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Visualizza Versione Completa : Tutti gli enigmi dell'indagine sull'omicidio del professor Biagi



Roderigo
29-06-02, 15:16
Tutti gli enigmi dell'indagine sull'omicidio del professore
L'unica spiegazione plausibile è una "interferenza" dei Servizi
Quelle e-mail rubate dal computer di Biagi
Una "manina" copiò l'archivio prima dell'arrivo dei pm

di GIUSEPPE D'AVANZO

Autentiche. In questa storia oscura le parole del procuratore di Bologna Enrico Di Nicola fanno cadere l'umore. A cento giorni dall'assassinio di Marco Biagi, chi indaga non ha ancora un quadro certo, attendibile dell'archivio del professore, a chi ha scritto, che cosa ha scritto, quando lo ha scritto. Si può ipotizzare che, se in qualche file ci fosse il nome dell'assassino, gli occhiutissimi investigatori non ne saprebbero ancora niente. Pigramente ammettono che nel hard disk in loro possesso "ci potrebbero essere altre lettere ed e.mail", ma sicuramente nelle loro mani ci sono (al momento) soltanto tre lettere: una lettera al ministro del Welfare, Roberto Maroni (23 settembre 2001); una lettera al prefetto di Bologna, Sergio Iovino (1 settembre 2001); una terza al presidente della Camera, Pierferdinando Casini.
Bisogna allora subito chiedersi: da dove vengono le sei lettere (una privatissima non è stata pubblicata) raccolte nel floppy disk che una "manina" avvertita ha infilato in una busta poi imbucata nella cassetta delle lettere di "Zero in condotta"? E soprattutto: quelle lettere sono autentiche?

Le lettere sono originali. "Repubblica" ne ha verificato l'autenticità con fonti primarie e, in un caso (la e.mail a Stefano Parisi, direttore generale di Confindustria), è entrata in possesso della versione originale che la "manina" aveva, per così dire, depurato. Due delle cinque lettere pubblicate sono conosciute dalla Procura (Maroni, prefetto di Bologna), tre non lo sono (a Parisi, al sottosegretario Sacconi, al presidente Casini: quella pubblicata da "Repubblica" è diversa dalla missiva a disposizione dei magistrati).

Autentiche le lettere, sono sul tavolo la prima domanda (da dove vengono?) e le altre che il buon senso sollecita: quante sono le lettere di Marco Biagi ancora sconosciute? Chi e a quale titolo ne è in possesso? Che uso ne ha voluto fare e, soprattutto, che uso ne farà? Che cosa svelano?

* * *

Manina. Un fatto, a questo punto, è certo. Qualcuno, che non è la polizia giudiziaria né la procura di Bologna, ha avuto modo di copiare parte o l'intero hard disk del computer di Marco Biagi e di analizzarne i file. Questo "qualcuno", ammesso che la "manina" sia singola e non di clan, può essere soltanto un uomo degli apparati, va a capire se d'informazione o di investigazione. Per dirla più chiara, la "manina" è o di uno spione o di un poliziotto.

Se è uno 007, ha agito prima dell'arrivo della polizia giudiziaria. E' possibile, poteva averne il tempo e il modo. Soltanto a quarantotto ore dall'assassinio, per fare un esempio, è stato sequestrato dalla procura il computer del professore nel suo studio all'Università di Modena. Se è un poliziotto, è ragionevole pensare che l'uomo abbia partecipato alla fase iniziale delle indagini, le abbia abbandonate successivamente portando via con sé copia, in floppy disk, dei files di Marco Biagi. Anche qui l'ipotesi ha un suo ragionevole riscontro. Uomini della Digos (operazioni speciali della polizia, diciamo la polizia dell'antiterrorismo), più o meno due mesi fa, sono stati allontanati dalle indagini e dirottati formalmente sul terrorismo islamico mentre, per correre dietro agli assassini del professore, è stata costituita una "squadra speciale" che risponde esclusivamente al Viminale.
Diverse le "manine", diverse le "operazioni". Gli "spioni" hanno un obiettivo politico. Anzi due, in una mossa che è regolamento di conti dentro il governo contro il ministro dell'Interno Claudio Scajola e un'aggressione cinica a Sergio Cofferati, tirato dentro l'affare come "mandante morale" del delitto. Un bel colpo. Due piccioni, una sola fava. Che il segretario della Cgil fosse nel mirino del governo lo si era ben capito dalle recentissime dichiarazioni dei ministri Maroni, Scajola, Alemanno, Giovanardi. Ma chi, nel governo, ha sul gozzo Claudio Scajola al punto da tirargli questa fredda coltellata tra le scapole?

Seconda ipotesi. Non si tratta di manina di 007, ma di poliziotto. L'obiettivo varia. L'operazione muta di segno. E' meno "politica", è conflitto di apparati. Il coltello deve finire tra le scapole del capo della polizia Gianni De Gennaro e del ministro Scajola che lo protegge perché c'è un secondo fatto indiscutibile. Le lettere di Biagi svelano che il ministro dell'Interno non ha detto la verità al Parlamento. Forse in cattiva fede. Forse, non informato dal capo della polizia, in buona fede. Nell'uno e nell'altro caso, balza agli occhi senza ombre la responsabilità del Viminale di aver abbandonato al suo solitario destino di morte Marco Biagi. E' necessario riepilogare le date, i fatti, le parole.

