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Visualizza Versione Completa : Palestina, cent'anni di storia



Roderigo
29-06-02, 21:56
«I palestinesi», il corposo volume, arricchito di cronologie e di documenti, del giornalista della France Presse Xavier Baron. Un testo da leggere in parallelo con «Vittime» di Benny Morris. Storia di una sconfitta l'uno, storia di una vittoria l'altro. Storia di un conflitto, di un dramma, che si trascina da un secolo e dove, a colpire di più, è la prevalenza e la persistenza delle costanti rispetto alle variabili: la stessa terra per due popoli, la duplice rivendicazione di sovranità. E analisi di occasioni mancate. Come quella del negoziato, che nessuno ricorda, di Taba del 2001
«I palestinesi. Genesi di una nazione» del francese Xavier Baron per Baldini & Castoldi. Ricostruzione puntigliosa di un conflitto fino alla «pace mancata» di Camp David del luglio 2000

GIAMPAOLO CALCHI NOVATI

Se si riesce a superare la fatica di affrontare insieme due volumoni di svariate centinaia di pagine l'uno, sarebbe istruttivo per tutti leggere I palestinesi di Xavier Baron avendo come interfaccia il giustamente celebrato Vittime di Benny Morris (Rizzoli). Non perché i libri del giornalista francese e dello storico israeliano siano «opposti». Anzi. Nel clima infuocato della seconda Intifada e sotto l'impatto emotivo e vagamente ricattatorio degli attentati nelle città israeliane, Morris ha dato la sensazione di rimangiarsi alcuni dei suoi giudizi da «revisionista», ma non potrà mai smentire le conclusioni delle sue stesse ricerche che ha affidato a un libro ormai scritto, con cui Baron, che del resto non cita mai Vittime, si trova più di una volta in sintonia. Eppure i due libri sono paralleli e - anche se, come le famose «convergenze parallele» di Moro, si incontrano appunto in molte analisi - trattano in effetti due storie diverse. Vittime è la storia di una vittoria, I palestinesi la storia di una sconfitta. I fatti sono gli stessi, la terra è la stessa, qui un popolo e là l'altro, uniti, divisi, reciprocamente dipendenti in termini fisici e ideologici, ma Baron riesce a mettere a fuoco sempre e comunque la prospettiva in cui quelle vicende sono state condotte, vissute e risentite dai palestinesi mentre in fondo Vittime è intrinseco all'esperienza sionista e poi israeliana anche quando mette in risalto le ingiustizie e le sofferenze che essa ha recato agli arabi. Un esempio per tutti. Il libro di Morris, è uno dei suoi meriti principali, insiste sul problema dei profughi e così naturalmente il libro di Baron, ma il contributo storiografico di Morris è tutto concentrato sui moventi e i meccanismi dell'«espulsione» e la narrazione di Baron verte piuttosto sull'«esodo» a livello di persone o di masse e delle conseguenze politiche. Studiando con un minimo di approfondimento la storia di quello che è stato chiamato a lungo conflitto arabo-israeliano ma che con il tempo ha assunto sempre più chiaramente i contorni di un confronto per la Palestina fra arabi o palestinesi da una parte e ebrei o sionisti o israeliani dall'altra l'aspetto che colpisce di più è la prevalenza e persistenza delle costanti rispetto alle variabili. Un dramma che si trascina da un secolo e che in molte delle sue componenti è sempre dominato dagli ingredienti fondamentali: l'insediamento di un popolo in un paese abitato da un altro popolo, il possesso delle terre, la duplice rivendicazione di sovranità, il bivio almeno virtuale fra integrazione o separazione. A tanta distanza di tempo, e con le stesse passioni del primo sionismo o dell'immediato dopo-Shoah, la questione della legittimità è ancora irrisolta. Non sono serviti a nulla apparentemente gli atti internazionali, i proclami dell'Onu, gli stessi accordi fra le parti. Un po' per partito preso e un po' per l'obiettiva complessità della materia, l'ideologia è più forte degli avvenimenti così come si sono andati srotolando attraverso le troppe guerre impedendo letteralmente di «vedere» la realtà. Non è solo il trash di cui si compiacciono certuni a inquinare l'approccio della pubblicistica, della politica e dell'opinione pubblica alla guerra in Palestina: Magris in un'intervista a Repubblica si è rifiutato di commentare testi come quelli della Fallaci, dando indubbiamente una prova di serietà, ma anche gli editorialisti che non si abbassano fino all'invettiva riprendono gli stessi argomenti o pseudo-argomenti evitando di confrontarsi con la sostanza della crisi.

