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Visualizza Versione Completa : L'amor di Patria secondo M. Tullio Cicerone ed altri



pigna2
23-06-02, 22:07
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Sullo stesso argomento visita anche...:

http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=18674&highlight=patria
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Vi propongo questo testo , che può essere o meno condiviso ma credo sia comununque nolto interessante

Quote



In uno stupendo passo di Marco Tullio Cicerone (106-43 a. C.) si definisce la pietà come "[...] l’esatto compimento dei nostri doveri verso i parenti e i benefattori della patria" (1). Nel pensiero del filosofo di Arpino, che qualcuno ha giustamente definito "padre dell’umanesimo occidentale" (2), la pietà è una parte o forma della giustizia, per il carattere di obbligo che possiede, come la "religione", onore e ringraziamento dovuto a Dio, la "gratitudine", riconoscenza e compenso dovuto a chi ci ha fatto del bene, la "vendetta", come proporzionata retribuzione del colpevole, la "riverenza", come onore e deferenza verso coloro che sono costituiti in autorità, la "verità", come rispetto del reale e lealtà nel rapportarsi agli altri.

San Tommaso d’Aquino (1225 ca.-1274), trattando delle virtù riconducibili alla giustizia e riconnettendosi a Cicerone come a fonte filosofica determinante, ritiene che la pietà, avente per oggetto comportamenti doverosi di onore e di rispetto, nonché di servizio e di sacrificio, abbia per destinatari, dopo Dio, i genitori e la patria "[...] dai quali e nella quale siamo nati e siamo stati allevati", "[...] a quibus et in qua et nati et nutriti sumus" (3).

La patria possiede invero per la filosofia classica e cristiana un’importanza cruciale, sì da costituire un tema essenziale per la dottrina politica e sociale della Chiesa. La scomparsa di questa categoria morale è forse — come nota acutamente padre Lorenzo Perotto O.P. — meno casuale di quanto si possa comunemente pensare: infatti, mentre i teologi hanno preso a trascurarla o a disprezzarla come un residuo medievale superato, le ideologie politiche moderne l’hanno puntualmente combattuta, per la valenza religiosa di cui essa è pregna e per la ricchezza sociale di cui è veicolo insostituibile (4).



2. Il pensiero moderno ha utilizzato il socialismo marxista per demolire l’amore di patria: se la patria, così ragiona il socialismo con sottile sofisma, è il retaggio ereditato dagli antenati attraverso la tradizione, allora il lavoratore dipendente, che non possiede nulla di suo, non trae alcun vantaggio dalla patria. Essa va respinta come vuoto sentimentalismo, che le classi dominanti sfruttano per meglio asservire i popoli e di cui i proletari debbono sbarazzarsi per il progresso del mondo.

I nazionalismi, sia nella versione nata dalla Rivoluzione francese, sia in quella rivisitata all’inizio del secolo XX con l’intento di combattere il socialismo, hanno sostituito al concetto di patria quello di nazione, facendo di quest’ultimo lo strumento per esportare nel mondo la rivoluzione della borghesia imprenditrice, ovvero per affermare imperialisticamente la supremazia di una particolare struttura statuale sulle altre. Entrambe le forme di nazionalismo, sia quello di matrice democraticistica, che quello di matrice liberal-autoritaristica, si caratterizzano per l’odio contro le piccole patrie, che costituiscono, invece, l’humus indispensabile su cui le patrie grandi fioriscono. Come, riguardo alla proprietà, sulla diffusione del diritto in tutti gli strati sociali cresce la cultura della proprietà come bene comune di tutto il popolo, così, riguardo alla patria, sul rispetto delle comunità minori cresce la cultura della patria come retaggio comune del popolo unito.



3. Dopo la tragedia delle due guerre mondiali e il crollo degli Stati istituzionalmente basati sul comunismo, il fondamento unificatore della società è stato dapprima individuato nel concetto di Stato — magari enfaticamente denominato come "di diritto" — e poi in quello della sovranità della legge, quasi che l’uomo nascesse in nessun luogo, privo di padre e di madre, al di fuori di una qualsiasi famiglia, e come se potesse vivere senza attingere dalle radici del proprio passato il nutrimento necessario per la crescita spirituale e culturale.

In realtà, l’odio contro la tradizione e la negazione della giustizia, da cui scaturisce l’amore per la patria, sono il frutto di una volontà pervicace, che opera plurisecolarmente nella storia, in guise diverse, ma ultimamente convergenti, con l’obiettivo di estinguere il fondamento sacrale della convivenza civile, che sta alla base del vero patriottismo.

Ricorda infatti san Tommaso che i destinatari della pietà, parte della giustizia, sono due, distinti tra loro: i genitori, con i parenti, da un canto, e, dall’altro, la patria, comprensiva dei concittadini e dei promotori della convivenza civico-politica, che ben possono essere definiti come gli "amici della patria" (5).

Il fondamento etico dell’amor di patria — spiega padre Perotto — "[...] è la nozione globale di paternità rapportata a Dio stesso" (5): la paternità si riferisce in modo eminente alla creazione di Dio, ma include altresì la generazione, e si prolunga tanto nella crescita fisica, pedagogica e intellettuale, quanto nella autorealizzazione della vita lavorativa.

Anche i genitori, pertanto, come gli antenati e la patria partecipano, in modo derivato, alla paternità di Dio: se la pietà allora è dovuta in modo eminente a Dio, "[...] perchè infinitamente grande, e causa prima per noi dell’essere e dell’agire", come dice san Tommaso (7), essa spetta anche ai genitori, ai parenti e alla patria, perché, per volontà di Dio inscritti nell’ordine della natura creata, pure essi partecipano al compito divino di generare, venendo al secondo posto come principio del nostro essere.



4. L’amore per la patria non è, pertanto, un sentimentalismo emotivo, attributo evanescente di qualche sensibilità particolare, né creazione arbitraria di una morale civile a beneficio di coloro che governano lo Stato, bensì "[...] una realtà naturale, oggettivamente fondata sulla concretezza innegabile di ciò che è e significa essere generati alla vita e cresciuti in una determinata terra, con il suo clima, il suo humus di usi, cibi, cultura" (8).

Quale sia il girovagare di ciascuno nel mondo o il luogo nel quale sia esercitata l’attività lavorativa, il richiamo della patria costituisce appello concreto alla sfera della vita etica, che impone, per ragione stretta di giustizia, contegni di rispetto e di devozione, di servizio e di sacrificio, fino all’estremo della donazione dei beni più preziosi, come la libertà e la vita.

L’amore per la patria si rapporta strettamente all’amore per i genitori e i parenti. Vero che pietà filiale e pietà per la patria sono forme etiche con oggetto distinto: ma non vi è patria senza padre, e non vi è padre senza patria. Etimologicamente patria è da pater: essa indica il retaggio e l’eredità familiare; il capitale di buone azioni che si sono costituite in santità, eroismo e cultura, veicolato da una generazione all’altra grazie alla tradizione, con l’apporto indispensabile che ciascun padre reca perché la catena non si interrompa e le radici non siano tagliate.



5. Nella nostra epoca, insieme materialistica e spiritualistica, si è persa l’idea dell’incarnazione, secondo cui, come l’uomo è composto di anima e di corpo, così l’eredità spirituale si trasmette attraverso il vincolo del sangue, in un legame che unisce, nella concretezza della famiglia presente, il passato storico degli antenati con la proiezione futura della famiglia formata dai figli dei figli.

Nella patria sono congiunte indissolubilmente le categorie del tempo e dello spazio, in un presagio di permanenza e di stabilità, che costituisce quasi figura della vita al di là del tempo, non a caso contemplata da san Tommaso come "Patria della gloria" (9). Nella benevolenza verso i compatrioti s’intravede l’orizzonte della patria proiettata verso il destino eterno. La distinzione tra patria terrena e Patria eterna non è separazione, né indifferenza dell’una rispetto all’altra: la Patria eterna consente di meglio comprendere il significato della patria terrena, il suo valore transeunte e non definitivo, la rilevanza della convivenza politica per la salvezza individuale, e, all’inverso, l’importanza decisiva della virtù dei singoli per la migliore costituzione politica, nonché la legittimità e la bellezza delle altre patrie, in un’armonia che soltanto il riferimento a Dio rende meno labile e tormentata.

Come la patria è il legame tra le generazioni nel tempo, così essa è il legame tra gli uomini che vivono nello stesso luogo. La nascita è un evento che avviene in un tempo e in luogo determinati: stretta è la relazione che unisce i genitori alla patria, "[...] dai quali e nella quale siamo nati e siamo stati allevati" (10). Il concetto della procreazione è da san Tommaso straordinariamente dilatato, "[...] per cui l’evento della nascita, imputabile esclusivamente ai genitori e determinabile a un preciso momento temporale, viene visto nella continuità della vita che cresce e si sviluppa: con l’educazione e l’autorealizzazione personale in un delimitato ambito territoriale, psicologico e sociale" (11).

