei garibaldini di Grecia. Il suo arrivo fu una festa Per tutti. Dovetti, egoisticamente, sottrarlo ai saluti rumorosi e festosi ( .. ), Comanderà una Compagnia, ma io non lo credo troppo contento de isuoi galloni di capitano".

Un'altra lettera di Miliocchi al suo giornale, datata 2 novembre 1914, informava che ormai i tre battaglioni di volontari erano mobilitati per il fronte, nelle Argonne, ad Est di Parigi. Il governo della Francia aveva consentito che gl'italiani si costituissero in Legione (in principio si chiamò IV Reggimento Estero), comandata da Peppino Garibaldi il quale era sottoposto al comando supremo del 2° Esercito francese."Quando i tipografi avranno messo in piombo queste righe, i battaglioni di Montelimar saranno in marcia e quelli di Nimes avranno levato le tende ......".

Al volontari fu consentito d'indossare la camicia rossa sotto la divisa francese. "chi scrive", diceva Miliocchi, "ne ha una nuova fiammante, dono della Mas_soneria lionese".

Il primo importante scontro a fuoco della Legione garibaldina avvenne il 26 dicembre su di un terreno collinoso e ricco di boscaglia, nei pressi di Bolante. La battaglia sanguinosa, aspra, vide vittoriosi i volontari della Legione. Le perdite assai dolorose; trenta morti e centoventi feriti, una ventina i dispersi. Tra i caduti il tenente Bruno Garibaldi, caduto alla testa del suo plotone. Con lui cadde l'operaio perugino Guido Bura, che lasciava la giovane moglie e tre bambini.

La seconda, dura battaglia della Legione Garibaldina nelle Argonne, avvenne il 5 gennaio 1915 a Four de Paris, dove Giuseppe Evangelisti, alla guida della quarta compagnia del III battaglione, compì autentici prodigi di valore. Ancora tantissimi i morti, oltre cinquanta, e quasi duecento i feriti. Ma non poche postazioni tedesche vennero espugnate. Tra i morti un altro Garibaldi, Costante, e un altro perugino, il massone Lamberto Duranti.

Altra durissima battaglia l'8 gennaio, lungo la linea di Maison Forestière, dove Giuseppe Evangelisti si guadagnò i gradi di maggiore e la massima onoreficenza militare francese, la Legion D'Onore, conferitagli personalmente dal capo dello stato maggiore francese, generale Joffre.

Lamberto Duranti in una lettera datata 1° gennaio 1915, scritta a Publio Angeloni, descrisse lo svolgersi della battaglia del 26 dicembre.

"Cisiamo battuti da veri leoni" egli affermava. "Sono veramente vivo per miracolo. Il Diavolo non m' ha voluto con sé. Abbiamo combattuto per due ore sotto un turbinio difuoco ( .. ). Presto riattac_cheremo: forse domenica. Sarò ancora for_tunato? Ci credo poco ma... avanti! C'è gloria per tutti qui e bisogna conquistar_sela. I tedeschi hanno veduto come sappiamo batterci: lo vedranno ancora per_ dio! Abbiamo sposato la santa causa fran_cese e per essa daremo l'ultima stilla di sangue; italianamente".

Ed ecco il pianto di Millocchi per la perdita dell'amico, del Fratello nell'Ordine, espresso in una lettera datata 7 gennaio: "Lasalma del povero Lamberto sta nella chiesetta semioscura, accanto a quella di un altro valoroso, Costante Ganbaldi. Umbria repubblicana, i tuoi morti ripo_sano l'uno accanto a l'altro: anche Costan_te Garibaldi aveva dato il suo nome e la sua fede alla gioventù repubblicana di Terni. I volontari entrano commossi. Mol_ti occhi, non soltanto i nostri, sono umi_di di pianto ( .. ). Io non scrivo una ne_crologia. Perchè volevo dirvi, repubblica_ni dell'Umbria, che la nostra Federazio_ne ha perduto il suo segretario e il suo pro_ pagandista, ma la sua bandiera non deve abbrunarsi, perchè Lamberto Duranti è morto da eroe…"..

http://www.esoteria.org/documenti/personaggi/giuseppeevangelisti1.jpg

Qui sono raffigurate le firme nel registro delle presenze della Loggia "Francesco Guardabassi", sottoscritte da alcuni presenti dopo la Tornata del 26 giugno 1915 allorchè vennero Iniziati Peppino, Menotti, Ezio e Sante Garibaldi. Oltre a quelle dei fratelli Garibaldi, sono leggibili quelle di Publio Angeloni, Terzo Bellucci, Zopiro Montesperelli e dell'On. Francesco Innamorati, autentici campioni della democrazia umbra.

In una successiva corrispondenza, datata 24 gennaio, Millocchi fece il resoconto della cerimonia della consegna della Legion d'Onore a Giuseppe Evangelisti. Ne sintetiziamo al massimo il contenuto: "Sapete quale è la motivazione che accompagna, per Peppino Evangelisti, l'alta onoreficenza? Non è la descrizione di un fatto isolato, e neppure una particolareggiata relazione; non occorsero troppe parole, è semplice, breve, sintetica, e perciò più bella, più grande, più degna! Eccola: Per superba condotta al fuoco così semplicemente ".

A metà marzo 1915 la Legione Garibaldina venne disciolta. Evangelisti e Miliocchi, tornati a Perugia, ripresero senza soste la campagna interventista, avendo cura di non confondersi con l'interventismo mussoliniano dell'ultima ora. Essi avevano assunto, alle Argonne, un impegno coi fratelli Garibaldi. Quello cioè di farli ammettere in Massoneria dalla Loggia "Francesco Guardabassi".

L'evento si realizzò la sera del 26 giugno 1915, quando Peppino, Ezio, Menotti e Sante ebbero la Luce massonica dal Venerabile Publio Angeloni il quale, peraltro, ebbe la delega di rappresentare il Gran Maestro Ettore Ferrari. Per la verità storica va precisato che dei Garibaldi superstiti delle Argonne mancava Ricciotti junior, mentre vi si era aggiunto Menotti junior, rientrato sotto quei giorni dalla Cina.

A Perugia si stava predisponendo la brigata Cacciatori delle Alpi con la quale, si erano arruolati i fratelli Garibaldi.

Giuseppe Evangelisti, che tanto avrebbe voluto partecipare all'Iniziazione dei suoi intimi amici, era partito il giorno avanti per il fronte, volontario nell'esercito regolare italiano, col riconfermato grado di maggiore. Nuove gesta eroiche, altre decorazioni, poi le delusioni del dopoguerra.

Congedato, riprese il suo lavoro di decoratore, dedicandosi prevalentemente a osteggiare il furore del dilagante fascismo. Nel 1921 fu Venerabile della Loggia "20 Giugno 1859" della quale era Oratore il Fratello Millocchi. Nel 1926 venne arrestato quale "massone sovversivo", insieme a molti altri Fratelli, e spedito al confino di polizia. Liberato nel 1929, si trattenne ancora un anno a Perugia, in solitudine e in miseria, finchè, nel 1930, non riuscì ad espatriare in Francia dove ricevette quei riconoscimenti che la sua patria gli aveva negato.

Cessò di vivere il 15 marzo 1935 a Nizza, circondato dal suoi vecchi compagni d'armi, tra i quali Ezio Garibaldi, costretti all'esilio da una dittatura spietata che aveva messo al bando i migliori figli d'Italia.

(tratto da Hiram n° 5-6, dicembre 1982 - Soc. Erasmo, Roma)

nuvolarossa
14-01-05, 16:05
CIAMPI A CROTONE INAUGURA PIAZZA DEDICATA A PADRI DELLA PATRIA

14/01/2005 - 14:20
Scoperta la targa, bagno di folla con calabresi

Crotone, 14 gen. (Apcom) - Una piazza dedicata ai Padri della Patria, da Giuseppe Mazzini a Garibaldi. Ad inaugurarla è stato questa mattina a Crotone, durante la sua visita in Calabria, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che, accompagnato dalla signora Franca, ha scoperto la targa con il nome della nuova piazza, nel quartiere Tufolo, della cittadina calabrese e poi si è concesso un breve bagno di folla, stringendo la mano ad alcuni dei numerosi calabresi intervenuti per accoglierlo.

Durante la cerimonia è intervenuto con un breve discorso il sindaco di Crotone Pasquale Senatore (An) che, in precedenza, durante l'incontro con il capo dello Stato aveva rivolto a Ciampi un accorato appello: "Il popolo non può essere solo Pil, Mibtel e auditel, lo Stato deve assolvere al compito di guidare i giovani sulla giusta strada".

copyright @ 2005 APCOM

nuvolarossa
17-01-05, 01:42
Parte su Raitre 'Piazzale degli eroi', Casadio è tra gli autori
Il giornalista ravennate ha firmato un programma di 6 puntate, condotto da Stefano Tomassini

RAVENNA - Il giornalista ravennate Nevio Casadio, che da anni lavora in Rai a Roma, è tra gli autori di una nuova trasmissione di Raitre, dal titolo Piazzale Degli Eroi.

Chiediamo allo stesso Casadio, di cosa si tratta:
"È un programma di 6 puntate condotto da Stefano Tomassini, un collega con il quale ho lavorato tempo fa a tv7 il settimanale del Tguno. A Stefano, già da quei tempi frullava per la testa questa idea; ne parliamo da quei giorni ed ora il progetto è alle battute finali, la prima puntata di Piazzale degli Eroi infatti, andrà in onda su Raitre la sera di lunedì 17 gennaio in seconda serata".

È un programma di storia?
"No, non appartiene al filone dei programmi storici. È invece una sorta di esperimento: attraverso il confronto con sei personaggi della grande storia, compiere contemporaneamente un viaggio dentro noi stessi e nella provincia italiana, sconosciuta ai più ed a portata di mano".

Cosa propone Piazzale degli eroi?
"La trasmissione presenta sei grandi personaggi quali Giuseppe Garibaldi, San Francesco, Dante Alighieri, Napoleone Bonaparte, Giuseppe Mazzini, Giuseppe Verdi andando alla scoperta dei luoghi che li videro protagonisti e di testimonianze per verificare l'attualità e la sopravvivenza del mito nel mondo di oggi. In pratica si tratta di vedere come questi personaggi, che sono stati e, con maggiore o minore fortuna, sono miti della nostra storia, della nostra cultura, della nostra comunità di valori, influenzino ancora oggi la nostra vita, il nostro modo di pensare, di fare e di essere. Quando e in che cosa siamo garibaldini? Possiamo, noi italiani, dirci cristiani senza essere un po' francescani? Oppure, quanto strapazziamo Dante e la sua lingua, ogni volta che apriamo bocca? Che ci ha lasciato Napoleone, che non era del tutto italiano, ma non era neppure del tutto francese? Che rapporto di parentela c'è fra Giuseppe Mazzini e la Repubblica – seconda? prima? già terza? – che noi conosciamo? E, infine, l'Italia è per caso un paese melodrammatico? Ecco alcune domande – prosegue Casadio che ha firmato il programma insieme a Tomassini e a Francesca de Carolis - semplici da formulare quanto sono difficili le risposte. Ci abbiamo provato e pensiamo che ne valesse la pena. Quanto al titolo del programma, sappiamo perfettamente che Piazzale degli eroi è una delle più brutte piazze di Roma – un vuoto di palazzi, più che una piazza – ma cercavamo qualcosa che rendesse bene l'idea dello spazio in cui dovevamo muoverci. Lo spazio dell'Italia e dei suoi dintorni, in cui cercavamo eroi in un senso generale e allargato, modelli, esempi, miti, quei personaggi, insomma, che, a differenza dei comuni mortali, anche dopo morti, continuano a girare per il mondo".

Come è nata questa idea?
"L'idea è nata uscendo dalla sede Rai di Viale Mazzini. "Cosa sappiamo oggi di questi personaggi del passato ai quali sono stati intitolati piazze, viali e strade… . L'interrogativo è diventato poi una specie di gioco: individuare personaggi della storia del nostro paese che abbiano generato degli aggettivi. Garibaldi ha generato garibaldino, da San Francesco viene francescano, Dante ha prodotto dantesco… "

La Romagna quale ruolo svolge in questa trasmissione?
"Mi sono formato alla bottega di Sergio Zavoli, un maestro di giornalismo straordinario e forse irripetibile. Ricordo che Sergio amava dire: "Sul lavoro non conosco paesani" e si comportava di conseguenza, non indulgendo a favoritismi di sorta. Ma, noi autori della trasmissione Piazzale degli Eroi, nelle riunioni iniziali ci siamo resi conto quanto la Romagna entrasse prepotentemente alla ribalta in riferimento alle puntate su Napoleone, Dante, Garibaldi, Mazzini… . Ed abbiamo dovuto compiere delle scelte precise per non trascurare altri luoghi italiani. In ogni caso la Romagna è rappresentata nelle puntate su Mazzini e Dante con reportage che ho realizzato personalmente. E mi sono trovato di fronte a una grande difficoltà nel montare un reportage di sei, sette minuti con il materiale registrato a disposizione di diverse ore. Insomma sarebbe stato possibile, ricavarne puntate intere".

La trasmissione proseguirà con altre edizioni? Al di là dei personaggi presi in considerazione nella trasmissione, quali vorreste presentare?
"La continuazione di Piazzale degli eroi, dipenderà dall'interesse dei telespettatori alle prese con il telecomando. La toponomastica italiana è una miniera inesauribile. Le strade italiane sono dedicate a personaggi della grande storia, ma anche appartenenti alla storia minore, eppure del medesimo spessore, e da raccontare con passione. Ma ritornando ai personaggi i cui nomi hanno originato aggettivi, non posso che pensare all'aggettivo noto in tutto il mondo: felliniano dovuto a Federico Fellini, il più grande poeta degli ultimi tempi".

Biografia di Nevio Casadio
Nevio Casadio, nato a Cotignola di Ravenna, è giornalista professionista. Tra i diversi quotidiani e settimanali ha scritto per La Repubblica, Oggi e Il Mattino. In Rai, oltre ad aver lavorato a diverse inchieste di Sergio Zavoli, ha collaborato con continuità ai settimanali di approfondimento del TGUNO tv7 e Frontiere per i quali ha firmato numerosi reportage e inchieste. Tra i diversi riconoscimenti, ha vinto il Premio Guidarello per il giornalismo d'autore, sezione riservata alla carta stampata, con un reportage pubblicato sul settimanale Oggi, e due volte il Premio giornalistico televisivo Ilaria Alpi: nel 1988 con il servizio Padre Alex, trasmesso dal settimanale del Tguno tv7 e nel 2001 con l'inchiesta sul lavoro nero e le morti bianche, dal titolo La ballata di Giuliano, trasmessa in C'era una volta di Raitre. Ha pubblicato una raccolta di articoli scritti per Il Mattino. La casa editrice RAI-ERI ha inserito nella collana Libri&Video un home video con il reportage di Casadio già trasmesso in Tguno-Frontiere, dal titolo Polesine 51, unitamente ad un libro di approfondimento Voci e suoni del fiume, in cui l'autore ha raccolto le storie dei personaggi incontrati nel corso del reportage, in quel viaggio lungo il Po. Vive e lavora tra la Romagna e Roma.

nuvolarossa
03-02-05, 11:04
Chiostro di Santa Lucia. Inaugurata l’esposizione sui tre mesi vissuti in
Sabina dall’Eroe dei due mondi

Garibaldi dal Risorgimento alla Repubblica Romana passando per Rieti

di ANTONIO ONOFRI

La Sabina chiama, Garibaldi risponde ”Obbedisco”. E come poteva essere
altrimenti per la mostra sull’Eroe dei due mondi, inaugurata ieri
pomeriggio al chiostro di Santa Lucia. ”La Repubblica Romana”, nel 155°
anno dalla nascita: ”Monetazione della Repubblica Romana” o ”La fine della
Repubblica”, sono soltanto alcune delle pergamene esposte fino al 28
febbraio al chiostro di Santa Lucia.
Al taglio del nastro, con tanto di fazzoletto rosso sulle spalle, c’era il
presidente del Lions club ”Rieti Varrone”, promotore della manifestazione,
Cristiano Roberto Euforbio, Gianfranco Paris, membro del consiglio
direttivo provinciale dell’Istituto Storico del Risorgimento e presidente
dell’associazione nazionale veterani e reduci Garibaldini. È intervenuto
anche l’assessore comunale alla Cultura Gianfranco Formichetti.
L’iniziativa, realizzata in collaborazione con l’”Anvrg”, la sezione
romana dell’Associazione Mazziniana italiana e patrocinata
dall’assessorato alla Cultura del Comune di Rieti, cade appunto in
concomitanza del 155esimo anniversario della fondazione della Repubblica
Romana. A questa «Rieti fornì truppe e ben quattro deputati, Giuseppe
Maffei, Jppolito Vicentini, Mario Simeoni e Francesco Battistini - ha
spiegato Euforbio - La Sabina ha rappresentato quindi un crocevia
importante nella storia del Risorgimento, anche e soprattutto per la
presenza nella nostra città di Giuseppe Garibaldi che a Rieti si fermò per
ben tre mesi, completando anche la Prima Legione Italiana per la difesa
della Repubblica dagli attacchi dei francesi».
Intervenuto alla cerimonia inaugurale, l’assessore Gianfranco Formichetti
ha sottolineato «la duplice rilevanza che rassegne come quella organizzata
in questi giorni rivestono per la città. Oltre a quella di tipo educativo
e coniscitivo, visitando la mostra, infatti, è possibile toccare da vicino
lo sforzo dell’Amministrazione nella sistemazione di spazi come il
chiostro di Santa Lucia».
«Certi dell’importanza che una mostra di questo livello può ricoprire nel
percorso formativo degli studenti reatini - ha aggiunto Gianfranco Paris -
è nostra intenzione dare più risalto all’iniziativa promuovendo l’evento
direttamente nelle scuole sabine».
Il programma della manifestazione si completa con il doppio incontro
fissato per il 25 febbraio: Annita Garibaldi, pronipote diretta dell’Eroe
dei due Mondi, terrà una conferenza su ”Garibaldi in Sabina” (alle 11
all’istituto Magistrale ”Regina Elena” riservato alle scuole; alle 17.30
al ”Quattro Stagioni”).

nuvolarossa
11-02-05, 14:23
ALLA GALLERIA INCONTRI SCRIMIN

Ecco il Garibaldi inedito del «nuovo» mondo

BASSANO . (E.B.) Giuseppe Garibaldi è universalmente noto come l'Eroe dei Due Mondi. Ma, mentre tutti conoscono le gesta che il personaggio più famoso del Risorgimento italiano ha compiuto nel "vecchio mondo", ben pochi sanno che cosa abbia combinato, di preciso, nel "nuovo".

A colmare questo vuoto e a raccontare la faccia nascosta della luna - l'esperienza americana del giovane avventuriero, così movimentata da sembrare la trama di un romanzo - provvede "Garibaldi Corsaro", l'ultima opera dello scrittore trevigiano Plinio Marotta, per oltre vent'anni insegnante al liceo italiano di Madrid e per altri cinque in quello di Buenos Aires. Il libro, pubblicato nel 2004 dalla casa editrice "Panorama" nella collana "Le montagne incantate" (224 pagine accompagnate dalle tavole di Pierluigi Negriolli), sarà presentato dall'autore oggi pomeriggio, alle 18, nella galleria Incontri Scrimin di via Vendramini: l'occasione è fornita da uno dei quindicinali appuntamenti con i "Venerdì letterari" del Cenacolo degli scrittori bassanesi, presieduto da Chiara Ferronato.

Condannato a morte per la sua partecipazione ai moti mazziniani di Genova, Garibaldi fuggì in Brasile nel 1835, all'età di 28 anni, per poi far ritorno in Italia nel 1848, quando ne aveva 41. Furono 13 anni di fondamentale importanza nella sua maturazione: la fase in cui il giovane corsaro per la libertà, il guerrigliero della pampa, insomma il Garibaldi americano, divenne il Garibaldi del Risorgimento italiano.

Ma le vicende di quel periodo della sua vita meritano di essere riscoperte anche perché mettono a nudo un Garibaldi inedito, restituendoci non l'immagine di un "monumento ambulante", ma un uomo di carne e di sangue: dalla descrizione che ne tratteggia Marotta emerge un idealista generoso e perfino ingenuo (agli antipodi quindi della tipica "furberia" italiota), un guerrigliero audace e imprevedibile, ma soprattutto la figura schietta e priva di boria di un popolano forte e sensato, pronto a fraternizzare con chiunque.

nuvolarossa
06-03-05, 11:38
Un democratico dell’800/Le intuizioni mazziniane sopravvissute a fascismo e comunismo

Superare le tensioni sociali in un quadro europeo

Estratto dagli interventi del convegno "Mazzini nostro contemporaneo", Roma, 9 febbraio 2005.

di Luigi Lotti*

Salvo Mastellone sa che gli dissi, non tanto per amicizia sincera, ma per convinzione profonda, che questi suoi studi degli ultimi anni sono sicuramente i contributi più importanti alla conoscenza di Mazzini che si siano visti da decenni, perché egli ci fa vedere questo Mazzini diverso e ci fa capire meglio il perché di molte cose. Nella pur straordinaria vicenda della Repubblica romana tutte le grandi potenze dicono: spazzarla via, e tutti intervengono, dalla Francia repubblicana, sia pure bonapartista (ma repubblicana), dalla Spagna, dall’Austria. Quello di cui si perde la nozione è che nell’Europa della rivoluzione del ‘48, Mazzini è il leader rivoluzionario europeo, e questo in una prospettiva democratica che naturalmente non poteva essere condivisa né dalle potenze dinastiche assolutiste, e poi nemmeno tanto dal liberalismo, nemmeno dalle tendenze liberali costituzionali che non arrivavano a quel punto.

Certo, Mazzini si era posto il problema nazionale, come aveva colto che l’800 aveva come perno dei problemi europei l’affermazione delle nazionalità, ma la nazione che Mazzini voleva rivendicare come insieme di un popolo, non era disancorata dalla democrazia; il nesso era fortissimo, nazione e democrazia, binomio entro il quale si risolvono i problemi economici e sociali.

Questo ci consente di collegare la tematica di questo nostro incontro sul Mazzini contemporaneo, proprio a quello che Salvo Mastellone ha detto, perché questa forza di proiezione democratica è poi quella che è sopravvissuta - sui tempi lunghi - del Mazzini originario. O quantomeno del Mazzini sul quale si sono accentrate le indagini e gli studi in Italia.

Il ‘48 ha uno straordinario significato; quando il 9 febbraio del ‘49 fu fondata la Repubblica romana, questa nasceva morta. Su questo non c’era ombra di dubbio, di fronte all’Europa che non accettava una cosa di questo genere. Però, nel momento in cui essa muore, lascia un testo costituzionale straordinario, e cioè dà il contributo più alto che il movimento democratico italiano avesse dato al moto risorgimentale. E’ qui, nella Repubblica romana, questa esemplificazione. Che poi non poteva reggere perché il Papa rivendicava il proprio potere temporale, perché le potenze glielo volevano ridare, ma volevano soprattutto togliere di mezzo questo leader rivoluzionario. Roma è Roma: aveva un significato simbolico straordinario, qui si faceva la democrazia in Europa. E quindi bisognava cancellare questa esperienza; però il segno rimane.

Il problema che si pone dopo è perché nelle vicende che seguono, nei decenni che seguono, Mazzini cede e tende a perdere questa propria connotazione? Io credo si possa individuare tutto ciò in alcuni motivi: ad esempio, che la fase della rivoluzione europea è ferma, è finita, la fase della rivoluzione in Europa è finita.

C’è solo un ulteriore slancio rivoluzionario, 20 anni più tardi, che è la Comune di Parigi, ma proprio perché ha connotazioni classiste esasperate viene schiacciata subito. E non c’è più una connotazione di rivoluzione democratica: cioè l’avvento della democrazia è affidato all’evolversi lento, graduale, possibilista, degli Stati liberali.

In secondo luogo perché comunque il problema della nazionalità - anche se non totalmente - ma della nazionalità italiana, della nazionalità germanica, è risolto, per forte spinta interna, inserita in un quadro di conflitti internazionali. E poi fondamentalmente perché il problema sociale viene assunto dal marxismo. In questa contrapposizione frontale di una classe proletaria contro questo capitalismo egemone, si perde la connotazione democratica e si perdono le connessioni persino con il nesso nazionale democratico.

Nucara ricordava prima e anche La Malfa, l’intuizione straordinaria di Salvatorelli del ‘52, nelle trasmissioni alla radio, in assenza di televisione, che venivano fatte su figure del Movimento Repubblicano in Italia, così come su figure del movimento socialista o figure del movimento cristiano sociale, e poi pubblicate in edizioni di grande importanza. Salvatorelli si ferma su Mazzini, nel ‘52, quando fa la trasmissione, con Stalin vivo. C’è una contrapposizione frontale, con una guerra fredda al massimo della tensione. Salvatorelli dice che, se nella seconda metà del secolo decimonono, Marx aveva sconfitto Mazzini, nella seconda metà del ventesimo, cioè quello appena cominciato, quando egli parla, Mazzini supera definitivamente Marx, e le linee maestre - soprattutto di ispirazione fondamentale del pensiero sociale - ritornano di piena attualità.

Uno si domanda: ma come faceva? Ora, al di là delle capacità di previsione di Salvatorelli, il dato di fatto che poi noi abbiamo visto - senza entrare nel merito della tragedia o delle straordinarie vicende che hanno accompagnato il ventesimo secolo - è che il ventesimo secolo ha visto sul piano delle proiezioni, dello sviluppo, sul piano delle proiezioni della democrazia, sul piano della soluzione del problema sociale, una contrapposizione durissima e tragica di tre ideologie, di tre posizioni: il fascismo, il comunismo e la democrazia. A conti fatti la democrazia ha vinto, questo è un dato di fatto, dopo tutte le tragedie che si sono viste nel ventesimo secolo. Dei tre cardini, delle tre ipotesi, solo la democrazia è rimasta, perché ha vinto la partita, e gli altri no. Il fascismo si è suicidato con la seconda guerra mondiale; il comunismo è andato in collasso per consunzione interna o per incapacità interna di corrispondere alle esigenze di democrazia e di libertà e anche di sviluppo economico.

A questo punto allora si riesce a comprendere la forza della previsione di Salvatorelli di 40 anni prima - la seconda metà del ventesimo secolo - e anche di Mazzini. Naturalmente questo coincide con tutta una serie di sviluppi che sono in tutto corrispondenti con quella che era la impostazione democratica mazziniana, seppure con gli adeguamenti che il mondo contemporaneo comporta: ma intanto c’è una democrazia consolidata all’interno dei singoli paesi. C’è l’unificazione europea. E una fratellanza universale che, se vogliamo, è debole, ma che comunque ha dei cardini fondamentali nella Dichiarazione dei diritti umani fatta in sede di Nazioni Unite, con valori universali. E poi la questione sociale, naturalmente superata o comunque molto modificata, anche in virtù dello straordinario sviluppo economico e sociale.

Allora, tutto questo, è la trasposizione di come Mazzini vedeva lo sviluppo di una democrazia all’interno delle singole nazioni, in un quadro di unificazione europea e in un quadro di superamento delle tensioni sociali mediante il veicolo solidale e associativo, e ovviamente anche una forma di sviluppo economico, in un quadro di proiezione di fratellanza universale che egli sentiva in termini vaghi - e che ancora oggi non è proprio presente, ma comunque, sul piano dei principi, almeno c’è.

In questo senso credo che l’evolversi spesso tragico delle vicende politiche europee - e non solo europee - del ventesimo secolo abbia portato poi a rendere più che mai presente e viva questa ideologia.

*Università di Firenze, Facoltà di Scienze Politiche "Cesare Alfieri"

Rick Hunter
29-08-05, 15:58
All'armi! All'Armi!

1. Si scopron le tombe, si levano i morti
i martiri nostri son tutti risorti!
Le spade nel pugno, gli allori alle chiome,
la fiamma ed il nome d'Italia nel cor:
corriamo, corriamo! Sù, o giovani schiere,
sù al vento per tutto le nostre bandiere
Sù tutti col ferro, sù tutti col foco,
sù tutti col nome d'Italia nel cor.


Va' fuori d'Italia,
va' fuori ch'è l'ora!
Va' fuori d'Italia,
va' fuori o stranier!

2. La terra dei fiori, dei suoni e dei carmi
ritorni qual'era la terra dell'armi!
Di cento catene le avvinser la mano,
ma ancor di Legnano sa i ferri brandir.
Bastone tedesco l'Italia non doma,
non crescono al giogo le stirpi di Roma:
più Italia non vuole stranieri e tiranni,
già troppi son gli anni che dura il servir.

Va' fuori d'Italia,
va' fuori ch'è l'ora!
Va' fuori d'Italia,
va' fuori o stranier!

3. Le case d'Italia son fatte per noi,
è là sul Danubio la casa de' tuoi;
tu i campi ci guasti, tu il pane c'involi,
i nostri figlioli per noi li vogliam.
Son l'Alpi e tre mari d'Italia i confini,
col carro di fuoco rompiam gli Appennini:
distrutto ogni segno di vecchia frontiera,
la nostra bandiera per tutto innalziam.

Va' fuori d'Italia,
va' fuori ch'è l'ora!
Va' fuori d'Italia,
va' fuori o stranier!

nuvolarossa
22-09-05, 20:15
Recco, intitolata una scuola a Mameli/Il giovanissimo eroe del nostro Risorgimento

Una vita breve infiammata dal sogno rivoluzionario

Discorso per l'intitolazione della scuola primaria "Goffredo Mameli", Recco (Ge), 21 settembre 2005.

di Francesco Nucara

Non è agevole ricordare Goffredo Mameli come eroe del Risorgimento. Troppo breve è stata la sua vita (Genova 5 settembre 1827 – Roma 6 luglio 1849). Mancavano sessanta giorni al compimento dei suoi ventidue anni quando Goffredo Mameli spirava nell'ospedale di Trinità dei Pellegrini di Roma dopo che gli era stata amputata una gamba a causa di una cancrena. I medici non si erano accorti che nelle ferite al polpaccio si era infilato uno "stoppaccio" che causò l'infezione prima e la morte dopo.

Goffredo Mameli fu uno studente molto irrequieto – bravo ma irrequieto - della scuola degli Scolopi di Genova. Nell'attività politica di Mameli, il cui inizio possiamo datare ai primi mesi del 1847, ci fu molta confusione dovuta soprattutto agli entusiasmi giovanili per realizzare l'Unità di Italia.

La madre di Goffredo aveva avuto una affettuosa giovanile amicizia con Giuseppe Mazzini. Quest'ultimo e Goffredo si conobbero soltanto nell'aprile del 1848 a Milano durante la guerra con l'Austria. Mazzini rimase ammirato da questo focoso giovane i cui sentimenti patriottici erano rafforzati dall'intensa amicizia con Nino Bixio. Quel Nino Bixio che a Genova nel 1848 afferrando le redini del cavallo del Re aveva urlato: "Maestà passate il Ticino e tutti saremo con voi". Re Tentenna non ascoltò Bixio e anzi rimase offeso. Ma, come è noto, i Savoia, fin dalle origini non hanno mai brillato per l'eccessivo coraggio.

Quindi è intorno ai venti anni che Goffredo Mameli si inizia all'attività politica e militare essendosi addestrato alle armi, insieme a Bixio, in clandestinità e partecipando da volontario, alla guerra contro l'Austria, nel 1848.

Il sacro fuoco rivoluzionario aveva preso l'anima del Mameli che stringeva legami sempre più intensi con Giuseppe Mazzini. Fu quest'ultimo che, conosciute e apprezzate le qualità letterarie del giovane genovese cresciuto nelle scuole degli Scolopi, gli diede l'incarico il 6 giugno del 1848 di scrivere un inno che somigliasse alla Marsigliese, che sarebbe stato musicato dal Verdi.

Mai titolo di un scritto fu più centrato negli scritti su Goffredo Mameli: "Tra un inno e una battaglia", di Almerino Lunardon.

Intanto il giovane rivoluzionario si spostava da una parte all'altra d'Italia, dovunque ci fossero focolai di insurrezione. La sua audacia e il suo ardimento lo sfiniscono al punto di chiedere al padre Giorgio, contrammiraglio della Regia Marina Sarda, di ostacolare gli austriaci per liberare Venezia.

Quell'entusiasmo giovanile e quella focosità portarono al risultato che il padre, accusato di "scarso lealismo monarchico", è messo da parte. Goffredo fece in tempo a tornare a Genova e assumere la direzione del giornale " Il diario del popolo".

Mameli irrequieto ed onnipresente era andato a combattere in Lombardia e poi aveva raggiunto Garibaldi a Ravenna per dirigersi su Venezia dove era stata proclamata la Repubblica. Da Ravenna partì subito per Roma, dove si batté per eleggere una assemblea Costituente. Il 5 febbraio 1849 scrive a Giuseppe Mazzini che arrivava in Toscana: "Roma repubblica venite".

Nella difesa di Roma nel 1849 Mameli, essendo aiutante di Garibaldi, non era coinvolto direttamente nei combattimenti, tuttavia vedendo cadere i suoi amici di tante battaglie, quando ormai era scemata ogni possibilità di concludere positivamente l'esperienza della Repubblica Romana, egli, benché malfermo di salute, partecipa all'assalto del Casino dei Quattro Venti a Porta San Pancrazio. Ed è in quell'assalto che subirà la ferita al polpaccio che lo porterà alla morte, non ancora ventiduenne.

Non abbiamo una data certa per sapere quando fu scritto "Fratelli d'Italia". Probabilmente nel 1847. Esso fu musicato da Michele Novaro, anch'egli figlio di Genova.

Quella Genova che può essere considerata il crocevia dell'Unità d'Italia per uomini e per iniziative che da questa città furono prese.

Mazzini, Ruffini, Bixio, Mameli, Canale e accanto a loro il nizzardo Garibaldi e poi Quarto e la spedizione dei Mille, e ancora le prime società operaie che dettero inizio al Patto di Fratellanza; e ancora l'editoria dedicata al progresso civile e al processo unitario di cui fu animatore indiscusso Giuseppe Mazzini.

In questo contesto si sviluppò la vita del Mameli, figlio di Giorgio e Adelaide Zoagli, che offrì all'Italia la sua giovane vita. Come scrisse Mazzini, nell'ottobre del 1849, per una pubblicazione su Mameli: "…come fiore della Floride, egli sbocciò nella notte; fiorì, pallido, quasi a indizio di corta vita, sull'alba: il sole del meriggio d'Italia, non lo vedrà (…). Diventi la breve incontaminata sua vita, consumata tra un inno e una battaglia, simbolo, esempio ed ispirazione ad altre vite e incoraggiamento alla lotta…".

nuvolarossa
24-09-05, 09:12
ROMA, FESTA A VILLA PAMPHILJ PER CELEBRARE LA REPUBBLICA ROMANA

Il presidente del XVI Municipio: ''Sara' una festa che vuole essere popolare, proprio per rievocare lo spirito di quella magnifica esperienza democratica''
Roma, 23 set. - (Adnkronos) - Una festa che rievochi la Repubblica Romana del 1849 con eventi musicali, teatrali e sportivi nel bicentenario della nascita di Giuseppe Mazzini. E' questa l'iniziativa ideata e lanciata dall'Associazione Culturale L'Albero e realizzata con il sostegno del Municipio Roma XVI e dell'Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma, che si svolgerà sabato e domenica a Villa Pamphilj.

''Sara' una festa che vuole essere popolare, proprio per rievocare lo spirito di quella magnifica esperienza democratica - spiegano il presidente del Municipio Roma XVI, Fabio Bellini, e il presidente della Commissione Cultura, Paolo Masini -. Attraverso ricostruzioni teatrali, balli e musica sara' possibile rivivere quei giorni nei luoghi propri della repubblica romana. Gli spettacoli verranno infatti realizzati in quella che era l'infermeria francese».

Teatro della manifestazione sara', non a caso, Villa Pamphilj, luogo delle cruente battaglie del 1849, e in particolare l'area di fronte alla Villa Vecchia (edificio dove fu allestita l'infermeria per i patrioti feriti durante i combattimenti) che fungera' da cornice al primo evento che, con musica, canti, stornelli, animazione, rievocazioni storiche, incontri, mostre, performance teatrali, stand e diffusione di materiali sulla Repubblica Romana, ricordera' uno dei momenti piu' significativi della storia romana, italiana ed europea.

nuvolarossa
01-02-06, 11:40
TV: ACCORDO BONGIORNO PRODUCTIONS-MEDIASET PER FICTION SU MAZZINI

Roma, 31 gen. - (Adnkronos) - E' stato siglato ieri l'accordo tra la casa di produzione Bongiorno Productions e il gruppo televisivo Mediaset per lo sviluppo del soggetto e della sceneggiatura di un progetto sulla vita di Giuseppe Mazzini, grande 'Padre della Patria'. Ancora top secret il nome dell'attore che interpretera' il valoroso Giuseppe Mazzini.

nuvolarossa
08-02-06, 19:50
L'ETA' DI MAZZINI E L'ETA' DI CARDUCCI", GIORNATA DI STUDI

(Sesto Potere) - Bologna - 8 novembre 2006 - Domani, giovedì 9 febbraio, dalle ore 10, si svolge al Museo civico del Risorgimento di Bologna, Piazza Carducci 5, una giornata di studi sul tema Municipio, nazione ed Europa fra l’età di Mazzini e l’età di Carducci: Scrittura e immagine nella ricognizione della memoria storica come identità.
L’iniziativa, promossa dal Museo del Risorgimento, dal Centro interdisciplinare di Studi Romantici dell’Università di Bologna e da altre istituzioni culturali cittadine, intende esaminare diversi aspetti della produzione letteraria e dell’attività figurativa del XIX secolo, per cogliere i connotati di un’identità locale e nazionale nel quadro più ampio di un’identità europea.
Attraverso questi diversi modi di comunicare e la loro interazione reciproca veniva a costruirsi, nel corso dell’Ottocento, un modo di concepire se stessi e la propria storia, nel confronto con gli altri.
Nell’Italia preunitaria, in quella che si potrebbe definire “età di Mazzini”, scrittori e pittori, attraverso una lettura volontaristica e militante della storia politica e culturale della Penisola, contribuirono a disegnare i connotati di un’identità nazionale, valorizzando in quest’ottica nazionale personaggi ed episodi del proprio passato.
Così, nel segno dell’antica Roma Repubblicana, di Dante Alighieri, di Francesco Ferrucci, agli Italiani, non soltanto frammentati in diversi Stati, ma anche differenziati da molteplici identità e appartenenze locali, fu possibile riconoscersi come parte di un’unica nazione.
Compiuta l’unificazione politica, si pose invece il problema di immettere le elaborazioni della fase risorgimentale nella circolazione “sanguigna” diffusa della nazione stessa, con largo uso di strumenti storico-pedagogici: è l’“età di Carducci”, caratterizzata dal duplice tentativo di ridisegnare la memoria culturale in chiave italiana nazionale e di rivendicare il ruolo di tale memoria in un confronto con le altre nazionalità europee.

nuvolarossa
17-08-06, 10:43
MAZZINI NELLA MEMORIA

La grande popolarità di Mazzini ispirò variamente l'arte e la letteratura dopo la sua morte. Giosuè Carducci gli dedicò uno splendido sonetto nel giorno fatale, esprimendo nei versi tutto il suo stupore per la scomparsa ("immortal lui credea"). La prima ampia e documentata biografia fu poi scritta da Jessie White Mario, la moglie inglese di uno dei suoi ultimi discepoli. Le testimonianze iconografiche si moltiplicarono in tutta Italia, a cominciare dalla tomba di Staglieno, ma il primo monumento gli fu eretto nel 1878 a Buenos Aires, per libera sottoscrizione degli emigrati italiani (l'opera è di Giulio Monteverde).

http://img88.imageshack.us/img88/8813/1901fu9.jpg

Allegoria di Mazzini e l'Italia

nuvolarossa
17-08-06, 10:47
http://www.mazzini2005.it/mostramazzini/frame_3/Galleria1/immagini/19_02.jpg

Ritratto di Giosuè Carducci

nuvolarossa
17-08-06, 10:49
http://img221.imageshack.us/img221/7716/1903aw0.jpg

Tomba di Mazzini a Staglieno

nuvolarossa
17-08-06, 10:53
http://img225.imageshack.us/img225/5572/1904nx2.jpg

Davide Dellepiane, Mazzini sul letto di morte

nuvolarossa
17-08-06, 10:54
http://www.mazzini2005.it/mostramazzini/frame_3/Galleria1/immagini/19_05.JPG

La biografia di Jessie White Mario

nuvolarossa
17-08-06, 10:55
http://www.mazzini2005.it/mostramazzini/frame_3/Galleria1/immagini/19_06.JPG

Monumento a Mazzini a Buenos Aires (1878)

nuvolarossa
16-01-07, 19:25
Argentina. Giuseppe Garibaldi a Rosario

ROSARIO.-Il 4 luglio 2007 cadrà il bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, detto l`"eroe dei due mondi". Il Consolato Generale d`Italia Rosario dedicherà la programmazione culturale dell`anno alla memoria di Garibaldi e sappiamo che molti altri concordano sul progetto. Per questo chiamiamo a raccolta tutti coloro che ne apprezzano la figura e, in primo luogo, la comunità italiana.

http://www.italianosdargentina.com.ar/noticias/images/garibaldi%20rosario%20arg.jpg

Per fare il punto sulle iniziative che sorgono in commemorazione di Garibaldi, per pubblicizzare gli eventi culturali che in suo onore si stanno preparando, per ritrovare le tracce lasciate su tutta la circoscrizione consolare da questo grande italiano, abbiamo istituito, dal 1° gennaio 2007 il sito "Garibaldi a Rosario" (http://www.garibaldirosario.org), che vi invitiamo a visitare.
Si tratta di un`iniziativa aperta alle collaborazioni esterne, che non vuole divenire una ricostruzione scientifica della figura di Garibaldi, bensì testimoniare l`affetto che ancora la circonda nella collettività italiana (e non solo italiana) anche nella nostra circoscrizione consolare.
Cosicché vedrete che molte parti del sito attendono il vostro contributo, che potrete darci scrivendo a info@garibaldirosario.org. Esiste nella vostra città una strada, una piazza, una scuola dedicata a Garibaldi? Esiste una casa in cui ha dormito o una statua che ne ricorda il passaggio? Scriveteci, abbiamo bisogno di tutti voi!

tratto da http://www.italianosdargentina.com.ar/index.php?IdNot=5216

nuvolarossa
19-03-07, 13:53
FORLI' - Villa Saffi e il Risorgimento forlivese domani sera a San Varano

FORLI' – “Identità e partecipazione”: questo è il significativo titolo dato ad una serie di conferenze sulla storia di Forlì, sui fatti e i personaggi che ne costituiscono il prezioso e ricchissimo patrimonio.

