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Der Wehrwolf
30-06-02, 18:03
Spesso si associa il termine "mondo occidentale" all'Europa.
Non si può fare errore più grande!
L'Europa è la Terra di Mezzo e nulla ha a che spartire con l'occidente anglofono nè con l'oriente asiatico.

"... sarebbe pericoloso e stupido assimilare le culture del Nord Europa - in particolare quella germanica e quella celtica - alla matrice dell'Occidente, così qualsiasi implicito disprezzo verso gli Europei del Sud (tendente a suggerire che in fondo sono "meno europei" di altri) equivale a fare il gioco di coloro che vogliono dividerci per regnare.... [ .. ] questa è la tecnica utilizzata dall'occidentalismo filoamericano: un razzismo intra-europeo a sfavore del sud del nostro continente."

Guillaume Faye, Il sistema per uccidere i popoli


Cosa ne pensate?

Der Wehrwolf
30-06-02, 18:05
Europa un concerto di impotenze

Intervista con Luca Leonello Rimbotti a cura di Maurizio Messina


1) Quando si parla dell’Europa, si pensa ad una area geopolitica dotata di indipendenza politica, autonoma che tuttavia stenta a realizzarsi. Esistono oggi due posizioni assai diversificate: l’una, fa capo agli “euroscettici”, che oltre a svolgere un ruolo di critica serrata nei confronti della UE, non si comprende quali soluzioni prospetti per il prossimo futuro, l’altra, che potremmo definire dei “partigiani di eurolandia”, che identifica l’Europa con un progetto monetarista e tecnocratico senz’anima. Tra le due posizioni, che tipo di atteggiamento si dovrebbe assumere, cercando di mantenere una posizione pragmatica?

L’Europa, oggi, dal punto di vista politico, semplicemente non esiste. Non si tratta di essere “euroscettici” piuttosto che “eurocrati”; si tratta di registrare il dato oggettivo che un governo europeo degno di tal nome non c’è, che non esiste in profondità un progetto politico comune, che mancano alcuni fondamentali requisiti per considerare l’Europa qualcosa di realmente unitario. La scuola classica aveva insegnato che la politica, dal punto di vista teoretico, è la dottrina della potenza dello Stato e della sola scienza politica è quella che mira ad istituire, conservare e potenziare gli Stati. Nulla di tutto questo è oggi sotto i nostri occhi. Manca una concezione sociale, manca l’idea stessa di comunità di popolo, manca un esercito, manca una politica estera. Il Parlamento di Strasburgo, perso nel labirinto delle competenze che divide con i vari Parlamenti nazionali, è una lega delle commissioni che gestisce prezzari e indici finanziari, flussi mercantili e ondate monetarie, che nulla sa di tutela del proprio ruolo storico-geo-politico, del superamento degli schieramenti veteronovecenteschi, della creazione, insomma, di progetti e volontà armonicamente unitari. Colosso commerciale e finanziario, l’Europa è il rachitico nano politico di corte, umile dinanzi al padrone – gli Stati Uniti – alla cui forza si delegano settori vitali, come la difesa: una Federazione che delega il decisionismo in politica estera ad un’altra Federazione, che ha sede in un altro continente e ha altri interessi non è nemmeno una ipotesi di Stato, è uno scherzo burocratico.
Uno Stato sovrano è il luogo del libero decisionismo gestito da un governo investito di autorità legittima in quanto espressione del popolo che rappresenta. L’Europa di Maastricht, figlia dell’europeismo atlantista post-bellico (Adenauer, Schuman, De Gasperi, Spaak…) è la protesi di una volontà politica extra-europea. Gli storici della “ragion di Stato” stabilirono – credo a giusto titolo – che solo un governo e un popolo in grado di dar corso autonomamente alla propria posizione internazionale possono anche scegliere autonomamente la politica interna, determinando così il proprio libero destino. La “finlandizzazione” dell’Europa e l’espulsione dei suoi Stati dalla storia sono oggi un fatto compiuto, sancito dalle regolari scadenze con cui gli USA fanno portare in subordine agli europei il fardello delle loro armi e delle loro scelte economiche. Un occhio pragmatico dovrebbe oggi rifuggire da ogni micronazionalismo da “piede in casa”. Un’accelerazione della visione sociale e comunitaria dell’Europa dovrebbe partire da un ABC politico che sapesse disfarsi di ogni lugubre edonismo utilitaristico. Il cordone ombelicale con le centrali liberiste d’oltre Oceano, che si nutre di quotidiano veleno omologatore, non verrà mai reciso dalle ombre che popolano il governo virtuale di Strasburgo. Tutto dovrà ripartire dall’onda lunga, forse lunghissima, della rinascita identitaria del popolo. Ma tutto è popolo: l’etnia regionale, la nazione storica, la stessa volontà di integrazione fra genti che convivono nello stesso spazio da secoli e millenni e che davvero non credo meritino il castigo di vedersi amministrare come fossero l’Arkansas. Tramontato il senso dello Stato, ciò che è rimasto è la sfiducia di massa: i popoli sentono la falsità di istituzioni irreali e prive di investitura. L’indifferenza finisce poi per rinfocolare l’individualismo sociale propinato dall’alto. Dall’altro capo, vediamo sterili negazionismi, sanculottismi confusi che seguono di nuovo il modello del para-ribellismo giovanilista, di conio neo-sessantottesco, privo di seri progetti di totale antagonismo. Priva di tensione ideale, l’Europa è al di sotto del proprio nome, si presenta come un “concerto delle impotenze”.

2) Ci sono argomentazioni e battaglie di tendenza o autonomia nel campo della ricerca, della difesa, della strategia politica in generale da parte dell’Europa attuale che potrebbero costituire un primo passo per l’affrancamento del Vecchio Continente dal Big Brother di oltre oceano?

L’Europa mostra di non conoscere i suoi interessi. Sovvenziona da sempre gli USA con inesauribili infornate di cervelli privilegiati, senza i quali le famose Università americane non conoscerebbero ricerca alcuna. Le frontiere americane sono, a differenza delle nostre, ben chiuse ai poveracci del mondo. Non così per i cervelli, adescati con prestigi professionali ad Hoc: un master negli Stati Uniti è oggi un must per chiunque ambisca a grandi carriere: ecco il tipo di immigrazione che i veri liberali riservano a sé stessi! Di fronte a questo spettacolo ogni competizione a viso aperto è fuori gioco. Piccoli passi, tuttavia, per allentare la presa dell’occhiuto Grande Fratello se ne potrebbero fare. Penso ad esempio alle grandi possibilità che si avrebbero, in proiezione, con un incremento della sensibilità per i problemi legati all’ambiente, alla qualità della vita e alla protezione della natura. Occorrerebbero però scelte coraggiose. La metodica distruzione delle città, la violenza usata sul territorio, un interventismo per le grandi opere alla sovietica: tutto questo, che investe la vita stessa della gente, potrebbe ingenerare reazioni che, se degnamente supportate, potrebbero portare molto lontano. Tutto ciò che è esagerato, smisurato, grande-numero, pacchiano è made in USA. Se fosse possibile invertire la tendenza, partendo dalla testa dei cittadini, su su fino alla capitale della Federazione Europea (già, ma dov’è?), vedremmo il Big Brother schiumare di rabbia. Le nostre città vivibili e pulite non sono per lui un buon affare. Partite dal basso, ancora una volta. Tutto questo allo zio Sam non piace: ecco un ottimo motivo per farlo. Un altro motivo sul quale ottenere compattemento tra europei e di conserva, sganciamento dagli USA, sarebbe una politica immigratoria radicalmente diversa dall’attuale lassismo da basso Impero. Si dovrebbe ripartire dalla considerazione che non è giusto condannare una civiltà alla sparizione fisica per soddisfare le abituali logiche del profitto neo-schiavistico, oggi sostenute con uguale fanatismo da destra e sinistra. Ma il discorso ci porterebbe lontano. L’Europa dovrebbe abbandonare l’Occidente atlantico al suo destino, anziché elemosinare legittimazione dai dittatori del potere bancario e mediatico. Inoltre, tutti sanno che quell’Occidente dispone anche di una finestra mediorientale che con occhio inquisitoriale ci guarda direttamente dentro casa.

3) Quali le prospettive a breve o medio termine si presentano per l’Europa nel campo geoplitico? Verso quale area si indirizzerà la politica estera dell’Europa, l’est europeo, la Russia e il medio oriente o il Mediterraneo e l’Africa?

Come è noto, la pratica di generale omologazione attuata dagli USA non prevede alcuna politica estera europea. L’interventismo NATO ha strateghi extra e spesso anti-europei. La Gleichschaltung imposta da Washington, l’allineamento dei satelliti, è l’espressione di un potere che non conosce la nostra politica locale, ma soltanto la propria politica mondiale: lo si è visto in occasione della recente guerra alla Serbia, proprio qui in Italia, dove gli americani hanno “suggerito” un governo D’Alema per garantirsi un non contestato coinvolgimento italiano in quella equivoca esibizione di forza. Il vassallo, in grado di tener quieta la possibile protesta diciamo così pacifista, ha potuto dunque garantire tranquilli bombardamenti suoi e altrui ben nascosto tra le gambe del padrone, e senza alcun bisogno di una qualche dichiarazione di guerra. Destra, sinistra, post-comunismo, post-fascismo: tutte sciocchezze europee, ciò che conta, agli occhi dei democratici signori della guerra umanitaria, è ridurre al silenzio chiunque ingombri la strada del potere assoluto planetario. Quanto all’Europa, se solo ne esistesse una, non dovrebbe avere esitazioni nel riconoscere il proprio grande spazio. La storia e la geografia parlano chiaro: Mediterraneo e Medio Oriente. L’est-europeo non sarebbe a quel punto che parte integrante della Federazione, e questa non potrebbe che svilupparsi lungo l’asse Parigi-Berlino-Mosca e da nord a sud. Riprendendo quanto di buono ha recentemente scritto Charles Chametier, sarebbe l’ora di deporre ancestrali sospetti da Quarto Reich verso la Germania, dando vita a franche aperture in ogni direzione e lasciando che il dinamismo europeo aggreghi secondo natura e tradizione. Spazi aperti alla Germania ad oriente, dall’Ucraina alla Slovenia, solidarismo tra le nazioni europee che si affacciano sul Mediterraneo a sud. Con tutto quello che seguirebbe in termini di sfere di influenza, come si diceva una volta. Ma, anche qui, una grande politica estera europea non dovrebbe essere una pantomima americana: agli inevitabili condizionamenti economici, una geopolitica libera dovrebbe accompagnare il confronto culturale, lo scambio, la reciproca affermazione del rispetto. Economie integrate all’interno e capacità penetrativa all’esterno. Tutte cose che favorirebbero un rafforzamento dell’identità e del senso dello Stato dei popoli europei e di quanti oggi costituiscono il serbatoio dell’emigrazione, in luogo dello smantellamento della dignità nostra e altrui. Dovremmo dimenticare gli emotivi irredentismi d’altri tempi; basta con la solitudine del vecchio Stato-nazione liberale, massonico, chiuso, strutturalmente lontano dalla coscienza dei popoli e capace solo di sfociare nella suicida danza macabra del nazionalismo di frontiera. Contro il qualunquismo etnico-culturale, il declino demografico e il duplice assalto degli stranieri ricchi e di quelli poveri, l’Europa potrebbe riscoprire ciò che è sempre stata: una civiltà creativa che si proietta e che coopera per affermare i suoi valori nel mondo.

4) La “stanchezza” culturale degli intellettuali europei rispecchia uno stato patologico di un tramonto irreversibile o una eclisse dovuta all’ennesimo tradimento dei “chierici” dell’atlantismo europei?

La cultura europea, come ognuno può vedere, è morta da un pezzo. Resta, qua e la, qualche intellettuale allo sbando, che come armento smarrito nel post-moderno alza alti lamenti, vagando da un luogo ideologico all’altro con poche idee e nessun costrutto. La corsa all’effimero ha travolto ciò che restava della cultura: “tagliare ciò che dura”, un’attitudine il cui emblema è lo zapping televisivo, “come l’economia di mercato – ha scritto di recente Régis Debray – dove si vedono le quotazioni impennarsi e crollare da un giorno all’altro, senza ragione, perché la Borsa è un eterno happening”. In questo quadro, si può dire che quasi tutti gli intellettuali hanno consumato il loro tradimento, travestendosi in massa da liberali accaniti. In Italia, poi, si hanno i migliori paradossi. A petto di una cultura di destra fiacca e ripetitiva nei suoi rosari d’impotenza, e che tra l’altro non ha mai sviluppato una qualche nuova teoria dello Stato o della Nazione, si ha una sinistra che senza “femminei” pudori si fa in parte liberaldemocratica a tutta faccia e in parte si atteggia a custode del sapere d’alto rango. Basta pensare che oggi i migliori filosofi della Tradizione vengono o sono di sinistra. I vari Cacciari, Vattimo, Galimberti maneggiano Platone e Heidegger assai meglio di molti epigoni della destra, incapaci di coinvolgere il potere in un grande progetto di rilancio della cultura europea, che è quasi tutta anti-progressista, e di creazione di nuovi valori. In generale, l’intellettuale europeo conta poco o nulla. A meno che non diventi direttamente americano, recandosi a lavorare in quella operosa e ricca nazione.

5) L’Europa ha sviluppato nei secoli un proprio modello di civiltà originario, che considera i valori civili della comunità imporsi nella vita sociale ed economica dei singoli. Pertanto lo stato sociale, i diritti fondamentali del cittadino, la sua partecipazione alla vita dello stato sono elementi qualificanti di una storia, di una cultura e di una società europea originale e non assimilabile all’economicismo liberista. I fallimenti dell’Europa dei tecnocrati non dipendono quindi dall’assenza del necessario consenso politico espresso dalla volontà popolare?

E’ evidente che la UE è un grosso testone senza corpo. A Strasburgo i grandi assenti sono i popoli, le nostre etnie. I tecnocrati e i grandi capitalisti, senza ascoltare le opinioni di circa 400 milioni di europei, hanno fatto la loro Confederazione sindacale e l’hanno elevata al rango grottesco di Stato. Nietzsche, che amava l’Europa ma detestava quella del suo tempo – borghese, democratica, commerciante, plebea… - lamentava che il distacco delle etnie dal loro sostrato esistenziale avrebbe prodotto un “branco utile e laborioso…essenzialmente supernazionale e nomade” fatto apposta per servire la razza dei padroni-tiranni. Ma, se pure questi li attribuiva al progresso e al “movimento democratico europeo”, la sua dote profetica non avrebbe mai immaginato quanto a fondo si sarebbe scavato l’abisso tra oligarchie dirigenti e popolo. L’Europa ha sempre conosciuto la partecipazione dal basso. A parte i casi particolari, dall’agorà greca al tribunato romano, dal thing germanico all’assemblea di villaggio o del libero comune, dal mir slavo alla gilda alla corporazione fino ai partiti di massa e allo Stato sociale, il popolo ha molto spesso pesato sulla bilancia del potere. E proprio i regimi totalitari del Novecento poggiavano sui loro istituti sociali d’avanguardia, i loro riti acclamatori di massa, il loro comunitarismo, la loro cultura della solidarietà di popolo, vissuta quotidianamente e non biascicata per devozione democratica. L’idea di Nazione e quella di Popolo sono nate in Europa. “Nazione – scriveva lo Chabod, che non era né fascista né razzista – significa senso della singolarità di ogni popolo, rispetto per le sue proprie tradizioni, custodia gelosa delle particolarità del suo carattere nazionale”. Nell’orgia di etnoesaltazione per i popoli altri, credo che dovrebbe trovar posto un giusto rispetto verso la nostra stessa tradizione, la nostra civiltà, la nostra storia, i volti e le esigenze della nostra gente. La quale ha sempre conosciuto la via della solidarietà, senza sentirsela insegnare da chi applica l’individualismo selvaggio. L’edificazione di un ufficio burocratico estraneo agli interessi dei popoli europei non è esattamente la realizzazione del vecchio sogno di creare la Nazione-Europa. “L’Europa, sia in pace sia in guerra, basta pienamente a sé stessa, poiché non manca né di uomini dediti alle armi, né di coltivatori, né di cittadini”, affermava lo storico Strabone. Questa, duemila anni dopo, è ancora l’Europa possibile. Poiché il male è ciò che è malsano, confuso, degenerato. Come lo Zarathustra di Nietzsche già ricordava, più di cent’anni fa: “Ditemi, fratelli: che cosa per noi è cattivo, anzi più cattivo di tutto il resto? Non è forse la degenerazione?”. Il gigantismo distruttivo degli USA e la prepotenza del potere economico atlantista devono trovare in ogni uomo europeo un baluardo insuperabile. Ricordiamoci che spesso le rivoluzioni iniziano dai piccoli gesti.

Gundam
01-07-02, 01:13
Gli europoidi sono rei di aver lasciato sostituire il luogo dell'anima con il materialismo moderno, hanno abbandonato simboli ed idee,
l'economia ed il businnes sono i nuovi totem, tutto si piega all'interesse ed al benessere!
In natura quando una specie non riesce più a difendere il proprio territorio ed a controllare la propria nicchia è destinata all'estinzione.
Saremo una delle tante civiltà sepolte, questo è quello che gli europoscemi si stanno preparando:mad:

Der Wehrwolf
01-07-02, 18:41
Un concetto sovversivo:
L’ARCHEOFUTURISMO

Come risposta alla catastrofe della modernita

e alternativa al tradizionalismo

di Guillaume Faye*


S O M M A R I O

1. Il metodo: il "Pensiero Radicale"
2. Il quadro concettuale: la nozione globale di Costruttivismo Vitalista
3. La diagnosi: la modernita inizia la convergenza delle catastrofi
4. Il contenuto: l’archeofuturismo
5. Conclusione


Traduzione dall’originale francese di Alessandra Colla

* autore del volume Il Sistema per uccidere i popoli pubblicato in Italia dalla Societa Editrice Barbarossa



1. Il metodo: il "Pensiero Radicale"

Soltanto il pensiero radicale e fecondo. Perche esso solo crea concetti audaci che spezzano l’ordine ideologico egemonico, e permettono di sfuggire al circolo vizioso di un sistema di civilta rivelatosi fallimentare. Per riprendere la formula del matematico Rene Thom, autore della «Teoria delle catastrofi», soltanto i "concetti radicali" possono far crollare un sistema nel caos — la "catastrofe" ovvero cambiamento di stato violento e repentino — al fine di dar vita a un altro ordine.

Il pensiero radicale non e "estremista" ne utopico, dal momento che in questo caso esso non avrebbe alcuna presa sul reale, ma al contrario esso deve anticipare l’avvenire rompendo con un presente in disfacimento.

Il pensiero radicale e rivoluzionario? Oggi deve esserlo, perche la nostra civilta e giunta alla fine di un ciclo e non alla soglia di un nuovo progresso; e perche attualmente non esiste piu alcuna scuola di pensiero che osi proclamarsi rivoluzionaria dopo il fallimento finale del tentativo comunista.

Pertanto e solo avendo di mira nuovi concetti di civilta che si sara davvero portatori di storicita e di autenticita.

Soltanto dei concetti radicalmente nuovi, miranti a un’altra civilta, sono portatori di storicita. Perche un pensiero radicale? Perche esso va proprio alla radice delle cose, vale a dire "fino all’osso": esso rimette in discussione la concezione del mondo sostanziale di questa civilta, l’egualitarismo — il quale, utopico e ostinato, grazie alle sue contraddizioni interne sta portando l’umanita alla barbarie e all’orrore ecologico-economico.

Per agire sulla storia, e necessario creare delle tempeste ideologiche attaccando, come vide benissimo Nietzsche, i valori, fondamento e ossatura del sistema. Oggi non lo fa piu nessuno: di qui il fatto che, per la prima volta, e la sfera economica (televisione, media, video, cinema, industria dello spettacolo e dell’intrattenimento) che detiene il monopolio della ri-produzione dei valori. Il che porta evidentemente a un’ideologia egemonica senza concetti ne progetti in grado di immaginare una rottura, ma invece fondata su dogmi e anatemi. Oggi, dunque, soltanto un pensiero radicale permetterebbe a delle minoranze intellettuali di creare un movimento, di scuotere il mammut, di squassare tramite elettrochoc (o "ideochoc") la societa e l’ordine del mondo. Ma questo pensiero deve imperativamente sottrarsi al dogmatismo, e al contrario coltivare il riassetto permanente ("la rivoluzione nella rivoluzione", unica intuizione maoista giusta); allo stesso modo esso deve proteggere la sua radicalita dalla tentazione nevrotica delle idee fisse, dai fantasmi onirici, dalle utopie ipnotiche, dalle nostalgie estremiste o dalle ossessioni deliranti, rischi inerenti a ogni prospettiva ideologica.

Per agire sul mondo, un pensiero radicale deve articolare un corpus ideologico coerente e pragmatico, dotato di distacco e flessibilita adattativa. Un pensiero radicale e prima di tutto un porsi delle domande, e non gia una dottrina. Cio che esso propone dev’essere declinato secondo le modalita del «e se...?», e non certamente del «bisogna...!». Questo tipo di pensiero aborre i compromessi, le false saggezze "prudenti", la dittatura degli "esperti" ignoranti, e il conservatorismo paradossale (lo statu-quoismo) degli adoratori della modernita, che la credono eterna.

Ultima caratteristica di un pensiero radicale efficace: il saper accettare l’eterotelia, cioe il fatto che le idee non portano necessariamente ai fatti sperati. Un pensiero efficace deve riconoscere di essere approssimativo.

Si naviga a vista, si vira di bordo in funzione del vento, ma si sa dove si va, verso quale porto. Il pensiero radicale integra il rischio e l’errore propri a tutto quanto e umano. La sua modestia, presa a prestito dal dubbio cartesiano, e il motore della sua potenza di messa in moto degli spiriti. Niente dogmi — immaginazione al potere. Con un pizzico di amoralismo, vale a dire di tensione creatrice verso una nuova morale.

E oggi, alle soglie di questo XXI secolo che sara un secolo di ferro e di fuoco e la cui posta in gioco e colossale, ma che e gravido di minacce autenticamente mortali per l’umanita, nel momento in cui i nostri contemporanei sono decerebrati dal "pensiero debole" e dalla societa dello spettacolo — e oggi, proprio quando ci esplode di fronte un vuoto ideologico assordante, che finalmente e possibile e puo avere successo un pensiero radicale. Allo scopo di progettare nuove soluzioni, un tempo impensabili.

Le intuizioni di Nietzsche, di Evola, di Heidegger, di Carl Schmitt, di Guy Debord o di Alain Lefebvre — tutte relative al rovesciamento dei valori — si dimostrano infine realizzabili, come la nietzscheana filosofia a colpi di martello. Il nostro "stato di civilta" e maturo per questo. Lo stesso non era nel recente passato, quando la coppia moderna XIX-XX secolo incubava la sua infezione virale senza ancora subirla. D’altra parte, conviene rigettare subito il pretesto secondo il quale un pensiero radicale sarebbe "perseguitato" dal sistema. Il sistema e stupido. Le sue censure sono permeabili e maldestre. Esso e capace di colpire soltanto le provocazioni folkloristiche e le goffaggini ideologiche.

Nell’intellighenzia europea ufficiale e al potere, il pensiero e stato abbassato al livello di una mondanita mediatica e alla ripetizione stucchevole dei dogmi egualitari. Per tema di infrangere le leggi del "politicamente corretto", per mancanza di immaginazione concettuale o per ignoranza delle poste in gioco reali del mondo presente.

Le societa europee in crisi di oggi sono pronte a essere trapassate da pensieri radicali determinati, muniti da un progetto di valori rivoluzionari e portatori di una contestazione completa ma pragmatica e non utopica dell’attuale civilta mondiale.

Un pensiero radicale, e ideologicamente efficace nel mondo tragico che si prepara, potrebbe unire le qualita del classicismo cartesiano (principi di ragione e di possibilita effettiva, di esame permanente e di volontarismo critico) e del romanticismo (pensiero folgorante richiamantesi all’emozione e all’estetica; audacia di prospettive). Allo scopo di coniugare in una coincidentia oppositorum le qualita della filosofia idealista del "si" e della filosofia critica del "no". Come seppero farlo Marx e Nietzsche nel loro metodo dell’"ermeneutica del sospetto" (imputazione dei concetti dominanti) e del "rovesciamento positivo dei valori".

Un simile pensiero che unisce audacia e pragmatismo, intuizione prospettica e realismo osservatore, creazionismo estetico e volonta di potenza storica, dev’ essere "un pensiero volontarista concreto creatore di ordine".





2. Il quadro concettuale: la nozione globale di Costruttivismo Vitalista

Il mio maestro, il defunto Giorgio Locchi, aveva individuato l’egualitarismo come il centro nodale, l’asse motore, etico e pratico a un tempo, della modernita occidentale in pieno fallimento. Spinto dai suoi lavori, io stesso ne avevo tracciato una importante descrizione critica e storica, in seno al G.R.E.C.E., fra il 1973 e il 1985. In quel contesto avevo proposto per l’avvenire il concetto di anti-egualitarismo. Ma questo termine era ancora insufficiente. Non ci si definisce mai solamente "contro". Un concetto agente dev’essere affermativo e portare senso. Quale sarebbe il contenuto, il principio attivo di questo antiegualitarismo virtuale? Che cosa sarebbe, concretamente, l’antiegualitarismo? Interrogativo all’epoca rimasto senza risposta. Eppure da una risposta chiara puo nascere una mobilitazione.

Del pari, ispirato dai lavori di Lefevre, Lyotard, Debord, Derrida e Foucault, e anche dai testi di Porzamparc, Nouvel o Paul Virilio, avevo cercato di mostrare la necessita di una post-modernita. Ma anche qui, il prefisso latino "post", proprio come quello greco di "anti", non e in grado di definire il contenuto. Non basta dire che l’egualitarismo e la modernita (una teoria e una pratica) non sono adeguati. Bisogna ancora immaginare, definire e proporre cio che e adeguato. La critica di un concetto ha valore solo attraverso l’apposizione di un nuovo concetto affermativo.

E sia: ma quale/i concetto/i suscitare? Permettetemi di fare un passo indietro.

Insieme al defunto e rimpianto Olivier Carre, pittore geniale, avevamo inventato, nel corso di un’emissione radiofonica sovversiva ("Avant-guerre!") di fantascienza estetica e umor nero che metteva in scena un immaginario Impero eurosiberiano (la "Federazione"), la cui bandiera era quella della mia (e di Mitterrand) minuscola provincia natale — l’Angoumois — ma anche quella della Croazia: la scacchiera a quadri bianchi e rossi. Tutto un immaginario. Uno dei concetti centrali era quello di costruttivismo vitalista, che serviva a qualificare la dottrina titanica di una delle ditte giganti di questo Impero bizzarro (la ditta "Typhoon"), che si proponeva niente di meno che di collocare la Terra su di un’altra orbita in rapporto al Sole... E poi, a riflettere bene, mi sono detto che questa gag radiofonico-letteraria, che diede origine anche a un fumetto, era forse il frutto di un "atto mancato" ideologico, di un lapsus linguae ac scripti. Dopo tutto, il surrealismo e il situazionismo avevano sempre insegnato che «i concetti agitatori non devono nascere mai da altro che dal principio di piacere» (Raoul Vaneighem); e che le fondamenta vanno innalzate sulla folgorazione derisoria e alterata. E Andre Breton che ha detto: «e in cio che non e serio che si cela cio che e serissimo». Scavando a fondo in questo concetto intuitivo ho scoperto quattro cose.



Le parole contano enormemente, come vide bene Foucault (nel suo testo Les mots et les choses). Esse sono il fondamento dei concetti, i quali sono a loro volta lo stimolo semantico delle idee, queste ultime costituendo il motore delle azioni. Dare un nome e descrivere e gia costruire.
Non bisogna riprendere come emblemi gli appellativi semantici o i simboli estetici delle ideologie sorpassate che hanno fallito nella storia — l’hanno capito bene i comunisti italiani. Anche l’etichetta di rivoluzione conservatrice sembra troppo neutra, troppo vecchia, troppo storicistica, troppo attaccata agli anni Venti. Un simile fideismo e causa di smobilitazione e inadeguato alle nuove sfide. In conformita con la tradizione movimentata [gioco di parole basato sul doppio senso di "mouvement" = "animazione" ma anche "movimento" in senso politico – N.d.T.] della civilta europea, e opportuno gettare sulla scacchiera della storia delle nuove parole d’ordine. Lo stile resta nella sua essenza, ma cambia forma. Qualsiasi pensiero agente deve essere furioso e metamorfico.

Il termine di "costruttivismo vitalista" definisce globalmente una concezione del mondo e una visione d’insieme concretamente sinergica, in grado cioe di associare due strutture mentali. Per "costruttivismo", dunque, s’intenda: volonta storico-politica di potenza, progetto estetico di costruzione di civilta, spirito faustiano. Per "vitalismo", s’intenda: realismo, mentalita organica e non meccanicista, rispetto della vita e autodisciplina nei confronti di un’etica autonoma, umanita (l’esatto contrario dell’"umanitarismo"), considerazione dei problemi bio-antropologici (fra cui le realta etniche).

Costruttivismo vitalista e l’espressione che io propongo per definire in modo affermativo cio che finora, in mancanza di meglio, abbiamo chiamato antiegualitarismo.

D’altra parte, questo antiegualitarismo definiva il proprio progetto attraverso il concetto sfocato e puramente descrittivo di post-modernita. Io propongo di chiamare il progetto ideologico centrale del costruttivismo vitalista archeofuturismo — come verra spiegato piu oltre.
3. La diagnosi: la modernita inizia la convergenza delle catastrofi

Per definire il contenuto di un eventuale archeofuturismo, e necessario riassumere la critica fondamentale della modernita. Nata dall’evangelismo laicizzato, dal mercantilismo anglosassone e dalla filosofia individualista dei Lumi, la modernita e riuscita a stabilire il suo progetto planetario, fondato sull’individualismo economico, sull’allegoria del Progresso, sul culto dello sviluppo quantitativo, sul "diritto-umanismo" astratto eccetera. Ma e una vittoria di Pirro, dal momento che il progetto (riuscito) di questa concezione del mondo mirante a impadronirsi del Regno Terreno entra in crisi prima di crollare, probabilmente all’inizio del prossimo secolo. La Rupe Tarpea sorge accanto al Campidoglio.

Per la prima volta nella sua storia l’umanita e minacciata da una convergenza di catastrofi.

In questi ultimi anni una serie di "linee drammaturgiche" [nel senso di "evocatrici di eventi drammatici" - N.d.T.] si stanno avvicinando per convergere, come affluenti fluviali e in perfetta concomitanza, intorno agli anni 2010-2020, verso un punto di rottura e di oscillazione irrefrenabile verso il caos. Da questo caos — che sara estremamente doloroso su scala mondiale — puo emergere un nuovo ordine fondato su una visione del mondo, l’archeofuturismo, considerato come concezione del mondo del dopo-catastrofe.

Riassumiamo brevemente la natura di queste linee di catastrofe.



La prima e la cancerizzazione del tessuto sociale europeo. La colonizzazione di popolamento dell’emisfero Nord da parte dei popoli del Sud, sempre piu imponente a dispetto delle affermazioni rassicuranti dei media, e gravida di situazioni esplosive, soprattutto in relazione al crollo delle Chiese in Europa, divenuta terra di conquista da parte dell’islam: il fallimento della societa multirazziale, sempre piu multirazzista e neotribale; la progressiva metamorfosi etno-antropologica dell’Europa, autentico cataclisma storico; il ritorno del pauperismo nell’Est e nell’Ovest; la progressione, lenta ma costante, della criminalita e del consumo di stupefacenti; lo sfaldamento continuo delle strutture familiari; il declino dell’inquadramento educativo e della qualita dei programmi scolastici; l’incepparsi della trasmissione del sapere culturale e delle discipline sociali (imbarbarimento e incompetenza); sparizione della cultura popolare a tutto vantaggio di un abbrutimento delle masse passivizzate dall’elettro-audiovisivo (Guy Debord si e suicidato perche aveva visto troppo giusto nella sua Societa dello spettacolo, scritta nel 1967); il declino costante dei tessuti urbani o comunitari a tutto vantaggio delle zone peri-urbane fluttuanti senza gradevolezza ne coerenza ne legalita ne sicurezza; l’instaurarsi, in Francia particolarmente, di una situazione endemica di sommosse urbane — un Maggio strisciante sempre piu grave —; la sparizione di ogni autorita civile nei paesi dell’ex URSS in preda al declino economico. Tutto questo accade nel momento in cui gli Stati-nazione vedono declinare la loro sovranita senza poter contenere pauperismo, disoccupazione, criminalita, immigrazione clandestina, potere crescente della mafia e corruzione delle classi politiche; e nel momento in cui le elite creatrici e produttive, in preda al fiscalismo e a una sorveglianza economica accresciuta, sono tentate dalla grande avventura americana. Una societa sempre piu egoista e selvaggia, avviata al primitivismo, paradossalmente dissimulata e compensata dal discorso della "morale unica", angelica e pseudo-umanista — ecco quello che ci aspetta, anno dopo anno e in misura sempre crescente, fino al punto di rottura.
Ma in Europa questi fattori di rottura sociale saranno aggravati dalla crisi economico-demografica, destinata a peggiorare sempre piu. A partire dal 2010, il numero di cittadini attivi sara insufficiente per finanziare i pensionati del papy-boom ["papy"=nonnino – N.d.T.]. L’Europa crollera sotto il peso degli anziani; i paesi in via d’invecchiamento vedono la loro economia rallentata e penalizzata dal finanziamento per le spese sanitarie e le indennita pensionistiche dei cittadini improduttivi; inoltre l’invecchiamento isterilisce il dinamismo tecno-economico. L’ideologia egualitaria della (vecchia) modernita ha impedito di porre rimedio a questa situazione, in virtu di due dogmi: prima di tutto l’antinatalita (autentico etno-masochismo) che ha censurato i tentativi di ripristino volontarista della natalita; e poi il rifiuto egualitarista di passare dal sistema assicurativo distributivo ad un sistema di capitalizzazione (fondi pensione). Per farla breve, non abbiamo ancora visto niente. Regneranno disoccupazione e pauperizzazione, mentre prosperera soltanto una classe minoritaria, collegata ai mercati mondiali e appoggiata dalla classe dei funzionari e salariati protetti. L’orrore economico sta per arrivare. L’egualitarismo, per un effetto perverso che prova come esso sia in realta l’esatto contrario della giustizia in senso platonico, costruisce societa oppressive sul piano socio-economico. Lo Stato-Provvidenza socialdemocratico, fondato sul mito del Progresso, crollera sicuramente come il sistema comunista — ma con un fracasso maggiore. L’Europa e in via di terzomondizzazione. Siamo di fronte alla crisi, o piuttosto alla rottura dei chiavistelli dell’edificio socio-economico.

L’America, immenso continente votato alle migrazioni pionieristiche, avvezzo a una cultura brutale e a un sistema conflittuale di ghetti etnici ed economici, sembra meno vulnerabile dell’Europa: essa puo incassare una rottura d’equilibrio, soprattutto di tipo etnico e culturale, perlomeno sul piano della stabilita sociale — nemmeno lei potra sottrarsi a un eventuale sconvolgimento generalizzato.