* * *

"Qualora dovesse malauguratamente occorrermi qualcosa, desidero si sappia che avevo informato inutilmente le autorità di queste ripetute telefonate minatorie senza che venissero presi provvedimenti conseguenti". (Marco Biagi, 23 settembre 2001).

* * *

Urgenza. Il 6 luglio del 2000 fu chiaro che il pentolone del terrorismo cominciava a borbottare. Due ordigni incendiari messi su alla buona vengono sistemati alle finestre della Cisl di via Tadino a Milano. La "rivendicazione", dieci cartelle via e.mail, del Nucleo Proletario Rivoluzionario è un insensato delirio contro il patto per il lavoro, sottoscritto da Cisl e Uil, rifiutato dalla Cgil: "Il principio di organizzazione sociale che radica il patto di Milano ha un contenuto proto o post-nazista". Marco Biagi ha lavorato a quel "patto". Appare il pericolo. I prefetti di Bologna (25 luglio 2000), di Milano (2 settembre 2000), di Roma (7 settembre 2000) e di Modena (11 settembre 2000) decidono di proteggerlo con una scorta. Passa un anno e, per dirla nel burocratese del ministero, "in occasione delle periodiche verifiche della sussistenza di concrete situazioni di esposizione al rischio" si decide di fare marcia indietro. Per il prefetto di Roma, il 9 giugno del 2001 non c'è più un pericolo che minaccia il professore di Bologna. Marco Biagi, al contrario, si sente ancora "a rischio". E' consulente del ministero del Welfare, è ancora esposto, si sente ancora in prima linea. Forse più di ieri. Il 2 luglio scrive al sottosegretario Sacconi: "Caro Maurizio, ti prego di aiutarmi con la massima urgenza e determinazione. Hanno revocato la mia tutela a Roma confermata invece in altre parti in Italia. Mia moglie è come me allarmatissima". Nello stesso giorno invia una e.mail a Stefano Parisi. Qualcuno, che egli ritiene "assolutamente attendibile" ingrassa la sua angoscia ("Cofferati ti minaccia"). Biagi scrive: "Caro Stefano, intervieni sul questore per ripristinare la mia tutela anche su Roma...". Non accade nulla. Il 15 luglio il professore si decide a interpellare Pierferdinando Casini. Biagi non si dà ragione dello stato delle cose. Era protetto, ed era "estensore tecnico del Patto per il lavoro di Milano", perché non lo è ora che collabora "con Confindustria e Cisl, nonché con il ministro Maroni per realizzare una strategia di flessibilità sul lavoro"? "Caro Presidente, scrive Biagi, ti chiederei la cortesia di fare il possibile affinché venga tutelato a Roma come lo sono a Milano, Bologna, Modena e in genere in tutt'Italia". Casini si muove. Dopo la fine del G8 di Genova incontra Gianni De Gennaro. E' il 24 o il 25 luglio. Il presidente della Camera invita il capo della polizia a risolvere la questione. De Gennaro verifica. I prefetti di Milano, Bologna e Modena ha confermato la protezione. Deve sembrargli sufficiente. Tranquillizza Casini. Per nulla tranquillizzato è Biagi. Il primo settembre scrive al prefetto di Bologna. Ricorda "le telefonate anonime da cui si comprende facilmente che l'interlocutore è al corrente di alcune mie attività per il ministro Maroni nonché dei miei spostamenti fisici". Avverte di averne parlato "con il presidente Casini che ne ha parlato al dott. De Gennaro". Conclude: "Ormai troppe volte mi sono rivolto a lei per segnalare questo stato di cose. Non mi resta che esprimerle di nuovo la mia preoccupazione". La situazione peggiora non migliora accompagnata da una panica esasperazione.