Le conferenze sono organizzate dal Comune di Forlì, dalla Circoscrizione n. 2 e dai comitati dei quartieri Romiti e San Varano. Il prossimo appuntamento è per Martedì 20 marzo 2007, alle ore 20.30, presso il teatro della Parrocchia di San Varano, Via Firenze n. 207. Per l’occasione Flavia Bugani ed Enrico Bertoni terranno na conferenza sul tema “Villa Saffi e il Risorgimento – fatti e personaggi forlivesi”. La serata sarà introdotta da Ermanna Zoli, Coordinatrice del Comitato di Quartiere, e da Elisa Massa, Presidente della Circoscrizione n. 2.

Flavia Bugani, funzionaria del Comune di Forlì, nonché critica dell’arte e storica ha approfondito la conoscenza specifica della villa, già residenza stabile di Aurelio Saffi e della moglie Giorgina, e ne ha valorizzato le memorie storiche e documentarie. Il suo intervento verterà proprio sulla figura della “padrona di casa”, Giorgina Craufurd Saffi, di cui interessantissimo (e piuttosto misconosciuto) è l’impegno a favore delle donne e del loro ruolo nell’ambito della famiglia e della società. Altrettanto meritevoli di interesse sono i rapporti di Giorgina con il marito, con i figli e con il fraterno amico Giuseppe Mazzini.

Enrico Bertoni, Coordinatore del Museo Interreligioso di Bertinoro, anch’egli un profondo conoscitore della villa di San Varano, parlerà invece di Piero Maroncelli. Alcune vicende biografiche di questo protagonista della storia risorgimentale costituiranno l’occasione per approfondire il significato e il valore di una casa-museo quale Villa Saffi.

A coordinare l’incontro sarà Gabriele Zelli, Assessore del Comune di Forlì, il quale inviterà a riscoprire la Forlì risorgimentale e a proporre un itinerario storico del periodo con l’inevitabile partenza da Piazza Aurelio Saffi, con la statua del triumviro della Repubblica Romana, figura storica di rilievo nazionale instancabile animatore di iniziative politiche e sociali.

L’itinerario attraverso il centro storico consente di conoscere le case natali dei forlivesi che nel risorgimento ebbero un ruolo da protagonisti, in particolare quelle di: Achille Cantoni in c.so Mazzini n. 91, di Alessandro Fortis in c.so Garibaldi n. 40, di Antonio Fratti in via G. Regnoli n. 1-3, di Giovita Lazzarini nella via omonima al n. 14, di Piero Maroncelli pure nella via omonima al n. 44, e di Aurelio Saffi in via Albicini n. 25.

tratto da http://www.romagnaoggi.it/

nuvolarossa
01-04-07, 12:57
IL GIRO DELL'EROE DEI DUE MONDI

Il 90° Giro d'Italia propone molti temi, a partire da uno straordinario omaggio: il 4 luglio 2007 ricorre il bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi al quale la prossima “corsa rosa” riserva, d'intesa con il Comitato delle Celebrazioni istituito dal Ministero dei Beni Culturali, grande attenzione, festeggiandolo in Sardegna, l'isola che ne conserva imperituro ricordo.
Non per caso il Giro muove da Caprera, l'isola in cui è sepolto l'Eroe dei Due Mondi.
E la quinta tappa partirà da Teano, non lontano da Caiazzo, il luogo in cui Garibaldi incontrò re Vittorio Emanuele II per assecondare il disegno del Conte di Cavour.
Si transiterà anche da Quarto non prima di aver salutato, nella stessa tappa, la Valgraveglia, terra che annota tra i cognomi più diffusi quello di Garibaldi. Il Giro farà tappa anche a Bergamo, la cui provincia diede alla spedizione ben 216 garibaldini.
Due sono le ulteriori citazioni “patrie” del 90° Giro: la partenza della 9.a tappa da Reggio Emilia che festeggia il 210° anno del Tricolore, simbolo di libertà e identità nazionale, e il transito, durante la decima frazione, da Quarto, lo scoglio dal quale presero le mosse le 1.090 camicie rosse al seguito di Garibaldi. (...)

tratto da http://www.giuseppegaribaldi.info/index.html

nuvolarossa
02-04-07, 18:32
Via al restauro del sudario e del drappo funebre dell’Eroe, donati alla città e poi dimenticati


Nel 1882 l’amministrazione contribuì alle esequie acquistando la bara e la corona

I preziosi oggetti sono già in viaggio per Cagliari, dove un’équipe di esperti li salverà dal degrado

http://www.giuseppegaribaldi.info/images/p234_1_01.jpg

SASSARI. In 125 anni è stato dimenticato, smarrito, ritrovato e ancora dimenticato. Niente musei, solo muffa e polvere. Una sorte ingloriosa per il sudario di Giuseppe Garibaldi. Quello che poteva essere il vanto dell’amministrazione sassarese, è invece una vergogna lunga più di un secolo. Un’onta che il Comune ha deciso di lavare definitivamente: il lenzuolo sul quale venne composta e imbalsamata la salma dell’Eroe dei Due Mondi verrà finalmente restaurato. La giunta Ganau ha chiesto e ottenuto un finanziamento regionale per ridare lustro a un oggetto che la famiglia di Garibaldi, che era cittadino onorario di Sassari, aveva donato al capoluogo turritano. Un modo per farsi perdonare, proprio nel bicentenario della nascita dell’Eroe.

Il prezioso cimelio, sinora custodito (o per meglio dire abbandonato) nella biblioteca comunale, è già in viaggio per Cagliari. Là un’equipe di esperti eseguirà una complicata operazione di vaporizzazione e disinfezione nel tentativo di porre rimedio alle ferite portate dagli anni e dall’incuria. Il progetto, commissionato dal Comune, è stato preparato dalla Soprintendenza, che ha previsto una spesa di 8 mila euro, prontamente concessi dalla Regione.
«Siamo fieri di poter recuperare un oggetto di tale valore - ha spiegato l’assessore alla Cultura, Angela Mameli -. Il sudario si trova in pessime condizioni, è giusto che la città di Sassari riscopra e valorizzi un cimelio di enorme valore storico e culturale. Proprio nel bicentenario garibaldino avremo l’occasione di esporlo e aprire una riflessione su una figura così amata dagli italiani».

Garibaldi in città. Sulla storia del sudario di Garibaldi si potrebbe scrivere un romanzo. Ma è necessario fare un ulteriore passo indietro. La prima visita dell’Eroe a Sassari risale al 1854, quando sbarcò a Porto Torres, entrò in città da Porta Sant’Antonio e soggiornò per alcuni giorni nella locanda Farina. La sua presenza, testimoniata anche da alcuni documenti di Enrico Costa, è probabilmente riconducibile a una battuta di caccia nella zona. Per l’occasione un gruppo di cittadini si mobilitò, organizzando una sorta di serenata in onore di Garibaldi. La sua seconda visita a Sassari risale all’estate 1856. La sua permanenza, ancora testimoniata dal Costa e da Angelo Rundine (“Sassari e Garibaldi”, 1982), in questa circostanza passò praticamente inosservata.

La cittadinanza onoraria. Dopo la celebre spedizione dei Mille, Garibaldi tornò nella sua Caprera. Nel gennaio 1861, Simone Manca, allora sindaco di Sassari, propose al consiglio comunale di conferire all’Eroe la cittadinanza onoraria. La delibera, approvata all’unanimità, arrivò sulla scrivania di Garibaldi, che non tardò a rispondere: solo una settimana più tardi Garibaldi scrisse che avrebbe accettato con piacere. Così il 17 febbraio 1861 il sindaco e una delegazione di consiglieri partirono alla volta di Caprera per consegnare ufficialmente l’atto all’Eroe.

Il sudario. La notizia della morte di Garibaldi, nel 1882, venne accolta con grande commozione in città. La giunta deliberò di partecipare ai funerali portando la banda musicale e accollandosi le spese per la corona, la bara e il drappo funebre, terminato in tutta fretta la sera prima della partenza per Caprera. Dopo i funerali solenni, prima di tornare in città la delegazione sassarese ricevette in dono il drappo, ma portò inavvertitamente con sè anche il sudario che avvolse la salma di Garibaldi prima del seppellimento. Il sindaco di Sassari, Gerolamo Ledà d’Ittiri, scrisse alla famiglia, chiedendo e ottenendo di poter tenere anche il sudario, sul quale erano visibili le tracce dell’operazione di imbalsamazione eseguita sul corpo di Garibaldi. L’originalità dei due oggetti è certificato da un atto datato 1907.

La lapide Nel 1883 un gruppo di reduci garibaldini decise di porre una lapide commemorativa, fatta in granito di Caprera, sulla casa che nel 1854 ospitò l’eroe nizzardo, al numero 23 di corso Vittorio Emanuele. L’accordo con il proprietario della casa non fu però mai raggiunto, e la lastra venne murata su un lato del palazzo Civico, all’angolo con via Satta, dove tuttora si trova. Curiosamente, le date riportate sulla lapide (1855 e 1859) sono errate.

Garibaldi e Sassari Dal discorso fatto da Giuseppe Garibaldi durante la cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria sassarese, nel febbraio 1861. «La Sardegna ha un posto speciale nel mio cuore, prima d’oggi io presi ad amare la città di Sassari e fra i miei desideri entra quello di potere essere utile in qualunque tempo, in qualsiasi modo alla mia patria elettiva, ai buoni sassaresi che mi vollero onorare della loro cittadinanza, della quale vi dichiaro di andare superbo».

tratto da http://www.giuseppegaribaldi.info/index.html

nuvolarossa
03-04-07, 10:18
Il mistero «Il corpo di Garibaldi non venne cremato»
Da Caprera smentiscono la pronipote Anita
«Prima venne imbalsamato e poi sepolto»

Gelosi custodi delle spoglie di Garibaldi, i maddaleni non hanno dubbi: il corpo imbalsamato dell'eroe dei due mondi è sepolto a Caprera, l'isola dell'arcipelago della Maddalena che lo conquistò al primo sbarco nel 1849 e dove si stabilì otto anni dopo. A confermarlo, smentendo la pronipote Anita che ipotizza la cremazione, ci sarebbero documenti già agli atti e uno scritto ancora da acquisire destinato, a detta degli esperti, a mettere fine alla querelle. Lo svela Stefania Susini, dal 1979 responsabile delle attività culturali del Compendio di Caprera, tra le più anziane operatrici del Museo, studiosa da sempre della vita di Garibaldi per il quale nutre un'autentica passione, un pallino di famiglia: è infatti la discendente del sindaco della Maddalena Nicolò Susini, suo trisnonno, amico fraterno del generale, di cui quest'anno si celebrano i 250 anni della nascita. «Garibaldi è morto alle 18.20 del 2 giugno 1882 e la notizia si è diffusa in tutto l'arcipelago a tempo di record, con un tam-tam da barca a barca - racconta la Susini - È stato impossibile a quel punto rispettare la sua volontà e procedere alla cremazione del corpo, a quei tempi illegale, e fattibile solo se la morte fosse stata tenuta nascosta». «Esistono dei documenti conservati nel Museo garibaldino - prosegue l'esperta - che provano come sia fallito un primo tentativo di imbalsamazione con l'acido fenico, operazione poi riuscita grazie all'invio a Caprera, per decisione del Prefetto di Sassari, di 12 chili di glicerina. Il funerale venne celebrato alle 14.30 dell'8 giugno del 1882 alla presenza di alti funzionari e del ministro della Guerra. Sono stati acquisiti diversi testi che raccontano come durante la cerimonia sia scoppiato un uragano che accelerò la sepoltura: il corpo imbalsamato fu tumulato giusto in tempo, prima che si scatenasse il finimondo.

tratto da http://www.laprovinciadilecco.it/

nuvolarossa
06-04-07, 09:29
Garibaldi, due mostre a Rimini

di Redazione

«Garibaldi fu forse il Massone italiano dell’Ottocento più noto e autorevole. La sua adesione alla Massoneria fu una scelta meditata e vincolante, che egli maturò a metà della sua esistenza e che mantenne in modo consapevole fino alla morte. Un’adesione che divenne ancor più convinta nel 1862, dopo i fatti di Aspromonte, quando gli obiettivi di costruire uno stato laico e democratico e di liberare Roma dal dominio temporale dei Papi si identificano, di fatto, con quelli della Massoneria». Così il Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani, Gustavo Raffi, traccia la figura di Garibaldi massone che sarà ricordata nel corso della Gran Loggia «Pedagogia delle libertà», in programma a Rimini dal 13 al 15 aprile. Due saranno i momenti dedicati a Garibaldi: le mostre «I Mille di Garibaldi» nell’album fotografico di Alessandro Pavia e «Cimeli Garibaldini», organizzate rispettivamente dal Servizio Biblioteca - in collaborazione con la casa editrice Gangemi - e dall’Archivio storico del Grande Oriente d'Italia.

venerdì 06 aprile 2007, 07:00
tratto da http://www.ilgiornale.it/?SS_ID=-1

TIGERSUITE
06-04-07, 22:22
eroi ????????????????????????????????????????
ma no ! per piacere
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=335840

nuvolarossa
07-04-07, 10:20
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


Ana Maria de Jesus Ribeiro

... meglio conosciuta come Anita Garibaldi (Morrinhos, Santa Catarina, Brasile, 1821 - Mandriole di Ravenna, Italia, 4 agosto 1849) fu moglie di Giuseppe Garibaldi; è conosciuta universalmente come l' Eroina dei Due Mondi.

http://www.giuseppegaribaldi.info/images/180px-anita_garibaldi_-_1839.jpg

Di famiglia modesta, discendente da portoghesi immigrati dalle Azzorre nella provincia di Santa Caterina nel settecento. Il padre Benito faceva il mandriano nei pressi di Lajes, si sposò con Maria Antonia de Jesùs dalla quale ebbe sei figli, di cui tre nati a Coxillas e altri tre a Morrinhos. Morto il padre e i tre fratelli, la madre e le tre figlie si trasferirono a Carniza.
Anita dovette aiutare ben presto nel sostentamento famigliare, tantoché all'età di 14 anni, su consiglio della madre, sposò il 30 agosto 1835 a Laguna Manuel Durante de Aguiar, calzolaio di condizioni agiate, ma di idee monarchiche. Dopo soli tre anni di matrimonio, il marito si arruolò nell'esercito imperiale, lasciando la giovane sposa.
Era il 1839 ed un giovane italiano, Giuseppe Garibaldi, combattente nella rivoluzione riograndense (Guerra dos Farrapos), approda con le navi a Laguna, dove conosce Anita. La ragazza, attratta dall'animo del combattente, se ne innamorò: abile cavallerizza, fu maestra dell'inesperto marinaio che, dal canto suo, la iniziò alla tecnica militare. Cominciò così la loro vita insieme nella lotta alle forze imperialiste.
Nella battaglia di Curitibanos agli inizi del 1840, Anita venne fatta prigioniera, ma il comandante nemico, ammirato dal suo temperamento indomito, si lasciò convincere di concederle la ricerca del cadavere del marito fra i caduti in battaglia; in un attimo di distrazione della vigilanza, afferrò un cavallo e fuggì ricongiungendosi con Garibaldi a Vacaria, nel Rio Grande Do Sul. Il 16 settembre 1840 nacque il loro primo figlio al quale diedero il nome di un patriota italiano, Menotti. Dopo pochi giorni, Anita sfuggì ad un nuovo agguato, infatti gli imperialisti circondarono la casa, ma ella si lanciò a cavallo col neonato in braccio e raggiunse il bosco dove rimase nascosta per 4 giorni finché Garibaldi la ritrovò.
Nel 1841 la situazione militare divenne insostenibile, Garibaldi chiese ed ottenne dal generale Bento Gonçalves di lasciare l'esercito repubblicano: Anita, Giuseppe e Menotti si trasferirono quindi a Montevideo dove rimasero per 7 anni.
Nel 1842 ufficializzarono il loro legame e si sposarono nella parrocchia di San Bernardino.
Nel 1843 nacque Rosita che morì a soli 2 anni.
Nel 1845 nacque Teresita e nel 1847 nacque Ricciotti Garibaldi.
Anita appoggiò sempre le scelte del marito, che nonostante insegnasse storia e matematica, continuò ad avere rapporti con i rifugiati politici italiani fin tanto che costituì la Legione Italiana contro i filo-argentini che contestavano la sovranità dell'Uruguay. Nel 1847 Anita salpò per l'Italia con i figli e raggiunse a Nizza la madre di Garibaldi che li raggiunse alcuni mesi dopo.
Il 9 febbraio 1849 presenziò con il marito alla proclamazione della Repubblica Romana, ma l'invasione franco-austriaca di Roma, dopo la sconfitta al Gianicolo, li costrinse a lasciare la città.
Anita, sofferente ed in avanzato stato di gravidanza, cercò di non far sentire il proprio peso al marito, ma le condizioni peggiorarono quando raggiunsero la Repubblica di San Marino. Braccati dai nemici, venne trasportata in fretta e furia alla fattoria Guiccioli a Ravenna dove spirò il 4 agosto 1849.
Nei dieci anni di esilio di Garibaldi i resti di Anita vennero riesumati per ben 7 volte dai vari contendenti.
Per volontà del marito le sue spoglie nel 1859 vennero trasferite a Nizza; nel 1932 furono deposte sotto il monumento erettole sul Gianicolo, a Roma.

tratto da http://www.giuseppegaribaldi.info/index.html

nuvolarossa
17-04-07, 09:32
Dal 4 maggio a Santa Giulia in esposizione i tesori di una collezione privata tra le più ricche del genere, quella Tronca
Garibaldi che passione: a Brescia tutte le immagini del mito

BRESCIA - Statue e dipinti celebrativi, arazzi, bandiere. Ma anche scatoline con la sua immagine, piatti, brocche, fazzoletti, piccoli oggetti immagine di un mito capace di travalicare i confini nazionali e di trasformarsi in una sorta di merchandising ante litteram. Si inserisce a pieno titolo nelle tante iniziative per i duecento anni della nascita, la piccola mostra che la Fondazione Brescia Musei dedica, a Santa Giulia, a Giuseppe Garibaldi. E svela i tesori di una collezione privata tra le più ricche del genere, offerta per la prima volta al pubblico dal 4 maggio all’8 luglio.
Carismatico, affascinante, popolarissimo, Garibaldi fu probabilmente il primo personaggio storico italiano a far innamorare di sé, trasversalmente, tante nazioni. L’Italia e l’Europa dell’Ottocento sembravano impazzite per lui. Così in ogni casa italiana, in molte case inglesi, francesi e di altre nazioni, veniva custodito, quasi venerato, qualcosa che lo riproduceva, dal ritratto in divisa da generale piemontese nelle famiglie nobili di fede monarchica, all’incisione acquerellata in camicia rossa in quelle delle famiglie repubblicane meno abbienti, dai piatti alle pipe, dai ricami ai busti. E sono proprio queste espressioni iconografiche create per coloro che volevano avere accanto un’immagine del Generale, che Francesco Paolo Tronca, oggi prefetto di Brescia, ha scovato e raccolto in trent’anni di ricerca.
A far scattare la passione, racconta Tronca, il contatto emozionante con un coltello dal manico d’osso, la «lama da combattimento» che il nonno, Capitano dei Garibaldini, gli aveva lasciato in eredità insieme con il cannocchiale. «Per me questi non erano più vecchi cimeli di famiglia, bensì testimonianze vive, immediate, della lotta per l’Unità d’Italia», spiega. La collezione Tronca nasce così. Pezzo dopo pezzo, si arricchisce alla fine di oltre 500 testimonianze di un eroe e di un’epopea che divennero mito in Italia e non solo.
Cimeli veri e propri, come la sciabola d’arrembaggio che Garibaldi avrebbe usato nel periodo sudamericano. O come la sciabola di un garibaldino famoso, quel Luciano Manara che morì da eroe nella difesa di Roma, ucciso da un colpo francese il 30 giugno 1849. E poi quadri, bandiere, busti, statue, bronzi nati per celebrare l’eroe dei due mondi, per ricordare gli episodi salienti della sua vita e della sua epopea, le battaglie, Caprera, la tragica morte di Anita. Con molto spazio dedicato, naturalmente all’apoteosi dei Mille, all’incontro di Teano con Vittorio Emanuele II, alla battaglia di Mentana.
Espressioni di un’arte celebrativa, cui si affiancano oggetti d’uso, gioielli, stoffe, ricami, tutti con l’effige dell’eroe.

tratto da http://www.larena.it/

nuvolarossa
18-04-07, 09:55
ASSOCIAZIONE Amilcare CIPRIANI
Circolo A.I.C.S. (Associazione Italiana Cultura e Sport)
Via Donna Olimpia, 30 - 00152 ROMA - Tel. Fax 06 5370470

INVITO per il 18 Aprile 2007

Il Mausoleo Ossario Gianicolense, detto anche Mausoleo Garibaldino del Gianicolo, è un sacrario che contiene i resti dei caduti nelle battaglie combattute tra il 1849 e il 1870 per avere Roma capitale dello Stato italiano, sottraendola al potere temporale del Papa. In particolare, il Mausoleo contiene la tomba di Goffredo Mameli, il poeta autore del nostro inno nazionale, aiutante di campo di Garibaldi, caduto a 21 anni nella difesa della Repubblica Romana del 1849.

La curiosa e tormentata storia del Mausoleo forma oggetto della conferenza:

Alessandro Cartocci:

Il Mausoleo Garibaldino del Gianicolo


18 aprile 2007 - ore 17 - Circolo A.I.C.S. A. Cipriani - Via Donna Olimpia 30

Alessandro Cartocci, medico ospedaliero, discendente da un garibaldino caduto nella difesa di Roma del 1849, è uno studioso di storia che ha incentrato le sue ricerche, in particolare, su Garibaldi e i garibaldini. Le sue ricerche su iconografie e documenti lo hanno portato a collaborare, nella realizzazione di articoli e mostre, con l’Istituto Nazionale per la Grafica, il Comune di Roma, la Provincia di Roma, nonché vari Istituti , Accademie e Associazioni culturali che si occupano della materia.

La conferenza è aperta a tutti pur essendo inclusa nel corso di aggiornamento riservato agli accompagnatori delle visite guidate sui luoghi della battaglie del 1849, organizzate dall’Associazione A. Cipriani.

tratto da http://www.comitatogianicolo.it/new/chisiamo/eventi.htm

nuvolarossa
19-04-07, 11:07
GARIBALDI SUL LAGO MAGGIORE: CON IL MUSEO DEL SOLDATINO DI BOLOGNA

(Sesto Potere) - Bologna - 19 aprile 2007 -Con la presentazione in Prefettura del libro “Garibaldi sul Lago Maggiore” e l´inaugurazione della Mostra dall´omonimo titolo realizzata nei locali del Museo del Paesaggio di Verbania, (sede Palazzo Biumi Innocenti) sono entrate nel vivo le manifestazioni celebrative del Bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi.

Il volume costituisce un utile e agevole strumento di conoscenza dell´attività svolta dall´Eroe dei Due Mondi nel territorio sia lombardo che piemontese, lambito dalle acque del lago Maggiore. Il medesimo tema è stato sviluppato nella Mostra, che presenta ai visitatori cimeli garibaldini provenienti dal territorio della provincia del Verbano Cusio Ossola, (tra i più importanti il berretto donato dal Generale alla Società Operaia di Intra di cui è Presidente Perenne) e conferiti da importanti Musei italiani, tra i quali il Museo Storico della Guardia di Finanza di Roma, i Musei del Risorgimento di Pavia e Milano, il Museo G. Garibaldi di Como, il Museo Aldo Rossini di Novara, i Musei Civici di Domodossola, il Museo del Soldatino e della figurina Storica di Cadenzano, il Museo Nazionale del Soldatino “M. Massaccesi” di Bologna.

Alla Mostra è stata altresì collegata la Mostra Concorso “Soldatini”, incentrata particolarmente sulle Giubbe Rosse Garibaldine, al cui vincitore è stata consegnata la Targa Premio concessa dal Presidente della Repubblica.

tratto da http://www.sestopotere.com/

nuvolarossa
19-04-07, 20:57
Il marinaio Giuseppe Garibaldi

Nel 1827 salpò da Nizza con la Cortese per il mar Nero, ma il bastimento venne fermato dai pirati turchi. La nave venne depredata e furono rubati i vestiti ai marinai; comunque il viaggio continuò. Nell'agosto del 1828 dalla Cortese sbarcò a Costantinopoli, dove sarebbe rimasto fino al 1832 a causa della guerra turco-russa. Qui si integrò nella comunità genovese nel quartiere di Galata (Pera), e si guadagnò da vivere insegnando italiano, francese e matematica. Nel Febbraio del 1832 gli fu rilasciata la patente di capitano di seconda classe, subito dopo si reimbarcò con la Clorinda per il mar Nero. Ancora una volta la nave fu presa di mira dai pirati, ma questa volta l'equipaggio li accolse a fucilate. Garibaldi fu ferito ad una mano, ma si sarebbe ricordato questa scaramuccia come il suo primo combattimento.
Dopo 73 mesi di navigazione ritornò a Nizza, ma subito, nel marzo 1833 ripartì per Costantinopoli. All'equipaggio si aggiunsero tredici passeggeri francesi seguaci di Henri de Saint-Simon. Il loro capo era Emile Barrault, un professore di retorica che espose le idee sansimoniane all'equipaggio.
Garibaldi, allora ventiseienne, si fece molto influenzare dalle sue parole che lo convinsero che nel mondo c'era un grande fremito di libertà. Lo colpì questa affermazione: «che l'uomo, il quale, facendosi cosmopolita, adotta l'umanità per patria e va ad offrire la sua spada ed il sangue ad ogni popolo che lotta contro la tirannia è più di un soldato: è un eroe». Poi lasciarono i francesi a Costantinopoli e la nave procedette per Tganrog. Qui in una locanda, mentre si discuteva, un uomo detto il Credente espose le idee mazziniane.
A Giuseppe le tesi di Giuseppe Mazzini sembravano la diretta conseguenza delle idee di Barrault, nella lotta per l'Unità d'Italia, momento iniziale della redenzione di tutti i popoli oppressi. Quel viaggio cambiò la vita di Garibaldi; nelle sue Memorie riguardo a questo evento scrisse: «Certo non provò Colombo tanta soddisfazione nella scoperta dell'America, come ne provai io al ritrovare chi s'occupasse della redenzione patria».
La tradizione vuole che Giuseppe Garibaldi abbia incontrato Giuseppe Mazzini nel 1833 e che si sia iscritto subito alla Giovine Italia, fondata da Mazzini. Ma questo è un falso storico: Garibaldi vi entrò solo un anno dopo. Però, sospinto dall'impegno politico, entrò nella Marina Sabauda per fare propaganda rivoluzionaria. Come marinaio piemontese Garibaldi assunse il nome di battaglia Cleombroto, un eroe tebano, fratello gemello di Pelopida che combatté con Epaminonda contro Sparta.
Insieme all'amico Edoardo Mutru cercò a bordo e a terra di fare proseliti alla causa, esponendosi con leggerezza. Infatti i due furono segnalati alla polizia e sorvegliati, e per questo vengono trasferiti sulla fregata Conte de Geneys in partenza per il Brasile. Nel frattempo si era stabilito che l'11 febbraio 1834 ci sarebbe stata un'insurrezione popolare in Piemonte. Garibaldi scese a terra per mettersi in contatto con gli organi mazziniani; ma il fallimento della rivolta in Savoia e l'allerta di esercito e polizia fanno fallire il moto. Il nizzardo non ritornò a bordo della Conte de Geneys, divenendo in pratica un disertore, e questa latitanza venne considerata come un'ammissione di colpa.
Indicato come uno dei capi della cospirazione, fu condannato alla pena di morte ignominiosa in contumacia in quanto nemico della Patria e dello Stato.
Garibaldi divenne così un "bandito": si rifugiò prima a Nizza e poi varcò il confine giungendo a Marsiglia, ospite dell'amico Giuseppe Pares. Per non destare sospetti assunse il nome fittizio di Joseph Pane e a luglio si imbarcò alla volta del Mar Nero, mentre nel marzo del 1835 fu in Tunisia. Il nizzardo rimane in contatto con l'associazione mazziniana tramite Luigi Cannessa e nel giugno 1835 viene iniziato alla Giovine Europa, prendendo come nome di battaglia "Borrel" in ricordo di Joseph Borrel, martire della causa rivoluzionaria. Garibaldi decise quindi di partire alla volta del Sud America con l'intenzione di propagandare gli ideali mazziniani. L'8 settembre 1835 partì da Marsiglia sul brigantino Nautonnier.
L'eroe dei due mondi in rotta lungo le coste del Cile (1851 - 1853)
Nell'estate del 1849, dopo lo sfortunato epilogo della Repubblica Romana, un'avventurosa fuga attraverso l'Umbria e le Marche portò Giuseppe Garibaldi ed i resti della Legione Italiana nelle paludi di Comacchio. Qui, il 4 agosto del medesimo anno, trovò morte la compagna Anita, la quale, sebbene in attesa di un figlio, aveva voluto seguire l'"Eroe dei due mondi" nell'ennesimo cimento di guerra.
Scampato alla cattura da parte degli austriaci, da Ravenna , Garibaldi riuscii a raggiungere Portovenere ed infine Chiavari, ove agli inizi di settembre fu arrestato dai carabinieri piemontesi e condotto a Genova.
Liberato dopo alcuni giorni di detenzione grazie alle numerose proteste di parlamentai sardi, il condottiero s'imbarcò su di una nave a vapore con la quale avrebbe dovuto raggiungere Tunisi, il luogo che egli stesso aveva scelto per il suo secondo esilio. Durante il viaggio, Garibaldi riuscì a sostare per qualche ora a Nizza, il tempo necessario per riabbracciare la madre ed i figli. Rifiutandogli lo sbarco a Tunisi per motivi politici, Garibaldi iniziò a peregrinare per il Mediterraneo, sostando dapprima alla Maddalena, poi a Tangeri e a Gibilterra. Varcate le colonne d'Ercole, Garibaldi approdò a Liverpool ed, infine, si diresse in America del Nord ove giunse nell'aprile 1850. Nell'aprile dell'anno seguente dopo aver trascorso qualche tempo a New York, ospite dell'amico Antonio Meucci (l'inventore del telefono), utilizzando il nome di Giuseppe Pane (già adottato nel lontano 1834), Garibaldi seguì l'amico Francesco Carpaneto dapprima in America Centrale e poi in quella Meridionale, peraltro già teatro delle sue imprese giovanili, stabilendosi inizialmente a Lima. Qui fu accolto a braccia aperte dalla "ricca e generosa colonia Italiana", come egli steso ricordò nelle sue Memorie, nel contesto delle quali scrisse: "Quando io penso alle nostre colonie Italiane dell'America meridionale, è veramente da andarne superbi. Quei nostri conterranei sulla terra libera di quelle Repubbliche mi sembrano valer più assai che nelle nostre contrade". Ed è proprio in questi affascinati angoli del pianete che Garibaldi, abbandonati - per un momento - i panni del condottiero, "riprese" quelli di capitano di una nave (più precisamente un cargo mercantile), con la quale compì numerosi e lunghi viaggi intercontinentali. Fu proprio a Lima dunque che, sul finire del 1851, Garibaldi conobbe l'imprenditore Pietro Denegri, appartenente ad una facoltosa famiglia italiana originaria di Chiavari (secondo altri di Nizza) stabilitesi n Perù per affari. Il Denegri, infatti, gli affidò il comando della nave Carmen, un clipper mercantile da 400 tonnellate ancorato al Callao (il proto di Lima), destinata ad operare il commercio con la Cina. I viaggi per la Cina iniziarono il 10 gennaio 1852, data della partenza da Callao per Canton, ed ebbero come scopo principale il trasporto di guano, un fertilizzante naturale di cui sia il Perù che il Cile erano già allora i principali esportatori. In più occasioni, al rientro in Perù, Garibaldi sbarcò al Callao molti emigrati cinesi, le cui colonie già allora erano ben impiantate sia nel Nord che nel Sud dell'America. Di tale attività fu testimone lo stesso armatore Pietro Denegri. Nel 1865, incontrando a Lima il noto scrittore Vittorio Vecchi (meglio conosciuto con lo pseudonimo di Jack La Bolina), ricordando la figura di Garibaldi, l'armatore disse: "Don Victor, non ho mai avuto un capitano simile e che tanto poco mi spendesse (.) M'ha sempre portati i Chinesi nel numero imbarcato e tutti grassi ed in buona salute, perché li trattava come uomini e non come bestie". Per regione climatiche, i viaggi per la Cina (e per l'Asia in generale) furono spesso alternati ad altrettante missioni che potremmo definire "a breve raggio d'azione". Alcune di queste missioni ebbero luogo a partire dell'estate dello stesso 1852, allorquando Garibaldi, al ritorno da Canton, ripartì "in zavorra" (in gergo marinaro equivale a "senza carico utile") alla volta di Valparaiso, in Cile. Qui la Carmen fu noleggiate per alcuni viaggi commerciale per contro del governo cileno, proprio in quel momento impegnato un vasto programma di interscambi commerciali con l'Europa ed il Nord America.
Essendo quelli gli anni della Presidenza di Manuel Montt (1851-1861), un periodo felice per il Cile, essendo caratterizzato da un processo di profondo rinnovamento sociale ed economico, tanto da far guadagnare a quel Paese l'appellativo di "la Prussia dell'America del Sud". La Carmen fu dunque adibita al trasporto di rame, una delle principali risorse minerarie del Cile, e per questo toccò i porti di Coquimbo e di Huasco, già allora considerati come i principali poli minerari del paese. Per diversi mesi, Valparaiso e gli altri porti cileni, grazie soprattutto all'ospitalità degli abitanti, rappresentarono per il Garibaldi marinaio i "luoghi del riscatto": I luoghi ove il grande condottiero ritrovò nuovamente se stesso dopo la perdita della cara mamma avvenuta il 19 marzo (sempre dell'52) mentre esule navigava nell'Oceano Indiano. Nella bella Valparaiso, già allora considerata la più grande città marittima e mercantile del Cile, Garibaldi ritrovò anche la Patria lontana, grazie a quel "Consistente lembo d'Italia" sorto attorno alla primitiva colonia ligure sbarcatavi verso la fine del '700. In quella fatidica estate del '52 quando il capitano Francesco Pane sbarcò a Valparaiso tutti gli italiani gli corsero incontro avendo riconosciuto in lui il grande Giuseppe Garibaldi. Come ricordano le cronache del tempo: "non si contentarono degli evviva, ma gli offrirono una magnifica bandiera che poi lo seguí oltre l'Atlantico e sventolò a Quarto, a Palermo,e d al Volturno". In realtà, la "bandiera degli italiani" fu donata a Garibaldi dalle donne italiane di Valparaiso e fatta recapitare a Caprera sono nel 1855.
Il vessillo fu lo stesso che nella primavera del 1860, affidato inizialmente all'alfiere Giuseppe Campo della gloriosa 7 compagnia, guidò i Mille sin dalla partenza di Quarto. Nell'epica battaglia di Calatafimi del 15 maggio, la "Bandiera dei Mille" (come fu subito ribattezzata) fu difesa strenuamente dal prode Simone Schiaffino (un capitano di lungo corso della Marina genovese, nato a Camogli nel 1835), il quale cadde eroicamente sull'altura detta "il Pianto dei Romano", trafitto dai numerosi colpi di fucile, nel vano tentativo di sottrarla ai Cacciatori napoletani che l'avevano conquistata. L'ultimo viaggio che Garibaldi effettuò al comando della Carmen ebbe inizio proprio da Valparaiso alla volta di Boston, in America del Nord, ove il mercantile giunse verso la fine del 1852. Trasferita l'imbarcazione a New York, in seguito ad alcune incomprensioni sorte con l'armatore Denegri, il capitano Garibaldi decise di lasciare il comando della barca. Con il denaro guadagnato in Sud America e con una piccola eredità realizzata a Nizza, l'"eroe dei due mondi" ritornò a Genova il 10 maggio 1854. Mutando spesso navi ed armatori, Garibaldi continuò a sfidare il mare per molti anni ancora; ciò fino al febbraio 1859, data della sua partenza da Caprera per i nuovi cimenti di guerra che tutti conosciamo. Nel 1872, circa venti anni dopo aver lasciato l'America Latina, L'Unione Italiana di Valparaiso, appena istituita, volle conferire l'incarico di primo Presidente Onorario proprio al Generale Garibaldi. Il grande condottiero, com'era sua abitudine, ripose con un'accordata e patriottica lettera, che concluse con la seguente frase: "Accetto con gratitudine il titolo, ricordando con affetto la gentile accoglienza dei concittadini Valparaiso".

tratto da http://www.giuseppegaribaldi.info/index.html

nuvolarossa
23-04-07, 17:25
ASSOCIAZIONE TEMPORANEA DI SCOPO - COMITATO BICENTENARIO NASCITA GIUSEPPE GARIBALDI - NIZZA 4 LUGLIO 1807 - LA MADDALENA 4 LUGLIO 2007 - CITTA'DI LA MADDALENA

25 Aprile 2007 - Festa della Liberazione - in collaborazione con la Scuola Sottufficiali Marina Militare "Domenico Bastianini"

Programma

Ore 10.00 - Deposizione corone presso Lapidi caduti nelle due guerre mondiali alla presenza delle Delegazioni Associazioni d'Arma / Combattentistiche.