Terza linea di catastrofe della modernita: il caos del Sud del Pianeta. I Paesi del Sud, scegliendo l’industrializzazione contro le proprie culture tradizionali a dispetto di una crescita fallace e fragile, hanno creato nel loro seno un caos sociale che si va aggravando. L’affarista franco-inglese Jimmy Goldsmith l’aveva analizzato alla perfezione: affermazione improvvisa di colossali metropoli-fungo (Lagos, Citta del Messico, Rio de Janeiro, Calcutta, Kuala-Lumpur...) che divengono giungle infernali; coesistenza di un pauperismo molto prossimo alla schiavitu con ricche e arroganti borghesie autoritarie e minoritarie appoggiate da eserciti di polizia privata destinati alla repressione interna; distruzione accelerata dell’ambiente; ascesa dei fanatismi socio-religiosi eccetera. I paesi del Sud sono autentiche polveriere. I recenti genocidi in Africa centrale, il balzo in avanti di conflitti civili violenti (basati o no sull’estremismo religioso e spesso attizzati dagli USA) in India, Malaysia, Indonesia, Messico eccetera non sono che l’assaggio di un futuro che si preannuncia fosco. L’ideologia egualitaria dissimula questa realta congratulandosi per il "progresso della democrazia" nei Paesi del Sud. Discorso ingannatore, perche si tratta di simulacri della democrazia. E poi, forse che la "democrazia" del modello ellenico-europeo, per effetto perverso (l’eterotelia di Monnerot) e per incompatibilita mentale, non e anch’essa gravida di tragedie se la si applica forzatamente alle culture del Sud? In breve, il trapianto del modello socioeconomico occidentale nei Paesi del Sud si dimostra esplosivo.

Quarta linea di catastrofe, recentemente spiegata da Jacques Attali: la minaccia di una crisi finanziaria mondiale, che sarebbe infinitamente piu grave di quella degli anni Trenta e comporterebbe una recessione generale. Il crollo delle borse e delle valute dell’Asia orientale, unitamente alla recessione che colpisce queste regioni, ne sarebbe il segno precursore. Questa crisi finanziaria avrebbe due cause: a) il fatto che troppi paesi sono indebitati in rapporto alle capacita bancarie creditizie mondiali — e non si parla soltanto dei paesi poveri: l’importo del debito delle nazioni europee e preoccupante. b) Il fatto che l’economia mondiale riposa sempre piu sulla speculazione e sulla logica dei flussi di investimento redditizi (borse, societa fiduciarie, fondi pensione internazionali eccetera): questa prevalenza del monetarismo speculativo sulla produzione fa correre il rischio di un panico generalizzato in caso di crollo dei corsi in un determinato settore — se gli speculatori internazionali ritirassero i loro averi, l’economia mondiale si troverebbe "disidratata", con gli investimenti in caduta libera; la conseguenza sarebbe una recessione globale e violenta, funesta per una civilta che riposa interamente sull’impiego economico.

Quinta linea di catastrofe: l’ascesa dei fanatismi integralisti religiosi, principalmente l’islam ma non solo, dal momento che ora ci si mettono anche i politeisti indiani. Il sorgere improvviso dell’islam radicale e il contraccolpo degli eccessi cosmopoliti della modernita, che ha voluto imporre al mondo intero il modello dell’individualismo ateo, il culto del mercato, la despiritualizzazione dei valori e la dittatura dello spettacolo. Per reazione a questa aggressione, l’islam si e radicalizzato ridiventando nello stesso tempo dominatore e conquistatore, conformemente alla sua tradizione. Globalmente il numero di coloro che lo praticano e in costante aumento, laddove il cristianesimo, che ha perduto ogni aggressivita proselitista, declina — perfino nell’America del Sud e nell’Africa nera — in seguito a quel suicidio che fu il Concilio Vaticano II, la piu colossale gaffe teologica nella storia delle religioni. A dispetto dei dinieghi rassicuranti pronunciati dai media occidentali, l’islam radicale si propaga ovunque come un incendio e minaccia nuovi paesi: Marocco, Tunisia, Egitto, Turchia, Pakistan, Indonesia eccetera. Conseguenze: guerre civili inevitabili nei paesi a doppia religiosita come l’India; scontri in Europa — soprattutto Francia e Gran Bretagna — dove l’islam rischia di divenire nel giro di vent’anni la prima religione praticata; moltiplicazione delle crisi internazionali coinvolgenti gli Stati islamici, alcuni dei quali potranno detenere armi nucleari "sporche". A questo proposito, occorre denunciare la scempiaggine di quanti credono alla possibilita di un "islam occidentalizzato e rispettoso della laicita repubblicana". Invece e impossibile, perche l’islam e sostanzialmente e per sua stessa natura teocratico, e rifiuta l’idea di laicita. Il conflitto sembra inevitabile. Fuori d’Europa, e al suo interno.

Si profila uno scontro Nord-Sud dalle radici teologico-etniche, che con ogni probabilita rimpiazzera il pericolo, per ora scongiurato, il conflitto Est-Ovest. Nessuno sa che forma prendera. Ma sara grave, perche sara fondato su poste in gioco e sentimenti collettivi ben piu forti dell’ex polarita polemica USA-URSS/capitalismo-comunismo, di natura artificiale. Le potenti radici di questa minaccia sono prima di tutto il risentimento tenace, soffocato e dissimulato dei Paesi del Sud di fronte ai loro antichi colonizzatori. La razzializzazione dei discorsi e impressionante. Recentemente un primo ministro asiatico ha dato del "razzista" al governo francese al termine di un litigio economico banale in cui un investitore italiano era stato preferito a un’impresa del suo paese. Questa razzializzazione dei rapporti umani, conseguenza concreta (eterotelica) del cosmopolitismo "antirazzista" della mdernita, affiora con chiarezza anche in Occidente: il leader musulmano nero americano Farrakhan, come i gruppi rap negli USA e in Francia non cessano di invocare surrettiziamente la "vendetta contro i Bianchi" e la disobbedienza civile. Paradossalmente, il cosmopolitismo egualitario ha cagionato il razzismo globalizzato — per adesso ancora strisciante e implicito, ma non per molto. Messi gli uni di fronte agli altri nel "villaggio globale" che e diventata la Terra, i popoli si preparano ad affrontarsi. Ed e l’Europa, vittima di una colonizzazione di popolazione, che rischia di esserne il campo di battaglia principale. E quanti pretendono che sara il meticciato il futuro dell’umanita si sbagliano: in realta il meticciato imperversa soltanto in Europa. Gli altri continenti, principalmente Asia e Africa, formano sempre piu dei blocchi etnici impermeabili che esportano il surplus delle loro popolazioni ma non ne importano di estranee. Punto capitale: l’islam diventa la bandiera di questa rivolta contro il Nord, rivincita freudiana contro l’"imperialismo occidentale". Nell’inconscio collettivo dei popoli del Sud prende piede questa idea-forza: "le moschee si installano in terra cristiana". Vecchia rivincita sulle crociate, ritorno all’arcaico, ritorno della storia, come un boomerang. Gli intellettuali — musulmani od occidentali — secondo cui il fondamentalismo conquistatore e intollerante non e l’essenza dell’islam si sbagliano di grosso. L’essenza dell’islam, come quella del cristianesimo medioevale, e il totalitarismo teocratico imperiale. Quanto a coloro che si rassicurano spiegando dottamente che i paesi musulmani sono "divisi", pensino invece al fatto che quegli stessi paesi sono meno divisi fra loro che uniti contro un avversario comune, soprattutto quando scoppiera l’emergenza. Questa colonizzazione del Nord da parte del Sud sembra un colonialismo debole, confuso, sostenuto soltanto da appelli alla pieta, al diritto d’asilo, all’eguaglianza. E la strategia della volpe (opposta a quella del leone) identificata dal Machiavelli. Ma in realta il colonizzatore, giustificato dall’ideologia occidentale e "moderna" della sua stessa vittima, finge di adottarne i valori che non condivide minimamente. Egli e antiegualitario, dominatore (mentre sostiene di essere lui il dominato e il perseguitato), revanscista e conquistatore. Bella astuzia di una mentalita rimasta arcaica. Per contrastarla, non sarebbe dunque il caso di ridiventare mentalmente arcaici e sbarazzarsi una volta per tutte della penalizzazione smobilitante rappresentata dall’umanismo "moderno"? Altro fondamento di un probabile conflitto Nord-Sud: un litigio politico-economico globale. Guerra per i mercati e le risorse rare in via di esaurimento (acqua potabile, riserve ittiche eccetera); rifiuto delle quote di disinquinamento da parte dei paesi appena industrializzati del Sud; esigenza di questi ultimi di riversare il loro surplus di popolazione nel Nord. Nella storia, a imporsi sono gli schemi semplici. Un Sud complessato, povero, giovane, esageratamente prolifico, fa pressione su di un Nord moralmente disarmato e in via d’invecchiamento. E non dimentichiamo che il Sud si sta dotando di armi nucleari mentre il Nord pusillanime si riempie la bocca con le parole "disarmo" e "denuclearizzazione".

Settima linea di catastrofe: lo sviluppo di un inquinamento incontrollato del Pianeta, che non minaccia soltanto quest’ultimo (esso puo contare ancora su almeno 4 miliardi di anni prima della fine e puo ricominciare daccapo tutta l’evoluzione) bensi la sopravvivenza fisica dell’umanita. Questa rovina dell’ambiente e il frutto del mito liberal-egualitario (ma un tempo anche sovietico) dello sviluppo industriale universale e di una economia energetica per tutti. Fidel Castro, nel suo discorso all’OMS (Ginevra, 14 maggio 1997), dichiarava: «Il clima cambia, i mari e l’atmosfera si riscaldano, l’aria e l’acqua si inquinano, i terreni si erodono, i deserti si estendono, le forsete spariscono, l’acqua si fa rara. Chi salvera la nostra specie? Le leggi cieche e incontrollabili del mercato? La mondializzazione neoliberale? Un’economia che cresce in se e per se come un cancro che divora l’uomo e distrugge la natura? Non puo essere questa la via, o almeno potra esserlo soltanto per un periodo brevissimo della Storia». Nel pronunciare queste parole ispirate Castro doveva avere in testa l’arroganza irresponsabile degli USA che rifiutano di ridurre (summit di Rio e poi di Tokyo) le loro emissioni di diossido di carbonio. Ma certo questo "marxista paradossale" pensava anche all’adesione di tutti i popoli al modello di profitto mercantile puro e a breve termine, che spinge a inquinare, a deforestare, a devastare le riserve ittiche oceaniche, a saccheggiare le risorse rare senza alcuna pianificazione globale. Fidel Castro si appella qui, senza saperlo, non al marxismo, devastatore quanto il liberalismo, ma all’antica saggezza giustizialista platonica.

Bisogna aggiungere che il canovaccio di queste sette linee catastrofiche convergenti e saturo di fattori aggravanti — acceleratori, si direbbe. Alla rinfusa: la fragilizzazione dei sistemi tecno-economici attraverso l’informatica (il famoso bug dell’anno 2000); la proliferazione nucleare nell’Oriente medio ed estremo (Israele, Iraq, Iran, Pakistan, India, Cina, Corea, Giappone...) da parte di paesi in intensa rivalita, dalle reazioni nervose e imprevedibili; l’indebolimento degli Stati di fronte al potere delle mafie che controllano e amplificano il commercio delle droghe (naturali e ultimamente anche chimico-genetiche), ma si appoggiano anche su nuovi settori economici che vanno dal settore degli armamenti a quello immobiliare passando per quello agro-alimentare — queste mafie internazionali, ammoniva un recente rapporto dell’Onu, dispongono di mezzi superiori a quelli delle istituzioni repressive internazionali. E non dimentichiamo il ritorno delle antiche malattie virali e microbiche: crolla il mito dell’immunita sanitaria. L’AIDS ne ha aperto la prima breccia. Soprattutto a causa dell’indebolimento mutageno degli antibiotici e dell’intensita degli spostamenti umani noi siamo minacciati dal ritorno di un disordine sanitario mondiale. Recentemente, nel Madagascar, quattordici casi di peste polmonare non hanno potuto essere risolti. In poche parole, non ci sono dunque tutte le ragioni di pensare che la modernita sta andando dritta dritta a schiantarsi contro un muro e che l’incidente planetario e irreversibile? Forse no... ma forse. L’essenza della storia, il suo motore, non e dunque il carburante della catastrofe? Per la prima volta, la catastrofe rischia di essere globale, in un mondo globalizzato. Robert Ardrey, brillante etologo e drammaturgo americano, nel 1973 profetizzava: «Il futuro dell’umanita assomiglia a un treno carico di munizioni lanciato a tutta velocita e a luci spente in una notte di nebbia».


* * *
Queste catastrofi annunciate sono il frutto diretto dell’incorreggibile fede nei miracoli della modernita: pensiamo al mito dell’alto tenore di vita possibile per tutti su scala planetaria, e alla generalizzazione di economie a forte consumo energetico. Il paradigma dell’egualitarismo materialista dominante — una societa di consumi "democratica" per 10 miliardi di uomini nel XXI secolo senza saccheggio generalizzato dell’ambiente — e utopia allo stato puro. Questa credenza onirica si scontra con delle impossibilita fisiche. La civilta che essa ha prodotto non potra dunque durare a lungo. Paradosso del materialismo egualitario: esso e idealista e materialmente irrealizzabile. E questo per ragioni sociali (esso destruttura le societa) e soprattutto ecologiche: il pianeta non potra fisicamente sopportare lo sviluppo generale di economie iperenergetiche accessibili a tutti gli esseri umani. I "progressi della scienza" non sono poi cosi vicini. Non bisogna rifiutare la tecno-scienza, ma darle un nuovo punto di riferimento, in una prospettiva inegualitaria. Lo vedremo piu avanti.
Il problema, dunque, non e piu di sapere se la civilta planetaria eretta dalla modernita egualitaria sta per crollare, ma quando. Noi ci troviamo dunque in uno stato d’urgenza (l’Ernstfall di cui parlava Carl Schmitt spiegando che l’egualitarismo liberale non aveva mai compreso ne integrato questa nozione fondamentale, perche esso pensa il mondo in maniera provvidenziale e miracolosa, dominato dalla linea ascendente del progresso-sviluppo). La modernita e l’egualitarismo non hanno mai preso in considerazione il loro fine, mai riconosciuto i loro errori, mai saputo che le civilta sono mortali. Per la prima volta, vi e una certezza: un ordine globale di civilta e minacciato di disastro perche fondato su un materialismo idealista paradossale e ibrido. Ora, noi invochiamo una nuova visione del mondo per la civilta del dopo-catastrofe.


4. Il contenuto: l’archeofuturismo

E probabile che soltanto dopo che la catastrofe avra abbattuto la modernita, la sua epopea e la sua ideologia mondiale, una visione del mondo alternativa si imporra per necessita. Nessuno avra la preveggenza e il coraggio di applicarla prima dell’irruzione del caos. Dunque tocca a noi — a noi che viviamo nell’interregnum, secondo la formula di Giorgio Locchi, preparare fin da ora la concezione del mondo del dopo-catastrofe: essa potrebbe essere incentrata sull’archeofuturismo. Ma bisogna dare un contenuto a questo concetto.

a. Essenza dell’arcaismo

Bisogna ridare alla parola "arcaico" il suo vero senso, positivo e non peggiorativo, conformemente al senso del sostantivo greco arche, che significa allo stesso tempo "fondamento" e "inizio", ovvero "stimolo fondatore". Esso significa anche "cio che e creatore e immutabile" e si riferisce alla nozione centrale di "ordine". Attenzione: "arcaico" non vuol dire "passatista", giacche il passato storico ha prodotto la modernita egualitaria che fallisce, e dunque ogni regressione storica sarebbe assurda. E la modernita che appartiene gia a un passato compiuto.

L’arcaismo sarebbe allora un tradizionalismo? Si e no. Il tradizionalismo esalta la trasmissione dei valori e, a giusto titolo, combatte le dottrine della tabula rasa. Ma tutto dipende da quali tradizioni si trasmettono. Non sarebbe possibile accettare qualsiasi tradizione, per esempio quella delle ideologie universaliste ed egualitarie o quelle che sono sclerotizzate, museografiche, smobilitanti. Non conviene allora selezionare fra le tradizioni (i valori trasmessi) quelle che sono positive e quelle che sono nocive? La nostra corrente di pensiero e sempre stata lacerata e indebolita da una frattura artificiale, che opporrebbe i "tradizionalisti" e quelli che sarebbero "rivolti al futuro". L’archeofuturismo puo riconciliare queste due famiglie mediante un superamento concettuale.

Le poste in gioco che agitano il mondo attuale e che minacciano di catastrofe la modernita egualitaria sono gia di ordine arcaico: la sfida religiosa dell’islam; le battaglie geopolitiche e oceano-politiche per le risorse rare, agricole, petrolifere, ittiche; il conflitto Nord-Sud e l’immigrazione di colonizzazione verso l’emisfero Nord; l’inquinamento del pianeta e lo scontro fisico fra gli auspici dell’ideologia dello sviluppo e la realta. Tutte queste poste in gioco ci precipitano di nuovo verso questioni remote. Messi nel dimenticatoio i dibattiti politici quasi-teologici dei secoli XIX e XX, che in fondo erano discorsi sul sesso degli angeli.

Il ricorrere delle "questioni arcaiche" e dunque fondamentali lascia sbigottiti gli intellettuali "moderni" che disquisiscono sul diritto degli omosessuali al matrimonio o su altre faccende insignificanti. La caratteristica della modernita moribonda e la sua propensione alla mancanza di senso e alla commemorazione. La modernita e passatista, mentre l’arcaismo e futurista.

D’altra parte, come presentiva il filosofo Raymond Ruyer (detestato dall’intellighenzia della Rive gauche) nelle sue opere fondamentali Les nuisances ideologiques e Les cents prochains siecles, una volta chiusa la parentesi dei secoli XIX e XX e conclusesi in catastrofe le allucinazioni ideologiche dell’egualitarismo, l’umanita ritornera ai valori arcaici, vale a dire — molto semplicemente — biologici e umani (antropologici): separazione sessuale dei ruoli, trasmissione delle tradizioni etniche e popolari, spiritualita e organizzazione sacerdotale, gerarchie sociali visibili e normanti; culto degli antenati; riti e prove iniziatiche; ricostruzione delle comunita organiche intrecciate dalla sfera familiare al popolo; disindividualizzazione del matrimonio e delle unioni che coinvolgono la comunita allo stesso titolo che gli sposi; fine della confusione tra erotismo e intimita coniugale; prestigio della casta guerriera; ineguaglianza degli statuti sociali, non implicita — il che sarebbe ingiusto e frustrante, come avviene oggi nelle utopie egualitarie — bensi esplicita e ideologicamente legittimata; proporzionalita dei doveri ai diritti; applicazione della giustizia secondo gli atti e non secondo gli uomini, cosa che responsabilizza questi ultimi; definizione del popolo — e di ogni gruppo o corpo costituito — come comunita diacronica di destino e non come massa sincronica di atomi individuali eccetera.

Per farla breve, diciamo che i secoli futuri, nel grande movimento a bilanciere della storia che Nietzsche chiamava "l’eterno ritorno dell’identico", ritorneranno in un modo o nell’altro a questi valori arcaici.

Per noi Europei il problema e di non lasciarceli imporre dall’islam — cosa che, invece, sta accadendo proprio ora e in modo strisciante —, bensi di imporceli nuovamente noi stessi, attingendo alla nostra memoria storica.

Evidentemente l’ideologia oggi egemone — ma senza dubbio non per molto ancora — considera diabolici questi valori. Proprio come un pazzo paranoico vede lo psichiatra che lo cura sotto l’aspetto del demonio. In realta questi sono valori di giustizia. Conformi alla natura umana piu antica, questi valori arcaici rifiutano l’errore dell’emancipazione dell’individuo commesso dalla filosofia dei Lumi, che sfocia nell’isolamento di questo individuo e nella barbarie sociale. Questi valori arcaici sono giusti nel senso platonico del termine, perche prendono l’uomo per quello che e — uno zoon politikon ("animale sociale e organico inserito nella citta comunitaria", secondo la definizione di Aristotele), e non per quello che non e — un atomo asessuato e isolato provvisto di pseudo-diritti universali e imprescrittibili.

Piu concretamente, questi valori anti-individualisti permettono la realizzazione di se, la solidarieta attiva, la pace sociale, laddove l’individualismo pseudo-emancipatore delle dottrine egualitarie puo sfociare soltanto nella legge della giungla.

b. Essenza del futurismo

Una costante della mentalita europea consiste nel suo rifiuto dell’immutabile e nel suo carattere faustiano, tentatore (nei due sensi del termine: "colui che fa dei tentativi" e "colui che fa subire delle tentazioni"), sperimentatore delle nuove forme di civilizzazione. Il fondo culturale europeo, ereditato dall’America, e avventuroso. E soprattutto e volontarista. Esso mira a trasformare il mondo attraverso la creazione di Imperi, o attraverso la tecno-scienza, e sempre per mezzo di grandi progetti. Questi ultimi sono la rappresentazione anticipata di un futuro elaborato. Il "futuro", e non il ciclo storico ripetitivo, e il cuore della visione europea del mondo. Parafrasando Heidegger, la storia e un "sentiero interrotto" che serpeggia nella foresta, oppure il corso di un fiume in cui bisogna incessantemente affrontare pericoli sempre nuovi e sempre nuove scoperte.

D’altra parte, in questa visione futurista, le invenzioni della tecnoscienza (oppure i progetti politici o geopolitici) pensati come sfide non sono assunti in modo soltanto utilitario, bensi anche estetico. L’aviazione, i missili, i sottomarini, l’industria nucleare sono nati da sogni razionalizzati nei quali lo spirito scientifico ha realizzato il progetto dello spirito estetico. L’anima europea e contrassegnata da un’inclinazione al futuro, segno di giovinezza. In una parola, l’anima europea e storificativa [neologismo coniato per l’occasione, nel tentativo di rendere il senso che l’Autore da all’anima europea come "dotata della capacita di agire/creare la storia". Speriamo di esserci riusciti – n.d.t.] e immaginativa (essa immagina incessantemente la storia futura secondo un progetto dato).

Del pari, nell’arte, la civilta europea fu la sola a conoscere un costante rinnovamento delle forme. Ogni ripetizione ciclica dei modelli vi e proscritta. Lo spirito dell’opera e immutabile (polo arcaico) ma la forma deve continuamente rinnovarsi (polo futurista). L’anima europea si colloca sotto il segno della creazione e dell’invenzione permanente — cio che gli antichi greci chiamavano poiesis, ben consapevoli del fatto che l’asse direzionale, i valori, devono restare conformi alla tradizione.

L’essenza del futurismo consiste nel pensare architettonicamente il futuro (e non di fare tabula rasa del passato): nel pensare la civilta — in questo caso europea — come un’opera in movimento, secondo la concezione della musica propria di Wagner; in altre parole, nel considerare il politico non soltanto come la limitativa "designazione del nemico" data da Carl Schmitt, ma come designazione dell’amico e soprattutto come formazione del popolo nel futuro senza mai perdere di mira l’ambizione, l’indipendenza, la creativita e la potenza.

Ma questo dinamismo, questa volonta di potenza, questa proiezione nel futuro si scontrano con diversi ostacoli: prima di tutto la modernita egualitaria li minaccia attraverso la sua morale della "colpevolizzazione della forza" e attraverso il suo fatalismo storico. Poi, in campo sociale, un futurismo deviato puo dar luogo a delle aberrazioni utopiche, per il puro gusto del "cambiamento per il cambiamento". In terzo luogo, la mentalita futurista, abbandonata a se stessa soprattutto nel campo tecno-scientifico, puo rivelarsi suicida, segnatamente nel campo dell’ambiente e dell’ecologia. Nasce di qui il rischio di una deificazione della tecnica, ritenuta in grado di risolvere ogni problema.

Il futurismo, dunque, deve essere temperato dall’arcaismo — addirittura, con una formula un po’ azzardata: l’arcaismo deve epurare il futurismo.

Per finire, la mentalita futurista e andata a cozzare contro delle barriere: limitazione della conquista spaziale per via dei costi elevati, banalizzazione e perdita di senso della tecno-scienza, disincantamento nei confronti di tutti i suoi valori positivi e "poietici" di mobilitazione, spoetizzazione e "disestetizzazione", mercantilismo generalizzato eccetera.

Bisogna dedurne che il futurismo puo divenire di nuovo agente/attore soltanto a patto di lanciarsi su nuove piste. E soltanto il mondo neoarcaico che si delinea all’orizzonte puo ri-orientare il mentale futurista oltre gli impacci della modernita.

c. La sintesi archeofuturista come combinazione filosofica apollineo-dionisiaca

Il futurismo e l’arcaismo rappresentano ciascuno l’intreccio indissolubile dei principi apollineo e dionisiaco, che sono sempre stati apparentemente opposti ma in realta complementari. Il polo futurista e apollineo per via del suo progetto sovrano e razionale di messa-in-forma del mondo, e allo stesso tempo dionisiaco per via della sua mobilitazione estetica e romantica dell’energia pura. Dal canto suo, l’arcaismo e dionisiaco perche tellurico: esso si richiama alle forze eterne e alla fedelta dell’arche; ma allo stesso tempo e apollineo perche si fonda sulla saggezza e sulla stabilita dell’ordine umano.

Si tratta, in buona sostanza, di pensare insieme, secondo la logica inclusiva dell’et-et e non piu secondo quella esclusiva dell’aut-aut, l’iperscienza del futuro e il ritorno alle soluzioni tradizionali affioranti dalla notte dei tempi. Il futurismo e in realta il piu potente degli arcaismo; sulla base di un realismo purissimo, per realizzarsi un progetto futurista deve necessariamente ricorrere all’arcaismo.

Di qui un paradosso: l’archeofuturismo rifiuta qualsiasi idea di progresso — tutto quanto attiene alla concezione del mondo di un popolo deve fondarsi su basi immutabili, anche se le forme e le formulazioni variano col tempo: da 50.000 anni a questa parte l’homo sapiens e cambiato di poco, e i modelli arcaici e premoderni di organizzazione sociale hanno dimostrato la loro validita. Dunque all’idea di progresso l’archeofuturismo deve sostituire quella di movimento.

E possibile notare una straordinaria compatibilita fra i valori arcaici e le rivoluzioni consentite dalla tecno-scienza. Perche? Perche, ad esempio, non e possibile gestire con la mentalita egualitaria e umanitarista moderna le possibilita esplosive dell’ingegneria genetica o quelle delle nuove armi elettromagnetiche. L’incompatibilita fra l’ideologia egualitaria moderna e il futurismo si vede bene nell’inverosimile limitazione dell’industria nucleare civile in Occidente attraverso un’opinione pubblica manipolata, o negli ostacoli pseudo-etici innalzati contro le tecniche transgeniche, la creazione di "ricostruzioni" umane o l’eugenetica positiva.

Il futurismo sara tanto piu radicale quanto piu ridiventera arcaico; e dal canto suo l’arcaismo sara tanto piu radicale quanto piu diventera futurista.

Beninteso, l’archeofuturismo riposa sulla nozione nietzscheana di Umwertung — rovesciamento radicale dei valori moderni — e su una concezione sferica della storia.

Chiariamo il concetto. La modernita ugualitaria, poggiata sulla fede nel progresso e suillo sviluppo senza fine, ha adottato una visione lineare, ascendente, escatologica e soteriologica della storia. Si tratta di una laicizzazione della visione del tempo propria delle religioni salvifiche, del resto ampiamente condivisa sia dai socialismi sia dal democratismo liberale. Invece le societa tradizionali (soprattutto non-europee) sviluppano una visione ciclica, ripetitiva e dunque fatalista della storia. Ma la visione nietzscheana (quella che Giorgio Locchi definiva "sferica") prende le distanze tanto dalla concezione lineare del progresso quanto dalla concezione ciclica.

Di che si tratta? Immaginiamo una sfera, una biglia, che avanza disordinatamente lungo un piano, magari mossa dalla volonta, necessariamente imperfetta, di un giocatore di biliardo. Per forza di cose, dopo diverse rotazioni, lo stesso punto della biglia si trovera nuovamente a contatto del tappeto. E l’eterno ritorno dell’identico — ma non dello stesso. Perche? Perche la biglia non e immobile: se e vero che a toccare il tappeto e lo stesso punto della sfera, tuttavia la sfera medesima non si trova piu nello stesso punto del tappeto toccato precedentemente. Si verifica dunque una situazione simile, ma in un luogo diverso. Lo stesso paragone puo valere per le stagioni, e per la visione della storia propria dell’archeofuturismo.

Il ritorno dei valori arcaici non deve essere concepito come un ritorno ciclico al passato (dal momento che questo passato ha, in tutta evidenza, fallito, poiche ha dato vita a una catastrofica modernita), bensi come un riaffiorare di configurazioni sociali arcaiche in un contesto del tutto nuovo.

Detto in altre parole, si tratta di applicare soluzioni antichissime a problemi totalmenti inediti; ovvero di ricorrere a un ordine dimenticato ma trasfigurato da un contesto storico differente.

Ancora tre precisazioni di natura filosofica: innanzitutto l’archeofuturismo si distingue dall’abituale "tradizionalismo" grazie ad un’analisi differente della tecnoscienza. la quale ultima non dev’essere demonizzata e non e essenzialmente legata alla modernita ugualitaria. Al contrario, essa affonda le sue radici nel patrimonio etnoculturale europeo, segnatamente all’eredita ellenica. Non dimentichiamo che la Rivoluzione francese "non aveva bisogno di scienziati" e ne ha ghigliottinati parecchi.

Seconda precisazione: l’archeofuturismo e una visione metamorfica del mondo. Proiettati nel futuro, i valori dell’arche sono riattualizzati e trasfigurati. Dunque il futuro non e la negazione della tradizione, della memoria storica del popolo, ma la loro metamorfosi e dunque, in conclusione, il loro rafforzamento e la loro rigenerazione. Azzardiamo una metafora: che cos’hanno in comune un sottomarino nucleare e una triremi ateniese? Niente e tutto. L’uno e la metamorfosi dell’altra, ma tutti e due, in due epoche diverse, puntano esattamente allo stesso obiettivo e rispondono ai medesimi valori — anche sul piano estetico.

Terza precisazione: l’archeofuturismo e un pensiero ordinatore — laddove "ordine" e la parola che piu di tutte graffia la sensibilita dei cervelli moderni, preda della fallace etica individualista dell’emancipazione (o pseudo-tale) che ha prodotto sia l’impostura dell’arte contemporanea sia i disordini del sistema educativo o politico-economico attuale.

Ma secondo la visione platonica espressa nella Repubblica l’ordine non e ingiustizia. Ogni pensiero ordinatore e rivoluzionario, e ogni rivoluzione e un ritorno alla giustizia dell’ordine.



Un concetto che non sa fornire esempi della propria applicazione storica non e efficace. Il marxismo ha fallito in parte perche Marx e Engels, impantanati nella "filosofia del no" e nell’ipercriticismo, non hanno dato descrizioni realistiche, anche indicative, della loro "societa comunista". Risultato: se la critica del capitalismo era in certi punti pertinente, al contrario la costruzione concreta del paradigma comunista si e realizzata nell’improvvisazione, secondo l’arbitrio di autocrati e tiranni. Il comunismo e crollato perche, nonostante fosse un pensiero radicale in rapporto all’ordine borghese, esso e rimasto una logica astratta del risentimento che ha tentato di applicarsi mediante dogmi politici sbrigativamente schematizzati. Per il momento si tratta soltanto di aprire delle piste.



La risposta allo scontro Nord-Sud in gestazione e all’ascesa dell’islam
In quel processo di arcaizzazione del mondo iniziato negli anni Ottanta, la geopolitica moderna e stata sconvolta: l’islam riprende la sua avanzata conquistatrice interrotta per qualche secolo dalla colonizzazione europea; grandi movimenti di migrazione colonizzatrice dilagano nell’emisfero nord, come contraccolpo del colonialismo e dell’invecchiamento del Nord; tutta la problematica del XIX e del XX secolo — che opponeva da una parte l’Europa all’America del Nord e dall’altra, in seno al continente euroasiatico, gli "occidentali" (di cui i tedeschi non sempre fanno parte) agli Slavi — sta declinando. La tensione — e un domani lo scontro — e ormai fra il Nord e il Sud. Noi ci troviamo gia di fronte a sfide archeofuturiste.

E aberrante soccombere al mito angelista dell’"integrazione multirazziale" o del "comunitarismo" etnopluralista. La mentalita dei musulmani (non puo esistere un islam "moderato" o "laico"), come quella degli "emigranti di popolamento" del Sud, e anche quella dei giovani figli di immigrati (insediati, in masse sempre piu numerose e aggressive, nelle conurbazioni europee), e perfino quella dei dirigenti delle potenze musulmane ed estremo-orientali in rimonta, dissimulata sotto un’ipocrita vernice occidentale e moderna, e rimasta arcaica: primato della forza, legittimita della conquista, etnismo esacerbato, animalizzazione del nemico, religiosita aggressiva, tribalismo, machismo, culto del capo e degli ordini gerarchici — benche camuffati sotto un repubblicanesimo democratico. Noi viviamo, sotto una formula diversa, il ritorno delle grandi invasioni. Ora, il fenomeno e assai piu grave che all’epoca, poiche oggi gli "invasori" hanno conservato dei "paesi-base", delle madrepatrie con cui sono sempre solidali e che possono difenderli. E che in segreto aspirano a farlo, anche militarmente, in futuro. E per questo motivo che parliamo di colonizzazione piuttosto che di invasione.

La mentalita egualitaria moderna e totalmente incapace di resistervi. Non sarebbe meglio, allora, adottare nuovamente gli stessi valori arcaici che animano gli avversari oggettivi; e che sono, con importanti varianti, quelli di tutti i popoli, prima e dopo la parentesi della modernita?

b) la risposta al declino degli Stati-nazione europei e alla sfida dell’unificazione europea
In questa prospettiva, quello che importa e prepararsi alla possibilita di uno scontro e rompere con l’angelica utopia moderna di una concordia universale. Si tratta di ripensare la guerra non piu sotto la forma moderna delle guerre nazionali, bensi, come nell’Antichita e nel Medio Evo, sotto forma di scontri vitali di grandi insiemi etnici o etno-religiosi. Sarebbe interessante ripensare, sotto forme future in gestazione, quelle macro-solidarieta che furono l’Impero romano o la Cristianita europea. Sarebbe interessante definire in maniera pragmatica l’idea di Eurosiberia, da Brest allo Stretto di Bering, dall’Atlantico al Pacifico, estesa lungo quattordici fusi orari su cui il sole non tramonta mai: il piu vasto insieme geopolitico della Terra, sul quale i dirigenti russi riflettono maldestramente tra i fumi della vodka, ma almeno riflettono. Sarebbe interessante domandarsi se il nazionalismo francese non sia totalmente obsoleto, se lo Stato-nazione in Europa non sia altrettanto anacronistico del monarchismo maurrassiano nel 1920; se la costruzione balbettante e annaspante di uno Stato federale europeo (anche grazie agli utili idioti di cui parlava Lenin), malgrado gli inconvenienti a breve termine, non sia invece il solo mezzo, a lungo termine, come risposta metamorfica del modello imperiale romano e germanico, di preservare i popoli-fratelli del nostro Grande Continente dalla sparizione e dalla sommersione pure e semplici.
E poi interrogarsi: in questa nuova mano da giocare, gli Stati Uniti sono un nemico (come io stesso avevo proclamato tempo fa), cioe un insieme che fa pesare una minaccia, oppure sono semplicemente un avversario e un competitore economico, politico e culturale? Si tratta di porre il problema neo-arcaico della solidarieta globale — etnica, fondamentalmente — del Nord di fronte alla minaccia del Sud. Sia quel che sia, la nozione di Occidente sparisce per cedere il posto a quella di Mondo del Nord, o Nordland.

Come nel Medio Evo e nell’Antichita — vi tornero piu oltre — il futuro esige di considerare la Terra come mosaico di grandi insiemi quasi-imperiali in conflitto-cooperazione tra loro.

