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Visualizza Versione Completa : Ricordando Ugo La Malfa



nuvolarossa
01-07-02, 19:28
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


tratto dalla Agenzia Adnkronos 28 giugno 2002
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Quirinale: Ciampi riceve comitato
per centenario nascita Ugo La Malfa

Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha
ricevuto al Quirinale il presidente del ''Comitato Nazionale
per il Centenario della nascita di Ugo La Malfa'' e della
Fondazione Ugo La Malfa, professor Paolo Savona, il
presidente dell'Istituto della Enciclopedia Italiana, professor
Francesco Casavola, con l'onorevole Giorgio La Malfa, la
professoressa Luisa La Malfa e la dottoressa Daniela La
Malfa.

Nel corso dell'incontro, Savona ha illustrato al
presidente Ciampi il programma delle iniziative
del ''Comitato Nazionale per il Centenario della nascita
di Ugo La Malfa''.

Roma, 28 giugno 2002 (Adnkronos)

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tratto dal sito web nazionale:
http://www.pri.it

nuvolarossa
30-07-02, 21:02
In vicinanza delle manifestazioni che prossimamente ci saranno, in occasione del Centenario della nascita di Ugo La Malfa, crediamo necessario chiarire un aspetto spesso mal interpretato dai detrattori della politica repubblicana e da coloro che, alla guisa di topi d'appartamento, cercano di appropriarsi delle idee lamalfiane rivendicandole come proprie e snaturandole, a tal fine, dai loro significati politici e storici.

E' il caso di questi giorni di un personaggio che rivendica a Ugo La Malfa il progetto di riunificazione socialista nel '56 !

Ora per l'esattezza Ugo La Malfa propose nel '52 una costituente laico socialista azionista eccetera e poi sostenne, una volta che quella falli, la riunificazione dei socialisti, ma non del PRI con i Socialisti, come è ovvio. Altrimenti perchè rompere il Partito d'Azione per confluire nel PRI ?
Tanto valeva entrare tutti nel PSI con Lussu.

Puo' essere che questa tesi sia stata mal costruita per una errata interpretazione del periodo storico dovuta ad una limitata chiarezza degli episodi raccontati sia nel sito web del PRI che nella relazione tecnica dell'istituto La Malfa per la celebrazione del centenario!

In proposito chiedo il conforto di quanto sopra da parte degli amici piu' studiosi della storia repubblicana di quanto non sia il sottoscritto......spesso solo superficiale e.....partigiano....

kid
31-07-02, 11:43
Certo che Ugo La Malfa voleva la riunificazione socialista nel '56, ma intendeva la riunificazione del Psi e del Psdi, per dare più forza alla componente di centrosinistra considerando fallito il suo progetto di costituente liberal democratica riformatrice di quattro anni prima.
Ovvio che se lo Psdi e il Psi superavano le loro divisioni per lo meno al tavolo con la democrazia cristiana ci sarebbe stato un interlocutore laico e socialista meno frammentato.
La Malfa comprese che non era possibile un patto politico dal profilo unitario sul fronte del laicismo con i socialisti e si sarebbe accontentato che il Pri unificasse i democratici e gli azionisti e i socialisti superassero la loro frattura.
Il bello è che non vi riuscirono nemmeno nei successivi trent'anni.
Ma davvero c'è qualche imbecille che crede che la riunificazione socialista che suggeriva La Malfa comprendesse anche il partito repubblicano?
Ma non credo che neanche Bogi e Battaglia si siano mai spinti a tanto, visto che Ugo La Malfa non veniva dal Pri e se mai il suo problema fosse stato quello di riunificare i socialisti, si sarebbe iscritto al Psi, come giustamente dice Nuvola Rossa con Lussu che invece alla Camera ebbe poi modo di schiaffeggiarlo, visto che La Malfa sosteneva un governo Dc Pri.
Non mi ricordo adesso l'anno ma solo l'episodio.
Forse Veltroni che è talmente intelligente da annoiarsi a leggere con cura i testi deve aver visto che La Malfa proponeva al Psi e al Psdi di unirsi e deve aver detto, "ecco un nostro precursore, il socialdemocratico Ugo La Malfa".
Leggendario.