- Piazza del Municipio - Ore 10.30

Orazione celebrativa del Presidente dell'Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell'Autonomia prof. Gian Giacomo Ortu

Daniela Cossiga e Sante Maurizi ( "La Botte e il Cilindro"), Lettura di brani sui temi della Resistenza garibaldina nei Balcani e della lotta di Liberazione.

Ore 11.30 - Esibizione Corpo Bandistico "Giuseppe Verdi - Sassari ;

Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell'Autonomia recapito postale: viale Umberto, 28 - 07100 SASSARI

e-mail: issras@tiscali.it
http://www.italia-liberazione.it/it/

tratto dal gruppo Mazziniani-sul-Web · Dio e Popolo - Pensiero e Azione (http://it.groups.yahoo.com/group/Mazziniani-sul-Web/) ... 343 iscritti con oggi ...

nuvolarossa
25-04-07, 14:59
Una mostra sui cimeli garibaldini

GENOVA - Cinquecento cimeli garibaldini e massonici, ma nessuno appartenuto direttamente all'Eroe dei due mondi, appaiono in una mostra per il bicentenario della nascita di Garibaldi, aperta ieri e che si chiuderà sabato alla Sala Govi del teatro della Gioventù di Genova.

Organizzata dalla Gran loggia d'Italia di Piazza del Gesù, la mostra «Garibaldi primo massone d'Italia» curata da Sergio Ferrando, ha come corollario un convegno sabato prossimo su Garibaldi massone.

«Abbiamo fatto un'operazione nella totale trasparenza e infatti abbiamo avuto il patrocinio degli enti locali. Oggi la massoneria è portatrice di valori etici e morali», ha detto il delegato regionale della Gran Loggia d'Italia Palazzo Vitelleschi, Giovanni Bertaina, che ha anche detto di «aver chiesto dei pezzi a Stefania Craxi per una mostra nella nostra sede romana, ma il costo era troppo esoso».

In occasione dell'esposizione i massoni liguri hanno proposto al Comune di Genova di sovvenzionare il restauro di una corona bronzea donata da due fratelli massoni al monumento di Garibaldi in largo Pertini, dalla quale è stata tranciata la parola «maestro».

Infatti questo aspetto della vita di Garibaldi è sempre rimasto volutamente un po’ nascosto al grande pubblico, soprattutto per quanto riguarda i libri scolastici. Così non tutti sanno, ad esempio, che Garibaldi si iscrisse alla Massoneria all’età di 37 anni e che fu proprio per perseguire gli ideali massonici di libertà ed eguaglianza che si rese sempre protagonista di battaglie dove il popolo oppresso si ribellava alla tirannide. E questo lo vide combattere sui campi di battaglia sia nelle Americhe che in Europa. Fu durante l’impresa dei Mille, che vide numerosissimi massoni tra i volontari, che a Palermo venne conferito a Garibaldi il titolo di «Primo massone d’Italia», mentre due anni dopo fu nominato Gran Maestro d’Italia del Rito scozzese antico e accettato.

Di questo e di tante altre cose si parlerà nel convegno di sabato prossimo nel Teatro della Gioventù.

mercoledì 25 aprile 2007, 07/00 - http://www.ilgiornale.it/

nuvolarossa
28-04-07, 10:36
Il condottiero Giuseppe Garibaldi

Tra novembre e dicembre arrivò a Rio de Janeiro, ma fu preceduto dalla sua fama di patriota. Qui incontrò il ligure Giuseppe Stefano Grondona, che, volendo conquistare l'amicizia del nizzardo, gli diede la presidenza della filiale sudamericana della Giovine Italia. Garibaldi entrò anche nella loggia massonica Asilo di Vertud. Inoltre si attivò nel diffondere le idee mazziniane, pubblicò articoli contro Carlo Alberto, duecento litografie della Lettera mazziniana a Carlo Alberto e acquistò una piccola nave da venti tonnellate, battezzata Mazzini. Con l'aiuto di Giovanni Battista Cuneo fondò un giornale intitolato Giovine Italia. Passato il primo entusiasmo, l'attività del gruppo di esuli (una trentina circa) si inceppò, la pubblicazione del giornale venne sospesa e la Mazzini fu utilizzata per sostentare Garibaldi.
Intanto già dal 1834 la provincia di Rio Grande do Sul era in aperta rivolta contro l'Impero Brasiliano. I ribelli erano guidati da un ricco proprietario terriero Bento Gonçalves da Silva. La guerra ebbe sorti alterne. Nel settembre del 1836 Gonçalves viene catturato dagli imperiali insieme a cinquecento guerriglieri, ma nonostante ciò la guerra continuò. Tra i prigionieri c'era un italiano Livio Zambeccari, che era tra le personalità più influenti del governo provvisorio riograndese. Un altro esule ligure, Rossetti, andò a far visita a Garibaldi per proporgi di aiutare il Rio Grande creando un corpo di corsari formato da esponenti della Giovane Europa. L'idea era di allargare il conflitto portandolo sul mare, e danneggiare così il commercio agli imperiali. Il comando sarebbe andato a Garibaldi, che nel febbraio del 1837 andò ad incontrare Zambeccari, e dichiarò la sua disponibilità a combattere per l'indipendenza del Rio Grande. Il 4 maggio ricevette la patente de corso, e il nizzardo si trovava così a sfidare un impero con un peschereccio. Il 7 salpò con la Mazzini e 12 uomini (tra questi l'amico Rossetti). Le prime operazioni furono di appoggio alla liberazione di due ufficiali riograndesi. La prima preda fu una lancia che però trasporta solo merci di scarso valore, e Garibaldi si limitò ad affrancare lo schiavo negro Antonio. L'11 maggio i corsari avvistarono una sumaca chiamata Luisa, una nave da carico, e la abbordano. Disinteressandosi dei passeggeri e dell'equipaggio che venne lasciato libero, si impadronirono però della loro barca e affrancarono i quattro schiavi presenti a bordo. I corsari si trasferirono sulla sumaca più nuova e più grande (di ventiquattro tonnellate), ribattezzata con il nome della vecchia Mazzini, che fu affondata. Vista l'impossibilità di fare rifornimenti, poiché le coste erano presidiate dagli imperiali, Garibaldi e i suoi puntano per Maldonado in Uruguay. Il 28 maggio la nave giunse nel porto uruguagio, senza sapere che lo stato rioplatense non è più alleato del Rio Grande ma era passato dalla parte del Brasile. Il viceconsole brasiliano a Maldonado ordinò di bloccare i corsari. Però intorno a Garibaldi si era creato un clima di simpatia, favorito dalla mediazione degli emigranti italiani e dall'eco favorevole della liberazione di cinque schiavi, notizia che ebbe grande risonanza poiché, per errore, ne furono indicati cento. Nella notte tra il 5 e il 6 giugno, durante una tempesta, lasciò il porto, poiché aveva saputo che una nave da guerra brasiliana stava venendo per catturarli. I corsari si diressero verso la punta Jesus y Maria dove doveva aspettarli Rossetti con i rifornimenti. Ma non lo trovano poiché era stato bloccato dalle autorità uruguage. In seguito la Mazzini avvistò un lancione di Montevideo, con il compito di arrestare i corsari. Tra le due imbarcazioni si verificò un primo scontro a fucilate, poi gli uruguagi tentarono un arrembaggio, respinto a sciabolate. Rimasto ucciso il timoniere Fiorentino, al suo posto gli subentrò Garibaldi. Ma anche il nizzardo fu ferito, anche se la pallottola gli entrò nel collo, dall'orecchio sinistro, e si fermò sotto l'orecchio destro senza causare danni irrimediabili. Gli uruguagi terminarono le munizioni e si ritirarono, mentre i corsari scapparono verso le coste argentine. Il 26 giugno, consigliati da Jacinto Anderus, sbarcarono a Gualeguay dove chiesero asilo. Il governo argentino arrestò l'equipaggio, che comunque viene trattato con riguardo; eranoliberi di circolare nella città e gli fu concesso un sussidio di un pesos al giorno. A Garibaldi venne curata la ferita e recuperò la salute. Imparò ad andare a cavallo (avendo come maestri i gauchos) ma rimase fermo nel suo intento di continuare la lotta. Una notte scappò verso l'Uruguay; ma fu preso dopo due giorni. Riportato a Gualeguay con i piedi legati alla pancia di un cavallo e le braccia dietro le spalle, visto che non rivelava i suoi complici venne appeso ad una trave e frustato e poi imprigionato per due mesi. Nel febbraio del 1838 fu liberato e andò prima a Montevideo, dove insieme agli amici Rossetti e Cuneo si diresse nel Rio Grande do Sul. Messosi in contatto con i ribelli, fu nominato comandante della flotta e subito diede impulso alla costruzione. L'11 aprile partì da Porto Alegre un battaglione imperiale guidato da Francisco Pedro de Aruba detto Moringue. L'azione fu condotta con molta rapidità e l'avamposto fu assediato, ma Garibaldi con i suoi uomini riuscì a respingere l'assedio e a cacciare gli imperiali. La battaglia del Galpon de Xarqueada ebbe una eco enorme e diede forza ai riogandesi, che decisero di allargare il fronte rivoluzionario alla provincia di Santa Caterina. Il primo obbiettivo era la conquista di Laguna. Il comando della spedizione venne dato a David Canabarro mentre Garibaldi ebbe la guida delle forze navali. Il 14 luglio entrò nell' Oceano Atlantico, ma a causa del mare in tempesta e dell' eccessivo carico la Farroupilha , governata da Garibaldi, si rovesciò. Annegarono sedici dei trenta componenti dell'equipaggio, tra cui gli amici Mutru e Carniglia; il nizzardo fu lunico italiano superstite. Allora a Garibaldi venne dato il comando della Seival con lo scopo di togliere il dominio dei mari agli imperiali. Visto che le forze dell'avversario erano nettamente superiori, Garibaldi decise di giocare d'astuzia. Senza ingaggiare battaglia si ritirò verso sud, attirando le navi nemiche in un' imboscata. Due lancioni andarono all'inseguimento ed entrarono in dei canali, dove erano nascoste le truppe riogandesi che assalirono e catturarono le navi. I ribelli approfittarono di questo successo per sferrare l'attacco decisivo. Il 25 luglio 1839, le truppe imperiali si ritirarono e l'esercito riograndese entrò trionfale nella città e si instaurò la Republica Juiliana. Allora il governo di Rio de Janeiro prese delle energiche misure, inviando 12 navi e 3 lancioni al comando del maresciallo Francisco Josè Souza Suares de Andrea. La strategia imperiale fu quella di porre il blocco a Laguna, ma Garibaldi, con audaci iniziative, riuscì a far allontanare i nemici e a compiere azioni corsare. Nonostante ciò la situazione stava peggiorando e nella neonata repubblica regnava il malcontento. Garibaldi fu costretto a compiere un'azione ripugnante: attaccò con i suoi uomini la cittadina di Imaruì, che abbandonò al saccheggio perché era passata agli imperiali. Infatti il 15 novembre l'esercito brasiliano riconquistò la città, e i repubblicani (circa 500) si diedero alla fuga sugli altipiani. Qui si svolsero altre battaglie con fortune alterne. Nei pressi di Forquillas fu impegnato per la prima volta in un combattimento esclusivamente terrestre, attaccò con i suoi marinai il nemico e lo costrinse alla ritirata. Dopo queste battaglie ritornarono a Rio Grande.Sconfitto, nel 1842 riparò in Uruguay, dove comandò la flotta uruguaiana in una battaglia navale contro gli argentini. In Uruguay sposa nel 1842 Ana Maria de Jesus Ribeiro, detta Anita, che aveva conosciuto nel 1839, nella città di Laguna, Brasile. Nel periodo successivo Garibaldi tentò di tornare in Italia mettendosi al servizio di qualche regnante. Nel 1847 cerco un abboccamento con Pio IX e scrisse al Cardinal Gaetano Bedini che in quegli anni era nunzio in Brasile. In una famosa lettera giunse ad "offrire a Sua Santità la sua spada e la legione italiana per la patria e per la chiesa cattolica" ricordando "i precetti della nostra augusta religione, sempre nuovi e sempre immortali" pur sapendo che "il trono di Pietro riposa sopra tali fondamenti che non abisognano di aiuto, perché le forze umane non possono scuoterli". Mons. Bedini rispose cortesemente ringraziando, ma l'offerta della legione da Roma non venne accolta.
Garibaldi, dopo essere sbarcato il 21 giugno a Nizza con i suoi compagni, si recò il 5 luglio a Roverbella, nei pressi di Mantova, per offrirsi volontario al re Carlo Alberto, che però lo respinse. Tornato in Europa nel 1848 per partecipare alla prima guerra di indipendenza contro gli austriaci e i francesi, fu protagonista di imprese che lo trasformarono in un eroe agli occhi del popolo. Per la disparità delle forze in campo fu costretto alla resa, dovette abbandonare il suo esercito e fuggire per la seconda volta all'estero.
Garibaldi tornò in Italia nel 1854 e cinque anni dopo partecipò alla seconda guerra di indipendenza contro gli austriaci. Nel 1860 Garibaldi organizzò una spedizione per conquistare il Regno delle Due Sicilie. Raccolto un corpo di spedizione di mille uomini, le Camicie Rosse, Garibaldi raggiunse la Sicilia e si proclamò nuovo governatore dell'isola in nome di Vittorio Emanuele II. Nella battaglia di Calatafimi mise in rotta l'esercito del re di Napoli e un'insurrezione popolare gli consegnò la città di Palermo. Si proclamò Dittatore delle Due Sicilie.
Dopo avere consegnato il Regno delle Due Sicilie a Vittorio Emanuele il 26 ottobre 1860 al bivio di Taverna della Catena nei pressi di Teano(in realtà comune di Vairano Patenora, questo grosso errore storico ha generato una diatriba tra i 2 comuni che dura da 70 anni), Garibaldi si ritirò sull'isola di Caprera per studiare nuovi piani al fine di conquistare lo Stato pontificio. Nel 1861 venne eletto deputato nel primo Parlamento del nuovo Regno d'Italia.
Garibaldi organizzò la prima spedizione in terra romana nel 1862; il tentativo fallì e lo stesso Garibaldi rimase ferito negli scontri. La spedizione del 1867 fu fermata dalle truppe francesi. Durante la guerra franco-prussiana del 1870-1871, Garibaldi guidò un esercito di volontari a sostegno dell'esercito della nuova Francia repubblicana.
La popolarità di Garibaldi, la sua capacità di sollevare le folle e le sue vittorie militari resero possibile la riunificazione dello stato italiano.
Nel 1880 sposò una popolana piemontese Francesca Armosino, sua compagna da 14 anni e dalla quale ebbe 3 figli.
Dopo avere combattuto per tutta la vita, Garibaldi morì a Caprera il 2 giugno 1882.
Dopo qualche viaggio nel Mediterraneo, su una nave mercantile e nella marina del bey di Tunisi, partì per l'America del Sud, raggiungendo Rio de Janeiro nel 1836. In unione ad un altro esule italiano, Luigi Rossetti, tentò di lavorare nel commercio marittimo, ma senza risultati. Appoggiò allora i ribelli repubblicani del Rio Grande, insorti contro il governo imperiale di Don Pedro II, esercitando per loro la guerra da corsa contro il Brasile, lungo le coste e i fiumi del Brasile, dell'Uruguay e dell'Argentina.
Dopo molte peripezie ed aver preso parte a diverse azioni belliche, cadute, per le discordie interne, lasciò la regione, recandosi, nel 1841, a Montevideo. Al soggiorno riograndese risale il suo incontro con Anita, l'innamoramento, l'abbandono del marito per seguire l'eroe e la nascita nel 1840 del primogenito Menotti, cui seguirono Teresita e Ricciotti. Morto poi il marito, il 26 marzo 1842, Giuseppe e Anita poterono unirsi in matrimonio a Montevideo. Anche nell'Uruguay, Garibaldi riprese a combattere in favore di quel paese che lottava contro l'Argentina. Comandante di alcune flottiglie, fu in questo periodo che creò la Legione Italiana, che condusse, vestita di quelle camicie rosse che un giorno diverranno leggendarie, in diverse valorose azioni, come nei combattimenti del Cerro, del Salto e sul fiumicello S. Antonio. Quest'ultima battaglia mise in luce le qualità militari di Garibaldi, nominato generale, e nel 1847, capo della difesa di Montevideo.
Le speranze suscitate nei patrioti italiani dall'elezione di Pio IX al soglio pontificio, spinsero Garibaldi ad offrire al pontefice la propria legione. L'offerta non fu accettata tuttavia Garibaldi partì per l'Italia sbarcando a Nizza nel giugno 1848, quando già le truppe di Carlo Alberto erano in marcia contro gli Austriaci. Nonostante il parere contrario di Mazzini, non esitò allora ad offrirsi con le sue truppe al re, che però non volle inquadrarlo nell'esercito. Si pose allora alla testa di alcuni battaglioni volontari, ma l'armistizio di Solasco lo sorprese quando era ancora nella fase organizzativa; ribellatosi alla tregua con le sole sue forze batté gli Austriaci a Luino, occupando Varese, ma attaccato da forze superiori a Morazzone, faticò poi a disimpegnarsi e a ritirarsi in Svizzera. Tornato a Genova, fu eletto deputato ma anziché sedere in Parlamento, preferì recarsi nell'Italia centrale organizzando una legione in appoggio al governo provvisorio di Roma. Proclamata la Repubblica Romana (9 febbraio 1849), fu nominato generale comandante delle truppe della città, battendo i Francesi a Porta San Pancrazio e i Napoletani a Palestrina. Gli attacchi in massa sferrati dai Francesi ebbero tuttavia ragione dell'eroica resistenza delle truppe garibaldine al Gianicolo a villa Corsini - ove si coprirono di gloria Manara, Dandolo, Mameli, Bixio - e ancora a villa Spada, ma il 2 luglio Garibaldi fu costretto a lasciare la città, incalzato da ogni parte dai nemici
Giunto dopo lunghe peripezie e con una marcia leggendaria a San Marino, fece deporre le armi ai suoi soldati, proseguendo poi con solo 250 uomini per Cesenatico. Imbarcato su alcuni bragozzi che presto furono catturati dalle navi austriache, riuscì a stento a sbarcare a Magnavacca (oggi Porto Garibaldi). Congedati i suoi continuò a piedi con un solo compagno, il capitano Leggero. Nella cascina Guiccioli, Anita, incinta e gravemente ammalata, che lo aveva sempre seguito in ogni sua avventura, gli moriva tra le braccia. All'eroe neppure è concesso il conforto di seppellirla: braccato dagli Austro-papali è costretto a riprendere la fuga. Con l'aiuto di diversi patrioti, Garibaldi riesce a raggiungere Portovenere (presso La Spezia), ma il governo sardo, onde evitare comprensibili complicazioni di natura politica lo invita ad emigrare.
Fu allora a Tangeri, poi a New York ove trova lavoro in una fabbrica di candele, quindi nell'America meridionale e centrale, poi in Cina, dedicandosi al cabotaggio; quindi ritorna a New York, sosta in Inghilterra e nel 1854 è a Nizza finché, nel 1857 può ritirarsi nell'isolotto di Caprera, dove aveva acquistato alcuni terreni, e dedicarsi all'agricoltura. Pur nel silenzio però continua a mantenere rapporti epistolari con i patrioti italiani. Si allontanava intanto sempre più dal Mazzini e aderiva alla monarchia sabauda purché questa facesse sua la causa italiana.

tratto da http://www.giuseppegaribaldi.info/index.html

nuvolarossa
30-04-07, 12:58
Tutti «pazzi» di Giuseppe Garibaldi, l’eroe italiano protagonista del Risorgimento italiano.

In occasione del bicentenario della nascita di Garibaldi, ed in contemporanea ad un concorso a premi sulla figura dell’eroe dei due mondi, è stata organizzata una serie di incontri a Latina, Cisterna, Gaeta ed a Fondi, sul tema «Il Risorgimento in provincia di Latina». Gli incontri sono stati curati dal comitato di Latina dell’Istituto per la storia del Risorgimento (Fausto Orsini), l’assessore provinciale alle Politiche della scuola Maracchioni, il dirigente dell’Usp di Latina Maria Rita Calvosa, il presidente della Provincia Cusani. Si comincia il tre maggio, alle 10, all’Ipc «Einaudi» di Latina, si prosegue il 4 maggio sempre alle dieci all’Is «Darby» di Cisterna. Il dieci maggio alle dieci e trenbta l’appuntamento è al liceo scientifico «Fermi» di Gaeta- Diciassette maggio, alle dieci, all’Itc De Libero di Fondi ed infine il 13 giugno alle dieciassette nel museo dell’Unità d’Italia a Bassiano la manifestazione conclusiva alla quale parteciperà Anita Garibaldi, pronipote del Nizzardo. La nascita del Regno d’Italia nel triennio 1859-1861 è stato un evento rivoluzionario. Che ha toccato, investito, coinvolto la provincia di Latina. Qualche curiosità per gli appassionati di Storia: sui Lepini si costiturono «comitati settari», società segrete che si ispiravano agli ideali mazziniani. A Sezze (1848-49) un possidente di Sezze, Giovanni Silvestri, subito soprannominato il Ciceruacchio locale, guidò le manifestazioni in onore di Pio IX . Nel 1849 un contingente dell’esercito giunto a sostenere il Papa, sbarca a Terracina ed occupa proprio Sezze. Menotti Garibaldi, figlio di Giuseppe, subito dopo l’annessione di Roma all’Italia, inizia una nuova battaglia: la bonifica di un vasto territorio nella zona di Carano (Aprilia). Cori da sempre fedele al Papa-re, si avvicina agli ideali repubblicani nel 1848-49 soprattutto attraverso l’opera del locale Circolo Popolare.

tratto da http://www.iltempo.it/

nuvolarossa
05-05-07, 11:33
MOSTRE: L'ESPOSIZIONE 'GARIBALDI IN GIRO' DIVENTA ITINERANTE

4 mag. - (Adnkronos/Adnkronos Cultura) - Una esposizione itinerante allestita all'interno di un Tir lungo 16 metri portera' nelle piazze di moltissime citta' italiane il mito di Giuseppe Garibaldi e dara' l'opportunita', soprattutto ai piu' giovani, di conoscerne la storia e le imprese. Sara' la prima volta che cimeli, provenienti dal ''Museo del Risorgimento'' di Roma, usciranno dalle sale e incontreranno la cittadinanza in piazza. L'occasione e' data dal Giro d'Italia che quest'anno e' dedicato a Giuseppe Garibaldi. Il Tir con la mostra seguira' la carovana della manifestazione ciclistica e sara' presente all'arrivo delle tappe, dando la possibilita' ad appassionati e curiosi di visitare la mostra per l'intera giornata. Simbolica la scelta di presentare la mostra a Bergamo, il 9 maggio alle ore 13.30 presso il Foyer storico del Teatro ''Donizetti'', che dal 1960 si fregia del titolo di Citta' dei Mille. Da Bergamo infatti parti' il contingente piu' significativo dei componenti la spedizione che uni' l'Italia. Per celebrare questa zona il Tir, dopo la tappa Cantu'/Bergamo del 26 maggio, si fermera' 5 giorni in citta' e in provincia.

tratto da http://www.adnkronos.com/IGN/hp/

nuvolarossa
05-05-07, 11:35
STORIA: GENOVA, IL MUSEO DEL RISORGIMENTO CELEBRA GARIBALDI

4 mag. - (Adnkronos/Adnkronos Cultura) - Incontri, proiezioni, attivita' anche per bambini, una mostra e l'inaugurazione di nuovi spazi: queste le iniziative con cui il Museo del Risorgimento di Genova celebra il bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi con una serie di inziative che si svolgeranno domani. A partire dall'apertura delle nuove sale polifunzionali del Museo che saranno ianugurate alle ore 14.30 e l'apertura al pubblico della mostra ''I fazzoletti risorgimentali nelle raccolte dell'Istituto Mazziniano'', aperta al pubblico fino al 20 giugno.

Oltre allo spazio dedicato ai bambini con l'iniziativa "Bambini al museo. Giochi a premi con merenda", alle ore 17 ci sara' la proiezione del film di animazione ''L'eroe dei due mondi'' di Guido Manuli e Maurizio Nichetti. A tutti i visitatori sara' dato in omaggio il giornale ''Genova a Garibaldi. 5 maggio 1860'' (per il programma completo dell'iniziativa, e' possibile consultare i siti www.garibaldi200.it e www.istitutomazziniano.it).

La mostra ''I fazzoletti risorgimentali nelle raccolte dell'Istituto Mazziniano'' esporra' una raccolta particolarmente rara del Museo del Risorgimento di Genova, costituita dai fazzoletti patriottici con funzione celebrativa e propagandistica, acquistati da privati e antiquari dal comune di Genova negli anni tra la formazione del Museo del Risorgimento (1915) e dell'Istituto Mazziniano (1934).

Diffusi particolarmente a Genova dove, secondo le cronache d'epoca, si sventolavano e si esponevano alle finestre, i fazzoletti festeggiarono la firma della Lega doganale tra Regno di Sardegna, Stato Pontificio e Granducato di Toscana (1847), la visita di Carlo Alberto a Genova (1847), la processione in Oregina per il 101° anniversario della cacciata degli Austriaci da Genova, l'alleanza tra Piemonte e Francia durante la II guerra di Indipendenza (1859), riproducendo anche l'effige dei grandi nomi della storia, come Vittorio Emanuele II, Napoleone III e Garibaldi.

tratto da http://www.adnkronos.com/IGN/hp/

nuvolarossa
05-05-07, 11:39
In mostra al museo i fazzoletti garibaldini

GENOVA - Incontri, proiezioni, attività anche per bambini, una mostra e l’inaugurazione di nuovi spazi: sono queste le iniziative con cui da oggi il Museo del Risorgimento celebra il bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi. A partire dall’apertura delle nuove sale polifunzionali che saranno inaugurate alle 14 e 30 e l’apertura al pubblico della mostra «I fazzoletti risorgimentali nelle raccolte dell’Istituto Mazziniano», che potrà essere visitata fino al 20 giugno. Oltre allo spazio dedicato ai bambini con l’iniziativa «Bambini al museo. Giochi a premi con merenda», alle ore 17 ci sarà la proiezione del film di animazione «L’eroe dei due mondi» di Guido Manuli e Maurizio Nichetti. A tutti i visitatori sarà dato in omaggio il giornale «Genova a Garibaldi. 5 maggio 1860». La mostra «I fazzoletti risorgimentali nelle raccolte dell’Istituto Mazziniano» esporrà una raccolta particolarmente rara del Museo del Risorgimento, costituita dai fazzoletti patriottici con funzione celebrativa e propagandistica, acquistati da privati e antiquari genovesi negli anni tra la formazione del Museo del Risorgimento (1915) e dell’Istituto Mazziniano (1934). I fazzoletti, diffusi particolarmente a Genova, si esponevano in occasione di visite di persone illustri, celebrazioni, eventi.

5 maggio 2007 - tratto da http://www.ilgiornale.it/

nuvolarossa
06-05-07, 11:46
L' agricoltore Giuseppe Garibaldi

A Caprera, quando meno si parlava di lui nel mondo, egli ebbe attraverso l'agricoltura l'iniziazione alla maturità e sua grande maestra fu la natura; l'ascoltava ogni giorno, annotandone scrupolosamente la lezione di esperienza in quei Quaderni agricoli, che rappresentano, sotto la loro apparente elementarità, una delle chiavi per comprendere l'uomo Garibaldi. Ed ecco segnati con diligenza il numero delle bestie, i contratti con i pastori, i conti correnti coi contadini dai quali si faceva aiutare, l'acquisto di nuovo bestiame e le morti a causa della "ferula" velenosa, le semine di patate, di fave, le regole per trapiantare, innestare e seminare. Negli anni seguenti scoprì il mondo straordinario delle api e divenne apicoltore, inaugurando un nuovo apposito Quaderno su cui segnava il numero delle arnie, la temperatura, il tipo di fiori da cui gli insetti raccoglievano il polline, la data; e poi a lato, con la sua ordinata grafia, annotava le operazioni fatte: " Si ammazzano formiche - si mette acqua nelle api - 26 sciami a fine giugno - pochi fiori - una cassetta trovata vuota - si svuota l'apiario ogni giorno e si trovano sempre tarme e formiche - si continua ad alimentare le api con miele e si visitano le arnie povere - le api non trovano alcun polline - api al pascolo - api dentro per il freddo, la guerra mortale tra le api continua forse per essere le arnie troppo vicine..." e così via. Annotazioni attraverso le quali si vede come l'uomo entrasse gradatamente dentro i segreti della natura, passando da un generico amore quasi mistico, a una conoscenza delle leggi intrinseche di nascita e morte, dei processi di sviluppo, delle lotte di sopravvivenza,dei ritmi di crescita.
Oltre a questa disciplina "scientifica" dell'osservare, trattenere, dedurre, Garibaldi si sottopose a quell'altra, altrettanto plasmante, della fatica del lavoro: dall'alba al tramonto, insieme con i suoi, combatté la lunga battaglia di trar fuori campi dal granito, di vedersela con veli di terreno alti pochi centimetri sopra la roccia più dura e incoltivabile che esista, e zappando, sarchiando, lavorando spesso con le sole mani, riuscì ad averla vinta sull'impossibile, fino a ricavarne quel tanto che bastasse a sfamare le non poche bocche che vivevano con lui.
Egli apprese così la legge della mediazione, dove la conoscenza dei limiti è più importante di quella delle certezze, dove gli obbiettivi da raggiungere sono fatti in egual misura di mete ideali e di bisogni concreti, dove una battaglia si vince con qualità che ben poco hanno a che vedere con la giovanile e impetuosa baldanza dell'adolescente, quali la tenacia, la capacità di assecondare la natura e di durata dello sforzo.
Passava d gioia infantile dai violenti sforzi dello spaccare i massi granitici con la mazza, alla delicatezza con cui le sue mani sapevano posare nel terreno gli esili virgulti degli olivi, delle viti, delle fave; e un giorno riuscì ad ottenere uno spazio di Humus sufficientemente ampio per seminarvi il grano: il grano, il pane! E lo si vide percorrere avanti e indietro quel campo nuovo, compiendo il vasto gesto del seminatore con una luce sacerdotale negli occhi; aveva riposseduto in se quella millenaria dimensione del coltivatore che sola giustifica e spiega la necessità e la leicità del governare.
Prima di Caprera, Garibaldi non possedeva tale maturità. Aiutandoci con un'immagine classica, possiamo dire che nell'epopea brasiliana egli aveva vissuto la tappa dell'eroe puro, di Achille; nel successivo lungo esilio per mare aveva dovuto come Ulisse, passare attraverso l'iniziazione dei distacchi e, solo, senza compagni, povero e nudo, tornare in patria e trovarvi un regno occupato dallo straniero e diviso dalle avidità e dalle lotte intestine. Ora, attraverso l'agricoltura, egli viveva la tappa di Esiodo, conoscendo come la sofferenza sia mediatrice nell'uomo tra gli ideali astratti e la dura natura dentro e fuori di lui, per poter costruire un mondo a misura d'uomo governato più dalle leggi che dall'istinto epico, più dalla giustizia che dall'eroicità.
E che Garibaldi intendesse perfettamente tale unità tra il lavoro della terra e i suo ufficio d'uomo, è provato dal fatto che nei Quaderni agricoli egli annotava senza soluzione di continuità, anche le proprie idee e osservazioni politiche relative all'indipendenza e l'unità d'Italia. Così, ad esempio, alla fine del 1856, dopo annotazioni contabili sulle patate, sugli agnelli e sui fagioli, scrive addirittura il suo "programma italiano":
"Bisogna fare un'Italia avanti tutto.
L'Italia è oggi composta dagli elementi seguenti: Piemonte, repubblicani, murattisti, borbonici, papisti, toscani e altri piccoli elementi, che benché vicini al nulla non mancano di nuocere all'unificazione nazionale. Tutti questi elementi devono amalgamarsi al più forte o essere distrutti; non c'è via di mezzo! Il più forte degli elementi italiani io credo che sia il Piemonte, e consiglio di amalgamarsi a lui. Il potere, che deve dirigere l'Italia nell'ardua emancipazione dal giogo straniero, deve essere rigorosamente dittatorio".
Poi ricomincia tranquillamente a segnare: "Gennaio 16 - una coppadi fave: £ 5,94...".
Il "Programma Italiano" pare una trasposizione su scala politica della sua dura esperienza caprerina: scelta della soluzione più realizzabile (monarchia sabauda) al di sopra di ogni astrazione idealistica; eliminazione degli elementi nocivi (dissodamento del terreno da coltivare); visione unitaria del fine sulla base dell'elemento più saldamente costituito (il Piemonte come la coltivazione più compatibile); il potere deve essere rigorosamente dittatorio (conoscenza della tenacia e delle energie necessarie).
Con l'unico cenno di senso dell'umorismo che si conosca in Garibaldi, egli amava batezzare gli asini con i nomi dei suoi avversari politici; così si legge nei quaderni: "Un asino donatomi dal signor Collins: viene chiamato Pio IX... un'altro asino donatomi dal signor Collins: viene chiamato Don Chico (Francesco Giuseppe)... due altri asini comperati da susini: vengono chiamati Oudinot e Napoleone III... etc."
Durante il ritiro iniziatico di quegli anni, l'uomo di Caprera maturò anche il suo rapporto con gli altri uomini, che si sviluppò dalla cameratesca fratellanza dell'epoca brasiliana, così simile al sentimento unitivo delle "bande" degli adolescenti, al più elevato senso religioso della comunione umana. Ebbe l'intuizione dell'unità della vita: "L'anima mia è un atomo dell'unità dell'universo", scrive nei Ricordi e Pensieri. Vide un unico Filum esistenziale percorrere i rosei graniti di Caprera, la trionfante vitalità della macchia, gli animali e se stesso; quindi gli uomini tutti. L'uguaglianza tra gli uomini prima di essere un diritto, fu per lui la propria individuale conquista d'esser uomo; infatti non era intesa come promisquità, ma come individuazione, identificazione; non dava confidenza ad alcuno, neppure ai più intimi: li amava e quindi li eleggeva al loro ruolo civile; con pochissime persone arrivò al "tu", donne o uomini che fossero. Ma chiunque venisse a contatto con lui aveva l'ineguagliabile emozione di essere l'agente di se stesso.
Non a caso tra i primi ad accogliere Garibaldi nell'intimo della loro riservata e selezionatrice realtà sociale, vi furono i pastori di Gallura; egli si recava spesso a caccia sulla costa sarda accompagnato dai Susini, da Menotti e da alcuni dei suoi compagni e visitava ogni volta gli stazzi.
Suo grande amico fu, fin dal tempo in cui il Generale stava scegliendo il luogo ove vivere, Ignazio Sanna, un agiato pastore che aveva il proprio regno a "Li Muri", presso Arzachena. Li presentò Pietro Susini e subito tra loro si stabilì la corrente di un'intesa profonda, che durò poi tutta una vita e che si espresse nel rituale antichissimo dei re - pastori: si scambiarono i doni delle rispettive terre, si offrirono a vicenda di essere padrini e testimoni di nozze. Quando l'uomo di Caprera arrivava a "Li Muri", la moglie di Ignazio, Maria Prunedda, gli faceva gran festa, come la regina del clan all'ospite venuto dal mare: faceva uccidere il migliore agnello e, aiutata dalle donne, lo cucinava con ogni cura, usando i legni odorosi del ginepro e del lentischio, e insaporendone le carni con le più buone essenze della macchia. Poi gli venivano offerti i prodotti migliori dello stazzo: i formaggi e le ricotte di pecora e capra, il latte appena munto, le prelibate conserve dei frutti di quelle benedette terre selvatiche.
E mangiavano intorno al camino, su panche coperte da pelli di capra, dialogando delle cure dei campi e della pastorizia, di caccia, ma anche delle famiglie loro e di quella più grande famiglia, l'Italia, che prima o poi bisognava pur fare.
Da quell'incontro, altri seguirono e si è perso il conto di quanti pastori pastori di Gallura Garibaldi sia stato "compare".
A poco a poco la fama delle gesta d'America e della difesa di Roma si stemperò e si fuse nei sardi con l'evidenza quotidiana che essi avevano della bontà e della semplicità dell'uomo di Caprera. Adesso, quando andava a La Maddalena o in Gallura non v'erano dimostrazioni clamorose di giubilo, ma reverente familiarità, il rispetto che si deve a un patriarca buono. I suoi atti compiuti a Caprera si dilatavano subito nella dimensione dell'aneddoto mitico e come tali si divulgavano nel popolo: è uscito di notte per cercare un agnello sperduto e poi lo ha riscaldato nel proprio letto...! Ha sgridato i bambini perché strapazzavano una pianta...! non vuole che si tengano gli animali legati o in gabbia...! E' estremamente parco a tavola...! Ha vestito un ignudo...! E' povero...!
Queste testimonianze evangeliche si fondevano con l'immediato e irresistibile fascino che emanava dalla sua persona quando lo si avvicinava. non'era alto ed era piuttosto tozzo, le gambe un pò arcuate tipiche dell'uomo di mare e di chi ha molto cavalcato, il torace robusto e muscoloso sul quale si innestava il collo corto ma non grosso e la stupenda testa . Barba e capelli biondo - rame, nobili e fini i lineamenti, ampia la fronte; e poi gli occhi: marrone, vivacissimi e profondi, nei quali v'erano una determinazione e una concentrazione palesi, scoperte, dirette all'animo dell'interlocutore. Nel suo sguardo non v'era mai alcunchè di sottinteso, di ambiguo, di non detto: dolcissimo sempre, se doveva esprimere collera era collera, dolore era dolore, gioia era gioia piena, comando era comando, amore era amore senza condizione. La sua voce era armoniosa, dolce, profonda; cantava spesso con bella intonazione baritonale e recitava poesie con tanto sentimento che anche gli incolti lo ascoltavano affascinati. Aveva mani molto belle, nobili, forti, che nel discorrere muoveva poco e lentamente. Vestiva sempre nella stessa guisa: calzoni grigi legati in vita con una cinghia, camicia rossa, il poncho o una giacca da caccia, cappello a larghe tese oppure la tipica papalina con la quale fu poi ritratto in tanti quadri, stivali ferrati.
Ma non è sufficiente il tratto della sua persona o il suo abbigliamento per spiegare il fascino di Garibaldi sui singoli e più ancora sulle masse; esso doveva consistere in un fluido complesso di purezza, di lealtà e semplicità, di cosciente volontà e determinazione che, nella misura in cui progrediva il suo sviluppo interiore, ne faceva l'uomo in cui credere, l'uomo in cui affidarsi, l'uomo del destino, il "mandato". Stando alle innumerevoli testimonianze, chi lo incontrava aveva la sensazione di trovarsi in presenza di un essere lungamente atteso, già conosciuto "dentro".
Quel che in America fu l'estro di una comunicativa immediata, a Caprera in pura conoscenza e accettazione di una missione da compiere, e quindi il suo sguardo era cosciente del dolore di tutti, della fatica, di limiti, ma anche dei funi cui tendere, delle possibilità, delle qualità.