L’avvenire non appartiene forse a una Europa neo-federale fondata su regioni autonome? Il che sarebbe la riattualizzazione dell’organizzazione antica e medioevale del continente. Molto semplicemente perche un’Europa tecno-brussellese, allargata, composta da una ventina di nazioni indecise, divise, ineguali, sara un magma apolitico sottomesso agli USA e alla NATO, aperto alla colonizzazione migratoria e alla concorrenza selvaggia dei nuovi paesi industriali. Dopo l’Euro, ritorno a una moneta continentale per la prima volta dalla fine dell’Antichita. E possibile ipotizzare degli Stati Uniti d’Europa come grande potenza federale, aperta all’alleanza con la Russia?

c) la risposta alla crisi della democrazia
Peter Mandelson, teorico politico britannico "di sinistra" artefice del New Labour di Tony Blair, nel corso di un’intervista dell’aprile 1998 al quotidiano londinese "The Guardian", si e cosi espresso: «E legittimo pensare che il regno della democrazia rappresentativa pura sia giunto alla fine. […] La democrazia e la legittimita esigono di essere costantemente rinnovate. Esse hanno bisogno di essere ridefinite ad ogni generazione. La rappresentativita trova un complemento in forme d’impegno piu dirette — da Internet ai referendum. E questo implica un cambiamento di stile della politica, per poter rispondere a questi cambiamenti. La gente non sa che farsene di un metodo di governo che li infantilizza e che non li tiene in alcuna considerazione».
Difficile immaginare un attacco migliore contro il modello "moderno" di democrazia parlamentare occidentale teorizzato da Rousseau nel Contratto Sociale e divenuto ormai obsoleto. Il pragmatismo anglosassone permette spesso aperture ideologiche — purtroppo mal concettualizzate — proibite al dottrinalismo francese, all’idealismo tedesco o al bizantinismo italiano.

Mandelson, eminente testa pensante del New Labour, e archeofuturista senza saperlo. Perche, infatti, che cosa dice? Che la democrazia parlamentare "moderna", ereditata dai paradigmi del XVIII e XIX secolo, non e piu adeguata al mondo del futuro. Lentezza e mollezza delle decisioni; regno del compromesso; assenza di autorita perentoria di fronte all’Ernstfall, il "caso urgente", sempre piu frequente; distanza fra le vere aspirazioni e volonta del popolo e la politica dei governi "democratici"; dittatura delle burocrazie e degli affaristi; paralisi dei parlamenti; carrierismo corrotto degli uomini di partito; improvvisa apparizione massiccia delle mafie eccetera.

La democrazia moderna non difende gli interessi del popolo bensi quelli delle minoranze illegittime. Essa non si fida del popolo reale e scredita il concetto di "populismo" assimilandolo a quello di dittatura — e il colmo. Mandelson suggerisce anche la necessita di restaurare un’autorita politica audace e decisionista, priva di pregiudizi ideologici o pseudo-morali, ma appoggiata sulla volonta del popolo reale, grazie soprattutto «ai mezzi elettronici immediati di voti e consultazioni, prolungamenti di Internet e Intranet, che potrebbero permettere di moltiplicare i referendum». Queste piste sono parecchio interessanti. Esse coniugano, per riformare la democrazia, due elementi arcaici e un elemento futurista.

Primo elemento arcaico: la potenza decisionista sovrana mobilitata dalla volonta diretta del popolo. Ecco cio che rinvia al modello dell’auctoritas della prima repubblica romana, simboleggiata dalla sigla SPQR (Senatus PopulusQue Romanus, il Senato e il popolo romano), associazione strettissima di aspirazione popolare e autorita costituita; e questa auctoritas impone i suoi decreti senza la censura dei giudici o di una "legge" superiore al buon volere del popolo. Al riguardo e anche possibile evocare il modello ateniese del IV e V secolo prima della nostra era.

Secondo elemento arcaico: il riavvicinamento fra istituzioni politiche e popolazione. Lo Stato-nazione moderno, dapprima concettualizzato da Hobbes, ha separato il popolo dalla sovranita, sotto l’illusione di una miglior rappresentazione della volonta generale. Implicitamente Mandelson propone di ritornare al principio — che fu gia ateniese, romano e medioevale — di contiguita fra il popolo e i decisionisti. Del resto il termine demos (democrazia: potere dei demi) significa letteralmente "quartiere" o "distretto rurale". In questa prospettiva, si potrebbe avere in vista un’Europa decentralizzata, in cui i "popoli locali" potrebbero darsi le proprie leggi. Secondo il modello imperiale romano o germanico medioevale.

Terzo elemento, stavolta futurista: la possibilita di consultazioni referendarie immediate attraverso servizi di posta elettronica salvaguardati da codici individuali. L’establishment politico-mediatico, che ha paura del popolo, evidentemente rifiuta questa soluzione, perche teme di veder compromesse le sue manovre. Inoltre, l’ideologia egemonica della modernita si batte e applica la censura (come in biologia) per limitare le possibilita offerte dalla tecnoscienza. La modernita e reazionaria.

Ma che cos’e il popolo, e che cosa sara?

E il laos, la "massa" dei marxisti o dei liberali, cioe la "popolazione presente" fondata sul diritto del suolo; o e invece l’ethnos, comunita popolare fondata sulla legge del sangue, della cultura e della memoria? La modernita tendeva a definire il popolo come laos, come massa sradicata di individui provenienti da ogni dove. Ma il futuro che avanza, inesorabile, risuscita l’etnismo e il tribalismo, su scala locale come su scala mondiale. Domani il popolo sara, ancora e come sempre prima della parentesi moderna, l’ethnos. Vale a dire una comunita a un tempo culturale e biologica. Insisto sull’importanza della parentela biologica per definire un popolo, e mi riferisco in particolare alla famiglia dei popoli europei (e di tutti gli altri): non soltanto perche l’umanita (contrariamente al melting-pot) si definisce sempre di piu come "insieme di blocchi etno-biologici", ma perche le caratteristiche ereditarie di un popolo fondano la sua cultura e le sue mentalita.

d) la risposta alla disgregazione sociale
Lo si vede nel crollo dei sistemi educativi, che non sanno piu contenere l’analfabetismo e la criminalita in eta scolare, perche si fondano sull’illusione dei metodi "non autoritari" d’insegnamento; lo si vede nel progredire della delinquenza urbana, la cui causa non e soltanto l’immigrazione incontrollata, ma il dogma irreale della "prevenzione" onnipotente e l’oblio dell’antico principio di repressione che non ha nulla di tirannico se si basa sul diritto; lo si vede nel declino demografico, la cui causa non e soltanto l’antinatalismo dei governanti e il masochismo etnico dell’ideologia diffusa, ma anche l’individualismo edonista esacerbato che provoca l’esplosione di pratiche antinaturali: automaticita dei divorzi, tra breve ridotti a semplici formalita amministrative, ridicolizzazione e rifiuto ostinato, fiscale e sociale, della casalinga, esplosione dei concubinaggi effimeri e sterili, accettazione dell’omosessualita con coppie omosessuali legali in grado di adottare bambini; comparsa di matrimoni da strapazzo (i ridicoli CUS, contratti di unione sociale) eccetera. Come abbiamo visto prima, il deficit demografico, conseguenza dell’antinatalismo, e destinato a provocare un disastro economico europeo a partire dall’anno 2010, in ragione del deficit crescente dei budget sociali provocati dall’invecchiamento.
Dovunque la modernita trionfalista ma agonizzante fallisce nei suoi intenti di regolazione sociale. Perche, come aveva compreso l’antropologo Arnold Gehlen, essa si basa su di una visione utopica della natura umana, una antropologia fallace.

E probabile che il mondo del dopo-caos dovra riorganizzare i tessuti sociali secondo principi arcaici, vale a dire, in fondo, umani.

Quali sono questi principi? La potenza della cellula familiare dotata di autorita e responsabilita sulla progenie; la prevalenza penale del principio punitivo su quello di prevenzione; la subordinazione dei diritti ai doveri; inquadramento — e non imbrigliamento — degli individui in seno a strutture comunitarie; la forza delle gerarchie sociali rese nuovamente visibili attraverso la solennita di rituali sociali (funzione estetico-magica); la riabilitazione del principio aristocratico, cioe ricompense ai migliori e ai piu meritevoli (secondo i tre principi del coraggio, del servizio e del talento), sapendo che un surplus di diritti comporta un surplus di doveri, ma sapendo anche che un’aristocrazia non deve degenerare in plutocrazia e deve diffidare della deriva ereditaria.

Si tratta dunque di "abolire le liberta"? Paradossalmente, e proprio la modernita "emancipatrice" che ha rosicchiato le liberta concrete proclamando una Liberta astratta. Mentre in Europa diventa praticamente impossibile espellere l’immigrante illegale, le mafie prendono piede e le bande delinquenti beneficiano di una relativa impunita, al contrario i cittadini che giocano al gioco del patto sociale sono sempre piu schedati, sorvegliati, finanziariamente inquadrati, dissanguati e sottoposti a eccessiva pressione fiscale.

Contro questo scacco, non converrebbe restaurare le nozioni medioevali e antiche, ma concrete, di franchigie, di patti comunitari locali, di solidarieta organica di contiguita?

Tanto basta per i principi generali. Probabilmente saranno questi a fondare le societa del futuro, nate dalle rovine della modernita. Per applicarle, per prepararle concretamente, c’e bisogno di nuovi ideologi della nostra corrente di pensiero. E ci sono alcuni interrogativi concreti che vale la pena di porre.

Alla rinfusa: perche mantenere la scuola obbligatoria fino a 16 anni e non accontentarsi di una semplice scolarita elementare, in cui sarebbero insegnate con disciplina ed efficacia le materie di base? Dopo i 13 anni, si sarebbe liberi di scegliere per un apprendistato lavorativo o per il proseguimento degli studi. Si uscirebbe cosi dalla sclerosi del sistema attuale, fonte di fallimento scolastico, di incivismo, di ignoranza, di analfabetismo e di disoccupazione. Un ciclo primario disciplinato e inquadrato formerebbe giovani di un livello piu elevato di quelli che escono oggi da un ciclo secondario scalcinato, spesso quasi analfabeti. Ogni disciplina e liberatrice. In che cosa una scolarita a due velocita, fondata su di una selezione rigorosa e su di un sistema di borse di studio in grado di evitare la plutocrazia e la dittatura del denaro, e ingiusta se grazie ad essa vi e circolazione delle elite e meritocrazia?

Le nuove societa del futuro potranno assistere all’abolizione dell’aberrante sistema egualitario attuale in cui "tutti vogliono essere ufficiali", o quadri, o diplomati, quando evidentemente la maggioranza non ne ha le capacita. Questo modello e fonte di frustrazioni e genera fallimenti e risentimento sociale. Societa innervate da tecnologie sempre piu sofisticate reclameranno al contrario il ritorno alle arcaiche norme gerarchiche, in cui una minoranza competente e meritocratica e selezionata duramente per dirigere l’insieme. Coloro che occuperanno posizioni subalterne, in una societa non egualitaria, non se ne sentiranno frustrati e la loro dignita non sara messa in discussione, poiche essi accetteranno la loro condizione, utile in seno alla comunita organica. Essi saranno liberati dall’hybris individuale della modernita che postula, implicitamente, che tutti hanno il diritto di diventare scienziati o principi.

Altro esempio: nel trattamento della delinquenza, il futuro ci obblighera a ripensare i metodi moderni inefficaci di prevenzione e di reinserimento a vantaggio di una rivoluzione giuridica che riabiliti i metodi arcaici di repressione e di rieducazione forzata. Inoltre bisogna cambiare logica mentale.

In breve, i modelli sociali del futuro, in virtu dell’introduzione delle "ipertecnologie", non ci dirigono verso una situazione di maggiore egualitarismo (come credono gli stupidi apologeti della pancomunicazione grazie a Internet), ma verso il ritorno a modelli sociali arcaici gerarchizzati. Del resto, anche gli imperativi della concorrenza tecnologica mondiale e della guerra economica per i mercati e le risorse rare vanno in questo senso: conquisteranno alla loro causa i popoli in possesso dei "blocchi elitari" piu potenti e piu selezionati, e le masse piu organicamente integrate.

e) la risposta all’indecisione planetaria, all’inadeguatezza dell’"arnese" ONU e al rischio di scontri generalizzati
Gli Stati-nazione dell’ONU — dagli USA alle Isole Fiji — sono incapaci di condurre questa nave spaziale affollata che e divenuta la Terra. Lo si e visto al vertice di Tokyo, incapace di fondare un’intesa su una politica comune per evitare le catastrofi ecologiche che cominciano. Sarebbe meglio avere in vista l’organizzazione del pianeta, a medio termine, in sette od otto grandi insiemi "neo-imperiali" decisionisti e negoziatori. Cosi ci si riallaccerebbe, in forma diversa, all’antica organizzazione del mondo fondata su blocchi analoghi.
Scenario: un blocco sino-confuciano, un insieme euro-siberiano, poi un altro arabo-musulmano, e ancora uno nord-americano, uno africano, uno sud-americano e infine un ultimo comprendente il Pacifico e l’Asia peninsulare.

f) la risposta al caos economico ed ecologico
L’abbiamo visto sopra: il paradigma economico moderno, fondato sulla credenza nei miracoli, si scontrera con delle impossibilita fisiche. L’utopia dello "sviluppo" per 10 miliardi di uomini e ecologicamente impossibile.
Il crollo prevedibile dell’economia-mondo attuale permette di intrevedere e di formulare l’ipotesi di un modello rivoluzionario fondato su una economia mondiale autocentrata e inegualitaria. La quale ci sara forse imposta dalle circostanze e dal caos, ma che sara meglio prevedere e organizzare. Questa ipotesi riposa su tre grandi paradigmi. Lo scenario archeofuturista:

1) la maggioranza dell’umanita ritorna a un’economia rurale e artigianale pre-tecnica di sussistenza, con una struttura demografica neo-medioevale. L’Africa, come tutte le popolazioni dei paesi poveri, sarebbe interamente coinvolta in questa rivoluzione. La vita comunitaria e tribale riprenderebbe i suoi diritti. La "felicita sociale" sarebbe probabilmente superiore a quella dei paesi-giungla di oggi come la Nigeria o delle megalopoli-fogna come Calcutta o Citta del Messico. Anche nei paesi industrializzati — India, Russia, Brasile, Cina, Indonesia, Argentina eccetera — una parte importante della popolazione potrebbe ritornare a questo modello socio-economico arcaico.

2) Una minoranza dell’umanita conserverebbe il modello economico tecno-scientifico fondato sull’innovazione permanente. Essa formerebbe una "rete di scambio planetario" concernente piu o meno soltanto un miliardo di persone. Il vantaggio considerevole sarebbe un inquinamento molto meno importante di quello attuale. Del resto non si vede altra soluzione per salvare l’ambiente mondiale poiche le energie non-inquinanti non saranno disponibili nell’immediato futuro.

3) I grandi blocchi a economia neo-arcaica sarebbero autocentrati su scala continentale o pluricontinentale, e non effettueranno scambi reciproci. Soltanto la parte tecnoscientifica dell’umanita si dedicherebbe agli scambi planetari.

Questa economia mondiale a due velocita coniuga dunque arcaismo e futurismo. Alla parte tecnoscientifica dell’umanita dovrebbe essere proibito intervenire nelle comunita neo-medioevali di maggioranza, e soprattutto "aiutarle". Beninteso, per uno spirito moderno ed egalitario questo scenario e mostruoso. Ma in termini di benessere collettivo reale — dunque di giustizia — questo scenario rivoluzionario potrebbe mostrarsi pertinente.

D’altra parte, alleggerita dal peso economico delle zone "in via di sviluppo" e "bisognose di aiuto", la parte minoritaria dell’umanita vivente in un’economia tecno-scientifica potrebbe seguire un ritmo d’innovazione molto piu sostenuto di oggi. Inoltre, il ritorno all’arcaismo beneficia del futurismo e viceversa.

Beninteso, qui si tratta soltanto di un abbozzo, una pista. Tocchera agli economisti realizzarla.

g) la rivoluzione delle biotecnologie
E in campo biologico che la necessita dell’archeofuturismo sembra piu esplicita. Le mentalita moderne ed egualitarie, impegolate nella trappola colpevolizzante dell’"etica" dei diritti dell’uomo, non sono capaci di assumere le avanguardie della biologia. Esse inciampano su barriere morali, in realta para-religiose. Il modernismo finisce col divenire antiscientifico. Esso compromette gli sviluppi dell’ingegneria genetica. Esso compromette gli sviluppi dell’ingegneria genetica e transgenetica. Il paradosso e che soltanto una mentalita neo-arcaica ci permettera di utilizzare le applicazioni delle tecnologie genetiche oggi continuamente frenate. La mentalita moderna conosce in realta un blocco importante: l’antropocentrismo e la sacralizzazione egualitaria della vita umana, ereditata dal cristianesimo laicizzato.
Prendiamo numerose applicazioni della tecnologia biologica gia in via di realizzazione, lo stadio della sperimentazione animale essendo gia stato superato.

Tanto per cominciare, le tecnologie di eugenetica positiva, che permetteranno non soltanto di guarire le malattie genetiche ma di migliorare, per via transgenica, le prestazioni ereditarie secondo criteri scelti. Poi ricordiamo l’applicazione — gia prevista — sull’uomo di una tecnologia gia felicemente riuscita sugli animali: la creazione di ibridi intraspecifici, i "manipolati" o "chimere umane" dalle innumerevoli applicazioni. Due ricercatori americani hanno gia depositato un brevetto di questo tipo, per ora bloccato dai "comitati etici" politicamente corretti. Ibridi uomo-animale o esseri viventi semiartificiali avrebbero peraltro innumerevoli applicazioni. Per esempio i cloni umani decerebrati da utilizzare come banca di organi. Il che eviterebbe gli odiosi traffici di organi ai danni delle popolazioni povere dell’America andina.

Evochiamo anche l’applicazione all’essere umano di una tecnica gia sperimentata sugli ovini in Scozia: la nascita senza gravidanza, attraverso lo sviluppo dell’embrione in un ambiente amniotico artificiale, l’incubatore.

E evidente che i sostenitori delle ideologie moderne considerano satanica la semplice evocazione delle tecniche citate. Tuttavia, esse divengono possibili... Allora e meglio censurare brutalmente un luminoso spiraglio scientifico o riflettere intelligentemente sulla sua utilizzazione sociale?

h) l’etica archeo-futurista
L’archeofuturismo ci permetterebbe di sbarazzarci della piaga del modernismo egualitario, assai poco compatibile col secolo di ferro che ci attende: lo spirito malaticcio dell’umanitarismo, un simulacro d’etica che erige la "dignita umana" a dogma ridicolo. Senza dimenticare l’ipocrisia: perche tutte queste anime belle dimenticano spesso di denunciare ieri i crimini comunisti e oggi l’embargo di Irak e Cuba decretato dalla superpotenza americana, gli esperimenti nucleari indiani, l’oppressione dei Palestinesi eccetera.
Questo spirito funziona come un’impresa di disarmo morale, ponendo divieti paralizzanti, tabu colpevolizzanti, che impediscono concretamente all’opinione pubblica e ai dirigenti europei di fronteggiare le minacce.

Ma in realta, sotto la copertura dei principi morali, si tratta soltanto di promuovere una politica estremista mirante alla distruzione del substrato europeo e dell’Europa in quanto tale. Per esempio, il battage contro le espulsioni (tuttavia legali) dei "sans-papiers", cioe degli immigrati clandestini e illegali, agitato dall’intellighenzia e dallo show-business francese, mira a rendere intoccabile ogni immigrante in nome dei diritti dell’uomo e degli pseudoprincipi caritativi di commiserazione. L’ideologia sottesa, il vero disegno, e — in una prospettiva neo-trotzkysta — la sommersione dell’Europa a causa del surplus demografico dei popoli del Sud.

Altro dramma: le campagne contro l’industria nucleare che sfociano nello smantellamento delle centrali svedesi e tedesche e alla rinuncia al nucleare da parte degli Europei, eccetto la Francia che e l’unica a resistere ancora, ma per quanto tempo? Mentre invece, eccettuati pochi incidenti per altro controllabili, tutti sanno che quella nucleare e la meno inquinante delle energie disponibili.

Si tratta inoltre di indebolire l’Europa sotto il pretesto dell’umanesimo, privandola di tecnologie energetiche avanzate di indipendenza economica e, allo stesso tempo, di una dissuasione nucleare integrata. La leva di questa manipolazione di cui e vittima l’ingenua borghesia intellettuale e artistica europea, si rivela un’ipertrofia mostruosa e irresponsabile dell’"ama il prossimo tuo come te stesso", un’apologia della debolezza, una svirilizzazione e una autocolpevolizzazione patologiche. E una sottocultura dell’emozione facile, un culto del declino attraverso cui le opinioni europee vengono letteralmente decerebrate anche grazie ai media.

Ora, il disfattismo e totalmente assente dalle mentalita arcaiche. Bisognerebbe ritrovare quelle mentalita per sopravvivere nel futuro.

Una certa durezza, una franchezza decisa, il senso dell’orgoglio e dell’onore, il buon senso, il pragmatismo, la chiara distinzione dello straniero, il rifiuto di ogni organizzazione sociale non selettiva, un’etica che legittima il ricorso alla forza, che non indietreggia, facendosi scudo di un umanitarismo dogmatico, di fronte alle audacie della tecno-scienza, l’integrazione delle virtu guerriere, dei principi di urgenza e di scontro ineluttabile, una concezione della giustizia secondo cui sono i doveri a fondare i diritti e non il contrario, l’accettazione naturale di un’organizzazione inegualitaria e plurale del mondo (anche sul piano economico), l’aspirazione alla potenza collettiva dei blocchi, l’ideale comunitario — ecco alcune virtu del mentale arcaico. Esse saranno indispensabili nel mondo di domani dominato da scommesse di estrema asprezza. Un neo-arcaismo mentale — che non ha niente di barbarico poiche integra il principio di giustizia — preumanistico e inegualitario, sara compatibile soltanto con l’essenza del secolo che viene.

i) l’archeofuturismo e la questione del senso.
Quale religione?
Uno dei rari truismi pertinenti del nostro tempo, ben formulato sia dai tradizionalisti che dai modernisti, e che la civilta occidentale ha despiritualizzato la vita, distruggendo i valori trascendenti.

Lo scacco dei tentativi delle religioni laiche, il vuoto disincantato creato da una civilta che affondi la sua legittimita ultima in valore di scambio e il culto del denaro, l’auto-affondamento del cristianesimo hanno creato una situazione che non potra durare ancora per molto. Malraux aveva ragione: il XXI secolo ridiventera spiritualista e religioso. Si, ma sotto quale forma?

Gia l’islam si precipita nella breccia. Esso si candida per riempire il vuoto spirituale dell’Europa. Ma questa ipotesi, che puo avverarsi, sarebbe pericolosa. L’islam, attraverso il proprio dogmatismo sfrenato, rischierebbe di spezzare definitivamente la creativita e l’inventiva del mentale europeo, il suo spirito faustiano. Del resto e proprio questo il calcolo machiavellico di certi strateghi americani: incoraggiare l’islam e il suo impiantarsi in Europa al fine di paralizzarla. Un’altra risposta alla despiritualizzazione sta affiorando lentamente da un po’ di tempo questa arte: il ritorno alle "religioni selvagge" di natura paganeggiante, il che sembra conforme all’antica sensibilita europea: successo di guru, veggenti, astrologi, sette, gruppi carismatici, ma anche avanzata di un buddismo ridipinto di colori californiani. Disgraziatamente, questa soluzione porterebbe a un’impasse. Per essere credibile e giocare un ruolo sociale, una religione deve essere organizzata e strutturata, e possedere un asse spirituale unificato. Quanto alle religioni laiche e politiche, di cui la modernita e stata avida — il repubblicanesimo francese, il comunismo sovietico, il maoismo, il castrismo, il nazionalsocialismo, il fascismo eccetera —, esse sono, oltre alle loro conseguenze generalmente tiranniche, inadatte a "re-ligare", a mobilitare un popolo sul lungo periodo, ad apportargli durevolmente un alimento spirituale e una ragione storica di sopravvivere. La risposta archeofuturista potrebbe essere la seguente: non si potrebbe immaginare un cristianesimo neo-medioevale, quasi-politeista, superstizioso, ritualizzato per le masse e uno gnosticismo pagano — una "religione dei filosofi" per le elite? Le cattedrali sono sempre in piedi. Ci si puo rassegnare a vederle trasformarsi in musei? E ci si potra rassegnare eternamente a vedere il clero europeo giocare un ruolo motore nel masochismo etnico, l’incoraggiamento dell’immigrazione clandestina e la trasformazione dei rituali religiosi in movimenti parapolitici? Checche ne sia, quella che oggi sembra soltanto una fiction impensabile potra, anche in questo campo, diventare l’attualita del futuro. Perche le catastrofi che ci attendono potranno provocare un sisma mentale collettivo.

5. Conclusione
Bisogna riconciliare Evola e Marinetti. E nel pensiero organico, compositivo e radicale di Friedrich Nietzsche e di Martin Heidegger che affonda le sue radici il nuovo concetto di archeofuturismo, ma strutturato: pensare insieme la tecnoscienza e la comunita eterna della societa tradizionale. Mai l’una senza l’altra. Pensare, come presentiva Heidegger — ma anche Raymond Abellio e Jean Parvulesco — l’uomo europeo allo stesso tempo come deinotatos (il piu arrischiato), il futurista e l’essere dotato di memoria.

L’eterno ritorno dell’identico contro le visioni cicliche e lineari.

Globalmente, il futuro richiede il ritorno dei valori ancestrali, e questo per tutta la Terra.

Der Wehrwolf
01-07-02, 18:43
Un nuovo testo di Guillaume Faye preconizza la crisi del mondialismo
e la rinascita dello spirito dei popoli
Sradicamento o Archeofuturismo?
La politica, se non fosse ostaggio dei poteri economici,
dovrebbe gestire il passaggio

di Augusto Zuliani

Guillaume Faye, uno dei maggiori teorici della "Nouvelle Droite" francese negli anni ’70-’80, quando pubblicò il suo libro più famoso "Il sistema per uccidere i popoli", tradotto in italiano nel 1981 per le edizioni "L’uomo libero" e ristampato di recente dalla Società Editrice Barbarossa, ritorna alla battaglia culturale e politica con un saggio sulfureo che indica scenari e piste per tutti coloro che non sono stati plagiati dal pensiero unico del mondialismo. Il senso più profondo del suo lavoro può essere sintetizzato in questa frase: "La modernità tende a definire il popolo come laios, massa sradicata di individui provenienti da ogni dove. Ma il futuro che avanza, inesorabile, ridà vita all’etnismo e al tribalismo su scala locale e a livello mondiale".Gestire la complessità di questo grande fenomeno ricco di contraddizioni, ma anche e soprattutto di fermenti positivi, sarebbe oggi il compito primario della politica se questa non fosse sequestrata dai centri palesi o occulti che hanno usurpato il potere in ciò che ancora resta degli Stati nazionali e nelle grandi organizzazioni e agenzie sovrannazionali. L’obiettivo di tali entità consiste nella impostazione di una società multietnica e multirazziale nei paesi dell’Unione Europea, anche contro la volontà della maggioranza dei loro cittadini, gettando le premesse di una conflittualità interetnica e interstatuale che costituirebbero un ulteriore fattore di debolezza di quella Europa invertebrata che è uscita da trattati di Maastricht e Amsterdam. È un disegno però che già mostra la corda, come rivelano gli effetti controproducenti suscitati dall’invenzione e gestione dissennata del "caso Haider", nonostante il battage dei media e di sedicenti opinion leader che agitano i fantasmi del passato per intralciare il passo a un futuro condiviso da tutti i popoli europei.Se la questione etnica è quindi decisiva per il destino dell’Europa, altri, gravi fattori di crisi, secondo Faye, solcano l’orizzonte delle nostre terre e più in generale del pianeta, da quelli ambientali a quelli sanitari, con la diffusione di nuovi virus resistenti, da quelli militari a quelli economici innescati dalla bolla finanziario - speculativa. Tutti questi fattori cumulandosi determineranno tra il 2010 e il 2020 un collasso all’attuale civiltà, di cui già si avvertono i segni premonitori in molti campi, soprattutto a livello sociale dove al crescente pauperismo si accompagna il dilagare della criminalità organizzata, la diffusione delle droghe, il fallimento del sistema educativo, la programmata confusione dei ruoli sessuali, la crisi della famiglia e la denatalità. Fenomeni questi di particolare gravità in Europa dove minacciano lo stesso substrato etno-culturale dei nostri popoli. Uno scenario di apocalisse quello disegnato da Faye, ma non improntato al pessimismo, perché sollecita a prepararsi al dopo-catastrofe adottando una nuova scala di valori adeguata agli anni di ferro e di fuoco che ci attendono. Si tratta di trovare una sintesi "alchemica" tra il mondo ipertecnologico, che Faye non demonizza, ma vuole sia limitato ad alcune aree geografiche e controllato da una sorta di "sacerdoti" che impediscono il ripetersi delle derive cui abbiamo assistito in questi ultimi due secoli, e il mondo dei valori arcaici quelli fondati della comunità, che non lasciano spazio all’affermazione di un individualismo dissolutore che si copre con il paravento delle false libertà. La rifondazione delle comunità etnoculturali sulle proprie terre è il grande compito che spetterà ai soggetti politici del dopo-catastrofe, quando verranno gettate le basi di un nazionalismo europeo, democratico e federale, primo passo verso la costruzione di quell’immenso Impero euro-siberiano, dall’Atlantico al Pacifico, che Faye indica come il grande progetto del nuovo millennio. Esso "sarebbe per la Storia umana, una rivoluzione ben più importante di quelle che diedero vita all’effimera Unione Sovietica e agli Stati Uniti d’America. Questo evento di portata mondiale potrà essere paragonato solo all’edificazione dell’impero cinese o dell’Impero romano".

Der Wehrwolf
01-07-02, 18:45
Il sistema per uccidere i popoli
di Guillaume Faye
SEB Editore
Milano 1977




Una grossa mamma rassicurante, una piovra, le cui prede potenziali sono culture, regioni, tutti i raggruppamenti umani forgiati dalla storia.
Questo è ciò che Guillaume Faye intende con il sistema per distruggere i popoli, un silenzioso e invisibile killer che utilizza armi come la tecnica e l’economia, il diritto e l’atto umanitario, l’uccisione della storia e la spoetizzazione del territorio, a volte anche la cultura stessa; esso sta distruggendo la vita rigogliosa dei popoli ridotti a spazio di investimento del marketing e privati di qualsiasi ordine simbolico. Non solo: la grossa mamma accudente sta distruggendo qualsiasi riferimento per l’identità dell’essere umano; la famiglia, grazie allo smantellamento della figura del padre e l’esonero di responsabilità della coppia genitoriale, è ridotta ad unità di consumo. La grossa mamma isola l’uomo nelle piccole preoccupazioni della moda, del reddito, dell’acquisto dell’ultimo cellulare, della contestazione di massa o della scalata sociale per distrarlo da ciò che vi è di più specifico nel genere umano: il bisogno di agire al servizio di un progetto comunitario e storico che è il mondo in cui gli uomini nascono, vivono e muoiono: il mondo delle gioie e delle sofferenze.
Eppure il libro di Faye non è affatto una profezia apocalittica o una resa incondizionata. L’autore segnala i punti deboli del sistema, ne scova le contraddizioni, e pianifica una strategia non solo di sopravvivenza bensì anche di resistenza ed attacco da un lato per salvaguardare la libertà ed autenticità umana, dall’altro per invocare il ritorno di una vera cultura europea (ben diversa dal way of life occidentale) nel rispetto delle differenze dei popoli .
Un tale volere comincia con la guerra della parola e dello spirito – queste armi temibili – contro l’Occidente, il suo ordine planetario carcerario, la sua cultura stordente, la sua società disincantata, la sua parola menzognera. Affinché un giorno, che noi non vedremo, tra le future generazioni europee, fra il tuono dei motori e il fulmine dei reattori che ossessionano i nostri sogni di una modernità assassinata, nell’oblio delle false tradizioni ed il ritorno trasfigurato di un passato immemore, sorga ciò che per noi è ancora un enigma e che Nietzsche ha chiamato AURORA

carbonass
01-07-02, 20:31
GABRIEL STANESCU, AMERICA! AMERICA!


L'America dei cimiteri senza croci
Solo qualche mazzo di fiori di plastica sulla testa
Anziché un po' di eternità: l'America babilonia di tutti
Gli idiomi della terra parlati contemporaneamente:
L'America di decine di migliaia di emigranti che si aggirano ogni giorno
Per i posti di frontiera del Nord e del Sud: l'America degli homeless
Che cercano da mangiare rovistando nei bidoni delle immondizie
Delle grandi metropoli: l'America di coloro che
Sognano di guadagnare il milione ma
Si addormentano sotto l'effetto tranquillante delle pasticche antistress:
L'America degli amerindi delle riserve che
Abbiamo cercati un giorno intero senza trovarli:
L'America di Gregory Corso e di Jack Kerouac
E di Carl Solomon che si è sottoposto volentieri
Alle scariche elettriche: l'America di tanti intellettuali
Delusi delle università: l'America dei gangster di
Al Capone della Chicago anni venti
E l'America dei trafficanti e dei consumatori di marijuana
Che si moltiplicano in proporzione geometrica:
L'America delle case su ruote e delle ruote delle carovane
Dei primi coloni che si dirigono verso l'Ovest miracoloso:
L'America di coloro che vivono da un giorno all'altro
Da uno stipendio all'altro: l'America di coloro che perdono
Il posto di lavoro risvegliandosi in strada con i mobili e con tutto il resto:
L'America degli omicidi di professione e dei suicidi
Per troppo amore: l'America degli ospizi puzzolenti di urina
E il sorriso falso dell'infermiera nell'orario di visita
E la smorfia della segretaria che scrive il tuo nome
Su liste d'attesa sempre diverse: l'America
Delle lesbiche e degli omosessuali che fanno dimostrazioni
Insieme sullo spiazzo davanti alla Casa Bianca;

L'America degl'incubi sotterranei dei malati di AIDS:
L'America delle bambole gonfiabili al 100% made in USA
Con le quali si possono avere rapporti sessuali 24 ore su 24 (godimento
Garantito): l'America della sedia elettrica
E l'America del fariseismo dei politici che parlano
Alla TV sul futuro dell'America: l'America di tutte le umiliazioni
E di tutte le frustrazioni e l'America
Delle cinquanta stelle azzurre della speranza
Che sventolano sotto l'ombra privata dei cactus
Di Tucson, Arizona: l'America delle lettere degli emigranti
E l'America delle parole di quelli che sono rimasti a casa:
L'America dei cimiteri di automobili in cui ha la sua tana la morte
E l'America dei ladri di automobili nuove di zecca fatte apposta
Per essere offerte a Gesù salvatore quando verrà:
L'America dell'inizio e della fine del mondo delle false
Visioni dei falsi profeti: l'America delle inondazioni
E l'America degli americani nativi sterminati a centinaia
Di migliaia in nome di quella civiltà che si estende come una piaga
Sul corpo di un moribondo: l'America degli scarafaggi
E degli scarafaggi umani: l'America delle centinaia di bambini abbandonati
O rapiti ogni giorno e l'America delle centinaia di società per il conforto
Dei genitori senza bambini: l'America degli oppressi del mondo
Alla ricerca di nuovi padroni: l'America dell'agricoltore
Povero che cammina in mezzo all'argilla rossiccia nella lunga stagione delle
Piogge: l'America dei ladri di lusso che viaggiano sulle fuori serie
Di lusso o nuotano nel tintinnio di chiavi delle cariche
Pubbliche e l'America dei volgari imbroglioni che pagano
Per le colpe altrui: l'America dei 4,25 dollari all'ora
E dei 42 dollari all'ora e dei 420 dollari all'ora:
L'America dei debitori e di quelli che vendono a credito:
L'America dei 52 week-end lavorativi:
L'America dei sindacati senza sindacati e l'America dei miliardari
Senza scrupoli: l'America delle case di legno e di quelli che non hanno casa:
L'America dell'uomo solo che ingoia un hamburger
Al formaggio in un ristorante di Macon, Georgia:
L'America delle promesse illusorie dei democratici
Prima delle elezioni: l'America della miseria e della sazietà:
L'America di Manhattan che minaccia l'Atlantico
Con l'esplosione della borsa del dollaro: l'America del sogno di libertà
Di Martin Luther King e l'altra America che sorge
Dalla nebbia di polvere da sparo dei campi d'addestramento dell'FBI
E l'America di John Lennon che fa l'amore con Ioko Ono
Nell'inferno musicale della sua cocaina quotidiana
.................................................. ......................
America! America! gridarono gli argonauti partendo
Alla ricerca del Vello d'Oro
America! America! gridarono con tutto il fiato che avevano in gola
I marinai di Colombo ebbri di felicità
America! America! gridano ogni pochi minuti
I sopravvissuti delle scialuppe di salvataggio
America! America! gridano i salvagenti senza sopravvissuti
America! America! grida mia figlia nata
Dal ventre di sua madre
America! America! abbiamo gridato anche noi tendendo le corde
Di ogni sentimento fino al giorno in cui abbiamo capito
Che l'America non è più l'America...

