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Visualizza Versione Completa : Gli U.S.A. contro la Corte Penale Internazionale



psisicilia
30-06-02, 22:39
Cari amici,
visto l'impegno che ha sempre contraddistinto la sinistra democratica sulla questione dei diritti umani, non possiamo che salutare con l'esultanza la creazione della Corte Penale Internazionale. È angustiante però registrare l'alterigia e la vanagloria degli Stati Uniti d'America, di Israele e dell'India, paesi democratici (gli U.S.A. si fregiano finanche di essere la più antica democrazia del globo, mentre l'Unione Indiana è quella con la maggior popolazione) che si pongono in maniera polemica verso il nuovo Tribunale, con la non rassicurante compagnia di regime autoritari (o quasi) come la Cina, il Pakistan e la Russia. Mi piacerebbe sondare le vostre opinioni. Laici saluti,

ANTONIO MATASSO
Movimento "Repubblicani Europei" - Sicilia
Coordinatore del Comitato Regionale Siciliano per il Partito Socialista Riformista - PSE
matasso@psi2000.it

Da "Televideo Rai":

NASCE DOMANI LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE

Nasce domani all'Aia il Tribunale Penale Internazionale (Cpi), l'organismo istituito dal Trattato di Roma del 1998 che si occuperà di perseguire i crimini di guerra, quelli contro l'umanità e il genocidio.

Si tratta di una vera e propria rivoluzione nel diritto internazionale. I 74 Paesi che hanno ratificato il trattato, rinunceranno infatti a una quota di sovranità per cederla a un super - tribunale che agirà a livello mondiale in base al principio della sussidiarietà.

Il Tribunale comincerà a funzionare nel 2003, dopo la nomina dei 18 giudici, del presidente e del procuratore capo.

TRIBUNALE PENALE, USA CONTRO IL PROGETTO

La nascita del Tribunale Penale internazionale è accompagnata anche da molte polemiche. Alcuni Paesi, come Usa, Russia, Cina, India, Pakistan e Israele non hanno ratificato il trattato.

In particolare gli Stati Uniti si oppongono al progetto, perché temono che i propri soldati impegnati in missioni all'estero possano essere messi sotto processo dal Tribunale dell'Aia.

Gli Usa hanno addirittura minacciato di ritirare i propri soldati dalla missione in Bosnia e di non partecipare più ad altre missioni di "peacekeeping" se il Consiglio di sicurezza Onu non garantirà loro una sorta di immunità.

Jan Hus
30-06-02, 23:28
A costo di apparire reazionario, devo dire che l'idea di un tribunale penale internazionale non mi trova favorevole.

Sono convinto che si presterà ad una serie infinita di tentativi di strumentalizzazione.

La via giudiziaria alla politica internazionale non mi convince.

Jan Hus
30-06-02, 23:32
ENTRA IN VIGORE DOMANI LO STATUTO DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE
Un tribunale per i genocidi

30 giugno 2002

di Flavia Lattanzi


DOMANI entrerà in vigore lo Statuto della Corte penale internazionale. E certamente ciò rappresenta un grande evento nella storia delle relazioni internazionali. Una volta eletti i giudici, sarà infatti operativo un meccanismo giurisdizionale espressione dell'interesse della comunità internazionale a far cessare l'impunità degli individui responsabili di genocidio, crimini di guerra, crimini contro l'umanità e, a certe condizioni, di atti di aggressione. L'importanza dell'evento si misura anche in rapporto al tempo trascorso da quando, dopo il primo conflitto mondiale, si è pensato per la prima volta a una corte penale internazionale. D'altronde, i due tribunali istituiti dopo il secondo conflitto - Norimberga e Tokyo - erano espressione della potestà punitiva delle sole Potenze vincitrici.

La gelosia degli Stati nella difesa delle proprie prerogative sovrane ha infatti reso una corte penale veramente internazionale un miraggio. Non è un caso che tale miraggio ha cominciato a concretizzarsi in un momento storico in cui cessava la contrapposizione fra i due blocchi, che aveva portato a esasperare il dogma della sovranità. Solo nel 1989 ha preso avvio, ad opera di tutti gli Stati, il processo istitutivo di un tribunale penale internazionale che avrà carattere permanente e competenza per il futuro, nel rispetto rigoroso del principio nullum crimen, nulla poena sine lege, diversamente dai tribunali creati autoritativamente dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per le situazioni specifiche della ex-Iugoslavia e del Ruanda e per crimini già commessi o in corso.