tratto da http://www.giuseppegaribaldi.info/index.html

nuvolarossa
10-05-07, 18:06
Giuseppe Garibaldi e gli attentati

Il 1861, compiuta l'impresa dei Mille, fu un anno di soggiorno di Garibaldi a Caprera; un anno apparentemente tranquillo durante il quale si consolidò l'oleografica immagine del Cincinnato di Caprera e di un Garibaldi totalmente dedito alle attività agricole.
Di fatto le cose erano ben diverse: Caprera era costante meta di misteriosi personaggi e di celati emissari che venivano a trovare l'Eroe e la piccola isola sarda era divenuta meta di tutti i rivoluzionari europei che anelavano alla libertà dei loro popoli, dai polacchi ai croati, dagli ungheresi ai serbi e ai greci. Significativa in quegli anni la visita dell'anarchico russo Bakunin ed i messaggi per la redenzione dei popoli che il Generale lanciava dal suo eremo.
Tutti i movimenti che si registravano nell'isola di Caprera, ove si viveva un clima apparentemente bucolico, erano invece tenuti sempre sotto stretto controllo da carabinieri, agenti in borghese e da varie intelligences che si aggiravano a La Maddalena in incognito e con le più svariate coperture.
Il sogno mai sopito di Garibaldi era quello di vedere Roma capitale d'Italia ed era a Caprera che si lavorava incessantemente per arrivare a Roma se non con la forza almeno con una soluzione politica .
Non poche furono le trame ordite in quei giorni per vanificare le azioni di Garibaldi, fino a far concepire il disegno di attentare alla sua vita.
La minaccia di un attentato a Garibaldi, di cui abbiamo già fatto cenno sulle pagine di questa rivista, era giunta nell'isola con una lettera del 6 maggio 1861 con la quale Nicolò Ghisotti Morosini lo aveva avvertito da Firenze; da Genova era poi pervenuta a Basso, fido segretario del Generale, la notizia che un sicario nominato maschera di ferro era diretto a La Maddalena per compiere la criminosa missione.
Il 14 giugno, su invito del governo di Torino, che aveva avuto notizia dei pericoli incombenti sull'Eroe, il sindaco Pietro Susini emise un bando che vietava a qualsiasi imbarcazione di avvicinarsi a Caprera. A protezione dell'illustre ospite, fu anche distaccato nell'isola un presidio di bersaglieri. La voce si era poi sparsa e l'intera popolazione vigilava su ogni forestiero che compariva nell'isola.
I provvedimenti del sindaco Pietro Susini e le cautele da lui adottate per proteggere Garibaldi non solo come personaggio di riguardo, ma soprattutto come amico devoto, non sfuggirono al governatore di Sassari Daziani che il 9 settembre 1861 gli indirizzava personalmente la seguente lettera confidenziale:
“Il sottoscritto tenendo dietro già da qualche tempo agli avvenimenti seguiti in Caprera nei rapporti del Generale Garibaldi ed alle provvidenze e misure che si sono adottate e impartite per appurare e scoprire fatti che appaiono tuttora inesplicabili, non può egli non accorgersi dell'opera dell'intelligente Sindaco della Maddalena il quale, mostrando evidentemente di apprezzare la fortuna della dimora dell'illustre uomo nel suo raggio giurisdizionale, nulla lasciò d'intentato per cooperare agli sforzi del Governo onde svolgere quei fatti dalle tenebre in cui sembrano tutto dì avvolti.
Chi scrive pertanto fa assai di buon grado espressa mozione a V.S. per esprimerLe la sua viva soddisfazione ed i suoi ringraziamenti per la solerzia, intelligenza, zelo e perspicacia dimostrata in questa occasione -soddisfazione e ringraziamento che sono ben meritati anche da codesta brava popolazione e da tutte le altre autorità locali, che ebbero ad offrire saggi di indubbia devozione e di attaccamento alla persona del Generale ed al Governo del Re, che conosce suo grato dovere di adoprarsi in ogni modo onde l'illustre Generale venga in ogni circostanza protetto, riverito, difeso e premunito da ogni pericolo - e nel mentre il sottoscritto attesta la sua approvazione per il lodevole operato del Signor Sindaco, con preghiera di farla conoscere e renderla pubblica alla popolazione ed alle autorità locali, spera che anche per l'avvenire sarà per sempre più meritarsi il plauso del Governo col rendere al medesimo continuati e buoni servigi”.
Non sappiamo se ‘maschera di ferro' giunse mai a La Maddalena; certamente sarebbe stato subito individuato, visto che, come apprendiamo dalla lettera del governatore, tutte le autorità e tutta la popolazione si erano mobilitati in difesa dell'illustre ospite.
Garibaldi, come sempre, non prese mai in seria considerazione le minacce e il 16 agosto 1861, cessato l'allarme, scriveva al sindaco Susini:
“Preg. mo Sig. Sindaco,Sensibile alle dimostrazioni d'affetto che ella unitamente alle autorità ed alla popolazione della Maddalena mi hanno dato in questi scorsi giorni pregherei intanto di voler ritirare quel distaccamento di Bersaglieri lasciato qua di stazione perché io credo superflua la loro presenza.
Nel pregarla Signor Sindaco di farsi interprete presso tutti della mia sentita gratitudine godo raffermarmi con sensi di distinta stima.
Dev.o Suo G.Garibaldi”
L'episodio ci da modo di fare una riflessione: quel governatore di Sassari, quel sindaco “solerte, intelligente, zelante e perspicace” e quella popolazione “vigile e attenta” avevano ben capito, sin da allora, quale fosse la fortuna della dimora dell'illustre uomo nell'arcipelago.
Molti maddalenini e molti amministratori di oggi questa fortuna non l'hanno ancora capita.

tratto da http://www.giuseppegaribaldi.info/index.html

nuvolarossa
15-05-07, 13:29
Giuseppe Garibaldi e la Massoneria

Garibaldi fu forse il massone italiano dell'Ottocento più noto e autorevole. Dobbiamo considerare la sua adesione alla massoneria alla stessa stregua di quella che egli fornì a innumerevoli associazioni politiche o di mutuo soccorso, talvolta di orientamento assai diverso, di cui accettò la presidenza onoraria? Oppure essa rappresentò per lui qualcosa di diverso, una scelta più vincolante e impegnativa, che egli maturò a metà della sua esistenza e mantenne in modo consapevole fino alla morte? Gli elementi a nostra disposizione ci inducono a propendere per la seconda ipotesi. Per Garibaldi, specie dopo il 1860, la massoneria, sfrondata degli orpelli esoterici e rituali che egli dimostrò di non tenere in grande considerazione, fu un luogo di aggregazione e uno strumento organizzativo del quale cercò a più riprese di avvalersi per realizzare i propri progetti politici e culturali. E la massoneria a sua volta utilizzò Garibaldi, sia prima che dopo la sua morte, come straordinario testimonial e come veicolo di propaganda dei propri ideali.
Ma procediamo con ordine. Garibaldi venne iniziato alla massoneria nel 1844, all'età di trentasette anni, nella loggia L'Asil de la Vertud di Montevideo, una loggia irregolare, emanazione della massoneria brasiliana, non riconosciuta dalle principali obbedienze massoniche internazionali, quali erano la Gran Loggia d'Inghilterra e il Grande Oriente di Francia. Sempre nel corso del 1844 egli regolarizzò tuttavia la sua posizione presso la loggia Les Amis de la Patrie di Montevideo posta all'obbedienza del grande Oriente di Parigi. Al pari di altri influenti massoni italiani egli entrò quindi in massoneria in età relativamente avanzata (undici anni dopo l'affiliazione alla Giovine Italia) e durante l'esperienza dell'esilio. Le logge massoniche, com'è noto, in virtù dell'umanitarismo universalistico che le animava, offrirono importanti punti di riferimento agli esuli politici dei paesi europei governati da regimi dispotici e ostili a ogni apertura in direzione democratica e nazionalistica. Importanti furono anche i contatti che Garibaldi ebbe durante il secondo esilio, quando frequentò le logge massoniche di New York e intorno al 1853-54, prima di rientrare nel Regno di Sardegna, la loggia Philadelphes di Londra: qui si raccoglievano alcuni esponenti dell'internazionalismo democratico aperti ai contributi del pensiero socialista e inclini a collocare la massoneria su posizioni fortemente antipapiste.
Soltanto nel giugno 1860, nella Palermo appena conquistata, Garibaldi venne elevato al grado di maestro massone. L'impresa dei Mille si stava imponendo all'attenzione della comunità internazionale e certo poteva giovare che egli ribadisse la propria militanza massonica, specie in considerazione della simpatia con cui le organizzazioni liberomuratorie di alcuni paesi, come l'Inghilterra e gli Stati Uniti, guardavano alla lotta per l'indipendenza nazionale italiana. Il ricostituito Grande Oriente Italiano, inizialmente dominato da esponenti vicini a Cavour, affidò però la carica di gran maestro a Costantino Nigra e conferì a Garibaldi soltanto il titolo onorifico di «primo libero muratore italiano», gratificandolo di una medaglia commemorativa di oro massiccio.
Lo spirito apparentemente conciliatorio di questa decisione, con la quale si intendeva rendere omaggio alle due anime del Risorgimento, quella dinastico-cavouriana e quella democratico-popolare, non servì a nascondere i forti dissensi che dividevano i moderati dai democratici e a impedire che essi combattessero una dura lotta per assicurarsi la guida della famiglia massonica. Garibaldi divenne immediatamente il candidato sostenuto dai democratici, ma quando Costantino Nigra rassegnò le dimissioni da gran maestro e un'assemblea straordinaria fu chiamata a eleggere il suo successore, il prescelto risultò Filippo Cordova, già ministro di Cavour, che prevalse su Garibaldi con 15 voti contro 13. Era il 1° marzo 1862. Pochi giorni dopo il Supremo Consiglio del Rito Scozzese di Palermo, luogo di raccolta di massoni italiani di fede repubblicana e radicale, decise di sottolineare la propria autonomia rispetto a Torino e conferì a Garibaldi, insignito da Crispi dei gradi scozzesi dal 4° al 33°, il titolo di gran maestro.
Si stava preparando, in quello scorcio del 1862, la spedizione per la liberazione di Roma che sarebbe stata interrotta, il 29 agosto, dalle fucilate di Aspromonte. Garibaldi, accettando la carica offertagli dall'obbedienza scozzesista siciliana, dimostrò che in quella fase egli attribuiva evidentemente alla Massoneria una funzione importante quale strumento organizzativo e di raccordo fra le varie correnti democratiche. Non a caso, appena giunto in Sicilia, presenziò all'iniziazione del figlio Menotti (il 1° luglio) e firmò egli stesso (il 3 luglio) la proposta di affiliazione dell'intero suo stato maggiore (Pietro Ripari, Giacinto Bruzzesi, Francesco Nullo, Giuseppe Guerzoni, e gli altri). «A tal fine e con gli alti poteri a me conferiti gli dispenso dalle solite formalità»: così dichiarò in tale circostanza, ribadendo ancora una volta il proprio disinteresse per gli aspetti rituali e ponendo l'accento sul contributo sostanziale che egli riteneva potesse venire dal coinvolgimento diretto della massoneria nella lotta per il completamento dell'unità nazionale.
«Fu il fallimento dell'impresa dell'agosto 1862 – ha osservato Aldo Alessandro Mola – a spingere Garibaldi su posizioni di anticlericalismo intransigente». In effetti, da quel momento in poi, il generale manifestò una sempre più convinta adesione alle posizioni della che fu la principale sostenitrice nella penisola di un laicismo inflessibile e di una guerra a oltranza contro la Chiesa cattolica. L'obiettivo politico della liberazione di Roma dal dominio pontificio ben si coniugava evidentemente con l'obiettivo di dar vita a uno Stato laico e democratico, ove il potere temporale dei papi fosse soltanto un ricordo. D'altro canto, anche dentro il Grande Oriente d'Italia, la componente democratica di provenienza garibaldina cominciava a consolidare la propria presenza e a imporre le proprie scelte politiche e ideologiche. Non stupisce perciò che la prima vera Costituente massonica italiana, quella che si tenne a Firenze nel maggio 1864 con la partecipazione di 72 delegati, riuscisse finalmente a eleggere Garibaldi, a larghissima maggioranza, come nuovo gran maestro.
Come è noto, egli detenne questa carica solo per pochi mesi. Troppo vivaci erano gli scontri in atto proprio in quel periodo fra i vari gruppi della sinistra italiana perché questi potessero riconoscersi nella leadership unificante di Garibaldi, come era accaduto nel recente passato. Per fare un solo esempio, Antonio Mordini, che Garibaldi scelse come proprio plenipotenziario massonico, era in quel momento impegnato con Crispi e Bargoni nel tentativo di formazione del cosiddetto «terzo partito», un raggruppamento politico collocato a metà strada fra la sinistra costituzionale e l'estrema repubblicana, che intendeva utilizzare proprio il generale e l'organizzazione massonica come strumento per propagandare le proprie idee e raccogliere su di esse il consenso dei democratici.
Vi erano poi coloro, come il futuro Gran Maestro Lodovico Frapolli, che si battevano per impiantare anche in Italia una massoneria di modello anglosassone, estranea alle beghe di partito. «È già una fatalità – scrisse Frapolli a Mordini, commentando l'elezione di Garibaldi – che le circostanze ci abbiano forzati a scegliere per l'Italia, a gran maestro, un uomo politico. Inconveniente che non può essere tollerato, se non ammettendo la funzione che Garibaldi sia la bandiera del popolo, il mito incarnato dell'umanitarismo, mentre d'altronde, se quel nome è da tutti accettato, egli è perché ognuno presume che il generale si contenti di questo rôle eccezionale e non se ne mescoli altrimenti».
In realtà, Garibaldi non aveva nessuna intenzione di dare alla sua carica una valenza meramente formale, né pensava che la massoneria dovesse estraniarsi dalle vicende politiche nazionali. Lo si vide bene nel maggio 1867, allorché egli lanciò un celebre appello a tutti i «fratelli» della penisola: “Come non abbiamo ancora patria perché non abbiamo Roma, così non abbiamo Massoneria perché divisi. […] Facciasi in massoneria quel fascio romano che, ad onta di tanti sforzi, non si è potuto ancora ottenere in politica. Io reputo i massoni eletta porzione del popolo italiano. Essi pongano da parte le passioni profane e con la coscienza dell'alta missione che dalla nobile istituzione massonica gli è affidata, creino l'unità morale della Nazione. Noi non abbiamo ancora l'unità morale; che la Massoneria faccia questa, e quella [l'unità della nazione] sarà subito fatta. […] L'astensione è inerzia, è morte. Urge l'intendersi, e nell'unità degli intendimenti avremo l'unità di azione”.
La battaglia per completare l'unificazione nazionale e quella per riunire le varie obbedienze massoniche dovevano dunque andare di pari passo e quasi sovrapporsi. Per Garibaldi la massoneria, unico organismo che fosse dotato di una pur labile articolazione su base nazionale, doveva rappresentare lo strumento di aggregazione di tutte le forze progressiste italiane, per le quali, in quel momento, l'obiettivo assolutamente prioritario era rappresentato dalla lotta per la liberazione di Roma. Proprio a sancire questo suo intento ecumenico e conciliatorio Garibaldi, nel giugno 1867, pur conservando la carica di gran maestro del Consiglio scozzesista palermitano, accettò la nomina a gran maestro onorario del Grande Oriente d'Italia che gli venne conferita dalla Costituente massonica di Napoli.
Il legame con l'istituzione liberomuratoria era ormai saldissimo, come pure profonda era l'identificazione con gli ideali e i valori culturali di cui essa si faceva portavoce. Non valsero a incrinare questo rapporto neppure le divergenze manifestatesi in occasione dell'Anticoncilio di Napoli del 1869, a cui egli aderì con grande entusiasmo e dal quale la Massoneria, per volere di Frapolli, rimase invece sostanzialmente estranea, né il tiepido sostegno dato dal Grande Oriente d'Italia alle ultime iniziative per la liberazione di Roma del 1867 e del 1870.
Già nel 1872 Garibaldi rilanciò con estrema chiarezza quello che sarebbe divenuto il principale progetto politico dei suoi ultimi anni di vita e il testamento ideale che egli avrebbe lasciato alla sinistra italiana post-risorgimentale: l'idea cioè di riunire in un fascio comune tutte le correnti della democrazia, tutte le forze impegnate nella diffusione dei valori della cultura laica, della libertà, del progresso, di un riformismo che accettava di muoversi all'interno del quadro istituzionale vigente, pur non rinunciando alla prospettiva di cambiamenti più radicali in un lontano futuro. La massoneria doveva farsi promotrice di questo progetto e fornire il collante ideologico e organizzativo di cui esso necessitava per essere coronato dal successo. «Perché tutte le associazioni italiane tendenti al bene – si domandava nel 1873 - non si affratellano e non si pongono per amore d'indispensabile disciplina sotto il vessillo democratico del Patto di Roma? […] La più antica e la più veneranda delle società democratiche, la Massoneria, non darà essa l'esempio di aggregazione al fascio italiano? Le società operaie, internazionali, artigiane, ecc. non portano esse nel loro emblema la fratellanza universale, quanto la Massoneria? Formate il fascio, adunque, repubblicani ringhiosi; stringetevi intorno al Patto di Roma».
Nell'ultimo scorcio della vita la coincidenza fra le sue posizioni e quelle della Massoneria fu pressoché totale. Basterà ricordare il suo impegno nelle file del movimento pacifista e la battaglia, che vide ovunque i massoni in prima fila, per promuovere la costituzione di organismi di arbitrato a livello internazionale che scongiurassero il ricorso alle guerre. Oppure le sue battaglie per il suffragio universale, per l'emancipazione femminile, per la diffusione dell'istruzione obbligatoria, laica e gratuita: tutti temi che costituivano il patrimonio comune della sinistra democratica italiana di matrice risorgimentale e che la Massoneria inserì nel proprio programma e decise di sostenere con le modalità più diverse. Ma si pensi, per avere una conferma della forte consonanza di vedute che vi fu anche sul versante del razionalismo positivistico e della militanza anticlericale, all'adesione che Garibaldi dette al movimento per diffondere in Italia l'idea e la pratica della cremazione: movimento che fu direttamente promosso dalle logge massoniche e che ebbe fra i suoi maggiori dirigenti molte figure di primo piano della Massoneria. Si ricordi infine nel 1881 la sua mobilitazione, condivisa da molti democratici e fatta propria dal Grande Oriente d'Italia anche in virtù delle pressioni da lui esercitate sul Gran Maestro Giuseppe Petroni, per impedire che dopo il colpo di Tunisi si rompessero i rapporti con la Francia repubblicana e il governo fosse sospinto verso l'alleanza con gli Imperi centrali.
Dopo la morte di Garibaldi la Massoneria fu tra le forze politiche e sociali italiane quella che più di altre si incaricò di conservarne la memoria e di alimentarne il mito. Nel momento in cui le classi dirigenti del paese stavano profondendo le maggiori energie per costruire un paradigma identitario nel quale l'intera nazione potesse riconoscersi, la morte dell'eroe popolare per eccellenza mise a disposizione un riferimento simbolico prezioso, capace di affiancare e rafforzare l'ormai insufficiente e sbiadita immagine dinastica. Specialmente negli anni di Crispi, intorno alla figura di Garibaldi si cercò di costruire una religione civile imperniata sul mito laico del Risorgimento, e la Massoneria, all'epoca sotto la guida di Adriano Lemmi, ebbe un ruolo notevolissimo nel favorire la riuscita dell'operazione. Garibaldi fu il nome di gran lunga più diffuso fra quelli dati alle logge della penisola o alle logge italiane d'oltremare (in America Latina, in Africa del Nord, ecc.); altre denominazioni, come Caprera, Luce di Caprera, Leone di Caprera, erano ispirate dalla medesima volontà di rendere omaggio all'eroe nizzardo. La Massoneria promosse inoltre innumerevoli cerimonie, commemorazioni, inaugurazioni di lapidi e monumenti alla memoria di Garibaldi. La più importante di queste iniziative fu l'inaugurazione a Roma del monumento sul Gianicolo, che si tenne emblematicamente il 20 settembre 1895, nel venticinquesimo anniversario di Porta Pia, e vide il massone e capo del governo Francesco Crispi enfatizzare il contributo dato dalle forze laiche e popolari al Risorgimento.
La massoneria, grande sostenitrice della necessità di trasformare il 20 settembre in festa civile della nazione, vide in questa occasione coronata la sua richiesta. Al tempo stesso, prima che di lì a un anno difficoltà di varia natura travolgessero i due grandi artefici dell'iniziativa, Francesco Crispi e Adriano Lemmi, essa poté celebrare, nel nome di Garibaldi, la propria consacrazione come struttura associativa laica e democratica depositaria della migliore eredità del Risorgimento e come luogo di coagulo delle energie più vitali e più moderne del paese.

tratto da http://www.giuseppegaribaldi.info/index.html

nuvolarossa
22-05-07, 13:17
STORIA: GARIBALDI, UNA MOSTRA A FIRENZE SPIEGA COME E' NATO IL MITO

Firenze, 22 mag. - (Adnkronos) - Una mostra per spiegare come e' nato il mito di Giuseppe Garibaldi, alimentato dal simbolismo della ''camicia rossa'' ma anche dal ferimento sull'Aspromonte e dalla sua nobile figura di sostenitore supremo della causa nazionale italiana: e' quamto si propone di fare l'esposizione che si inaugura giovedi' 24 maggio a Firenze, in Palazzo Pitti, alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La mostra storico-artistica dedicata a ''Giuseppe Garibaldi tra storia e mito'' promossa dalla Fondazione Spadolini ''Nuova Antologia'' e dalla Fondazione di Studi Storici ''Filippo Turati'' e si avvale del patrocinio e del contributo del Comitato Nazionale per le celebrazioni del Bicentenario della nascita di Garibaldi e della Regione Toscana, della collaborazione della Soprintendenza Speciale del Polo Museale Fiorentino e dell'Anci, nonche' della Presidenza del Consiglio Regionale della Toscana, della Prefettura, della Provincia e del Comune di Firenze, e di altre istituzioni pubbliche e private.

tratto da http://www.adnkronos.com/IGN/hp/

nuvolarossa
09-06-07, 10:22
La "Garibaldi Cup" festeggia l'eroe dei due mondi

(AGM-DS) - Milano, 8 giugno - In occasione del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi (Nizza, 4 luglio 1807). Questo il principale motivo della regata di canottaggio su imbarcazioni di “Coastal Rowing” che verra` organizzata sul mare di Sardegna, con percorso di 15 miglia da Porto Rotondo all’Isola di Caprera, dove l’Eroe dei Due Mondi spiro` il 2 giugno 1882.

La manifestazione si terra` lo stesso giorno genetliaco di Garibaldi, mercoledi` 4 luglio 2007, e vedra` la partecipazione di equipaggi provenienti dalle regioni Italiane particolarmente toccate dalle gesta del condottiero risorgimentale (dalla Liguria alla Sicilia, dalla Campania al Lazio ed alla stessa Sardegna) e dalla costa francese (Nizza, Montecarlo, Marsiglia).

tratto da http://www.datasport.it/

nuvolarossa
13-06-07, 11:58
Sezione A.M.I. friulana Luciano Bolis – Udine

http://www.nuvolarossa.org/modules/xgallery/cache/albums/01-Album-di-Darwin/Logo.jpg

“GIUSEPPE GARIBALDI E L’EUROPA”

Conferenza – dibattito con Aldo Chiarle, partigiano, garibaldino, giornalista, opinionista dell’Avanti, scrittore, saggista

Lunedi’ 18 giugno ore 18.30 presso: Hotel Ramandolo - Via Forni di Sotto 28 – Udine

Per informazioni - Luca Bagatin 3336703161 - Gianfranco Cosatti 3491008827

tratto da http://www.webandcad.it/AMI/italiano.htm

nuvolarossa
17-06-07, 19:43
STORIA: COLONIA E BONN CELEBRANO BICENTENARIO DI GARIBALDI

17 giu. (Adnkronos/Adnkronos Cultura) - Anche Colonia e Bonn si uniscono alle celebrazioni per il bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi (4 luglio 1807), con delle iniziative che si svolgeranno presso l'Istituto Italiano di Cultura di Colonia e presso l'Universita' di Bonn, in collaborazione con l'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano di Roma.

L'Istituto Italiano di Cultura di Colonia allestisce la mostra ''Ritratti di Giuseppe Garibaldi'' fino al 2 luglio, un itinerario attraverso l'immagine dell'eroe tra stampe e fotografie conservate presso il Museo Centrale del Risorgimento di Roma. L'iniziativa prevede inoltre la presentazione del filmato ''Caprera Isola Sacra'' realizzato dalla Marina Militare Italiana intorno al 1927 e appositamente restaurato dall'Istituto Luce. Si tratta di una inedita visione dei luoghi della vita quotidiana di Giuseppe Garibaldi con una guida del tutto particolare: la figlia Clelia. L'inaugurazione della sara' accompagnata dalla conferenza dello storico Rudolf Lill su ''Garibaldi e il Risorgimento italiano''.

Le celebrazioni garibaldine proseguiranno poi all'Universita' di Bonn dove la mostra sara' presentata dal 4 al 20 luglio. In collaborazione con il Dipartimento di Italianistica, il 4 luglio avra' luogo una giornata di studio sull'Eroe dei due mondi con la partecipazione, tra gli altri, di Giuseppe Talamo, presidente dell'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, che interverra' su '' Garibaldi e Cavour. Democratici e Liberali nel Risorgimento'' e di Wolfgang Altgeld dell'Universita' di Wurzburg su "Garibaldi e la Germania''.

tratto da http://www.adnkronos.com/IGN/hp/

nuvolarossa
23-06-07, 08:35
Mazzini: caro Garibaldi, su Nizza sto con te

«Caro Garibaldi, la turpe concessione di Nizza e Savoia mi pesa come una macchia di disonore...». Così scriveva Giuseppe Mazzini all'eroe dei due mondi il 3 aprile del 1860. Ritorna così alla luce uno dei documenti più importanti del nostro Risorgimento. La lettera autografa di Mazzini è stata aggiudicata ad un'asta di Bloomsbury a Roma per 7 mila euro e verrà esposta in pubblico in occasione del bicentenario della nascita di Garibaldi. Nella missiva, Mazzini esprime la propria rabbia per la cessione di Nizza e Savoia, e il disappunto per le debolezze di re Vittorio Emanuele II. Quindi analizza la situazione internazionale del tempo e teorizza la necessità di agire finalmente per il bene dell'Italia. Secondo Mazzini bisognava favorire l'insurrezione, partendo dal Sud per «annettere ogni paese d'Italia». Così la strategia vincente pare sia stata ispirata da Mazzini a Garibaldi.

tratto da http://www.db.avvenire.it/avvenire/

nuvolarossa
03-07-07, 09:48
Gli auguri di Genova al «suo» Garibaldi che compie 200 anni

di Francesco Gambaro

Dal 16 novembre 2007 al 2 marzo 2008 sarà possibile visitare tre importanti mostre collegate a Garibaldi: «Il mito di Garibaldi da Lega a Gattuso» (un’occasione per ripercorrere a palazzo Ducale, attraverso dipinti, sculture e disegni la storia e l’epopea di questa mitica figura). E poi ancora «Da Rodin a d’Annunzio» (il monumento ai Mille di Eugenio Baroni alla galleria d’arte moderna di Nervi), fino ai manifesti garibaldini che si concentrano sulla figura di Garibaldi e di altri eroi del Risorgimento nei primi cinquant’anni del Novecento. Sempre nell’ambito delle manifestazioni collegate al bicentenario della nascita rientra il progetto « Sulle orme di...Garibaldi» voluto dal Miur per contribuire alla conoscenza dell’uomo oltre che del personaggio storico tra i ragazzi delle scuole. É prevista così la visita allo Scoglio di Quarto e alla raccolta di cimeli garibaldini di villa Spinola, da dove l’eroe dei due mondi, ospite di Candido Augusto Vecchi, progettò la spedizione dei Mille. Possibile pausa pranzo presso l’istituto alberghiero Marco Polo con degustazione di ricette liguri «risorgimentali». A seguire visita all’Acquario attraverso il centro storico e Sottoripa.

Ancora da scegliere alcune giornate successive che dovrebbero essere dedicate a una visita a palazzo Reale, alla galleria nazionale di Palazzo Spinola e all’ecomuseo della Lanterna. Per gli amanti del trekking è prevista l’escursione di un’intera giornata a Camogli e nel parco naturale regionale di Portofino, fino a punta Chiappa e, via mare, a Rapallo dove sarà possibile visitare il museo etnografico della civiltà contadina «Capitano garibaldino Giovanni Pendola» sull’antica strada dei Monti.

tratto da http://www.ilgiornale.it/

brunik
04-07-07, 16:15
GARIBALDI/ MICCICHE': E' GIUNTO MOMENTO CESSI FALSITA' STORICA
"Dai siciliani non può essere certo inteso 'Eroe dei due mondi'"

Messina, 4 lug. (Apcom) - "È giunto il momento che anche questa falsità storica cessi di occupare i libri sui quali studiano i nostri figli. Cominciamo seriamente a prendere in considerazione l'ipotesi di intitolare più piazze a Federico II che a Garibaldi". Così il Presidente dell'Assemblea regionale Siciliana, Gianfranco Miccichè, esprimendo solidarietà al senatore Giovanni Pistorio (Mpa) che ha abbandonato l'Aula di Palazzo Madama per protesta contro la decisione del Presidente Marini di impedirgli di intervenire in merito alle celebrazioni dei duecento anni dalla nascita di Garibaldi, annunciando al contempo le proprie dimissioni da segretario dell'Ufficio di Presidenza.

"Se a qualcuno importa che l'Italia continui a rimanere unita - continua Miccichè - è opportuno riesaminare al di fuori delle barriere ideologiche i fatti storici realmente accaduti dal 1860 in poi. In particolare, non si possono continuare a tacere gli eccidi e le barbarie di quello che ormai per troppo tempo è stato presentato come 'l'Eroe dei due mondi', e che certamente tale - conclude il presidente dell'Ars - non può essere considerato in Sicilia e dai siciliani".

Flaxio
04-07-07, 16:21
Garibaldi ha ucciso migliaglia di persone per riunire l'Italia...ma ogni cosa ha un suo prezzo e il fine giustifica i mezzi..Onore a Garibaldi.

brunik
04-07-07, 16:26
è evidente che il PRI nella CDL non conta più niente, fanno a gara a chi sputa di più si Garibaldi.

GARIBALDI/ LOMBARDO(MPA): AL SUD HA FATTO PAGARE SANGUE E MISERIA
Solidarietà con la protesta di Pistorio a palazzo Madama

Messina, 4 lug. (Apcom) - Giuseppe Garibaldi fu il "principale costruttore di un'unità solo politica, pagata al prezzo del sangue, della miseria e dell'emigrazione dal popolo meridionale, concretatasi nell'abissale divario che allontana ogni giorno di più Nord e Sud, francamente indegno per un paese civile". Lo afferma il leader del Movimento per l'Autonomia, Raffaele Lombardo, esprimendo "solidarietà" con la protesta a palazzo Madama del senatore Pistorio contro le commemorazioni odierne.

"Spiace constatare che il Presidente Marini oggi al Senato, in occasione delle celebrazioni per il secondo bicentenario della nascita di Garibaldi -afferma Lombardo- abbia impedito al senatore Pistorio di esprimere un giudizio critico sulla figura e le imprese del cosiddetto eroe dei due mondi".

brunik
04-07-07, 16:27
adesso dopo Forza Italia e MPA aspettiamo con ansia la Lega Nord, anche loro sono grandi estimatori del Nostro.

brunik
04-07-07, 16:31
eccolo qua, si sono messi tutti d'accordo.

GARIBALDI/ BRICOLO (LEGA): EROE DEI DUE MONDI E' FALSO STORICO
Napolitano sbaglia a osannarlo
postato 4 ore fa da APCOM

Altri
Roma, 4 lug. (Apcom) - "Sbaglia oggi il presidente Napolitano a celebrare e osannare Garibaldi. E si sbaglia ancora di più se pensa di farlo in nome dei cittadini che vivono in questo Paese. Al nord, in Padania, Garibaldi e gli artefici del Risorgimento saranno sempre ricordati nel peggiore dei modi, come si ricorda una sciagura". Lo afferma in una nota il deputato della Lega Federico Bricolo.

"Garibaldi, eroe dei due mondi, - aggiunge - è semplicemente un falso storico, fu un massone senza scrupoli, un nemico della Chiesa, l'artefice di una unità d'Italia che di fatto ha diviso ancora di più il nord dal sud. Arriverà presto il giorno in cui- conclude Bricolo - i libri di storia finalmente scriveranno la verità sulla sua figura e sulle sue malefatte e i suoi monumenti saranno rimossi per volontà popolare".

nuvolarossa
04-07-07, 19:26
Garibaldi ed il patriottismo nel 2007. Una nuova speranza!
di Emanuele Vaccaro

Oggi 4 luglio 2007 ha ufficialmente inizio il bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi.
Chi capita su questo sito non ha certo bisogno di conoscere la sua storia e le sue gesta eroiche ma prendendo spunto da questa ricorrenza sento il bisogno di sottolineare come questa possa stimolare una svolta nel cammino del nostro Paese.
Non voglio narrare le incredibili avventure del più grande eroe che l'Italia ha mai avuto; un eroe omerico, un moderno Cincinnato, che ha infervorato il mio cuore quando qualche anno addietro, vagando alla ricerca della mia identità, mi sono imbattuto nel Risorgimento durante il tiepido programma liceale.
Sento il bisogno invece di scrivere del suo patriottismo, che del resto è quello che accomuna noi giovani repubblicani, e di quanto esso sia oggi necessario per il nostro popolo spesso smarrito ed in balia dei suoi stessi errori.

Cosa si deve intendere per patriottismo?
"Ovunque si combatta per la libertà, lì c'è una Patria" diceva il generale; un principio chiaro ed assoluto, come erano sempre le sue idee, che applicò a fondo per tutta la sua lunghissima vita. Quando guidava la resistenza romana aveva più di 40 anni, ed aveva già combattuto per le libertà dei popoli in Sudamerica. Continuò a combattere anche quando il suo fisico non reggeva più le lunghe marce a cavallo (soffriva di atroci attacchi di reumatismo) per molti popoli europei e per la sua amata Italia. Era lui il vero "Che" scrivono oggi gli storici, ma sta proprio qui la sua forza immortale: Che Guevara fu un giovane utopista che morì per un ideale folle; prima o poi la sua figura tramonterà come il comunismo. Garibaldi invece combatteva per la democrazia, che però doveva essere sempre legata alla nazionalità. Solo questa rende gli uomini felici perchè come ogni individuo si sente parte della propria famiglia, tante famiglie compongono una Patria, e tutte le nazioni costituiscono l'Umanità (è un assioma del pensiero mazziniano).
La sua figura fu abusata da tutte le forze politiche (non clericali): comunisti, fascisti, socialisti, monarchici. Mi dispiace per tutti ma Garibaldi era un repubblicano! Era un mazziniano per la precisione, anche quando negli ultimi anni di vecchiaia contestava Mazzini ed i suoi fallimenti. Le loro idee di Nazione erano le stesse, differivano solo sui mezzi per conquistarla. Se vogliamo usare un' appropriata definizione essi erano "Pensiero e Azione". Purtroppo Mazzini spesso fu tutto Pensiero e Garibaldi molto più spesso fu solo Azione, ma il Profeta rimase sempre l'ideale Maestro del Generale.
Per chi ama le definizioni il Patriottismo di cui stiamo parlando è quello "democratico". Per capire perché solo questo possa favorire l'avvenire dei popoli e perché oggi gli italiani ne abbiano un disperato bisogno si deve subito distinguerlo dal Nazionalismo. Nei libri di Storia e nell'uso comune spesso i due concetti si confondono. Per esempio durante la guerra civile italiana sia i fascisti che i partigiani (della compagine democratica) si dichiaravano "patrioti". Se per questa definizione si intende semplicemente colui che ama la propria Patria notate che entrambi hanno la stessa legittimità a definirsi tali... ma non è così! Da un punto di vista teleologico solo i partigiani erano veri "patrioti" mentre i fascisti erano nazionalisti. Entrambi volevano un certo tipo di Italia ma il patriottismo desidera benessere nel proprio Paese come anche nei paesi vicini e così passando da Stato a Stato, desidera il Bene per tutta l'Umanità (non come il fascismo che mira ad aumentare la supremazia sui più deboli). Un vero patriota ama la propria Patria ma ama anche quella degli altri perché aspira al Bene per ogni essere umano. L'individuo che abbraccia questo modo di pensare è figlio dell'illuminismo e può sentirsi un po' partecipe di tutti i grandi eventi che da lì sono derivati dalla Rivoluzione americana ad oggi. Gli esempi storici sono tantissimi nella nostra tradizione democratica, per tutti basti ricordare oltre a Garibaldi, non a caso "eroe dei due mondi", Mazzini che costituì la Giovine Italia ma poi anche la Giovine Europa per aumentarne il contesto politico e Carlo Rosselli che negli anni '30 mentre combatteva fra le fila delle brigate internazionali nelle torride campagne iberiche tuonava: "Oggi in Spagna, domani in Italia!".
Parlare però di patriottismo solo come di un atteggiamento nei confronti delle ricorrenze e dei simboli nazionali è riduttivo e questo sì che può facilmente sconfinare nella più opprimente retorica, che tanti giovani hanno odiato ai tempi del "pelatone".
Il patriottismo non deve annoiare, deve appassionare! Pensate a tutti quei ragazzi che seguirono Garibaldi e costituirono le sue legioni di volontari sul Gianicolo o nelle due Sicilie, nessuno di loro avrebbe barattato il loro posto nella Storia; la loro passione li portava a rischiare la morte ma non avevano la minima titubanza. Gli assalti famosi alla "garibaldina", assalti alla baionetta spesso in inferiorità numerica, portavano alla vittoria perché le camicie rosse erano composte da uomini che lottavano per ideali magnifici, motivati dall'esempio del generale che come un leone si gettava sempre in prima linea sul campo per guidarli di persona; i soldati di franceschiello invece scappavano perché loro combattevano solo per una gelida paga. I mille forestieri, quasi tutti del nord, che sbarcarono a Marsala divennero sul Volturno più di 30000, per la maggior parte giovani meridionali, volontari di qualsiasi ceto sociale uniti per la causa nazionale; non per soldi o per la gloria ma per la dedizione in un ideale superiore alla loro stessa vita. E' lo stesso spirito che spinse gli americani allo sbarco in Normandia o gli europei democratici a combattere in Spagna le forze franchiste.
Per me il miglior esempio di questo spirito garibaldino è nell'immagine di Nino Bixio, braccio destro di Garibaldi, quando nella battaglia di Palermo si batté con coraggio per tutto il tempo dei combattimenti con una pallottola in pieno petto, incitando gli uomini, memore dell'ordine del generale "qui si fa l'Italia o si muore!"; episodio epico e vittorioso alla quale il genovese sopravvisse eroicamente nonostante la grave ferita!
Questo è il tipo di patriottismo democratico in cui crediamo! Oggi, finiti per fortuna i tempi degli spargimenti di sangue, questa filosofia rispettosa di tutte le patrie è facilmente riscontrabile in tutte le organizzazioni internazionali di pacifica cooperazione (ONU, UE ecc.). Magari non tutti quelli che lavorano o credono in queste istituzioni sanno che Mazzini ne andava parlando 150 anni fa' ma questo ci dimostra la forza e la giustizia di questi principi, al di là dei tempi, e questo non può che renderci orgogliosi.Perché il patriottismo oggi potrebbe essere fondamentale per gli italiani?Mi sembra chiaro che l'Italia di oggi abbia perso le sue radici ideologiche e morali. La maggioranza dei cittadini, soprattutto nelle giovani generazioni, cerca dalla vita solo il successo personale, convinti di trovarsi in una giungla dove esiste solo la legge del più forte e dove le leggi della Repubblica, la polizia o i professori sono nemici che ostacolano le loro vuote prospettive.
Tangentopoli, mafiopoli, bancopoli, vallettopoli sono i sintomi di una società malata ormai da tempo in cui l'egoismo ed i leccapiedi hanno fatto strada e dove il rischio del fallimento sembra sempre più vicino. C'è un confine molto stretto fra una democrazia fondata sulla legge ed una società anarchica: la democrazia sopravvive solo se i cittadini ci credono e la rispettano; la Costituzione o le leggi sono solo pezzi di carta che non possono difendersi da soli.
Certo le cose andrebbero meglio se la situazione attuale del Paese fosse migliore. Per rendere felice la cittadinanza, o meglio per facilitare la ricerca della felicità, tutti sanno che cosa occorrerebbe, soprattutto chi fa' politica: un sostanziale benessere economico (posti di lavoro e costo della vita sostenibile) ed anche una giustizia sociale funzionante (diritti civili concreti ed attuali e quindi sicurezza pubblica e giustizia operative). Una società che funziona difficilmente partorisce cittadini ostili alla legalità.
Oggi invece è furbo chi non paga le tasse, o chi trova le raccomandazioni per fare carriera! Spesso si dice che è "il sistema che non regge più perché non ci sono più i valori di una volta". Più in generale si è persa una coscienza civica del rispetto delle regole della Repubblica, un preciso complesso di valori che deriva anche dal grado di patriottismo dei cittadini.
Attenzione! Questo complesso di valori può essere però sempre riacquistato, in diversi modi.
In modo tragico: subire una guerra nazionale o una catastrofe naturale rende un popolo più compatto. Spesso chi è sopravvissuto al dolore ed alla miseria sa apprezzare di più la vita che riacquista alla fine della tragedia e quindi i "valori" entrano nella sua coscienza senza nessuna imposizione. Ovviamente non potendo augurarci simili scenari dobbiamo guardare altri metodi.
C'è "l'esempio": dei padri sui figli, dei professori sugli alunni, dei politici sulla cittadinanza. Ma è chiaro che anche questi oggi non sono sufficienti, anzi spesso questi esempi sono quanto di più negativo possa desiderarsi.
Paradossalmente la Chiesa che noi illuministi e laicisti attacchiamo per la sua strategia del terrore per tenere in pugno le coscienze almeno prima era un veicolo di buoni valori, quelli evangelici, che all'Italia del dopo guerra furono molto utili. Ricordate Totò nel film "i tartassati" che alla fine accetta di non evadere più le tasse non perché preso dal senso di colpa di non adempiere al suo dovere civico ma bensì perché morso dal peccato religioso, che un cardinalone gli fece venire. Al punto in cui ci si ritrova sarebbe meglio una morale religiosa che nessuna morale ma come il sistema dimostra anche questa è scomparsa.
Ma noi siamo illuministi del "Coraggio laico" e non possiamo arrenderci quindi dobbiamo costruire una Morale efficiente, laica e moderna. Soprattutto siamo dei ferventi patrioti e proprio su quel patriottismo, che ho cercato di illustrare in questo articolo, dobbiamo puntare le nostre speranze. Se riuscissimo a rendere operativa la filosofia di questo complesso di ideali avremmo dato un notevole contributo alla coscienza civica del Paese. Se riuscissimo a fare del figlio di un sovversivo padano un sincero patriota italiano, nessuna ETA potrà mai nascere in Italia.
In una parola serve l'Educazione nazionale che sforni un numero sempre maggiore di cittadini onesti che sappiano amare i propri fratelli e la loro Patria.
E quale tipo di Stato può garantire il benessere dei cittadini, sul piano dei diritti e della giustizia sociale, se non una repubblica democratica che è "la migliore forma di Stato" (Garibaldi)?
Ed allora visto che per fortuna oggi, grazie alle fatiche di 200 anni di generazioni di patrioti, ci ritroviamo questo bel regalo ancora in piedi, la Repubblica italiana, abbiamo il dovere di continuare a renderle onore.
Garibaldi, Mazzini, Mameli, Bixio e tutti i martiri della causa democratica italiana dal Risorgimento alla Resistenza (ed anche oltre se pensiamo a Falcone e Borsellino oppure a l'ispettore Raciti) sono vissuti e morti per un'Italia che non lì ha mai reso abbastanza onore. Anzi troppo spesso c'è chi infanga i loro nomi e la loro memoria. C'è chi strumentalizza un episodio triste della nostra storia per ingiusti attacchi che rasentano il vilipendio alla nazione.
E' necessario che il tricolore, l'inno nazionale e la memoria storica tornino nei cuori del popolo. Dobbiamo farlo noi giovani generazioni del duemila; loro hanno fatto l'Italia noi ora dobbiamo fare gli italiani, prima che sia troppo tardi.
Come? Facendo in modo che gli italiani tornino ad amare il loro glorioso Paese come lo amano quando da bambini seguono la nazionale ai mondiali di calcio. Quel patriottismo genuino che francesi, britannici, americani hanno nel loro dna e che noi non avremo mai se non ricominciamo dal punto in cui i nostri illustri predecessori erano arrivati. Per colpa del fascismo e poi del '68 il patriottismo italiano fu sepolto ma ora deve trovare un "nuovo Risorgimento". E sta già accadendo grazie alla globalizzazione, che aumenta il senso di appartenenza alla propria nazione; grazie alla presidenza Ciampi, mazziniano di grande spessore; sicuramente è di buono auspicio anche la vittoria degli azzurri ai mondiali nell'estate scorsa.
Sta quindi anche a noi giovani repubblicani accelerare questa rinascita.
Oggi comincia il bicentenario di Garibaldi, è un caso? Io dico di no!