Ai consanguinei, come cerchia di coloro che appartengono allo stesso ceppo familiare, corrispondono "gli amici della patria" (12), come gruppo di coloro che si rendono meritevoli, per le buone azioni compiute, verso l’insieme delle famiglie che vivono su un medesimo territorio. L’individuo singolo, situato in modo preciso nel tempo grazie alla continuità familiare, è così ancorato al territorio, mediante un legame che ne spiega le origini, ne orienta le potenzialità e ne moltiplica le energie. Il radicamento nel territorio, il ritorno alle radici, evocati da tanta letteratura moderna, trovano nella dottrina classica e cristiana sulla virtù della pietà il loro pieno compimento. L’uomo non nasce e non vive da solo: senza la madre che lo raccoglie dalla nuda terra, lo nutre e lo protegge per lungo tempo; senza i genitori che protraggono la generazione con l’educazione dell’esempio e la tradizione della legge naturale indispensabile per vivere in modo degno dell’uomo, il piccolo di uomo presto diventerebbe selvaggio e la società rischierebbe di dissolversi.



6. L’amor di patria, allo stesso modo che l’amor filiale, possiede un carattere di naturale sacralità. Cicerone, vertice dell’umanesimo pre-cristiano, aveva ricordato che la pietà, già grande verso i parenti, "raggiunge il massimo verso la patria" (13). La patria, invero, continua nel tempo e rende possibile nello spazio il principio di essere, partecipato agli uomini dalla paternità fontale di Dio; essa protegge come "governo" l’humus in cui si forma ciascuna esistenza concreta e garantisce le condizioni in cui si attua, mercé soprattutto il lavoro, l’autorealizzazione creatrice di ogni singolo uomo.

La religiosità di cui è impregnata la pietà verso la patria non appartiene specificamente al cristianesimo o ad alcuna religione particolare; essa è propria dell’uomo naturalmente religioso, che si riconosce bisognoso, al di là e oltre le radici terrene, di ritrovare la Prima Radice: Dio Creatore, Redentore e termine ultimo del suo percorso terreno.

Per questo giustamente Jean Madiran ha definito Charles Maurras (1868-1952), che fu pensatore politico non cattolico, ma strenuo sostenitore del patriottismo terreno, "pius Maurras", per aver insegnato, in un’epoca particolarmente carente di sensibilità religiosa, che sostanza spirituale di qualsiasi giustizia sociale è la virtù della pietà verso la patria (14).

Che l’uomo nasca debitore, e non padrone di ogni cosa, è verità naturale che l’antichità classica ci ha trasmesso e che soltanto le ideologie moderne hanno rinnegato, proclamando il culto dell’uomo assoluto, chiuso in se stesso, cui tutto è dovuto, ma che nessun dovere astringe. Ai genitori, agli antenati, alla patria, che ci hanno trasmesso la vita fisica e insegnato la legge naturale, dobbiamo la pietà che si deve al principio, seppur derivato e non primario, del nostro essere e del nostro agire: fondamento solido e insostituibile di ogni edificio sociale.



7. Il ritorno all’amore di patria, dopo una così lunga eclisse, costituisce la miglior medicina contro ogni forma di laicismo ingiustificato e contro ogni forma di vuoto legalismo, che vogliono vanamente fondare la convivenza civile sul rifiuto di Dio o sull’indifferenza religiosa, pretendendo al contempo dal cittadino una moralità pubblica che è impossibile mantenere senza la grazia che viene dall’alto e l’alimento concreto che fluisce dalle radici di una tradizione storica ricevuta e vissuta con gratitudine verso gli antenati che hanno contribuito a formarla.

La fine delle ideologie nella tragedia delle guerre mondiali e nella desolazione dei materialismi contemporanei, di matrice tanto socialista che edonista, costituisce il segno che è possibile e giusto riproporre l’amor di patria come fondamento di un rinnovato ordine politico e sociale.

nuvolarossa
23-06-02, 23:38
http://www.diritto.it/images/cicerone.GIF

nuvolarossa
19-08-02, 10:46
IL DOVERE COME AZIONE

di Guglielmo Ferrero

Nel 1821 incomincia veramente il moto nazionale dell'Italia
nuova. Il principe di Carignano fra i suoi primi tentativi di
stringer lega con la rivoluzione e con le sue dottrine: tentativi
non felici, ma dai quali prende le mosse quella politica del ra-
mo cadetto di Casa Savoia, che condurrà Vittorio Emanuele fi-
no alla Breccia di Porta Pia. Giuseppe Mazzini intravede la
missione ideale, che sarà il compito della sua vita e che prepa-
rerà gli spiriti delle classi alte e colte alla politica dei Savoia.
Di questi due elementi, che hanno concorso a fare l’Italia
nuova, l'elemento politico è stato sinora più fortunato e poten-
te dell'ideale. L’Italia moderna, quale è, è opera della politica di
Casa Savoia e dei partiti che l'hanno aiutata, più che della dot-
trina di Giuseppe Mazzini. Di questa s'è diffusa maggiormente
la parte che poteva servire ad esaltare l' orgoglio della nazione:
la parte che, accanto ai loro diritti, avrebbe ricordato agli italia-
ni i loro doveri, è rimasta chiusa in tante pagine ammirabili ma
poco lette, e nella pia tradizione di un gruppo di discepoli fe-
deli. Ma questa è forse la ragione profonda di molti nostri guai
presenti. Con i soli accorgimenti politici non si fa ne uno stato
ne una nazione, che siano vitali; occorre anche qualche princi-
pio morale, e di natura più alta che non l'esaltazione dell'orgo-
glio. Nessuno tra i nostri pensatori e scrittori del secolo XIX ha
dimostrato con maggiore ardore e vigore questa verità, che
Giuseppe Mazzini; e nessuna tra le molte dottrine politiche che
il secolo XIX ha immaginate, è stata più luminosamente confer-
mata dai fatti e dagli eventi.
Guardiamoci intorno... Quale è il mal sottile, che consuma
l'Europa? Gli stati non si decompongono forse, come rosi dalla
lebbra, perche manca loro un principio ideale, forte e vivo, che
li tenga uniti? Ricordiamoci dunque Mazzini e i giorni fortuno-
si in cui gli balenò l'idea di infondere nel vecchio corpo dell’Ita-
lia un'anima nuova. Per quanto egli fosse grande, l'opera tra-
scendeva le forze di un uomo solo. Egli non pote’ che incomin-
ciarla in mezzo a terribili difficoltà. la sua vita fu tutta una cro-
ce. Ricordandolo e studiandolo, le generazioni compiranno
quello che egli incominciò, con tanto genio e tanto ardore.

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NUVOLAROSSA website (http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA/index-12.html)

nuvolarossa
07-12-03, 13:24
Il «made in Italy» che ci onora

di ENZO BIAGI

A me il presepe piace perché suscita in ognuno di noi pensieri e ricordi. L’asinello è sempre di grande attualità, e inventa per Romolo un fratello che battezza Remolo. Il bue mi insospettisce un po’: non sarà già gonfio di estrogeni? E non parliamo della mangiatoia, che mi pare sia sempre assediata da gente in attesa di piazzarsi. Un ministro di questa Repubblica, Umberto Bossi, chiama gli emigrati di colore Bingo Bongo, con una regressione mentale che lo riporta all’infanzia. Un uomo di colore non è Bingo Bongo, io non sono un viso pallido ma un cardiopatico, un uomo è tale qualunque sia la sua pelle.
Ha ragione il presidente Ciampi (che fortuna che c’è lui al Quirinale: mi auguro tenga un diario), il «Made in Italy» esiste, e lo dobbiamo in gran parte alla moda e al cinema. Se uno parla di Armani o di Missoni parla anche del nostro Paese; hanno creato uno stile che non è esposto solo nelle vetrine dei negozi ma in quelle dei musei.
Quanto dobbiamo agli stilisti, al cinema e anche agli scrittori: il mio amico, dico amico, Giovanni Guareschi vendette un milione di copie delle storie di don Camillo in Francia. Aveva il suo carattere, ma era un galantuomo che per essere fedele a se stesso andò anche in carcere. Una volta gli chiesi, io repubblicano, perché era monarchico: «Perché sono figlio di una maestra», mi rispose.
C’è, fra le altre, una cosa che mi tiene lontano dal ministro separatista Bossi: al maestro di Vigevano preferisco il maestro Sciascia, siciliano, e penso a quanta intelligenza riceviamo dal Sud. Io mi sento a casa mia a Messina e a Reggio Calabria, Corrado Alvaro e Vitaliano Brancati sono due miei compatrioti che amo e che ci fanno onore. Al sindaco di Chicago che mi disse: «Questa è stata la città di Al Capone», replicai facilmente: «Scusi, è vero, ma anche di Enrico Fermi, senza il quale sareste ancora impegnati a fare la guerra». È il mio nazionalismo.

nuvolarossa
28-07-04, 10:33
ANNIVERSARI
Cent’anni fa il re firmò il decreto per la pubblicazione dell’opera completa del cospiratore repubblicano