Esso avrà però competenza solo per i crimini commessi sul territorio o dal cittadino di uno Stato che abbia ratificato lo Statuto: e dunque sulla base dell'accettazione volontaria della competenza ad opera di Stati direttamente collegati al crimine. Tuttavia, su decisione del Consiglio di Sicurezza, la Corte potrà occuparsi di crimini commessi dovunque, da chicchessia e contro chicchessia: e dunque secondo un criterio di giurisdizione universale. O meglio, quasi universale, dato il «diritto di veto» dei membri permanenti. Del resto, fra i membri permanenti, gli Stati Uniti non perdono occasione per esprimere la loro contrarietà alla Corte, nel timore che propri militari possano finire sotto la sua giurisdizione per comportamenti sospetti tenuti all'estero. Un siffatto rischio è però molto remoto: perché, nonostante tutto, la Corte penale internazionale sarà un meccanismo rispettoso delle sovranità statali.

La sua giurisdizione non sarà nè esclusiva, nè prioritaria rispetto a quelle nazionali: essa sarà sempre ad esse complementare, potendo esercitarsi solo se gli Stati si rifiuteranno o saranno incapaci di fare il loro dovere nella repressione di quei gravi crimini. Inoltre, l'obbligo di estradare il sospetto reo allo Stato che si faccia carico della repressione del crimine avrà la prevalenza sull'obbligo di consegnarlo alla Corte (dove è vietato il processo in contumacia). E perchè un Paese democratico come gli Stati Uniti dovrebbe rifiutarsi di reprimere gravi crimini? Perchè mai il suo sistema giudiziario potrebbe essere giudicato incapace?

È chiaro, dunque, che la Corte, se gli Stati faranno il proprio dovere, avrà poche occasioni di attivarsi. La sua stessa esistenza opererà tuttavia da deterrente per il futuro, soprattutto rispetto a organi militari o a vertici politici che ormai sanno di non poter più contare sull'immunità. Questa è specificamente esclusa dallo Statuto in modo assoluto anche per i Capi di Stato e di governo: pure durante l'esercizio delle funzioni ufficiali. Da domani, finalmente, i popoli potranno contare sul fatto che chi governerà ricorrendo alla prassi dei genocidi degli assassinii di massa, delle sparizioni forzate, insomma alla repressione grave e sistematica di diritti fondamentali non godrà più dell’impunità. Come non godrà dell’impunità chi vorrà condurre un conflitto internazionale o interno ricorrendo agli stupri, alla pulizia etnica, a stragi di popolazioni civili, insomma ai crimini più efferati che ogni giorno scuotono le nostre coscienze.

Delegato del governo italiano alla Commissione preparatoria della Corte penale internazionale


Dalla Stampa

Jan Hus
03-07-02, 22:30
DOPO LA MINACCIA AMERICANA DI RITIRARE TUTTI I MILITARI DALLA MISSIONI DI PACE
Bush: per la Bosnia cercheremo un compromesso
«Ma gli Stati Uniti non aderiranno mai alla Corte Penale Internazionale»

3 luglio 2002

di Paolo Mastrolilli

NEW YORK «Cercheremo di risolvere l'impasse, ma una cosa che non faremo è aderire a questo Tribunale Penale Internazionale». E' la risposta del presidente Bush alle polemiche sulla missione di pace in Bosnia, mentre si avvicina la nuova scadenza che stasera bloccherà l'intervento nell'ex repubblica jugoslava, se non emergerà un nuovo compromesso. «Gli Stati Uniti - ha spiegato il capo della Casa Bianca - lavorano per portare la pace nel mondo, e i nostri soldati e diplomatici rischiano di essere trascinati davanti alla Corte. Questo è molto inquietante».

La disputa ormai è nota. Lunedì è entrato in funzione all'Aia il Tribunale Penale Internazionale, nato con il Trattato di Roma nel 1998. Washington non fa parte dei 76 paesi che hanno ratificato l'intesa, e teme che la nuova corte venga usata dai suoi nemici per avviare azioni legali strumentali contro i propri militari e diplomatici all'estero. Quindi ha deciso di bloccare una per una tutte le missioni di pace dell'ONU nelle quali sono impegnati i suoi soldati, quando arrivano sul tavolo del Consiglio di Sicurezza per essere rinnovate. La prima vittima di questa strategia è stata l'operazione in Bosnia per formare la polizia locale.

