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Visualizza Versione Completa : Le ombre cinesi (o arabe??) di Igor Man



Jan Hus
29-06-02, 01:04
Vènghino, vènghino signori! Vi offriamo le strabilianti analisi di politica estera di Igor Man, che, per un giornale serio come La Stampa, è un po' un fenomeno da baraccone... :D


Le ombre del Fedayn

28 giugno 2002

di Igor Man


Berlusconi auspica che «per il bene della sua gente», Arafat faccia «un passo indietro»; se ne vada, insomma. Il nostro presidente del Consiglio, che ha avuto parole generose per Arafat, «Premio Nobel per la pace», ha detto che se fosse, lui, al posto del vecchio fedayn, «quel passo lo farei». Per chi scrive, Arafat è arrivato al capolinea già da tempo, se non fosse che sia riuscito sempre a cavarsela in extremis grazie, paradossalmente, al suo nemico storico: Sharon. L’assedio, gli arresti domiciliari, la «crisi della mangiatoia» anziché mandarlo in rovina, come la Destra israeliana presumeva, gli han ridato quella popolarità interna, che appariva compromessa da una conduzione allegra della cosa pubblica, e quel prestigio internazionale in tragico declino di fronte alla sua palese incapacità di reprimere gli attacchi suicidi.

Arafat ebbe ragione argomentando contro Sharon, e in polemica coi falchi della Casa Bianca, forte della «comprensione» europea, che chiedergli di frenare il terrorismo suicida togliendogli gli strumenti adatti alla (difficile) bisogna, era un non senso. Oggi al Walid, il Padre, deve fare i conti con una maggioranza silenziosa partorita dalla disperazione esistenziale; oggi al Khitiar, il Vecchio, ha visto trasformarsi il suo gruppo di potere in un nido di vipere (tranne un davvero esiguo numero di fedelissimi). Egli finge di ignorare che Bush, sia pure mai nominandolo, gli abbia dato lo sfratto e lascia capire che all’appuntamento elettorale, da lui stesso fissato, ci sarà: sicuro di essere se non plebiscitato senz’altro, e largamente, rieletto.

Ma di qui a gennaio, in sei mesi, possono accadere infinite cose, due soprattutto: che lo sfratto datogli da Bush diventi esecutivo; che lo facciano fuori (fisicamente). Egli sta velocemente facendo pulizia, è un frullato di rimpasti nei vari apparati palestinesi, tuttavia se fino a due anni fa sarebbe stato assurdo immaginare che si potesse trovare un Pisciotta palestinese, oggi sembra che non sia più così. A Calgary un Bush turbato da un nuovo ignobile scandalo finanziario, incassa attestati di solidarietà: in pubblico, poiché dietro le quinte i suoi alleati avrebbero espresso (Blair in particolare) «perplessità» sul suo discorso, frutto di ben 28 riscritture.

La stessa grande stampa israeliana, passata l’euforia per lo schierarsi di Bush sulla linea di Sharon («Ha parlato come uno del Likud»), riflette sulla «vaghezza» del giovine George W., frutto di un compromesso che avrebbe dovuto accontentare sia i falchi che le colombe della Oval Room. Lo Yediot Aharonot scrive: «Quanti sognavano che il discorso di Bush avrebbe fatto balenare nuove speranze hanno visto i propri sogni andare in frantumi. Bush ha proposto un processo di pace e l’ha poi seppellito con le sue stesse parole».

Qui scatta imperiosamente un dubbio: forse non abbiamo capito. Che per Bush, al contrario dei suoi predecessori, la questione mediorientale non è prioritaria. Avendo optato, dopo lo stupro di Manhattan, per una «politica attiva», avendo lanciato per tanto una guerra prolungata (o infinita) contro la mala bestia del terrorismo islamista, il Presidente non poteva non collocare la tragedia mediorientale se non in codesto più ampio contesto geopolitico, facendone un «luogo» nello spazio drammatico fra la Penisola Arabica e l’Asia Centrale. Non fosse altro perché la sua guerra infinita contro il Male non può prescindere dal concorso di Israele, prima potenza (atomica) della regione.

Durante la Guerra del Golfo Israele dovette rimanere ai box perché l’Armata Rossa (che teneva in ostaggio Gorbaciov) non ne avrebbe consentito l’intervento. Oggi l’URSS non c’è più e Putin si è incartato nella bandiera a stelle e strisce. Bush «deve» attaccare l’Iraq ma vuol poter contare su Sharon e la sua poderosa marina nucleare: per poter tenere a bada gli arabi moderati e non. La Palestina può attendere.


Che dire?

Se vado al Bar dello Sport sento giudizi più acuti e analisi pià accurate.