Mazzini nel Pantheon. Dell’Italia monarchica

Mazzini divenne mai monarchico? Naturalmente no, almeno da vivo. Accadde però che, esattamente cent’anni fa, nel 1904, un decreto reale deliberasse la pubblicazione a spese dello Stato delle opere complete di Mazzini, morto da oltre un trentennio, «come solenne attestazione di riverenza e gratitudine dell'Italia risorta», ciò che lo faceva entrare a pieno titolo nel Pantheon dell'Italia monarchica. Si chiudeva così il lungo periodo in cui la classe dirigente del Regno aveva rifiutato di includere Mazzini tra i padri della patria, in considerazione del fatto, peraltro incontestabile, che l'Italia da lui sognata e per la quale aveva combattuto portava inequivocabili insegne repubblicane.
In effetti, per anni Mazzini venne a malapena nominato nei libri di scuola; a lungo - mentre il Paese si riempiva di monumenti raffiguranti Vittorio Emanuele e Garibaldi - l'unico monumento dedicato a Mazzini rimase quello eretto nella sua Genova. Anno dopo anno, a celebrare il 10 marzo, giorno in cui ne era avvenuta la morte, erano soltanto i pochi superstiti adepti del mazzinianesimo.
Nel 1884 il Padiglione storico dell’Esposizione di Torino assegnava a Mazzini uno spazio marginale. Ma si trattava, in quello e in tanti altri casi, di una marginalizzazione inevitabile, perfino naturale in fondo, per chi era stato tra i massimi leader repubblicani europei e fino ai suoi ultimi giorni aveva maledetto la «falsa» Italia nata nel 1861 sotto il segno della monarchia, semplice «scheletro» o «fantasma» (così affermava Mazzini) di una vera nazione italiana che come tale ancora non esisteva.
Proprio per questo, il fatto che nel 1904 il re apponesse la propria firma su un decreto che stabiliva la pubblicazione, a spese dello Stato, dell’intera opera di Mazzini veniva a sancire appunto la piena inclusione del Genovese tra i padri del Regno d'Italia, come ricorda il libro che un giovane studioso, Michele Finelli, ha dedicato alle vicende che portarono all'Edizione nazionale degli scritti ( Il monumento di carta , Pazzini, pp.135, 15). A favorire una tale inclusione operava certamente il nuovo clima politico di inizio secolo, caratterizzato dalle aperture di Giolitti nei confronti della sinistra moderata. Ma essa fu anche il risultato di una strategia deliberatamente perseguita dal sindaco di Roma Ernesto Nathan, che aveva assegnato a se stesso il ruolo di custode della memoria di Mazzini, sulla scia di quanto aveva già fatto per anni la madre Sara.
Nathan, che a lungo si vociferò fosse figlio naturale di Mazzini, si batteva da tempo perché quest'ultimo fosse incluso nel Pantheon dell'Italia liberale. E proprio un anno prima che venisse approvata l'Edizione nazionale, aveva condotto in porto, ci ricorda Finelli, un’altra operazione non meno importante dal suo punto di vista: era riuscito a far sì che una delle opere più famose di Mazzini, i Doveri dell'uomo , fosse adottata come testo di educazione civica nelle scuole elementari e medie del Regno. La decisione aveva portato a molte polemiche; se i socialisti giudicarono del tutto superato il pensiero politico-sociale di Mazzini, i repubblicani ortodossi trovarono molto da ridire sul prezzo che Nathan aveva dovuto pagare per ottenere quel risultato: niente meno che la soppressione di certi passaggi decisamente antimonarchici. Da parte cattolica si sostenne invece che la lettura del testo avrebbe «avvelenato» la gioventù e trasformato le scuole in «uffici di arruolamento per le logge massoniche».
Effettivamente, al di là degli eccessi polemici, era innegabile che tutta l'operazione volta ad includere Mazzini tra i padri della patria era nata o era stata sostenuta nell’ambito della massoneria (ai cui vertici apparteneva lo stesso Nathan). E tuttavia la ragione di fondo che aveva portato a quella inclusione, che si trattasse di trasformare i Doveri dell'uomo in testo scolastico o di decretare la pubblicazione di tutte le opere di Mazzini, non era riducibile a una trama massonica, ma va ricondotta a un problema che lo Stato italiano si portava appresso fin dalla sua costituzione.
Va ricondotta cioè al fatto che lo Stato nazionale, per una serie di circostanze storiche, era nato senza il sostegno, e anzi con l'aperta opposizione, di coloro che rappresentavano la religione professata dalla stragrande maggioranza dei suoi abitanti. Proprio questo deficit aveva indotto una parte almeno della classe dirigente liberale a volgersi a Mazzini - un Mazzini il cui pensiero era stato sempre più privato delle sue implicazioni rivoluzionarie-repubblicane - per farne una specie di «santo» laico del nuovo Stato, il protagonista di una fede civile indipendente dalla religione professata dagli italiani e anzi ad essa apertamente ostile. Della religione cattolica Mazzini e i suoi seguaci erano stati infatti avversari tenacissimi, fino a sognare (nelle parole di uno di loro) di «spazzar via la polvere cattolica» da Roma, cacciandone addirittura il Papa. Agli occhi del mazziniano e anticlericale Nathan, il tentativo di porre Mazzini al centro di una religione della patria totalmente laica, con forti venature anticattoliche, era appunto così importante da giustificare che, a tal fine, si mettesse la sordina perfino all'idea di repubblica.

Giovanni Belardelli
http://www.fmboschetto.it/musica/Ryu Il Ragazzo Delle Caverne.mid

nuvolarossa
02-03-05, 14:00
Mazzini e la Nazione

Tutte le grandi imprese nazionali si iniziano da uomini ignoti edi popolo, senza potenza fuorche’ di fede e di volonta’ che non guarda a tempo ne’ ad ostacoli

Evergreen
02-03-05, 18:09
Ognuno elegge per propria Patria il luogo dove si sente a suo agio, libero e in comunione con tutti gli altri cittadini.
Voi come la pensate?
Grazie.

kid
02-03-05, 18:14
ho sempre preferito Catilina a Cicerone.

Evergreen
03-03-05, 18:09
non saprei scegliere tra Catilina e Cicerone.
Non ho fatto le scuole alte e non saprei che opere hanno compiuto.
Cicerone mi fa venire in mente il mondo museale e allora, magari solo per quello, perche' amante del bello e della conoscenza che si lega ai musei, pendo per quest'ultrimo, cosi', solo a fiducia.
Grazie.

Maria Vittoria
17-11-05, 12:34
Sto organizzando, col mio Circolo Marcofilo in collaborazione con L'Istituto Nazionale Guardie d'Onore alle Reali Tombe del Pantheon, e il Museo Civico del Risorgimento di Bologna, una Tavola Rotonda sul tema "LA BANDIERA ITALIANA".

Tra i Relatori stiamo invitando Angelo Varni, Fiorenza Tarozzi e Uberto Balzani.
L'ultima persona nominata mi dicono essere d'area repubblicana.

Qualcuno lo conosce?

Grazie, comunque, per la cortese attenzione.

nuvolarossa
17-11-05, 13:21
.... MariaVittoria C ... Uberto Balzani per me e' un'emerito sconosciuto ... ti sarai sbagliata a scrivere ? ... se invece e' Roberto Balzani .. allora sei in mani buone ...
Il Prof. Roberto Balzani e' Presidente Nazionale della Associazione Mazziniana Italiana, eletto nell'ultimo congresso dell'A.M.I. ... il XXIII° ... svoltosi ad Ancona 20-21-22 giugno 2003 ...

Maria Vittoria
17-11-05, 13:48
Originally posted by nuvolarossa
.... MariaVittoria C ... Uberto Balzani per me e' un'emerito sconosciuto ... ti sarai sbagliata a scrivere ? ... se invece e' Roberto Balzani .. allora sei in mani buone ...
Il Prof. Roberto Balzani e' Presidente Nazionale della Associazione Mazziniana Italiana, eletto nell'ultimo congresso dell'A.M.I. ... il XXIII° ... svoltosi ad Ancona 20-21-22 giugno 2003 ...

Il nome mi è stato proposto a voce, questa mattina, da Otello Sangiorgi, responsabile organizzativo del Museo del Risorgimento di Bologna: può darsi si sia confuso, oppure che io abbia capito male.
Da quanto mi ha detto, e da quanto mi scrivi, si tratta di Roberto Balzani.

Grazie per la correzione; scriverò ulteriori notizie in proposito, se non disturbo, su questo thread.

Cordialmente

nuvolarossa
17-11-05, 14:08
... MariaVittoria C ... credo che il Prof. Roberto Balzani sia docente universitario proprio a Bologna ... comunque ci farai cosa gradita se inserirai la documentazione possibile ... quando sara' il momento ...

http://www.nuvolarossa.org/

Maria Vittoria
17-11-05, 14:21
Originally posted by nuvolarossa
... MariaVittoria C ... credo che il Prof. Roberto Balzani sia docente universitario proprio a Bologna ... comunque ci farai cosa gradita se inserirai la documentazione possibile ... quando sara' il momento ...

http://www.nuvolarossa.org/

... volentieri.

Maria Vittoria
17-11-05, 17:35
Originally posted by Evergreen
Ognuno elegge per propria Patria il luogo dove si sente a suo agio, libero e in comunione con tutti gli altri cittadini.
Voi come la pensate?
Grazie.

Quella che descrivi mi sembra la Patria ideale, quella cui tendiamo incessantemente.

Ti scrivo la mia idea di patria reale.

La Patria è il luogo dove affondano le radici paterne e materne della pianta che ci troviamo ad essere quando elaboriamo la realtà.

La Patria è l'ambiente, complesso, nel quale ci troviamo ad esistere come persone in continua formazione.

Ognuno di noi resta in contatto per tutta la vita con l'humus fertile della sua Patria: eppure, è nel tentativo di distaccarsene per criticarla e cercare di migliorarla, che ognuno di noi può sperare di diventare veramente un essere umano !

kid
17-11-05, 17:51
che non lo diventano?!?