Al momento nell'ex repubblica jugoslava sono in corso due missioni: la SFOR, composta da 18.000 soldati NATO che hanno il compito di garantire la pace, e l'IPTF dell'ONU, che comprende 1.600 uomini impegnati soprattutto a creare una polizia efficiente, in vista delle elezioni di ottobre e oltre. Domenica è scaduta questa missione, di cui fanno parte 46 statunitensi, e l'ambasciatore statunitense Negroponte ha posto il veto per impedirne il rinnovo. In serata poi ha accettato una proroga di 72 ore, che scade oggi a mezzanotte, nella speranza di trovare una soluzione di compromesso. Ieri i membri della SFOR hanno dimostrato coi fatti che la loro missione non è a rischio, perquisendo la casa dell'ex leader serbo bosniaco Karadzic proprio per provare la loro sopravvivenza.

La missione ONU però ha le ore contate. Il sottosegretario italiano agli Esteri Alfredo Mantica, a New York per i lavori dell'ECOSOC, ha detto che «l'Unione Europea sostiene compatta una proposta di compromesso avanzata dalla Gran Bretagna». A partire da gennaio, in sostanza, l'UE dovrebbe rilevare dal Palazzo di Vetro il compito di formare la polizia bosniaca. L'idea di Londra è prorogare l'attuale missione ONU fino al primo ottobre, e poi anticipare di tre mesi il passaggio di consegne agli europei, garantendo anche il corretto svolgimento delle elezioni.

Può darsi che questo compromesso risolva l'impasse sulla Bosnia. Ma lascia sul tavolo il problema generale dell'opposizione americana al Tribunale, che promette di riemergere ogni volta che ci sarà da rinnovare una missione di pace dell'ONU, a cominciare dall'UNIFIL del Libano in scadenza tra un mese. Infatti lunedì sera Washington ha già lanciato un primo segnale molto chiaro, ritirando i suoi tre uomini impegnati nelle operazioni a Timor Est. Ieri il portavoce della Casa Bianca Fleischer ha negato che il presidente stia usando la scusa del Tribunale per ridurre l'impegno statunitense nelle missioni di pace. Secondo Fleischer, «Bush sta solo difendendo una questione di principio per proteggere i cittadini americani impegnati all'estero». Una posizione che il New York Times ha definito «petulante», considerando «il ruolo americano tanto nella fine del conflitto etnico in Bosnia, quanto nello sviluppo del concetto di tribunale per i crimini di guerra a Norimberga».

I firmatari del Trattato di Roma, Italia compresa, rispondono che lo statuto della nuova corte è chiaro, e già offre tutte le garanzie legali possibili per impedire cause strumentali contro gli Stati Uniti e qualunque altro paese. Se hanno ragione loro, l'unica ipotesi politica plausibile resta quella che Washington stia usando il grimaldello delle missioni di pace per scardinare un tribunale mai condiviso, prima ancora che cominci a lavorare. Mantica ha detto che «usare questo linguaggio sarebbe esagerato», ma le parole di Bush lasciano pochi margini al dubbio. to il ministro degli Esteri britannico Straw - che dobbiamo risolvere tra alleati».

Dalla Stampa

Roderigo
08-07-02, 14:30
Luci e ombre della corte penale internazionale

DANILO ZOLO

E' naturale che l'entrata in funzione della International Criminal Court sia stata salutata con entusiasmo da chi ha fiducia nella protezione internazionale - non soltanto nazionale - dei diritti dell'uomo. Ed è altrettanto naturale che questo successo del «globalismo giudiziario» sia stato accolto come una rivincita del diritto internazionale. Nei tempi bui del terrorismo globale e della «guerra infinita» degli Stati uniti contro l'«asse del male», la nascita di questo organismo sembra riaccendere un filo di speranza. E' una sorta di anti-materia normativa rispetto all'orrore di Guantanamo. L'istituzione di una giurisdizione permanente ed universale contro una serie di gravi illeciti internazionali - genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra, aggressione - sembra aprire inaspettatamente uno spiraglio di giustizia e una prospettiva di pace. La repressione delle responsabilità individuali per questi reati sembra inaugurare una nuova dimensione del diritto internazionale. Esso non riguarda più soltanto gli stati e le grandi istituzioni internazionali: coinvolge tutti gli uomini come cittadini del mondo e come soggetti di diritto.