Concludendo. Chi legge si chiederà: "Vabbé ma che cosa di preciso dovremmo fare? Quale sarebbe la ricetta giusta?" Io qualche idea me la sono fatta ma mi riservo ancora un po' di tempo per esporre le mie proposte. Mi piacerebbe che al prossimo congresso programmatico della FGR, dopo l'estate, questo tema, importante per tutti noi, riceva la giusta attenzione ed il contributo di ognuno.

Emanuele Vaccaro - FGR-ROMA

tratto dal sito della Federazione Giovanile Repubblicana http://www.fgr-italia.it/

brunik
04-07-07, 22:46
Quasi una rissa a palazzo Madama in occasione dei 200 anni dalla nascita
dell'Eroe dei due mondi. Caldeoli: "Noi siamo in lutto"
Leghisti e siciliani contro Garibaldi
Lite al Senato per il bicentenario

Pistorio (Dc per le Autonomie): "Occasione sprecata, solo agiografia"



http://www.repubblica.it/2007/07/sezioni/spettacoli_e_cultura/celebrato-garibaldi/celebrato-garibaldi/ansa_10734356_47200.jpg Marini e Bertinotti durante le celebrazioni di Garibaldi

ROMA - Autonomisti padani e siciliani uniti nella contestazione di Garibaldi. Luogo: l'aula del Senato; occasione: le celebrazioni del bicentenario della nascita dell'"Eroe dei due mondi". Nella solenne giornata di commemorazioni, mentre il sabaudo (e liberale) Valerio Zanone ricorda Garibaldi insieme a Mazzini, Cavour e Vittorio Emanuele come "costruttori dell'unità d'Italia", Calderoli fa sapere che i leghisti sono in lutto e che Garibaldi avrebbe fatto meglio a non dedicarsi a certe imprese: "Lui e i Savoia hanno fatto il male della Padania e del Mezzogiorno, che stavano bene dove stavano''. Paradossalmente (ma fino a un certo punto) gli fa eco Giovanni Pistorio senatore siciliano della Dc per le autonomie che afferma: "un'occasione sprecata di agiografia di un personaggio la cui verità storica oggi è oggetto di profonda revisione da parte della comunità scientifica".

Insomma, uno scontro, quasi una lite che il presidente Franco Marini riesce a frenare non senza difficoltà. Garibaldi, dunque, non piace proprio a tutti. E Pistorio, rappresentante del sud e di origine catanese, ci tiene a puntualizzarlo prendendo la parola in aula, e alzando anche un po' il tono di voce: "voglio formalizzare che non c'è unanimità, voglio esprimere il mio dissenso". Marini non ci sta: "Lei sta facendo una prepotenza, io non posso accettarlo. E' irrituale il suo intervento, le cose impossibili non si possono chiedere".

http://oas.repubblica.it/RealMedia/ads/adstream_nx.ads/repubblica.it/nz/spettacoli-cultura/interna/1694774254@Top,TopLeft,TopRight,Left,Right,Middle, Position1,x41,x42,x43,Bottom!Middle (http://oas.repubblica.it/RealMedia/ads/click_nx.ads/repubblica.it/nz/spettacoli-cultura/interna/1694774254@Top,TopLeft,TopRight,Left,Right,Middle, Position1,x41,x42,x43,Bottom!Middle)

Roberto Castelli, presidente dei senatori del Carroccio, prende la parola per sottolineare che "l'aula è un luogo sacro per la democrazia e qui il paese ha diritto di esprimere il suo dissenso sulla relazione di Zanone che - secondo Castelli- in certi momenti ha sfiorato il grottesco". E ribadisce che la Lega Nord non ha partecipato alla cerimonia, volendo esprimere così il suo dissenso. "Certo - conclude - in questa aula le camice rosse vanno di moda".

Marini replica che "quella di stamattina non è una seduta e l'aula non si è espressa su nulla, ma ha solo ospitato una cerimonia su cui il Senato non ha pronunciato nessun giudizio". Inutile tentativo di placare gli animi perché Pistorio continua la sua protesta impedendo ad altri di parlare. "Lei è componente del consiglio di presidenza", ricorda Marini a Pistorio. Nel frastuono si sente anche la parola "dittatura". Marini richiama all'ordine Pistorio e avverte: "non vorrei espellerla, anzi non lo voglio proprio fare". Pistorio annuncia le sue dimissioni dall'ufficio di presidenza del Senato.

(4 luglio 2007)
Torna su (http://www.repubblica.it/2007/07/sezioni/spettacoli_e_cultura/celebrato-garibaldi/celebrato-garibaldi/celebrato-garibaldi.html#up)

nuvolarossa
05-07-07, 08:56
EN PLAZA ITALIA, A 200 AÑOS DE SU NACIMIENTO

Homenajearon a Giuseppe Garibaldi

FORZA ITALIA. REPRESENTANTES DE LA COLECTIVIDAD, AYER, EN EL ACTO.

Ayer, en Plaza Italia, se realizaron los festejos por el bicentenario del nacimiento de Giuseppe Garibaldi, el popular prócer italiano que encabezó la lucha por la unificación de su nación. Llamado "Héroe de Dos Mundos", por su participación en rebeliones libertarias Sudamericanas, fue una de las figuras históricas más atrapantes de todos los tiempos.

Desde las 10 de la mañana, convocados por la Embajada y el Consulado General de Italia, se reunieron junto a la estatua ecuestre de Garibaldi distintas asociaciones, escuelas, miembros de la colectividad y amigos de Italia, y autoridades civiles y militares. Se cantaron los himnos de los dos países, y el embajador Stefano Roca destacó el accionar patriótico del legendario guerrero. En la plaza fueron inaugurados alrededor de la estatua distintos paneles que ilustran la trayectoria de Garibaldi y el proceso de unificación de Italia, que concluyó en 1861.

tratto da http://www.clarin.com/

nuvolarossa
05-07-07, 09:49
Evocaron a Garibaldi, héroe de dos mundos y unificador de Italia
Combatió los privilegios y la opresión

Jueves 5 de julio de 2007 - Ayer se cumplieron 200 años del nacimiento de Giuseppe Garibaldi, el guerrero romántico e inconformista del Resurgimiento y la unidad de Italia, que llevó su espada a frentes de batalla en Francia, en Grecia y en el sur de América, donde pasó 13 años de su vida aventurera entre la Argentina, Brasil y Uruguay.

Así, su figura legendaria fue evocada ayer en Niza, su ciudad natal, y en Roma, donde el Senado italiano le dedicó una sesión especial, pero también en América latina: en Buenos Aires, Rosario, Montevideo y Porto Alegre.

En un homenaje ante su monumento en plaza Italia, el embajador italiano en la Argentina, Stefano Ronca, dijo que Garibaldi es popular en todo el mundo "porque ha combatido en diversos países contra los privilegios, contra toda forma de opresión, por la libertad de los pueblos y por la causa republicana, y también nunca se aprovechó de su propia popularidad". Lo consideró un modelo porque llevó una vida espartana y fue "un ejemplo de honestidad".

Ese monumento, de 15,50 metros de altura, es obra del escultor italiano Eugenio Maccagnani, fue fundido en Berlín e inaugurado el 19 de junio de 1904, con la presencia del presidente Julio A. Roca; de Mitre -amigo de Garibaldi, a quien había conocido en Montevideo- y de unas 60.000 personas. Ahora, la plaza ha incorporado, con el apoyo de la Fundación Andreani, atriles donde se cuenta la historia del luchador republicano.

Mitre dejó constancia de cómo lo impactó la figura del guerrero que conoció en Montevideo en 1837: "Cumplía yo entonces veintidós años y la personalidad de Garibaldi ejercía sobre mi imaginación una especie de fascinación, que me atraía irresistiblemente por las hazañas que de él había oído relatar, y por una especie de misterio moral que lo envolvía".

En 1909 y 1910, la biblioteca de LA NACION publicó, en dos tomos, las Memorias de Garibaldi.

Este nació en Niza, que hoy pertenece a Francia, pero entonces era italiana, en 1807. Era hijo de un marinero y se hizo a la mar siendo muy joven. En 1830 ya era capitán de barco. Se interesó por entonces en el partido de la Joven Italia, encabezado por Giuseppe Mazzini, que pugnaba por unir los pequeños reinos de Italia en una sola nación. Por su actividad insurreccional fue condenado a muerte y debió huir a América, donde viviría memorables peripecias.

En Brasil se sumó a un movimiento revolucionario en Río Grande del Sur. En Uruguay se unió a Ana, joven brasileña que fue su compañera de vida en la prosperidad y la fortuna, y madre de sus hijos. En Montevideo, resistió el asedio de las tropas de Manuel Oribe. Combatió con su escuadra contra Juan Manuel de Rosas a lo largo del Paraná. El almirante Guillermo Brown le dio alcance y lo derrotó, pero se negó a cumplir la orden de Rosas de ejecutarlo. "Garibaldi es un valiente, déjenlo que se escape", dijo el almirante.

"Héroe de dos mundos" se lo llamó por su lucha en América y Europa. En 1848 volvió a Italia, para luchar en el Norte contra los austríacos. Luego, con la fuerzas de la Joven Italia, luchó en defensa de Roma contra los franceses. Años después, con sus "camisas rojas" depondría al rey de Nápoles, impondría a Víctor Manuel en el trono de Italia y coronaría la unidad italiana arrebatando Roma al dominio del Papa. Murió en 1882 en la isla de Caprera, cerca de las costas de Cerdeña, donde había pasado en retiro sus últimos años y en cuya serenidad había dado a luz una novela y otros escritos.

Al acto de ayer en plaza Italia asistieron, con sus banderas, varias escuelas: Cristoforo Colombo, Edmundo de Amicis, las International Schools de Hudson, Pilar y Buenos Aires, y los colegios del Centro Cultural Italiano de Villa Adelina y de Olivos. Preguntados unos chicos si sabían a quién se honraba, Celina, de 11 años, de Olivos, respondió: "Era el San Martín italiano".

Por Jorge Rouillon
De la Redacción de LA NACION

tratto da http://www.lanacion.com.ar/

kid
05-07-07, 12:07
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg

riccardo bruno sulla voce repubblicane del 3 luglio

di Riccardo Bruno

E’ evidente a tutti che il bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi non è stato celebrato dai repubblicani italiani con l’emozione e la partecipazione che si deve ad un padre della patria, ad una figura storica e popolare come quella incarnata dall’”eroe dei due mondi”. La ragione di questo distacco è che, per quanto sia forte il legame con il mito dell’epopea garibaldina, le pagine di una vicenda storica tanto elaborata e complessa sono state, negli anni, ricostruite sempre più chiaramente. Cominciando con la storia della liberazione della Sicilia, dove i meriti di Garibaldi furono, e di molto, inferiori a quelli di mazziniani come Francesco Crispi e Rosolino Pilo. Per non dire che, senza la certezza che la rivolta dei mazziniani avrebbe avuto successo, Garibaldi non avrebbe mai mosso un dito. Ma quando Antonio Carioti sul “Corriere della Sera” del dicembre dell’anno scorso ha richiamato l’attenzione sulle ultime ore di Mazzini nella ricostruzione di Sarina Nathan, in una lettera allo stesso Garibaldi, il cuore garibaldino di tanti repubblicani si deve essere spezzato e non bastò più la meravigliosa difesa del Pincio per ricomporlo.
Perché, per la prima volta, il dissenso fra Garibaldi e Mazzini è apparso nitidamente più forte del loro storico sodalizio ai tempi della Repubblica romana. La scelta di non voler concludere questo dissenso, la replica sprezzante del Generale alle raccomandazioni avute proprio per recuperare lo strappo consumatosi, rappresentano di fatto una ferita aperta nella tradizione repubblicana: con la quale bisogna iniziare a fare i conti.
Sarina Nathan, che rimase vicina a Mazzini nelle sue ultime ore, accusava Garibaldi di aver inflitto al fondatore della Giovine Italia una “mortal ferita” e gli scriveva: “Voi più d'ogni altro logoraste quella santa vita, voi più d'ogni altro rendeste anzi tempo orfana la nazione del Padre suo e l'umanità della più sana guida”.
Secondo Carioti il riferimento della Nathan è dovuto proprio all’intervento indirizzato a Garibaldi nell'ottobre 1871 (cioè pochi mesi prima della morte di Mazzini) dal democratico Giuseppe Petroni, che aveva auspicato una rappacificazione tra i due eroi del Risorgimento. La risposta del Generale fu sdegnosa: “Mazzini e io siamo vecchi; di conciliazione tra me e lui non se ne parli, le infallibilità muoiono ma non si piegano! Conciliarsi con Mazzini? Vi è un solo modo possibile: ubbidirlo, e non me ne sento capace”.
In effetti, l’obbedienza, Garibaldi la dette solo al re. Non ne era entusiasta, è vero, ma questi restano i fatti.
Garibaldi aveva accettato che fossero i Savoia a guidare il moto unitario, quando Mazzini non aveva mai rinunciato all’idea della Repubblica. Questa la divaricazione di fondo. E non basta certo compensare il servizio reso alla real casa sostenendo l'Internazionale operaia o la Comune di Parigi del 1871, come pure Garibaldi fece. Perché in questa maniera, il dissenso con Mazzini, contrario ad entrambe, si aggravava. Mazzini, da liberale, era un paladino della proprietà privata, mentre il nizzardo pensava forse di riscattare la sua lealtà monarchica con l’attrazione per gli ideali socialisti.
Ora è troppo amaro pensare che possa avere ragione la Nathan nello scrivere che il colpo di grazia a Mazzini morente fu la scelta di Garibaldi di non riconciliarsi. Ma certo è che nella rottura fra Mazzini e Garibaldi si scorge anche la crisi del movimento repubblicano, la sua amara sconfitta risorgimentale. E se il valore storiografico della testimonianza della Nathan è discutibile, il valore simbolico è certo. L’idea dell’indipendenza italiana aveva due teste, una sabauda retta da Cavour, una repubblicana sostenuta dalle imprese e di Garibaldi e di Mazzini. Quando la seconda testa si divise in due parti non comunicanti, il destino del movimento repubblicano fu segnato.

nuvolarossa
07-07-07, 09:01
CELEBRAZIONI. BICENTENARIO DELLA NASCITA DI GARIBALDI

(AGO PRESS) Una serie di eventi per celebrare l’eroe dei due mondi a duecento anni dalla nascita. Il ministero dei Beni Attività Culturali, in collaborazione con il Comitato nazionale per le celebrazioni del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, presieduto dal sottosegretario Andrea Marcucci, intende così valorizzare la figura del condottiero dei “mille”. Il 4 luglio, in occasione del bicentenario dalla nascita, saranno organizzate mostre, convegni, visite guidate, proiezioni e laboratori. “Nessun protagonista del nostro Risorgimento raggiunse mai una popolarità paragonabile a quella di Giuseppe Garibaldi – si legge in un comunicato del ministero -. Al suo nome sono legate molte tra le pagine più celebri della unità italiana: la difesa di Roma nel 1849, l’impresa dei Mille, la vittoria di Bezzecca”. Ma i successi militari non bastano da soli a spiegare lo straordinario fascino che ancora oggi esercita sulle persone, grazie alla sua forza morale, il suo carattere semplice e i nobili ideali che l’animarono. “Garibaldi gode di un immenso prestigio, perché ha reso all’Italia i più grandi servigi che possa renderle un uomo – disse Camillo Benso conte di Cavour -. Ha dato agli Italiani la fiducia in loro stessi”.

tratto da http://www.agopress.info/index.asp

NOGARIBALDI
07-07-07, 19:27
povera italia inesistente, che celebra il falso mito garibaldi ma che poi si lamenta se il paese figlio di quei eventi, diviso da 150 anni nonostante le forzature e le annessioni assassine non funziona.
che comica!!

mi raccomando il tricolore rimettetelo sui balconi se e quando la squadra di calcio vincerà i mondiali,ecco cos'l'italia garibaldina e massona

DACIA (POL)
10-07-07, 08:27
GARIBLADI UN UOMO CHE UNISCE

"il più grande eroe della democrazia del vecchio e nuovo mondo" queste furono le parole pubblicate sul "Steaua Dunarii" nell'articolo che riportava la notizia della morte di
Giuseppe Garibaldi (http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Garibaldi) avvenuta il 2 Giugno 1882. In questo giorno in cui cade il secondo centenario della nascita (1807 -2007), ci inchiniamo difornte alla onestà morale di questo grande campione della libertà, e con esso, onoriamo anche la memoria dei tanti e purtroppo poco noti romeni che con Garibaldi hanno lottato anche per l'unità e l'indipendenza dell'Italia come il pittore George Nastaseanu (http://national.is.edu.ro/en/index.php?pag=personalitati&menuopt=2&letter=14&pers=115) o i tanti romeni che esultavano assieme a Costantino Rosetti , nel 1859, alle vittorie italiane .Infattti, come diceva Giuseppe Mazzini, "italiani e romeni sono popoli doppiamente affratellati, per stirpe e per fede politica" e aggiungerei per amore della libertà. La nostra speranza che anche nel nome di Garibaldi si possa costituire le basi di una nuova convivenza civile
Marco Baratto

http://blog.libero.it/DACIA/ (http://blog.libero.it/DACIA/)

nuvolarossa
10-07-07, 09:01
Salutiamo la venuta di Marco Baratto, Presidente della Associazione culturale "Dacia", sulle pagine del nostro Forum.

brunik
10-07-07, 15:09
riccardo bruno sulla voce repubblicane del 3 luglio

di Riccardo Bruno


La scelta di non voler concludere questo dissenso, la replica sprezzante del Generale alle raccomandazioni avute proprio per recuperare lo strappo consumatosi, rappresentano di fatto una ferita aperta nella tradizione repubblicana: con la quale bisogna iniziare a fare i conti. .


Sto Riccardo Bruno c'ha la mania di fare i conti col passato, lo fa con tutti tranne che con Berlusconi.

kid
12-07-07, 15:37
forse pensa che berlusconi sia il futuro più che il passato

brunik
15-07-07, 12:21
Un Futuro Che Affonda Le Radici In Un Glorioso Passato Di Trombature Ad Opera Di Prodi

ulfenor
15-07-07, 22:28
Una curiosità : Trieste è l'unica città in Italia a non avere un monumento intitolato a Garibaldi -
A CHIAVARI VI E UNA STATUA DEDICATA A MAZZINI E UNA A GIUSEPPE GARIBALDI...

ONORE A LORO...

kid
16-07-07, 10:36
pure a Roma

Blomh und Woss
16-07-07, 13:15
Ma su POL c'è già una giornata (forum camera) dedicata a Garibaldi?

nuvolarossa
20-07-07, 09:19
MOSTRE: PARTE DA ROMA 'GARIBALDI A FUMETTI'

Roma, 19 lug. - (Adnkronos/Adnkronos Cultura) - Lo stile umoristico di Giorgio Cavazzano, uno dei re della Disney; il fumetto d'autore di Vittorio Giardino; la sensualita' di Milo Manara e lo stile inconfondibile di Hugo Pratt e poi Flavio Costantini, Luigi Coppola, Massimo Carnevale, per un totale di ventuno artisti, tra illustratori puri e disegnatori di fumetto, chiamati a raccolta per raccontare la vita e le eroiche avventure di Garibaldi in 40 tavole, esposte al ministero degli Affari Esteri in occasione della prossima edizione di "Farnesina porte aperte" del 21 luglio. Una mostra originale che racconta "Garibaldi a fumetti" e che, dopo la tappa romana, partira' alla volta della citta' natale dell'Eroe dei Due Mondi, Nizza, per poi proseguire il suo tour negli Istituti Italiani di Cultura del Sud e Nord America, unendosi cosi' alle celebrazioni del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi.

tratto da http://www.adnkronos.com/IGN/hp/

nuvolarossa
31-07-07, 17:35
Sono strumentali gli attacchi a un grande personaggio come Garibaldi

«Con tutti i suoi difetti, Giuseppe Garibaldi ha un suo posto ben fermo fra i grandi uomini del XIX secolo. Ebbe una sua grandezza, in primo luogo, come eroe nazionale, come famoso soldato e marinaio, cui più che ad alcun altro si dovette l'unione delle due Italie. Ma oltre che patriota, egli fu anche grande internazionalista; e nel suo caso non era un paradosso. Liberatore di professione, combatté per la gente oppressa ovunque ne trovasse. [...] Era persona amabile e affascinante, di trasparente onestà[...] La gente comune lo sentiva uno dei propri, perché egli era l'incarnazione dell'uomo comune». Così comincia il libro di Denis Mack Smith, «Garibaldi, una grande vita in breve», che presenta in modo serio e articolato le gesta di uno dei più importanti personaggi del Risorgimento italiano.
Dopo il lungo tirocinio in America latina, il Nostro tornò in Italia e fu protagonista dei moti rivoluzionari del 1848 contribuendo in modo significativo all'affermazione della Repubblica romana, sconfitta solo dai soldati francesi mandati da Luigi Bonaparte, che aveva bisogno dei voti cattolici in Francia e in ogni caso stava già progettando di abolire la Repubblica francese per incoronarsi imperatore.
Dopo quella sconfitta, che in Garibaldi provocò un'importante riflessione sulla rivoluzione e sull'azione di massa, l'«eroe dei due mondi» fu costretto di nuovo alla fuga e all'esilio, fino a quando non fu richiamato per dare il suo pieno appoggio alla fase decisiva dell'unificazione italiana con la partecipazione alla 2a guerra d'indipendenza e alla spedizione dei Mille, che consentì all'Italia di diventare una nazione unita.
Sin dalla giovinezza aveva dedicato la sua esistenza in difesa dei diseredati: nella sua azione avevano posto il coraggio, l'intraprendenza e un certo spirito cavalleresco: i suoi scritti dell'epoca fanno riferimento alla causa dell'umanità e della civiltà, alla lotta per la libertà. E quando cominciò a combattere contro l'Austria mostrò subito la sua idea repubblicana e l'aspirazione allo stato unitario. Per altro, tali convincimenti non furono mai abbandonati; anzi, furono alla base dell'impresa dei Mille che rappresenta ancora oggi, con buona pace dei revisionisti, un passaggio essenziale per la costruzione di un moderno stato italiano.
Del resto, senza l'unificazione l'Italia avrebbe perpetuato la sua condizione di paese subalterno alle potenze straniere e non avrebbe potuto avviare il processo di sviluppo e di crescita economico-sociale. Certo, non possiamo negare gli aspetti negativi dell'impresa di Garibaldi. La sua azione riformatrice si esaurì ben presto e i contadini siciliani, famoso l'episodio di Bronte, compresero che non avrebbero ottenuto le terre che chiedevano, ma che, al contrario, la repressione avrebbe bloccato la loro
Dopo il 1860 Garibaldi si interessò a numerosi, anche se spesso generici, progetti di emancipazione e di riforma: incoraggiò sempre la formazione di società di mutua assistenza fra i lavoratori, convinto che la classe lavoratrice avrebbe assunto un ruolo decisivo in Italia e nel resto del mondo. Le sue dottrine di pace e di fratellanza universale erano espressione più del sentimento che della ragione; suppliva con l'azione alla mancanza di una filosofia della storia, che potesse riposare su una salda formazione filosofica ed economica. Era un socialismo del cuore, non della mente. Egli conosceva la gente comune assai più di Mazzini e simpatizzava con essa assai più di Cavour e degli altri leader dell'Italia unificata; comprendeva le masse, e ne era compreso, per eredità, ambiente e temperamento. Per altro, rifuggiva dai facili onori e dalla ostentazione di forme di potere, seguendo uno stile di vita semplice e al tempo stesso coerente; né si può dire che la sua fama gli procurò ricchezze e privilegi.
Ora, come si può, di fronte a un così grande personaggio, scadere in attacchi strumentali che hanno lo scopo di dare fondamento ad un improbabile autonomismo, oggi sbandierato perché foriero di successi elettorali utili per riproporre un sistema di potere che fa finta di battersi per il Sud e la Sicilia, ma in realtà è assai distante da una seria riflessione meridionalista. Purtroppo alcuni, pur di praticare il «leghismo del sud», non temono il ridicolo pontificando su vicende storiche molto più serie del dibattito che vorrebbero imbastire.
È proprio vero che, come diceva Hegel, la storia si presenta la prima volta come tragedia e la seconda come farsa.

Salvatore Distefano

tratto da http://www.lasicilia.it/giornale/3107/CT3107/RU/RU01/06.html

nuvolarossa
08-08-07, 18:19
Garibaldi eroe controverso, ma non fu un avventuriero

Giuseppe Garibaldi è una delle figure storiche di ardua inquadratura, perché di eterogenea personalità, tale da sfuggire a una precisa collocazione e da prestare il fianco a opposte interpretazioni del suo operato. Ecco i motivi del dualismo fra coloro che lo onorano quale «eroe dei due mondi» e gli altri che lo denigrano, definendolo «avventuriero», pronto a sguainare la spada ovunque ci fosse da battersi, in Brasile e in Uruguay, in Francia e Italia.
Certezze indiscusse sono, comunque, il suo senso democratico e le spinte di liberazione degli oppressi, in qualunque parte del globo essi si trovassero.
Con Cavour non esisteva stima reciproca. «... Per quanto a cose fatte si sia dimostrato che Cavour aiutò sottobanco la spedizione dei Mille - scrive Indro Montanelli, nel suo volume sull'eroe nizzardo - egli, invece, l'avversò, giungendo persino a ordinare che venisse fermata "ad ogni costo". L'ordine non fu eseguito solo perché la posizione di Cavour in quel momento (inizio del 1860) era troppo debole per consentirgli di sfidare il trionfante mito di Garibaldi ed era mal visto da coloro che avevano definito un "ignobile baratto", quello di Nizza e Savoia alla Francia, perché non intralciasse l'annessione della Toscana e dei Ducati centrali.
Solo il 29 maggio - continua Montanelli - quando giunse a Torino la notizia dell'occupazione di Palermo, egli capovolse i suoi atteggiamenti, mostrandosi entusiasta della vittoria e curando ogni particolare, con Medici e il siciliano La Farina, per preparare un plebiscito che consacrasse l'annessione della Sicilia al Piemonte, mettendo così la parola fine a quella che considerava un'avventura».
A ragion veduta, però, Cavour non aveva tutti i torti nel considerare aleatoria quella spedizione in Sicilia da parte di poveri «avventurieri» pochi e male armati, né credeva alle asserzioni di Francesco Crispi sulla volontà insurrezionale dei siciliani «soffocati dal dispotismo borbonico». In effetti era più verosimile l'indifferenza sicula, nata, cresciuta e sviluppatasi lungo secoli di dominazioni da parte di fenici, cartaginesi, greci, romani, arabi, francesi, spagnoli e normanni.
Per cui era impensabile una sollevazione di popolo che spianasse la strada alla spedizione garibaldina, e Cavour, gli statisti e gli strateghi del tempo ritenevano impossibile che un migliaio di ragazzi potesse avere ragione di un vero e proprio esercito, armato e attrezzato, anche se non alla stregua dei francesi e dei prussiani.
Ma Garibaldi, oltre ad avere esperienza da vendere in fatto di sortite e manovre militari, fu anche molto fortunato nel doversi misurare con generali quasi centenari che nulla ricordavano di tattica e, soprattutto, avevano smarrito da tempo lo spirito pugnandi. La battaglia di Calatafimi e la resa-armistizio di Palermo farebbero ridere oggigiorno, ma sarebbe impossibile imbattersi in un nemico diretto da vecchi comandanti come Lanza, Landi o Von Merchel.
Purtuttavia, è errato - storicamente, socialmente e politicamente - definire Garibaldi un «avventuriero». Si battè sempre per una ideologia marcatamente democratica; non ricavò mai un soldo, un beneficio che fosse appena correlativo alle sue imprese; finì i suoi giorni a Caprera e non fu neanche accontentato nel desiderio di essere cremato, alla sua morte.

Franco Siclari

tratto da http://www.lasicilia.it/giornale/0808/CT0808/RU/RU01/06.html

nuvolarossa
21-08-07, 22:39
Assolto Garibaldi, ma non con formula piena

CESENA (11 agosto) - Giuseppe Garibaldi metà eroe e metà avventuriero. È l'esito inatteso del verdetto di assoluzione, ma non con formula piena, del processo che si è tenuto ieri sera a San Mauro Pascoli (Forlì-Cesena). Quello che si preannunciava come un verdetto scontato in terra di Romagna, in realtà è stata una scelta sofferta, decisa a maggioranza all'ultimo voto: 4 a favore, 3 contrari. Al punto che più di uno spettatore (c'erano circa mille persone) ha rumoreggiato durante la lettura del verdetto. La serata ha preso il via con i due testimoni: gli storici Roberto Balzani ed Ernesto Galli della Loggia.

Balzani, dell'università di Bologna, ha sottolineato il rapporto di Garibaldi con la Romagna. Caduta la Repubblica Romana, Garibaldi, in fuga e braccato da più eserciti, con 250 fedeli e quasi cieco, si rifugia in diverse cittadine romagnole (Cesenatico, Forlì, Ravenna) lasciando un segno destinato a durare fino ad oggi. Per Galli della Loggia, invece, «Garibaldi è stato nel contempo un eroe e un avventuriero. Ha vissuto le contraddizioni del Risorgimento e il paradosso di essere stato un rivoluzionario al servizio del moderatismo».

Ma dopo l'unità d'Italia, Garibaldi si caratterizza più come «un padre del sovversivismo italiano: da una parte considera il governo come un'istituzione che tradisce i voleri del popolo; dall'altra ritiene che sia giusta un'azione di forza per sovvertire il governo che tradisce il popolo». Dopo gli interventi della storica Angela Pellicciari per l'accusa, e della storica inglese Lucy Riall per la difesa, la giuria ha assolto Garibaldi per «insufficienza di prove» con un verdetto di stretta maggioranza: «Pur riconoscendo alcuni eccessi nelle campagne garibaldine, si è ritenuto di non procedere alla condanna per insufficienza di prove. Garibaldi dunque è un eroe». Anche se dimezzato da questo verdetto.

tratto da http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=6948&sez=HOME_SPETTACOLO

nuvolarossa
15-09-07, 16:36
GARIBALDI: I CIMELI RACCOLTI DA SPADOLINI VOLANO NEGLI USA

New York, 15 set. - (Adnkronos) - I cimeli garibaldini dell'ex presidente del Senato Giovanni Spadolini (http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Spadolini) volano negli Stati Uniti. E' l'Istituto Italiano di Cultura di New York ad accogliere per primo, dal 20 settembre al 12 ottobre, la mostra itinerante dedicata a ''Giuseppe Garibaldi fra Storia e Mito'', realizzata in occasione del bicentenario della nascita dell'Eroe dei Due Mondi (1807-2007) a cura della Direzione Generale per la promozione e la cooperazione culturale del Ministero degli Affare Esteri, in collaborazione con la Fondazione Spadolini Nuova Antologia (http://www.nuovaantologia.it/htdocs/index.html) e la Fondazione di studi storici Filippo Turati (http://www.pertini.it/turati.html) di Firenze.

Dopo l'esposizione fiorentina, tenutasi a Palazzo Pitti fra maggio e luglio scorso, settantacinque pezzi, fra i piu' significativi della ''collezione garibaldina'' di Giovanni Spadolini, integrati da opere di varia provenienza, raggiungeranno Istituti Italiani di Cultura e musei dei vari continenti. A New York seguiranno San Francisco e altre citta' dell'America del Nord, per passare poi agli Stati del Sud America, ove la figura dell'''eroe dei due mondi'' e' particolarmente popolare. Nel corso del 2008 l'esposizione rientrera' in Europa.

La mostra e' accompagnata da un opuscolo illustrato, in lingua italiana e inglese, realizzato dallo stesso Ministero. Dipinti, disegni, stampe, oggetti, autografi, medaglie e documenti d'epoca che evocano gli aspetti internazionali delle imprese del Generale e ne offrono un'esauriente ricostruzione storico artistica dell'epopea e del mito.

tratto da http://www.adnkronos.com/IGN/Cultura/?id=1.0.1308182642

DACIA (POL)
05-10-07, 11:10
Sabato 6 ottobre a Bergamo, alle ore 10.30 , nella sede dell’ associazione “Dacia” in via Carnovali 88, si svolgerà un convegno dal titolo “Desiderio di Libertà – Garibaldi e la Romania”. Il programma della giornata prevede alle ore 10.35 il saluto della Presidente dell'Associazione "Dacia" Emilia Stoica e, a seguire, la relazione di Marco Baratto, vice presidente "Dacia", dal titolo"Garibaldi e la Romania". In chiusura, dopo i saluti delle autorità civiche e del presidente della Lega dei Rumeni in Italia, è previsto un rinfresco con vini e prodotti romeni.


http://http://www.comune.bergamo.it/servizi/notizie/notizie_fase02.aspx?ID=3591



http://blog.libero.it/DACIA/

nuvolarossa
05-10-07, 11:24
DACIA, il link che hai inserito contiene un http di troppo e quindi rimanda ad una pagina vuota ... il link giusto e' questo sotto ...
http://www.comune.bergamo.it/servizi/notizie/notizie_fase02.aspx?ID=3591

TIGERSUITE
05-10-07, 14:21
8XHBmvbjxvk

:-01#44:-01#44

nuvolarossa
05-10-07, 18:26
tigersuite, non mi risulta che la Massoneria operi con lo scopo di "combattere" la Chiesa Cattolica ... semmai se c'e qualcuno che opera, in ogni modo, contro il sentimento religioso che ogni uomo ha innato dentro di lui ... e' proprio la Chiesa Cattolica che, addormentando le coscenze con i propri dogmi, impedisce il libero esercizio della ragione umana ... unico strumento che l'uomo ha per levigare la pietra grezza ... alla ricerca della verita' ...