Maria Vittoria
17-11-05, 18:10
Originally posted by calvin
che non lo diventano?!?

... spesso restano alberi genealogici.

kid
17-11-05, 18:21
mica mi sarai un po' cinica?

Maria Vittoria
17-11-05, 18:44
Originally posted by calvin
mica mi sarai un po' cinica?

non credo, perchè?

kid
17-11-05, 18:51
bene i tuoi sentimenti patriottici e mi sono cari. Ma non ho mai pensato che chi non li prova non diventa un essere umano. Un essere umano è anche chi non ha sentimenti patriotici e ahimè è un essere umano anche se si comporta come una bestia.
Se tu invece in questo caso riconosci l'albero genealogico e non l'individuo e visto che l'umanità che ti circonda è composta di individui, tu conseguentemente dovresti tenderli ad escludere. Questo presuppone cinismo.

Maria Vittoria
17-11-05, 19:18
Originally posted by calvin
bene i tuoi sentimenti patriottici e mi sono cari. Ma non ho mai pensato che chi non li prova non diventa un essere umano. Un essere umano è anche chi non ha sentimenti patriotici e ahimè è un essere umano anche se si comporta come una bestia.
Se tu invece in questo caso riconosci l'albero genealogico e non l'individuo e visto che l'umanità che ti circonda è composta di individui, tu conseguentemente dovresti tenderli ad escludere. Questo presuppone cinismo.

Cerco di capire, però ho provato diverse volte a leggerti e al quarto passaggio mi perdo...

I miei sentimenti patriottici sono radicati, e forse per questo ti sono cari...però sono anche pieni di contraddizioni, perchè come donna non riesco a darmi ragione di tutta la storia scritta in passato.

Certo: chi non prova sentimenti verso la patria è un essere umano, e spesso mi trovo a invidiare un modo meno sofferto del mio di ragionare.

Io non sono individuo, e non vivo in un mondo popolato da individui: perchè, se così fosse, saremmo più liberi di quanto ci troviamo ad essere.

Ho studiato tanto gli alberi genealogici dal ritenerli superati: eppure, il mio amore verso la patria mi costringe a rendere loro onore, sia guardando il passato, sia per il futuro !

Quello che ti sembra cinismo, è forse solo una vena umoristica che cerco di sviluppare, per risolvere le contraddizioni in un sorriso.

kid
17-11-05, 19:41
non so com'è che m'ha colpito questa tua affermazione a cui ho inviato un post scherzoso, ma trovo singolare che mio ribadisci il punto che pure mi dice che non ti è chiaro. Ti è chiarissimo: neghi che il mondo sia popolato da individui e addirittura mi dici che tu non sei individuo. E che sei allora? Un individuo è un essere qui ora con precise caratteristiche. Ed ovviamente ha molte libertà. Incluse quelle discutibili di distaccarsi dalla sua patria, dalle sue tradizioni e dai suoi alberi genealogici. Mi fai ricordare non so più quale commedia di sartre, dove tutti i discendenti fantasma di qualche nobile rampollo depravato lo seguono tutta la giornata con aria di commiserazione e di disperazione per come egli ha disonorato la sua nobile razza guerriera in una vita indegna. Ecco un caso di un libero individuo al di fuori del suo albero genealogico e che lo nega.

ps è molto apprezzabile che sorridi, ma ahimè non basta il sorriso a rimuovere le contraddizioni.

Maria Vittoria
17-11-05, 19:50
Originally posted by calvin
non so com'è che m'ha colpito questa tua affermazione a cui ho inviato un post scherzoso, ma trovo singolare che mio ribadisci il punto che pure mi dice che non ti è chiaro. Ti è chiarissimo: neghi che il mondo sia popolato da individui e addirittura mi dici che tu non sei individuo. E che sei allora? Un individuo è un essere qui ora con precise caratteristiche. Ed ovviamente ha molte libertà. Incluse quelle discutibili di distaccarsi dalla sua patria, dalle sue tradizioni e dai suoi alberi genealogici. Mi fai ricordare non so più quale commedia di sartre, dove tutti i discendenti fantasma di qualche nobile rampollo depravato lo seguono tutta la giornata con aria di commiserazione e di disperazione per come egli ha disonorato la sua nobile razza guerriera in una vita indegna. Ecco un caso di un libero individuo al di fuori del suo albero genealogico e che lo nega.

ps è molto apprezzabile che sorridi, ma ahimè non basta il sorriso a rimuovere le contraddizioni.

Hai perfettamente ragione. Mi risulta orribile constatare gli effetti devastanti di vite indegne di persone che hanno disonorato la loro stirpe.

Non basta sorridere; un pò per volta, sto cercando anche di risolvere le contraddizioni, perchè sono stanca di sentire che sono una persona che deve solo obbedire ... vedrai che prima o poi riesco a diventare un individuo come dici tu, in un mondo di individui.

... però non me lo far sentire come un dovere, ma come una conquista !

:cool:

david777
18-11-05, 01:25
In Origine Postato da pigna2
Sullo stesso argomento visita anche...:

http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=18674&highlight=patria
---------------------------------------------------------------------------------
... Quale sia il girovagare di ciascuno nel mondo o il luogo nel quale sia esercitata l’attività lavorativa, il richiamo della patria costituisce appello concreto alla sfera della vita etica, che impone, per ragione stretta di giustizia, contegni di rispetto e di devozione, di servizio e di sacrificio, fino all’estremo della donazione dei beni più preziosi, come la libertà e la vita....

L’amore per la patria si rapporta strettamente all’amore per i genitori e i parenti. Vero che pietà filiale e pietà per la patria sono forme etiche con oggetto distinto: ma non vi è patria senza padre, e non vi è padre senza patria. Etimologicamente patria è da pater: essa indica il retaggio e l’eredità familiare; il capitale di buone azioni che si sono costituite in santità, eroismo e cultura, veicolato da una generazione all’altra grazie alla tradizione, con l’apporto indispensabile che ciascun padre reca perché la catena non si interrompa e le radici non siano tagliate...


Nella patria sono congiunte indissolubilmente le categorie del tempo e dello spazio, in un presagio di permanenza e di stabilità, che costituisce quasi figura della vita al di là del tempo, non a caso contemplata da san Tommaso come "Patria della gloria" (9). Nella benevolenza verso i compatrioti s’intravede l’orizzonte della patria proiettata verso il destino eterno. La distinzione tra patria terrena e Patria eterna non è separazione, né indifferenza dell’una rispetto all’altra: la Patria eterna consente di meglio comprendere il significato della patria terrena, il suo valore transeunte e non definitivo, la rilevanza della convivenza politica per la salvezza individuale, e, all’inverso, l’importanza decisiva della virtù dei singoli per la migliore costituzione politica, nonché la legittimità e la bellezza delle altre patrie, in un’armonia che soltanto il riferimento a Dio rende meno labile e tormentata...



7. Il ritorno all’amore di patria, dopo una così lunga eclisse, costituisce la miglior medicina contro ogni forma di laicismo ingiustificato e contro ogni forma di vuoto legalismo, che vogliono vanamente fondare la convivenza civile sul rifiuto di Dio o sull’indifferenza religiosa, pretendendo al contempo dal cittadino una moralità pubblica che è impossibile mantenere senza la grazia che viene dall’alto e l’alimento concreto che fluisce dalle radici di una tradizione storica ricevuta e vissuta con gratitudine verso gli antenati che hanno contribuito a formarla...




Una bella lettura, la cui opportunità è segnata dai molti tentativi di frantumare la Patria.

La Città dell'Uomo è comunque riproduzione imperfetta e limitata della Città di Dio - per questo è scritto: "Sia fatta la Tua volontà in Terra come è fatta in Cielo..."

Così come per l'espressione visibile della Chiesa, anche per la Patria vale la necessità - conforme alla Volontà di Dio - della continua "Riforma" per adattarsi ed avvicinarsi alla Città di Dio.

Ciò implica che la "Tradizione dei Padri" non sia da venerare quale statica e sclerotica patria, piuttosto che protendersi verso l'universalità della Patria.

Siccome una tale meta incontra resistenze in interessi umani - sia della propria che di altre patrie terrene - di una natura incompatibile a quelli della Città di Dio, si finisce per accontentarsi provvisoriamente della Patria della tradizione, salvo modesti ritocchi.

Accade pure che la Patria, anzichè andare avanti, si allontana dal suo modello eterno: i sintomi di tale allontanamento si evidenziano prima di tutto nella crisi della Verità e della Carità, le quali a loro volta immiseriscono la Speranza, col risultato dell'acuirsi dell'arroganza, dell'avidità, della rapina, della superbia, del dispotismo, del settarismo (frantumazione della Patria visibile sia dello Stato che della Chiesa) della criminalità, dell'illegalità, e per ultimo, in chiusura del ciclo, dell'omicidio - coronamento dei peccati capitali a dimostrazione della distanza accumulata dalla Patria Eterna.

Allora arriva pure prima la guerra, l'esilio, ed i disastri naturali o meccanici.

Se la Patria terrena si frantuma, per coloro che ne hanno conservata la speranza ne rimane una celeste e stabile, dove non esistono devolution ed oligopoli, e presso la quale il valore degli uomini si misura in base alla Carità e non col parametro delle deregulation: è quanto si prefigura negli ultimi che saranno i primi!

david777
20-11-05, 03:11
http://www.ansa.it/main/notizie/fdg/200511191812220937/200511191812220937.html

BERLUSCONI: SPECIALE CONVERGENZA TRA ITALIA E CHIESA

La convergenza è speciale soltanto in relazione a comuni interessi di stato - o di azienda - e non per quel che riguarda le questioni inerenti alla Patria, i cui problemi economici e costituzionali sono stati oggetto di pronunciamenti di Ruini...