Irragionevolmente, Biagi che si sentiva in pericolo soltanto nelle sue trasferte nella Capitale, si vede cancellare ogni protezione a Milano (il 19 settembre 2001) e due giorni dopo (21 settembre) anche nella "sua" Bologna. Perché? Biagi non riesce a rintracciarne una ragione plausibile. Nessuno gliela offre. E' evidente, ai suoi occhi, che più intensifica la sua collaborazione con governo, Confindustria e Cisl più aumentano i pericoli. Chi lo minaccia sembra sapere tutto di lui, della sua attività, della sua agenda, dei suoi trasferimenti. Biagi scrive a Maroni. E' il 23 settembre, ora ha la scorta soltanto a Modena quando raggiunge l'Università. Scrive al ministro: "Oggi ho ricevuto un'altra telefonata minatoria da un anonimo che asseriva perfino di essere a conoscenza dei miei viaggi a Roma senza protezieone alcuna... Desidero assicurarla che non intendo desistere dalla mia attività di collaborazione con lei e con il ministero. Nel contempo vorrei rappresentarle tutta l'urgenza affinchè vengano presi provvedimenti adeguati...". Sei giorni dopo, Maroni chiede esplicitamente la protezione di Marco Biagi curiosamente non al ministero, non al capo della polizia, non al ministro dell'Interno, ma alla prefettura di Roma. Passa un pugno di giorni e il 3 ottobre anche il prefetto di Modena ritiene "cessate le esigenze di tutela". In quello stesso giorno viene pubblicamente presentato il Libro Bianco. Porta la firma di Marco Biagi. Nello stesso giorno in cui il professore si espone personalmente e diventa anche per l'opinione pubblica, una faccia, un nome, una responsabilità visibile ogni sostegno dello Stato viene a cadere. E' una contraddizione che non ha trovato ancora una decente ragione. Più Marco Biagi avvertiva alle sue spalle i passi degli assassini, maggiore era il livello istituzionale che coinvolgeva nella angoscia che gli pungeva il petto. Più alto era il livello istituzionale allertato (ministro, capo della polizia, presidente della Camera), minore era il grado di protezione che lo Stato era in grado di offrirgli. Dopo Roma, che apre la strada, "cadono" Milano e Bologna. Resta soltanto Modena e anche questa protezione "cade" nel giorno stesso in cui Biagi si consegna ad una sfida pubblica. Quanto pericolosa, lo si poteva immaginare. Le due ruote - dell'esposizione e della protezione - sembrano girare, ciascuna per suo contro, in direzione opposta. E ancora non c'è nessuna plausibile spiegazione di come sia potuto accadere.

* * *

Viminale. Il ministro dell'Interno dice: "Non sapevamo". Il 16 aprile al Senato Claudio Scajola ha scandito al Senato: "Mai vi fu interessamento del ministro" al caso Biagi, "Mai qualcuno lo chiese", "Mai il ministro ne venne informato". E ancora più esplicitamente il ministro aggiunse: "Voglio dirlo forte: né era ipotizzabile il mio interessamento mai richiesto da alcuno su una vicenda di cui non ero mai stato informato". E Casini? Il presidente della Camera non ne parlò con il capo della polizia? Il capo della polizia ne parlò con il ministro prima del delitto? Forse no, forse sì. E' ragionevole ipotizzare però che De Gennaro ne abbia parlato a Scajola almeno dopo l'assassinio del 19 marzo. E allora perché sostenere in Parlamento che "Mai qualcuno chiese" di proteggere Biagi? Perché accreditare l'ipotesi che il Viminale non fosse stato informato e che quel che era accaduto non indicava "profili di responsabilità penale o disciplinare" ma soltanto "distonie e disomogeneità del sistema"? Può reggere oggi questa rappresentazione?

* * *
Bersaglio. Dunque, un primo colpo della "manina" va a segno. Il Viminale sapeva. Per lo meno, nella persona del capo della polizia. E, delle due l'una: o il ministro Scajola non è stato informato dal capo della polizia o sapeva e ha taciuto mentendo al Parlamento. Quale che sia la verità, il Viminale che aveva chiuso il "caso" aggrappandosi agli ingorghi della burocrazia dovrà riaprire il caso con esiti che si annunciano dolorosi per troppi. Ma il colpo della "manina" può essere di lunga durata se si guarda l'affare da un altro punto di vista, da altre date. E' il 3 ottobre 2001. Biagi non ha più la scorta in nessuna della città che frequenta per lavoro (Roma, Milano, Modena) né nella città in cui vive (Bologna). E' un uomo angosciato fino all'esasperazione. Il suo nome è compilato quotidianamente nelle cronache che raccontano lo scontro sulla riforma del mercato del lavoro. Non è più soltanto un addetto ai lavori conosciuto soltanto da addetti ai lavori. E' un personaggio pubblico e riconoscibile che ha messo in gioco il suo nome, la sua dottrina, il suo pensiero in quella riforma. Se già a luglio si sentiva sulla graticola, dopo la presentazione del Libro Bianco e le polemiche che indirettamente lo coinvolgono, deve sentirsi all'inferno. Mancano più di cinque mesi alla sua morte. Possibile che non protesti più, che non si ribelli, che non implori che lo Stato faccia la sua parte con chi lo serve? A chi si rivolge in quei mesi? Con quali toni? E i suoi interlocutori come reagiscono, che pedine muovono se le muovono?
Con ogni probabilità, la "manina" conosce le risposte. Sul floppy disk, nel quale ha copiato l'archivio del professore, quelle lettere ci sono. E deciderà secondo convenienza di renderle pubbliche. Ma per colpire chi? Un ministro del governo troppo potente? Un antagonista inflessibile del governo? O per liquidare qualche presenza ostile nell'apparato della sicurezza? Purtroppo, questa storia oscura è soltanto al primo capitolo.