Der Wehrwolf
01-07-02, 20:49
Gli Usa, un Paese pericoloso per la pace mondiale"



Nel suo ultimo libro lo studioso John Kleeves racconta la storia
"non romanzata" degli Stati Uniti: "Presto comincerà la loro crisi"
"Gli Usa, un Paese pericoloso per la pace mondiale"



"L’obiettivo del governo americano è quello di governare il mondo allo scopo
di sfruttare tutte le risorse economiche mondiali. Per questo motivo gli Usa
vanno definiti per quello che sono: non un Paese fondato sui princìpi della
democrazia e della libertà, ma sul desiderio di sottomettere tutti gli altri
popoli. Un Paese pericoloso, quindi".
E proprio così (Un Paese pericoloso) si intitola il nuovo libro di John
Kleeves (Società Editrice Barbarossa, tel. 02-201310), ricercatore di
filosofia di progettazione e studioso di fenomeni socio-economici legati al
processo di industrializzazione. "Per ottenere questo scopo gli Usa adottano
metodi oltremodo sanguinari - evidenzia Kleeves -: dal 1945 al 1990 gli
interventi militari americani hanno provocato la morte di 30 milioni di
persone".
Professor Kleeves, avendo gli americani vinto la Seconda guerra mondiale e
la Guerra Fredda, è vietato parlare male di loro, non glielo ha mai detto
nessuno?
"Compito di un osservatore di politica internazionale è quello di valutare i
fatti senza paraocchi ideologici. Non è colpa mia se il potere Usa si è
dimostrato imperialista e fortemente orientato ad imporre la sua volontà in
ogni angolo del pianeta. E poi, come scrivo nel mio libro, non è vero che
Washington abbia vinto la Seconda guerra mondiale".
Non l’ha vinta nemmeno Hitler, però...
"So di esprimere una valutazione che nessuno condivide, ma se guardiamo bene
quali erano gli obiettivi che gli Usa si erano prefissi, ci accorgeremo che
nessuno di essi è stato raggiunto. In Europa gli americani avrebbero voluto
mantenere la vecchia balance of power, che era stata minacciata dalla
Germania nazista, mentre in Oriente il problema era rappresentato dal
Giappone, che nel 1937 aveva iniziato la conquista del mercato cinese e
andava quindi fermato a tutti i costi (non per nulla la bomba atomica
americana ebbe come cavie umane proprio i giapponesi)".
Invece è andata diversamente?
"Certo, visto che la Russia è arrivata fino all’Elba, diventando la potenza
egemone e rompendo la balance of power, mentre in Oriente il mercato cinese
rimase fuori dalla portata della penetrazione statunitense e nel 1949 la
Cina divenne addirittura comunista. E dopo aver perso la Seconda guerra
mondiale l’America ha perso anche la Guerra Fredda".
Anche se sono crollati i sistemi comunisti?
"Non per merito degli americani, ma per fallimento interno. L’obiettivo
centrale della geopolitica americana è quello di annientare la Russia, o
almeno di immobilizzarla tra i suoi ghiacci. Dal ’45 al ’50 sembrava ormai
imminente un attacco nucleare di Washington contro l’Urss e fu la "cortina
di ferro" innalzata da Stalin a far fallire il progetto. Vent’anni fa l’
amministrazione Carter lo dichiarò esplicitamente: "un giorno dovremo
combattere contro i russi, questo è sicuro", dissero i consiglieri dell’
allora Presidente americano. Anche perchè se l’Europa si accordasse con i
russi, a livello economico-commerciale e anche strategico-militare, per gli
americani sarebbe la fine del grande sogno di dominio mondiale. Questo
"rischio" per gli americani esiste tuttora, a dimostrazione che nemmeno la
Guerra Fredda è stata vinta da loro".
Lei nel suo libro fa balenare l’ipotesi del non lontano crollo dell’impero
americano. Ne è davvero sicuro?
"Negli Usa esistono forti contraddizioni interne e non è assolutamente vero
che il suo esercito sia in grado di dominare il mondo. A livello di truppa,
il soldato americano vale pochissimo. E senza truppe forti di terra, nessuno
può fare il "gendarme del mondo". Per questo sono certo che il piano
americano sia destinato a fallire".

Gli Usa, uno Stato fuorilegge
Oltre al Protocollo di Kyoto l'amministrazione Bush ha denunciato e
boicottato un'infinità di convenzioni e accordi internazionali. Eccoli
RICHARD DUBOFF*


Non è solo il Protocollo di Kyoto sull'ambiente ad essere stato denunciato
dagli Stati uniti. Questo è il curriculum dell'amministrazione Bush (finora)
su trattati, convenzioni e patti internazionali.



1- Nel dicembre 2001 gli Stati uniti si ritirano ufficialmente dal
Trattato sui missili antibalistici del 1972, distruggendo un accordo
storico. Per la prima volta nell'era nucleare gli Usa rinunciano a un
importante accordo sul controllo degli armamenti.

2- Convenzione sulle armi biologiche e tossiche del 1972, ratificata da 144
paesi tra cui gli Stati uniti. Nel luglio 2001 gli Usa abbandonano una
conferenza a Londra in cui si discuteva un protocollo del 1994, finalizzato
a rafforzare la Convenzione provvedendo a ispezioni sul posto. A Ginevra,
nel novembre 2001, il sottosegretario di stato John Bolton afferma che "il
protocollo è morto" e contemporaneamente accusa Iraq, Iran, Korea del Nord,
Libia, Sudan e Siria di violare la Convenzione, ma senza fornire prove o
formulare accuse specifiche.

3- Accordo delle Nazioni unite per mettere un freno al traffico
internazionale illegale di armi leggere, luglio 2001: gli Stati uniti sono
l'unico paese a opporsi.

4- Aprile 2001. Gli Stati uniti non vengono rieletti a capo della
Commissione dell'Onu sui diritti umani, dopo essersi sottratti per anni al
pagamento delle quote dovute alle Nazioni unite (tra cui le attuali quote di
244 milioni di dollari) - e dopo aver costretto l'Onu ad abbassare la quota
del budget spettante agli Usa dal 25 al 22%. (Nella commissione per i
diritti umani, gli Usa sono virtualmente gli unici a opporsi alle
risoluzioni che sostengono l'accesso a costi ridotti ai farmaci per
l'Hiv/Aids, che riconoscono una alimentazione adeguata come diritto umano
fondamentale, e che chiedono una moratoria sulla pena di morte.)

5- Trattato sul tribunale penale internazionale da insediare all'Aia per
giudicare militari e leader politici accusati di crimini di guerra e crimini
contro l'umanità. Firmato a Roma nel luglio 1998, il trattato è stato
approvato da 120 paesi, con sette voti contrari (tra cui quello degli Stati
uniti). Nell'ottobre 2001 la Gran Bretagna diventa la quarantaduesima
nazione a firmare. Nel dicembre 2001 il senato americano aggiunge un
emendamento a una proposta di legge per stanziamenti militari in base alla
quale il personale militare Usa non ricadrebbe sotto la giurisdizione del
proposto tribunale penale internazionale.

6- Trattato per il bando delle mine terrestri, firmato a Ottawa nel dicembre
1997 da 122 paesi. Gli Sati uniti si rifiutano di firmare insieme a Russia,
Cina, India, Pakistan, Iran, Iraq, Vietnam, Egitto e Turchia. Il presidente
Clinton respinge il trattato, sostenendo che le mine sarebbero necessarie
per proteggere la Corea del Sud contro l' "enorme vantaggio militare" della
Corea del Nord. Clinton dichiara che gli Stati uniti aderiranno all'accordo
"in seguito", nel 2006. Bush sconfessa questa dichiarazione nell'agosto
2001.

7- Protocollo di Kyoto per ridurre il surriscaldamento globale, 1997. Il
presidente Bush lo dichiara "morto" nel marzo 2001. Nel novembre 2001
l'amministrazione Bush snobba i negoziati di Marrakesh (Marocco),
finalizzate a rivedere l'accordo, soprattutto annacquandolo in un vano
tentativo di ottenere l'approvazione degli Stati uniti.

8- Maggio 2001. Gli Stati uniti si rifiutano di incontrare i paesi
dell'Unione europea per discutere, anche ai più bassi livelli di governo, lo
spionaggio economico e la sorveglianza elettronica di telefonate, e-mail e
fax (il programma Usa Echelon che ancora oggi continua a spiare qualsiasi
forma di comunicazione esistente).

9- Maggio 2001. Gli Stati uniti si rifiutano di partecipare ai colloqui
sponsorizzati dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico a Parigi, sui modi per reprimere i paradisi off-shore finalizzati
all'evasione fiscale e al riciclaggio del denaro sporco.

10- Febbraio 2001. Gli Stati uniti si rifiutano di unirsi ai 123 paesi
impegnati a bandire l'uso e la produzione di mine e bombe anti-persona.

11- Settembre 2001. Gli Stati uniti si ritirano dalla Conferenza
internazionale sul razzismo, che riunisce 163 paesi a Durban, Sudafrica. Il
pretesto è che è "unilaterale" e "contro Israele".

12- Luglio 2001. Piano internazionale per un'energia più pulita: il gruppo
G8 dei paesi industrializzati (Stati uniti, Canada, Giappone, Russia,
Germania, Francia, Italia, Regno unito): gli Usa sono l'unico paese a
opporsi.

13- L'imposizione di un boicottaggio illegale nei confronti di Cuba, che
attualmente sta diventando ancora più aspro. Nell'ottobre 2001, per il
decimo anno consecutivo, l'Assemblea generale della Nazioni unite approva
una risoluzione che chiede la fine dell'embargo Usa, con 167 voti a 3: Stati
uniti, Israele e le isole Mashall.

14- Trattato sul bando totale dei test nucleari. Firmato da 164 paesi e
ratificato da 89 paesi compresi Francia, Gran Bretagna e Russia. Firmato dal
presidente Clinton nel 1996 ma rigettato dal senato americano nel 1999. Gli
Stati uniti sono uno dei tredici paesi che non hanno ratificato il trattato,
tra quelli che hanno armi nucleari o programmi sull'energia nucleare. Nel
novembre 2001, gli Usa impongono un voto nel Comitato dell'Onu sul disarmo e
la sicurezza per dimostrare la loro opposizione al trattato sul bando dei
test.

15- Nel 1986 la Corte internazionale di giustizia dell'Aja dichiara gli
Stati uniti colpevoli di violazione del diritto internazionale per "uso
illegittimo della forza" in Nicaragua, attraverso i suoi interventi e quelli
del suo esercito per procura, i contras (una guerra dell’amministrazione
Reagan con 30 mila morti, centinaia di villaggi cancellati e 1 milione 350
mila profughi su una popolazione di 3,8 ml. di abitanti). Gli Usa rifiutano
di riconoscere la giurisdizione della Corte. Una risoluzione delle Nazioni
unite che chiedeva l'osservanza della decisione della Corte viene approvata
per 94 voti contro due: Stati uniti e Israele.


16- Nel 1984 gli Stati uniti lasciano l'Unesco e cessano i loro versamenti
al budget dell' United Nations Educational, Scientific and Cultural
Organization in seguito al progetto New World Information and Communication
Order (Nwico) finalizzato a ridurre la dipendenza dei media mondiali dalle
big four: le agenzie Ap, Upi, France Presse, Reuters. Gli Usa accusano
l'Unesco di "limitazione della libertà di stampa", di cattiva gestione e di
altre cose ancora, nonostante il voto di 148 contro uno a favore del
progetto Nwico nell'Onu.
L'Unesco termina il progetto Nwico nel 1989. Nonostante questo gli Stati
uniti si rifiutano di rientrare. Nel 1995 l'amministrazione Clinton propone
di rientrare; la mossa viene bloccata dal Congresso e Clinton non insiste
sulla questione.
Alla fine, nel febbraio 2000, gli Stati uniti pagano una parte degli
arretrati alle Nazioni unite, ma escludono l'Unesco, agenzia in cui non sono
più rientrati.

17- 1989. Protocollo opzionale al Patto internazionale dell'Onu sui diritti
civili e politici, finalizzato all'abolizione della pena di morte e
contenente una norma che bandisce la condanna a morte per coloro che hanno
meno di 18 anni. Gli Stati uniti non firmano né ratificano il protocollo, e
si auto-esonerano dalla norma predetta, diventando uno dei cinque paesi che
ancora condannano a morte i minori (con Arabia saudita, Repubblica
democratica del Congo, Iran, Nigeria). La Cina ha abolito questa pratica nel
1997, il Pakistan nel 2000.

18- Convenzione delle Nazioni unite del 1979 sull'eliminazione di tutte le
forme di discriminazione contro le donne. I soli paesi che hanno firmato ma
non ratificato sono gli Stati uniti, l'Afganistan, Sao Tomé e Principe.

19- Gli Stati uniti hanno firmato ma non ratificato la convenzione delle
Nazioni unite del 1989 sui diritti del bambino, che tutela i diritti i
diritti economici e sociali dei bambini. L'unico altro paese che non l'ha
ratificata è la Somalia, che non ha un governo funzionante.

20- Patto internazionale delle Nazioni unite sui diritti economici, sociali
e culturali del 1966, che copre un'ampia gamma di diritti ed è monitorato
dal Committee on Economic, Social and Cultural Rights. Gli Stati uniti hanno
firmato nel 1977 ma non l'hanno ratificato.

21- Convenzione delle Nazioni unite sulla prevenzione e la punizione del
crimine di genocidio, 1948. Gli Stati uniti l'hanno infine ratificata nel
1988, aggiungendo svariate "riserve" col risultato che per giudicare se un
qualunque "atto nel corso di conflitti armati" costituisce genocidio,
bisogna consultare obbligatoriamente la Costituzione americana e il
"consiglio e consenso" del senato. Le riserve sono rigettate da Gran
Bretagna, Italia, Danimarca, Olanda, Spagna, Grecia, Messico, Estonia e
altri.

22- E' forse l'atteggiamento arrogante stile "noi siamo i numeri uno"
smussato da generosi aiuti per ai paesi meno fortunati? Parlano i numeri: i
tre maggiori paesi fornitori di aiuti, misurati in base alla percentuale di
stanziamenti in rapporto al prodotto interno lordo, sono la Danimarca
(1,01%), la Norvegia (0,91%) e l'Olanda (0,79%). I tre peggiori sono: Stati
uniti (0,10%), Gran Bretagna (0,23%), Australia, Portogallo e Austria (tutti
e tre con lo 0,26%).

Der Wehrwolf
01-07-02, 20:57
TERRA VERDE" : L'AMERICA



1. La carta segreta
2. Perché non «Colombia?»

3. Atlantide e Oltre-Atlantide: il mistero del dollaro

4. L'alba ad Occidente, il tramonto ad oriente

5. La «Santa America»

6. «Apollo», Diana e la piramide tronca

7. I doni dal «mondo degli antenati»

8. Chiudere l'America





Nel proseguire il tema che abbiamo iniziato a trattare negli articoli Continente Russia e L'inconscio dell'Eurasia, vorremmo adesso studiare nelle sue linee generali la missione del continente americano dal punto di vista della geografia sacra. Il ruolo degli Stati Uniti, l'ultima superpotenza rimasta ormai al mondo, appare oggi centrale nella geopolitica globale. A partire dalla fine dei XIX secolo, un continente marginale, che sino ad allora aveva rappresentato null'altro che una provincia secondaria del Vecchio Mondo, dell'Europa, diviene progressivamente un gigante politicamente e culturalmente autonomo, finché, dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti si propongono come universale modello paradigmatico tanto per gli stessi paesi, europei quanto per l'Asia. Il significato dell'America cresce incessantemente, si diffonde un insieme di criteri intellettuali, culturali. psicologici e persino filosofici collegati all'America che va ben al di là dei suo influsso economico e militare. Diviene evidente l'esistenza di una «America mitologica», di una «America come concetto», di una «America come idea dell'America». E noi siamo profondamente convinti che, se una simile «idea dell'America» ha potuto radicarsi nella coscienza geopolitica universale ed entrarvi come qualcosa di «neo-sacrale», devono esservi state delle importanti ragioni, connesse con l'inconscio collettivo dell'umanità, e con quella segreta geografia continentale che affonda le sue radici nei millenni ed il cui ricordo continua a vivere negli archetipi psichici. Il presente articolo si prefigge precisamente di esaminare il significato profondo dell'America come «continente interiore». La carta segreta
Le ipotesi sulla scoperta dell'America da parte del Vecchio Mondo molto prima di Cristoforo Colombo stanno diventando sempre più popolari. E' quasi dimostrato che i Vichinghi scandinavi visitarono l'America del Nord sulle loro navi; rune nordiche si trovano ovunque sulla costa orientale del Canada, in Labrador, nell'isola di Terranova e così via. Abbastanza convincenti sono anche le argomentazioni dei ricercatore De Mayo riguardo ai contatti tra la civiltà degli Incas e gli stessi Vichinghi. E ci sono inoltre altre versioni secondo le quali l'Europa avrebbe sempre saputo dell'esistenza dei continente americano; tale informazione non sarebbe stata divulgata solo per ben precise ragioni di ordine sacro. Ma di particolare interesse appare l'enigmatica storia della carta. di Muhiddin Piri Reis, sulla quale ci soffermeremo dettagliatamente.
Nel 1520 Muhiddin Piri Reis, ammiraglio della flotta turca, pubblicò ad Istanbul un atlante di navigazione chiamato Babriye (questo atlante è tuttora conservato nel Museo Nazionale di Istambul). Alcune delle carte che vi si trovano raffigurano con stupefacente precisione l'America dal Nord e del Sud, la Groenlandia e ... l'Antartide che., almeno secondo gli storici ufficiali, non poteva semplicemente essere conosciuta ai navigatori dell'epoca.
Piri Reis spiega in questo modo la provenienza di quelle carte. Sarebbero state trovate indosso ad uno spagnolo che aveva partecipato alle tre spedizioni di Cristoforo Colombo e che era quindi stato catturato in un combattimento navale dall'ufficiale turco Kemal. Nelle sue note Piri Reis afferma che solo grazie a quelle carte Colombo aveva potuto scoprire il Nuovo Mondo. Una conferma indiretta dì questa affermazione è contenuta nel libro scritto dal figlio di Cristoforo Colombo, Fernando, Vita dell'ammiraglio Cristoforo Colombo, nel quale si legge: «Egli (cioè Colombo) si servì di una gran quantità di informazioni prima di giungere alla convinzione che avrebbe potuto scoprire numerose terre ad occidente delle isole Canarie». Le carte di Colombo, capitate tra le mani di Piri Reis, erano state disegnate nel 1498, ma lo stesso ammiraglio turco riteneva che fosse giunto sino a Colombo un libro dell'epoca di Alessandro Magno. Tuttavia alcuni dettagli delle carte - ad esempio l'Antartide e la Groenlandia non appaiono in esse ricoperte dai ghiacci, il che consente, in particolare, di osservare come quest'ultima sia in realtà composta da due isole (un fatto confermato da una recente spedizione francese) - possono riferirsi solo ad un quadro geografico del pianeta risalente a cinque millenni fa! L'analisi delle carte di Piri Reis compiuta dal professor A. Afetinan nel libro La più antica carta dell'America (1) e la perizia effettuata negli Stati Uniti dall'Istituto di Cartografia Marina hanno mostrato l'incredibile precisione di. queste carte, nelle quali sono raffigurati persino alcuni massicci montuosi dell'Antartide e della Groenlandia solo recentemente scoperti dal geologi. Una precisione consentita, secondo gli esperti, solo dalla fotografia aerea. .
In un modo o nell'altro, i popoli eurasiatici devono perciò essere stati a conoscenza dell'esistenza dell'America molto prima di Colombo; tuttavia, poiché nessuna conoscenza scompare senza lasciare traccia, ma discende invece nella sfera dell'inconscio o si ritira nella profondità dei segreti esoterici, un continente così importante come l'America non poteva non essere un fondamentale elemento della «geografia sacra» degli uomini del passato; allo stesso modo il ruolo moderno dell'America come civiltà autonoma non è altro che il risveglio di alcuni antichi archetipi conservati dal subconscio delle nazioni eurasiatiche.

2. Perché non «Colombia?»
Molti spiegano l'attuale denominazione del continente con il nome di Amerigo Vespucci, anziché con quello di Cristoforo Colombo, semplicemente come il risultato di un equivoco storico e di un errore casuale. Noi non possiamo assolutamente essere d'accordo, poiché non è difficile osservare come, persino nell'ambito più locale, tra le denominazioni meramente «razionali» sopravvivono anche quelle che in qualche modo corrispondono ad archetipi linguistici semi-inconsci, ad esempio nel noto fenomeno della cosiddetta «etimologia popolare». La semplice somiglianza fonetica ha in ciò un ruolo importante, ma una tale identificazione di concetti sulla base di una parvenza sonora testimonia non tanto della loro «erroneità» (come riteneva la scienza «positivista» del XIX secolo e dei primi anni del XX), quanto della saldezza delle strutture significanti, non però al livello delle parole intere, ma a quello delle singole lettere e delle loro associazioni. Sulla base della cosiddetta «etimologia popolare» si fondano il nirukta e la «Qabbala» ebraica, metodi sacri metafisicamente pregevoli e non certo «popolari». Riteniamo pertanto che, per trasmettersi ad un continente tanto gigantesco e senz'altro estremamente significativo per la sua missione geopolitica, la parola «America» debba necessariamente racchiudere in sé un'idea fonetica collegata ai modelli arcaici della proto-lingua nella quale si conserva il subcosciente delle nazioni eurasiatiche.
Nell'immagine sacra (e di conseguenza nella denominazione) dell'America doveva in primo luogo riflettersi l'idea della sua origine «estremo-occidentale». Secondo i lavori dei professor Wirth, il più antico centro sacro dell'Occidente è stato la terra di Mo-Uru, l'isola di Mo-Uru, situata nell’Atlantico nord-occidentale. Questo nome è presente nel Bundabishn (un testo sacro zoroastriano), dove viene ricordato come terza tappa dopo Aryànem Vaéjo - dei grandi antenati arii. (La stessa Aryànem Vaèjo si trovava invece proprio al Polo Nord, nel continente, scomparso ormai molti secoli or sono, «Arktoa ghe»). Proprio con l’ausilio di questa parola chiave, «Mo-Uru», e fondandosi sulla decifrazione delle rune e dei simboli pre-runici (in particolare della scrittura lineare egiziana predinastica, delle iscrizioni micenee e persino degli antichi graffiti rupestri) il professor Wirth ha potuto penetrare i segreti di tanti cataclismi etnici e razziali della Preistoria. Nelle sue differenti varianti fonetiche Mo-Uru è presente nella Bibbia - Moria è il nome della terra dove Abramo decise di offrire Isacco in sacrificio a Dio - nelle saghe celtiche, nelle quali si parla della terra di «Morias» o «Murias» come della patria delle stirpi nordiche e divine dei Tuatha De Danann, ed in Scandinavia, dove il circolo di pietra dei centro pagano di culto si chiamava appunto Moraste, vale a dire «pietra di Mor» e così via (2).Wirth suppone (e dimostra convincentemente nei suoi minuziosi lavori L’origine dell'umanità e La proto-scrittura sacra dell'umanità,) che gli «amorei», i «mauri» e persino i «maori» dell'Oceania sono gli eredi degli antichi profughi di questo centro sacro situato nell'Atlantico settentrionale. Egli pensa anche che la geografia di questa terra sia stata in seguito trasferita nella toponomastica delle successive sedi degli «uomini di Mo-uru».Curiosamente, il termine Amorei significa in ebraico proprio «popolo dell'Occidente» (am uru). Esiste anche una dottrina sacra affermante che la tradizione giudaica è «occidentale» per la sua origine simbolica e preistorica. Di ciò testimoniano anche l'usanza giudaica di festeggiare in autunno l'Anno Nuovo ed il calcolo del giorno a partire dalla sera, sottolineando così il particolare significato dell'orientamento occidentale, che corrisponde alla sera ed all'autunno, cioè al periodo di «tramonto» del giorno e dell'anno. In una simile prospettiva la stessa Ur dei Caldei, dalla quale Abramo si allontanò verso la terra promessa, appare un sostituto di Mo-Uru, della «Ur nord-atlantica», poiché persino lo Zohar afferma che «Ur», dove inizialmente risiedeva Abramo, simboleggia la «condizione spirituale superiore», dalla quale Abramo, per necessità provvidenziale, discese verso il basso. (E' interessante notare che gli stessi ebrei condividono abbastanza spesso questo punto di vista riguardo all'origine occidentale della loro tradizione, come si vede dai diversi progetti sionisti di «organizzazione dello stato ebraico» in America o dai libri di Simon Wiesenthal sulla preistoria ebraica dell'America e di Edmund Weizmann su L'America. Nuova Gerusalemme).
In questo modo l'enigmatica parola «Mo-Uru» designa proprio il continente sacro extraeuropeo, situato ad Ovest, nell'Atlantico. Ma «Mo-uru», «Amuru», o «Amoru» (queste forme si incontrano storicamente nelle diverse tradizioni) sono foneticamente assai simili a «America».Non è neppure escluso (anzi, è probabile) che proprio questa «coincidenza», o meglio questa provvidenziale corrispondenza, sia servita come fondamento inconscio o semiconscio per l'assegnazione al Nuovo Mondo, di un nome esteriormente tanto profano ed interiormente tanto sacro.

Atlantide e Oltre-Atlantide: il mistero del dollaro
Naturalmente questo rapporto «America» - «Mo-uru» si Collega direttamente al mito di Atlantide, al paleo-continente di cui han parlato Solone, Platone e molti altri dopo di loro. Atlantide è il continente sacro occidentale dove fiorì una grande civiltà spirituale perita in seguito ad uno spaventoso cataclisma e ad un'inondazione. La rovina dei continente è per lo più descritta colme un avvenimento graduale: dopo l'inabissamento della sua parte continentale, situata ad occidente di Europa ed Africa, per qualche tempo sopravvissero nell'Atlantico del Nord alcune isole nelle quali si concentrarono le ultime stirpi degli Atlantidi e la loro tradizione. Una di queste terre fu, a giudizio di Wirth, proprio Mo-Uru, che venne a sua volta sommersa dalle acque alcuni millenni dopo il cataclisma principale.
Tuttavia il continente America non è il continente più occidentale della geografia sacra (Atlantide), ma la sua continuazione ad Occidente. In altre parole l'America era un'«Oltre-Atlantide», vale a dire una terra situata «da quella parte, verso Ovest». E' possibile che questa dislocazione sacralmente simbolica dell'America spieghi l'inquietante segretezza collegata ad essa nel contesto della geografia sacra delle civiltà tradizionali dell'Eurasia.
In conformità a questa geografia sacra, ad Occidente si trova la «Terra Verde», la «Terra dei Morti», una sorta di mondo semi-materiale, che ricorda l'Ade o lo Sheol. E' il paese del Crepuscolo e del Tramonto, dal quale non vi è uscita per i semplici mortali e al quale può accedere solo un predestinato. Si ritiene che la denominazione Groenlandia (che significa, appunto, «Terra Verde») si riferisca proprio a questo luogo. La «Terra Verde» non è Atlantide (e neppure Mo-Uru), ma qualcosa che si trova più ad Occidente di essa, un «mondo della morte», un «regno delle tenebre». E questo aspetto ultramondano del continente americano si rivela in maniera stupefacente sin dalla prima occhiata ad una cosa tanto banale come il segno del dollaro. René Guénon ha una volta osservato che all'origine dei simbolo $ sulle monete americane sta una semplificazione grafica dell'emblema sacro che si incontra nelle monete dell'arca mediterranea. Inizialmente i due segni verticali erano delle rappresentazioni delle «colonne d'Ercole» che, secondo la tradizione, si trovavano sullo stretto di Gibilterra. In questo segno appariva inizialmente anche la scrittura simbolica nec plus ultra, che significa «non oltre». Entrambi questi simboli avevano il significato di un confine, del margine occidentale della geografia sacra umana, al di là del quale si trovano i «mondi non umani». E questo simbolo «di confine», indicante che oltre Gibilterra non si poteva andare, è divenuto in maniera paradossale il simbolo finanziario dell'America, di un paese, cioè, che si trova «al di là del confine», proprio dove il prototipo del regno del dollaro proibiva di andare. Anche da questo si può intendere la qualità simbolica «ultramondana» dell'America, nella quale si rivelano gli aspetti geopolitici tenebrosi e proibiti della civiltà umana.
In una simile prospettiva la nuova scoperta dell'America ad opera di Colombo ha in sé un significato alquanto funesto, poiché indica la comparsa all'orizzonte della storia della «Atlantide sommersa», e neppure della stessa Atlantide, ma della sua «ombra», della sua prosecuzione negativa nell'Occidente simbolico, nel «mondo dei morti». Ed in questo senso è abbastanza significativa la coincidenza cronologica di questa «nuova scoperta» con l'inizio del brusco declino della civiltà europea (ed in generale eurasiatica), che da allora cominciò a perdere i suoi principi spirituali, religiosi qualitativi e sacrali.
Su un piano cultural-filosofico proprio l'America diviene da allora il luogo della proiezione ideale di tutte le utopie profane, atee o semi-atee. I modelli di società fondati sulla mere ragione umana - a partire da Tommaso Moro - vengono sempre più spesso trasferiti su questo continente. E qui, di nuovo, non solo il carattere ignoto di queste terre influisce sulla scelta delle estensioni geografiche destinate alla realizzazione dell'utopia, ma anche gli archetipi della «terra dei morti», «dove regna un eterno ordine e la pace» e le immagini della «Terra Verde» dell'Occidente agiscono in misura notevole sugli utopisti e le loro costruzioni. Si può configurare il cielo storico dell'America come quello di una «Nuova Atlantide», sorta dalle profondità delle acque, ma non si tratta della vera Atlantide, risorta, bensì di un'altra, chimerica, contraffatta, fantomatica, che si è dedicata a far tornare l'«età dell'oro», ma dalla quale emana l'odore dei continente-tomba.

L'alba ad Occidente, il tramonto ad Oriente
Il noto metafisico e tradizionalista Gejdar Dzhemal ha una volta accennato ad una interessante caratteristica. della dislocazione geografica del continente americano: per gli americani il sole sorge oggi mattina dalla parte dell'Europa (vale a dire da luoghi che nella geografia sacrale sono saldamente connessi con l'Occidente) e tramonta dalla parte dell'Asia (cioè dell'Oriente simbolico). Una simile confusione del simbolismo degli orientamenti nella naturale «percezione dei mondo» degli abitanti di questo continente corrisponde stranamente alla famosa profezia dell'escatologia islamica secondo cui negli «ultimi tempi» il sole sorgerà ad Occidente e tramonterà ad Oriente. Questa particolarità deve inevitabilmente influire sul livello arcaico della psicologia continentale americana, aggiungendosi così al già peculiare ruolo dell'America come riemersa Oltre-Atlantide, «Terra Verde dei Morti». Se a ciò si aggiunge anche l'utopismo razionalistico proprio non solo ai teorici dei Vecchio Mondo, ma anche ai padri fondatori degli Stati nord-americani, avremo come risultato una variante dei fenomeno escatologico e messianico che forma la struttura ed il paradigma dell'intera coscienza continentale, in particolar modo di quegli aspetti maggiormente collegati alla geopolitica, all'universalismo ed all'auto-identità.
Lo scenario dell'evento escatologico è a grandi linee lo stesso in tutto le religioni. Nel cristianesimo, nell'islamismo, nel buddhismo, nella maggior parte delle tradizioni pagane degli Arii, persino nei cargo-culti melanesiani l'«epoca messianica» è caratterizzata dalla «resurrezione (o dal ritorno) dei morti», dal «ristabilimento dei benessere paradisiaco», dalla «riscoperta di tutto quel che era andato perduto nella storia», dalla «apparizione di nuove terre e nuovi cieli», dalla presenza di una «grazia permanente» e così via. Se si osserva attentamente la mentalità americana nella sua settentrionale e più marcata variante, ci si trovano di fronte quasi tutti gli aspetti di questo piano escatologico. La «resurrezione dei morti» si presenta sotto l'aspetto dell'ibernazione cui vengono sottoposti i cadaveri dei ricchi americani che sperano di risorgere grazie alle scoperte scientifiche dei secoli futuri, nonché nella moltitudine delle sette neo-spiritualistiche che predicano la tanatofilia e dimostrano scientificamente (con l'aiuto di congegni ciarlataneschi) «l'immortalità dell'anima». Il «benessere paradisiaco» è trasformato nel benessere materiale, mentre la «nuova terra» risulta invece essere lo stesso continente americano, base della nuova «epoca dell'oro», chiamato in molti ambienti occultistici e astrologici «New Age», vale a dire «nuova epoca». (Questa è anche la denominazione del più importante movimento neo-mistico americano).
L'escatologismo penetra anche nella stessa idea di un «Nuovo Ordine Mondiale» che ripete e sviluppa i progetti ideologici americani: si tratta infatti di un'idea che presuppone l'espansione dei modello americano su tutti i restanti territori del pianeta. E così, emerso dalla profondità di un inquietante mistero, il «Nuovo Mondo» si sforza di presentarsi come la «nuova terra» spirituale di cui parla l'Apocalisse e che deve apparire dopo la Fine del Tempo. Ma per il continente americano l'epoca post-apocalittica è già arrivata: la vittoria degli eserciti alleati nella Seconda Guerra Mondiale - che ha condotto gli Stati Uniti al predominio mondiale - ed anche il significato simbolico delle vicende degli ebrei (di questa nazione mistica e tanto importante nella storia!) in Germania, tutto questo si è fuso nella teoria dell'«Olocausto», e dell'«ultimo sacrificio della storia», dopo il quale l'Oltre-Atlantide, in unione con la «Nuova Israele», è entrata nel periodo del «Grande Sabato», dell'«epoca felice». L'attesa dei tempo messianico è iniziata e l'arcaica coscienza continentale americana, l'inquieto «spirito» dei continente «riemerso», offre alle tendenze messianiche ed escatologiche una forza mistica radicata nella percezione simbolica del mondo di un'umanità che conserva la consapevolezza del collegamento e delle corrispondenze dello spazio e del tempo anche nel corso di lunghi millenni.