Il fatto che il Vaticano dialoghi con gli imperatori e dichiari speciali convergenze non implica accordi ed affninità di fondo, o anche giustificazioni e legittimazioni storiche, le quali, come Ratzinger ben saprà, toccano al Re dei re alla Sua Parusìa.

Maria Vittoria
20-11-05, 08:58
In Origine Postato da david777
http://www.ansa.it/main/notizie/fdg/200511191812220937/200511191812220937.html

BERLUSCONI: SPECIALE CONVERGENZA TRA ITALIA E CHIESA

La convergenza è speciale soltanto in relazione a comuni interessi di stato - o di azienda - e non per quel che riguarda le questioni inerenti alla Patria, i cui problemi economici e costituzionali sono stati oggetto di pronunciamenti di Ruini...

Il fatto che il Vaticano dialoghi con gli imperatori e dichiari speciali convergenze non implica accordi ed affninità di fondo, o anche giustificazioni e legittimazioni storiche, le quali, come Ratzinger ben saprà, toccano al Re dei re alla Sua Parusìa.

Le legittimazioni storiche vengono fatte dalle generazioni umane che si succedono nei secoli dei secoli.

(... chi sarebbe questo "Re dei re", e da chi sarebbe formata la sua parusìa?...)

Il dialogo politico, invece, può avvenire solo nell'incontro tra persone - sia fisiche che giuridiche -: l'importanza sia del Pontefice di Roma che degli imperatori è tuttora essenziale nel divenire della Storia d'Italia, e d'Europa.

david777
20-11-05, 15:35
In Origine Postato da MariaVittoria C
Le legittimazioni storiche vengono fatte dalle generazioni umane che si succedono nei secoli dei secoli.

(... chi sarebbe questo "Re dei re", e da chi sarebbe formata la sua parusìa?...)

Il dialogo politico, invece, può avvenire solo nell'incontro tra persone - sia fisiche che giuridiche -: l'importanza sia del Pontefice di Roma che degli imperatori è tuttora essenziale nel divenire della Storia d'Italia, e d'Europa.

Le generazioni umane, mi sembra, Gentile MariaVittoria, non hanno mai potuto legittimare piuttosto che reinterpretare i fatti ed i personaggi storici: sono solo i legittimi assoluti delle generazioni umane che possono aspirare alla legittimazione...

Si dà il caso che, perlomeno in teoria, il Cavaliere ed il Pontefice Romano abbiano i medesimi assoluti - frammisto di metafisica monoteista e Diritto Romano - e che altrettanto teoreticamente entrambi attendano la Parusìa, che altro non è se non la legittima entrata in iscena del corretto ordine di governo in questo mondo, quando ogni potere ed ogni soldo fatti iniquamente nei secoli della commedia umana si trasformeranno in tarlo e vantaggio di chi avrà acquisito il diritto alla coreggenza col Re dei re in questione - il minimo tra essi è più grande del più grande statista nei secoli della storia umana.

Questioni apparenrtemente poco repubblicane - benchè lo siano per mazziniana memoria - di cui però il Cavaliere ed il Pontefice Romano sono esperti e maestri di fede.

Maria Vittoria
20-11-05, 20:40
In Origine Postato da david777
Le generazioni umane, mi sembra, Gentile MariaVittoria, non hanno mai potuto legittimare piuttosto che reinterpretare i fatti ed i personaggi storici: sono solo i legittimi assoluti delle generazioni umane che possono aspirare alla legittimazione...

Si dà il caso che, perlomeno in teoria, il Cavaliere ed il Pontefice Romano abbiano i medesimi assoluti - frammisto di metafisica monoteista e Diritto Romano - e che altrettanto teoreticamente entrambi attendano la Parusìa, che altro non è se non la legittima entrata in iscena del corretto ordine di governo in questo mondo, quando ogni potere ed ogni soldo fatti iniquamente nei secoli della commedia umana si trasformeranno in tarlo e vantaggio di chi avrà acquisito il diritto alla coreggenza col Re dei re in questione - il minimo tra essi è più grande del più grande statista nei secoli della storia umana.

Questioni apparenrtemente poco repubblicane - benchè lo siano per mazziniana memoria - di cui però il Cavaliere ed il Pontefice Romano sono esperti e maestri di fede.

Certo, le generazioni umane esistono attraverso le loro legittime rappresentanze.

"Architectura est firmitatis utilitatis venustatis pia ratio in bonum"

david777
21-11-05, 00:43
In Origine Postato da MariaVittoria C
Certo, le generazioni umane esistono attraverso le loro legittime rappresentanze.

"Architectura est firmitatis utilitatis venustatis pia ratio in bonum"


"Auctoritas, non veritas facit legem" - Attraverso le legittime rappresentanze oggi la Legge e L'Autorità sono Verità convenzionali, per cui si dice: "In nome del Popolo... oppure del Re... "

Alla Parusìa - quella di cui il Pontefice ed il Cavaliere sono esperti - l'Autorità e la Verità coincideranno perfettamente, e la Legge sarà equivalente di Giustizia Assoluta.

Nel frattempo la forma di governo più giusta e razionale è di carattere repubblicano. Alla Parusìa però ognuno mieterà quel che avrà seminato e l'accesso all'autorità di governo sarà commisurato alla verità.

Succede però che la Volontà del Popolo come talvolta quella del Sovrano coincida in larga misura con la Legge Assoluta: sono specialmente i grandi eventi del tipo di Norimberga che spingono la Legge fuori dai meandri medioevali e dalle sue architetture di potere autarchico.

Un'altra Norimberga è indispensabile, ma questa volta - per dimensioni e capillarità - dovremo attendere la Parusìa, benchè alle prossime elezioni possa verificarsi una batosta "convenzionale" del Popolo in nome della Patria Ferita ed Umiliata.

david777
21-11-05, 06:55
Il Cavaliere incarna il sincretismo politico-religioso facendosi paolinianamente "tutto a tutti": Sua Eccellenza è liberal-democratica, repubblicana (come lo era pure Napoleone), democristiana (super e creazionista), nazional-socialista-risorgimentale, federalista (se la Patria unita non lo vuole all'unanimità), socialista craxiana (e De Michelis è il Suo Profeta), neocomunista - versione neocinese e non quella sovietica contraria agli affari della libertà della democrazia iperliberale e che frappone sempre ostacoli e statuti del lavoro ai campi di concentramento della nuova produzione (quelli sì che sono bravi compagni) da un dollaro al giorno.

Eliminare il Cavaliere dalla scena politica? Forse per un periodo in vacanza finchè non se ne tornerà con un illuminato e santificato modello sociale di monarchia liberale - un patto con tutti i viventi che ancora respirano e non pagano l'aria...

Se non potrà durante la vacanza prendere il posto a Ciampi non è detto che non arrivi alla conclusione che "Presidente è bene, ma Papa è meglio": ... uhm, un Papa repubblicano, comunista, socialista, democristiano, nazional-socialista, federalista, liberal-democratico e finalmente - per risolvere i dissidi in atto - anche mussulmano, non meno che copto ed ortodosso (greco e russo), buddista, Hindu ed Hari Crishna, e per ultimo ma per primo, giudeo-messianico con licenza di costruzione del Tempio.

Insomma un nuovo ed indubbiamente geniale Patto Marshall per il MO ed il mondo intero che garantisca Patria Unica, casa, aria, vettovaglie per tutti, purchè i viventi respiranti (senza distinzioni tra mammiferi) lo votino.

Tanto i soldi per il Seggio ci sono e si moltiplicano logaritmicamente sempre a Natale - unico vero successo della politica italiana!

nuvolarossa
21-11-05, 14:44
http://www.nuvolarossa.org/modules/xgallery/cache/albums/01-Album-di-Enzo/LOGOFORUM03BIG.sized.gif

La “Carta” della perfetta felicità
Un libro dei sogni invecchiato e invecchiato male. Ma non si può toccare

di Romano Bracalini

Riveriti esponenti della sinistra, coloro che mettono nella politica un fervore di fede e una messianica aspettativa - come di rivoluzione immanente e mai realizzata -, hanno con voce d’innocenza gridato al tradimento, allo stravolgimento della Carta fondamentale, allorché il voto del Senato stava per andare in onda. I verdi hanno osservato un minuto di silenzio in segno di “lutto” ed è il solo minuto che abbiamo apprezzato. Insomma uno spettacolo tutto italiano, tra ipocrisia e commedia, e “ciccia punta”, avrebbe detto Petrolini. L’attribuzione di “ sacralità ” così poco consona al nostro carattere irridente e scettico, ha sempre impedito una revisione critica di una Carta imperfetta, come tutte le cose, retorica e irreale nell’impianto, paternalistica e ideologica nello spirito.