TIGERSUITE
05-10-07, 20:15
tigersuite, non mi risulta che la Massoneria operi con lo scopo di "combattere" la Chiesa Cattolica ... semmai se c'e qualcuno che opera, in ogni modo, contro il sentimento religioso che ogni uomo ha innato dentro di lui ... e' proprio la Chiesa Cattolica che, addormentando le coscenze con i propri dogmi, impedisce il libero esercizio della ragione umana ... unico strumento che l'uomo ha per levigare la pietra grezza ... alla ricerca della verita' ...
non dirlo a me ma ha chi ha fatto il video; ho solo dato il mio contributo a chiarire . . .

jmimmo82
05-10-07, 23:13
Noi garibaldini repubblicani ci schieriamo dalla parte dell'Italia laica unitaria ed indipendente. La Pellicciari si schiera dalla parte dell'allora Stato Pontificio e del potere temporale dei papi...

nuvolarossa
06-10-07, 10:29
Lezione del professor Mola a San Rocco per gli studenti
Garibaldi e Carducci, un incontro del Centro cooperativo mazziniano

SENIGALLIA - Il Centro Cooperativo Mazziniano “Pensiero e Azione” ha organizzato, per la giornata odierna, una significativa giornata di studio che ospiterà il professor Aldo A. Mola, direttore del Centro Giovanni Giolitti per lo studio dello Stato di Dronero (Cuneo), storico di fama nazionale e autore di brillanti biografie, tra cui quelle ultime dedicate a Giolitti, Silvio Pellico e Carducci. Molteplici le motivazioni dell’iniziativa: in primis, ricordare il sacrificio di Girolamo Simoncelli (1817-1852), coraggioso patriota e martire laico della Repubblica Romana del 1849, fucilato il 2 ottobre 1852 per un reato non commesso; inoltre, riflettere su quei valori di democrazia e libertà che, nati nell’alveo del processo risorgimentale, continuano ad essere reclamati in nome di uno Stato di diritto e veramente democratico; infine celebrare Giuseppe Garibaldi e Giosuè Carducci, dei quali ricorrono, rispettivamente, il bicentenario della nascita e il centenario della morte. Tre gli appuntamenti previsti: presso l’auditorium San Rocco, alle 11 il professor Mola, introdotto da Mauro Pierfederici e Marco Severini, parlerà agli alunni delle Scuole medie superiori su “Garibaldi e Carducci”; alle 17 farà seguito, da parte del Centro Mazziniano, la deposizione di una corona di alloro sul cippo marmoreo dedicato a Simoncelli in via Chiostergi, sul retro della scuola “G. Pascoli”; infine lo storico piemontese intratterrà la cittadinanza, nuovamente presso l’auditorium S. Rocco, sul tema “Garibaldi e la tradizione democratica del Risorgimento”.

tratto da http://www.corriereadriatico.it/articolo.aspx?varget=0D4E7AAF6BDCB59552EC00ACB4D9D 797

nuvolarossa
07-10-07, 17:33
L'esecuzione di Francesco Bentivegna - La storia
Il protagonista del Risorgimento corleonese fu giustiziato la sera del 20 dicembre del 1856 a Mezzojuso

Quando Garibaldi venne a Corleone, erano passati meno di sei anni da quel tragico 20 dicembre 1856, data dell'esecuzione della condanna a morte di Francesco Bentivegna. Il processo contro l'eroe del Risorgimento corleonese si era svolto il 19 dicembre, appena un giorno prima, nella fortezza di Castellammare a Palermo. Un processo-farsa, che non aveva l'obiettivo di arrivare ad una giusta sentenza, ma di cercare ogni pretesto per condannarlo a morte al più presto possibile. La sentenza, infatti, arrivò dopo appena venti minuti che i giudici si erano riuniti nella Camera delle deliberazioni. «Il Consiglio di Guerra – lesse il presidente – a voti unanimi e conformemente alle conclusioni del Commissario del Re, pubblico ministero, ha condannato e condanna il colpevole don Francesco Bentivegna da Corleone alla pena di morte, passandolo per le armi, da eseguirsi a Mezzojuso, come uno dei luoghi dei suoi misfatti, entro le 24 ore, dopo però tutti i conforti di nostra Santa Religione (…)». Quella sottolineatura dei «conforti di nostra Santa Religione» dovette apparirgli beffarda, ma il patriota corleonese non lo diede a vedere. A testa alta, passò davanti a Salvatore Maniscalco, capo della gendarmeria borbonica, che sorrideva soddisfatto per essersi liberato di un «pericoloso nemico», e chiese di essere riaccompagnato in cella. Qualche ora dopo, ricevette la visita della madre, la marchesa Maria Teresa De Cordova, che aveva ottenuto il permesso dal Luogotenente Generale del Re. Fu un abbraccio straziante. «Dimostrati grande come le donne degli antichi Romani – le disse Francesco – sii una novella Cornelia, pensa di essere mia madre. Io muoio per la libertà del mio popolo, il mio sangue germoglierà e farà libero il popolo oppresso. Confortati e spera nell'avvenire!».
La stessa notte tra il 19 e il 20 dicembre, il condannato fu fatto salire su un carro, preceduto da 24 gendarmi a cavallo e seguito da 160 uomini del 2° battaglione «Cacciatori», che s'incamminò verso Mezzojuso. Ai lati stavano il tenente De Simone, il capitano Chinnici e l'ispettore Maniscalco. Dopo un po', il corteo arrivò alla Cala di Palermo, attraversò il Foro borbonico e s'inoltrò nella buia campagna. Bentivegna conversava tranquillamente con la scorta, anche se - di tanto in tanto - fissava con lo sguardo l'orizzonte in direzione di Corleone, pensando a sua madre piangente. L'ultima alba di Francesco Bentivegna cominciò a sorgere quando il carro scortato dai militari era arrivato nei pressi di Misilmeri. Qualche ora dopo la carrozza arrivò a Mezzojuso. Il condannato scese e fu condotto nella chiesa delle Anime Sante, per ricevere l'assistenza spirituale dall'arciprete di rito greco-ortodosso Lorenzo Cavadi. Poi Francesco Bentivegna ottenne di scrivere di proprio pugno le sue ultime volontà, chiuse il foglio in una busta e la consegnò all'arciprete Cavadi «per passarlo a mani di mia madre, dopo la mia morte», gli disse.
Mancavano appena 20 minuti all'esecuzione. «Io sono pronto, possiamo andar subito», disse Bentivegna al capitano De Simone. «No, bisogna aspettare l'ora esatta, perché all'ultimo momento potrebbe arrivare la grazia sovrana…», precisò quest'ultimo, con finto garantismo. Poi i gendarmi lo condussero in piazza del Popolo, davanti al portone di Palazzo Di Marco. E qui fu moschettato. Erano le venti del 20 dicembre 1856.

D. P.

tratto da http://www.lasicilia.it/giornale/0710/PA0710/PA/PA03/03.html

nuvolarossa
31-10-07, 10:44
Garibaldi, un mito anche in tavola

di Redazione - mercoledì 31 ottobre 2007, 07:00

Garibaldi, un «mito» anche a tavola: lo ha scoperto, dopo decenni di oblio, l’Editrice Salomone Belforte, che ha dato alle stampe nel 2002 un volume a cura di Clelia Gonella (79 pagine, 21 euro) tratto dal quaderno ricette di Casa Garibaldi: «Ricette di Caprera, ricette della costa ligure da cui provenivano i genitori di Garibaldi, ricette nizzarde e ricette di amici che andavano a trovarli. Comunque - come sottolinea Franca Torsellini, vicedelegata della Delegazione di Livorno dell'Accademia italiana della Cucina - i piatti preferiti da Garibaldi erano lo stoccafisso, la bouillabaisse, il minestrone alla genovese con il pesto e la pissaladiere, specialità nizzarda, e quando raramente c'erano un po' di soldi, un pezzo di carne magra arrostita sulla brace che il Generale chiamava "ciurasco" perché gli ricordava i tempi dell'America». La riscoperta, invece, del menù garibaldino con la rassegna «Garibaldi a tavola» è nata da un'idea dell'Ufficio di Comunicazione di Palazzo Ducale che sulla rivista «La Cucina italiana» ha trovato la citazione del libro di Belforte, casa editrice di Livorno con la quale il Ducale collabora anche per la presentazione a novembre del ricettario con Slow food al Garibaldi café. Da più di due mesi, inoltre, il Ducale sta lavorando con una ventina di ristoranti, bar e gelaterie cittadine per creare un circuito gastronomico collegato alla rassegna espositiva «Garibaldi. Il mito». Fra l'altro, per i possessori del Pass Garibaldi - ricorda Florence Reimann - è stato concordato uno sconto proprio in tutti questi locali che saranno riconosciuti dal pubblico grazie a delle vetrofanie. L'iniziativa oltre ai ristoranti del Centro riguarda anche Nervi.

tratto da http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=217238

nuvolarossa
05-11-07, 10:55
MOSTRA: L´ITALIA DI GARIBALDI ROMA - COMPLESSO DEL VITTORIANO 31 OTTOBRE 2007 - 6 GENNAIO 2008

Roma, 5 novembre 2007 - In occasione del Bicentenario della nascita dell´Eroe dei due mondi, il Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, presieduto da Andrea Marcucci, sottosegretario di Stato per i Beni e le Attivit` Culturali, e composto da autorevoli accademici, uomini di cultura e da rappresentanti delle istituzioni, promuove in stretta collaborazione con l´Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, la mostra L´italia di Garibaldi. Nella Sala Zanardelli del Complesso del Vittoriano dal 31 ottobre al 6 genanio 2008, l´esposizione, che nasce sotto l´Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, a cura di Giuseppe Talamo, Presidente dell´Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, ed organizzata e realizzata da Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia, vuole celebrare il pensiero e l´azione dell´Eroe attraverso centocinquanta opere tra olii, disegni, stampe originali, incisioni, documenti dell´epoca, dagherrotipi, filmati e fotografie molte delle quali inedite, e che ripercorrono filologicamente l´immagine dell´Italia cosl come si presentava al momento delle imprese di Giuseppe Garibaldi: l´Italia come la vedeva Garibaldi. La mostra La mostra celebrativa "L´italia di Garibaldi" vuole contribuire alla costruzione di una piy consapevole coscienza nazionale, in un momento storico particolarmente delicato quale h il nostro, con l´obiettivo di salvare valori che non tramontano con le mode, incentivando la conoscenza della storia e favorendo lo sviluppo delle iniziative territoriali in forme concrete ed attuali, promuovendo la crescita della morale individuale attraverso forme di viva partecipazione, volontariato e responsabilit` sociale. La biografia di Garibaldi h intrecciata con tappe e momenti di fondamentale importanza per la storia dell´Italia del Risorgimento: dalle vicende della Repubblica Romana del 1849 all´impresa dei Mille; dalle guerre d´indipendenza al ritiro nell´isola di Caprera. Questi fatti hanno trovato spesso una immediata traduzione visiva nei pittori e nei fotografi che accompagnavano, durante le imprese, l´Eroe dei due mondi. Pittori, fotografi che erano allo stesso tempo patrioti e soldati e che erano al fianco di Garibaldi in guerre e in singole imprese. Si trattava di soldati-pittori che documentavano visivamente gli avvenimenti ai quali avevano partecipato, riproducendo sulle tele o sulle fotografie "in diretta" i fatti della storia dell´Italia risorgimentale: dei veri e propri reportage. Vedendo i dipinti di Girolamo e Domenico Induno o le fotografie di Stefano Lecchi sulla Repubblica Romana del 1849 o quelle di Alessandro Pavia dell´impresa dei Mille, h come se si vedesse l´Italia dell´Ottocento cosl come si era presentata e mostrata a Garibaldi al momento delle sue imprese. Questa iniziativa espositiva vuole mostrare queste immagini - coeve ai singoli avvenimenti - mettendole in relazione con brani tratti dall´epistolario di Garibaldi o dalle sue memorie autobiografiche. In questo modo si h creata una sorta di saldatura documentaria e concettuale tra le immagini e i pensieri dell´Eroe. Il percorso espositivo si articola in due sezioni: Un ritratto di Giuseppe Garibaldi - con materiali fotografici originali che ritraggono l´eroe, stampe che costituiscono veri e propri esempi di trasfigurazione dell´immagine di Garibaldi nella produzione iconografica dell´Ottocento, immagini di Garibaldi nella stampa coeva a testimonianza della satira politica dell´epoca - L´italia di Garibaldi - con disegni dei partecipanti alla Repubblica Romana del 1849, inedite tavole originali di Castelli del 1849 della Repubblica Romana, fotografie, stampe e incisioni della Sicilia del 1860, alcune inedite fotografie della visita a Pompei e del soggiorno nella Reggia di Caserta, dipinti aventi per tema l´Aspromonte e dipinti di Girolamo Indumo sulla Terza guerra d´Indipendenza, foto Alinari sulla sconfitta delle forze garibaldine a Mentana per mano dei Franco-pontifici, Inoltre, ci sar` una particolare sezione dedicata ai Materiali multimediali - con "Caprera. Isola Sacra", un raro filmato dell´Archivio Luce, "Giuseppe Garibaldi. Il diavolo rosso", filmati di Rai Educational e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, materiali documentari e digitali forniti dall´Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, "L´eroe dei due mondi" di Maurizio Nichetti, Istituto Luce. La vita Giuseppe Garibaldi, carattere irrequieto e desideroso di avventura, gi` da giovanissimo si imbarca come marinaio per intraprendere la vita sul mare. Nel 1832, appena venticinquenne h capitano di un mercantile e nello stesso periodo inizia ad avvicinarsi ai movimenti patriottici europei ed italiani (come, ad esempio quello mazziniano della "Giovine Italia"), e ad abbracciarne gli ideali di libert` ed indipendenza. Nel 1836, a seguito di un provvedimento di condanna da parte del Regno Sabaudo, sbarca a Rio de Janeiro e da qui inizia il periodo, che durer` fino al 1848, in cui si impegner` in varie imprese di guerra in America Latina. Combatte in Brasile e in Uruguay ed accumula una grande esperienza nelle tattiche della guerriglia basate sul movimento e sulle azioni a sorpresa. Questa esperienza avr` un grande valore per la formazione di Giuseppe Garibaldi sia come condottiero di uomini sia come tattico imprevedibile. Nel 1848 torna in Italia dove sono scoppiati i moti di indipendenza, che vedranno le celebri Cinque Giornate di Milano. Nel 1849 partecipa alla difesa della Repubblica Romana insieme a Mazzini, Pisacane, Mameli e Manara, ed h l´anima delle forze repubblicane durante i combattimenti contro i francesi alleati di Papa Pio Ix. Purtroppo i repubblicani devono cedere alla preponderanza delle forze nemiche e Garibaldi il 2 Luglio 1849 deve abbandonare Roma. Di qui, passando per vie pericolosissime lungo le quali perde molti compagni e l´adorata moglie Anita, riesce a raggiungere il territorio del Regno di Sardegna. Inizia quindi un secondo periodo di esilio, che lo porta a New York, in Pery, in Cina e in Australia. Tornato in Italia, acquista nel 1855 l´isola di Caprera, che diventer` sua stabile dimora. Nel 1858-1859 si incontra con Cavour e Vittorio Emanuele, che lo autorizzano a costituire un corpo di volontari, denominato "Cacciatori delle Alpi" e al cui comando fu posto lo stesso Garibaldi. Partecipa alla Seconda Guerra di Indipendenza cogliendo vari successi, ma l´armistizio di Villafranca interrompe le sue operazioni. Nel 1860 Giuseppe Garibaldi h capo della spedizione dei Mille; salpa da Quarto il 6 maggio 1860 e sbarca a Marsala cinque giorni dopo. Da Marsala inizia la sua marcia trionfale; batte i Borboni a Calatafimi, giunge a Milazzo, prende Palermo, Messina, Siracusa e libera completamente la Sicilia. Il 19 agosto sbarca in Calabria e, muovendosi molto rapidamente, getta lo scompiglio nelle file borboniche, conquista Reggio, Cosenza, Salerno; il 7 settembre entra a Napoli, abbandonata dal re Francesco I ed infine sconfigge definitivamente i borbonici sul Volturno. Il 26 ottobre Garibaldi si incontra a Vairano con Vittorio Emanuele e depone nelle sue mani i territori conquistati: si ritira quindi nuovamente a Caprera, sempre pronto per combattere per gli ideali nazionali. Nel 1862 si mette alla testa di una spedizione di volontari al fine di liberare Roma dal governo papalino, ma l´impresa h osteggiata dai Piemontesi dai quali viene fermato il 29 agosto 1862 ad Aspromonte. Imprigionato e poi liberato ripara nuovamente su Caprera, pur rimanendo in contatto con i movimenti patriottici che agiscono in Europa. Nel 1866 partecipa alla Terza Guerra di Indipendenza al comando di Reparti Volontari. Opera nel Trentino e qui coglie la vittoria di Bezzecca (21 luglio 1866) ma, nonostante la situazione favorevole, Garibaldi deve sgomberare il territorio Trentino dietro ordine dei Piemontesi, al cui dispaccio risponde con quel "Obbedisco", rimasto famoso. Nel 1867 h nuovamente a capo di una spedizione che mira alla liberazione di Roma, ma il tentativo fallisce con la sconfitta delle forze garibaldine a Mentana per mano dei Franco-pontifici. Nel 1870-71 combatte per i francesi nella guerra da questi sostenuta contro la Prussia dove, sebbene riesca a cogliere alcuni successi, nulla pur per evitare la sconfitta finale della Francia. Torna infine a Caprera, dove, sempre in contatto con i movimenti politici e patriottici di tutta Europa, passera` gli ultimi anni e dove si spegnera` il 2 giugno 1882. .

tratto da http://www.marketpress.info/notiziario_det.php?art=46599

nuvolarossa
07-11-07, 11:13
Anche Garibaldi combattè la Casta

di Redazione - mercoledì 07 novembre 2007, 07:00

Roma. La battaglia contro i costi della politica? L’aveva già ingaggiata oltre cent’anni fa, nel Parlamento italiano, Giuseppe Garibaldi che il 13 maggio 1876 presentò una proposta di legge per chiedere una limitazione di stipendi, pensioni e assegni pagati dallo Stato. L’eroe dei due mondi, nel presentare la sua proposta moralizzatrice della spesa pubblica, scrisse: «Quando una fortezza assediata, o una nave in ritardo, si trovano mancanti di viveri, i comandanti ordinano si passi dall’intera alla mezza razione o meno». Quindi la proposta: «Finché l’Italia non sia rilevata dalla depressione finanziaria, nessuna pensione, assegno o stipendio pagati dallo Stato potranno oltrepassare le 5mila lire annue».

tratto da http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=218747

nuvolarossa
02-12-07, 10:25
CULTURA: LISBONA, TRE SERATE RENDONO OMAGGIO A GIUSEPPE GARIBALDI

Lisbona, 30 nov. (Adnkronos/Adnkronos Cultura) - Nell'ambito delle iniziative promosse dal comitato nazionale per le celebrazioni del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, l'Istituto di Cultura Italiano di Lisbona rendera' omaggio all'Eroe dei due Mondi con tre serate di eventi culturali. Il 4 dicembre alle ore 18.30 ci sara' un incontro con la pronipote del protagonista del risorgimento italiano, Annita Garibaldi Jallet, a cui fara' seguito la proiezione di "A noche antes" dell'argentino Ricardo Preve.Il 5 dicembre alle ore 21, verra' proiettato "Viva l'Italia" di Roberto Rossellini, film che il regista italiano realizzo' in occasione del centenario della spedizione dei Mille.

Il 6 dicembre, infine, l'intera giornata verra' dedicata all'analisi accurata della storia, dei luoghi, della vicenda de ''Il Gattopardo'' di Luchino Visconti, tratto dall'omonimo romanzo di Giuseppe Tommasi di Lampedusa. Saranno proiettati, alle ore 17, un documentario dal titolo "Il Gattopardo: un viaggio nella memoria", seguito, alle ore 17.30, da "La Sicilia del Gattopardo" di Ugo Gregoretti. Alle ore 19 ci sara', invece, una videolezione a cura di Guido Davico Bonino, professore ordinario dell'universita' di Torino. La serata culminera', alle ore 21, con la proiezione del capolavoro di Visconti.

tratto da http://www.adnkronos.com/IGN/Cultura/?id=1.0.1618913660

nuvolarossa
02-12-07, 10:27
EVENTI. L'ITALIA DI GARIBALDI IN MOSTRA AL VITTORIANO

(AGO PRESS) Una mostra per celebrare l’Eroe dei due mondi in occasione del bicentenario della nascita, il 4 luglio del 1807. Promossa dal Comitato nazionale per le celebrazioni del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, presieduto da Andrea Marcucci, sottosegretario di Stato per i Beni e le Attività Culturali, l’esposizione “l’Italia di Garibaldi” è aperta al pubblico a partire dal 31 ottobre scorso, dal lunedì al giovedì, dalle ore 9 e trenta alle 18 e trenta e dal venerdì alla domenica, dalle ore 9 e trenta alle 19 e trenta. Chiuderà i battenti il prossimo 6 gennaio. L’evento del Vittoriano propone il pensiero e l’azione dell’uomo, attraverso centocinquanta opere tra olii, disegni, stampe originali, incisioni, documenti dell’epoca, dagherrotipi, filmati e fotografie molte delle quali inedite, che ripercorrono l’immagine dell’Italia così come si presentava al momento delle imprese di Giuseppe Garibaldi. “La mostra nasce sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e vuole contribuire alla costruzione di una più consapevole coscienza nazionale – si legge nel comunicato -, con l’obiettivo di salvare valori che non tramontano con le mode, incentivando la conoscenza della storia e favorendo lo sviluppo delle iniziative territoriali in forme concrete ed attuali, promuovendo la crescita della morale individuale attraverso forme di viva partecipazione, volontariato e responsabilità sociale”. Il percorso espositivo si articola in due sezioni: “un ritratto di Giuseppe Garibaldi”, con materiali fotografici originali che ritraggono l’eroe, stampe che costituiscono veri e propri esempi di trasfigurazione dell’immagine di Garibaldi nella produzione iconografica dell’Ottocento, immagini nella stampa coeva a testimonianza della satira politica, e “l’Italia di Garibaldi”, con disegni dei partecipanti alla Repubblica romana del 1849, inedite tavole originali, stampe e incisioni della Sicilia del 1860, fotografie inedite fotografie della visita a Pompei e del soggiorno nella reggia di Caserta, dipinti aventi per tema l’Aspromonte e dipinti di Girolamo Induno sulla terza guerra d’Indipendenza, foto Alinari sulla sconfitta delle forze garibaldine a Mentana per mano dei franco-pontifici. Inoltre, ci sarà una particolare sezione dedicata ai materiali multimediali, con “Caprera. Isola Sacra”, un raro filmato dell’archivio Luce, “Giuseppe Garibaldi. Il diavolo rosso”, filmati di Rai Educational e della Presidenza del Consiglio dei ministri, materiali documentari e digitali forniti dall’Istituto per la storia del Risorgimento, “L’eroe dei due mondi” di Maurizio Nichetti, Istituto Luce.

tratto da http://www.agopress.info/vis_news00.asp?id_news=158875

nuvolarossa
08-12-07, 10:09
EVENTI. L'ITALIA DI GARIBALDI IN MOSTRA AL VITTORIANO

(AGO PRESS) Una mostra per celebrare l’Eroe dei due mondi in occasione del bicentenario della nascita, il 4 luglio del 1807. Promossa dal Comitato nazionale per le celebrazioni del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, presieduto da Andrea Marcucci, sottosegretario di Stato per i Beni e le Attività Culturali, l’esposizione “l’Italia di Garibaldi” è aperta al pubblico a partire dal 31 ottobre scorso, dal lunedì al giovedì, dalle ore 9 e trenta alle 18 e trenta e dal venerdì alla domenica, dalle ore 9 e trenta alle 19 e trenta. Chiuderà i battenti il prossimo 6 gennaio. L’evento del Vittoriano propone il pensiero e l’azione dell’uomo, attraverso centocinquanta opere tra olii, disegni, stampe originali, incisioni, documenti dell’epoca, dagherrotipi, filmati e fotografie molte delle quali inedite, che ripercorrono l’immagine dell’Italia così come si presentava al momento delle imprese di Giuseppe Garibaldi. “La mostra nasce sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e vuole contribuire alla costruzione di una più consapevole coscienza nazionale – si legge nel comunicato -, con l’obiettivo di salvare valori che non tramontano con le mode, incentivando la conoscenza della storia e favorendo lo sviluppo delle iniziative territoriali in forme concrete ed attuali, promuovendo la crescita della morale individuale attraverso forme di viva partecipazione, volontariato e responsabilità sociale”. Il percorso espositivo si articola in due sezioni: “un ritratto di Giuseppe Garibaldi”, con materiali fotografici originali che ritraggono l’eroe, stampe che costituiscono veri e propri esempi di trasfigurazione dell’immagine di Garibaldi nella produzione iconografica dell’Ottocento, immagini nella stampa coeva a testimonianza della satira politica, e “l’Italia di Garibaldi”, con disegni dei partecipanti alla Repubblica romana del 1849, inedite tavole originali, stampe e incisioni della Sicilia del 1860, fotografie inedite fotografie della visita a Pompei e del soggiorno nella reggia di Caserta, dipinti aventi per tema l’Aspromonte e dipinti di Girolamo Induno sulla terza guerra d’Indipendenza, foto Alinari sulla sconfitta delle forze garibaldine a Mentana per mano dei franco-pontifici. Inoltre, ci sarà una particolare sezione dedicata ai materiali multimediali, con “Caprera. Isola Sacra”, un raro filmato dell’archivio Luce, “Giuseppe Garibaldi. Il diavolo rosso”, filmati di Rai Educational e della Presidenza del Consiglio dei ministri, materiali documentari e digitali forniti dall’Istituto per la storia del Risorgimento, “L’eroe dei due mondi” di Maurizio Nichetti, Istituto Luce.

tratto da http://www.agopress.info/vis_news00.asp?id_news=158875

nuvolarossa
13-12-07, 11:42
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


L’eroe dei tre mondi

di Stefania Vitulli

MILANO - Sorpresa: i quadri parlano, si illuminano, si animano. Là in fondo infuria la battaglia: ecco che i bagliori delle esplosioni illuminano la notte. In primo piano, il condottiero ormai anziano ma sempre saldo sul suo cavallo contempla i caduti e i soldati in azione. E intanto le ore passano, si fa di nuovo giorno, l’alba livida che mette a nudo le crudeltà della guerra. E la storia prende vita.

È questa, tra le tante, la novità più interessante della mostra Giuseppe Garibaldi. Sulle tracce di un mito che si aprirà domani al Museo del Risorgimento per celebrare il bicentenario della nascita dell’eroe dei Due Mondi: una serie di installazioni e quadri animati che regalano tridimensionalità e vitalità alla tradizionale polvere delle esposizioni cronologiche.

«Il problema delle mostre storiche - ha sottolineato l’assessore alla Cultura di Palazzo Marino Vittorio Sgarbi alla presentazione della mostra - è che non fanno concessioni alla spettacolarità, perciò si pensa spesso di poterle sostituire con la lettura di un buon libro sull’argomento».

Stavolta, però, il pericolo sembra del tutto scongiurato: il percorso della mostra - costata sei mesi di preparazione per raccogliere dipinti, alcuni mai mostrati prima, sculture in marmo e bronzo, documenti storici, oggetti rari in ben 14 sale - promette momenti originali e anche spettacolari. Gli interventi multimediali sono davvero scenografici e iniziano subito all’ingresso, dove il visitatore viene accolto da Garibaldi, Anita, Pisacane, Vittorio Emanuele, Mazzini, Cavour, Cattaneo, Pio IX che, opportunamente illuminati, grazie a effetti speciali dialogano tra loro.

Alcune tra le più famose battaglie ritratte su tela prendono vita grazie a suoni e luci comandati da sofisticati software e un’installazione più suggestiva delle altre è dedicata all’ossessione dell’eroe, il mare, con una proiezione delle onde durante le ore del giorno e della notte.

Prima di giungere a questa versione, i curatori avevano considerato di affrontare il percorso biografico di Garibaldi anche da altre angolazioni originali, come una ricostruzione attraverso i cimeli raccolti da Bettino Craxi o attraverso le dimostrazioni del profondo culto della personalità che il condottiero ha riscosso nei secoli.

Ma alla fine si è deciso che il percorso della mostra, ideata e curata dal direttore delle Civiche Raccolte Storiche Roberto Guerri, illustri le tappe della vita e delle imprese del condottiero - dall’infanzia all’ultima impresa militare in aiuto della Repubblica francese contro la Prussia - utilizzando come «guida» le Memorie scritte da Garibaldi tra il 1870 e il 1872.

Le parole di Garibaldi accompagnano la visione di documenti come la fede di battesimo, il diploma di capitano di lungo corso, il decreto di nomina a comandante dei Cacciatori delle Alpi firmato da Cavour, ma anche le commoventi lettere ad Anita, il poncho a righe indossato in Sudamerica e la famosa camicia rossa.

Sono state raccolte in mostra le «reliquie» dell’eroe come il calco della mano, la papalina e la Bibbia, ma anche armi, selle, sciabole, fasce e sciarpe massoniche, oltre ad abiti e uniformi di soldati, marinai e carabinieri. E tra le stanze più suggestive, due strapperanno senz’altro un’emozione anche alle scolaresche più refrattarie: la ricostruzione di una deliziosa saletta ottocentesca con arredi ispirati al mito garibaldino e un intimo ambiente dedicato ad Anita e al momento della sua morte, arricchito da uno dei suoi rarissimi abiti autentici. Prestato dal Museo di San Marino.

Giuseppe Garibaldi.
Sulle tracce di un mito
Museo del Risorgimento,
Inaugurazione: 14 dicembre ore 18
Dal 15 dicembre al 27 aprile 2008
Orari: 9/13 - 14/17.30. Lunedì chiuso
Ingresso: 2 euro, ridotto 1 euro
Info: www.museodelrisorgimento.mi.it
Visite scuole: 02.88464175

giovedì 13 dicembre 2007, 07:00 tratto da
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=227258

nuvolarossa
30-12-07, 12:24
Adelaide Bono Cairoli, la patriota che regalò cinque figli all’Italia

di Redazione - domenica 30 dicembre 2007, 07:00

Adelaide Bono sposata Cairoli è passata alla storia come mamma e patriota. Di salute cagionevole, ma di indole ferrea si innamora a soli 18 anni dell’uomo che vedeva più spesso: il medico. Carlo Cairoli, chirurgo, vedovo, con due figli ormai adulti, aveva perso il cuore dietro quella giovinetta così malandata ma tanto desiderosa, già fin da piccola, di contribuire alle sorti di una nazione incamminata sulla strada dell’Unità. E lei, dopo il matrimonio, a quell’uomo che aveva più del doppio dei suoi anni, aveva dato cinque rampolli, tutti maschi. Ma il destino si sarebbe accanito contro Adelaide che ne vide quattro (Ernesto, Enrico, Luigi e Giovanni) morire in rapida quanto tragica successione, chi sul fronte delle guerre d’indipendenza, chi nelle battaglie che i Mille combatterono in nome dell’unificazione. A tutti loro, ai quali quell’angosciata madre, amica e sostenitrice di Mazzini e Garibaldi, lasciava una sua ciocca di capelli in segno di ricordo al momento di partire per la guerra, Adelaide aveva costruito un mausoleo a villa Cairoli nel paese d’origine della famiglia, a Gropello. Sopravvisse solo Benedetto che nel 1878 fu nominato presidente del consiglio dei ministri. Una gioia che mamma Adelaide non ebbe il tempo di assaporare: morì proprio tra le braccia di Benedetto sette anni prima, il 27 marzo 1871.

tratto da http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=230751

nuvolarossa
07-01-08, 13:44
Francesco Nucara in visita a New York/Da Dario Papa alla Mazzini Society
Indissolubili i legami tra i repubblicani italiani e la democrazia degli Stati Uniti d'America

di Francesco Nucara

Ero partito per gli Stati Uniti d'America con la mia famiglia pensando di passare un breve periodo di vacanza durante le feste di fine anno. Una volta sul posto, il richiamo della politica mi ha travolto, ed ho cominciato con una telefonata a Maurizio Molinari, giovane - vecchio redattore de "La Voce Repubblicana". La mia vacanza si è così trasformata, a metà, in lavoro politico.

Si è iniziato con il visitare la statua di Mazzini a Central Park. Non nascondo che sono

http://www.pri.it/Nucara-Mazzini-NY.jpg

stato colto da profonda commozione nel vedere che quel monumento è tenuto in maggiore considerazione di quanto non lo sia in Italia ed in particolare a Genova, la sua città natale.
Come tutti sappiamo, Mazzini è stato l'ideologo delle guerre d'indipendenza italiane: il suo pensiero e le sue opere hanno contribuito in maniera fondamentale all'unità d'Italia ed alla Repubblica. Noi ci siamo liberati dai dominatori europei: spagnoli, austriaci, francesi, ecc.; ed anche gli americani, ancora prima che Mazzini nascesse, hanno combattuto per la loro indipendenza. Le loro teorie federaliste ante litteram le rileviamo nel pensiero di Carlo Cattaneo, uno dei grandi pensatori risorgimentali, la cui intuizione federalista ha trovato applicazione nel si stema dei poteri e dei contropoteri.

"La libertà - scriveva Cattaneo - non deve piovere dai santi del cielo, ma scaturire dalle viscere dei popoli. Chi vuole altrimenti, è nemico della libertà". In questo scaturire dalle viscere del popolo sta l'essenza della democrazia americana. Negli Usa vige tutt'oggi il principio che la democrazia si attua - come diceva John Adams, "un governo di leggi e non di uomini" - con buona pace delle maggioranze parlamentari.

Vorrei, però, ritornare ai legami tra la democrazia negli Usa e la democrazia repubblicana. Uno dei fondatori del Partito Repubblicano Italiano, Dario Papa, verso la fine dell'800, in un suo saggio, rafforzò la sua convinzione di federalismo democratico trasferendola poi dentro il dna del Partito Repubblicano, in seguito ad un'esperienza proprio a New York. Egli esalta la vittoria di Lincoln sui secessionisti del Sud.

E come non ricordare l'amicizia tra Lincoln ed il padre di tutti i repubblicani italiani, Giuseppe Mazzini; e il fatto che lo stesso Lincoln avrebbe voluto affidare il comando dei soldati nordisti a Giuseppe Garibaldi?

Queste sono le premesse che portano generazioni di Repubblicani a stringere un legame profondo con la democrazia americana.

Sulle basi di questi profondi legami nacque a New York la leggendaria Mazzini Society. Fu qui che gente come Carlo Sforza e Randolfo Pacciardi, assieme ad altri italiani, decisero di battersi a fianco degli alleati, che per loro erano gli Stati Uniti e non la Germania nazista. Dalla collaborazione con gli Usa, dal piano Marshall al Patto Atlantico è partita la rinascita dell'Italia, di quell'Italia seppellita sotto le macerie della dittatura nazifascista.

Ho sottoposto queste mie riflessioni alle personalità che ho avuto modo di incontrare. Mi riferisco soprattutto alla comunità italo-americana, dalla Neaf alla Columbus Foundation. Alcuni di loro sono emigranti di terza generazione, con scarsa possibilità di interloquire in italiano; e comunque "sono" italiani a tutti gli effetti, come il presidente della Columbus, Louis Tallarini.

Sono stati questi i primi contatti. Altri - non so se più importanti o meno - ce ne sarebbero stati se il periodo festivo non avesse portato in vacanza molte personalità del mondo politico americano.

Questo è stato solo l'inizio di un percorso, che probabilmente proseguiremo a marzo con una delegazione ufficiale del Pri.

tratto da http://www.pri.it/4%20Gennaio%202008/NucaraNewYork.htm

nuvolarossa
30-01-08, 12:53
Applausi calorosi per lo spettacolo in scena al Teatro Sociale e dedicato al protagonista del Risorgimento
Il Garibaldi di Gioele Dix, un grande eroe rimasto incompiuto

COMO - Garibaldi, l'eroe dei due mondi, il primo artefice dell'unità d'Italia, il generale geniale e ardimentoso capace di infiammare i cuori dei suoi soldati e portarli a compiere mirabolanti imprese. Chi non ne conosce i mille pregi? Sembrerebbero ricordi da vecchio sussidiario ma sono storie ancora piene di vita e luce (non disgiunta da qualche ombra), come ha dimostrato, l'altra sera, al teatro Sociale di Como, un Gioele Dix in piena forma, nel suo spettacolo Tutta colpa di Garibaldi. L'allestimento è nato dalla mente del vulcanico attore e autore milanese per ricordare il bicentenario della nascita di Garibaldi, nel 2007. Con la collaborazione di Sergio Fantoni, anche attento regista, e di Nicola Fano, Dix ha proposto al folto pubblico una efficace e per nulla polverosa rievocazione, nell'intento di mostrare tutta l'italianità del personaggio, nel bene e nel male. Ne è emerso un ritratto che, come da promesse, non risultava affatto celebrativo. Dix, nei panni di un attore-relatore chiamato a tenere una conferenza sul personaggio storico, si lanciava nel racconto appassionato della vita e delle imprese del generale, fin dal 1848. L'ardimento, il sogno di un'Italia unita e repubblicana, la speranza del coinvolgimento delle masse popolari, i cardini dell'azione garibaldina, per un ritratto che ne sottolineasse la levatura morale e militare. Poi però, come necessario in una riflessione credibile per lo spettatore d'oggi, anche una critica attenta e puntale alle ?ombre? del personaggio, tutto istinto e poca pianificazione, incapace di fondare la sua azione su un progetto politico definito, spesso ingenuo tanto da cedere il passo a chi della politica aveva un'idea meno disinteressata. In una parola, il Garibaldi di Dix & co. è una figura grande ma incompiuta, capace di azioni memorabili ma mai portate veramente a termine, per mancanze altrui e propria ingenuità. Un Dix a metà tra l'ammirato e il furioso (perfettamente nelle corde del personaggio) ha dunque tratteggiato un ritratto dolceamaro, nelle cui linee discontinue si percepiva chiaramente, in proiezione, l'Italia di oggi ?palude? di inefficienze, in cui il talento viene sempre mortificato e frustrato. Calorosi gli applausi del pubblico.

Sara Cerrato

tratto da http://www.laprovinciadicomo.it/online/online.asp?SiglaEdizione=CO&Sezione=SPETTACOLI&Bassa=si&Pagina=42&IDNotizia=2802507

nuvolarossa
04-04-08, 18:24
Riceviamo da Roberto Fantoni

... estratto di una sua relazione di alcuni mesi fa ...