La «Santa America»
Nell'arcaico ed inconscio fenomeno dell'«idea americana» è anche l'origine della «teologia politica dell'americanismo». Ci riferiamo alla concezione neo-protestante dell'America come «terra promessa», nella quale le energie dei continente si sono riversate in una particolare costruzione teologica; e, se si vogliono considerare i termini di questo mistico «americanismo protestante» non come metafore oratorie, ma come esatta formulazione di una costruzione escatologica, ci troviamo allora dinanzi ad un quadro alquanto inatteso ed inquietante. Lo stesso Giorgio Washington affermò: «Gli Stati Uniti sono la Nuova Gerusalemme, stabilita dalla Provvidenza in un territorio dove l'uomo deve raggiungere il suo pieno sviluppo, dove la scienza, la libertà, la felicità e la gloria devono diffondersi in pace». E' qui importante notare la concezione della Nuova Gerusalemme» che, in bocca ad un cristiano (anche protestante), si ricollega obbligatoriamente all'Apocalisse e si riferisce all'ultimo stadio dello scenario apocalittico, alla discesa dai cieli della spirituale «Città del Signore», della «Nuova Gerusalemme» (Apocalisse di Giovanni 21, 10-27). Da parte sua John Adams ha chiaramente definito il globalismo della missione americana, chiamando gli Stati Uniti «una pura e benefica repubblica, il cui compito consiste nel governo dei mondo e nel perfezionamento degli uomini».
Nell'epoca moderna questo particolare «patriottismo» ha ricevuto un nuovo impulso grazie allo sviluppo della televisione; ciò ha determinato l'affermazione del fenomeno della «predicazione televisiva», che Isidro Palacìos ha definito «cristianesimo elettronico». Ad esempio. il noto predicatore televisivo Jerry Howell formula oggi in questi termini, l'«idea americana»: «Gli Stati Uniti, questo paese benedetto da Dio Onnipotente come nessun altro paese della terra, è minacciato adesso, all'interno ed all'esterno, da attacchi diabolici che possono concludersi con l'annientamento della nazione americana. Il diavolo stesso è entrato in guerra per opporsi al volere di Dio, che ha posto gli Stati Uniti ai di sopra di tutti gli altri popoli, come l'antico Israele... ». Questi motivi teologici dell'escatologismo protestante sono totalmente presenti anche negli ultimi presidenti americani. Nel 1984 Reagan affermava: «Io non penso che il Signore, dopo aver beneficato questo paese come nessun altro, voglia un giorno vederci mercanteggiare a causa della nostra debolezza».
E quindi, se si pretende di non considerare il ruolo diabolico dell'Oltre-Atlantide nel suo insieme sovratemporale e metastorico, questo pathos messianico risulta incomprensibile e la dimensione colossale dei falso spirituale che sta dietro di esso non può essere compresa e valutata. Ci troviamo dinanzi, come in tutte le «escatologie parodistiche», alla confusione della spirituale «età dell'oro», che sopraggiungerà subito dopo la Fine della Storia, con un periodo temporale precedente questa fine. Questa confusione ha determinato il carattere anticristiano dei bolscevismo russo, che affermava di aver instaurato un escatologico «paradiso terrestre» (Cfr. ad esempio, il nostro articolo La fine dell'era proletaria in «Kontinent Rossija», n.3).Occorre anche osservare che la somiglianza di questi due «continenti» - il «continente America» e la componente, rossa e demoniaca, del «continente Russia» - è stato rilevato da numerosi studiosi, storici e politologi. Ad esempio Marie Dominac nell'ottobre dei 1970 scriveva sulla rivista «Esprit»: «Gli Stati Uniti sono oggi la più forte potenza comunista dei mondo».
In effetti l'utopismo, l'escatologismo, la religiosità parodistica sono in entrambi i casi straordinariamente affini, e questo nonostante il fatto che gli Stati Uniti e Unione Sovietica sono «ufficialmente» stati, sino a poco tempo fa, nemici ideologici.

«Apollo», Diana e la piramide tronca
Questa logica parodistica, che traspone sul piano materiale le realtà spirituali, deturpandone in tal modo il significato sacro, è anche alla base del progresso tecnico del «continente America», in particolare nel tanto importante ambito delle ricerche astronautiche. Il fatto che solo un americano sia riuscito a volare sulla Luna - dove, secondo le più svariate tradizioni si trovano le «anime degli antenati» - è ovviamente indicativo. (Altrettanto indicativo è che questo non sia riuscito agli astronauti sovietici, che pure avevano la stessa formazione poolitico-escatologica). Nella tradizione esoterica è affermata l'esistenza di uno stretto legame tra la «terra verde dei morti» ed il pianeta Luna, un legame che si osserva anche nella oggettiva, materiale e spesso profana epoca contemporanea. Il fatto nuovo che i voli degli astronauti americani avessero un consapevole «significato rituale» è rilevabile anche dal nome della navicella spaziale di cui si servirono, «Apollo». cioè di quello che, nelle tradizioni più diverse, è il compagno di gioco di Diana, della Luna. Oltre a ciò, alcuni astronauti portarono con sé sulla Luna degli emblemi massonici - come riferito persino dalla stampa profana - e ciò significa che il carattere «rituale» dell'avvenimento era loro ben chiaro, dato che l'«ingresso nella sfera lunare» indica nel rituale massonico l'attraversamento dei «Piccoli Misteri». E qui ci troviamo di nuovo dinanzi ad un parallelo simbolico: l'iniziazione ai «Piccoli Misteri» conduce in fatti il massone nella cosiddetta «condizione edenica (paradisiaca)», restituendogli la pienezza spirituale che era appartenuta agli uomini dell'età dell'oro. Tuttavia nel caso di una singola personalità, questo avviene sul piano del «microcosmo interiore». In un volo cosmico sulla Luna, invece, il rituale assume un carattere esteriore, materiale, «macrocosmico», «sacralizzando» in tal modo non il singolo individuo, ma l'intero «continente» del quale l'individuo è l'emissario. Sul piano simbolico il volo interplanetario dall'America alla Luna fu equivalente ad un volo dall'«America» all'«America», ma al tempo stesso questo rituale parodistico rafforzò l'autocoscienza messianica e mistica dell'America nell'intero subconscio americano.
Occorre anche rilevare come la tradizione massonica sia in America straordinariamente sviluppata: tuttavia anche in questo ambito esistono concezioni che insistono sul carattere peculiare, unico ed «eletto» della massoneria americana in rapporto ad altre forme di essa. Nelle logge massoniche americane è diffusa una leggenda secondo la quale gli ultimi Templari, dopo essersi nascosti per qualche tempo alle persecuzioni dei monarchi francesi e dei poteri cattolici in Europa si trasferirono in seguito in America, portandovi i loro segreti ed i loro tesori. Alcuni affermano addirittura che persino il Santo Graal venne allora portato in America. In ogni caso i massoni americani sono convinti che il vero centro «santo» della massoneria si trovi negli Stati Uniti e che la massoneria europea, «troppo arcaica ed impotente», sia oggi poco più che una «sopravvivenza dei passato». Indubbiamente di origine massonica sono anche i simboli statali degli USA: la stella bianca a cinque punte (simbolo dell'«Adamo paradisiaco» - di nuovo i temi paradisiaci), e la piramide tronca, la cui sommità è divisa dalla base da un anello di 13 stelle rappresentante le 13 tribù d'Israele. (La tribù di Giuseppe è spesso raffigurata simbolicamente come la duplice tribù di Efrem e Manasse, e così se ne hanno 13 anziché 12; in ogni caso è questa la dottrina propria dell'aritmologia massonica). La piramide tronca ha un significato simbolico alquanto negativo, poiché rappresenta una gerarchia priva della sua sommità sacra, del suo centro sacro. Forse questo emblema venne originariamente utilizzato per esprimere l'atteggiamento antiautoritario ed antimonarchico dell'ordinamento politico degli Stati Uniti, l'assenza di un Unico Governante sul Parlamento, ma il simbolo non è mai limitato alla sua mera funzione emblematica, cosicché la piramide tronca racchiude sicuramente in sé l'idea dell'«iniziazione incompleta», della sua insufficienza, della sua interruzione, il che può essere espresso secondo la lingua rituale massonica come assenza dei «Grandi Misteri» dopo, l'iniziazione ai «Piccoli Misteri». Ma proprio questa incompiutezza del ciclo iniziatico è, secondo ogni tradizione autentica, la più tipica caratteristica della «magia nera».

I doni dal «mondo degli antenati»
M. Eliade ed altri studiosi che si sono occupati delle strutture delle credenze arcaiche hanno accuratamente investigato la logica dei cosiddetti «cargo-culti» melanesiani di carattere escatologico, collegati alla soppressione di tutte le antiche regole religiose ed all'inizio di una particolare epoca «messianica», nella quale sono lecite le più sregolate estasi da alcool e la promiscuità, e che appare caratterizzata da un «ritorno dei morti»: i morti ritornano dall'«America», su grandi navi cariche di doni. In linea di principio gli studiosi non escludono che nel sottofondo simbolico di tali culti vi siano anche i rudimenti di inconsci archetipi di una dimenticata geografia sacra. Oltre a ciò è interessante notate la duplicità dell'atteggiamento dei cargo-culti nei confronti dei bianchi, degli «americani»: da un lato gli «americani» sono considerati sfruttatori delle merci «prodotte» dagli antenati degli stessi aborigeni e dai loro dèi, dall'altro i seguaci di tali culti iniziano ad imitare i bianchi, i loro costumi, le loro abitudini, i loro atteggiamenti. E per quanto i bianchi, in rapporto ai «veri» abitanti della terra dei morti, possano apparire degli sfruttatori, pure hanno con essi un rapporto immediato, il che fa di loro degli esseri comunque eccezionali in fin contesto sacro. Complessivamente il fenomeno dei «cargo-culti» presuppone un imminente inizio della «età dell'oro» e di un'assoluta abbondanza. superiore ad ogni proporzione.
Eliade, studiando, i cargo-culti, dimostra quanto sia comune il loro scenario escatologico che, quasi senza differenze, è riscontrabile anche in Africa, tra gli indù, tra i popoli dell'Oceania e così via. Il «cargo-cultismo escatologico» appare così un fenomeno abbastanza universale, radicato nelle strutture dell'inconscio, in una certa conoscenza primordiale rifugiatasi nel corso dei millenni nella sfera psichica più rudimentale. Neppure è difficile scoprire manifestazioni di questo stesso fenomeno tra i popoli più «civilizzati», ad esempio tra i Russi, il cui specifico cargo-cultismo, nella sua variante bolscevica, è stato rappresentato molto accuratamente dallo scrittore Platonov nel romanzo Cevengur, nel racconto Kotlovan ed in altre sue opere. Si ha addirittura l'impressione che queste opere di Platonov siano state sin dall'inizio concepite come illustrazione di un arcaico cargo-culto. Ma per ritornare ai cargo-culti melanesiani, vogliamo aggiungere che a nostro giudizio il ruolo dell'America in essi non si limita a quello di rappresentare la lontana «terra degli uomini bianchi», ma corrisponde ad un quadro geografico-sacrale più accurato e significativo.
Il fenomeno cargo-cultistico appare in realtà una componente sussidiaria della «terra dei morti», della «America in Atlantide». La coscienza autoctona dei territori non americani, perduta l'originaria integrità metafisica e quindi incapace di sollevarsi ad una vera e verticale prospettiva escatologica, compie una confusione simile a quella che avviene nella stessa coscienza americana: lo spirituale si trasforma in materiale e l'ultraterreno in terreno. E' solo in questo modo che può essere spiegato il complesso atteggiamento dei popoli australi, asiatici, africani ed anche di alcuni europei nei confronti dell'americanismo e dei suoi rappresentanti. Da un lato gli «americanisti» suscitano avversione, ripugnanza e desiderio di sottrarsi alla loro influenza (e talvolta di esplorarla per «smascherarla»), dall'altro la «presenza magica degli antenati morti» alle loro spalle crea un irresistibile desiderio di imitarli. E' curioso osservare come ogni passo degli aborigeni verso l'attivazione del fenomeno cargo-cultistico susciti obbligatoriamente quella «rivoluzione sessuale» in cui ci imbattiamo non solo tra gli isolani ed i popoli «primitivi», ma anche all'interno degli stati cosiddetti «evoluti». Pensiamo ad esempio all'esplosione pornografica verificatasi in Cina parallelamente alla ristrutturazione economica degli anni '80 (ed al miglioramento dei rapporti con gli Stati Uniti), all'amoralismo bolscevico degli anni '20, alla «rivoluzione sessuale» che si sta verificando nell'attuale occidentalizzante India e così via. Occorre anche notare che l'intero spettro del cargo-cultismo si incontra anche nel periodo della perestrojka in Unione Sovietica: il «fattore americano» agisce irresistibilmente e magicamente, suscitando il parassitismo tipico dei cargo-culti, un cieco entusiasmo ed un'attesa escatologica, ma al tempo stesso anche l'oscuro sospetto che gli «americani» si siano arricchiti a spese degli antenati (ad esempio «saccheggiando la Russia») e che agli autoctoni debbano essere restituiti tutti i miracoli della tecnica e le merci scintillanti loro appartenenti per la legge «totemica». Come ha acutamente osservato G. Dzhemal, il polo «povero», aborigeno, della coscienza escatologica (il Kotlovan di Platonov) corrisponde esattamente al polo «ricco» del medesimo fenomeno (al sogno americano della «città luccicante sulla collina»). Si può dire che nel loro risveglio cargo-cultistico gli autoctoni cessino effettivamente di ispirarsi a immaginazioni e costruzioni razionalistiche, soggiacendo invece alle millenarie energie inconsce che si risvegliano in determinate epoche in risposta a segni misteriosi recati da stranieri provenienti dall'Occidente, dalla «Terra Verde».
A conferma di questa distribuzione dei ruoli nell'incontro pseudoescatologico dei «subcoscienti continentali», si può indicare il fatto curioso che per tutte le regioni non occidentali. dei pianeta la condizione più caratteristica degli ultimi 100- 150 anni è quella dell'attesa (insieme ovviamente al sentimento di smarrimento, di frustrazione, di presentimento di una qualche catastrofe; un'attesa percepita tanto più vivamente quanto più arcaico e radicato nel suo subconscio è il popolo in questione.
Al tempo stesso questo sentimento è completamente sconosciuto, almeno in questa intensità, agli americani, i quali, al contrario, sono del tutto soddisfatti dell'attuale situazione e credono senza riserve nel progresso e nel «lieto fine»; soprattutto essi identificano il comfort attuale e le prospettive di un suo infinito prolungarsi col successo della diffusione globale del loro influsso con il compimento della loro missione che consiste proprio nell'arrecare «doni magici» contrassegnati dai sospirati «marchi». E ad un certo punto l'angosciosa attesa da parte degli autoctoni si conclude con l’accettazione dell'«offerta» americana (che è subito accompagnata da qualche pressione economica o militare da parte di un'America preoccupata di esportare il «salvifico» modello), suscitando bizzarri e contraddittori fenomeni culturali e religiosi che mostrano comunque un accentuato carattere cargo-cultistico.

Chiudere l'America
Gli aspetti da noi analizzati della geografia sacra del continente americano, nel loro legame con l'attuale situazione geopolitica degli Stati Uniti potrebbero certo essere integrati da altre osservazioni di carattere simbolico, nonché da considerazioni puramente culturologiche, ma quel che soprattutto ci interessava qui era di fornire una prospettiva dalla quale osservare la questione, per studiarne in seguito gli aspetti più segreti, enigmatici e sinistri. Ma in conclusione, per non, lasciare l'impressione che oltre ai due poli di una falsa escatologia geopolitica (quella cargo-cultistica e quella americana) non esistano altre possibilità, vorremmo ora fare alcune riflessioni supplementari.
In primo luogo gli archetipi inconsci connessi alla struttura spaziale e temporale del cosmo sacro devono essere valutati alla luce di una vera e ortodossa tradizione metafisica, che sola può porre le cose nel posto che compete loro all'interno dell'ordine divino. Al contrario, se si resta al livello subconscio, questi archetipi, reali e possenti come sono, potranno sempre attrarre non solo singoli individui, ma intere nazioni, razze e civiltà verso le conseguenze più imprevedibili e rovinose. Parafrasando una nota massima, possiamo dire che «la strada dell’inferno è lastricata di archetipi inconsci».E questo è vero tanto per i cargo-cultisti, quanto per gli americanisti. Ma per raggiungere la tradizione metafisica capace di illuminare con il raggio dell'Intelletto Divino le profondità abissali dello psichismo occorre compiere uno sforzo intellettuale e spirituale quasi incredibile nelle attuali circostanze, e questo al fine di distaccarsi completamente dagli infondati «dogmi» del pensiero profano e materialista che si è impadronito di quasi tutti i nostri contemporanei: ma non c'è spazio in questa impresa per caotici occultismi, per neo-misticismi e neo-spiritismi di ogni tipo. Il migliore, anzi l'unico, cammino verso questa meta consiste nell'accostarsi a una forma tradizionale e, attraverso la pratica spirituale, rituale ed intellettuale, di questa forma, tentare di penetrare nei suoi aspetti esoterici e segreti, nei suoi misteri. Anche in questo, naturalmente, il principale sostegno è costituito dai lavori dei moderni tradizionalisti, in primo luogo dai libri di René Guénon. Solo un approccio incondizionatamente ortodosso, totalmente religioso e puramente metafisico, ci condurrà al di là delle oscure e pericolose energie del contemporaneo mondo apocalittico.
In secondo luogo, due sono le tradizioni religiose maggiormente esposte all'influsso della «Terra Verde», vale a dire il cristianesimo ortodosso (col quale il protestantesimo, i moderni cattolici ed ortodossi e le sette non hanno nulla a che vedere) e l'Islam ortodosso. (Occorre però notare che l'Islam è da un punto di vista geopolitico, alquanto più saldo).In ogni caso l'orientamento verticale e metafisico di queste religioni - a patto che vengano depurate ad un tempo da tutte le stratificazioni moderne e dalle associazioni antiche - appare una garanzia sufficiente di autenticità ed efficacia spirituali. Tuttavia anche in queste religioni è necessario rivelare i vari aspetti geopolitici (il che è evidente nell'Islam, meno nel cristianesimo) e da dimostrare la loro incompatibilità con l'intera dialettica della «Terra Verde» e dei suoi servi oppositori cargo-cultistici.
Infine è necessario dare forma ad un concetto puramente geopolitico ed extra-religioso dei «blocco eurasiatico» (Kontinentalblock, come si diceva una volta) che dovrebbe unificare tutti i popoli e gli stati eurasiatici in un solo complesso autonomo e sottratto al paradigma parodistico-escatologico che serra attualmente il mondo intero. Oggi, dopo lo smantellamento del sistema socialista, non è in fondo importante in quale regime ed in quale paese questo avvenga. A livello globale, è adesso assai più importante come il singolo popolo e il singolo stato si confrontano con l'«Atlantide riemersa» e la sua missione. Per questa ragione l'idea di una «Eurasia dei popoli» e di una «casta eurasiatica» che abbia un accentuato indirizzo anti-atlantico e si rivolga alle sue risorse interiori, spirituali, religiose, economiche e materiali, non è adesso tanto astratta ed utopica quanto potrebbe sembrare. Forse la fede negli «antenati morti», negli scopritori della coca-cola, è più realistica ed obiettiva?
Per quel che riguarda il continente America, il periodo della sua espansione sarà, secondo precise corrispondenze cicliche, teso, tempestoso, pieno di avvertimenti inquietanti, ma anche estremamente breve, perché la New Age, del cui avvento parlano i mistici sostenitori della «Nuova Gerusalemme», ma che ancora non è iniziata, sta per giungere. Il suo arrivo sarà segnato da grandi cataclismi geografici. E chissà, forse all'Arnerica-Terra Verde può essere riservato lo stesso destino toccato un tempo ad un altro continente situato nell'Atlantico.


Traduzione di Danilo Valdorio
NOTE

1) A. Afetinan, The Oldest Map of America Drawn by Piri Reis, Turkish Historical Society, Ankara 1954. Il prof. Afetinan ha pubblicato nel 1975 e nel 1987 due nuove edizioni, notevolmente accresciute, della propria opera (N.d.E.).
2) Nella ierostoria islamica, Marwah è una delle due colline tra cui corse Agar alla ricerca d'acqua per il piccolo Ismail (N.d.E.).

Der Wehrwolf
01-07-02, 20:59
ARCHIVIO EURASIA




Concetti strategici degli USA
dalla fine della guerra fredda

Da leader del Mondo Libero a potenza predatrice


Se il fondamento della politica estera degli Stati Uniti d'America nel periodo della guerra fredda era stato unico e in definitiva riducibile a tre semplici enunciati - "contenimento" (containment) dell'URSS, freno alla diffusione mondiale del "comunismo", promozione della crescita economica nel "mondo libero" sotto l'egida Americana - con la caduta del muro di Berlino si apre una fase caratterizzata da una pluralità di concezioni strategiche possibili.
Queste risultano appartenere a tre filoni principali, che gli strateghi statunitensi (tradizionalmente affezionati all'uso di espressioni-chiave) hanno definito come internazionalismo trionfante, neo-isolazionismo o disimpegno e neo-interventismo selettivo.
1.
E' nel campo dell'internazionalismo trionfante che si collocano le opzioni dottrinarie caratterizzate da un'istanza di continuità con la politica estera degli anni 1945-1989; una continuità che peraltro, almeno in alcune posizioni, è corretta dall'urgenza di "cogliere il momento favorevole", di avvantaggiarsi al massimo della posizione di unica superpotenza mondiale.
Un concetto chiave di questa corrente è quello celebre di nuovo ordine mondiale (New World Order), coniato dal presidente Bush nel 1990 in occasione della prima campagna di aggressione contro l'Irak e in seguito passato a definire il nuovo ruolo e le nuove "responsabilità" degli USA. Il concetto in sé non esprime novità sostanziali rispetto alla fase precedente: preoccupazione per la stabilità, mantenimento dello statu quo, riconoscimento della "leadership globale" degli USA. Più interessante è la riflessione sull'applicazione pratica del concetto, avvenuta con l'operazione Desert Storm e il suo proseguimento nel Golfo Persico. Affiora la giustificazione della guerra preventiva come strumento di preservazione dell'ordine mondiale, ma allo stesso tempo - con il divario evidente fra potenza militare dispiegata e risultati conseguiti in termini di condizioni per una pace duratura - una scissione fra potenza militare e responsabilità politica; scissione che secondo alcuni le successive scelte operate in Somalia e Bosnia confermerebbero.
Ma se i vertici politici mostrano tutta la loro carenza nel dare sostanza al concetto di nuovo ordine mondiale, i vertici militari suppliscono con entusiasmo.
Nel 1992 uno dei tanti "scoop pilotati" porta alla pubblicazione sulle pagine del New York Times di un rapporto "segreto" del Pentagono (Defense Planning Guidance, redatto sotto la direzione del sottosegretario alla Difesa per gli affari politici, Paul Wolfowitz) interpreta esplicitamente il nuovo ordine mondiale come volontà degli USA di mantenere il proprio status di superpotenza unica facendo leva soprattutto sulla potenza militare, da impiegarsi - se del caso - anche unilateralmente. La NATO, in questa prospettiva, è il veicolo degli interessi americani in Europa e il massimo garante della sicurezza europea.
E' un giornalista (Charles Krauthammer) a coniare il significativo concetto di momento unipolare per descrivere il carattere al tempo stesso assoluto e temporaneo della supremazia USA; fra due, tre decenni nuovi rivali potranno essere abbastanza forti per sfidarla. Ma unipolarità implica anche concentricità attorno ad un polo: quindi, al centro dell'ordine mondiale, una confederazione occidentale di cui il Gruppo dei Sette è una specie di prefigurazione), e al centro di questa gli USA. Cerchi concentrici dove la distanza dal centro si misura in perdita di sovranità. Obiettivo finale, la formazione di quel mercato comune mondiale preconizzato da Fukuyama nella sua Fine della storia. Ma l'obiettivo primo, e il primo compito da realizzare, è l'unificazione dell'Occidente economicamente avanzato.
Precursore in questa direzione era stato Robert Strausz- Hupé, che sin dal 1957 aveva agitato la necessità di unificare il mondo sotto la bandiera a stelle e strisce "nell'arco di una generazione" (!) e - campione del mondialismo ante litteram - bollato l'idea di Stato-nazione come un'odiosa invenzione ideologica francese e come "la forza più retrograda del XX secolo". Il sogno federalista mondiale di Strausz-Hupé (nel quale la NATO era il nucleo fondante) investiva gli USA del ruolo di "architetti di un impero senza imperialismo", con la cultura anglosassone a fare da tramite fra le culture antiche e la nuova cultura mondiale emergente. La miseria di tale concezione non le impedisce di continuare a fare adepti, fra cui Strobe Talbott, attuale numero due del Dipartimento di Stato di Clinton.
Joseph Nye sottolinea invece gli aspetti "morbidi" del pensiero internazionalista. Dopo la guerra del Golfo Persico, è chiaro che la potenza economica non ha mandato in soffitta la potenza militare. Gli USA sono al primo posto perché egemoni sul piano del hard power (potere di coercizione) come del soft power (potere di persuasione). Questo secondo aspetto rinvia agli istituti transnazionali nei quali gli USA devono assicurarsi il controllo in ultima istanza: il World Trade Organization (ex GATT), il FMI, il Trattato per la non-proliferazione nucleare, e via dicendo. In questo delirio di onnipotenza, il ruolo possibile dell’America è stato descritto come quello di "grande organizzatore" mondiale, paragonabile a quello svolto dalla Gran Bretagna nei secoli XVIII e XIX, all’Austria fra il 1812 e il 1818, al Papato nei secoli XII e XIII, fino all’Atene prima della guerra del Peloponneso.
Si arriva a rigurgiti "spengleriani" (con tante scuse a Oswald Spengler) nell’appello di Ben Wattenberg, direttore di Radio Free Europe, affinché il popolo Americano riconosca il suo "nuovo destino manifesto" (new manifest destiny) nel compito di promuovere nel mondo la "democrazia di tipo americano". Qui è la cultura ad assumere una funzione primaria, e gli USA dispongono delle migliori armi anche su questo terreno: il mondo dello spettacolo, i media, la lingua inglese, il turismo, l’istruzione universitaria (sic) e i sistemi informatici – senza dimenticare il business dell’entertainment. Insomma, Coca Cola, Bill Gates e Pamela Anderson al servizio del mondo unipolare a dominanza USA.
Altri non esitano a riciclare con disinvoltura termini oggigiorno messi al bando dall’ossessione puritana del politically correct. Il conservatore d’assalto Irving Kristol dalle pagine del Wall Street Journal (agosto 1997) celebra "il giorno non lontano .. in cui il popolo Americano prenderà coscienza di essere una nazionale imperiale… una grande potenza può essere insensibilmente condotta ad assumersi delle responsabilità senza esservisi esplicitamente impegnata".

2.
Ad una maggiore sobrietà è improntato – almeno in apparenza – il pensiero neo-isolazionista. I suoi esponenti riconoscono l’impossibilità per l’America di gestire efficacemente una politica estera internazionalista, economicamente e militarmente: lo vieta, fra l’altro, un bilancio della difesa che negli anni ’90 è prossimo a 300 miliardi di dollari annui, a fronte del gonfiarsi del debito interno, di un tasso di risparmio fra i più bassi del mondo, di un sistema dell’istruzione fallimentare (evviva la sincerità) e di una scarsa propensione a reinvestire capitali nella sfera della produzione invece che nella sfera finanziaria.
Isolazionismo non significa – né ha mai significato, nella storia degli USA – volontà di isolamento. E’ una dottrina politica che non preclude lo sviluppo crescente di relazioni economiche con l’esterno, esprimendo tuttavia un desiderio di disimpegno finalizzato, in ultima analisi, a non legare in alcun modo le mani all’azione politica Americana.
Tradizionale cavallo di battaglia del pensiero repubblicano, accentuato dalla sconfitta nel Vietnam, il neo-isolazionismo ha la sua tendenza "nazional-populista" in Patrick Buchanan. L’ex collaboratore di Nixon e Reagan auspica il totale ritiro delle forze USA dall’Europa e dall’Asia, ma senza disarmare. Il primato Americano deve essere mantenuto in mare, nell’aria e nello spazio; l’interventismo non viene escluso, a patto che non sia di terra (evidente la natura del compromesso raggiunto con Clinton in occasione dell’aggressione contro la Jugoslavia).
Questa specie di riedizione della "dottrina Monroe" è condivisa e radicalizzata da Ted Carpenter, direttore del Cato Institute. Carpenter si batte per una strategia indipendente, libera da impegni onerosi ed obsoleti; gli "interessi vitali" degli USA vanno rigorosamente definiti, l’interventismo a tutto campo va rigettato; i conflitti locali (Europa inclusa) non devono essere considerati una minaccia ai suddetti "interessi vitali". "Quali sono gli interessi vitali dell’America?" si domanda Edwin Feulner, presidente della Heritage Foundation, ed elenca cinque punti: salvaguardare la sicurezza nazionale (territorio, confini, spazio aereo americani); prevenire la minaccia da parte di una potenza antagonista in Europa, nell’Estremo Oriente e nel Golfo Persico (il riferimento è rispettivamente a Russia, Corea del Nord, Iran e Irak); mantenere la capacità di accesso degli USA ai mercati esteri; proteggere gli Americani da "terrorismo e criminalità internazionale"; preservare la possibilità di accesso alle risorse strategiche.
Corollario della tesi di Carpenter è il giudizio netto sulle alleanze attuali e sulla NATO – un’eredità del passato di cui disfarsi. Il tutto in un contesto di "pessimismo della ragione": l’istante unipolare non durerà.
E’ ancora il Cato Institute, per voce di Barbara Conray, a negare che nel perseguimento della leadership politica e militare possa consistere il fondamento della politica estera Americana. Essere il "Gendarme del Mondo" presenta costi superiori ai benefici.
Attorno a questo assunto, un ampio ventaglio di posizioni non crede nella possibilità che l’egemonia USA sopravviva alla guerra fredda. Non nasceranno nuove superpotenze, anzi le crisi regionali condurranno ad una crescente frammentazione del potere. Gli USA devono quindi adoprarsi per "compartimentare" questa instabilità regionale, senza intervenirvi attivamente. I 40 anni della guerra fredda hanno conferito eccessiva preminenza alla politica estera, lamenta l’ex ambasciatore all’ONU Jeane Kirkpatrick: è ora che l’America affronti questioni di ordine inferiore.
Perché il potere oggi è essenzialmente economico, ed è su questo terreno che si svilupperà la vera competizione. L’opzione mondialista non avrà come premio un mondo costituito attorno ai valori americani. E la difficile situazione socioculturale dell’America rende urgente un profondo rinnovamento all’interno.

3.
Agli "opposti estremismi" dell’internazionalismo e dell’isolazionismo si contrappone la corrente di pensiero favorevole ad un neo-internazionalismo pratico (practical internationalism, secondo l’espressione di Richard Gardner, attuale consigliere di Clinton).
Il concetto chiave che ispira buona parte dell’azione di politica estera dell’amministrazione Clinton è quello di sicurezza multilaterale (identificato con la figura del segretario di stato aggiunto per gli affari esteri Tarnoff). L'interpretazione stretta di questa dottrina vede gli USA limitare l'uso della forza ad un contesto multilaterale, salvo il caso in cui certi loro interessi vitali siano messi in gioco. A seguito delle critiche che hanno bersagliato l'amministrazione per il modo con il quale sono state trattate le crisi in Bosnia e in Somalia, Si è riscontrato uno spostamento a favore di un concetto allargato di sicurezza multilaterale, secondo il quale la multilateralità è un mezzo, non un fine, e l'azione unilaterale non va esclusa in assoluto.
Legato al concetto di sicurezza multilaterale è quello di indipendenza strategica. Se la dottrina del contenimento esprimeva la volontà di impedire in Eurasia il dominio di una potenza egemone, ora - restando fermo questo obiettivo strategico - l'America rinuncerebbe ad agire in prima persona e punterebbe a mantenere una situazione di equilibrio fra potenze a livello globale e a livello regionale; l'indipendenza strategica degli USA consisterebbe nel poter sfruttare la rivalità fra le altre potenze potendo beneficiare dei vantaggi geopolitici derivanti dall'insularità, dalla lontananza dal teatro dei conflitti, dalla superiorità militare e nucleare.
In questa riedizione della teoria dell'equilibrio delle forze, Henry Kissinger precisa che gli USA non potranno più fare fronte contemporaneamente a tutte le situazioni di crisi potenziale: si impone una selezione. Nell'interventismo selettivo di Kissinger, alcune crisi potranno esigere un intervento unilaterale dell'America, altre richiedere un'azione soltanto multilaterale, altre ancora non meritare alcun tipo di intervento militare. In questa prospettiva viene meno, in quanto irrealizzabile nel nuovo contesto mondiale, l'intento di costituire un ordine globale fondato sugli interessi Americani (la cosiddetta "Pax Americana"); il ruolo dell'America viene così a rassomigliare a quello dell'Inghilterra nel XIX secolo
Questa concezione viene ripresa e rafforzata dalla riflessione di Zbigniew Brzeszinski. Il concetto di impegno globale selettivo (global selective commitment) riassume per gli USA
• il possibile scollamento fra i propri interessi in politica estera e quelli dei tradizionali alleati
• il mantenimento del ruolo di principale polo di dissuasione nucleare
• il mantenimento di vantaggi militari (aviazione, marina) su alleati e non
• l'impegno selettivo e proporzionato in forme variabili di cooperazione su scala regionale (la NATO essendo l'esempio classico)
A questo indirizzo - che l'amministrazione Clinton ha fatto proprio - si coniuga quello di allargamento della "comunità liberale".
Alcuni autori di questa corrente di pensiero hanno apertamente candidato la supremazia economica al ruolo primario, ricacciando in secondo piano sicurezza e diffusione di valori (si pensi in proposito alla rapida riconversione della CIA - o per lo meno delle sue strutture "evidenti" - allo spionaggio economico). Alla bipolarità del mondo della guerra fredda si sostituirebbe una tripolarità - USA, Europa e Giappone - di superpotenze economiche. Una concezione funzionale all'urgenza di mantenere i mercati esteri aperti alla concorrenza e agli investimenti Americani. In questo contesto, la promozione di sistemi di leadership collettiva - collettiva, beninteso, ma rigidamente controllata dagli USA - diventa un obiettivo primario da promuovere; pena l'emergenza di blocchi regionali sempre più "chiusi" all'influenza del capitale a stelle e strisce.
Il segretario di stato Warren Christopher nel 1992 ha affermato che la "sicurezza economica" rappresenta l'obiettivo primario di politica estera dell'amministrazione Clinton. Il segretario di stato aggiunto Strobe Talbott nel 1994 ha parlato di "diplomazia per una competitività globale" - che cosa intenda con questa definizione, lo ha chiarito perfettamente lo stesso Strobe Talbott: stare in guardia affinché i nuovi raggruppamenti economici regionali non si pongano obiettivi contrastanti con i famosi interessi superiori degli Stati Uniti. L'Unione Europea - fra gli altri - è avvertita.
L’America come Big Corporation che deve sfruttare una temporanea posizione di forza sul mercato per plasmarlo e trasformarlo ai propri fini. E’ quanto suggerisce in The Reluctant Sheriff (1997) Richard Haas, maître à penser della Brookings Institution, ed ex consigliere di Bush: "Obiettivo della politica estera americana deve essere operare, con gli altri attori che condividono le stesse idee, a migliorare il funzionamento del mercato e a rafforzare il rispetto dele sue regole fondamentali. Con il consenso, se possibile, con la forza, se necessario". Non il Gendarme del Mondo, impegnato 24 ore su 24 a combattere i cento Imperi del Male, ma lo Sceriffo, che – quando la situazione rischia di divenire incontrollabile – raccoglie in fretta volontari e mercenari e parte alla volta di una spedizione punitiva.
Ci ricorda qualcosa?
4.
Abbiamo voluto dedicare un paragrafo a parte a Samuel Huntington. Il saggio dal titolo The Clash of Civilizations? - con tanto di punto interrogativo - apparve nel bimestrale Foreign Affairs nell'estate del 1993. L'approfondimento della questione - e la scomparsa del punto interrogativo - viene tre anni dopo con il volume The Clash of Civilizations and the New World Order. Il nucleo dell'argomentazione, rispetto al tema che qui ci interessa, è esposto all'inizio del settimo capitolo:
"L'ordine instaurato all'epoca della guerra fredda fu il prodotto del dominio delle due superpotenze sui rispettivi blocchi e dell'influenza da essi esercitata sul Terzo Mondo. Nel mondo emergente, il concetto di potenza globale è ormai obsoleto, il villaggio globale un sogno. Nessun Paese, neanche gli Stati Uniti, vanta significativi interessi di sicurezza su scala globale. Gli elementi costitutivi dell'ordine internazionale in un mondo più complesso ed eterogeneo quale quello odierno, vanno individuati all'interno delle singole civiltà e nelle interazioni fra queste. Il mondo sarà ordinato in base alle civiltà o non lo sarà affatto. Al suo interno, gli stati guida delle diverse civiltà prendono il posto delle superpotenze, si ergono a tutori dell'ordine all'interno delle rispettive civiltà e, tramite il negoziato con gli altri stati guida, nei rapporti fra esse. ... Uno stato guida può svolgere la sua funzione di tutore dell'ordine perché gli stati membri lo considerano culturalmente affine. ... Laddove sono presenti, gli stati guida rappresentano l'elemento cardine del nuovo ordine internazionale fondato sulle civiltà".
E qui il discorso ci riguarda da vicino. Qual è infatti la "nostra" civiltà secondo Huntington?
"Durante la guerra fredda gli Stati Uniti erano al centro di un ampio e variegato gruppo di Paesi accomunato dall'obiettivo di impedire l'ulteriore espansione dell'URSS. Questo gruppo, variamente denominato Mondo libero, Occidente o Alleati, comprendeva molte ma non tutte le società occidentali, Turchia, Grecia, Giappone, Corea, Filippine, Israele ... Con la fine della guerra fredda ... l'Occidente multiculturale della guerra fredda si riconfigura in un nuovo raggruppamento più o meno coincidente con la civiltà occidentale".
La violenza alla geopolitica operata da Huntington è strumentale all'azzeramento di ogni differenza fra il mondo anglosassone e la civiltà europea in un concetto di civiltà occidentale che assorbe la seconda nel primo.
Fin qui, l'esito dell'analisi è sconcertante, ma efficace sul piano della teorizzazione del ruolo egemone degli USA e dell'alleato britannico sull'Europa.
E' quando l'autore cerca di forzare la realtà nei suoi schemi che emergono le incongruenze più evidenti ma anche più interessanti.
Definiti i conflitti di faglia (fault-line conflicts) come "conflitti fra stati limitrofi appartenenti a gruppi di civiltà diverse che vivono in seno ad una stessa nazione" - in opposizione ai conflitti fra stati guida che coinvolgono gli stati principali delle diverse civiltà - Huntington passa ad esaminare in questa chiave i principali scontri degli anni '80 e '90.
Vediamo il caso di maggiore interesse. Qui - ricordiamolo, siamo nel 1996 - Huntington si riferisce alla guerra di Bosnia, ma l'argomentazione è perfettamente applicabile al conflitto del Kosovo.
In una guerra di faglia agirebbero attori di primo livello (nel caso bosniaco, i contendenti serbi e croati, oltre ai bosniaci stessi), di secondo livello (i governi delle tre popolazioni coinvolte), e di terzo livello, per lo più i rappresentanti delle rispettive civiltà- - in questo caso Germania, Austria, Vaticano, stati e gruppi cattolici europei al fianco della Croazia, Russia, Grecia e altri Paesi e gruppi ortodossi al fianco della Serbia, e - al fianco dei bosniaci - diversi stati Islamici e... gli Stati Uniti d'America!
Si tratta di una "parziale eccezione", ammette Huntington, di "un'anomalia", che potrebbe essere spiegata come un errore dell'amministrazione Clinton, troppo condiscendente verso le "forti pressioni dei suoi amici nel mondo musulmano".
Un'anomalia tanto poco anomala da ripetersi, come un perfetto copione, nel caso dell'aggressione angloamericana alla Jugoslavia che ha avuto come pretesto la questione del Kosovo.
Curiosamente, questa raffinata concezione teorica finisce per demolire gli stessi presupposti sui cui vorrebbe fondarsi... oppure?
Oppure, ancora una volta, c'è qualcosa che non si voleva ancora dichiarare apertamente - forse quella concezione di "Third American empire" avente i Balcani come territorio conteso, pubblicizzata da Michael Lind e Jacob Heilbrunn nel gennaio 1996 (Washington Post). Allora sì, diviene comprensibile come gli USA possano presentarsi come "attori di terzo livello" - o come padrini mafiosi, fuor di metafora - di uno "pseudo Islam" cui è affidato il ruolo di cuneo, a vietare la ricomposizione di un grande spazio europeo.