Non si può negare che questa Corte si differenzia profondamente dalla tradizione novecentesca dei Tribunali penali internazionali. Essa non è, come furono invece i tribunali di Norimberga e di Tokyo, una «maschera crudele» della giustizia. Hans Kelsen, il massimo giurista del secolo scorso, ebbe parole durissime contro i tribunali che erano stati organizzati dai vincitori del secondo conflitto mondiale per umiliare e degradare moralmente gli sconfitti. In forme apparentemente giudiziarie - in realtà ispirate da un desiderio di vendetta - queste corti avevano operato senza alcuna autonomia e indipendenza politica.

E'importante sottolineare che la nuova Corte penale internazionale si differenzia anche dai Tribunali dell'Aja e di Arusha, istituiti dieci anni fa dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite per la ex-Jugoslavia e il Ruanda, ancora oggi in funzione. Questi «tribunali speciali» hanno dato pessima prova di sé. Il tribunale dell'Aja, in particolare, ha violato sia il principio della irretroattività del diritto penale, sia l'eguaglianza dei soggetti di fronte alla legge penale, come è riuscito a sostenere con buoni argomenti persino l'imputato Slobodan Milosevic. In più, essi sono stati voluti dagli Stati uniti e sono stati da essi lautamente finanziati, oltre che assistiti dalla Nato sul piano investigativo e su quello militare. In cambio la Nato ha ottenuto, con procedure giudiziarie senza precedenti, l'assoluzione delle sue conclamate responsabilità per i crimini commessi nei 78 giorni di bombardamenti della Repubblica Jugoslava durante la guerra del Kosovo. E' giusto aggiungere che la nuova Corte è sorta sulla base di un'ampia legittimazione internazionale. Il suo statuto, dopo lunghi lavori preparatori e un'ampia discussione al congresso di Roma del luglio 1998, è stato sottoscritto da 120 stati e ratificato da 74 stati. Ma l'elemento di eccezionale novità è politica: questa corte non è sorta né per volontà dei vincitori di una guerra mondiale, né per iniziativa delle massime potenze mondiali. Anzi: essa si è affermata nonostante l'ostinata opposizione degli Stati uniti.

Emergono tuttavia - sarebbe grave ingenuità sottacerlo - anche aspetti negativi, che sconfessano l'ottimismo di maniera di personaggi come Kofi Annan o Javier Solana, per tacere dell'eccesso di aspettative caratteristico dell'internazionalismo giustizialista à la Emma Bonino. Questi aspetti riguardano sia la struttura e le funzioni di questa corte, sia la sua capacità di interagire positivamente con un contesto internazionale che si profila come particolarmente avverso e rischioso.

Ci sono anzitutto due aspetti che appaiono regressivi rispetto alla stessa esperienza dei tribunali internazionali precedenti, e che minacciano gravemente l'autonomia anche della nuova Corte. Il primo riguarda la contaminazione «costituzionale» introdotta dall'articolo 16 dello Statuto di Roma per volontà degli Stati uniti: il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite avrà il potere di impedire o sospendere, a sua discrezione, le iniziative della procura della Corte.

Se si tiene presente che nel Consiglio di sicurezza è sempre operante il potere di veto dei suoi cinque membri permanenti e che solo due di essi - la Gran Bretagna e la Francia - si sono mostrati favorevoli all'istituzione della Corte, risulta evidente come la sua autonomia è fin da ora gravemente compromessa. Si presenta qui, nella forma più acuta, la tensione fra il particolarismo politico del massimo organo delle Nazioni unite e l'aspirazione universalistica di una giurisdizione penale che ha di mira la protezione dei diritti dell'uomo.

Il secondo aspetto riguarda la sorprendente disposizione dell'articolo 116 dello Statuto, che apre le casse della Corte ai «contributi volontari di governi, organizzazioni internazionali, privati, società ed altri enti», trasformando così in previsione normativa per il finanziamento della Corte la prassi illegittima del tribunale dell'Aja. Non si tratta di un semplice sospetto: è già noto - come confermava Marlise Simon su Herald International Tribune del 1 luglio - che a finanziare la Corte si sono impegnati soprattutto paesi come la Gran Bretagna, la Francia e la Germania. Il personale esecutivo e amministrativo sarà fornito da queste potenze occidentali.