Repubblica (29 giugno 2002)

Roderigo
29-06-02, 15:34
Una macchinazione indecente

di Annibale Paloscia

La vera notizia è la macchinazione contro Cofferati. Stupisce che questo elemento di valutazione della notizia non appaia chiaramente nella forma in cui Repubblica confeziona i fatti e i commenti. Colpisce anche che lo scoop capiti nel mezzo della campagna di delegittimazione della Cgil lanciata dai ministri Scajola e Giovanardi, secondo i quali definire patto scellerato un accordo che mina i diritti fondamentali dei lavoratori significa invitare al ballo i terroristi. L'aggressione alla Cgil ha avuto una sponda attivissima nei giornali di destra (in prima linea il Foglio) e in tutti i telegiornali, e mescolata con notizie di attentati immaginari propagandati dal ministri della Difesa e dai carabinieri ha introdotto elementi torbidi nella politica interna. E' stato il colmo della sfrontatezza far coincidere le provocazioni con la discussione parlamentare sul nuovo sistema centralizzato delle scorte, messo a punto da Scajola, dopo la frettolosa assoluzione di tutti i prefetti responsabili della mancata protezione a Biagi. Non basta l'assoluzione, non basta l'oscuramento della verità: si mette sotto accusa il sindacato. Graziella Mascia, parlamentare di Rifondazione comunista, ha detto durante il dibattito: «Ho sentito le dichiarazioni irresponsabili di qualche ministro: si tratta di dichiarazioni che scherzano col fuoco, che fanno riferimento al dramma del terrorismo tentando di strumentalizzarlo per colpevolizzare il conflitto sociale e il movimento sindacale».


Quelle lettere dal buio
Su questo scenario di un governo che scherza col fuoco scatta la macchinazione contro Cofferati. In modo misterioso arrivano alla redazione di Zero in condotta, un settimanale di sinistra di Bologna, le copie di cinque lettere scritte da Marco Biagi, il professore di diritto del lavoro, consulente del ministro Maroni, assassinato dalle Br il 19 marzo scorso. Il settimanale si accorda con Repubblica per la contemporanea pubblicazione. Le lettere sono indirizzate al presidente della Camera Casini, al ministro del Lavoro Maroni, al sottosegretario Sacconi, al direttore della Confindustria Stefano Parisi e al prefetto di Bologna. In tutte Biagi esprime l'angoscia di sentirsi nel mirino delle Br, denuncia telefonate minatorie, è giustamente preoccupato dal fatto che chi gli rivolge le minacce dimostra di essere informatissimo sui suoi movimenti e sulla mancanza della scorta. La novità, rispetto alle cose che sapevamo sulle gravi responsabilità degli apparati dello Stato, sono i riferimenti a Cofferati. Se ne parla in due lettere: quella al presidente della Camera e quella inviata per e-mail a Parisi. Nella prima Biagi dice di essere preoccupato perché la sua figura è criminalizzata dai suoi «avversari (Cofferati in primo luogo)». Nella seconda dice: «Non vorrei che le minacce di Cofferati (riferitemi da persona assolutamente attendibile) nei miei confronti venissero strumentalizzate da qualche criminale».


Gli omissis
Il fatto strano è che nel testo arrivato al giornale di Bologna sono omessi il nome del segretario della Cgil e l'inciso in cui si fa cenno alla misteriosa e «assolutamente attendibile» fonte che ha parlato a Biagi delle minacce di Cofferati. Ha ragione Cofferati: «Questo è il lato più oscuro di tutta la vicenda». Qualcuno, strumentalizzando le paure di Biagi, gli fa credere che il segretario della Cgil ha pronunciato delle minacce nei suoi confronti. Biagi è così allarmato che decide di informare sia Casini che Parisi. "Gola profonda" non ha alcuna intenzione di far scoprire il suo ruolo di provocatore. Quell'accenno fatto nella lettera di Biagi a Parisi non gli piace. Chi se non lui stesso poteva avere interesse a cancellare il riferimento alla fonte «assolutamente attendibile»? E chi, se non lui, può avere mandato il testo contenente l'omissione, insieme con le copie delle altre lettere, al giornale Zero in condotta? E qui si apre un nuovo capitolo dei misteri d'Italia. I magistrati della procura della repubblica di Bologna hanno detto di essere in possesso solo di tre lettere di Biagi: quella al prefetto, quella a Maroni e quella a Casini. Ma hanno precisato che il testo di quella indirizzata al presidente della Camera è diverso da quello fatto pervenire a Zero in condotta e non contiene nessun riferimento a Cofferati. A conoscenza di tutte le lettere, compreso quelle sconosciute ai magistrati, possono essere solo i servizi segreti e tramite loro il Governo. In questi paraggi alloggia l'agente provocatore. La macchinazione contro Cofferati è sofisticata: solo un servizio segreto può architettare una trama così sottile. A Bologna c'è il fulcro delle indagini sull'omicidio Biagi. Si sono fatti passi avanti, ma ancora c'è una fitta oscurità sulle strategie e sull'identità delle nuove Br. Il marchingegno di strumentalizzare piccoli giornali di sinistra per campagne di intossicazione del clima politico è stato usato spesso dai servizi segreti di molti Paesi. Il risultato che voleva ottenere "Gola profonda" era solo di gettare ombre sul segretario della Cgil, di discreditare il capo del sindacato contrario a compromessi sull'articolo 18?


Perché senza scorta?
Sono avvenute delle cose strane prima dell'omicidio Biagi. Il settimanale Panorama ha pubblicato un documento proveniente dai servizi segreti in cui si preannunciavano attentati contro sindacalisti ed esperti di diritto del lavoro che partecipavano alle trattative sull'articolo 18. E' stupefacente che anche dopo quel documento Biagi sia stato lasciato senza scorta. Le Br hanno speculato sul clima creato da quel documento e hanno compiuto l'omicidio a ridosso della manifestazione del 23 marzo.