5.
Due parole a mo' di conclusione. E' tempo di rimettere la realtà sui piedi. Come l'isolazionismo degli USA in politica estera non è mai esistito, riducendosi alla preferenza - nel periodo fra le due guerre - per i metodi indiretti basati sulla coercizione economica e sulla manipolazione diplomatica - e quindi è una finzione l'appello ad un supposto neo-isolazionismo - allo stesso modo l'urgenza di contrastare un declino che si annuncia irreversibile, sul piano politico, diplomatico, economico, militare, svuota di ogni contenuto di "disimpegno" l'interventismo pratico e selettivo: dietro la maschera dell'America garante della "sicurezza multilaterale" e degli equilibri regionali, sta l'organizzazione sistematica della destabilizzazione diplomatica, politica, finanziaria e militare a livello mondiale - a partire dal "cuore del mondo", dal continente eurasiatico.
Qui sta il significato storico della guerra di Jugoslavia.
Ma, se in ogni menzogna si nasconde un briciolo di verità, allora siamo debitori a Huntington di una lezione preziosa. In un mondo nel quale saranno sempre più le civiltà, nel loro reciproco rispettarsi, comprendersi e coesistere, a produrre senso, di fronte all'assenza di senso della globalizzazione, gli USA e i loro omologhi in terra d'Albione sono davvero un'anomalia che deve scomparire.

Der Wehrwolf
01-07-02, 21:00
Nikolaj von Kreitor
LA NATO E GLI ARCHITETTI
DEL LEBENSRAUM AMERICANO
Il programma americano per l’egemonia mondiale


Fu John O’Sullivan a formulare nel 1845 il concetto di Lebensraum americano – la Dottrina del Destino Manifesto [Manifest Destiny]. Coniò questo termine per indicare la missione degli Stati Uniti “di ampliare il continente assegnatoci dalla Provvidenza per la crescita delle nostre moltitudini, che ogni anno si moltiplicano”.(1) Per Josiah Strong, l’imperialista americano par excellence, il Manifest Destiny possedeva una destinazione geopolitica – la creazione di un impero mondiale. L’America sarebbe stata il più grande degli imperi. “Le altre nazioni recheranno le loro offerte alla culla del giovane impero d’Occidente, così come un tempo portarono i loro doni alla culla di Gesù”.(2) Dal momento che il destino e la sua realizzazione erano preordinati da Dio, gli Americani possedevano un diritto supremo allo spazio, anteriore e superiore ai diritti altrui. In combinazione con la Dottrina Monroe, il contenuto teologico della Dottrina del Manifest Destiny forniva una spiegazione quasi evangelica del palese disegno geopolitico di conquistare e sottomettere spazi, dapprima l’intero Emisfero Occidentale, in seguito, a partire dalla guerra contro la Spagna del 1898, il mondo intero. Come ha osservato Carl Schmitt, nel 1898 gli USA si sono avventurati in una guerra, contro la Spagna e più tardi contro il mondo intero, che non è ancora finita. In questo contesto, la guerra americana contro la Jugoslavia è soltanto la prosecuzione di una guerra centenaria che gli Stati Uniti hanno iniziato nel 1898.
Nella storia degli Stati Uniti la spinta espansionistica è stata altrettanto potente di una religione. La continuità delle mire belliche espansioniste americane dall’epoca della Dottrina del Manifest Destiny è stata la caratteristica dominante della politica estera, nella quale sono confluite tre componenti della Weltanschauung espansionista americana: la Dottrina del Manifest Destiny – la componente teologica; la conquista, preordinata da Dio e dalla Provvidenza, al fine di compiere il volere dell’Onnipotente, in second’ordine, la conquista al fine di instaurare la democrazia o negli interessi della democrazia e dell’umanità; la Dottrina Monroe – la componente geopolitica; e la Dottrina della Open Door [Porta Aperta] – la componente economica.

Fu alla fine del secolo scorso che le fondamenta intellettuali della dottrina geopolitica americana vennero formulate da Frederick Jackson Turner, Brooks Adams, e l’ammiraglio Mahan; la sua realizzazione fu avviata da Theodore Roosevelt e in seguito da Woodrow Wilson. Le concezioni geopolitiche avanzate da Frederick Jackson Turner, Brooks Adams, e l’ammiraglio Mahan “divennero una visione del mondo, una Weltanschauung espansionista per le successive generazioni di Americani… un fattore importante per comprendere l’espansione imperiale americana nel XX secolo”, scrive il celebre storico americano William Williams. La politica del Lebensraum americano detta ‘imperialismo della Open Door’, e l’ampliamento dell’impero americano tramite l’espansione del perimetro della Dottrina Monroe, spiegano la politica estera americana nel corso del secolo, incluse le attuali iniziative di espansione della NATO, l’affermazione del preponderante potere americano su tutta l’Eurasia e la guerra contro la Jugoslavia.

Gli architetti del Lebensraum americano hanno fornito una giustificazione razionale anche per la NATO. La NATO, in quanto costruzione geopolitica, è fermamente ancorata alla “Tesi della Frontiera” della politica estera espansionista americana, ed appare come una funzione e strumento del Grossraum atlantico vagheggiato da Turner, Adams e Mahan. Nelle parole del senatore Tom Connally: “il Patto Atlantico è la logica estensione della Dottrina Monroe”. La creazione della NATO ha comportato l’estensione della Dottrina Monroe all’Europa – l’Europa diverrà per gli Stati Uniti un’altra America Latina, sostiene lo storico americano Stephen Ambrose.(3)

Il concetto fondamentale di Frederick Jackson Turner era quello secondo cui l’unicità dell’America era il prodotto della sua frontiera in espansione. Egli definì l’esistenza storica dell’America come una perpetua espansione geopolitica verso nuove frontiere ad occidente. “L’esistenza di un’area di terre libere, il suo continuo recedere e l’avanzamento degli insediamenti americani a Ovest spiegano lo sviluppo dell’America”.(4) La “universale predisposizione degli Americani” – un “popolo in espansione” – è quella all’allargamento del proprio dominio”, e l’ampliamento geopolitico in atto “è il risultato attuale di una potenza espansiva che è insita in essi”,(5) proclamava Turner. La storia americana è la storia di “una linea di frontiera in continuo avanzamento… La frontiera è la linea di più rapida ed efficace modernizzazione americana… Il movimento è il suo elemento dominante, e… l’energia americana esigerà continuamente un campo di applicazione sempre più vasto”.(6)

“L’altra idea (nella Weltanschauung imperialista americana) è la tesi di Brooks Adams, secondo cui l’unicità dell’America può essere preservata solo mediante una politica estera espansionista”.(7) La tesi di Adams era costruita al fine di preservare la spiegazione del passato americano fornita da Turner e proiettarla nel futuro. “Prese assieme, le idee di Turner e Adams offrirono ai costruttori dell’impero americano una visione e interpretazione del mondo, oltre che un programma d’azione ragionevolmente dettagliato dal 1893 al 1953”, afferma William Williams. “Espansione fu il catechismo di questo giovane messia dell’unicità ed onnipotenza dell’America… Turner offrì agli Americani una visione del mondo nazionalistica che spazzava via i loro dubbi… e giustificava la loro aggressività”.(8) Turner, guardando al passato dell’America, vide nella conquista definitiva del West il realizzarsi del Manifest Destiny nell’Emisfero Occidentale. Adam vide la prossima nuova frontiera – il mondo intero. La sua visione mondiale conduceva inevitabilmente ad un solo impero mondiale – l’Impero Mondiale Americano, e non a quella pluralità di Grossräume o Pan-regioni immaginata da Carl Schmitt o dal generale Haushofer.

In The Law of Civilization and Decay(9) (1895) Brooks Adams “teorizzava il mondo come frontiera”.(10) Egli proponeva una politica di espansionismo aggressivo mirata a fare dell’Asia una colonia economica e a permettere all’America di assicurarsi una vasta nuova frontiera in Asia. Nella sua essenza, la conquista dell’Eurasia ebbe inizio allora. “Furono persino ristampate le sue raccomandazioni di politica estera degli anni ‘890 come guida per gli Stati Uniti nel corso della Guerra Fredda”,(11) osserva William Williams. Nel suo libro “American Empire”(12) del 1911, Brooks Adams preconizzava la venuta dell’impero mondiale americano e la conquista dell’intero spazio geopolitico eurasiatico. Nell’interpretazione di Theodore Roosevelt e Woodrow Wilson, che vedono la spinta verso occidente come conquista civilizzatrice dell’Eurasia, si avverte l’influsso delle opere di Turner e Adams. Scriveva quest’ultimo “usare il potere economico e militare per espandere la frontiera degli Stati Uniti verso occidente”.(13)

Il disegno espansionista di Brooks Adams fu il fondamento della politica estera americana – espansionismo dapprima in Asia, poi in Europa. “Wilson, nel presentare la propria interpretazione della storia americana, fece ampio uso della tesi della frontiera di Turner”; “Tutto ciò che ho scritto sull’argomento viene da lui”, precisò Woodrow Wilson.(14) Prendendo a prestito la terminologia della Dottrina del Manifest Destiny, lo slogan di Wilson – “un mondo sicuro per la democrazia” – significava in realtà un mondo sicuro per le politiche del Lebensraum americano. Come aggiunge Williams, “più ancora che nel caso di Theodore Roosevelt, le politiche di Woodrow Wilson e dopo di lui Franklin Delano Roosevelt furono Turnerismo classico”.(15) La tesi della frontiera fece della democrazia (ossia del dominio americano) una funzione della frontiera in espansione. “F.D. Roosevelt è sempre stato… un Turneriano in politica estera… di un Turnerismo peraltro unito alla realpolitik di Adams”.(16)

Woodrow Wilson fu il primo ad aprire uno spiraglio sulla futura egemonia mondiale americana. Già intravedendo una Gran Bretagna soggiogata dagli USA, e John Bull trasformato in un obbediente servitore del Padrone atlantico d’oltremare, Adams individuò il nemico principale nell’Europa occidentale.
“L’accelerazione del movimento di concentrazione del forte sta tanto rapidamente schiacciando il debole, che sembra a portata di mano il momento in cui due grandi sistemi saranno in gara l’uno contro l’altro, e la lotta per la sopravvivenza avrà inizio... Che ci piaccia o meno, siamo costretti a competere per il primato commerciale, o, in altre parole, per il primato imperiale… Il nostro avversario (Francia, Germania e Russia) è implacabile e determinato… Se cediamo di fronte a lui, ci soffocherà”.(17)

La supremazia economica, dichiarava Adams, era la base di ogni potenza.(18) Libero commercio ed internazionalismo economico, ossia l’economia internazionale sotto il controllo americano, era la chiave del dominio mondiale. “Adams sosteneva che gli Stati Uniti dovessero assumere un ruolo sempre maggiore nel plasmare l’ordine mondiale. La potenza economica (e morale) andava tradotta in potenza militare, se l’America voleva accettare – per usare l’espressione di Franklin D. Roosevelt, influenzato da Adams – ‘il suo appuntamento con la storia’”.(19) American Economic Supremacy (1900)(20) di Adams fu il classico manuale per i costruttori dell’impero americano. Scrivendo nel 1945, Childs affermò: “Se Adams avesse scritto l’anno scorso, in vista della pubblicazione quest’anno, non avrebbe dovuto correggere quasi nulla per adeguare le sue opinioni al mondo contemporaneo”.(21) Lo stesso vale per il periodo post-1991. Il padre della dottrina del containment [contenimento], George Kennan, nell’esporre e difendere quella politica citava Adams “nel ristretto numero di Americani che avevano riconosciuto le giuste fondamenta della politica estera… L’analisi e le argomentazioni di Kennan erano per molti aspetti simili a quelle di Adams”.(22) Un classico esempio della Tesi della Frontiera fu la Dottrina Truman, ideata per facilitare l’espansionismo americano e definita in un discorso da Truman “Frontiera Americana”. “Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, i dirigenti americani ragionavano già in termini ancora più espliciti secondo il modello teorico sviluppatosi negli anni ‘890”.(23) “Al pari di molti altri aspetti della storia americana del XX secolo, la visione militare del mondo fu un prodotto diretto della prospettiva dell’espansione della frontiera.(24)

L’ammiraglio Mahan fornì la prima giustificazione razionale della NATO. “Esprimendosi con minacciose allusioni all’uso della forza fisica”, Mahan tratteggiava un futuro nel quale l’espansione industriale avrebbe condotto ad una rivalità per i mercati e le fonti di materie prime, sfociando alla fine nella necessità di disporre della potenza per aprire conquistare nuovi mercati. La potenza marittima sarebbe stata il veicolo decisivo per l’espansione, il nuovo colonialismo “Open Door” esigeva i servizi della marina americana. Come afferma LaFeber, Mahan riassunse la sua teoria in un postulato: “In queste tre cose – produzione, con la necessità di scambiare i prodotti, spedizione, tramite cui lo scambio avviene, e colonie – risiede la chiave di gran parte della storia e della politica delle nazioni costiere”.(25) Dalla produzione deriva la necessità della spedizione, che a sua volta crea il bisogno di colonie.(26)

Le “Open Door Notes” [Annotazioni sulla ‘Porta Aperta’] – la proclamazione del Lebensraum americano nel 1899 e 1900 – significarono l’inizio dell’invasione commerciale del mondo e della futuro espansionismo imperialista americano tramite la politica della Open Door.(27) Come ho già fatto notare, le parole di Wilson – “un mondo sicuro per la democrazia” – si traducevano nella realtà in “un mondo sicuro per il Lebensraum americano”. Wilson vide nell’espansione economica oltremare la nuova frontiera che avrebbe preso il posto del continente americano già conquistato. In una sezione del V volume della sua Storia del popolo americano, che sembra una parafrasi del saggio di Brooks Adams, Wilson proclamava che gli Stati Uniti erano destinati al comando sulle “ricchezze economiche del mondo” tramite l’espansionismo della Open Door. “La diplomazia e, se necessario, la potenza dovranno aprire la via”. In una serie di lezioni tenute alla Columbia University nell’aprile 1907 egli fu ancora più esplicito:

“Dal momento che il commercio ignora i confini nazionali e il produttore preme per avere il mondo come mercato, la bandiera della sua nazione deve seguirlo, e le porte delle nazioni chiuse devono essere abbattute... Le concessioni ottenute dai finanzieri devono essere salvaguardate dai ministri dello stato, anche se in questo venisse violata la sovranità delle nazioni recalcitranti... Vanno conquistate o impiantate colonie, affinché al mondo non resti un solo angolo utile trascurato o inutilizzato”.(28)

F.D. Roosevelt concepiva il suo New Deal nella tradizione geopolitica di Turner e Adams(29) – il New Deal come Nuova Frontiera. Le libertà americane non potevano conservarsi in una società senza frontiere, gli Stati Uniti erano nuovamente alla ricerca di nuove frontiere. “Estendere al mondo intero la Politica della Open Door” divenne il leitmotiv della politica estera americana.(30) Il segretario di stato Hughes la estese a tutte le colonie europee e all’Europa orientale.(32) La Guerra Fredda aveva per oggetto l’apertura delle frontiere russa ed est-europea all’espansionismo americano e all’imperialismo della Open Door. La politica del “containment” – il tradizionale blocco della Fortezza Heartland – serviva il medesimo scopo. Austin Beard nel 1934 lanciò una sfida al New Deal) l’amministrazione Roosevelt) perché rompesse con la tradizione espansionista. Prevedeva che il New Deal sarebbe stato coinvolto in un’altra guerra imperiale. Parlando per bocca del National Foreign Trade Council, la comunità imprenditoriale si oppose decisamente a Beard: “L’auto-contenimento nazionale non trova posto nella politica economica degli Stati Uniti”.(33)

“I dirigenti americani predissero che l’espansione commerciale, finché la porta fosse rimasta aperta, avrebbe garantito agli Stati Uniti i vantaggi economici di un impero formale senza le responsabilità e i costi politici e morali connessi al possesso di colonie”.(34) In ogni caso il risultato finale dell’espansionismo ‘Open Door’ fu la colonizzazione economica del nuovo spazio geopolitico. Come osservò il geopolitico tedesco Otto Maull: “La completa penetrazione economica è la stessa cosa dell’occupazione territoriale”. La guerra della ‘Porta Aperta’ conduce inevitabilmente all’occupazione della ‘Porta Aperta’.



IL PROGRAMMA AMERICANO PER L’EGEMONIA MONDIALE

Il geopolitico inglese Peter J. Taylor, nel suo libro Britain and the Cold War. 1945 as Geopolitical Transition, introduce il concetto di “ordine geopolitico mondiale”, che denota un regime geopolitico di egemonia da parte di un paese storicamente egemone nel sistema mondiale, e sostiene che “l’ordine geopolitico precedente la Guerra Fredda è stato definito come Ordine Mondiale della Successione Britannica”.(36) La Germania nazista e gli Stati Uniti avevo identici programmi di Weltherrschaft [signoria mondiale] ed entrambi erano impegnati in una battaglia per l’egemonia mondiale quali successori del precedente ordine geopolitico della Pax Britannica; “...possiamo interpretare le due guerre mondiali come scontri fra Germania e Stati Uniti per la successione alla Gran Bretagna”.(37) Come risultato della Seconda Guerra Mondiale l’impero politico britannico dominatore fu sostituito da un nuovo impero economico americano.

Già prima della Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti iniziarono a pianificare la futura egemonia mondiale americana. Le minute degli incontri di gabinetto tenutisi a partire dal 1939 fra il Dipartimento di Stato e il Council on Foreign Relations espongono in dettaglio il ruolo degli USA come successori dei britannici.... Le minute del Security sub-Committee, organo dell’Advisory Committee of the Post-War Foreign Policy del Council on Foreign Relations, stabiliscono i probabili parametri della politica estera degli USA nel dopoguerra: “...l’impero britannico, quale è esistito in passato, non tornerà e ... e gli Stati Uniti dovranno prendere il suo posto...’ Gli USA ‘devono coltivare una visione mentale dell’assetto mondiale dopo questa guerra, tale da renderci capaci di imporre le nostre condizioni, equivalenti... alla Pax Americana”.(39) Gli Americani potranno serbare la propria vitalità solo accettando la logica dell’espansionismo indefinito.(40) Nel 1942, il direttore del Council, Isaiah Bowman, scrisse: “La misura della nostra vittoria sarà la misura del nostro dominio dopo la vittoria... (Gli USA devono assicurarsi aree) strategicamente necessarie al controllo del mondo”.(41)

“Il War and Peace Studies Project, avviato dal Council on Foreign Relations sotto l’amministrazione Roosevelt immediatamente prima della Seconda Guerra Mondiale, fu quindi il piano-maestro e il programma di un nuovo ordine globale per il mondo del dopoguerra, un ordine nel quale gli Stati Uniti sarebbero stati la potenza dominante... I gruppi del War and Peace Studies, in collaborazione con il governo degli Stati Uniti, elaborarono una concezione imperialistica degli interessi nazionali e degli obiettivi di guerra degli Stati Uniti. ‘Imperialismo americano’ significò il deliberato intento di organizzare e controllare un impero globale. Il successo finale di questo tentativo fece degli Stati Uniti... la prima potenza mondiale, dominante su vaste aree del mondo – l’impero americano... Tale programmazione determinava, per sua natura, gli ‘interessi nazionali’(42) degli Stati Uniti... Scopo della pianificazione del dopoguerra era la creazione di un ordine politico ed economico internazionale dominato dagli Stati Uniti”.(43)

Isaiah Bowman, massimo geopolitico al servizio di Franklin Delano Roosevelt, definiva gli obiettivi di politica estera degli Stati Uniti come il perseguimento di una politica globale di Lebensraum americano in risposta al Lebensraum della Germania nazista. Così gli scopi di guerra degli Stati Uniti e della Germania nazista erano identici. In collaborazione con H.F. Armstrong, Bowman si assicurò persino un articolo di Mackinder sui pericoli di una forte Unione Sovietica, pubblicato in Foreign Affairs con il titolo “The Round World and the Winning of the Peace”.(44)

L’articolo è notevole, perché, in sostanza, il vecchio imperialista britannico Mackinder sostiene la trasformazione dell’Impero Britannico in una dipendenza degli Stati Uniti e l’istituzione di un’egemonia americana in Europa: “... la Gran Bretagna – fortezza circondata da un fossato – una Malta su larga scala (per il movimento verso occidente dell’impero americano) e la Francia come testa di ponte difendibile”.(45)

Il Memorandum E-219 si concludeva con l’elencazione degli elementi essenziali per la politica estera degli Stati Uniti, riassumendo “le parti componenti di una politica integrata per conseguire la supremazia militare ed economica degli Stati Uniti nell’ambito del mondo non-germanico.” Altro fattore principale era “il coordinamento e la cooperazione degli Stati Uniti con altri paesi al fine di garantirsi la limitazione di qualsiasi esercizio di sovranità da parte di nazioni straniere che possa costituire una minaccia all’area mondiale minima essenziale alla sicurezza e alla prosperità economica degli Stati Uniti e dell’Emisfero Occidentale”.(46)

Ad un incontro tenutosi il 19 ottobre 1940, Leo Posvolsky, massimo esponente del Dipartimento di Stato per la strategia del dopoguerra, “concordò con il Council il programma iniziale per il potere mondiale. La sua convinzione, che gli Stati Uniti dovessero avere per spazio vitale ben più del solo Emisfero Occidentale, è dimostrata dalla sua affermazione: ‘se per blocco intero intendete l’Emisfero Occidentale, allora date per scontati i preparatici di guerra’.(47) Posvolsky intuiva quindi che gli Stati Uniti, se contenuti entro l’Emisfero occidentale, sarebbero dovuti scendere in guerra per conquistarsi altro spazio vitale, una conclusione certamente discendente dai lavori del Council”.(48)

L’economia americana necessita di una riserva di spazio, un nuovo, più esteso spazio vitale, per poter sopravvivere senza subire aggiustamenti di rilievo, sostenevano gli strateghi del Council on Foreign Relations. Quella riserva venen concettualizata come Grande Area (Grossraum) – il blocco non-germanico a direzione statunitense, blocco che nel 1941 gli Stati Uniti definivano ‘economia mondiale’ (sic!).

Gli studi dell’Economic and Financial Group hanno mostrato quanto pericolosa sarebbe stata per gli Stati Uniti un’Europa unita, sotto il dominio nazista o meno. Hamilton Fish Armstrong affermò nel giugno 941 che non sarebbe stato possibile consentire il formarsi di un’Europa unita, perché questa sarebbe stata tanto forte da minacciare seriamente la Grande Area americana. L’Europa, organizzata in singola entità, era considerata fondamentalmente incompatibile con il sistema economico americano”.(49)




IL LEBENSRAUM MINIMO DELL’AMERICA: LA GRANDE AREA
Studi e discussioni approfondite nell’ambito del gruppo del Council stabilirono che, come minimo, gran parte del mondo non-germanico era necessaria come ‘riserva spaziale’ per la nuova Grande Area americana. Nella sua forma finale questa consisteva nell’Emisfero occidentale, il Regno Unito, i resti del Commonwealth e dell’impero britannico, le Indie orientali olandesi, la Cina e lo stesso Giappone.(50) Noam Chomsky sintetizza così il concetto di Lebensraum americano:
“La Grande Area doveva comprendere l’Emisfero occidentale, l’Europa occidentale, l’Estremo Oriente, l’ex impero britannico (in via di smantellamento), le incomparabili risorse energetiche del Medio Oriente (che stava passando in mano americana, via via che ne espellevamo i nostri rivali, Francia e Gran Bretagna), il resto del Terzo Mondo e, se possibile, l’intero globo”.(51) L’intera Cina era inoltre compresa.

Diversamente da Carl Schmitt, che nelle sue opere di geopolitica impiegò il concetto di Grossraum (e Grande Area ne è l’esatta traduzione ) e che favorì un ordine mondiale basato sulla coesistenza di Grosräume, la concezione americana non ha nulla a che vedere con quella di uno spazio geopolitico delimitato. Gli USA respinsero apertamente uno scenario del dopoguerra caratterizzato da una pluralità di Dottrine Monroe.(52) Viceversa, l’espansionismo americano doveva essere illimitato, rigettando la nozione stessa di interessi nazionali in competizione.

I War and Peace Studies incarnavano concettualmente l’espansionismo geopolitico di Turner e Adams, la Weltanschauung dell’imperialismo americano della ‘Open Door’. Il documento NSC-68 non fu altro che una riformulazione di quegli obiettivi geopolitici, bardata della pesante teologia di una Dottrina del Manifest Destiny modernizzata.(53)



ATLANTISMO

“Il principale obiettivo politico, in pace come in guerra, deve essere quindi prevenire l’unificazione delle potenze centrali del Vecchio Mondo in una coalizione ostile ai propri interessi”, scrisse il geopolitico americano Nicholas Spykman nel suo libro Geography of Peace,(54) riformulando i principali obiettivi geopolitici degli Stati Uniti nell’Europa del dopoguerra. “Spykman ripeteva semplicemente per gli Stati Uniti quello che era stato il principio dirigente dell’arte di governo britannica dai tempi di Enrico VIII”, commenta David Galleo.(55)

Alla medesima conclusione pervenne Hans J. Morgenthau: “Le politiche europee degli Stati Uniti ricalcano in larga misura quelle della Gran Bretagna da Enrico VIII alla fine dell’Impero”. Come la Gran Bretagna in passato, gli Stati Uniti perseguono un solo obiettivo in Europa – prevenire l’unità europea, rifiutare il principio dell’equilibrio delle potenze ed affermare unilateralmente l’egemonia e supremazia americana.(56)

Dopo la guerra la politica del Lebensraum sfociò nella formazione dell’Alleanza Atlantica, la nuova Grande Area ideata dagli strateghi del Council on Foreign relations e del progetto War and Peace Studies. La Grande Area americana vene concettualizzata ed istituzionalizzata nell’Alleanza Atlantica.

L’Atlantismo – principio organizzatore della politica estera americana del dopoguerra verso l’Europa – era fondata sulla dipendenza politica dell’Europa. La NATO – perno del controllo americano nel dopoguerra – era lo strumento per gestire la proiezione della potenza americana in Europa, sostiene Ronald Steel nel suo libro Temptations of a Superpower,(57) nel quale sottolinea come per gli strateghi americani del dopoguerra un obiettivo essenziale fosse prevenire che l’Europa potesse diventare in futuro un concorrente economico, in quanto un concorrente economico ha buone chances di diventare anche un concorrente politico. L’interesse nazionale americano esigeva che l’unità Continentale venisse impedita.

In anticipo sulla creazione della NATO, il massimo esponente geopolitico dell’espansionismo USA nel dopoguerra, Nicholas Spykman, avanzò nel 1943 la proposta che “la zona delle potenze europee fosse organizzata in una Lega delle Nazioni regionale, con gli Stati Uniti quale membro extra-regionale”.(58) Commentando la proposta di Spykman, l’insigne studioso americano di scienze politiche Clyde Egleton affermò: “E’ semplicemente incredibile sia che gli Stati Uniti accettino un simile rischio, sia che gli altri stati acconsentano ad una tale ingerenza esterna”.(59) Accettare le proposte americane avrebbe significato semplicemente acconsentire all’instaurazione di un protettorato americano sulle nazioni europee.

Riformulando la vecchia Tesi della Frontiera di Turner, Spykman scrisse: “Abbiamo considerato la frontiera da un punto di vista internazionale, quale espressione di un rapporto di potere relativo, come quella linea ove le pressioni contrastanti trovano un equilibrio. Dal punto di vista nazionale del singolo stato, la frontiera è quella trincea che viene tenuta durante quel temporaneo armistizio che si dice ‘pace’”.(60)

Il punto di vista europeista tese a considerare il sistema atlantico eretto attorno all’egemonia americana come una costruzione temporanea, dettata dall’eccezionale debolezza europea, destinata ad essere trasformata se non abbandonata una volta superata tale debolezza. Vi era implicita il giudizio che l’Europa non sarebbe stata dominata indefinitamente.

Ma la geopolitica atlantista aveva in mente proprio quel dominio indefinito. La politica atlantista vedeva la NATO come il pilastro di quella dominazione indefinita e come lo strumento per la gestione del potere nello spazio geopolitico europeo.

“L’Atlantismo rappresenta una sorta di religione politica dell’espansionismo, con il suo catechismo geopolitico e la sua dottrina dell’immacolata concezione della politica estera americana (sebbene, in omaggio alla sua origine anglo-sassone, il catechismo Atlantico appare meno sistematico e meno dottrinario)”,(61) scrivono David P. Galleo e Benjamin M. Rowland nel loro libro America and the World Political Economy. Atlantic Dreams and National Realities. Nel quadro della Weltanschauung imperialista americana, l’istituzione di un protettorato americano sull’Europa potrebbe essere realizzato tramite la NATO.(62) Il manto imperiale atlantico e il grande disegno americano di un ordine militare mondiale ebbero la loro epitome nell’Alleanza Atlantica. David Galleo e Benjamin Rowland affermano che:

“L’imperialismo del libero scambio di Hull [Cordell Hull, segretario di stato sotto la presidenza Roosevelt] poteva anche essere previsto, ma non un nuovo Impero Romano con un Mare Nostrum atlantico. Era come se gli Stati Uniti, spregiando le colonie dell’Europa, avessero deciso di annettere direttamente la madrepatria”.(63)

L’Alleanza Atlantica, vagheggiata già da Brooks Adams, “segnò l’egemonia dell’America sull’Europa”.(64) Da allora un generale americano, responsabile verso il Presidente, avrebbe usurpato le prerogative politiche dell’Europa. E con la Dottrina Truman una potenza aliena sul piano dello spazio, gli Stati Uniti, affermava ed otteneva il controllo sull’Europa occidentale, annullando così l’esistenza politica indipendente di quelle che erano state le Grandi Potenze, incluso il proprio alleato, la Gran Bretagna.



LA NATO E LA DOTTRINA MONROE

Il concetto geopolitico di Lebensraum amricano – la Grande Area atlantica della supremazia americana – necessitava di una diretta proiezione di potenza per garantire il dominio dell’America. La NATO divenne l’istituzione dell’egemonia par excellence. Gli architetti dell’Impero americano progettarono per la NATO il medesimo ruolo che l’ammiraglio Mahan aveva immaginato per la Marina – un veicolo di conquista di nuovi mercati e spazio geopolitico, ed uno strumento per la realizzazione della politica della ‘Open Door’ e la gestione dello spazio geopolitico. In breve, la NATO divenne il braccio militare del movimento in direzione occidentale dell’Impero americano. Nella politica estera americana, Tesi della Frontiera e Dottrina Monroe trovarono una confluenza nella NATO.