La repubblica democratica del lavoro, come esordiva la nuova Costituzione, simile nelle intenzioni alle colonie sovietiche dell’Est, si basava su molte idee comuni fra i due sistemi e assorbiva molte pratiche del fascismo, specie in materia di lavoro e di previdenze e assistenze sociali. Non è un mistero che in Italia un regime eredita l’altro, e non lo si archivia mai completamente. Nella Costituzione italiana del ‘48 c’è molto socialismo reale, cattolicesimo sociale, corporativismo fascista riverniciato di rosso e pochissimo liberismo moderno. Il simbolo della repubblica è la terrificante ruota dentata che poteva ben figurare in un soviet o in una cooperativa di consumo.

Per quanto ci fosse stato tutto il tempo, non si trovava nella Costituzione niente di originale, nessun guizzo di novità, anzi era una ripetizione esasperante di luoghi comuni. Formalmente la Costituzione fu preparata da tutti i partiti antifascisti, nella realtà da democristiani e comunisti che ebbero la maggior parte nella redazione. Francesco Nitti racconta di aver preso parte a parecchie sedute e di essersi annoiato a morte nel sentire discorsi vani, vuote parole, argomenti da avvocati. Si racconta che per preparare la Costituzione di Atene, Aristotile da solo avesse raccolto 300 costituzioni di tutte le città greche. Per partorire la Costituzione italiana ci vollero 75 collaboratori di tutti i partiti scelti per quote lottizzate. Uomini che non avevano alcuna esperienza di costituzioni, che conoscevano poco gli argomenti che dovevano trattare, che non erano quasi mai stati all’estero. Si affermarono principi che non stavano né in cielo né in terra, ma che ad affermarli non costava nulla. Si prometteva ciò che non si sarebbe mantenuto, ma dirlo riempiva di soddisfazione.

Bello dire che lo stato considerava e tutelava la salute come fondamentale per la nazione. Edificante dire che la repubblica assicurava l’istruzione e dava la scuola a tutti. (Se è per questo lo diceva anche il fascismo che alla scuola teneva molto). Rassicurante dire che i capaci e meritevoli che non avevano i mezzi potevano raggiungere i gradi più alti negli studi con assegni alle famiglie e borse di studio. Non furono estirpate cose di più facile attuazione. La Carta non cancellò l’abitudine fascista di designare le funzioni e i gradi degli impiegati statali con i numeri romani, cosa che non esisteva in nessun altro paese del mondo; e i costituenti antifascisti non ebbero alcun imbarazzo a reperire un reperto dell’ordinamento fascista. Lo stesso vocabolario fascista entrò a far parte del linguaggio “ democratico ”. La pratica della menzogna e dell’odio transitò dalla dottrina fascista a quella comunista; ed era il compagno Stalin a testimoniarne l’obbligo e l’efficacia. Non si perse il vizio delle adunate “ oceaniche ”. La condanna del fascismo divenne una costante, senza accorgersi di imitarlo nelle manifestazioni pubbliche.

I due partiti maggiori, che avevano accomodato la Costituzione sulle proprie convinzioni, dicevano di formare la “ democrazia progressiva ”. Da sola la democrazia non bastava. L’aggettivo doveva spiegare il sostantivo. Del resto l’Ungheria, la Bulgaria, la Cecoslovacchia e le altre felici repubbliche erano “ democrazie popolari ” e il PCI d’allora non ci trovava nulla da ridere. Da principio la tendenza era di avere una sola Camera, ma se ne avvertì il pericolo e allora si accettò di fare il Senato. Quindi si avvertì il pericolo di entrambe e, all’ultimo minuto, si inventò una Corte Costituzionale formata da magistrati nominati da apparati dello stato che avrebbero deciso sulla costituzionalità di leggi votate da uomini eletti dal popolo. La “democrazia” italiana non aveva fiducia in se stessa, così era stata trasformata in una specie di “democrazia protetta”. Cosa che nelle democrazie vere non succede. Capita di fare cattive costituzioni. La Francia in un secolo e mezzo ha fatto e disfatto costituzioni che sono cambiate tredici di volte.

Ma la Costituzione italiana, lunga, farraginosa, prolissa, fu vincolata col dogma dell’intoccabilità. Doveva essere pronta in otto mesi con proroga di quattro. Ci volle più di un anno e mezzo. Il parto non fu all’altezza dello sforzo compiuto. Sono passati quasi sessant’anni. Chi la tocca rischia ancora la scomunica. Il diessino Gavino Angius, altero e malinconico, parlando in Senato ha ammonito: “Noi consideriamo questa riforma un danno per l’Italia”; ed ha fatto l’elogio del tricolore. Il mondo alla rovescia. Voi l’avete mai visto uno straccio di tricolore alle feste dell’Unità?
http://www.ekn.net/midi/Elton-John/60_years_on.mid

david777
21-11-05, 23:07
Ogni costituzione republicana può essere rivisitata, ma, se si toccano i fondamenti, i modificanti dimostrano di non far parte di quella repubblica nel cui nome sono stati posti a governare.

Il precedente è tale che d'ora in poi ogni maggioranza si farà la sua costituzione e le sue forme elettorali e di governo.

Normalmente per cambiare una costituzione non basta la semplice maggioranza, ma d'ora in poi basterà il 50+un fesso per cento.

Ormai è chiaro che ogni elemento sociale e giuridico in linea coi diritti umani internazionali e le medesime encliche sociali di quella chiesa di cui il Premier elogia i rosari del 700, sono incompatibili con quella nuova democrazia liberale che i nuovi governi corporativi stanno implementando contropelo.

La meta non è più neppure la Costituzione Americana, bensì il neocomunismo senza libertà, sindacati e diritti umani.

la_pergola2000
22-11-05, 00:17
David sei già sulla via della profetizzazione.

Scusa una domanda: cosa ci interessano i sette millenni con alcune venute di Gesù se riusciamo a vivere appena un centesimo di tutto questo tempo?

david777
22-11-05, 01:36
In Origine Postato da pergola2000@yahoo.it
David sei già sulla via della profetizzazione.

Scusa una domanda: cosa ci interessano i sette millenni con alcune venute di Gesù se riusciamo a vivere appena un centesimo di tutto questo tempo?

Se rispondessi alla domanda, la "profetizzazione" colorerebbe* ancor più questo thread, che invece io vorrei limitare alla competenza messianica del Premier e del Papa Ratzinger.

Comunque, il centesimo di tempo che si vive in questo mondo serve semplicemente a distinguere e catalogare i non affini al vero governo eterno dell'Universo.

Le parabole del Vangelo spiegano cosa accade ai fattori crudeli ed agli amministratori infidi, i quali anzichè prendersi cura del governo della "Casa" del vero proprietario, se ne impossessano e maltrattano gli altri CONSERVI.

Anche la metafora della "Vigna" serve a spiegare cosa succede agli amministratori che si illudono di far carte false al catasto e mutare le attribuzioni di proprietà.

La cultura umanistica italiana ha vissuto troppo a lungo nell'illusione naturalistica "storico-critica" - quasi che la cultura giudeocristiana fosse una mitologia per ingenui francescani - e prodotto di conseguenza una cinica visione politica del tutto estranea alle speranze millenaristiche d'Israele.

Quando ci si desterà dal sogno naturalistico ci si renderà conto che neppure una delle promesse fatte ad Israele sarà stata infranta - e tra queste è la transizione del governo di questo mondo ai legittimi coreggenti del Regno del Messia.

Quelli che stiamo vivendo sono gli ultimi rantoli di un modello di governo umano destinato alla fine più miseranda, e che negli ultimi tempi in atto assumerà sempre più la patetica forma dell'autarchia.

I governi umani faticano a riorganizzarsi per la semplice ragione che non possono esistere quando la distanza dalla Giustizia del Regno di Dio diventa irreversibile.

Veramente credi che il Diritto Internazionale e Costituzionale sia frutto del governo dell'uomo?

E veramente credi che possa nascere ed esserci civiltà che possa durare senza l'accordo del Regno di Dio?

Puoi credere che esisterebbe un repubblicanesimo serio senza Dio al fianco del Popolo e della sua azione politica?

In realtà siamo alla frutta, e benchè valga ancora la pena di preservare tutto il repubblicanesimo possibile, non rimane che assistere alla dossologia della commedia degli ultimi rantoli autarchici di chi crede di essere alla vigilia del dominio (dopo gli imbrogli al catasto) della Vigna!