Oggi si è creato di nuovo un clima torbido. I servizi antiterrorismo del Viminale sono in grande allarme. Le Br si risvegliano sempre nei momenti in cui sulla scena politica intervengono fattori di provocazione. Chi manovra questi fattori mette in conto gli input che dà alle Br? E' un interrogativo molto inquietante.

Liberazione 29 giugno 2002
http://www.liberazione.it

Pieffebi
29-06-02, 17:32
da www.iltempo.it :

" TROPPI PERCHÉ RESTANO SENZA RISPOSTA di GIULIANO CAZZOLA

MARCO Biagi, mio amico da trent'anni, era una persona serena, molto equilibrata, capace di tenere i nervi a posto. Prima che lo uccidessero avevamo avuto occasione di parlare diverse volte, ma non mi aveva mai reso partecipe (se non attraverso un vago accenno all'esistenza di problemi, in un tardo pomeriggio di agosto nella sua casa di campagna) del dramma personale che viveva e che traspare chiaramente dalle lettere divenute di dominio pubblico in modo inaspettato e attraverso canali singolari. Questi scritti del povero Biagi sono un pugno nello stomaco del Paese. Marco non era un vigliacco, né un mitomane e neppure gli piaceva atteggiarsi a vittima; era invece un uomo schivo, riservato e coraggioso, dal momento che, nonostante le preoccupazioni sue e della famiglia, non rinunciò mai all'impegno in prima linea per la riforma del diritto del lavoro. Ieri è stata svelata una storia allucinante. Si è scoperto che Biagi non era soltanto un soggetto potenzialmente a rischio in considerazione del ruolo che svolgeva a fianco del ministro Roberto Maroni. Il professore bolognese era stato minacciato ripetutamente, con riferimenti diretti alla sua persona e alla vita che conduceva. Chiunque altro, in analoga situazione, avrebbe ottenuto protezione; quanto meno sulle sue denunce si sarebbero svolte delle indagini.
Ma c'è di più: Marco era una persona con molte relazioni anche importanti; aveva accesso alle più alte cariche dello Stato, le quali - la cosa è confermata negli atti - non furono mai sorde alle sue proteste e si attivarono verso le istituzioni competenti, ricevendo - loro, massime autorità della Repubblica - la solita risposta: non vi sono ragioni per temere una condizione di pericolo. Esistono, allora, delle evidenti responsabilità, che l'inchiesta amministrativa non ha portato alla luce e sulle quali sta ancora indagando la magistratura. L'opinione pubblica non chiede un taglio di teste purchessia, tanto per fare. Non comprendiamo, però, l'assoluta protezione garantita al vertice della Polizia (per altro nominato dalla passata maggioranza) al quale possono essere imputati «infortuni» clamorosi (dalla storiaccia della spedizione punitiva «anti no global» a Genova alla mancata protezione di Marco Biagi).
Quando si ricoprono certi delicati incarichi vi è una responsabilità oggettiva per ciò che accade nell'ambito della propria competenza; e si paga anche per errori altrui. Durante la famigerata prima Repubblica, un ministro della Difesa perse il posto (sebbene non facesse parte certamente del picchetto di guardia all'Ospedale militare al Celio) in seguito alla fuga, rinchiuso in una valigia portata dalla moglie, dell'ex nazista Kappler, il boia delle Fosse Ardeatine. Oggi, i cittadini (che hanno vissuto con grande e commossa partecipazione la morte del professore) devono farsi sentire e pretendere che una inspiegabile incuria amministrativa sia accertata ed eventualmente punita.
Per quanto riguarda, invece, l'altro caso sollevato dalla pubblicazione delle lettere (il rapporto tra Cofferati e Biagi) non intendiamo prestarci a speculazioni di alcun tipo. Ci preme soltanto ricordare che le parole non uccidono, ma possono fare tanto male. Quando una normale vertenza sindacale si trasforma in un giudizio di Dio, quando un accordo che introduce un'innovazione di carattere sperimentale diventa un «patto scellerato» ; se gli avversari sono dipinti come nemici o peggio come traditori, allocchi e felloni, può capitare che quanti sono alla ricerca di un bersaglio da colpire, ringrazino per il suggerimento.
sabato 29 giugno 2002 "

Conclusione eccessiva, ma il massimalismo è senza dubbio...."scellerato", contrario agli interessi generali del paese e degli stessi lavoratori che aizza irrazionalmente in lotte di principio prive di autentico contenuto sindacale, ma soltanto fiancheggiatrici di strategie politiche per.....le future carriere di qualche bonzo e le "rinascite" a sinistra....della sinistretta.

