Roderigo
27-06-02, 12:06
I Ds non possono appoggiare la Cgil perché non rappresentano e non intendono rappresentare il mondo del lavoro, perché pensano di dover rappresentare anche l'impresa
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/26-Giugno-2002/vauro.gif
Il terremoto che ha investito il centrosinistra ha registrato lunedì una scossa violenta. La direzione dei Ds, cioè del maggiore partito della sinistra, non ha votato il suo appoggio alla Cgil e alle proposte del suo leader Sergio Cofferati sulla difesa dell'articolo 18 e dei diritti dei lavoratori. Non si tratta di normale dialettica fra due importanti organizzazioni della sinistra; non si tratta di dissensi su questo o su quel punto di una piattaforma politica o sociale. Sappiamo bene che in altri tempi e su questioni di grande importanza (basta pensare alla scala mobile) fra la Cgil e il maggiore partito della sinistra ci sono state discussione, polemiche e divergenze, ma quel che avvenuto ieri è di altra dimensione e qualità. I Ds, con la loro posizione contraria alla votazione di un documento che appoggiava l'azione del maggiore dei sindacati, hanno di fatto rifiutato di fare da sponda politica alla Cgil. Ne viene di conseguenza che oggi la Cgil non ha nei Ds - non ha più - il partito che possa rappresentare le sue ragioni a livello politico.
Questa rottura e questo scarto - lo ripetiamo di grande dimensione e finora mai verificato nei pur complessi rapporti fra due grandi organizzazioni - ha una causa ed una origine precise. I Ds non possono appoggiare la Cgil perché non rappresentano e non intendono rappresentare il mondo del lavoro, i suoi diritti nella società globalizzata. Non intendono più portare nella politica quella sfera di irriducibilità all'impresa e al mercato che i lavoratori oggi ancora testardamente ripropongono.
Le parole di Fassino sull'unità sindacale e sulla necessità che l'Ulivo si attesti su questa e non riproduca al suo interno le divisioni confederali sono solo apparentemente ovvie e di buon senso. In realtà i Ds dicono che non intendono più dare rappresentanza al mondo del lavoro perché pensano di dover rappresentare anche l'impresa, sono comprensivi delle esigenze del mercato, legittimano la flessibilità. La scelta della terza via lo esige e lo impone. La rottura è quindi profonda, complessiva e complessa. Non riguarda gli uomini, ma la stessa identità del maggior partito della sinistra. Non a caso ieri Cofferati, commentando il mancato sostegno della direzione Ds, ha affermato: «Non è un problema mio. Penso che i diritti siano importantissimi, e spero che lo siano innanzitutto per la sinistra, perché la sinistra nella sua storia ha valori che fanno riferimento alla persona, alla sua dignità e ai diritti che la garantiscono». Che è come dire: se i Ds hanno rinunciato a rappresentare questi diritti è un problema che riguarda l'identità di quel partito.
Che cosa avverrà della Cgil priva della sua tradizionale sponda politica? O meglio che cosa succederà di quei milioni di lavoratori che questo sindacato organizza ed è in grado di mobilitare e che, sia pure con molti distinguo e molte delusioni, avevano avuto nei Ds un punto di riferimento? Chi li rappresenterà? La situazione è più che mai instabile. Nella sinistra e nel centrosinistra ci sono tutti i segnali di altre e forti scosse di terremoto. Tanto più che gli altri due sindacati, la Cisl e la Uil possono contare invece su una vasta sponda politica. Proprio queste confederazioni, che accusano la Cgil di non fare scelte sindacali, ma di essere all'interno di una visione tutta politica, si muovono ed interagiscono con un sistema politico che viene agevolato e fortificato dalle loro posizioni. Oggi Pezzotta e Angeletti possono contare su uno schieramento centrista che va da Fassino a Fini, comprende gran parte dell'opposizione, abbraccia tutto il governo, si dirama in grandi organizzazioni sociali e nei centri di potere. Essi fortificano la politica della competitività e del mercato a spese dei diritti e dell'eguaglianza dei lavoratori, i loro sindacati sono diventati cinghie di trasmissione del pensiero e della pratica liberista e in cambio hanno ricevuto una legittimazione ben superiore alla loro effettiva rappresentanza.
Ma anche questa situazione non mostra alcun segno di stabilità e di certezza. Anche questi sindacati stanno operando uno strappo che potrebbe avere conseguenze. Su una sola cosa ci sentiamo in questo inizio di estate di scommettere e di puntare: il prossimo sarà un autunno di lotta. Malgrado i forti tentativi di impedirlo.