Infine, non si può tacere che lo statuto della Corte non prevede, da nessun punto di vista, l'organizzazione di una polizia giudiziaria che operi (esclusivamente) alle sue dipendenze. Lo statuto si limita a prescrivere che gli stati aderenti collaborino con la Corte. Se si considera che la competenza della Corte è complementare - cioè non ha alcuna primazia rispetto alle assise nazionali - risulta evidente la precarietà di questa previsione normativa. La Corte è infatti legittimata ad esplicare le sue funzioni solo se gli stati che sarebbero competenti ad esercitare la loro giurisdizione interna non lo facciano adeguatamente (art. 12). Ciò significa, dunque, che gli stati coinvolti nelle attività giurisdizionali della Corte non saranno inclini alla collaborazione. Ci si può chiedere se l'attività di polizia giudiziaria rischierà anche in questo caso, come nel caso del Tribunale per la ex-Jugoslavia, di essere affidata ad organismi di parte non dissimili dalla Nato.

L'aspetto più delicato riguarda comunque il destino politico della Corte penale internazionale nel contesto degli attuali rapporti internazionali. La Corte è formalmente in grado di imporre sanzioni a tutti gli stati del pianeta, incluse le grandi potenze nucleari, ma non sembra averne la capacità concreta. L'arena internazionale è oggi dominata dall'egemonia globale di una sola grande potenza, sempre più orientata ad esercitare il suo soverchiante potere politico-militare in forme unilaterali, senza tenere minimamente conto dell'intero apparato del diritto e delle istituzioni internazionali.

Il recente, clamoroso rifiuto degli Stati uniti di continuare a partecipare alla missione di pace in Bosnia se non a condizione di ottenere dal Consiglio di sicurezza uno statuto di immunità del suo personale militare dalla competenza della nuova Corte penale internazionale, è un segnale allarmante. E' il primo segnale delle gravissime difficoltà in cui si troverà ad operare una Corte internazionale che, per la prima volta, pretende di operare senza il sostegno della massima potenza mondiale.

E' questa la grande sfida cui oggi va incontro l'intera esperienza della giurisdizione penale internazionale, inclusi gli attuali Tribunali dell'Aja e di Arusha, dei quali gli Stati Uniti sembrano avere scoperto improvvisamente l'inutilità strategica e i costi spropositati. E la sfida rende questa esperienza tanto drammatica quanto decisiva per le sorti stesse dell'ordinamento internazionale e delle sue istituzioni. L'interrogativo di fondo è se il diritto internazionale tout court - non solo la giurisdizione penale internazionale - sia compatibile con l'assetto imperiale che l'egemonia degli Stati uniti sta assumendo sempre più nettamente.

Perché un sistema normativo internazionale possa esercitare effetti di contenimento dell'uso della forza - e di protezione dei diritti fondamentali dei soggetti - la condizione è che nessun soggetto possa considerarsi ed essere considerato dalla comunità internazionale legibus solutus. Occorre, cioè, che l'attuale «costituzione imperiale» del mondo venga contrastata e sostituita da un assetto multipolare. Si potrebbe sostenere che impero e diritto internazionale tendono a negarsi a vicenda. Se è così, il gioco al quale assisteremo nei prossimi anni sarà un gioco strategico e normativo a somma zero.