Saluti liberali

Roderigo
29-06-02, 22:08
IL DISSENSO E IL CRIMINE

Aveva ancora la scorta, Marco Biagi, nella primavera dell'anno scorso quando veniva una volta alla settimana a Milano per seguire da vicino la fase di attuazione del «suo» patto Milano lavoro , stipulato l'anno prima da Cisl e Uil con la giunta Albertini, e per insegnare il diritto comunitario al Master europeo in scienze del lavoro alla Statale. Qualche volta consumavamo insieme un panino, in attesa dell'ora della sua lezione, con l'assistenza un po' incombente delle sue due guardie del corpo. Fu in una di quelle occasioni che mi parlò, con amarezza, di un «cordone sanitario» che, anche a Bologna, sentiva intorno a sé in quella che lui stesso considerava come la parte migliore della comunità degli studiosi di diritto del lavoro, della quale era e si sentiva, accademicamente parlando, un «figlio». Anche con la Cgil, che aveva rifiutato di firmare l'accordo milanese da lui progettato e di aderire al centro studi modenese da lui fondato, Marco era in rotta di collisione; ma di quello scontro aspro mi ha sempre parlato come di un fatto scontato e, tutto sommato, fisiologico.
In quel periodo aveva già avuto minacce anonime, scritte e per telefono; ma chi vuole davvero aggredire non preavverte la vittima; e comunque - almeno a Milano - la scorta c'era. Quando, in autunno, Marco mi disse di avere paura ogni volta che varcava la soglia di casa, la scorta gli era stata tolta.
Dell'integrale autenticità dei suoi messaggi di luglio e settembre alle autorità, che in questi giorni vengono resi pubblici, giudicheranno i magistrati; ma che Marco a quel punto si considerasse gravemente esposto e indifeso chiunque gli fosse vicino lo sa. Ai primi di ottobre era uscito il Libro bianco a cui, con altri studiosi, aveva lavorato da tempo; lo scontro politico-sindacale aveva assunto dimensioni nazionali. Marco era costernato perché in quello scontro, muro contro muro, nessuno entrava nel merito delle riforme proposte: queste si erano ridotte a pura causa occasionale per una prova di forza all'ultimo sangue fra governo e opposizione, nella quale la posta in gioco era principalmente un'altra. E mentre i servizi di sicurezza tracciavano un identikit del probabile prossimo bersaglio dei terroristi che corrispondeva a lui in modo impressionante, i suoi editoriali sul Sole 24 ore chiedevano insistentemente che ci si fermasse a ragionare, a riflettere sulle differenze tra il nostro diritto del lavoro e quello degli altri Paesi europei e sulle linee guida per la riforma del mercato del lavoro indicate dall'Unione.
Certo, nessuno è stato più refrattario a quei suoi appelli di quanto lo sia stata la Cgil; ma adombrare per questo che la Cgil possa avere una qualche responsabilità nell'assassinio di Marco Biagi significa non distinguere tra il dissenso (anche molto aspro) e l'aggressione criminale, tra la libera dialettica delle forze politiche e sindacali contrapposte in uno Stato democratico e la violenza omicida. Ancora più inaccettabile è che l'ombra di un sospetto del genere possa allungarsi su Sergio Cofferati. Chi dissente dalle sue idee può imputargli di avere, in quest'ultimo anno, sacrificato all'emergenza politica la capacità progettuale della sua confederazione, di aver preferito alla complessità di un disegno di riforma del nostro mercato del lavoro la semplicità di un messaggio mediatico vincente («no ai licenziamenti»); ma nessuno, neanche chi critica più ferocemente le sue idee, o chi dissente da qualche eccesso di durezza nelle sue ultime battute, può negare che il suo decennio alla guida della Cgil è stato caratterizzato da una non comune trasparenza di comportamento e correttezza verso gli avversari. E Dio sa quanto entrambe siano merce rara sotto questi chiari di luna.

di PIETRO ICHINO
Corriere della Sera 29 giugno 2002

lsu
29-06-02, 22:24
Originally posted by Pieffebi
...

Conclusione eccessiva, ma il massimalismo è senza dubbio...."scellerato", contrario agli interessi generali del paese e degli stessi lavoratori che aizza irrazionalmente in lotte di principio prive di autentico contenuto sindacale, ma soltanto fiancheggiatrici di strategie politiche per.....le future carriere di qualche bonzo e le "rinascite" a sinistra....della sinistretta.

Saluti liberali

"...interessi generali del paese..." è la scusa usata da ogni dittatura per fare quello che vuole.

Gianfranco
29-06-02, 23:28
ma certo che siete uno sgallo....:lol :confused: :lol :lol :lol

lsu
30-06-02, 00:07
Originally posted by Gianfranco
ma certo che siete uno sgallo....:lol :confused: :lol :lol :lol

Translate, please...

:rolleyes:

Pieffebi
30-06-02, 16:06
Originally posted by lsu


"...interessi generali del paese..." è la scusa usata da ogni dittatura per fare quello che vuole.


Gli interessi generali del paese non hanno nulla a che fare con la "dittatura", ne' con quella rossa che piace ai "progressisti", ne' quella nera dei "reazionari". Che i dittatori si richiamino anche ad essi è irrilevante. I dittatori, compresi Hitler e Mussolini, si richiamano anche alla "giustizia" compresa quella "sociale". Vuole forse dire che la giustizia è un argomento da dittatori?
Più pericolosa ideologicamente per una democrazia liberale pluralistica è la ideologica e mistificatoria diversificazione fra "democrazia formale" e "democrazia" sostanziale, sostenuta, probabilmente per la sua insufficiente cultura politica, dal massimalista e opportunista...... Sergio Cofferati.