Lo spirito che porta alla stesura di questo breve scritto lo ricavo direttamente dal Mazzini, così come pure la maggior parte del lavoro:….. parmi che uno scrittore debba mostrarsi ai suoi lettori non solamente come egli è, ma come ei fu, e che possa tornar utile ai giovani vedere come ogni uomo soggiaccia più o meno all’influenza degli anni nei quali egli vive, o delle circostanze tra le quali ei si agita….. Ed in effetti è mio modesto parere che sul Genovese si siano scritte montagne di libri, che sia nata una dottrina che da oltre 150 anni pervade la storia e la politica dell’Italia e dell’Occidente democratico, ma che in realtà pochi o nessuno abbiano mai cercato di capire l’uomo Mazzini, l’individuo Mazzini. Non lo farò nemmeno io, perché non ne ho la scienza e tantomeno la capacità . Tuttavia vorrei sottoporre a tutti noi, alcuni argomenti di riflessione diversi dal solito. E per farlo uso alcuni scritti fra i meno famosi, nei quali il Maestro discute di letteratura e di musica in questo modo riferendosi al suo lavoro:…. Ciò che in essi ( gli scritti ) importa- se pur vi è cosa che importi- è la tendenza generale che li informa, il senso della missione fidata all’Arte e dell’intento morale da non tradirsi mai- e oggi meno che mai- delle lettere…..
Ed ecco ciò che colpisce subito: Egli assegna alle arti una missione ed alla letteratura un intento morale. Ovvero si scopre in Mazzini la tendenza a trattare argomenti non politici, nello stesso modo con cui Egli tratta la politica. E colloca tutto all’interno di un disegno divino, ben diverso da quello di concezione cattolica.
Un disegno divino che poneva le Arti come uno strumento per la comunicazione collettiva, che avrebbe portato un popolo a divenire nazione. Quindi, per Mazzini, la nazione , la Patria, era una estensione dell’immanente.
Una visione, questa, che la dice lunga sull’Uomo e sulle motivazioni della sua azione
Una visione irrazionale romantica e, nello stesso tempo, geniale. Di più: folle. E dico folle perché solo una mente che è riduttivo definire potente, poteva, nel marzo del 1862, esporre sulla letteratura un concetto come questo: ……..Poi venne il Materialismo, filosofia di popoli schiavi, o che stanno per divenire tali, e spense sempre più il bisogno di un ideale che ci avrebbe ricondotti alle nostre tradizioni. Il materialismo – possano i giovani ascoltarmi perché in verità l’avvenire italiano è riposto nella questione alla quale io non posso qui che accennare - perpetuò il nostro servaggio attossicandoci l’animo di egoismo e di codardia: alla idea che la vita è missione e dovere sostituì, tra il rogo di Giordano Bruno, e la prigione di Campanella, l’idea che la vita è la ricerca della felicità; e dacchè ogni nobil modo di felicità intellettuale e morale è rapito a chi non ha Patria o l’ha schiava, tradusse in ultimo anche quella idea di felicità in piacere o felicità d’un giorno, di un’ora, procacciata dall’oro e dal soddisfacimento di misere e traditrici passioni sensuali, franse il modo sociale e l’istinto di fratellanza collettiva che avea creato la grandezza di Roma e delle nostre repubblice e pose l’individuo a centro e fine di ogni opera nostra; sottentrò quindi, inevitabilmente al pensiero, rivelato prima che altrove in Italia. di un disegno educatore providenziale e d’un progresso comune, col freddo disanimante pensiero d’una vicenda alterna e fatale di vita e di morte, di trionfo e rovina; corruppe il santo concetto Dantesco dell’ amore in basso appetito, ed il severo costume degli avi in un libertinaggio sfrontato che contamina anc’oggi moltissimi fra i nostri giovani e cancella dal mondo sociale la donna per sostituire la femmina. Or dove non è culto della donna, né coscienza di dovere verso tutto un popolo, non può esistere Letteratura. E sotto l’azione dissolvitrice del Materialismo e delle altre cagioni indicate, la Letteratura sparì . La Poesia Italiana si spense…
Ecco, basta riflettere su queste parole, per comprendere quanto sia complesso , ma universale , il Mazzini. ( omiss..) Tuttavia ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni suo sentimento, sono improntati ad una concezione superiore del mondo e della vita. Tutto, per Mazzini, è dovere. E la Chiesa Cattolica ha sempre ben compreso che la religiosità di Mazzini era di un ordine superiore al suo. Per tale motivo lo ha sempre bollato come ateo e miscredente. Questo concetto trova una perfetta descrizione in queste righe su Carlo Bini :…….
L’anima sua pura, vergine d’ogni ambizione, ritrosa alla lode fino a sdegnarsene , aborriva dall’idea del letterato di professione. L’Arte gli pareva , ed è , l’espressione per simboli del Pensiero di un’Epoca, che si fa legislazione della Politica, ragione nella Filosofia, sintesi e fede nella Religione: per lui lo Scrittore, il Poeta, era, com’è pur per noi, l’apostolo, il sacerdote di quel pensiero, l’uomo che traducendolo in forme, immagini, e armonie particolarmente simpatiche , commuove il popolo dei credenti a tradurlo in azione. Ma quand’ei cercava, guardandosi attorno, il popolo dei credenti, che dovea costituirlo Poeta e Scrittore, ei si ritraeva atterito……( omiss..). Non a caso alla domanda di Mazzini : “ perchè non scrivi ? “ lui rispose : “ per chi scrivere? Chi crede in oggi ?
Non di meno Mazzini parlava così della musica ai giovani:
….L’Arte che trattate è santa, e voi dovete essere santi com’essa, se volete esserne sacerdoti. L’ Arte che vi è affidata è strettamente connessa col moto della civiltà, e può essere l’alito, l’anima, il profumo sacro, se traete le ispirazioni dalle vicende della civiltà progressiva , non da canoni arbitrari, stranieri alla legge che regola tutte le cose. La musica è un’armonia del creato, un’eco del mondo invisibile , una nota dell’accordo divino che l’intero universo è chiamato ad esprimere un giorno; e voi, come volete afferarla, se non innalzandovi alla contemplazione di questo universo, affacciandovi colla fede alle cose invisibili, abbracciando del vostro studio, dell’anima vostra, e del vostro amore tutto quanto il creato?....... (omiss..) E come si rivela importante l’universalità del concetto portato innanzi da un genio di scuola romantica . Ma non di meno appare incredibile per i tempi, la concezione in sé che ha Mazzini della musica definendola , seppur in tempi che lui riteneva corrotti:…..La fede d’un mondo di cui la poesia non è che l’alta filosofia…… ed esorta l’artista, il musicista, a seguire una strada tracciata nei terreni della Filosofia e dell’Arte verso due grandi principi eterni che, a parere del Maestro si……” svelano predominanti in tutti i problemi che affaticano, da migliaia di anni, l’umano intelletto……..Secondo Mazzini questi due grandi, eterni principi, sono l’Uomo e l’Umanità - il pensiero individuale ed il pensiero sociale. Nella musica la melodia rappresenta l’Individualità, mentre l’armonia il Pensiero Sociale. Ecco che Mazzini individua anche nella musica la ragione politica, il proprio senso del divino che pervade tutte le cose.
E coloro i quali vorranno leggersi la descrizione che Mazzini fa della musica italiana, si troveranno davanti al delirio di un uomo che in preda ad un incontenibile attacco di passione, più che d’amore, la descrive come una santa missione. Ma quale significato da il Maestro a queste parole. Forse non quello cattolico..(omiss…) Non si può dire che l’analisi di Mazzini sia priva di metodo. Anzi. Ma non è certo un metodo illuministico o meglio, gnostico.
E’ un metodo umanistico che vede nel cervello la sede della scienza, ma anche della passione, e non scinde l’una dall’altra. Un uomo tutto logica e senza ardore, per Mazzini, è un uomo incompleto. Ed è la sintesi fra passione ed inteletto, la via per giungere alle vette eccelse della musica. Bellissima è la definizione sulla musica tedesca : ….. L’una ( quella italiana )si trascina a forza fino gli ultimi termini della passione. L’altra ( tedesca ) t’accenna la via e poi ti lascia. La musica tedesca è musica di preparazione, musica profondamente religiosa,bensì una religione che non ha simbolo, quindi non fede attiva e tradotta nei fatti : non martirio, non conquista, ti stende intorno una catena di gradazioni maestralmente annodate; l’abbraccio di un’onda musicale di accordi, che cullandoti, ti solleva, sveglia il core, suscita la fantasia, suscita le facoltà quante sono; a qual prò ? Tu ricadi, cessata la musica, nel mondo della realtà, nella vita prosaica che ti brulica intorno, colla coscienza di un mondo diverso, che ti s’è mostrato lontanamente, non dato, colla coscienza d’aver toccato i primi misteri di una grande iniziazione, non iniziato, non più forte di volontà, non più saldo contro gli assalti della fortuna……..
( omiss..). Un uomo che conosce in maniera profonda la materia della quale scrive, dialogando con i pochi che possono veramente comprenderlo. …Il genio sciorrà quel problema di lotta che s’agita da migliaia d’anni, tra il bene e il male, tra l’inteletto umano e la materia, tra il cielo e l’inferno, in un’opera che rimarrà, gran tempo studio agli artisti, e ponendosi innanzi il concetto sociale, lo innalzerà – e questa è la missione serbata alla musica – ad altezza di fede negli anni , muterà le fredde ed inattive credenze, in entusiasmo, l’entusiasmo in potenza di SACRIFICIO, ch’è la virtù……
E i giovani artisti si preparino divoti, come a mistero di religione, all’iniziazione della nuova scuola musicale. Siamo alla veglia delle armi, e i recipiendiari di cavalleria vi si preparavano raccolti nel silenzio, nella solitudine, nella meditazione dei doveri, che stavano per assumere, nell’ampiezza della misione alla quale dovevano consacrarsi il di dopo, e nella speranza generosa e fervente dell’alba novella. E i giovani artisti s’ innalzino collo studio dei canti nazionali, delle storie patrie, dei misteri della poesia, dei misteri della natura, a più vasto orizzonte che non è quello dei libri di regole e dei vecchi canoni d’arte. La musica è il profumo dell’Universo e a trattarla, come vuolsi, è d’uopo all’artista immedesimarsi coll’amore, colla fede, collo studio delle armonie che nuotano sulla terra e nei cieli, col pensiero dell’Universo. S’accostino alle opere dei grandi della musica, dei grandi, non d’un paese, d’una scuola, o di un tempo, ma di tutti i paesi, di tutte le scuole, e di tutti i tempi: non per anatomizzarli e dissecarli colle fredde e vecchie dottrine di professori di musica , ma per accogliere in se stessi lo spirito creatore e unitario che muove da quei lavori, non per imitarli grettamente e servilmente , ma per emularli da liberi, e connettere al loro un nuovo lavoro. Santifichino l’anima loro coll’entusiasmo, col soffio di quella poesia eterna che il materialismo ( il consumismo dei giorni nostri ) ha velata, non esigliata dalla nostra terra, adorino l’Arte, siccome cosa santa e vincolo tra gli uomini e il cielo.
Adorino l’Arte preffigendole un alto intento sociale, ponendola a sacerdote di morale rigenerazione e serbandola nei loro petti e nella loro vita, candida, pura, , incontaminata di traffico, di vanità e delle tante sozzurre che guastano il bel mondo della creazione…………
Ognuno di noi, sulla base dell’esperienza e della sensibilità, ne può cogliere il significato nascosto e profondo. Tutt’altro. Lo scopo è quello di sottoporre alcuni aspetti dell’uomo che raramente vengono discussi, con particolare attenzione alla intensità delle passioni che investono il lettore e lo trascinano in una dimensione diversa.
Una dimensione talmente imponente nel suo vigore, che solo una mente superiore può liberare, al di là del genio, nella pura follia Scrive di Dante:…………..un uomo la cui anima era piena d’amore da fargli porre la moralità innanzi ad ogni scienza, che affermava la Filosofia e il Bello consistere nell’armonia della virtù, dichiarava il Genio incapace di raggiungere un certo grado di scienza se non aiutato dall’Amore……..La Fede che Dante, nel decimoterzo secolo, intuiva nell’anima è questa: Dio è uno. L’universo è un pensiero di Dio: uno quindi come Egli è. Tutte le cose vengono da Dio; e tutte partecipano ,più o meno, della natura divina, a seconda del fine pel quale sono create. Esse navigano verso diversi punti sul grande oceano dell’esistenza: ma tutte mosse dallo stesso volere. Fiori nel giardino di Dio , tutte meritano il nostro amore, a seconda del grado di eccellenza che Egli ha posto in ciascuna. Eminente fra tutte è l’Uomo. Dio ha versato in lui parte maggiore della propria natura che in ogni altra cosa creata. Sulla scala continua degli esseri, l’uomo la cui natura è più guasta tocca l’animale, l’uomo la cui natura s’è serbata più nobile s’accosta all’angelo. Qualunque cosa venga dalla mano di Dio, tende alla perfezione della quale è capace, e l’uomo più ferdidamente e vigorosamente, di tutte le altre. Fra lui e le altre creature è questa la differenza, che la sua capacità di perfezionamento è detta da Dante possibile, voce che nel suo linguaggio sta per indefinita.
Escita dal seno di Dio, l’anima umana aspira incessantemente a Lui e tenta, colla santità e colla sapienza di ricongiungersi alla propria sorgente. Ora, la vita dell’uomo – individuo è troppo debole e breve perché ei possa soddisfare quaggiù a quell’anelito; ma intorno e davanti a lui sta l’uomo-collettivo, l’intera razza umana colla quale egli è alleato dalla propria natura socievole e che vive immortale accumulando, di generazione in generazione, la via dell’eterno Vero. L’umanità è una. Dio nulla ha fatto di inutile; e dacchè esiste un ente collettivo, una moltitudine di uomini, esiste pure necessariamente un fine comune per essi tutti, un lavoro che deve da essi tutto compiersi. Qualunque sia questo fine, certo è che esiste e che noi dobbiamo lavorare a scoprirlo e raggiungerlo. L’umanità dovrebbe dunque adoperarsi unita e concorde perché tutta la potenza intellettuale esistente in essa riceva il più alto grado di sviluppo possibile nella doppia sfera del pensiero e dell’azione. Un ordinamente armonico, ,l’associazione in conseguenza, è l’unico mezzo per tradurre in fatto siffatta idea.
L’umanita è una come uno è Dio, una negli ordini com’è una nel suo principio…….
Abbiamo fatto un breve viaggio nel delirio mistico di menti geniali ed universali. In quest’ultima parte abbiamo letto una definizione immortale di religione universale della natura umana, come la chiamava Dante, o della politica, come la chiamava Mazzini ...

nuvolarossa
04-07-08, 10:31
Tutti gli amori garibaldini di Nievo

di Redazione

Com’era la vita quotidiana, quali erano i sentimenti e gli stati d'animo di un volontario garibaldino durante una campagna bellica? Ce lo racconta in versi un protagonista d'eccezione, il ventottenne poeta-soldato Ippolito Nievo che, inquadrato nelle Cento Guide a Cavallo dei Cacciatori delle Alpi, per un anno, dall'aprile 1859 all'aprile 1860, annota su un taccuino il diario delle sue giornate attraverso poesie «del vero», scritte sotto l'incalzare degli eventi o nei momenti di pausa. Nasce così il libro «Gli amori garibaldini», tra ideali patriottici, dettagli pratici, gioie, speranze, nostalgia e dolori. Su tutto spiccano il grande amore per la patria e il difficile amore per Bice Melzi d'Eril, moglie di Carlo Gobio, cugino e amico di Nievo. Due passioni che convivono nel cuore del poeta, spesso lacerato tra il «ferreo laccio» della guerra e il «roseo laccio» della donna amata.
«Raccolta di versi di tutti i sapori», la definisce lo stesso Ippolito, per la varietà di metrica e toni, dall'aulico all'epopea popolare (come nell'inno di battaglia «I Cacciatori a cavallo»), dalla retorica alla lingua parlata, fino ad un'essenzialità sorprendentemente moderna. Ma anche per l'umore mutevole, che segue l'andamento delle vicende belliche: attesa ed entusiasmo per le vittorie, amarezza e disillusione per il trattato di Villafranca tra Napoleone III e Francesco Giuseppe, che lascia all'Austria entrambe le patrie di Nievo, il Friuli e il Mantovano. Rinasce alla fine la speranza con la prospettiva di partire per l'impresa dei Mille. L'amore, poi, «giogo di rose» è fatto di gioia e di tante spine, la passione può diventare tormento e voglia di restituire all'amata «lagrima per lagrima - inganno per inganno».
La vita breve ed intensa di Ippolito si concluderà tragicamente nel 1861 con il naufragio del piroscafo «Ercole» nelle acque di Ischia e Capri. Il libro fa parte della nuova collana «Piccoli classici italiani», che raccoglie testi inediti o difficilmente reperibili di scrittori italiani del secondo Ottocento e del Novecento. Un'edizione accurata, a differenza di quelle che si sono finora succedute nel tempo, con l'ottimo commento di Ermanno Paccagnini - docente universitario, già critico letterario del «Sole-24 ore», adesso collaboratore del «Corriere della Sera» - che approfondisce gli aspetti stilistici, culturali e storici dell'opera, sottolineando anche i momenti poetici che richiamano alcuni aspetti delle «Confessioni d'un Italiano», capolavoro di Nievo.
«Gli amori garibaldini» di Ippolito Nievo, a cura di Ermanno Paccagnini, De Ferrari Editore, pagg. 344, euro 16.

tratto da http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=273738&PRINT=S

nuvolarossa
13-07-08, 13:16
Riunito il consiglio di amministrazione della fondazione museo del Risorgimento

(12/7/2008 10:38) - (Sesto Potere) - Ravenna - 12 luglio 2008 -Si è riunito ieri il consiglio di amministrazione della Fondazione Museo del Risorgimento di Ravenna, presieduto da Giannantonio Mingozzi, alla presenza dei consiglieri Beppe Rossi (vicepresidente), Roberto Balzani, Ernesto Alfieri, Andrea Baravelli, Lorenzo Cottignoli, Alberto Cassani.

All'ordine del giorno il finanziamento di due iniziative previste l'una il 4 agosto presso la fattoria Guiccioli di Mandriole nella ricorrenza della morte di Anita Garibaldi, il secondo finanziamento rivolto al materiale pubblicato per la mostra delle medaglie di Mario Guerrini che si tiene presso il Museo nella sede di via Baccarini.

Il consiglio inoltre ha provveduto alla nomina del collegio dei revisori dei conti che risulta composto dal presidente Sergio Gnani, membri effettivi Mauro Mazzesi ed Egisto Pelliconi, sindaci supplenti Remo Tarroni e Paolo Bedei.

Mingozzi ha comunicato al consiglio che la fondazione è stata ufficialmente riconosciuta dalla Prefettura di Ravenna ed è quindi in grado di operare nel pieno delle proprie capacità finanziarie, dovute agli impegno dei soci fondatori, in particolare Comune di Ravenna, la fondazione della Cassa di Risparmio e la Federazione delle cooperative. Durante il consiglio sono state illustrate altre iniziative in collaborazione con la stessa Istituzione Classense e con la fondazione Banca del Monte di Bologna e Ravenna, particolarmente rivolte agli studenti ed al pubblico più giovane.

"Il prossimo anno celebreremo i 160 anni della Repubblica Romana e prepareremo adeguatamente la celebrazione dell'Unità d'Italia - ha detto Mingozzi - e mi fa molto piacere che le visite al museo siano in aumento e tutte le trenta iniziative che abbiamo dedicato al bicentenario di Garibaldi siano state seguite da un pubblico attento e partecipe".

tratto da http://www.quotidianodelnord.it/index.ihtml?step=2&rifcat=120&Rid=171183

roberto fantoni
14-07-08, 09:32
Oggi è il 14 luglio. Grande data...grande rivoluzione...

Lincoln (POL)
14-07-08, 09:55
La "grande data",quella della vera "grande rivoluzione",è il 4 di Luglio,non il 14.
Sei in ritardo di dieci giorni.
:rolleyes:

roberto fantoni
14-07-08, 10:30
Ma tu perdessi mai un'occasione per farti i cazzi tua! Ce ne fossero ancora di ghigliottine!!!!!

nuvolarossa
14-07-08, 11:17
La "grande data", quella della vera "grande rivoluzione", è il 4 di Luglio, non il 14 ...Lincoln, credo che il tuo riferimento sia alla "rivoluzione americana" del 1776 ... se cosi' e' ... mi trovo perfettamente d'accordo con te ... la rivoluzione francese del 1789 (avvenuta 13 anni dopo) ... ha dato luogo - a parte le istanze ideali iniziali che erano piu' le necessita' corporali del coniugare gli orari del cibo ... che nutrimento dell'anima - al periglioso periodo del "terrore" dove la ghigliottina servi' egregiamente a decollare anche chi l'aveva tanto caldeggiata.
"Liberté, Égalité, Fraternité" e' il motto della Repubblica francese ... motto prettamente Repubblicano che nulla pero' ha da spartire con la ghigliottina:

La prima parola del motto repubblicano, Liberté fu all'inizio concepita secondo l'idea liberale. La Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1795) la definiva così: «La libertà consiste nel potere di fare ciò che non nuoce ai diritti altrui». «Vivere liberi o morire» fu un grande motto repubblicano. Sotto il governo di Maximilien de Robespierre, la libertà invece era riservata a coloro che detenevano il potere: «Nessuna libertà per i nemici della libertà» recitava il motto del Terrore

Secondo termine del motto repubblicano, la parola Égalité significa che la legge è uguale per tutti e le differenze per nascita o condizione sociale vengono abolite; ognuno ha il dovere di contribuire alle spese dello Stato in proporzione a quanto possiede.

Nella Dichiarazione dei diritti e doveri del cittadino, parte integrante e iniziale della Costituzione dell'anno III (1795), la Fraternité, terzo elemento del motto repubblicano, è definita così: «Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi; fate costantemente agli altri il bene che vorreste ricevere».

... credo che quanto sopra sia molto piu' legato agli ideali della rivoluzione americana (lontana pero' culturalmente e fisicamente da noi) ... che a quella francese ... che ha avuto solo il pregio di essere vicina geograficamente a tutte le zone europee influenzate da regimi dispotici o monarchici in vario modo intrecciati tra loro per interessi o parentele ...

Nullo
14-07-08, 12:50
La "grande data",quella della vera "grande rivoluzione",è il 4 di Luglio,non il 14.
Sei in ritardo di dieci giorni.
:rolleyes:
Possiamo almeno trovare una data che ci trovi tutti concordi? Io, comunque, mi tengo stretto il 9 febbraio!

roberto fantoni
14-07-08, 16:54
O ragazzi ma non mettiamoci mica a dare retta a dei ritardati mentali! Ogni rivoluzione è diversa dall'altra ed ognuna vive di luce propria! Solo un mentecatto può dire che una è meglio e l'altra è peggio......in quanto a quella francese andatevi a leggere i pochi discorsi di Robespierre arrivati a noi prima che il delirio lo portasse via...

roberto fantoni
14-07-08, 17:05
Libertà, Fratellanza, Uguaglianza (che Mazzini chiama Umanità), non è un motto repubblicano. E' il motto di coloro i quali hanno fatto sia la Rivoluzione Francese che quella Americana....

nuvolarossa
14-07-08, 20:14
Libertà, Fratellanza, Uguaglianza ... E' il motto di coloro i quali hanno fatto ... la Rivoluzione ... Americana ...Il motto della Rivoluzione Americana del 1776 era “E pluribus unum” ... che in italiano significa: "da molti, uno" ...
Tale motto si trova ancora oggi sulle monete degli Stati Uniti d'America ... e riassumeva, nel 1776, lo spirito unitario di lotta per la conquista dell'indipendenza dalla Gran Bretagna da parte delle sue 13 colonie dislocate sulla costa atlantica dell'America del Nord ...
Ma, Roberto, hai studiato Storia alle serali di Radio Elettra Torino ?

Lincoln (POL)
14-07-08, 21:27
Non credo,nemmeno lì le insegnano certe baggianate.
Comunque,visto che Roberto ci dice che tutte le rivoluzioni sono uguali e che non ne esiste una migliore dell'altra,io proporrei di festeggiare anche il 7 Novembre,data della presa del potere dei bolscevichi in Russia.
Anche perchè mi ricorda un 7 Novembre di svariati anni fa sulla Piazza Rossa in dolce compagnia.

Ferruccio
15-07-08, 00:28
Il motto della Rivoluzione Americana del 1776 era “E pluribus unum” ... che in italiano significa: "da molti, uno" ...
Tale motto si trova ancora oggi sulle monete degli Stati Uniti d'America ... e riassumeva, nel 1776, lo spirito unitario di lotta per la conquista dell'indipendenza dalla Gran Bretagna da parte delle sue 13 colonie dislocate sulla costa atlantica dell'America del Nord ...
Ma, Roberto, hai studiato Storia alle serali di Radio Elettra Torino ?

C'è anche la scritta " IN GOD WE TRUST " ma in GOD manca una L.

Ferruccio
15-07-08, 00:37
Applausi calorosi per lo spettacolo in scena al Teatro Sociale e dedicato al protagonista del Risorgimento
Il Garibaldi di Gioele Dix, un grande eroe rimasto incompiuto

COMO - Garibaldi, l'eroe dei due mondi, il primo artefice dell'unità d'Italia, il generale geniale e ardimentoso capace di infiammare i cuori dei suoi soldati e portarli a compiere mirabolanti imprese. Chi non ne conosce i mille pregi? Sembrerebbero ricordi da vecchio sussidiario ma sono storie ancora piene di vita e luce (non disgiunta da qualche ombra), come ha dimostrato, l'altra sera, al teatro Sociale di Como, un Gioele Dix in piena forma, nel suo spettacolo Tutta colpa di Garibaldi. L'allestimento è nato dalla mente del vulcanico attore e autore milanese per ricordare il bicentenario della nascita di Garibaldi, nel 2007. Con la collaborazione di Sergio Fantoni, anche attento regista, e di Nicola Fano, Dix ha proposto al folto pubblico una efficace e per nulla polverosa rievocazione, nell'intento di mostrare tutta l'italianità del personaggio, nel bene e nel male. Ne è emerso un ritratto che, come da promesse, non risultava affatto celebrativo. Dix, nei panni di un attore-relatore chiamato a tenere una conferenza sul personaggio storico, si lanciava nel racconto appassionato della vita e delle imprese del generale, fin dal 1848. L'ardimento, il sogno di un'Italia unita e repubblicana, la speranza del coinvolgimento delle masse popolari, i cardini dell'azione garibaldina, per un ritratto che ne sottolineasse la levatura morale e militare. Poi però, come necessario in una riflessione credibile per lo spettatore d'oggi, anche una critica attenta e puntale alle ?ombre? del personaggio, tutto istinto e poca pianificazione, incapace di fondare la sua azione su un progetto politico definito, spesso ingenuo tanto da cedere il passo a chi della politica aveva un'idea meno disinteressata. In una parola, il Garibaldi di Dix & co. è una figura grande ma incompiuta, capace di azioni memorabili ma mai portate veramente a termine, per mancanze altrui e propria ingenuità. Un Dix a metà tra l'ammirato e il furioso (perfettamente nelle corde del personaggio) ha dunque tratteggiato un ritratto dolceamaro, nelle cui linee discontinue si percepiva chiaramente, in proiezione, l'Italia di oggi ?palude? di inefficienze, in cui il talento viene sempre mortificato e frustrato. Calorosi gli applausi del pubblico.

Sara Cerrato

tratto da http://www.laprovinciadicomo.it/online/online.asp?SiglaEdizione=CO&Sezione=SPETTACOLI&Bassa=si&Pagina=42&IDNotizia=2802507


IN SUD AMERICA Garibaldi e' ritenuto anche dagli oriundi italiani un avventuriero a libro paga della Massoneria Inglese con l'incarico di destabilizzare soprattutto l'Argentina in modo funzionale alle mire finanziarie
inglesi. Poi venne la Dottrina Monroe egli inglesi dovettero mollare agli americani e cos' impiegarono Garibaldi in Italia allo scopo di fare nascere un Stato che destabilizzasse la situazione sia dell'Impero Austro Ungarico sia
della Francia.

Magari finanziandogli le vittorie contro i Borboni insieme ai Piemontesi.
17.000 ducati d'oro al generale Lanza per la " vittoria di Calatafimi tanto òper fare un esempio.

nuvolarossa
15-07-08, 00:55
IN SUD AMERICA Garibaldi e' ritenuto ...Sembra che Garibaldi abbia anche fondato, in combutta con Nino Bixio, il nucleo originario della CIA in America del Nord e contribuito a passare segreti militari a Cecco Beppe per la produzione dell'acqua pesante ... solo che Cecco Beppe la usava per farci la birra ... e con le royalty della Peroni si sono cosi' comprati tutto l'esercito borbonico ... solo che al rientro dal Sud, dalle parti di Teano, il Re ha preteso da Garibaldi la sua parte di quattrini fatti da Garibaldi con la vendita del limoncino ... ma l'eroe dei due mondi, che si era giocato ai dadi tutto quello che aveva, ... gli ha detto: prenditi l'Italia e dammi in cambio un'isoletta dove possa starmene in pace a fumarmi i miei sigari toscani ...
E cosi' avvenne ... con buona pace di tutti i suoi denigratori che, a distanza ancora di oltre un secolo, continuano a dire in giro che ... si tingeva i capelli ... e portava il poncho per proteggersi dai reumatismi ...

Venom
15-07-08, 00:58
IN SUD AMERICA Garibaldi e' ritenuto anche dagli oriundi italiani un avventuriero a libro paga della Massoneria Inglese con l'incarico di destabilizzare soprattutto l'Argentina in modo funzionale alle mire finanziarie
inglesi. Poi venne la Dottrina Monroe egli inglesi dovettero mollare agli americani e cos' impiegarono Garibaldi in Italia allo scopo di fare nascere un Stato che destabilizzasse la situazione sia dell'Impero Austro Ungarico sia
della Francia.

Magari finanziandogli le vittorie contro i Borboni insieme ai Piemontesi.
17.000 ducati d'oro al generale Lanza per la " vittoria di Calatafimi tanto òper fare un esempio.
Meno male che c'è la massoneria allora :)

Non capisco perchè ogni volta che qualcuno cerca di attaccare Garibaldi (ma anche Mazzini) tira fuori la storia della massoneria, a me sembra solo un motivo in più per fare gli onori a questo grandissimo personaggio.

roberto fantoni
15-07-08, 09:30
Roberto non dice che tutte le rivoluzioni sono uguali. dice esattamente il contrario. Ovvero che ogni rivoluzione è un fatto a se stante e non sono comparabili una con l'altra. in quanto al motto della rivoluzione americana se le capre sapessero qual'è il filo d'oro che collega quella francese a quella americana, capirebbero che il significato è lo stesso. o meglio che gli uomini che hanno dato vita alle due rivoluzioni sono gli stessi. In quanto alla scuola radio elettra i periti industriali sono altri........

roberto fantoni
15-07-08, 10:14
Vatti a leggere un pò di alchimia. forse su internet qualcosa trovi. Hai visto mai che potresti scoprire che il motto della rivoluzione americana vuol dire qualcos'altro... ma ne dubito. Fortemente. E già che ci sei domandati perchè i colori della bandiera italiana sono il rosso il bianco ed il verde..poi ripassa!

roberto fantoni
15-07-08, 10:18
Mi sono riletto quello che ho scritto: te non sai nemmeno leggere. Torna all'asilo!

nuvolarossa
15-07-08, 10:22
Roberto ... sei troppo enigmatico e cabalistico nello scrivere ... non solo non riesci a spiegare un tubo di quanto vuoi dire ... ma rischi, nel rileggerti, di non capire nemmeno le allusioni che gratuitamente ci elargisci.

nuvolarossa
15-07-08, 10:25
... E già che ci sei domandati perchè i colori della bandiera italiana sono il rosso il bianco ed il verde ...Questa la so ... vai sicuro.
Dubito fortemente che tu invece sappia perche' Garibaldi portava le bretelle bianche rosse e verdi !

Nullo
15-07-08, 10:46
Questa la so ... vai sicuro.
Dubito fortemente che tu invece sappia perche' Garibaldi portava le bretelle bianche rosse e verdi !
Non volendo restare fuori da questa aspra e interessante disputa sui colori nazionali, mi permetto di rilanciare una strofa di Gianni Bella:

le mutande tricolori, le ho lasciate lì da lei
qiuando mi ha buttato fuori, che dolce uragano che sei

roberto fantoni
15-07-08, 10:59
Caro Nuvolarossa, io non attacco mai per primo. Rileggiti gli interventi e vedrai che ho sempre risposto a delle offese ( quelle si gratuite ma delle quali ho capito l'origine) di Lincoln. Per quanto riguarda la Quabbalah, se vuoi possiamo parlare anche di quella. Io la studio sui libri ,ma su internet qualcosa trovi, oltre alle definizioni...naturalmente. Per il resto è ovvio che non capisci... Per quanto riguarda i colori della bandiera, su internet avrai trovato che il rosso è il sangue degli eroi, il verde delle nostre vallate ed il bianco delle cime innevate delle nostre montagne, ma non è così. Ti voglio dare un aiutino: dal 1 al 10 agosto, a Livorno, c'è una bella festa che si chiama effetto Venezia e si svolge dalle 21 in poi. Vai in piazza dei Domenicani, alla Fratellanza Artigiana, in un palazzo di proprietà di Domenico Guerrazzi. Entra dentro e guardati intorno....e poi di che non ti voglio bene!

Venom
15-07-08, 11:07
Caro Nuvolarossa, io non attacco mai per primo. Rileggiti gli interventi e vedrai che ho sempre risposto a delle offese ( quelle si gratuite ma delle quali ho capito l'origine) di Lincoln. Per quanto riguarda la Quabbalah, se vuoi possiamo parlare anche di quella. Io la studio sui libri ,ma su internet qualcosa trovi, oltre alle definizioni...naturalmente. Per il resto è ovvio che non capisci... Per quanto riguarda i colori della bandiera, su internet avrai trovato che il rosso è il sangue degli eroi, il verde delle nostre vallate ed il bianco delle cime innevate delle nostre montagne, ma non è così. Ti voglio dare un aiutino: dal 1 al 10 agosto, a Livorno, c'è una bella festa che si chiama effetto Venezia e si svolge dalle 21 in poi. Vai in piazza dei Domenicani, alla Fratellanza Artigiana, in un palazzo di proprietà di Domenico Guerrazzi. Entra dentro e guardati intorno....e poi di che non ti voglio bene!
Va bè ma quella lì è la favoletta per i bambini :D

Ferruccio
15-07-08, 13:18
Sembra che Garibaldi abbia anche fondato, in combutta con Nino Bixio, il nucleo originario della CIA in America del Nord e contribuito a passare segreti militari a Cecco Beppe per la produzione dell'acqua pesante ... solo che Cecco Beppe la usava per farci la birra ... e con le royalty della Peroni si sono cosi' comprati tutto l'esercito borbonico ... solo che al rientro dal Sud, dalle parti di Teano, il Re ha preteso da Garibaldi la sua parte di quattrini fatti da Garibaldi con la vendita del limoncino ... ma l'eroe dei due mondi, che si era giocato ai dadi tutto quello che aveva, ... gli ha detto: prenditi l'Italia e dammi in cambio un'isoletta dove possa starmene in pace a fumarmi i miei sigari toscani ...
E cosi' avvenne ... con buona pace di tutti i suoi denigratori che, a distanza ancora di oltre un secolo, continuano a dire in giro che ... si tingeva i capelli ... e portava il poncho per proteggersi dai reumatismi ...

Resta il fatto che Garibaldi era un uomo degli inglesi.Si ricorda il regalo di una bella goletta dagli inglesi quando l'Eroe stava in Costa Smeralda in ferie.. Andata perduta sugli scogli.

Lincoln (POL)
15-07-08, 14:06
... il filo d'oro che collega quella francese a quella americana... gli uomini che hanno dato vita alle due rivoluzioni sono gli stessi.

Non sapevo che Washington avesse fatto anche la rivoluzione francese oltre a quella di casa propria.Certo che alla Scuola Elettra ne insegnano di cose...
Che dici Nuvola ci iscriviamo anche noi?:D

roberto fantoni
15-07-08, 17:57
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


Bisogna vedere se ti pigliano!

nuvolarossa
15-07-08, 19:09
... Per quanto riguarda i colori della bandiera ...Dal Sito del "Comitato Guglielmo Marconi International" ... si puo' leggere l'articolo Origini, storia e significato del Tricolore nel suo bicentenario al link ... http://www.radiomarconi.com/marconi/carducci/bandiera.html
... se vai invece nel sito parrocchiale del Vaticano leggerai che il Rosso e' il sangue di Cristo, il Bianco il manto della Madonna e il Verde il colore delle casse dello Ior se Roberto Calvi rimaneva in vita ...

nuvolarossa
15-07-08, 19:17
... Che dici Nuvola ci iscriviamo anche noi?A che pro' ? ... adesso le Lauree te le danno con 5.000 punti dell'Olandesina ... oppure con 400 figurine dei Power Rangers ... in alcune Universita' corre voce che basti una scorta stagionale di caciocavalli ... Da Perito Industriale (di quelli di una volta) ... ho conosciuto fior fiore di Ingegneri che non conoscono il peso specifico del ferro ... o fior fiore di Architetti che credono che Le Corbusier sia un farmaco per le coronarie ...

Lincoln (POL)
15-07-08, 19:24
Bisogna vedere se ti pigliano!
Visto il livello dell'insegnamento della suddetta scuola così come è riscontrabile dai risultati avuti nel tuo caso, immagino in effetti che il quoziente di intelligenza necessario per essere ammessi ai corsi debba essere molto basso. Però, se dico che sono amico tuo e che mi segnali tu, penseranno che il mio di quoziente sia assimilabile al tuo e mi ammetteranno di corsa. :D

roberto fantoni
16-07-08, 09:10
Consideralo già fatto! per te Lincoln questo ed altro...Per Nuvolarossa: nel'700 nasce quella Scuola alla quale fa riferimento Lincoln. Nelle sue aule si insegna che tutti gli uomini sono liberi, uguali e fratelli e tutti fanno parte con lo stesso diritto dell'Umanità ( e pluribus unum ) e partecipano ad un disegno superiore che dovrà portare all'Uomo Nuovo (la Pietra Filosofale degli alchimisti che si ottiene mescolando il mercurio, rappresentato dal colore bianco, lo zolfo - rosso -ed il sale -verde-. Fra gli iscritti a questa scuola ci sono i Jefferson, gli Washington, i Lincoln ma anche i Danton, i Robespierre ed i Lenin ( istituto di Losanna). Sono molte le figure di raccordo ma una che ti può aiutare è quella di Tommaso Paine.E ora diamoci un taglio perchè non mi diverte più....

nuvolarossa
16-07-08, 17:50
... (la Pietra Filosofale degli alchimisti che si ottiene mescolando il mercurio, rappresentato dal colore bianco, lo zolfo - rosso -ed il sale -verde-....Non c'e molta differenza tra il credere all'esistenza della Pietra Filosofale el il credere che gli Asini Volino ... d'altronde non si spiegherebbe altrimenti l'enorme successo di Harry Potter ... o delle folle televisive che pendevano dalle labbra dell'imbonitore televisivo di turno ...
Da pragmatista mi piace piu' bearmi del significato culturale che il massone (http://74.125.39.104/search?q=cache:fpLTh_b6pUYJ:www.grandeoriente.it/eventi.php%3Fid%3D238%26task%3Dview%26t%3D207+%22c arducci+massone%22&hl=it&ct=clnk&cd=10&gl=it) Giosue' Carducci dava, al tricolore ...

Infatti nel primo centenario del Tricolore, il 7 gennaio 1897, fu commemorato proprio con un discorso a Reggio Emilia del grande poeta Giosuè Carducci, il quale si rivolse alla Bandiera con queste parole: "Sii benedetta! benedetta nell'immacolata origine, benedetta nella via di prove e di sventure per cui immacolata ancora procedesti, benedetta nella battaglia e nella vittoria, ora e sempre nei secoli!". Ed aggiunse: "quei colori parlarono alle anime generose e gentili, con le ispirazioni e gli effetti delle virtù onde la patria sta e si angusta: il bianco, la fede serena alle idee che fanno divina l'anima nella costanza dei savi; il verde, la perpetua rifioritura della speranza a frutto di bene della gioventù dei poeti; il rosso, la passione ed il sangue dei martiri e degli eroi!".