Il Piano Marshall, seguito dalla NATO, segnò il vero inizio dell’era della dominazione militare, politica ed economica dell’America sull’Europa, afferma Stephen Ambrose.(65)

Il senatore Henry Cabot Lodge considerava la NATO come una della serie di organizzazioni destinate a circondare l’Unione Sovietica. La NATO fu così costruita come strumento per il blocco della fortezza Heartland, coincidente con l’Unione Sovietica.. (Il concetto, espresso da Spykman, secondo cui i paesi del Rimland dovevano essere controllati dagli Stati Uniti, equivale alla teoria geopolitica del blocco).

La NATO avrebbe affermato il dominio americano sull’Europa occidentale, permettendo simultaneamente agli Stati Uniti di assumere una posizione di incontrastata egemonia sull’Europa. Quale sarebbe stata questa egemonia, “venne adeguatamente, seppure rozzamente, riassunto nei frequenti riferimenti ad un’estensione della Dottrina Monroe. L’Europa, agli occhi dell’uomo d’affari, del soldato e del politico americano, sarebbe diventata una seconda America Latina”. Il senatore Tom Connally dichiarò che “il Patto Atlantico non è che la logica estensione della Dottrina Monroe”.(66)

Il documento NSC-68 rappresentò l’estensione pratica della Dottrina Truman, che era stata mondiale nelle sue implicazioni, ma limitata all’Europa nella sua applicazione. Il documento forniva giustificazione all’assunzione del ruolo di gendarme del mondo dal parte dell’America.(67) Era ideato al fine non solo di preservare la potenza degli USA, ma anche di estenderla e consolidarla inglobando nuovi satelliti ed impedendo il sorgere di un sistema di potenze concorrenziale.

Per comprendere la minaccia che la NATO pone alla sicurezza della Russia e degli altri paesi europei, è necessario tornare alle origini della cosiddetta Alleanza Atlantica. Il Trattato Nord-Atlantico, in origine, non era affatto un’alleanza, ma una garanzia unilaterale degli USA a quella che gli stessi USA definivano sicurezza europea, nei fatti un’affermazione di egemonia americana sull’Europa occidentale sotto il paravento della sicurezza. Nella sua essenza, la condizione originaria dei rapporti USA-Europa, formulata nel 1949, era del tutto unilaterale. La sua raison d’être dichiarata era la sicurezza - in realtà era l’egemonia, un allargamento di fatto della Dottrina Monroe, che all’inizio ebbe i suoi effetti maggiori sulla Gran Bretagna, la quale dovette cedere (come avvenne con la Grecia) le sue sfere di influenza agli Stati Uniti. Ciò consentì agli Stati Uniti di ottenere il comando supremo sulle forze armate europeo-occidentali ed anche lo stanziamento di truppe americane sul territorio europeo. Un editoriale nel Wall Street Journal dell’aprile 1949 caratterizzava correttamente l’Organizzazione del Trattato del Nord-Atlantico come “l’annullamento dei princìpi delle Nazioni Unite”.(68)

In una prospettiva storica, la Dottrina Truman, unilateralmente dichiarata, era un’estensione della Dottrina Monroe oltre Atlantico, ossia un importante ampliamento del Grossraum americano - una globalizzazione dei princìpi del Grossraum dell’Emisfero Occidentale, dove gli Stati Uniti avevano il privilegio della sovranità – e quindi una prima aggressione diretta alla sovranità degli stati europei. Nonostante fosse stata ostentatamente propagandata come strumento di contenimento e politica di interventismo globale, fu in realtà strumento di sottomissione ed espansionismo, al servizio della politica del Lebensraum americano. Lo studioso di politica estera britannica Kenneth Thompson definì la Dottrina Truman un atto nazionalistico e strumentale destinato anzitutto a sostituire la potenza americana a quella britannica in Europa centrale.(69)

Charles de Gaulle, il grande statista francese, dotato di sicuro istinto nelle questioni di geopolitica e nello smantellare i miti americani, giustamente valutò che la NATO era una semplice appendice degli Stati Uniti, e che l’adesione alla NATO e il rispetto della sovranità nazionale (francese) erano obiettivi fra loro incompatibili. Già nel 1951 (12 giugno) il settimanale parigino Le Monde riassumeva la sostanza dell’Alleanza Atlantica e del suo braccio militare, la NATO:

“La fondamentale disuguaglianza dell’alleanza fa sì che questa divenga sempre più un protettorato nascosto, dove le proclamazioni di orgoglio nazionale non bastano a compensare il crescente asservimento. L’Impero Romano aveva i suoi cittadini, i suoi alleati, i suoi stranieri. Il nuovo Impero Americano ha i suoi alleati di prima fila (gli Americani), i suoi alleati di seconda fila (i Britannici) e i suoi protégés continentali. A dispetto del loro contegno altezzoso, questi ultimi diventano ogni giorno di più i Filippini dell’Atlantico”.

Leopold Kohr concluse che l’Alleanza Atlantica non era una partnership egualitaria, e che vi era una sola nazione veramente libera in questo accordo, “la nazione imperiale, gli Americani”.(70) Come ha sostenuto Walter LaFeber, con la formazione della NATO gli Stati Uniti hanno perfezionato la vittoria in quella che egli definisce la Prima Guerra Fredda, iniziata dal presidente Wilson già alla Conferenza di Pace di Versailles dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, risultato finale della quale fu l’instaurazione di un controllo americano sull’Europa occidentale, cioè su una significativa porzione dell’Eurasia.

Dopo la fine della Guerra Fredda, il ruolo della NATO quale strumento dell’espansionismo americano, di amministrazione , controllo ed ampliamento dell’impero americano, divenne più chiaro che mai. Citando lo scrittore francese J.J. Servan Schreiber, Benjamin Schwarz e Christopher Layne descrivono il ruolo degli USA nel periodo post-Guerra Fredda come signori di un impero mondiale. “A cinquant’anni dalla fondazione della NATO, nel momento in cui l’Alleanza del dopo-Guerra Fredda si trova essa stessa in guerra, è giunta l’ora di riesaminare la politica imperiale degli USA in Europa. La guerra in Jugoslavia costituisce uno spartiacque nella storia della NATO. Oggi gli Stati Uniti hanno ampliato la portata geografica dell’Alleanza e creato per essa un ruolo nuovo: l’intervento negli affari interni di stati sovrani le cui politiche contrastano i valori della NATO – persino nel caso in cui questi stati non pongono alcuna minaccia alla sicurezza dei partners dell’Alleanza... Celato dietro tutta la pomposa (e ingannevole) retorica riguardo alla NATO e alla partnership transatlantica, sta un semplice fatto: la politica USA in Europa non punta a contrastare le mire egemoniche altrui, ma a perpetuare la supremazia stessa dell’America... L’espansione della NATO potrà dimostrarsi un errore diplomatico grossolano al pari del Trattato di Versailles del 1919...”.(71)

Schwarz e Layne sostengono che la NATO svolge le seguenti importanti funzioni:
1. Difesa ed espansione delle frontiere imperiali degli Stati Uniti.
2. Instaurazione di un protettorato permanente degli USA sul Continente.
3. Impedimento al sorgere di un’Europa occidentale indipendente.

La NATO è stata impiegata per minare il preesistente ordine mondiale basato sull’Accordo di Helsinki ed obliterare il ruolo indipendente delle Nazioni Unite. La NATO è diventata uno strumento di conquista dell’Europa orientale – “pacificamente” come nel caso dei ‘paesi di Vishegrad’ (Polonia, Ungheria e Repubbilca Ceca) o mediante il ricorso ad un’aperta guerra di aggressione (Jugoslavia). Il contenimento dell’Europa occidentale e la conquista dell’Europa orientale sono le due principali funzioni della NATO.

Nel verdetto reso in occasione della sessione conclusiva del Tribunale contro i Crimini di Guerra della NATO in Jugoslavia, tenutasi il 23 gennaio 2000 a Kiev, in Ucraina, la NATO è stata dichiarata un’istituzione criminale secondo il dettato del Codice di Norimberga.

Ancora una volta, e ora dopo la fine della Guerra Fredda, l’Europa in quanto entità geopolitica ha di fronte a sé una scelta storica – o un’esistenza geopoliticamente indipendente quale Mitteleuropa o Comunità europea, o un futuro di appendice dell’impero americano. Un’esistenza geopolitica indipendente – l’Europa agli Europei – si traduce nella Mitteleuropa quale blocco antiegemonico in opposizione e in concorrenza con il Grossraum Atlantico americano. Il più semplice assioma geopolitico è che la NATO è una minaccia per la futura indipendenza europea. E soprattutto – la NATO è una minaccia per la Russia.



NOTE AL TESTO

(1) Vedi Anders Stephenson “Manifest Destiny. American Expansion and the Empire of Right” (Hill and Wang, New York, 1995) p. XI.
(2) Josiah Strong “Our Country: Its Possible Future and Its Present Crisis” (New York, 1985) , p. 20. Cit. in Walter LaFeber “The New Empire” (Cornell University Press, Ithaca, 1963) , p. 74.
(3) Ambrose, Stephen E. “The Military Dimension: Berlin, NATO and NCS-68” in Paterson, Thomas G. (ed.) “The Origins of the Cold War” (D.C. Heath and Company, Lexington, MA, 1974) p. 178.
(4) Turner, Frederick Jackson “The Significance of the Frontier in American History” (Henry Holt and Co, New York, 1995) p. 1.
(5) Turner, Frederick Jackson, ibid. p.33.
(6) Turner, Frederick Jackson, ibid. p.p. 33, 59.
(7) William Appleman Williams “The Frontier Thesis and American Foreign Policy” in Henry W. Berger (ed.) “A William Appleman Williams Reader” (Ivan R. Dee, Chicago, 1992) p. 90.
(8) William Appleman Williams “The Frontier Thesis and American Foreign Policy” p. 91.
(9) Brooks Adams “The Law of Civilization and Decay” (The MacMillan Co, New York, 1896).
(10) William Appleman Williams “The Frontier Thesis and American Foreign Policy”, p. 92.
(11) William Appleman Williams “The Frontier Thesis and American Foreign Policy”, p. 96.
(12) Brooks Adams “The New Empire” (The MacMillan Co, New York, 1900).
(13) ibid. p. 96.
(14) Williams, ibid. 97.
(15) ibid. p. 98.
(16) ibid. p. 99, 100.
(17) Brooks Adams “America’s Economic Supremacy”, p.p. 80, 104-05, David P. Calleo and Benjamin Rowland “America and the World Political Economy” p. 273.
(18) Thomas J. McCormick “America’s Half-Century” (John Hopkins University Press , Baltimore, 1995) p. 18.
(19) McCormick ibid. p.p. 18-19.
(20) Brooks Adams “America’s Economic Supremacy” (The MacMillan Co, New York, 1900).
(21) Ibid. p. 100.
(22) ibid. p. 101.
(23) William Appleman Williams “The Contours of American History”, Norton and Company, New York, 1988, p. 474 .
(24) William Appleman Williams “Contours of American History” p. 473.
(25) A.T. Mahan “The Influence of Sea Power upon History”, 1660-1783 (Boston, 1890) pp.. 53, 28.
(26) Walter LaFeber “The New Empire. An Interpretation of American Expansion 1860-1898” (Cornell University Press, Ithaca, 1963) p. 88.
(27) Williams ibid. p. 86.
(28) Williams, William Appleman “The Tragedy of American Diplomacy” p.p. 71, 72.
(29) Graebner p. 134.
(30) Graebner p. 134.
(31) Charles Evans Hughes p. 86.
(32) William Appleman Williams “The Contours of American History” p. 454
(33) Lloyd C. Gardner “The New Deal, New Frontiers, and the Cold War: A Re-examination of American Expansion, 1933-1945” in David Horowitz (ed) “Corporations and the Cold War” (Monthly Review Press, New York, 1969) p. 108.
(35) Dorpalen, Andreas “The World of General Houshofer. Geopolitics in Action” (New York, 1942), p.224.
(36) Peter J. Taylor “Britain and the Cold War. 1945 as Geopolitical Transition” (Guilford Publications,Inc, New York 1990) p. 17. Il concetto di “regime di egemonia geopolitica”, impiegato da Taylor, è del tutto simile al concetto di “regime di egemonia storica!” presente negli scritti di Antonio Gramsci.
(37) Peter J. Taylor ibid. p. 17.
(38) Peter J. Taylor ibid . p. 17.
(39) Michio Kaku e Daniel Axelrod “To Win a Nuclear War. The Pentagon’s Secret War Planes” (South end Press, Boston, 1987) p.p. 63,64.
(40) Queste opinioni vennero espresse da Reinhold Niebuhr, il quale, come molti strateghi americani della Guerra Fredda, vedeva il futuro destino politico dell’America secondo un’interpretazione manichea di guerra pressoché ininterrotta – secondo il punto di vista della riesumata Dottrina del Manifest Destiny. In proposito, va ricordata la visione della politica estera americana di William Appleman Williams. Affinché comprendessero la politica estera espansionista degli Stati Uniti, Williams esortava i suoi studenti “a studiare i pirati quale proto-comunità che, in epoca Rinascimentale e più tardi, cercava di imporre le proprie regole ed incuteva profondo terrore agli imperi esstenti”. Si veda Paul M. Buhle e Edward Rice-Maximin “William Appleman Williams. The Tregedy of Empire” (Routledge, New York and London, 1995) p. 236. Va inoltre ricordato che gli Stati Uniti iniziarono i preparativi della guerra contro l’Unione Sovietica già nel ocrso della Seconda Guerra Mondiale, quando ancora i due paesi erano alleati. Nell’estate 1945 , all’epoca della Conferenza di Potsdam, gli Stati Uniti adottarono una politica “di primo colpo” in caso di conflitto nucleare con l’Unione Sovietica.. A questo fine vene redatto un documento segreto, JCS 1496, datato 19 luglio 1945. (p. 30). Il primo piano di attacco nucleare fu redatto poco dopo dal generale Dwight Eisenhower su ordine del presidente Truman. Il piano, chiamato TOTALITY (JIC 329/1) prevedeva un attaco nucleare contro i Sovietici Soviet con 20-30 bombe A. Il piano aveva per obiettivo l’annientamento di 20 città sovietichecon il primo colpo: Moscaw, Gorki, Kuibyshev, Sverdlovsk, Novosibirsk, Omsk, Saratov, Kazan, Leningrado, Baku, Tashkent, Chelyabinsk, Nizhni Tagil, Magnitogorsk, Molotov, Tbilisi, Stalinsk, Grozny, Irkutsk e Jaroslavl" (Michio Kaku e Daniel Axelrod “To Win a Nuclear War. The Pentagon’s Secret War Planes” (South end Press, Boston, 1987) pp. 30, 31.
(41) Michio Kaku e Daniel Axelrod ibid. pp. 63,64.
(42) Lavrence H. Shoup & William Minter “Imperial Brain Trust” (Monthly Review Press, New York 1977, p. 117.
(43) Lawrence Shoup & William Minter ibid. p. 118.
(44) Martin Geoffrey “The Life and Thought of Isaiah Bowman” (Archon Books, Hamden, Connecticut, 1980) p. 177. Va inoltre ricordato che già nel suo libro The New World, pubblicato nel 1921, Isaiah Bowman prevedeva il futuro impero mondiale americano. Carl Haushofer pubblicò nel 1934 una trilogia intitolata “Macht und Erde” che, secondo Otto Maull, costituiva la risposta tedesca a “The New World” di Bowman. Martin Geoffrey, ibid. p. 165.
(45) Mackinder, Halford "The Round World and the Winning of the Peace" in Democratic Ideals and Reality (W.W. Norton & Co, New York, NY 1962) p. 274. L’articolo di Mackinder fu originariamente pubblicato in Foreign Affairs, vol. 21(July 1943) p.p. 595-605.
(46) Memorandum B-219, October 19, 1940, CFR, War- Peace Studies , NUL. Citato in Shoup & Minter, ibid. p. 130
(47) L’affernazione di Posvolsky si trova nel Memorandum A-A11, October 19, 1940 War Peace Studies , Baldwin Papers, Box 117, YUL da cui Shoup& Minter traggono la citazione.
(48) Shoup & Minter ibid. p. 131.
(49) Shoup & Minter, ibid. p. 137.
(50) Shoup & Minter , ibid p. 136.
(51) Noam Chomsky “What Uncle Saw Really Wants” p. 12 (Odonian Press, Berkeley, 1992). Le politiche del Lebensraum americano e la costruzione geopolitica della Grande Area americana sono discusse approfonditamente in Joyce e Gabriel Kolko “The Limits of Power. The world and United States Foreign Policy” (Harper and Row, New York, 1972) [tr. it. I limiti della optenza americana, Einaudi].
(52) Vedi Taylor, Peter J. “Britain and the Cold War. 1945 as Geopolitical Transition” (Gilfor Publications, New York, 1990. Non solo Carl Schmitt ma anche il generale Haushofer auspicavano la coesistenza pacifica di molte “Grandi Areae” o “Dottrine Monroe” concorrenti.. Carl Schmitt usò il concetto di Grossraum, il generale Haushofer quello di Pan-regione.
(53) Gli obiettivi politici descritti nel NSC-68 furono dopo la fine (sic!) della Guerra Fredda nuovamente formulati nella Pentagons Defense Planning Guidance del Pentagono. Uscita di scena l’Unione Sovietica, gli Stati Uniti si avviarono una nuova politica di espansionismo.
(54) Nickolas Spykman “Geography of Peace”, New York, 1944.
(55) David Galleo ibid. p. 30.
(56) Hans J. Morgenthau “The Mainsprings of American Foreign Policy” Robert A. Goldwin (ed) “Readings in American Foreign Policy” (Oxford University Press, New York, 1971) p. 642.
(57) Ronald Steel “Temptations of a Superpower” ( Harvard University Press, 1995) p. 70.
(58) N. Spykman “America’s Strategy in World Politics” p. 468.
(59) Clyde Eagleton, “Review of America’s Strategy” in World Politics , 222 Annals of the American Academy of Political and Social Science (July 1942) , 189-190, p. 190. cit. in David Willkinson “Spykman and Geopolitics” in C. Zoppo and C. Zorgbibe (eds) “On Geopolitics: Classical and Nuclear” (Martinus Nijhoff, Dortrecht, 1985), p. 82
(60) Nickolas J. Spykman e A.A. Rollins "Geographical Objectives in Foreign Policy” I, American Political Science Review , vol. 33 , 1939 , p. 394
(61) David P. Galleo e Benjamin M. Rowland “America and the World Political Economy. Atlantic Dreams and National Realities” (Indiana University Press, Bloomington, 1973) p. 18.
(62) ibid. p. 44.
(63) ibid. p. 46.
(64) ibid. p. 61.
(65) Stephen E. Ambrose “The Military Dimension : Berlin, NATO and NSC-68” in Thomas G. Paterson “The Origins of the Cold War” (D.C. Heath and Company, Lexington, 1974) p. 178.
(66) Stephen E. Ambrose “The Military Dimension : Berlin, NATO and NSC-68” in Thomas G. Paterson “The Origins of the Cold War” (D.C. Heath and Company, Lexington, 1974) p. 117.
(67) Stephen E. Ambrose , ibid. p. 182.
(68) The Wall Street Journal, April 5, 1949.
(69) Kenneth Thompson “Political Realism and the Crisis of World Politics. An American Approach” (Princeton University Press, Princeton, 1960), p. 124.
(70) Leopold Kohr “The Breakdown of Nations”, ibid., at p. 203.
(71) Benjamin Schwarz and Christopher Layne "NATO: At 50, It’s Time to Quit", The NATION Magazine, May 10, 1999 p.p. 17, 18.

Der Wehrwolf
01-07-02, 21:02
Tiberio Graziani

POSTFAZIONE A "SERBIA, TRINCEA D’EUROPA"



"L'Europa, una volontà unica, formidabile,
capace di perseguire uno scopo per migliaia di anni"
F. Nietzsche

Mentre mi accingo a scrivere questa postfazione - richiestami dall’amico Dragoš Kalajic per l’edizione serba del suo Serbia, trincea d’Europa -, il telegiornale passa la notizia di altri due omicidi compiuti ai danni del popolo serbo da parte di alcuni terroristi albanesi: seguita dunque la mattanza, iniziata, giova ricordarlo, ben prima dell’aggressione NATO al popolo jugoslavo.
Ora però, dopo il cessate il fuoco, il massacro seguita col benestare, perfidamente occulto, della KFOR: l’intera zona non deve essere affatto pacificata, devono rimanere tutte le tensioni possibili (1), immaginabili ed inimmaginabili, affinché sia necessaria e pertanto umanitariamente legittimata, agli occhi dell’opinione pubblica, la forza d’occupazione di una parte consistente del territorio federale.
Sotto questo aspetto persino la presenza militare russa, importante elemento di bilanciamento nei confronti delle forze alleate e, per alcuni versi, di garanzia nei riguardi dei Serbi, sembra rappresentare, nel gioco delle parti architettato dai politici di Washington, un alibi bello e buono, giocato anch’esso sulla pelle dei popoli jugoslavi: occorre tuttavia fare sempre i conti con i reali rapporti di forza, e constatare che la Federazione Russa è, nonostante l’attuale dirigenza, l’obiettivo geopolitico che a medio termine le forze NATO si sono poste di contenere ed influenzare, sul piano militare, attraverso una serie di partenariati con i Paesi dell’ex-blocco sovietico. In tale prospettiva, gli ultimi episodi secessionisti avvenuti in Daghestan, nonostante le pur presenti motivazioni endogene, d’ordine storico e religioso (2), non possono essere considerati disgiunti dalla ampia e complessa strategia antirussa che prevede da una parte il contenimento NATO, cui già abbiamo accennato, e dall'altro la costituzione di quella che Claudio Mutti, nella presentazione di questo volume, definisce "una dorsale pseudoislamica” tale da imprigionare “la Russia e tutta quanta l'area ortodossa", alimentata e finanziata “dall’Islam rigido dei sunniti wahhabiti, il cui centro è l’Arabia saudita” (3).

La presenza militare, oltre a limitare di fatto la legittima sovranità del governo di Slobodan Milosevic prelude, dietro i fantomatici aiuti per la ricostruzione, al condizionamento economico-produttivo (4) della ormai ridotta Repubblica Federale Jugoslava; è questo un copione già visto e recitato, sovente a malincuore, in primo luogo dall’Italia e dalla Germania, nell’ambito della pianificazione economica del Piano Marshall all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale.

Il dramma che, in questi anni, ha come protagonisti/vittime i popoli della ex-Jugoslavia, trova la sua immediata ragione d’essere nella tendenza mondialista ad allargare al massimo, nel continente euroasiatico, i propri spazi economici - in nome del cosiddetto libero mercato. E’ questa una tendenza sostenuta militarmente e politicamente, passo dopo passo, da strategie geopolitiche ben definite e mirate, come evidenziato peraltro dalle acute e ponderate considerazioni di Kalajic.
Analizzando gli ultimi dieci anni di storia europea anche dal solo, e pertanto riduttivo, punto di vista dei rapporti economici, è interessante notare come, a partire dal collasso dell’ex-impero sovietico, sia le Nazioni europee ad economia socialista che quelle dell’Europa occidentale con economia a forte partecipazione statale abbiano subito veri e propri cataclismi politici nonché la veloce disintegrazione di intere classi dirigenti e spesso una perdita e/o ridefinizione dei propri territori e confini.

Nell’est europeo la nascita della Confederazione degli Stati Indipendenti ha tentato di mantenere, per certi versi, peraltro limitati, alcune posizioni di autonomia dalla politica mondialista, ma di fatto ha svolto il ruolo di pompiere dei reali interessi popolari e statuali dei Paesi appartenenti all’ex-blocco sovietico; tale ruolo, ben compreso e stigmatizzato dall’opposizione nazional-comunista russa, ha posto in essere le premesse - tutte ancora da valutare - di un processo di transizione al mondo liberista che le incomprensioni, d’ordine esclusivamente mercantile che talvolta sembrano emergere, tra l’oligarchia che fa capo ad El’cin e i diktat del Fondo Monetario Internazionale (FMI) non fanno altro che accelerare. Altre due Nazioni, sempre dell’est europeo, hanno pagato pesantemente il loro obolo agli imperativi del nuovo corso liberista: la Cecoslovacchia, che ha perduto la sua unitarietà politico-amministrativa scindendosi in due repubbliche e divenendo quindi facile preda di investimenti usurocratici da parte della finanza internazionale, e la Romania che, appena saldato il debito contratto col FMI, ha dovuto sacrificare Ceausescu e cedere nuovamente ai ricatti della Banca Mondiale.

Ma se Atene piange, Sparta di certo non ride. Infatti nella parte occidentale del nostro continente abbiamo assistito, e tuttora assistiamo, allo sgretolamento progressivo dello stato sociale (baluardo residuale, quantunque degenerato e putrescente, di una economia e di una solidarietà sociale ancora connessa a interessi nazionali e di questi purtroppo il solo collante) dei principali Paesi (Italia, Francia, Germania), ed alla estromissione di intere classi dirigenti, politiche ed economiche (Italia)(5) . A tutto ciò si accompagna la crescente ondata migratoria che da oltre una quindicina di anni imperversa sull’intera Europa occidentale.

La disgregazione economico-sociale e la scarsa attenzione dei governi europei al problema dell’immigrazione favoriscono i flussi migratori, aumentandone il grado d’intensità e di pervasività, fino a determinare, da un lato, episodi incontrollabili di intolleranza - finora limitati e sporadici, e comunque confinati nell’ambito di epidermica reazione a fenomeni di microcriminalità -, e, dall’altro, la crescita macroscopica di organizzazioni criminali transnazionali di stampo mafioso a base etnica, che compromettono, drammaticamente, il controllo di ampi spazi territoriali (nazionali ed extranazionale, come nel caso dell’area adriatica) da parte delle normali forze di polizia ed alimentano, con i loro illeciti ricavati, quote sempre più crescenti e costitutive della finanza internazionale, che, poiché pecunia non olet, le tollera e pertanto le legittima.

L'immigrazione, fenomeno naturale e ricorrente nella storia dei popoli, assumendo sul finire del secolo proporzioni vieppiù gigantesche, date le condizioni storiche di sviluppo industriale del Nord del pianeta - per cui si può parlare di un vero e proprio “urbanesimo planetario” - diviene, oggettivamente, nel quadro delle strategie messe in atto dai governi degli USA e dagli organismi internazionali che fanno capo alle Nazioni Unite, un non trascurabile elemento aggiuntivo alla destabilizzazione e ridefinizione delle politiche economico-sociali dei Paesi dell’Europa occidentale (6), ove la presenza di residuali meccanismi economici ancora vincolati a interessi nazionali e statali limitano la completa globalizzazione dei mercati interni.

I fenomeni secessionisti, come quello del Kosovo e Metohija o del Daghestan, che esplodono apparentemente in nome del principio di autodeterminazione dei popoli o di una specificità religiosa, nella generalità dei casi (a causa della loro posizione geostrategica) sono pretesti, che danno un senso agli interventi umanitari ed al presidio militare dei governi di Washington e di Londra e pongono inoltre le premesse per la definizione di un nuovo diritto internazionale, una sorta di un parodistico Jus planetario. Tale diritto è determinato anche dall'attuale fase del complesso processo di globalizzazione, che, superato lo stadio che potremmo definire dei Trattati (GATT, ASEAN, NAFTA etc.), esige, in particolare in Europa, la eliminazione formale di qualunque entità geopolitica sovrana, che si frappone al suo sviluppo.

Oggi i micronazionalismi europei, lungi dal rappresentare una sana e giusta rivendicazione delle proprie particolarità e dignità, sono mine vaganti lanciate contro il nostro continente che potrà essere libero e sovrano solo se sarà unito, forte ed economicamente indipendente. E' proprio nella prospettiva dell'auspicata unità politica euroasiatica che la Serbia di Milosevic rappresenta, con il fermo e deciso no alle pretese dell'imperialismo atlantico, un primo e reale presidio della coscienza europea in lotta contro la crescente occidentalizzazione/omogeneizzazione delle proprie e multiformi peculiarità.
Le incursione anglo-americane e le conseguenti distruzioni arrecate al popolo serbo ci ricordano che il nemico principale è l'Occidente, quello stesso Occidente che bombarda quotidianamente l'Iraq, si appropria con rapacità delle risorse dell'intero pianeta, mette ipoteche sul lavoro degli europei, specula sulle economie del cosiddetto Terzo mondo, determina crisi generalizzate ed endemiche in larghi settori dell'economia mondiale. L'unica e necessaria risposta alle tendenze totalizzanti del nuovo ordine mondiale risiede pertanto nella organizzazione politica di un blocco continentale europeo.
Dalle considerazioni di Kalajic emerge che l'unità geopolitica euroasiatica potrebbe enuclearsi (e realizzarsi con successo se l'opposizione nazional-comunista russa riesce a prevalere sull'oligarchia el'ciniana) a partire dall'asse prioritario Roma-Berlino-Mosca; noi a questa terna aggiungeremmo anche Istanbul. La Turchia - attuale e determinante testa di ponte per l'attacco militare che i neocartaginesi muovono contro il nostro continente - è infatti costitutiva sia di qualunque ipotesi euroasiatista che di qualunque azione finalizzata al riscatto continentale. Nel quadro della prospettiva proeuropea, occorre superare però tutte le incomprensioni e le diffidenze che, alimentate ad arte dagli strateghi di Washington e Londra, provocherebbero quelle "fratture culturali" già analizzate dai think tank mondialisti e compiutamente espresse da Samuel Huntington nel suo The clash of Civilizations? Se tali fratture si realizzassero all'interno del nostro continente esse innescherebbero un sicuro processo di disintegrazione politica dell'Europa intera, facilitando così l'egemonia anglo-americana.


NOTE

(1) Il cosiddetto management of crises, cioè il mantenimento strategico di situazioni critiche, è stato recentemente messo in discussione, nei suoi risvolti militari ed economici, da Edward N. Luttwak nel saggio Give war a chance ("Foreign Affairs", 78, 4, 1999). Secondo Luttwak le continue interferenze delle Nazioni Unite nei conflitti ritardano le reali soluzioni di pace ed alimentano, sine die, il risentimento dei belligeranti che invece paradossalmente la guerra esaurirebbe. E.N. Luttwak (1942), specializzato in problemi militari, ha esteso l'applicazione della strategia ai fenomeni economici ed alle problematiche sociali. E' senior fellow presso il CSIS (Centro di studi strategici e internazionali) di Washington.

(2) “Fino al 1928 esistevano (in Daghestan) circa 2000 moschee e circa 800 scuole islamiche. Le seconde furono chiuse e le prime ridotte a 17 dalle offensive ateiste di Stalin e di Kruscev. Furono chiusi gli oltre settanta luoghi sacri del Paese e i pellegrinaggi proibiti. Il Daghestan è stato il primo Paese dell’area Caucasia - Asia Centrale a essere islamizzato: per giunta, direttamente, dagli arabi, nell’VIII secolo. Ma non basta: al pari della Cecenia è stato centro delle due grandi guerre antirusse nel Caucaso di fine ‘700 e degli anni 1829 -1859” (Piero Sinatti, Un Paese “esplosivo” dove l’Islam si è radicalizzato, “Il Sole 24 ore”, mercoledì 11 agosto 1999).

(3) Piero Sinatti, art. cit.

(4) Già espresso, programmaticamente, da alcuni guru della finanza internazionale come G. Soros di cui vale la pena riportare quanto segue a titolo esemplificativo di un protocollo standard di pianificazione economico-politica incurante della libertà dei popoli e della dignità nazionale e sovranità degli stessi: “Non dobbiamo ripetere gli errori commessi in Bosnia. Gli sforzi di ricostruzione in Bosnia fallirono in quanto il territorio era troppo piccolo e le diverse entità di governo, da quella federale a quella locale, fecero pressioni per avere le mani in pasta. Questa volta il nostro impegno deve estendersi all’intera regione. Il punto è ben compreso dagli uomini politici. Il patto di stabilità per il sud-est europeo firmato in Germania – a Colonia il 10 giugno – rappresenta un eccellente punto di partenza. Esso stabilisce tre gruppi di lavoro: per la democratizzazione e i diritti umani; per la ricostruzione economica, lo sviluppo e la cooperazione; e per la sicurezza. Ecco quindi un quadro di riferimento che aspetta di essere utilizzato. Il nucleo essenziale del piano si basa su quattro passaggi: 1) l’Unione europea prende il controllo dei servizi doganali dei Paesi aderenti; 2) la Ue rimborsa i Paesi per la perdita delle entrate doganali tramite il budget dell’Unione. L’ammontare dei sussidi dovrebbe essere in ragione di cinque miliardi di euro all’anno. Ciò rientra perfettamente nell’Agenda 2000, approvata a Berlino. 3) La compensazione potrebbe riflettere la potenziale, piuttosto che l’effettiva perdita di introiti, ma la condizione per il sussidio dovrebbe essere strettamente legata ai risultati. Per esempio, in Serbia dovrebbero tenersi elezioni sotto l’egida dell’Osce come condizione per l’ottenimento dei sussidi. Questo costringerebbe alla resa Milosevic più delle bombe. 4) Con questo finanziamento della Ue, i Paesi dovrebbero muoversi verso l’euro (o verso il marco tedesco fino all’entrata in vigore della valuta unica europea) come moneta comune. La Bulgaria ha già introdotto un currency board basato sul marco tedesco; le altre nazioni non avrebbero neppure bisogno di un tale strumento. Insieme queste quattro misure creerebbero, in un primo momento, un’area di libro scambio simile al Benelux. Non appena l’Unione europea sarà soddisfatta dei controlli sulle dogane, potrebbe ammettere quest’area al mercato comune europeo. Il commercio di prodotti agricoli – il settore principale della regione – potrebbe rimanere soggetto a restrizioni, ma la Ue dovrebbe dimostrare una certa generosità perché il piano abbia successo. Il secondo passo dovrebbe avvenire entro un futuro ragionevole, diciamo due anni. In un futuro più lontano, i Paesi dovrebbero essere ammessi come candidati a Stati membri. Ulteriori passaggi saranno necessari: facilitazioni creditizie per la ricostruzione e gli investimenti; assistenza tecnica per stabilire le condizioni di legalità; sostegni all’educazione, formazione manageriale, mezzi di comunicazione indipendenti e società civile.” (G. Soros, Per una comunità dei Balcani, “Il Sole 24 Ore”, martedì 6 luglio 1999; cfr. anche Reconstruction, Soros sees a solution, intervista a Soros, “Newsweek”, 12 luglio 1999).

(5) Per quanto attiene ridefinizioni d'ordine territoriale avvenute in Europa occidentale, si ricorda la riunificazione delle due Germanie. E' inoltre da tener presente il consolidamento di fenomeni localistici come quello rappresentato, in Italia, dalla Lega Nord le cui tesi separazioniste e strategie secessioniste mettono continuamente in discussione l'autorità dello stato nazionale italiano.

(6) In Italia si prevede che nel 2004, su una popolazione complessiva di 54 milioni, oltre il 16% (circa 9 milioni) sarà costituita da immigrati. Questi dati suffragherebbero le tesi del ragioniere generale dello Stato italiano, Andrea Monorchio, che in un saggio di imminente pubblicazione, Dove va l’Italia, provocatoriamente, secondo l’opinion maker ed ex-ministro Alberto Ronchey, e demagogicamente (data l’importanza della funzione rivestita da Monorchio) per chi scrive, risolverebbe il problema della previdenza sociale demandandolo agli introiti che lo Stato acquisirebbe dalla forza lavoro degli immigrati. Cfr. Alberto Ronchey, L’immigrato pagherà la nostra pensione? La previdenza del ragioniere, “Il Corriere della sera”, mercoledì 18 agosto 1999. Tali tesi sono state condivise dal Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, vedi U. Gaudenzi, Fazio nuovo prosseneta dell'immigrazione selvaggia, "Rinascita", sabato 31 luglio 1999.