Saluti liberali

Roderigo
30-06-02, 16:33
Caro Pieffebi, in democrazia esistono opinioni diverse e la libertà di esprimerle. Anche su cosa siano gli interessi generali. Non sta scritto da nessuna parte che gli "interessi generali" coincidano con quelli della confindustria.
Dire che Cofferati è un massimalista, è una sciocchezza più grossa di te.

R.

lsu
30-06-02, 16:36
Originally posted by Roderigo
Caro Pieffebi, in democrazia esistono opinioni diverse e la libertà di esprimerle. Anche su cosa siano gli interessi generali. Non sta scritto da nessuna parte che gli "interessi generali" coincidano con quelli della confindustria.
Dire che Cofferati è un massimalista, è una sciocchezza più grossa di te.

R.

Non sta scritto da nessuna parte che gli "interessi generali" coincidano con quelli della confindustria.


Condivido e faccio mia questa frase.

lsu

Pieffebi
30-06-02, 16:38
C'è sempre qualcuno più massimalista di un massimalista, come c'è sempre uno più meridionale di un meridionale (o settentrionale di un settentrionale). Tu sei come quel palermitano che si risentiva che i milanesi chiamassero meridionali i napoletani....

Gli interessi generali non sono quelli di confidustria, ma sono quelli generali. Sicuramente Confindustria ne ha un'idea più realistica di Cofferati, ma semplicemente perchè gli imprenditori hanno delle ragioni dell'economia un'idea un po' più approfondita dei sindacalisti del "tanto peggio e tanto meglio" e di coloro che si augurano il naufragio del capitalismo....per sostituirlo.

Saluti liberali

lsu
30-06-02, 16:49
Originally posted by Pieffebi
C'è sempre qualcuno più massimalista di un massimalista, come c'è sempre uno più meridionale di un meridionale (o settentrionale di un settentrionale). Tu sei come quel palermitano che si risentiva che i milanesi chiamassero meridionali i napoletani....

Gli interessi generali non sono quelli di confidustria, ma sono quelli generali. Sicuramente Confindustria ne ha un'idea più realistica di Cofferati, ma semplicemente perchè gli imprenditori hanno delle ragioni dell'economia un'idea un po' più approfondita dei sindacalisti del "tanto peggio e tanto meglio" e di coloro che si augurano il naufragio del capitalismo....per sostituirlo.

Saluti liberali

Riassumendo: se gli interessi GENERALI sono contrari o escludono la posizione di alcuni milioni di lavoratori, rimangono GENERALI perchè coincidono con quelli degli imprenditori alias Confindustria.
Evidentemente abbiamo una diversa sensibilità sui termini:

dizionario di lsu:
generale
agg. che si riferisce al genere, non all'individuo o alla specie; che è comune a tutti, a molti, a un complesso di cose: regole generali; assemblea...

dizionario di Pieffebi:
generale
agg. che si riferisce agli interessi degli imprenditori per il bene dell'umanità. Non riferibile necessariamente a tutti o a molti.

Il Tosco
30-06-02, 16:51
Originally posted by Pieffebi
C'è sempre qualcuno più massimalista di un massimalista, come c'è sempre uno più meridionale di un meridionale (o settentrionale di un settentrionale). Tu sei come quel palermitano che si risentiva che i milanesi chiamassero meridionali i napoletani....
Gli interessi generali non sono quelli di confidustria, ma sono quelli generali. Sicuramente Confindustria ne ha un'idea più realistica di Cofferati, ma semplicemente perchè gli imprenditori hanno delle ragioni dell'economia un'idea un po' più approfondita dei sindacalisti del "tanto peggio e tanto meglio" e di coloro che si augurano il naufragio del capitalismo....per sostituirlo.
Saluti liberali PFB, questa volta l'hai fatta fuori dal vasino. Per questo governo, gli "interessi generali" sono in ordine:

-quelli di berlusconi
-quelli dei suoi amici e collaboratori
-quelli dei suoi ministri di FI
-quelli dei notabili di FI
-quelli della confindustria
-quelli degli imprenditori che lo votano
-quelli dei commercianti (che però cominciano a lamentarsi)
-quelli di altre categorie che in questo momento mi sfuggono
-......................
-quelli dei lavoratori

Roderigo
30-06-02, 16:51
Originally posted by Pieffebi
C'è sempre qualcuno più massimalista di un massimalista, come c'è sempre uno più meridionale di un meridionale (o settentrionale di un settentrionale). Tu sei come quel palermitano che si risentiva che i milanesi chiamassero meridionali i napoletani....
C'è sempre qualcuno che usa le definizioni a sproposito, per esempio dando del massimalista a qualcun altro, senza essere minimamente in grado di illustrare il suo programma massimo.
Tu conosci il programma "massimo" di Cofferati? :D


Originally posted by Pieffebi
Gli interessi generali non sono quelli di confidustria, ma sono quelli generali.
Saluti liberali
Gli "interessi generali" non sono una categoria interpretativa, ma solo una espressione retorica. La mia opinione su cosa siano gli interessi generali, vale quanto la tua. Ed è un'opinione diversa.

