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Roderigo
27-06-02, 21:02
Borseggio

GALAPAGOS

Un asterisco e, a seguire, una scritta in un carattere piccolo piccolo, quasi illegibile, che precisa: «non si garantisce uguale rendimento per il futuro». Il rendimento è quello (immancabilmente a due cifre) riferito agli anni passati che tutti i fondi d'investimento sparano con caratteri enormi quando pubblicizzano sui media la bontà del loro prodotto. Ieri Antonio Fazio, il governatore di Bankitalia, ha utilizzato la stessa tecnica. Per dimostrare la bontà dei Fondi pensione con i quali sostituire «l'insostenibile» sistema previdenziale pubblico ci ha fatto sapere che «nel periodo 1980-1995, il rendimento annuo dei fondi pensione, era stato del 9,8% nel Regno unito e dell'8,4% negli Stati uniti». Da un governatore che manda messaggi tranquillizzanti sulla ripresa dell'economia, ci saremmo aspettati dati un po' più aggiornati. Se non a oggi, almeno a tutto il 2001. Forse Fazio non è fortunato: mentre, ieri, pronunciava il «de profundis» del sistema pensionistico pubblico, i mercati azionari mondiali subivano un nuovo tracollo. Per molti che si sono costruiti in anni recenti una rendita legata al mercato azionario questo significa non ricevere indietro neppure i soldi investiti. Eppure il governatore, e non solo lui, seguitano a battersi - praticamente e ideologicamente - sulla superiorità del sistema previndenziale privato. Un sistema, naturalmente da costuire con i soldi degli stessi lavoratori, visto che il Tfr è un residuo del passato non più utile.

Gli investimenti azionari vanno misurati nel lungo periodo, ci spiegano. In realtà, spiegava Keynes, nel lungo periodo saremo tutti morti. E il rischio è di vivere gli ultimi anni con una pensione pubblica di pura sussistenza e una pensione integrativa privata inesistente. Un vero futuro di carta. Gli appelli alla moralità rivolti ai lavoratori (moderate le richieste salariali, dice la Bce, accettata una maggiore flessibilità) si accompagnano a uno smantellamento dello stato sociale che in forma privata deve esaltare le capacità imprenditoriali del capitale che sa condurre uno sviluppo molto più sostenuto di quello garantito dalla spesa pubblica, giudicata improduttiva o quasi.

In realtà da un paio di anni stiamo vivendo una fase di arresto della crescita proprio perché l'anarchia del capitale non può garantire uno «sviluppo continuativo». E non a caso a tamponare gli squilibri più pericolosi hanno dovuto provvedere le banche centrali e - negli Usa - la spesa pubblica quasi tutta bellica. Ma il fallimento più grosso è quello che coinvolge da oltre due anni le borse. Nessuno, in nome della libertà del mercato, ha frenato la follia speculativa che gonfiava tra il `97 e il 2000 le quotazioni e sgonfiava le tasche dei risparmiatori. E nessuno ha avuto occhi per vedere quello che stavano combinando grandi società di tutto rispetto (ieri la Enron, oggi Worldcom) che falsavano bilanci, ingannavano i risparmiatori e passavano mazzette agli uomini politici. Spesso con la connivenza delle società di certificazione e di rating. Società che possono anche mettere in crisi oltre che le imprese anche le economie dei paesi assegnando voti da ultimi della classe. Il tutto da un giorno all'altro. Magari dopo aver consigliato di acquistare titoli di società da loro collocate in borsa e per le quali hanno contribuito a gonfiare le quotazioni consigliando acquisti di massa. In tutto questo non c'è solo immoralità (in economia questo concetto non vale) e illegalità, ma una concezione di libertà che rischia di soffocare i diritti di uno stato sociale che in troppi (anche a sinistra) vogliono liquidare.

il manifesto 27 giugno 2002
http://www.ilmanifesto.it