... e se proprio ho voglia di sentir puzza di zolfo ... mi posso rileggere (http://www.girodivite.it/Inno-a-Satana-di-Giosue-Carducci.html) il suo “Inno a Satana”

Nullo
17-07-08, 09:50
Si però nel 1897 Carducci era ormai il poeta di casa Savoia e di baggianate, a cominciare dall'anno di fondazione dell'università bolognese, ne ha inventate un bel po'. Quanto agli asini che volano, oggi è più difficle vederne uno che cammina ...

nuvolarossa
17-07-08, 10:17
Si però nel 1897 Carducci era ormai il poeta di casa Savoia ...L'accusa di essere diventato filogovernativo e monarchico gli venne mossa dagli ambienti repubblicani piu' giacobini dopo la scrittura (1878) da parte sua di una Ode in onore della Regina Margherita (a seguito di una visita dei reali a Bologna) ... ma in periodo susseguente (1882) lesse il famoso discorso "Per la morte di Garibaldi" ...
Secondo me il Repubblicano e Mazziniano Carducci ... fu semplicemente un Poeta di levatura nazionale ... che cerco' di elevarsi veramente al di sopra delle parti ... Giovanni Pascoli si formo' alla sua scuola ... eppoi nel 1906 il premio Nobel per la Letteratura ... quand'ancora il Nobel era veramente tale ...
Io non starei tanto a fare lo schizzinoso con un personaggio simile ... visto che in tempi recenti di premi Nobel ci siamo dovuti sorbire (senza tanti commenti) Dario Fo (Nobel per la letteratura nel 1997) ... ma gli stessi padri piagnoni alla Savanarola che facevano le pulci al Giosue' ... non trovarono tra i loro eredi altrettanti padri piagnoni alla Savanarola pronti a strapparsi i peli dell'ano per lamentarsi dei trascorsi in camicia nera ... di questa cartina di tornasole di quanto sia scaduto nel pateracchio e nel compromesso questo premio svedese ...

roberto fantoni
17-07-08, 10:24
Hai visto Nuvolarossa che avevo ragione? Ho cercato di spiegarti il concetto di pietra filosofale e tu lo paragoni agli asini che volano ed a vanna marchi.Con una forma di umorismo che evidenzia un profondo malessere psichico.La pietra filosofale alla quale ti riferisci è la vulgata dei soffiatori di carbone, non degli alchimisti.Il Rebis o Grande Opera non c'entra nulla con la trasformazione dei metalli vili in oro se non nel fatto che i massoni sono convinti che , in fondo, tutti gli uomini possano arrivare alla conoscenza ( non alla fede e quando dici che credo alla pietra filosofale come Harry Potter sei veramente patetico). E dai del tricolore una spiegazione simile a quella che si dà ai bambini delle elementari. Il massone Carducci usa quelle parole proprio per comunicare a gente ignorante un significato che nella sua vera essenza non sarebbe stato compreso. Ma lui lo conosceva bene. Tu continua pure nelle tua arroganza tipica di coloro i quali non sanno nulla e pretendono di insegnare agli altri. A proposito sei andato su Wilkipedia ( molto meglio della Scuola Radio Elettra Torino che ho frequentato con scarsi risultati come si evince dalle cazzate che scrivo) a vedere la figura di Paine e dei legami fra la rivoluzione americana e quella francese? A volte, riconoscer di avere sbagliato, può essere una forma di grande saggezza...Una annotazione: si dice pragmatico.E l'inno a Satana lo puoi leggere tutte le volte che vuoi. Non potrai mai capirlo , come non lo capisco io, perchè è rivolto agli iniziati e non ai profani....Un'ultima cosa: se qualcuno mi dice che un asino vola, io guardo in alto perchè ritengo che possa essere vero.

nuvolarossa
17-07-08, 10:30
... Carducci era ormai il poeta ....Nullo, ti segnalo un interessante thread dedicato a Giosue' Carducci, sul nostro Forum, nel febbraio del 2003 ... segui la traccia ...
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=44062

nuvolarossa
17-07-08, 10:33
Hai visto Nuvolarossa che avevo ragione? ...Tu hai sempre ragione ... come tutti quelli che se le cantano e se le suonano ... ma non capirai mai una cosa basilare ... che un Asino non imparera' mai a bere al fiasco ... pur frequentando le Universita' del sapere ...

nuvolarossa
17-07-08, 10:44
... Da pragmatista mi piace piu' bearmi del significato culturale che il massone (http://74.125.39.104/search?q=cache:fpLTh_b6pUYJ:www.grandeoriente.it/eventi.php%3Fid%3D238%26task%3Dview%26t%3D207+%22c arducci+massone%22&hl=it&ct=clnk&cd=10&gl=it) Giosue' Carducci dava, al tricolore ...

... Una annotazione: si dice pragmatico ...Pragmatico significa che ha attinenza con il pragmatismo (che riguarda i fatti del pragmatismo) ... pragmatista invece indica ... il seguace del pragmatismo ... come personalmente cerco (indegnamente ed a volte anche poco laicamente) di fare ...
Torna alle serali della Scuola Radio Elettra ... per un doveroso aggiornamento ...

Nullo
17-07-08, 10:49
Nullo, ti segnalo un interessante thread dedicato a Giosue' Carducci, sul nostro Forum, nel febbraio del 2003 ... segui la traccia ...
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=44062
Lo riprenderò volentieri la settimana prossima, adesso me ne vado per un lungo fine settimana tra i monti d'Abruzzo a vedere se c'è ancora qualche lupo a piede libero. Spero, al mio rientro, di trovare chiusa questa piccola polemica tra te e Roberto.

nuvolarossa
17-07-08, 10:52
... un lungo fine settimana tra i monti d'Abruzzo a vedere se c'è ancora qualche lupo a piede libero ...Buona vacanza ...

jmimmo82
17-07-08, 12:22
Il turpiloquio tra fautori di umanità mazziniana non dovrebbe esserci.

Per la verità, anch'io avevo letto da qualche parte di un nesso tra le due rivoluzioni parzialmente confermatomi da persone autorevoli che ho avuto la fortuna di conoscere... In primo luogo, è storia accertata i finanziamenti francesi alle 13 colonie americane d'Inghilterra. Francesi e americani erano alleati contro gli inglesi. Poi se è vero quanto si dice che la massoneria era dietro ad entrambe le rivoluzioni... ciò sarebbe già di per se un indizio rilevante... sappiamo che le massonerie tra loro comunicano... Gli americani per ricambiare il sostegno francese contro la dominazione inglese avrebbero potuto dare una mano alla massoneria francese spodestando l'odiata monarchia ed istaurando un regime repubblicano. Ribadisco: sono solo ipotesi.

Quanto a similitudini e differenze tra le due rivoluzioni:

Similitudini

1) Potremmo affermare che erano battaglie diverse ma entrambe riconducibili al repubblicanesimo: la prima contro il dominatore straniero (l'Inghilterra), la seconda contro il dominatore interno (il monarca).

2) Il principio ispiratore di ambedue le rivoluzioni è chiaramente liberale e repubblicano come si può leggere dalla Dichiarazione di Indipendenza Americana e dal motto francese.

Differenze

Sono diversi i risvolti delle rivoluzioni, in Francia decisamente negativi. A parte le decapitazioni che mi appaiono comprensibili per il periodo storico, l'autoritarismo di Robespierre è una diretta conseguenza del movimento giacobino prevalente in Francia, mentre gli Stati Uniti d'America come del resto tutti i paesi anglosassoni sono tradizionalmente liberali e democratici. La democrazia e la libertà sono colonne portanti della cultura americana. In pratica si tratta di una differenza ideologica tra le due realtà nazionali...

Infatti tuttoggi l'America e la Gran Bretagna sono paesi liberali mentre la Francia è statalista e laicista, proprio perché conserva i caratteri giacobini...

Venom
17-07-08, 12:30
Più che il motto francese io sottolinerei l'importanza della Dichiarazione dei diritti dell'Uomo e del Cittadino approvata nel 1989.

Comunque come sottolinea MImmo, i principi iniziali sono gli stessi, le conclusioni diverse.
Inoltre è innegabile il collegamento dovuto alla massoneria.

roberto fantoni
17-07-08, 12:35
Vedi la differenza che c'è fra me e te: io sono dell'idea che se gli viene insegnato anche un asino può bere al fiasco....

roberto fantoni
17-07-08, 12:51
Robespierre, quando era ancora lucido di mente, è stato un politico di immensa levatura. Putroppo dei suoi scritti e dei suoi discorsi poco ci è arrivato perchè tutto è stato distrutto. Ma qualcosa si trova. In partcolare il discorso con il quale Robespierre chiede la condanna a morte di Luigi Capeto. A mio giudizio è splendido, non solo sotto il profilo della Retorica ma, significativamente, nella costruzione dialettica della richiesta di condanna. Putroppo Robespierre aveva una concezione "divina" del suo ruolo, al pari di Saint Just e sempre più si immedesimò nella figura dell'angelo sterminatore. L'errore lo commise quando fece decapitare Danton che tentò di moderarne gli eccessi. A quel punto la massoneria francese ne decretò la condanna a morte. Questo non toglie che fu un grand'uomo.

roberto fantoni
17-07-08, 18:25
Apriamo una discussione seria senza cazzeggiare come al solito: tu sostieni di essere un pragmatista in quanto laico o viceversa. Devo dire che questa affermazione è stata stimolante in quanto ho sempre ritenuto che il concetto di laicità derivi direttamente dal Razionalismo. Ma il Razionalismo è esattamente il contrario del Pragmatismo. Pertanto non riesco a capire quale sia il legame tra Pragmatismo e laicità. Me lo puoi spiegare? Grazie

p.s. per Jmmo: io e nuvolarossa ci conosciamo da quasi trent'anni e forse commettiamo l'errore di giocare da vecchi goliardi su questo forum. Chiedo scusa per tutti e due

jmimmo82
17-07-08, 18:50
p.s. per Jmmo: io e nuvolarossa ci conosciamo da quasi trent'anni e forse commettiamo l'errore di giocare da vecchi goliardi su questo forum. Chiedo scusa per tutti e due
Ma figurati, non devi scusarti.

Come direbbe Ezio Greggio: siete ragaaaaaaaaazzzi. :D

jmimmo82
17-07-08, 18:55
Il pragmatismo differisce dal razionalismo in quanto le idee devono avere un'efficacia pratica e non solo teorica. Mi stavo chiedendo anch'io se la laicità deriva dal pragmatismo o dal razionalismo.

jmimmo82
17-07-08, 19:00
Credo che derivi dal razionalismo...

nuvolarossa
17-07-08, 20:15
... tu sostieni di essere un pragmatista in quanto laico o viceversa ... non riesco a capire quale sia il legame tra Pragmatismo e laicità ...Non saprei proprio quale sia il legame ... a parte una specie di sinonimia dell'azione implicita tra l'essere laici o pragmatisti ...
Per me, tra le varie peculiarita' dell'essere Repubblicani occorre avere una buona dose di laicita' (riassumendola nel concetto di "tolleranza"), altrettanta capacita' di analisi pragmatica dei problemi (quindi esclusione totale di osservazione di Asini in volo) ... ed anche una notevole indole di estroversione (senso della socialita') ...
Sull'essere Repubblicani il discorso sarebbe molto piu' ampio ... ma ti rimando ad alcuni thread aperti in proposito ...
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=4832
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=2088
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=92105
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=25980
... solo una piccola notazione sull'essere estroversi ... credo fermamente che l'essere Repubblicani sia inversamente proporzionale alla propria dose individuale di edonismo ...
Da una buona miscela di queste tre caratteristiche (laicismo, pragmatismo ed estroversione) ... credo che ne possa uscire un "buon" Repubblicano ... cosa, almeno per me, lontana da essere tale ... perche' mi ritengo un Repubblicano ancora in divenire e, vista la societa' in cui viviamo ... cresce sempre piu' il pessimismo che si possano coniugare queste "doti" ... sempre piu' rare ...

roberto fantoni
18-07-08, 09:08
Non mettiamo troppa carne al fuoco e restiamo sul tema:tolleranza e laicità sono due concetti diversi. Tolleranza è il rispetto delle idee altrui. laicità è la ricerca della verità utilizzando la ragione e non la fede o il dogma.Il pragmatista, cosa diversa dall'essere pragmatico, non ammette una verità diversa dall'apparenza. Anzi, non ammette il concetto stesso di verità.Il razionalista cerca la verità utilizzando gli strumenti della ragione o del raziocinio.Faccio un esempio: per il pragmatista un bullone è un bullone e basta quindi è corretto il tuo esempio sugli asini che volano.Per il razionalista un bullone è un bullone ma è fatto di ferro, quindi di atomi. Gli atomi sono fatti di elettroni e protoni. Seguendo questo ragionamento arrivo alle particelle, poi ai quark ed infine alle stringhe. Le stringhe sono pura energia. Allora il bullone è un agglomerato di energia che assume una forma materiale. Quindi il razionalista cerca di arrivare alla vera essenza delle cose, mentre il pragmatista si ferma al primo scalino.A mio parere, quindi, il pragmatismo è dogmatico mentre il razionalismo è adogmatico. Ritengo che la laicità sia più affine al concetto adogmatico che a quello dogmatico.Seguendo il ragionamento di nuvola, se un repubblicano è laico non può essere pragmatista.
Però può essere pragmatico. Ovvero pratico. Questa è la mia opinione, non la mia verità perchè se qualche amico porta avanti una tesi diversa dalla mia, essendo laico, posso tranquillamente cambiare idea o, al limite, rafforzare quella che ho già. Nell'uno e nell'altro caso sono un uomo più ricco di un atomo di conoscenza.:p

nuvolarossa
18-07-08, 09:11
Roberto ... vatti a fare un bagno a Marinella ... che con questo caldo ti fuma il cervello ... e ti scappano via tutti gli atomi ...

roberto fantoni
18-07-08, 09:59
Non mi sembra una risposta da laico e tollerante. E nemmeno da repubblicano.Comunque c'ho l'aria condizionata.....

nuvolarossa
18-07-08, 17:24
… Comunque c'ho l'aria condizionata ...
Se c’e’ una cosa, tra le tante, che mi sta poprio sui coglioni, e’ l’aria condizionata … torno ora dalla spiaggia dove, oltre che farmi una panciata di culi, ho provveduto anche a ricaricare il mio scarso laicismo … senza condizionamenti alcuni … e, soprattutto, senza aver l’obbligo di stare a discutere sul sesso degli angeli … o sul fatto se sia nato prima l’uovo o la gallina … stante maggiormente la necessita’, per chi vuol far politica in modo “Repubblicano”, di trovare il modo di produrre uova e galline … e di far si che ce ne sia per tutti … e di trovare i metodi per impedire ai soliti professionisti della politica … di svuotare nottetempo il pollaio e, magari contemporaneamente, di elargire paternali … alla stessa stregua del parroco di campagna che, trombandosi la perpetua, omaggiava i fedeli del suo quotidiano divieto alla fornicazione.

roberto fantoni
21-07-08, 16:01
non ho la più pallida idea di cosa tu stia dicendo.non mi intendo di uova, di galline e di roba da spartire. l'unica cosa che posso offrire, per dirla con Garibaldi è lacrime e sangue. Qualora tu abbia accuse serie da fare, documentale, portamele e se qualcuno ha combinato qualcosa a mia insaputa ti posso assicurare che gliela faccio pagare. se sono solo chiacchere, puoi pure tenertele per te.

nuvolarossa
18-11-08, 12:09
CULTURA: ROMA, IL 'SACRIFICIO DEI FRATELLI BANDIERA'

Roma, 17 nov. - (Adnkronos/Adnkronos Cultura) - ''Conversazioni sul Risorgimento: il sacrificio dei fratelli Bandiera e il caso Boccheciampe'' e' il tema della giornata di studi, promossa dalla regione Veneto, che si terra' mercoledi' 19 novembre, a partire dalle 10, presso la direzione della sede di Roma della Regione. L'iniziativa e' volta a ricordare i fratelli veneti e seguaci di Mazzini, Attilio ed Emilio Bandiera, fucilati il 25 luglio 1844 nel Vallone di Rovito, a seguito del tradimento del compagno d'avventura, il corso Pietro Boccheciampe.

164 anni dopo, la verita' ufficiale viene smentita da una lettera, scritta dal carcere il 16 luglio 1848 da Boccheciampe a Domenico Mauro, letterato e patriota meridionale, protagonista di moti rivoluzionari, seguace di Garibaldi nell'impresa dei Mille e poi deputato. Nella lettera inviata a Mauro, all'epoca in esilio a Corfu', il Boccheciampe smentisce d'aver denunciato i compagni, si proclama innocente e attribuisce l'agguato e la cattura dei fratelli Bandiera ad alcuni infiltrati della polizia borbonica.

Il dibattito di mercoledi' 19 novembre avra' inizio proprio con la lettura della missiva, riportata alla luce dagli eredi Mauro e gentilmente concessa dal Centro Studi Risorgimentale ''Domenico Mauro'' di San Demetrio Corone. Al convegno interverranno Felice Spingola, economista e presidente del Centro Studi Pan di Cosenza; Giuliana Limiti, storica ed archivista, presidente della ''Mazzini Society'' e della Casa Mazziniana; Giovanni Pillinini, presidente del Comitato provinciale di Venezia dell'Istituto per il Risorgimento Italiano. Oltre alla lettera di Boccheciampe a Mauro, sara' presentata anche altra documentazione inedita, tra cui una singolare missiva del fratello di Pietro, Giovanni Boccheciampe.

tratto da http://www.adnkronos.com/IGN/Cultura/?id=3.0.2719260088

jmimmo82
18-11-08, 13:28
Caro Roberto, bighellonando tra le vecchie discussioni del thread mi sono imbattuto in questo frammento di uno degli ultimi tuoi post:

tolleranza e laicità sono due concetti diversi. Tolleranza è il rispetto delle idee altrui. laicità è la ricerca della verità utilizzando la ragione e non la fede o il dogma.
Non sono d'accordo. Il laico è colui che permette a tutti gli altri di esprimere una qualsiasi opinione proteggendo l'assoluta volontarietà del pensiero da condizionamenti esterni. Quando si parla di laicità dello Stato in ambito religioso si intende la pari considerazione e libertà che lo Stato attribuisce a cristiani, islamici, buddhisti, satanisti, atei, agnostici ect.

In altre parole, lo Stato rispetta tutti, si disinteressa della verità/falsità e non si schiera neppure dalla parte delle tradizioni (confessionalismo, conservatorismo) o convenienze varie (nazionalismo, imperialismo religioso).

Meditando su quanto ho scritto, desumo che tolleranza e laicità non sono proprio sovrapponibili, però in un certo senso sono sinonimi e la prima è una parola chiave della seconda.

Allora riformulo il significato di laicità nella seguente forma: laicità è garanzia per tutti, da parte del soggetto laico (Stato, uomo, associazione), di libera espressione del pensiero (libertà negativa) ed in alcuni casi di laicità "ideologica" (espressione da me coniata:p) favorendo un clima di tolleranza ed apertura al dialogo (politica propositiva; un lusso in genere caldeggiato dalle sinistre).

Altra cosa è la ricerca della verità, obiettivo comune alla scienza, alla gnoseologia, alla psicoanalisi ed in politica al nostro Mazzini tanto per dirne qualcuna...

nuvolarossa
07-12-08, 10:47
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


TEATRO DEL TÈ. AL SANCARLINO UN PARTICOLARE SPETTACOLO CHE METTE IN EVIDENZA PERSONAGGI POCO NOTI MA CHE EBBERO GRANDE IMPORTANZA
Risorgimento «rosa», amanti e briganti
A fianco di Mazzini e Cavour le donne che dietro le quinte hanno giocato ruoli decisivi nella storia dell’unità d’Italia

BRESCIA - C’era Bianca Milesi Mojon, la prima femminista e capace di inventare una scrittura crittografica per i carbonari; c’èra Giuditta Bellerio Sidoli, raggio di sole per Mazzini; c’erano Filmena Pennacchio e Giuseppina De Cesare, insieme in montagna con i briganti; c’era Cristina Trivulzio Belgiojoso, principessa che fondò scuole, ospedali e giornali; c’era Anna Schiaffino Giustiniani che si annullò, lei donna di alta sensibilità culturale, per amore di Cavour, fino al suicidio; c’era Virginia Oldoini Verasis Castiglioni, che mise corpo e intelligenza a disposizione della diplomazia cavouriana. C’erano queste, ce n’erano tante altre insieme a Mazzini, Cavour, Mameli, Tito Speri, Garibaldi, Napoleone III, i fratelli Bandiera, tutte dentro la storia del Risorgimento ma dietro agli uomini: e lo spettacolo «Rime e canti risorgimentali - giacobini, garibaldini e repubblicani», messo in scena stasera (ore 20.45) e domani (18.45) dal Teatro del Tè al Sancarlino di corso Matteotti (ingresso gratuito) proverà a fare uscire dall’ombra la storia di queste eroine capaci, sebbene dietro le quinte della storia «ufficiale», di giocare un ruolo decisivo nelle vicende che portarono all’unità d’Italia. Alla rappresentazione teatrale (curata da Cesira Giovanardi e portata in scena da Mauro Barcellandi) si affianca la scelta delle musiche: il repertorio giacobino rappresenta una delle radici più importanti del patrimonio politico italiano di inni; e ai canti giacobini seguono alcuni documenti della prima età risorgimentale e poi una scelta di canzoni e di rime del periodo 1820-1860. Anche i personaggi maschili sono trattati con ironia: ed il risultato è una rappresentazione inedita ma certamente non banale di un periodo storico fondamentale per la storia d’Italia.

tratto da http://www.bresciaoggi.it/ultima/oggi/spettacoli/B.htm

nuvolarossa
03-01-09, 19:54
REPORTAJE
El gran fresco de la unidad italiana
'Las confesiones de un italiano', publicada por primera vez en España, mezcla historia y picaresca - Claudio Magris: "Está entre las mejores novelas del XIX"

Como aquel astronauta que se subió a la estación espacial internacional siendo ciudadano soviético y, tras el derrumbe del bloque comunista, se bajó de ella siendo ruso, Carlo Altoviti nació veneciano en 1775 y, 80 años más tarde, esperaba morir italiano "cuando así lo decida esa Providencia que gobierna misteriosamente el mundo". Altoviti, Carlino para los más próximos, expresó ese deseo en el momento de ponerse, "viejo y no literato", a redactar las memorias de una vida que corrió paralela a la unificación de Italia.

http://www.elpais.com/recorte/20090103elpepicul_2/LCO340/Ies/Representacion_entradad_Giuseppe_Garibaldi_Palermo .jpg

Un poco romántico y otro poco resabiado, más listo por pícaro que por octogenario y "más dotado de defectos que de virtudes", Carlino no es otro que el narrador de Las confesiones de un italiano, un novelón publicado en Italia en 1867 y que la editorial Acantilado acaba de editar, por primera vez en España, en traducción de José Ramón Monreal.

Su autor, Ippolito Nievo, no llegó a ver salir de las prensas el millar de páginas de su libro. Nacido en Padua en 1831, Nievo había escrito ya una novela satírica, un par de comedias en verso y un puñado de relatos "campesinos" cuando, con 27 años, dedicó nueve meses a escribir su obra cumbre. Tres años más tarde, el naufragio del vapor Ercole, en el que viajaba desde Sicilia a Nápoles, se lo llevó al fondo del mar. Fue en 1861, el año en que Víctor Manuel II de Saboya se proclamó rey de Italia. Precisamente, con el escritor, el mar Tirreno se tragó los documentos de la expedición de los mil camisas rojas con los que Giuseppe Garibaldi había desembarcado en Sicilia. Nievo, cautivado por el discurso patriótico de Mazzini y del propio Garibaldi, había seguido a éste en su avance unificador.

Al contrario que el protagonista de La Cartuja de Parma, que asiste a la batalla de Waterloo sin tener conciencia de lo que está viviendo, Nievo tuvo siempre claro que asistía a la construcción de la historia de un país -"una expresión geográfica", según Metternich, un clásico de la diplomacia moderna- atrapado entre las fracasadas pretensiones napoleónicas, la dominación austriaca, el decadente reino de las Dos Sicilias y la alargada sombra del Papa.

En muchos sentidos, el novelista vertió en Las confesiones de un italiano la historia de sus propias correrías. Y las trufó con las que le inventó a Carlino, un hijo ilegítimo acogido por una tía de su madre en el castillo véneto de Fratta, un lugar en el que iba a asistir "al último y ridículo acto del gran drama del feudalismo" antes de arrastrarse por palacios y cárceles para caer casi siempre de pie.

"Para mí", afirma el narrador, "que no he visto nunca el Coloso de Rodas ni las pirámides de Egipto, la cocina de Fratta y su hogar son los monumentos más solemnes que han existido nunca sobre la faz de la tierra. La catedral Duomo de Milán y la basílica de San Pedro de Roma no son poca cosa, pero no tienen, ni de lejos, un sello igual de grandeza y de solidez".

En aquella cocina descubrió a su inolvidable prima Pisana, con la que iniciaría un amor intermitente que sólo se apagará con la muerte. Pisana es "quizá la más atractiva figura femenina de la literatura italiana y ciertamente una de las más hermosas de toda la historia de la literatura", afirma Claudio Magris en un artículo sobre Las confesiones de un italiano que Acantilado ha rescatado como presentación de la edición española del libro.

Desde Trieste, en declaraciones a este periódico, el autor de Utopía y desencanto subraya la importancia de la novela de Nievo y lamenta que su fama no esté a la altura de su calidad, "porque cada obra maestra no suficientemente conocida es una ocasión perdida de entender mejor el mundo, la vida y la historia". En el caso de Las confesiones de un italiano, Magris atribuye el desconocimiento al provincianismo que asaltó a la cultura italiana a finales del siglo XIX tras siglos de florecimiento: "A Nievo se le consideraba a priori como un autor sólo o casi sólo italiano, importante para il Risorgimento, pero no para el mundo". Grave error, "porque puede codearse con los más grandes novelistas rusos o franceses del siglo XIX".

Cuando se le pregunta si leyendo la novela se puede entender la unificación italiana, Magris es rotundo: "Sí. Alcanza el fin por excelencia de la novela como género: reunir a través de irrepetibles historias individuales un gran proceso histórico colectivo". Como una trama de arroyos que confluyen en un gran río. Y lo hace sin convertir su relato en una historia de buenos y malos: "Nievo está a favor de la revolución y el progreso, pero no esconde la violencia de la revolución".

tratto da http://www.elpais.com/articulo/cultura/gran/fresco/unidad/italiana/elpepucul/20090103elpepicul_3/Tes

edera rossa (POL)
06-01-09, 03:41
Il turpiloquio tra fautori di umanità mazziniana non dovrebbe esserci.

Per la verità, anch'io avevo letto da qualche parte di un nesso tra le due rivoluzioni parzialmente confermatomi da persone autorevoli che ho avuto la fortuna di conoscere... In primo luogo, è storia accertata i finanziamenti francesi alle 13 colonie americane d'Inghilterra. Francesi e americani erano alleati contro gli inglesi. Poi se è vero quanto si dice che la massoneria era dietro ad entrambe le rivoluzioni... ciò sarebbe già di per se un indizio rilevante... sappiamo che le massonerie tra loro comunicano... Gli americani per ricambiare il sostegno francese contro la dominazione inglese avrebbero potuto dare una mano alla massoneria francese spodestando l'odiata monarchia ed istaurando un regime repubblicano. Ribadisco: sono solo ipotesi.
.....

scusa Mimmo ma non mi sento di condividewre le tue ipotesi. Non dimentichiamo che nel corso della guerra di indipendenza , massoni inglesi ed americani si comportarono, generalmente, con reciproca lealtà e, nel massimo rispetto degli impegni propri del loro ruolo e delle loro scelte di campo, cercarono di rispettarsi reciprocamente. Si ebbe il caso di arredi massonici rinvenuti al termine di combattimenti e fatti pervenire alla parte avversa che ne era la legittima detentrice. Tra l'altro vi furono anche capi pellirossa che erano in massoneria e che furono altrettanto sensibili a tener fede ad entrambi gli impegni.
In Francia vi furono massoni sia tra i monarchici che tra i repubblicani ( si pensi alla bella figura del monarchico costituzionale Condorcet) e furono numerosi i massoni che salirono sulla ghigliottina ( alcuni anche illustri).
La massoneria americana , per quanto ne so, si tenne fuori ( del resto così prescrivevano i suoi antichi doveri) dallo schierarsi in un senso o nell'altro, semmai ci furono singoli massoni che si schierarono , ma non inquanto tali.

edera rossa (POL)
06-01-09, 03:49
Il turpiloquio tra fautori di umanità mazziniana non dovrebbe esserci.



Differenze

Sono diversi i risvolti delle rivoluzioni, in Francia decisamente negativi. A parte le decapitazioni che mi appaiono comprensibili per il periodo storico, l'autoritarismo di Robespierre è una diretta conseguenza del movimento giacobino prevalente in Francia, mentre gli Stati Uniti d'America come del resto tutti i paesi anglosassoni sono tradizionalmente liberali e democratici. La democrazia e la libertà sono colonne portanti della cultura americana. In pratica si tratta di una differenza ideologica tra le due realtà nazionali...

Infatti tuttoggi l'America e la Gran Bretagna sono paesi liberali mentre la Francia è statalista e laicista, proprio perché conserva i caratteri giacobini...
Credo che nel parlare di giacobinismo si debba tener conto della realtà francese anterivoluzione; i giacobini trovarono uno stato accentrato già da secoli e di altro che di questo poterono avvalersi. Non dimentichiamo che fu proprio Robespierre in uno dei suoi primi discorsi ad indicare i rischi di una trasformazione dei soldati del popolo in soldati del re in caso di una guerra; in realtà poi divennero soldati della rivoluzione. Che poi la Francia sia più laicista degli Stati Uniti o dell'Inghilterra; beh , se pensiamo che in alcuni stati USA le singole chiese non possono far avere agli studenti delle scuole pubbliche neanche gli avvisi degli incontri nelle parrocchie , beh saranno anche meno laici della Francia , ma certamente più civilmente laici dell'Italia.
Ma credo che sul giacobinismo ( ed in modo particolare suo miti giacobini della storia italiana) alcune ulteriori considerazioni andrebbero fatte. Non vorrei che il fatto che per i giacobini la principale virtù del politico fosse l'incorrutibilità desti ancora in tanti politici da strappazzo di casa nostra un innato senso di avversione, celato magari dal rifiuto di alcune loro violenze, che nel caso del giacobinismo italiano furono certamente molto poche e per lo più necessarie. Ma la storia della democrazia italiana , dalla Repubblica Partenopea a quella Romana, dalle lotte alla reazione umbertina all'antifascismo ed alla Resistenza, fu storia di perseguitati e non di persecutori. La democrazia italiana non vide mai Vandee da reprimere ma, mazzinianamente, popoli da riscattare.

edera rossa (POL)
06-01-09, 04:05
REPORTAJE
El gran fresco de la unidad italiana
'Las confesiones de un italiano', publicada por primera vez en España, mezcla historia y picaresca - Claudio Magris: "Está entre las mejores novelas del XIX"


Como aquel astronauta que se subió a la estación espacial internacional siendo ciudadano soviético y, tras el derrumbe del bloque comunista, se bajó de ella siendo ruso, Carlo Altoviti nació veneciano en 1775 y, 80 años más tarde, esperaba morir italiano "cuando así lo decida esa Providencia que gobierna misteriosamente el mundo". Altoviti, Carlino para los más próximos, expresó ese deseo en el momento de ponerse, "viejo y no literato", a redactar las memorias de una vida que corrió paralela a la unificación de Italia.


http://www.elpais.com/recorte/20090103elpepicul_2/LCO340/Ies/Representacion_entradad_Giuseppe_Garibaldi_Palermo .jpg (http://www.elpais.com/recorte/20090103elpepicul_2/LCO340/Ies/Representacion_entradad_Giuseppe_Garibaldi_Palermo .jpg)


Un poco romántico y otro poco resabiado, más listo por pícaro que por octogenario y "más dotado de defectos que de virtudes", Carlino no es otro que el narrador de Las confesiones de un italiano, un novelón publicado en Italia en 1867 y que la editorial Acantilado acaba de editar, por primera vez en España, en traducción de José Ramón Monreal.


Su autor, Ippolito Nievo, no llegó a ver salir de las prensas el millar de páginas de su libro. Nacido en Padua en 1831, Nievo había escrito ya una novela satírica, un par de comedias en verso y un puñado de relatos "campesinos" cuando, con 27 años, dedicó nueve meses a escribir su obra cumbre. Tres años más tarde, el naufragio del vapor Ercole, en el que viajaba desde Sicilia a Nápoles, se lo llevó al fondo del mar. Fue en 1861, el año en que Víctor Manuel II de Saboya se proclamó rey de Italia. Precisamente, con el escritor, el mar Tirreno se tragó los documentos de la expedición de los mil camisas rojas con los que Giuseppe Garibaldi había desembarcado en Sicilia. Nievo, cautivado por el discurso patriótico de Mazzini y del propio Garibaldi, había seguido a éste en su avance unificador.


Al contrario que el protagonista de La Cartuja de Parma, que asiste a la batalla de Waterloo sin tener conciencia de lo que está viviendo, Nievo tuvo siempre claro que asistía a la construcción de la historia de un país -"una expresión geográfica", según Metternich, un clásico de la diplomacia moderna- atrapado entre las fracasadas pretensiones napoleónicas, la dominación austriaca, el decadente reino de las Dos Sicilias y la alargada sombra del Papa.


En muchos sentidos, el novelista vertió en Las confesiones de un italiano la historia de sus propias correrías. Y las trufó con las que le inventó a Carlino, un hijo ilegítimo acogido por una tía de su madre en el castillo véneto de Fratta, un lugar en el que iba a asistir "al último y ridículo acto del gran drama del feudalismo" antes de arrastrarse por palacios y cárceles para caer casi siempre de pie.


"Para mí", afirma el narrador, "que no he visto nunca el Coloso de Rodas ni las pirámides de Egipto, la cocina de Fratta y su hogar son los monumentos más solemnes que han existido nunca sobre la faz de la tierra. La catedral Duomo de Milán y la basílica de San Pedro de Roma no son poca cosa, pero no tienen, ni de lejos, un sello igual de grandeza y de solidez".


En aquella cocina descubrió a su inolvidable prima Pisana, con la que iniciaría un amor intermitente que sólo se apagará con la muerte. Pisana es "quizá la más atractiva figura femenina de la literatura italiana y ciertamente una de las más hermosas de toda la historia de la literatura", afirma Claudio Magris en un artículo sobre Las confesiones de un italiano que Acantilado ha rescatado como presentación de la edición española del libro.


Desde Trieste, en declaraciones a este periódico, el autor de Utopía y desencanto subraya la importancia de la novela de Nievo y lamenta que su fama no esté a la altura de su calidad, "porque cada obra maestra no suficientemente conocida es una ocasión perdida de entender mejor el mundo, la vida y la historia". En el caso de Las confesiones de un italiano, Magris atribuye el desconocimiento al provincianismo que asaltó a la cultura italiana a finales del siglo XIX tras siglos de florecimiento: "A Nievo se le consideraba a priori como un autor sólo o casi sólo italiano, importante para il Risorgimento, pero no para el mundo". Grave error, "porque puede codearse con los más grandes novelistas rusos o franceses del siglo XIX".


Cuando se le pregunta si leyendo la novela se puede entender la unificación italiana, Magris es rotundo: "Sí. Alcanza el fin por excelencia de la novela como género: reunir a través de irrepetibles historias individuales un gran proceso histórico colectivo". Como una trama de arroyos que confluyen en un gran río. Y lo hace sin convertir su relato en una historia de buenos y malos: "Nievo está a favor de la revolución y el progreso, pero no esconde la violencia de la revolución".


tratto da http://www.elpais.com/articulo/cultura/gran/fresco/unidad/italiana/elpepucul/20090103elpepicul_3/Tes

le parole della Pisana morente rimangono una delle più belle pagine della nostra letteratura civile, l'idea che una donna si innamori di un uomo per il coraggio col quale questo sa tener fede ai suoi ideali può essere ancora uno sprone per tanti giovini. Assieme al Lorenzo Benoni, le Confessioni sono state una delle grandi opere "civili" della mia formazione giovanile.

edera rossa (POL)
10-01-09, 02:15
Robespierre, quando era ancora lucido di mente, è stato un politico di immensa levatura. Putroppo dei suoi scritti e dei suoi discorsi poco ci è arrivato perchè tutto è stato distrutto. Ma qualcosa si trova. In partcolare il discorso con il quale Robespierre chiede la condanna a morte di Luigi Capeto. A mio giudizio è splendido, non solo sotto il profilo della Retorica ma, significativamente, nella costruzione dialettica della richiesta di condanna. Putroppo Robespierre aveva una concezione "divina" del suo ruolo, al pari di Saint Just e sempre più si immedesimò nella figura dell'angelo sterminatore. L'errore lo commise quando fece decapitare Danton che tentò di moderarne gli eccessi. A quel punto la massoneria francese ne decretò la condanna a morte. Questo non toglie che fu un grand'uomo.
la cosa mi interessa. Mi sapresti anche dire da quale loggia ed in quale tornata ne fu decretata la condanna a morte.?
Per il resto concordo sulla figura di Robespierre

edera rossa (POL)
10-01-09, 02:27
Resta il fatto che Garibaldi era un uomo degli inglesi.Si ricorda il regalo di una bella goletta dagli inglesi quando l'Eroe stava in Costa Smeralda in ferie.. Andata perduta sugli scogli.
la goletta l'aveva accettata con riluttanza dalla sua morosa inglese la Roberts; ne aveva tratto una autentica cotta e se non fosse stato che detestava stare troppo a lungo a tavola e per di più servito da camerieri , se non fosse stato perchè si sentiva inviso ai figi di lei e temesse di essere accusato di aver messo cappello, se non fosse che in Italia vi erano troppe cose da fare, molto probabilmente avrebbe finito con lo sposarla. Ma tra Cattaneo, Mario, Rosselli ed il dottor Antonio di G. Ruffini,sembra proprio che i democratici italiani siano facili all'innamoramento per le inglesi.

roberto fantoni
12-01-09, 10:49
mi dai nome, cognome indirizzo e numero di telefono e te lo dico a voce..roberto

kid
12-01-09, 14:04
è la prima volta che sento discutere della lucidità mentale di Robespierre e non mi è mai risultato che ne difettasse, cionostante consiglierei prudenza negli apprezzamente al capo del giacobinismo da parte di esponenti del pri.

nuvolarossa
12-01-09, 14:21
è la prima volta che sento discutere della lucidità mentale di Robespierre e non mi è mai risultato che ne difettasse, cionostante consiglierei prudenza negli apprezzamente al capo del giacobinismo da parte di esponenti del pri.Il semplice fatto che Mao Tse Tung si sia vantato di aver letto, in eta' giovanile, le opere conosciute di Robespierre ... mi obbliga a dare un 4 in pagella al Re del terrore ...

kid
12-01-09, 16:00
insomma indipendentemente da mao, biisogna tenere presente il giudizio di mazzini sulla rivoluzione francese.

Lincoln (POL)
12-01-09, 16:28
D'altro canto Mazzini guardava a quella americana e alla democrazia alla quale diede vita.E forse fu l'unico tra i pensatori europei( parlo ovviamente di quelli legati alle correnti democratiche e repubblicane dell'epoca)a dare una valutazione minimamente articolata e non del tutto superficiale sulla guerra civile americana riuscendo anche a cogliere quelle che ad un certo punto ritenne potessero essere considerate alcune ragioni dei sudisti.E lo fece a guerra in corso e nel pieno della campagna mitologica sulla liberazione degli schiavi sapientemente orchestrata dalla diplomazia statutinense e che trovò orecchie molto attente e ricettive specie in Europa.Comprese quelle di Mazzini naturalmente.Ma il fatto che Mazzini riuscì sia pure parzialmente ad andare sotto la superficie delle cose per cogliere sia pure solo in parte la vera sostanza che era in ballo in quel conflitto,testimonia una capacità non comune in un periodo nel quale l'ignoranza in Europa di quel che accadeva in America era assai diffusa.Oddio,non che le cose da questo punto di vista siano migliorate molto da allora...
:i