Baron fa spesso uso della locuzione «prima volta». Anche per gli atti di «terrorismo» c'è stata una prima volta. Karameh fu la prima, vera o presunta, «vittoria» militare dei palestinesi. E' impressionante però constatare quante volte gli arabi o i palestinesi hanno proposto per la prima volta soluzioni di compromesso offrendo via via la fine della condizione di guerra, poco importa se perché stanchi di combattere e perdere o per una più convinta accettazione del vulnus rappresentato, al di là di tutto, dalla costituzione di uno stato ebraico nel cuore della nazione araba. Se le «prime volte» sono state così numerose, è perché Israele e i suoi alleati hanno continuamente finto di ignorarle. Tutti i governi israeliani, con poche differenze fra destra e sinistra, hanno incassato le concessioni degli arabi, o le vere e proprie dichiarazioni di resa, come quella di Sadat in occasione del suo «storico» viaggio a Gerusalemme ('77), ricominciando a tessere la propria politica partendo dal nuovo fatto compiuto. Nella sua puntigliosa rivisitazione di questa guerra dei cent'anni, che può anche sembrare eccessivamente «evenemenziale», Baron ricorda che il «rifiuto» di Israele da parte dei palestinesi venne accantonato per la prima volta, magari implicitamente, nel remoto giugno 1974, quando - non una singola personalità o un partitino pacifista - il Consiglio nazionale dell'Olp, l'indomani della guerra del Kippur, pur mantenendo come fine strategico la creazione di una Palestina unitaria, statuì il principio della formazione di uno stato palestinese, che allora veniva pudicamente definito «autorità indipendente palestinese», in qualsiasi parte dei territori occupati che Israele avesse restituito. Dal canto suo, Baron è contro gli estremismi e ogni forma di intransigenza e pensa che il rifiuto fosse durato già troppo. Anche il recente piano saudita, che a buon conto Sharon ha respinto anche se ripercorre parola per parola lo schema «due stati per due popoli» con tanto di riconoscimento formale e offerta di pace che la diplomazia internazionale dice di voler perseguire, non è altro che la riedizione del piano di re Fahd addirittura dell'81. Il capo della delegazione palestinese alla Conferenza di Madrid ('91) proclamò senza più mezze misure che la Palestina, «nostra patria», che non ha mai cessato di vivere spiritualmente, doveva ormai prendere vita come stato su tutti i territori occupati da Israele nella guerra del 1967: «Non c'è un popolo superfluo in Medio Oriente, fuori dal tempo o dalla spazio, ma piuttosto uno stato che molto manca nel tempo e nello spazio». Un'ennesima «prima volta».

I palestinesi uscì in Francia per Seuil nel 2000 ma l'edizione italiana ha una nota introduttiva che aggiorna il racconto all'aprile di quest'anno. C'è il modo così di parlare della «pace mancata» di Camp David del luglio 2000, su cui in Occidente è stato costruito un «mito» che non regge alla prova dei fatti. Baron sposta piuttosto l'attenzione sui negoziati di Taba del gennaio 2001, che portarono davvero israeliani e palestinesi alle soglie di un accordo. L'offerta mediata da Clinton non era così equa come si ripete spesso, e comunque Arafat aveva recuperato l'iniziativa arrivando a configurare una soluzione che migliorava i testi su Gerusalemme, i profughi e che soprattutto eliminava ogni parvenza di diktat. Barak chiese una pausa per le imminenti elezioni in Israele dove sarebbe stato duramene sconfitto da Sharon. Senonché i più ricordano Camp David e quasi nessuno Taba. E' tutto il libro di Baron in ogni modo a far capire perché fallì Camp David. Le ragioni sono impresse nella storia di una nazione nata ma non riconosciuta, i cui diritti non sono stati sanciti da un documento ufficiale. Un motivo di più per far rivivere la storia «reale», non quella immaginata, mistificata o manipolata, come in tutta onestà, senza rivelazioni particolari, è nelle intenzioni del libro di Baron, più di trent'anni a France Presse l'autore e 620 pagine di testo con 100 di cronologia e documenti il volume.

il manifesto 29 giugno 2002
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