* MD CODE
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?threadid=64332

nuvolarossa
07-01-06, 13:31
FESTA TRICOLORE: CIAMPI, BANDIERA E' SIMBOLO UNITA'

"Il tricolore e' il simbolo dell'unita' nazionale". E' quanto scrive il Presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi in un messaggio inviato in occasione del 7 gennaio, festa del tricolore. "Sono felice - afferma Ciampi - di festeggiare con voi oggi, 7 gennaio, la Festa del Tricolore, festa dell'Italia e degli italiani. E' l'occasione per celebrare l'appartenenza ad una storia comune, la storia del nostro popolo, del suo cammino verso l'unita' e la liberta'. In occasione del primo centenario del Tricolore, il 7 gennaio 1897, in un discorso pronunciato a Reggio Emilia, Giosue' Carducci sottolineo' come nei tre colori della bandiera fossero espressi i valori della identita' nazionale: nel verde, la natura, l'uguaglianza, la liberta', la gioia; nel bianco, la vittoria, la prudenza, l'autorita'; nel rosso, l'ardire e il valore. Ho piu' volte sottolineato - prosegue il Presidente della Repubblica - il profondo legame fra gli ideali del Risorgimento, della Resistenza e della Costituzione Repubblicana. Il tricolore e' il simbolo concreto dell'unita' nazionale". "Ricordo con orgoglio l'entusiasmo e il calore con quale tante persone hanno sventolato il tricolore e intonato l'inno di Mameli durante le mie visite nelle province, nei comuni d'Italia e negli incontri con i nostri connazionali all'estero. Un segnale importante di rinnovata sensibilita' per la nostra Nazione, che si riconosce con convinzione sempre maggiore nei simboli della Repubblica, quest'anno, al suo sessantesimo compleanno. A questo simbolo ne abbiamo aggiunto un altro, la bandiera dell'Unione Europea con il suo cerchio di 12 stelle dorate su sfondo blu. Il patrimonio ideale che abbiamo ereditato dai padri della Patria e gelosamente custodiamo, rappresenta un prezioso contributo alla crescita di una cultura e di una cittadinanza comune Europea, autentica e condivisa".

nuvolarossa
07-01-06, 13:42
QUIRINALE/ CIAMPI: ITALIANITA' RISPOSTA A CAMBIAMENTI SOCIALI
"Tricolore e bandiera Ue per superare divisioni e per la pace"

Roma, 7 gen. (Apcom) - "Oggi più che mai la consapevolezza della nostra italianità costituisce una risposta spontanea e diffusa ai cambiamenti e alle trasformazioni politiche, sociali ed economiche che la velocità dei nuovi mezzi di comunicazione, l'apertura delle frontiere e dei mercati portano nel mondo contemporaneo". Così il capo dello Stato nel messaggio inviato in occazione della Festa Nazionale del Tricolore. "Sono felice di festeggiare con voi oggi, 7 gennaio, la Festa del Tricolore, festa dell'Italia e degli italiani - scrive Ciampi - E' l'occasione per celebrare l'appartenenza ad una storia comune, la storia del nostro popolo, del suo cammino verso l'unità e la libertà".

"In occasione del primo centenario del Tricolore, il 7 gennaio 1897, in un discorso pronunciato a Reggio Emilia, Giosuè Carducci sottolineò come nei tre colori della bandiera fossero espressi i valori della identità nazionale: nel verde, la natura, l'uguaglianza, la libertà, la gioia; nel bianco, la vittoria, la prudenza, l'autorità; nel rosso, l'ardire e il valore - sottolinea il Capo dello Stato - Ho più volte sottolineato il profondo legame fra gli ideali del Risorgimento, della Resistenza e della Costituzione Repubblicana. Il tricolore è il simbolo concreto dell'unità nazionale".

"Ricordo con orgoglio - sottolinea - l'entusiasmo e il calore con quale tante persone hanno sventolato il tricolore e intonato l'inno di Mameli durante le mie visite nelle province, nei comuni d'Italia e negli incontri con i nostri connazionali all'estero. Un segnale importante di rinnovata sensibilità per la nostra Nazione, che si riconosce con convinzione sempre maggiore nei simboli della Repubblica, quest'anno, al suo sessantesimo compleanno".

"A questo simbolo ne abbiamo aggiunto un altro, la bandiera dell'Unione Europea con il suo cerchio di 12 stelle dorate su sfondo blu - ricorda il presidente della Repubblica - Il patrimonio ideale che abbiamo ereditato dai padri della Patria e gelosamente custodiamo, rappresenta un prezioso contributo alla crescita di una cultura e di una cittadinanza comune Europea, autentica e condivisa. Unità nella diversità è il motto dell'Unione Europea. Le due bandiere che sventolano insieme testimoniano la decisione di superare le antiche divisioni e di costruire un comune destino di pace e di benessere".

"In questo nuovo contesto di convivenza civile, la nostra bandiera continuerà a rappresentarci e inorgoglirci - conclude -Penso all'Italia delle missioni internazionali di pace, all'Italia dei successi nei campi più svariati della scienza, della tecnica, dell'economia e anche ...all'Italia dello sport! Raccogliamoci, con questa consapevolezza intorno alla sacralità della nostra bandiera! Viva l'italia!".

Maria Vittoria
08-01-06, 09:53
Grazie, nuvolarossa, per la trascrizione di parte del discorso di Carlo Azeglio Ciampi a Reggio Emilia, ieri 7 gennaio 2006.

Davvero ha pronunciato solo la traduzione italiana del motto europeo?

L'originale, in latino: "in diversitate concordia" è molto più complesso e profondo delle singole traduzioni nelle lingue parlate ... mi sarei aspettata quanto meno la citazione di entrambe le versioni.

:-00w09d

nuvolarossa
08-01-06, 11:43
Grazie, nuvolarossa, per la trascrizione di parte del discorso di Carlo Azeglio Ciampi a Reggio Emilia, ieri 7 gennaio 2006.

Davvero ha pronunciato solo la traduzione italiana del motto europeo?

L'originale, in latino: "in diversitate concordia" è molto più complesso e profondo delle singole traduzioni nelle lingue parlate ... mi sarei aspettata quanto meno la citazione di entrambe le versioni.

:-00w09d... MariaVittoria C ... l'originale in latino mi sembra che sia "in varietate concordia" ... comunque Ciampi traducendo "Unita' nella diversita" ... e' stato abbastanza in linea con la traduzione che si fa in ogni angolo dell'Unione Europea ... nelle varie lingue ... per tua curiosita' ti riporto qua sotto la traduzione nei tanti e vari linguaggi europei ...

• Bashkimi pkr nk ndryshim - Albanian
• In Vielfalt geeint / Einheit in Vielfalt - German
• Einheit én d'Vielfaltikeit - Alsacian
• United in diversity / Unity in diversity - English
• Unidá en a dibersidá - Aragonian
• Unidá na diversidá - Asturian
• Âyri âyri olmakda, birlik - Azeri
• Eenheid in de Verschedenheid - Low-German
• Eenheid in de Völklörigheid - Low-German (Frisian)
• Verscheden un doch enig wesen - Low-German (Alternative translation)
• Ainitzen arteko batasuna - Basque
• Адзінства ў разнастайнасті - Belorussian
• Unanded el liested - Breton
• Единство в многообразието - Bulgarian
• Jedniô we wszelejakòscë - Cashoubian
• Unitat dins la diversitat - Catalan
• Unyta yn dYversyta - Cornish
• Unità in la diversità - Corsican
• Grupa za drugacije - Croatian
• Forenet i mangfoldighed - Danish
• Unidos en la diversidad / Unidad en la
diversidad - Spanish
• Unuiĝintaj en diverseco / Unueco en la diverseco - Esperanto
• Ühinenud mitmekesisuses / Ühtsus erinevuses - Estonian
• Erilaisina yhdessä - Finnish
• Unie dans la diversité / Unité dans la diversité - French
• Unetât diens la diversetât - Francoprovencal (Arpitan)
• Aanj an dach mäenööder - Frisian (Föhr)
• Äin än duch maenouder - Frisian (Mooring)
• Ain an doch mäenår Frisian (Nordergoeshard)
• Ain en dach mearküðer - Frisian (Sylt)
• Oin än dach mäenoar - Frisian (Wiedingharder)
• Ooin en doch med-arker - Frisian (Helgoland)
• Ienheid troch ferskiedenheid - Frisian (Frysk)
• Unidade na diversidade - Galician
• Undod mewn amrywiaeth - Welsh
• Ενότητα στην πολυµορφία / Διαφορεπκοι αλλα ευωμεν& - Greek
• Egység a sokéleségben / Sokféleképpen - egyutt - Hungarian
• Unitate in le diversitate - Interlingua
• Unità nella diversità - Italian
• Forenet i mangfoldighed - Jutish
• Vi'nuo'teiba daz'uodeiba' - Latgalian
• In varietate concordia - Latin
• Vienoti daudzveidībā / Vienotība dažhādīb - Latvian
• Ûnitæ inta diverscitæ - Ligurian
• Susivienijusi savo įvairovėje (Vienybė įvairialypiškume) - Lithuanian
• Unità in de la diversità - Lombard
• Eenheet an der Verschiddenheet - Luxembourgian
• Единство во различноста - Macedonian
• L-ghaqda fid-diversità - Maltese
• Eenheid in verscheidenheid - Dutch
• Enhet i mangfold - Norwegian (Bokmål)
• Einskap i mangfald - Norwegian (Nynorsk)
• Unitat dins la diversitat - Occitan (Languedocian)
• Unitat dins la diversitat - Occitan (Provencal)
• Unitei dins 'l diverchitei - Picard
• Unità ant la diferensa - Piedmontian
• Jedność w różnorodności / Jednosc w róznosci - Polish
• Unidade na diversidade - Portuguese
• Unitate în diversitate - Romanian
• Единость в многообразз - Russian
• Unius in sa dissimbillàntzia - Sard
• Ae mynd, monie kynd - Scot
• Jedinstvo u razlici - Serbo-croatian
• Ütisüs kirivüse seeh - seto
• Junciuti na differenza - Sicilian
• Jednota v rozdielnosti - Slovak
• Združeni v raznolikosti - Slovene
• Enotnost v sem vraskorestena - Slovene (dolenjsko)
• Zvezda v sem nekj - Slovene (krsko)
• Enatnas v sem ekoju - Slovene (sobota)
• Jednota w wšelakorosći - Sorbian
• Förenat i mångfalden / Förenade i mångfalden - Swedish
• Einheit i d'Verschiedeheit - Swiss german
• Jednota v rozmanitosti / Jednotnost v rů znorodosti - Czech
• Єдиість у відмінності - Ukrainian
• L’unità in te la diversità - Venitian
• Ütisüs kirivüse seen - Võro
• L'unitè ol divêrsitè - Wallon

Maria Vittoria
08-01-06, 11:54
Hai ragione, nuvolarossa !