Liberazione 26 giugno 2002
http://www.liberazione.it
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/26-Giugno-2002/vauro.gif
Il terremoto che ha investito il centrosinistra ha registrato lunedì una scossa violenta. La direzione dei Ds, cioè del maggiore partito della sinistra, non ha votato il suo appoggio alla Cgil e alle proposte del suo leader Sergio Cofferati sulla difesa dell'articolo 18 e dei diritti dei lavoratori. Non si tratta di normale dialettica fra due importanti organizzazioni della sinistra; non si tratta di dissensi su questo o su quel punto di una piattaforma politica o sociale. Sappiamo bene che in altri tempi e su questioni di grande importanza (basta pensare alla scala mobile) fra la Cgil e il maggiore partito della sinistra ci sono state discussione, polemiche e divergenze, ma quel che avvenuto ieri è di altra dimensione e qualità. I Ds, con la loro posizione contraria alla votazione di un documento che appoggiava l'azione del maggiore dei sindacati, hanno di fatto rifiutato di fare da sponda politica alla Cgil. Ne viene di conseguenza che oggi la Cgil non ha nei Ds - non ha più - il partito che possa rappresentare le sue ragioni a livello politico.
Questa rottura e questo scarto - lo ripetiamo di grande dimensione e finora mai verificato nei pur complessi rapporti fra due grandi organizzazioni - ha una causa ed una origine precise. I Ds non possono appoggiare la Cgil perché non rappresentano e non intendono rappresentare il mondo del lavoro, i suoi diritti nella società globalizzata. Non intendono più portare nella politica quella sfera di irriducibilità all'impresa e al mercato che i lavoratori oggi ancora testardamente ripropongono.
Le parole di Fassino sull'unità sindacale e sulla necessità che l'Ulivo si attesti su questa e non riproduca al suo interno le divisioni confederali sono solo apparentemente ovvie e di buon senso. In realtà i Ds dicono che non intendono più dare rappresentanza al mondo del lavoro perché pensano di dover rappresentare anche l'impresa, sono comprensivi delle esigenze del mercato, legittimano la flessibilità. La scelta della terza via lo esige e lo impone. La rottura è quindi profonda, complessiva e complessa. Non riguarda gli uomini, ma la stessa identità del maggior partito della sinistra. Non a caso ieri Cofferati, commentando il mancato sostegno della direzione Ds, ha affermato: «Non è un problema mio. Penso che i diritti siano importantissimi, e spero che lo siano innanzitutto per la sinistra, perché la sinistra nella sua storia ha valori che fanno riferimento alla persona, alla sua dignità e ai diritti che la garantiscono». Che è come dire: se i Ds hanno rinunciato a rappresentare questi diritti è un problema che riguarda l'identità di quel partito.
Che cosa avverrà della Cgil priva della sua tradizionale sponda politica? O meglio che cosa succederà di quei milioni di lavoratori che questo sindacato organizza ed è in grado di mobilitare e che, sia pure con molti distinguo e molte delusioni, avevano avuto nei Ds un punto di riferimento? Chi li rappresenterà? La situazione è più che mai instabile. Nella sinistra e nel centrosinistra ci sono tutti i segnali di altre e forti scosse di terremoto. Tanto più che gli altri due sindacati, la Cisl e la Uil possono contare invece su una vasta sponda politica. Proprio queste confederazioni, che accusano la Cgil di non fare scelte sindacali, ma di essere all'interno di una visione tutta politica, si muovono ed interagiscono con un sistema politico che viene agevolato e fortificato dalle loro posizioni. Oggi Pezzotta e Angeletti possono contare su uno schieramento centrista che va da Fassino a Fini, comprende gran parte dell'opposizione, abbraccia tutto il governo, si dirama in grandi organizzazioni sociali e nei centri di potere. Essi fortificano la politica della competitività e del mercato a spese dei diritti e dell'eguaglianza dei lavoratori, i loro sindacati sono diventati cinghie di trasmissione del pensiero e della pratica liberista e in cambio hanno ricevuto una legittimazione ben superiore alla loro effettiva rappresentanza.
Ma anche questa situazione non mostra alcun segno di stabilità e di certezza. Anche questi sindacati stanno operando uno strappo che potrebbe avere conseguenze. Su una sola cosa ci sentiamo in questo inizio di estate di scommettere e di puntare: il prossimo sarà un autunno di lotta. Malgrado i forti tentativi di impedirlo.
Liberazione 26 giugno 2002
http://www.liberazione.it