il manifesto 3 luglio 2002
http://www.ilmanifesto.it

hussita
09-07-02, 20:52
WHY DOES AMERICA FEAR THIS COURT?
>By Chris Patten
>-----------------------------------------------------------------
>
>Robert Kagan may be right that "Europe should be more sensitive
>to American concerns" [op-ed, July 1]. I cringe when I hear
>Europeans attacking the United States and Americans in terms that
>would be condemned as outright racism if they were leveled
>against any other country or its people -- just as I bridle at
>hearing Americans dismiss Europeans as a bunch of unprincipled
>wimps. We owe a very great deal to the United States, and I am
>the first to acknowledge it. But Kagan is on weak ground when he
>uses the International Criminal Court (ICC) to illustrate his
>argument.
>
>It is hardly surprising that unjustified criticism of the United
>States -- often fueled by fear and envy -- has made American
>policymakers wary about submitting to the authority of an
>international court. As Kagan says, the United States is called
>upon more than other nations to send its troops overseas, and
>that makes them more vulnerable to prosecution. So the United
>States was right to seek safeguards to ensure that the ICC would
>be used only for its intended purpose: to prosecute perpetrators
>of genocide and other crimes against humanity -- not pursue some
>politically motivated vendetta against the United States.
>
>Where Kagan is wrong -- and where, in this instance, I think the
>United States is making a great mistake -- is in refusing to take
>yes for an answer. The United States was fully engaged in the
>Rome Conference that prepared the ICC. It sought all sorts of
>assurances, and it got them. For example:
>
>The ICC is complementary to national courts. It would have had
>nothing to say, for example, about the sorry business a couple of
>years back involving indecent assaults by U.S. troops in Okinawa.
>Not only did this involve what might be called "common crime"
>rather than crimes against humanity but the United States itself
>took appropriate action.
>
>The ICC will not be retrospective.
>
>Investigations can proceed only after a pretrial chamber has
>determined there is a reasonable basis for action.
>
>Under Article 16 of the ICC Statute the U.N. Security Council can
>decide to block prosecutions for fixed periods.
>
>In short, the United States demanded elaborate safeguards, and it
>got them. But in a pattern that has become wearily familiar in
>other contexts such as the Kyoto Climate Change Treaty, it then
>revoked its intention to sign. This technique carries serious
>long-term risks. Why should people make concessions to America if
>the United States is going to walk away in any case?
>
>I deeply regret the decision, because I admire the United States
>and know how its decision will be interpreted. The United States
>will be accused of putting itself above the law. It is happy
>enough to sit in judgment on others -- indeed it is already doing
>so as part of the International Criminal Tribunal for the Former
>Yugoslavia -- and it is ironic that it takes particularly tough
>positions in that context. But the United States now seems to be
>saying it must never itself be put in the dock.
>
>One of the complaints leveled against the British Crown in the
>Declaration of Independence was that George III protected his
>troops "from punishment for any Murders which they should commit
>on the Inhabitants of these States."
>
>As Kagan points out in his article, what makes a "rogue" a
>"rogue" is that it refuses to accept international rules. A
>couple of years back Samuel Huntington warned that in the eyes of
>much of the world the United States was "becoming the rogue
>superpower." The epithet has been heard more recently in
>connection with U.S. actions undermining the Nuclear Non-
>Proliferation Treaty. It is a bum rap which ignores America's
>huge contribution to international order -- and it is in nobody's
>interest that the United States should encourage the caricature.
>More immediately, U.S. opposition to the ICC threatens
>international stability, because it poses practical problems for
>the renewal of U.N. peacekeeping mandates around the world. The
>effects are already being felt in Bosnia.
>
>Henry Kissinger comments at the end of his latest book on
>American foreign policy that "America's ultimate challenge is to
>transfer its power into a moral consensus, promoting its values
>not by imposition but by their willing acceptance." That task
>cannot be accomplished if the United States seems to be trying to
>set itself above the law.
>
>The ICC is intended to deal with international tragedies like
>Rwanda. U.S. troops almost always behave in an exemplary way --
>as do European ones. The United States is itself quite capable of
>dealing with the few cases (such as the My Lai massacre) in which
>its soldiers fall below their own high standards. So it should
>have nothing to fear from this court.
>
>Kagan asks Europeans to consider whether "a more liberal
>international order can be built by hobbling the most powerful
>defender of that order." That is neither the purpose of the court
>nor will it be its effect. To see the International Criminal
>Court as an assault on the United States is, frankly, perverse.
>The court's purpose, rather, is one that the United States
>wholeheartedly shares: to ensure that genocide and other such
>crimes against humanity should no longer go unpunished.
>
>
>---------
>SEE ALSO:
>
>Chris Patten's statement on the International Criminal Court and
>the mandate for the UN Mission in Bosnia- Herzegovina, made at a
>press conference with Federal Minister of Foreign Affairs Mr
>Goran Svilanovic in Belgrade, on 3 July 2002:
>
>http://europa.eu.int/comm/external_relations/w27/1.htm
>
>----------
>
>(1)
>http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/articles/A41782-2002Jul8.html
>
>(2) Europe should be more sensitive to American concerns" -
>Washington Post, International Herald Tribune on 1 July 2002:
>http://www.iht.com/articles/63045.html