Pubblicato come postafzione all'edizione serba di
Dragos Kalajic, "Serbia; trincea d'Europa" (agosto 1999)

Der Wehrwolf
01-07-02, 21:12
Dragoš Kalajic
PARTNERSHIP FOR RACKET



L'influente settimanale italiano Panorama è stato di recente onorato dalla presenza della CIA: Panorama, per primo nello spazio mediatico europeo, ha ottenuto i diritti a pubblicare e in tal modo diffondere i presunti risultati segreti di previsioni futuristiche della task force intellettuale della CIA, concernenti le imminenti, future e possibili disgregazioni di stati. Il documento in questione è una "bozza", circa 200 pagine, con numerosi allegati, grafici e diagrammi; il titolo è Rapporto sulla disintegrazione degli stati. Il settimanale italiano ha presentato una versione ridotta del Rapporto, aggiungendo che esso è il risultato di una ricerca interdisciplinare che, senza l'aiuto di analisi al computer - a causa dell'enorme massa di dati provenienti da oltre 600 campi diversi - avrebbe richiesto un lavoro di almeno dieci anni di ore/uomo.
Gli autori del Rapporto esaminano quattro cause fondamentali della disgregazione degli stati: guerre ideologico-rivoluzionarie e civili, conflitti etnici, genocidi e "politicidi" e mutamenti traumatici delle strutture di governo. Il Rapporto include una mappa del mondo nel quale tutti gli Stati sono collocati in una di quattro categorie-base, a seconda delle loro prospettive future: rischio di disintegrazione incerto, basso, medio e alto. Gli USA, l'Unione Europea e il Giappone sono collocati fra i Paesi a basso rischio. Il colore rosso, che denota alto rischio, copre tutti i Paesi musulmani ex sovietici, India, Turchia, gran parte dei Paesi africani e quasi l'intera America Latina. In Europa, la zona ad alto rischio comprende Croazia, Federazione Musulmano-Croata [Bosnia], Repubblica Srpska [la Serbia bosniaca], Albania e Macedonia, mentre Repubblica Jugoslava, Slovenia e Romania sono situate nella zona a rischio medio.

Gli editori della versione parziale del Rapporto hanno informato i lettori che questa visione dell'immediato futuro del mondo era destinata a restare segreta "non soltanto a causa di utilizzi indesiderati del Rapporto, ma anche delle possibili conseguenze politiche negative di un rapporto del genere". Così, gli ingenui fra noi possono concludere che l'inviato di Panorama è riuscito a penetrare negli archivi top secret della CIA e a svelare in modo irresponsabile un grande segreto, rendendo così possibile un "utilizzo indesiderato" nonché "conseguenze politiche negative", il tutto al fine di avvertire il pubblico di imminenti catastrofi. Non è necessaria molta intelligenza per concludere che la storia è un bluff, giacché chiunque sia in possesso di una minima conoscenza della rete dei mass media in Occidente sa bene che nel suo ambito - ad eccezione, per il momento, di Internet - una simile libertà non è né immaginabile né possibile, a causa della dipendenza dei principali fornitori di notizie dagli interessi del sistema plutocratico.A parte questo, la supposta segretezza del Rapporto è confutata dalla dichiarazione del direttore di ricerca della CIA, Daniel O. Esty, resa proprio al giornalista di Panorama. Nella dichiarazione, il dirigente della task force della CIA sottolinea che la task force ha scoperto "oltre ai tradizionali fattori socio-politici e geostrategici ... una serie di nuove cause che potrebbero vsvolgere un ruolo decisivo nello sviluppo di una crisi o di una disintegrazione traumatica degli stati".Consapevoli delle conseguenze di tutte le precedenti pubblicazioni di "segreti" usciti dagli antri nascosti della CIA, dobbiamo chiederci perché questo rapporto sia stato presentato al pubblico del "villaggio mondialista [globale]". L'autore di questo articolo è convinto che la CIA stia cercando di preparare psicologicamente il pubblico del "villaggio mondialista [globale]" a guerre e disintagrazioni statali che Washigton, direttamente o indirettamente, sta attualmente pianificando o incoraggiando. Quando tali predizioni si avvereranno, guerre e disintegrazioni saranno accettate come inevitabili, previste dalla suddetta tecnologia dell'informazione, che da lungo tempo, nella coscienza delle masse mondializzate, ha rimpiazzato non soltanto ogni fede nell'umano intelletto, ma persino l'antico volere di Dio, con cui i popoli del passato spiegavano tante calamità storiche.



Lontano da Dio e vicino agli USA
Pertanto, il citato Rapporto suggerisce indirettamente a tutti gli autentici amanti e fautori della pace di abbandonare ogni speranza ed illusione. Inoltre, questa realtà storica rigetta categoricamente tutte le teorie dei profeti, al soldo o gratuiti ("utili sciocchi", secondo il vocabolario della CIA), delle presunte virtù del modello americano di "società civile" e "multiculturale" - modello che si suppone inclini naturalmente verso la pace, a differenza di ogni sorta di nazionalismo e Stato nazionale che (sempre per supposizione) invariabilmente finisce con l'impegnarsi in guerre espansioniste. In realtà, la storia dimostra che "la democrazia dirigente" e campione di ogni progetto di "società civile" e "multiculturale", in quanto modello di stato, è di gran lunga il massimo produttore di interventi militari e guerre.
Soltanto nel suo habitat geopolitico, l'America settentrionale, centrale e meridionale, nel corso degli ultimi cento anni gli USA si sono impegnati in quasi 90 fra interventi militari e guerre di espansione e in un enorme numero di colpi di stato; diretti o indiretti. Gli USA hanno usato la loro potenza militare contro Messico (14 volte), Cuba (13 volte), Panama (12 volte), Nicaragua (10 volte), Repubblica Dominicana (nove volte), Columbia e Honduras (9 volte ciascuna), Haiti (sei volte), Puerto Rico (tre volte) e in un'occasione contro Argentina e Brasile.

L'interventismo militare cronico degli USA è al servizio di una corrispondente egemonia politica, militare ed economica che - mediante indebitamento imposto - distrugge ogni sistema economico e crea povertà, forzando le masse dei Paesi del Terzo Mondo americano ad emigrare negli USA. Queste sfortunate nazioni hanno coniato un proverbio che esprime in sintesi il loro destino: "Così lontano da Dio, e così vicino agli USA!". Recentemente, l'International Herald Tribune ha pubblicato un articolo di due guru del mondialismo di Washington: Jacob Heilbrun e Michael Lind hanno spiegato insieme 100 anni di interventismo militare e guerre che hanno condotto all'instaurazione del "primo impero Americano". Secondo loro, il secondo impero è stato conquistato grazie alla Seconda Guerra Mondiale e comprende l'Europa occidentale, il Giappone e alcune isole del Pacifico. Heilbrun e Lind informano il pubblico che ultimamente stiamo assistendo all'instaurazione del "terzo impero Americano" tramite "la direzione Americana del movimento delle nazioni Musulmane, dal Golfo Persico ai Balcani". Questa sequenza di eventi condurrà alla resurrezione dell'Impero Ottomano sotto tutela Americana, con la tendenza alla diffusione di questo "terzo impero Americano" in "Europa orientale (con l'aiuto della NATO) e nella Jugolavia un tempo neutrale".Il vero obiettivo delle "iniziative di pace" di Washington ha trovato conferma nelle dichiarazioni del sottosegretario al governo USA Strobe Talbott, che ha rimarcato come la NATO intende impegnarsi ad avviare operazioni all'esterno della sua originaria zona di azione, "nel Medio Oriente e altrove". Quell'altrove, alla luce della scoperta di ambizioni mondialiste, deve essere inteso come dovunque. Il commentatore di politica internazionale da Parigi di Le Monde Diplomatique, Marion Ajer, nel saggio dal titolo NATO: al servizio di quale sicurezza? offre questa risposta alla domanda: "Questo terzo dispiegamento di forze militari in Europa (dopo il 1917 e il 1944) rappresenta - una volta neutralizzata l'aspirazione dei membri dell'Unione Europea ad una forza di difesa comune - il rinovamento del tradizionale ruolo degli USA nell'Alleanza atlantica e la loro riconferma quale massima forza militare in un mondo unipolare"



La strategia fondamentale contro la Russia
La NATO è lo strumento "duro" fondamentale per l'instaurazione e la diffusione del "terzo impero Americano" dal Medio Oriente, dove l'egemonia e il controllo delle riserve petrolifere mondiali sono assicurati dall'asse militare Israele-Turchia (di recente ufficializzato con un accordo internazionale), attraverso l'"asse Islamico" per la penetrazione degli emigranti turchi e musulmani nell'Unione Europea, lungo tutto il confine della Russia. Il progetto di diffusione dell'influenza della NATO nella regione "post-comunista" è una minaccia alla Russia, minaccia che probabilmente si materializzerà una volta che il popolo russo si sarà liberato con il rovesciamento dei suoi attuali dirigenti russofobi, stranieri e mondialisti. Le mappe strategiche della NATO sin dal 1982 segnavano la regione del Caucaso come possibile futuro teatro bellico, il che proietta una luce diversa sulla guerra in corso in Cecenia e sugli sforzi dei suoi istigatori da Washington per diffondere quel conflitto al resto della Russia, provocandone così la distruzione.
Si tratta dell'attuazione interventista della strategia anti-russa che si può rintracciare nella Direttiva del Consiglio di Sicurezza Nazionale n.20/1 del 18 agosto 1948:

"Dobbiamo assicurare che persino un regime non comunista e nominalmente amico in Russia
a) non disponga in futuro di una forza militare significativa;
b) dipenda strettamente sul piano economico dal resto del mondo;
c) non possa istituire nulla di simile alla 'cortina di ferro'.
Se anche quel regime dovesse mostrare un atteggiamento sfavorevole verso i comunisti e favorevole nei confronti degli USA, dobbiamo assicurare che tali condizioni siano imposte, sia pure in maniera non offensiva o umiliante. Dobbiamo in ogni caso sottometterlo, pacificamente o con la forza, per proteggere i nostri interessi".

Alla luce di questa strategia e della sua attuazione, possiamo concludere che l'Alleanza Atlantica e il progetto Partnership for Peace sono i mezzi per l'instaurazione e diffusione del "terzo impero Americano", come confermato da Heilbrun e Lind: "Nel futuro prevedibile, lo scopo principale dei Paesi alleati della NATO sarà quello di servire da centri di reclutamento di soldati per le guerre Americane nei Balcani, nel Mediterraneo e nel Golfo Persico. La sfida dell'instaurazione di una nuova sfera di influenza europeo-mediorientale richiederà lo sviluppo di nuove istituzioni ed alleanze simili alla NATO [Partnership for Peace, nota di D.K.] per le relazioni con i vari protettorati che gli USA si sono conquistati da 1990".

Pertanto, tutta la propaganda sulla sedicente natura di strumenti di sicurezza e pace della NATO e di Partnership for Peace (la sala d'attesa della NATO) serve unicamente ad indottrinare masse sprovvedute e le corrispondenti pseudo-élites politiche sorte dalle rovine del sistema post-comunista. In una situazione del genere, pace e sicurezza dipendono quasi integralmente dalla buona o cattiva volontà degli strateghi del "nuovo ordine mondiale" di Washington e dai loro comandanti plutocratici di New York. Un buon esempio della totale "impotenza" della NATO nell'instaurare una pace duratura persino fra i suoi stessi membri è offerto dalle continue provocazioni militari della Turchia - dall'ormai ventennale occupazione militare della metà settentrionale di Cipro, fino ai recenti attacchi all'integrità territoriale della Grecia. E' evidente che la Turchia non sarebbe mai stata in grado di inscenare tali provocazioni senza l'incitamento o almeno il tacito consenso degli strateghi di Washington, i cui generali sono i comandanti supremi delle forze NATO. La NATO non è stata capace di controllare le ambizioni di conquista della Turchia; ha invece di recente deciso di inviare "osservatori" ai confini in pericolo della Grecia.


Coloro che cercano Pace avranno Guerra
Un'altra prova del vero carattere e dei veri scopi dell'Alleanza Atlantica quale strumento "morbido" per l'instaurazione e l'ampliamento del "terzo impero Americano" consiste nelle condizioni politiche ed economiche per essere accettati nell'Alleanza, condizioni che nulla hanno a che fare con fini militari e di difesa. Chiaramente, la NATO accoglierà soltanto "Paesi democratici", dunque Paesi i cui governi siano servitori affidabili degli interessi Americani.
Altra condizione cruciale è una "economia di mercato", concretamente la totale assenza di protezione dell'economia domestica dalla pirateria finaziaria e industriale straniera. La storia ci dice che la maggior parte delle guerre, anche di quelle di maggiori dimensioni (come quelle contro il Giappone imperiale, la Russia degli zar e l'Impero Austro-Ungarico) vennero iniziate dai capitalisti dell'Occidente a causa della determinazione con cui quegli stati difendevano la loro indipendenza e ricchezza economica, i mercati e le risorse interne. Anche il citato Rapporto della CIA agita questa causa di guerra, precisando minacciosamente che gli stati a maggior rischio sono quelli con "basso livello di accessibilità al mercato".

Un'altra importante condizione per accedere all'Alleanza Atlantica è la "capacità di sopportare tutti i costi necessari per adeguare il livello delle forze militari nazionali a quello delle forze NATO". In altre parole, la capacità di acquistare armamenti made in the USA, pagare costosi consiglieri per l'addestramento al loro uso, e pagare per il sostentamento delle forze di occupazione Americane. L'investimento necessario è così ingente per gli stati economicamente deboli e indebitati dell'Europa Orientale che persino gli ideatori di tali condizioni (o estorsioni) fiutano odore di fallimento. Dalle pagine del Washington Post, William Odom [ex direttore della National Security Agency, ndr] ammette apertamente: "Gli eserciti [dei Paesi dell'Europa Orientale] non sono sufficientemente moderni per soddisfare gli standard della NATO. Gli investimenti occorrenti per adeguarne il livello sono allo stato attuale eccessivi per le loro economie".
Fra le condizioni per l'accoglimento nell'Alleanza Atlantica ne troviamo una che a prima vista appare innocua e ragionevole: "I membri della NATO accettano il principio della soluzione pacifica dei problemi interni e delle dispute sui confini". Purtroppo, la condizione è solo in apparenza innocua. L'esperienza recente conferma che questa condizione implica in realtà la rinuncia alla sovranità e il riconoscimento dela "comunità internazionale" (uno degli pseudonimi degli USA) quale unico arbitro delle dispute interne ed internazionali (fomentate da Washington).

Una mente lucida e dotata di esperienza non fatica a individuare in quest'ultima condizione un altro annuncio di nuove guerre europee e fratricide, fondate sull'atica formula del cinismo politico: divide et impera. La dislocazione di queste guerre future e possibili è già stata determinata, come è confermato da numerosi studiosi di previsioni americani, dalla task force della CIA al già menzionato William Odom: "Un gran numero di ungheresi irrequieti vive nel sud della Slovacchia, nella Transilvania rumena e nella Serbia settentrionale. La Russia pretende che la Polonia conceda un corridoio in direzione dell'enclave di Kaliningrad (nella ex Prussia orientale). Esiste una minoranza polacca in Lituania, mentre Estonia e Lettonia presentano rilevanti minoranze russe. La Moldavia, un tempo parte della Romania, ha uno statuto incerto. L'allargamento della NATO può prevenire il sorgere di alcuni fra questi problemi e servire da monito a coloro che volessero sfruttare questi potenziali conflitti".

Nel leggere questi testi, un lettore ingenuo potrebbe pensare con gratitudine che gli strateghi di Washington siano sinceramente preoccupati per la pace nell'Europa orientale e stiano cercando di proteggerla offrendo i servigi della NATO. L'esperienza della guerra e distruzione nella Bosnia-Erzegovina è sufficiente per rendersi conto, una volta per tutte, che una pace europea è indesiderabile per gli strateghi di Washington. Dapprima hanno spinto gli Ilamici bosniaci sulla via della secessione per mezzo di un referendum sull'indipendenza che, per ammissione inequivoca di Izetbegovic [attuale presidente della Bosnia, ndr], avrebbe significato una cosa sola: "dichiarazione di guerra". In seguito, hanno sabotato qualsiasi accordo di pace fra le parti belligeranti, ammonendo il leader degli Islamici [Izetbegovic] di respingere tali accordi e attendere in vista della promessa di guadagni maggiori. Solo quando hanno stimato che la pace (?) o il cessate il fuoco sarebbero stati confacenti ai loro obiettivi provvisori, gli strateghi di Washington hanno forzato gli Islamici a siglare un accordo di pace, presentando al contempo l'accordo di Dayton come il risultato della loro abilità e onnipotenza, e come prova dell'impotenza europea - altro motivo per ribadire l'egemonia Americana e la presenza di forze di occupazione NATO sotto comando Americano in Europa.



La paura spinge verso la NATO
Come sottolinea lucidamente Marion Ajer dalle pagine di Le Monde Diplomatique (dove, per la natura stessa della pubblicazione, è possibile ritrovare di tanto in tanto una verità o due), "affinché l'Alleanza Atlantica sopravviva, sarà necesario creare nuove guerre". Quindi, per giustificare l'esistenza dell'Alleanza agli occhi degli europei non sufficientemente compiacenti, gli strateghi di Washington dovranno creare nuove guerre in Europa per tenere occupata la NATO. Le stesse regole valgono per le nazioni est-europee, alle quali viene offerta protezione e sicurezza sotto l'ala sedicente pacifica della NATO: la loro pace e la loro sicurezza verranno coerentemente poste in pericolo per forzarle a pagare il racket dell'Alleanza Atlantica, cioè dei plutocrati di New York.
La pace europea si è basata per molto tempo sui trattati di Versailles e Trianon, ma ora l'interventismo Americano sta distruggendo queste fondamenta. In un discorso rivolto al circolo nazionale della stampa statunitense il 31 gennaio 1996, Richard Holbrook, amministratore di guerra per conto di Washington sulle macerie della Bosnia-Erzegovina, ha annunciato che le fondamenta della pace europea sarebbero state distrutte a causa della "irrisolta eredità delle conferenze di Versailles e Trianon". Di conseguenza, tutte le frontiere interne dell'Europa Orientale e fra Germania ed Europa Orientale possono ora essere rimesse in discussione. Questo fatto, insieme con le minacce di guerra che comporta, è la ragione principale che spinge a comprare la pace pagando il "pizzo" degli estorsori di Washington.

Il sottoscritto ha di recente chiesto all'influente studioso bulgaro di geopolitica Sergej Stanisev, dell'Istituto per la Ricerca sui Balcani e l'Europa, coma mai importanti forze politiche bulgare sostengano l'ingresso della Bulgaria nella NATO. Stanisev ha risposto:

"Naturalmente, la vera ragione non sta in qualche paura putativa della politica espansionista della Russia, come viene di solito affermato pubblicamente. Nessuna persona seria e sensata presta attenzione ai moniti di Washington secondo cui il nuovo stato russo potrebbe in futuro dare il via alla conquista dei territori dell'ex Unione Sovietica e dell'Est Europa un tempo controllati. Anche se covasse ambizioni espansioniste, questa nuova Russia non sarebbe semplicemente capace di nulla di simile. Come si può anche solo immaginare che un esercito incapace di spezzare l'insorgenza in Cecenia possa imbarcarsi in un'impresa di conquista di tali dimensioni? La ragione fondamentale e nascosta del desiderio di unirsi all'Alleanza Atlantica è la paura della politica guerrafondaia che Washington persegue con successo. L'attuazione di questa politica nei territori della Jugoslavia ha profondamente influenzato tutte le elites est-europee. Molti credono di potersi comprare pace e benevolenza aggregandosi alla NATO e pagando un riscatto ai guerrafondai di Washington".

Un buon esempio di questa psicosi da guerra è la gara a unirsi alla NATO in atto fra Ungheria e Romania - gara alimentata dagli emissari e i ricattatori di Washington, a cominciare da Javier Solana, segretario generale della NATO. Solana ha ultimamente visitato le capitali dei Paesi dell'Est europeo disposti a pagare il "pizzo" alla NATO, cominciando da Kiev e finendo con Sofia; a tutti ha giurato che "la corsa è aperta" e l'arbitro "imparziale". E tuttavia, nella pratica, anche se "tutti sono uguali", alcuni sono "più uguali degli altri", dato che obbediscono alle "richieste democratiche" (degli strateghi del mondialismo di Washington) con maggiore entusiasmo di altri.

Gli interlocutori rumeni, incluso il presidente, il ministro della difesa, il ministro degli affari esteri ed entrambi i capi dei due rami del parlamento, hanno offerto a Solana numerose e umilianti garanzie della volontà della Romania di soddisfare tutte le condizioni per aderire alla NATO. Hanno persino presentato gli esiti di un sondaggio a dimostrazione che il 95% dei rumeni appoggia l'ingresso del Paese nell'Alleanza Atlantica. Ciononostante, non è stata dissipata la loro impressione che l'Ungheria verrà accolta nella NATO nel primo round, mentre la Romania dovrà aspettare fuori.


L'illusione chiamata Occidente
Altra impressione ricavata è che Washington favorisca deliberatamente alcuni "postulanti" a svantaggio degli altri, al fine di suscitare fra gli stati sospetto reciproco, dispute e infine conflitti. Il ministro degli affari esteri rumeno Melekasanu ha pubblicamente sottolineato che "la corsa per accedere alla NATO è un fattore di instabilità in questa parte del mondo". Secondo l'opinione di un esperto quale il ministro delle difesa rumeno Tinka, se l'Ungheria si unirà alla NATO mentre la Romania resterà esclusa, entrambi i Paesi "si impegneranno in una corsa agli armamenti". Naturalmente, questa corsa avverrà secondo gli standard della NATO, con grande soddisfazione dell'industria millitare Americana, dei suoi investitori e degli estorsori internazionali che forniranno credito ad entrambi questi stati ricattati e indebitati.
Il ministro della difesa rumeno Tinka giustamenta valuta che una corsa agli armamenti fra Romania e Ungheria incoraggerà le tendenze separatiste in seno alla minoranza ungherese in Romania e le richieste di concessioni territoriali dell'Ungheria, in base a quanto Washington ha dichiarato a proposito dell'annullamento, di fatto, del Trattato di Trianon. Javier Solana ha fatto del suo meglio per stimolare un conflitto ungaro-rumeno per conto dei suoi padroni, i plutocrati di New York, esprimendo ai sui ospiti rumeni "profonda preoccupazione per la situazione delle minoranze nazionali, soprattutto dei diritti della minoranza ungherese in Romania".

I rumeni, eccellenti conoscitori della storia - come è testimoniato dagli splendidi lavori di intellettuali rumeni come Mircea Eliade, Emil Cioran e Vintile Horia - sanno riconoscere le minacce velate, ma per il momento non hanno i mezzi per difendersi. Anche il columnist dell'autorevole periodico Adevarul, Dumitru Tinu, esprime questa impotenza: "La Romania è vittima di un gioco di interessi; la sua grande fiducia nell'Occidente verrà ancora una volta tradita". Bisognerebbe leggere il messaggio lanciato ai rumeni e agli altri popoli Ortodossi da Emil Cioran dal suo esilio parigino con il libro Storia e utopia, per comprendere la futilità di questa fiducia nell'Occidente.

E diamo anche credito alla saggezza dell'attuale politica cinese, che sa vedere attraverso tutte le manipolazioni dei commesi viaggiatori della potenza occidentale. Una saggezza acquisita nel corso di sei millenni di cultura e storia. Una saggezza contro cui si è rivolto, con modi da cowboy, il segretario statunitense alla difesa, William Perry, che ha aggressivamente offerto [alla Cina] una sorta di Partnership for Peace: "Tramite contatti diretti con le forze militari cinesi possiamo contribuire ad una maggiore apertura delle isituzioni cinesi per la sicurezza nazionale e il pensiero strategico, l'ac
quisizione di nuovi armamenti e la politica di bilancio, nonché, in generale, dello stile d'azione cinese".
Naturalmente, la saggezza cinese ha declinato, con cortesia ma fermezza, l'offerta di Perry, dietro alla qual non è difficile vedere la menzogna. Il fallimento del tranello di Perry ha offerto a Henry Kissinger materiale da cui ricavare lezioni per il futuro: "Fino a quando la cooperazione militare è presentata come una specie di assistenza il cui obiettivo è la trasformazione delle istituzioni cinesi, una civiltà indipendente da seimila anni non può non percepire tutto ciò come un'offerta di patronaggio".
[...] Non è necessario sottolineare che gli Europei devono lavorare con tutte le loro forze al "tramonto dell'Occidente (= USA)" e alla propria liberazione. Gli Europei possono offrire il contributo supremo a questo tramonto mediante la risoluta difesa della sovranità e indipendenza dei propri stati dall'aggressione dell'egemonia mondialista sul piano politico, economico, (sub)culturale e militare. La potenza dell'Occidente crollerà se le viene negata qualla che da secoli è la sua preda, su cui vive e prospera come un parassita. La principale condizione del movimento di difesa europeo è il riconoscimento del nemico e dei suoi obiettivi. Ne è un buon esempio l'articolo di Richard Ovinkov pubblicato dal quotidiano russo Pravda:

"L'essenza della politica Americana e Occidentale (la cui prova generale è avvenuta sul territorio jugoslavo) è stimolare l'instabilità e i conflitti etnici interni, specialmente negli stati plurinazionali, e usare questi conflitti per i propri fini. Sembra che i fautori di questa politica vogliano usare, anche per il futuro, questo precedente jugoslavo per una felice opera di divisione dei popoli Slavi. Le possibilità di realizzazione dipenderanno dal successo che otterranno nel dividere gli Slavi e metterli gli uni contro gli altri. Ma è possibile che non abbiamo ancora imparato nulla?".

Der Wehrwolf
01-07-02, 21:17
Una proposta per indicare
all'uomo e alle comunità europee
una via per diventare sé stessi in

Comunità, Europa, Impero

di

FRANCESCO
DI MARINO

(premessa di Claudio Bonvecchio)
Asefi Terziaria, 2001









Giovedì 12 aprile 2001, alle ore 21.00, l’Associazione Culturale Terra Insubre ha presentato, presso la Palazzina Civica di Via Sacco a Varese il libro Comunità, Europa, Impero, dell'Avv. Francesco di Marino. Alla presentazione hanno partecipato, oltre all’autore, Claudio Bonvecchio, Luca Pesenti, esponenti della cultura e delle istituzioni varesine. Vi presentiamo una relazione della conferenza sotto forma di intervista da parte della nostra Redazione.

Francesco di Marino è nato a La Spezia. Milanese d’adozione è stato per anni avvocato d’impresa, amministratore e sindaco di società. Attualmente insegna diritto civile e commerciale presso la European Business School di Milano ed opera presso due società di consulenza aziendale. Per la casa editrice ASEFI TERZIARIA ha pubblicato il saggio Riflessioni sui percorsi della conoscenza.
Si può contattare l’editore presso info@asefi.it o consultare il sito www.asefi.it

Redazione: Di Marino, cosa significa per Lei presentare il suo libro in questa sede?

Di Marino: Sono veramente onorato di avere l’opportunità di presentare il mio libro presso una sede di Terra Insubre che rappresenta una comunità vivente, il Popolo d’Insubria, stanziato in queste zone più di 2600 anni fa. Una comunità che non ha accettato la sottomissione all’Impero Romano passivamente, ma ha stabilito il “foedus” con esso. Questa forma istituzionale, il foedus, è molto importante perché potrebbe proporsi come alternativa alle forme istituzionali oggi in crisi. Lo Stato nazionale oggi è in declino, ed infatti è incapace di affrontare problemi come l’omologazione economica e culturale, l’ecologia, l’immigrazione, l’energia da gestire.

Redazione: secondo Lei a cosa è legata la crisi europea e dello Stato nazionale?

Di Marino: Vede, il problema è che lo Stato nazionale è sfumato in un ectoplasma che senza resistenza è dominato da tecnocrati padroni del nostro destino. Questi tecnocrati sono specialisti, tecnici freddi, non eletti dal popolo e ne consegue che questa Europa ce la ritroviamo fatta così (a pezzi) da burocrati estranei.

Redazione: Di fronte a questa situazione, asettica ed espropriante, Lei nel suo libro propone il calore dell’appartenenza che deriva invece dal richiamo al sacro, ai miti, ai simboli, che fondano la vita delle comunità e dei popoli…

Di Marino: E’ proprio così. Il cuore dei popoli richiede la sacralità di un vincolo: questo era il foedus. Esso era stipulabile solo se i popoli erano d’accordo, non poteva essere un’imposizione dall’alto. Infatti l’imperatore non ha mai governato. Egli semmai era il garante della pace e dell’armonia, era l’axis mundi tra le comunità. La mia proposta di pensare all’Impero equivale alla volontà di far vivere i miti e i simboli delle culture. Le culture locali sono culture se hanno un mito ed un simbolo. Il mito ed il simbolo sono la forza della cultura locale. Il simbolo è ciò che lega ed unisce gli elementi di una cultura viva.

Redazione: Nel suo libro l’elemento dominante, il seme che Lei lancia soprattutto ai giovani, è l’idea di Utopia…

Di Marino: Ciò di cui abbiamo appena parlato, il mito ed il simbolo, sono proiettati e proiettanti nel futuro: sono l’Utopia. Per me l’Utopia non è solo il “luogo che non esiste”. Essa è anche Eu-topos: il luogo di ogni bene, il luogo di cui si può pensare il possibile, il potenziale, per uscire dall’inerzia. L’Utopia è una forma di speranza, è movimento. E’ necessario che tutti i popoli, che esprimono la ricchezza dell’Europa, spingano lo sguardo verso questo luogo.

Redazione: Professor Bonvecchio, Lei ha recentemente sottolineato la necessità per il pensiero occidentale di “osare, confrontarsi e rivendicare – con intelligenza e coraggio – la straordinaria vitalità della storia e della Tradizione Occidentale ed Europea. Storia e Tradizione che possono essere una solida base per un futuro tutto da costruire…” (nel libro Il pensiero forte. La sfida simbolica alla modernità, Settimo Sigillo, Roma, 2000, anch’esso recensito nel nostro sito). Come vede in questa prospettiva la proposta di Francesco di Marino?

Bonvecchio: Vede, l’Europa, se non è imperiale non può essere. L’Impero non è una favola, non è una forma di governo, neppure un ricordo nostalgico. L’Impero è “un’idea”. E sulle idee si costruisce l’aggregazione umana e politica. L’Impero regna ma non governa. Il regno infatti appartiene alla spirito non al governo. Regno vuol dire chiarezza delle idee allorché si debbano prendere decisioni rapide e vitali, avere un’immagine dell’uomo che non è un numero, né un essere da strumentalizzare. L’Impero considera l’uomo per quello che è e lo guida. La politica infatti può essere solo pedagogia, deve guidare l’uomo ad una meta: essere se stesso; deve guidare l’uomo nella difficile via dell’esistenza e guidare anche la comunità ad essere se stessa. Solo l’Imperatore (che può anche essere ideale o un consiglio o un gruppo preposto) può fare questo. Può farlo perché l’Imperatore, il cui ideogramma unisce cielo e Terra, è ciò che rende l’uomo materia e spirito, unità.


Redazione: Bonvecchio, a suo avviso quale è il problema fondamentale dell’Europa, oggi?

Bonvecchio: Io credo il globalismo. L’Europa è plagiata dal globalismo, descrivibile, in una metafora da Guerre stellari, l’Impero del Male. Esso è generato da un’oligarchia bancaria che domina tutto con il denaro. Il problema è che oggi l’Europa è una figura amletica: non sa cosa dire, non sa cosa fare.

Redazione: Abbiamo chiesto a Francesco di Marino quale è la sua proposta per uscire dalla crisi, ora vorremmo sentire la sua opinione a riguardo: come si esce dal dramma europeo e, del resto, dal dramma dell’uomo di oggi?

Cammeo d'età augustea in onice rappresentante l'aquila con i simboli della Vittoria ( Vienna, Kunsthistorisches Museum)



Bonvecchio: Con una scelta radicale. Bisogna decidere se stare dalla parte dei Mercanti o dalla parte degli Eroi. Io scelgo volentieri gli Eroi. L’Eroe crede nel possibile ritorno di un’idea. L’Utopia è nel suo cuore. Ecco perchè l’Utopia, è Ou-topos: il luogo che non c’è. Non c’è perché è dentro l’uomo, è nel cuore. Nel cuore dorme lo spirito dell’uomo ed è lì che vive l’Imperatore che ogni uomo è. Così come nella comunità vi è un cuore che va trovato. Lì è il senso della vita, dell’uomo, dell’appartenenza. E’ il luogo al quale si può giungere solo scegliendo, appunto, tra essere mercanti ed essere uomini. L’Imperatore è il centro del mondo, colui che fa girare la ruota. Ma al centro c’è anche l’uomo in carne ed ossa che deve diventare ciò che è, volgere la sua ruota. L’Uomo è l’imperatore di se stesso, l’uomo deve diventarlo, la comunità deve diventarlo.

Redazione: Una domanda sia a di Marino che a Bonvecchio. La nostra democrazia è veramente rappresentativa? Di Marino propone, nel suo libro la rinascita della rappresentatività ma in Europa questo è possibile? E come? Le comunità locali oggi possono trovare una loro rappresentanza?

Di Marino: A mio avviso la riscossa, il movimento verso l’utopia, può partire solo dalle comunità. Negli anni ‘50 le piccole comunità erano caratterizzate da profonda solidarietà, coralità, che faceva di ogni uomo una parte di qualcosa di più ampio. La rappresentatività può esistere solo nelle piccole comunità. A livello più ampio è possibile solo nello scambio di poteri orizzontale (come l’Impero) e non nelle strutture impositive o piramidali. Tutte le rivoluzioni partono dall’uomo, dal suo coraggio. Spesso ci vengono presentati scenari apocalittici: radiazioni, mucca pazza, buco nell’ozono... Bisogna stare attenti: questo serve solo a paralizzare e ad aumentare la paura, se non a distogliere da problemi di ben altra portata. Bisogna corazzarsi contro queste menzogne per conservare il proprio giudizio, il legame con gli altri, la coralità. E qui essere pronti a riconoscere l’uomo caratterizzato da ingenuità, l’uomo nuovo da cui nasce il nuovo ordine. Oggi non si capisce chi comanda veramente. Tu devi pensare in modo uniforme altrimenti non ci sei, non esisti. Bisogna rifondare un uomo padrone del suo destino, ma soprattutto del suo giudizio. Solo quest’uomo nel momento in cui le istituzioni saranno in crisi potrà svelare la via.

Bonvecchio: Gli stati nazionali sono morti, inutile illudersi. Ora il mondo ha due possibilità: avviarsi verso un’epoca di conflitti e di guerre (ma l’umanità è sopravvissuta più volte a questo), oppure andare verso la direzione dell’Impero. Per arrivarvi però bisognerebbe togliere di mezzo prima le forme di governo attuali. Ma come? Così: potenziare in ogni modo le autonomie, ribattendo parola per parola, legge su legge, ordine su ordine, gli ordini caotici ed incoerenti imposti alle comunità dai vari centralismi statuali. E’ nelle autonomie locali che si radica l’humus, lo spirito dell’uomo.

Redazione: Di Marino, nel suo libro viene apparentemente demonizzata la Tecnologia. Molti scienziati sociali e politici, Claudio Risé per esempio, osservano però che ad esempio lo sviluppo di Internet e delle reti di comunicazione ha giocato invece a favore della rinascita delle consapevolezze. Uno importante è il caso delle identità etniche. Cosa ne pensa?

Di Marino: E’ vero. Lei immagini la tecnologia come un treno in corsa. Il fatto che il treno vada fuori strada o verso casa dipende da molti fattori ma soprattutto da…chi lo guida.