IN VARIETATE CONCORDIA


è il nostro comune motto europeo (vedi com'è facile cadere in errore se ci si affida alla sola memoria individuale).


Quello che intendevo sottolineare era l'utilità di citare entrambe le versioni: le parole in lingua latina, patrimonio comune degli europei, e la traduzione nella lingua parlata

nuvolarossa
08-01-06, 12:03
MariaVittoria C ... un'ultima notazione ... come cavolo ci si fa a capire in un'entita' sovranazionale come dovrebbe essere quella europea ... dove si parlano una marea di lingue ... a me sembra piu' una torre di Babele ... l'Euro sara' servito a far parlare le banche tutte con la stessa lingua ... quella della moneta ... ma finche' in Europa non si parlera' una lingua unica ... non ci sara' mai un'unione dei Popoli ....

http://www.nuvolarossa.org/

Maria Vittoria
08-01-06, 13:01
MariaVittoria C ... un'ultima notazione ... come cavolo ci si fa a capire in un'entita' sovranazionale come dovrebbe essere quella europea ... dove si parlano una marea di lingue ... a me sembra piu' una torre di Babele ... l'Euro sara' servito a far parlare le banche tutte con la stessa lingua ... quella della moneta ... ma finche' in Europa non si parlera' una lingua unica ... non ci sara' mai un'unione dei Popoli ....

http://www.nuvolarossa.org/


La questione della lingua da usare come comune nella koinè europea è aperta; e non credo potremo risolverla noi.
Il giudice della Curia Europea Mengozzi, a un incontro organizzato dall'Istituto Veritatis Splendor di Bologna nel 2004, notò che - se la Gran Bretagna uscisse dall'Unione Europea - la lingua franca potrebbe diventare l'inglese.

Per ora, sarebbe molto se la lingua latina venisse riconosciuta come lingua madre della civiltà europea, e i documenti ufficiali - come la futura vera Costituzione - venissero redatti in latino, e tradotti nelle lingue vive in uso.

Ovviamente, questa è solo una mia opinione personale

nuvolarossa
03-09-06, 23:22
Gandhi e Mussolini
Quando il mite Mahatma elogiava il Duce In visita in Italia per tre giorni, nel dicembre 1931, ebbe parole di apprezzamento per il fascismo Ad accomunare i due leader, l'opposizione al materialismo e l'adesione alle dottrine mazziniane

Gandhi e Mussolini. Mai due personaggi ci appaiono maggiormente agli antipodi, da un punto di vista ideologico. L'uno, massimo teorico della non-violenza ed icona dei pacifisti, l'altro ispiratore dello squadrismo manganellatore e sostenitore dell'uso "chirurgico" della violenza. Eppure, nonostante quanto affermano i biografi del leader indiano, tra il Duce e il Mahatma ci fu intesa. Determinata dal fatto che entrambi si opponevano alle dottrine materialiste, erano risolutamente antibritannici, credevano, seppur in modo diverso, nelle soluzioni rivoluzionarie, ed erano "mazziniani".

http://www.humanities.mcmaster.ca/gandhi/Pictures/gandhi1.gif

William Shirer liquida ad esempio in poche righe la visita di tre giorni che Gandhi compì in Italia, nel dicembre 1931. Scrive che il Mahatma fu ricevuto a colloquio dal Duce per dieci minuti, mentre la conversazione durò il doppio. Ma, soprattutto, Shirer, come altri, ignora i gesti e le parole che Gandhi pronunciò durante lo storico viaggio, che si concluse con un clamoroso saluto romano diretto alla folla. Tornando in India da Londra, il leader indiano passò per la Francia e si fermò in Svizzera, trattenuto da un illustre quanto fervente ammiratore, il Premio Nobel per la letteratura Romain Rolland, che cercò vanamente di convincere l'ospite a rinunciare alla programmata tappa italiana. Giunto in treno a Milano la sera dell'11 dicembre, Gandhi fu accolto in forma ufficiale dal governo italiano con l'offerta di un vagone speciale, con il quale proseguire il viaggio fino a Roma. Pur mostrandosi parco di dichiarazioni, già da Milano affermò di apprezzare la «disciplina, l'ordine e la solida struttura amministrativa» realizzati dal fascismo. Nella Città Eterna, il Mahatma non si limitò a visitare i monumenti antichi, ma vide e lodò anche le opere del regime, come il Foro Mussolini. Tra gli aspetti più stupefacenti del soggiorno romano vi è la circostanza che Gandhi avesse voluto conoscere il segretario del Partito fascista, Achille Starace, che lo ricevette a Palazzo Littorio con tanto di pugnale alla cintola. Il Mahatma aveva mostrato straordinario interesse per l'organizzazione del regime in strutture di massa. Per nulla imbarazzato dal guerresco stile fascista, Gandhi dedicò quasi un'intera giornata a visitare le sedi rionali dell'Opera nazionale Balilla di Roma. Si recò alla palestra dell'Orto Botanico, poi volle vedere le sedi di via Sannio, del rione Monti, di via Puglia e concluse la "maratona" romana alla Legione marinaretti Caio Duilio, sul Lungotevere Flaminio. La full immersion lo tonificò nella mente, oltre che nel corpo, a tal punto da dichiarare di aver ricavato «un'impressione simpaticissima che non dimenticherò mai». Parole che dispiacquero a Romain Rolland, che, in uno scambio di lettere successivo al rientro di Gandhi in India, lo rimproverò con asprezza: «Lei ha passato in Italia tre o quattro giorni in tutto, di cui due in un vagone di prima classe in viaggio da Milano a Brindisi. Lei non ha visto quelli che non possono parlare, quelli che sfogano il loro dolore nell'intimità delle loro case, quelli che sono a "domicilio coatto", quelli che sono deportati nelle isole vulcaniche del sud della Penisola». Ma tali argomenti non convinsero l'apostolo della non violenza. Rispose a Rolland che molte delle riforme attuate da Mussolini lo attiravano. All'amico scrittore spiegò che il Duce «sembra aver fatto molto per i contadini. Senza dubbio ha il pugno di ferro. Ma siccome la violenza è alla base della società occidentale, le riforme di Mussolini sono degne di uno studio imparziale». «Dietro i suoi discorsi enfatici - sosteneva ancora Gandhi - c'è un nucleo di sincerità e di amore infiammato per il suo popolo. Mi sembra inoltre che alla gran massa degli italiani vada a genio il governo di ferro di Mussolini». Congedandosi dalla folla radunata sulla banchina del porto di Brindisi, prima che la nave Pilsna salpasse per Bombay, il Mahatma volle consacrare la sua amicizia con l'Italia fascista levando il braccio nel saluto romano. D'altra parte, Mussolini aveva riservato particolari attenzioni all'illustre ospite indiano. Non si era limitato a mettergli a disposizione una vettura speciale su cui viaggiare, ma lo aveva ricevuto nella sua residenza privata, Villa Torlonia: un onore mai accordato, né prima né dopo, ad un altro leader politico straniero. Naturalmente, questo feeling non basta a qualificare il Mahatma come filofascista, o fanatico ammiratore del Duce. Ma è certo che Gandhi vide nell'esperienza politica italiana di quegli anni un cantiere da osservare con grande attenzione. Nell'esibizione di forza, di muscoli, di istinti bellicosi, tipica dello stile littorio, il leader indiano non colse alcun segno premonitore delle future tragedie. Anche dopo che Hitler ebbe cominciato a mettere l'Europa a ferro e fuoco, il Mahatma tenne sempre a voler distinguere il fascismo dal nazismo, le responsabilità del Führer da quelle di Mussolini. In un colloquio con il giornalista fascista Mario Appelius, che lo incontrò a Calcutta nel luglio 1923, Gandhi spiegò di essersi ispirato a Mazzini nel suo grande progetto di visionario al servizio del popolo e della sua "sacra" missione storica. «Più una nazione è grande - disse - più ha dei doveri verso l'umanità». Il Mahatma precisò poi all'interlocutore italiano che molti, a torto, consideravano la sua satyagraha come una «resistenza passiva», mentre essa era attiva, in quanto manifestazione intensa di volontà: una concentrazione di energia spirituale che sopravanzava la stessa violenza. Seppure non basata sulla forza brutale delle armi, essa era fondata sulle tre forze dello spirito: amore, fede e sacrificio. Innescato nella mente e nel cuore di 320 milioni di indiani, questo triplice arsenale di valori diventava più imbattibile di qualunque esercito. Poteva la satyagraha essere paragonata in qualche modo alla morale fascista? In parte sì, soprattutto per quanto riguarda i due valori della fede e del sacrificio, che furono il fonte battesimale di tutta la retorica del martirologio fascista. Quanto a Mazzini, il pensatore e protagonista del Risorgimento, poteva costituire il punto di contatto da Gandhi e Mussolini. Il Duce lo riscoprì nel crepuscolo repubblicano di Salò, dicendosi ammirato dai suoi scritti, che considerò «un'autentica rivelazione».

Roberto Festorazzi

tratto da http://www.laprovinciadicomo.it/