R.

Pieffebi
30-06-02, 16:56
Io non sono classista. Queste obiezioni fatevele da soli. Siete voi che ritenete che di fatto non esistono interessi genereli conoscendo soltanto quelli "di classe". L'interesse di classe del proletariato è in effetti, per il marxismo ortodosso, la rovina della società capitalistica (ineluttabile) e la costruzione della schiavitù collettivista. Io la penso diversamente: sono liberale e interclassista. Le aziende non sono dirette, per fortuna, da Cofferati e compagni, sennò l'eguaglianza sarebbe davvero assicurata: tutti in miseria (tranne i soliti burocrati della nomenklatura rossa).

Cordiali saluti

lsu
30-06-02, 17:02
Originally posted by Pieffebi
Io non sono classista. Queste obiezioni fatevele da soli. Siete voi che ritenete che di fatto non esistono interessi genereli conoscendo soltanto quelli "di classe". L'interesse di classe del proletariato è in effetti, per il marxismo ortodosso, la rovina della società capitalistica (ineluttabile) e la costruzione della schiavitù collettivista. Io la penso diversamente: sono liberale e interclassista. Le aziende non sono dirette, per fortuna, da Cofferati e compagni, sennò l'eguaglianza sarebbe davvero assicurata: tutti in miseria (tranne i soliti burocrati della nomenklatura rossa).

Cordiali saluti

Con la nomenklatura Confindustriale cambia molto... :rolleyes:

Cambieranno anche i caz**, ma i cul* sono sempre gli stessi

Pieffebi
30-06-02, 17:03
Originally posted by Roderigo

Gli "interessi generali" non sono una categoria interpretativa, ma solo una espressione retorica. La mia opinione su cosa siano gli interessi generali, vale quanto la tua. Ed è un'opinione diversa.

R.


Vedi i termini nella storia assumon determinati significati che non coincidono necessariamente con il loro significato originario e etimologico. I bolscevichi erano, nel 1917 nelle "libere" elezioni di organismi di classe, come "i Soviet" nettamente in minoranza rispetto ai menscevichi (mentre i socialrivoluzionari dominavano quelli contadini), ciò nonostante bolscevico continuava a significare, in lingua russa...Maggioritario e MENscevico....Minoritario. Massimalismo ha assunto il significato, nella stessa terminologia terzo internazionalista, di un radicalismo sterile e parolaio, capace però..... di creare disastri favorendo sia gli estremismi dei rivoluzionari che dei reazionari. Si contrappone in effetti tanto a riformista che a rivoluzionario. Dicesi anche: Intermedista o "centrista" sempre nel linguaggio terzo-internazionalista.

Saluti liberali

Roderigo
30-06-02, 17:44
Il tuo esempio non è pertinente.
I termini possono cambiare di significato, ma il loro uso ha una valenza fintanto che consente di indicare con precisione un concetto o un soggetto. Che bolscevico significhi maggioritario o minoritario, non ha importanza, quel che conta è che tutti sappiamo chi sono i bolscevichi. L'esistenza del partito bolscevico non è una opinione relativa. Il significato di "interesse generale", si. Tutti coloro che rappresentano interessi particolari dicono di voler rappresentare l'interesse generale o di voler conciliare il proprio particolare con il generale (e quest'ultima formulazione, più onesta della prima, è già una rarità). Ma che ciò sia vero o che ci riescano, è tutto da dimostrare. Personalmente, non credo che favorire i privilegi della parte più ricca del paese possa conciliarsi con l'interesse generale. Certamente, la libertà di buttare fuori dalla propria azienda qualsiasi dipendente, senza giusta causa o giustificato motivo, non si concilia con gli interessi di chi viene licenziato e si ritrova senza alcuna tutela. Già l'esclusione di questo interesse, impredisce di parlare di "interssi generali"

R.

Pieffebi
30-06-02, 18:03
Caro roderigo guarda che qui si stava parlando di massimalismo, non di "interesse generale". :K

Saluti liberali

Roderigo
30-06-02, 21:13
Originally posted by Pieffebi
Caro roderigo guarda che qui si stava parlando di massimalismo, non di "interesse generale". :K Saluti liberali
Allora hai sbagliato a quotare.
In ogni caso, non credo esista una definizione di massimalismo,, che si addica a Cofferati.

R.

soviet999
01-07-02, 10:57
Originally posted by Pieffebi


I bolscevichi erano, nel 1917 nelle "libere" elezioni di organismi di classe, come "i Soviet" nettamente in minoranza rispetto ai menscevichi (mentre i socialrivoluzionari dominavano quelli contadini), ciò nonostante bolscevico continuava a significare, in lingua russa...Maggioritario e MENscevico....Minoritario.

Saluti liberali

I bolscevichi avevano una netta maggioranza nei Soviet di Mosca e di Pietrogrado, ovvero gli unici soviet dove vi fosse una forte componente operaia.... nei Soviet contadini la maggioranza era dei SR, da cui si stacco una componente rivoluzionaria (minoritaria di vertici, ma probabilemente maggioritaria di base) che si alleò con i bolscevichi...
...per essere corretti!