nuvolarossa
31-07-02, 19:06
...

kid
01-08-02, 12:09
Leggo che Ugo La Malfa avrebbe voluto fare una costituente liberal riformista per poter fra "mediare e di far accordare fra loro i due grandi blocchi cattolici e social comunisti". Ma come si fa a scrivere roba del genere? - Tra l'altro questa assurditò non la scrive Molinari" Cosa vi dice il cervello? La Malfa era un uomo di mediazione fra i blocchi? E quale mediazione di grazia si poterva trovare fra chi stava con il patto atlantico e chi con il patto di Varsavia? Cosa voleva fare La Malfa? La pace eterna made in Italy? E che ci staca a fare nel Pri? Ma cos'era il Pri la mosca cocchiera della pace mondiale fra i suoi due nemici storici, la chiesa ed il comunismo. Allora ecco la verità: La Malfa voleva distruggere il Pri e trovare l'unità fra socialisti e cattolici, le uniche forze sane a livello mondiale. Era il '56 ed era morti Staline e dunque tutto si poteva fare. Avrebbe persino accarezzato il progetto di unire socialisti e repubblicani. E a noi che risultava accarezzasse il gatto. Ma chi sono questi storici da strapazzo, che neanche sanno leggere i Bignami? Documenti, discorsi, lettere, testi. Li tirino fuori prima di dire corbellerie e si occupino di quello che conoscono, se conoscono qualcosa.

Anita
01-08-02, 12:16
Mah, tutto rientra nell'operazione nata nella casa ex-comunista per "appropriarsi" dei gioielli dal forziere della "casa Repubblicana".
Ma ormai il gioco e' spudoratamente scoperto e non incanta piu' nessuno !
Rimane stupefacente il fatto che, mentre i DS (ex-quasi tutto) stanno lasciando cadere l'argomento UGO, qualcun altro cerchi di impossessarsene.
Avrebbe fatto bene tutta questa gente a considerarlo di piu' quando era in vita invece di vituperarlo come hanno sempre fatto!

nuvolarossa
01-08-02, 17:46
Questo messaggio e' di calvin
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che vogliano impossessarsene lo capisco, ma per lo meno per rispetto verso di noi cercassero qualche tesi sensata e seducente.
Ma ci si può appoggiare a Luca Molinari? Ma che idea si ha della ricostruzione della politica e della storia? Chiedo solo un po' di serietà!
E poi diciamola tutta, oggi che i ds hanno ritrovato l'anima in Cofferati e la sotto anima in Nanni Moretti, entrambi degni loro esponenti, di Ugo La Malfa non se ne fanno un baffo.
Mi dispiace per chi sta lì a battere il tamburo dello pseudolamalfismo, perchè lo sbatteranno in un gulag, come hanno sempre fatto con i diversi.

nuvolarossa
17-09-02, 21:28
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI005.JPG

Ugo la Malfa in una
pittura di Giuseppe Pezzica
artista e ....... partigiano

nuvolarossa
02-02-03, 00:49
Sezione "Carlo Cattaneo"
del Partito Repubblicano Italiano
Milano - febbraio 2003

http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI130.JPG
Cari amici,
Quest’anno sarà il
centenario della nascita di Ugo La Malfa
Voglio anticipare di qualche mese le celebrazioni che ci saranno, tutte autorevoli e qualificate, che permetteranno di approfondire la figura dell’uomo politico scomparso ormai da ventiquattro anni per ricordarne con voi il personaggio e la sua storia.
Ugo La Malfa è nato a Palermo il 16 maggio del 1903, ha studiato alla Ca’ Foscari di Venezia e ancora molto giovane ha militato nelle file del movimento liberaldemocratico di Giovanni Amendola ma l’arrivo del fascismo lo costrinse ad abbandonare ogni attività politica. Solo a partire dal 1943, con la lotta clandestina, poté ritrovare il suo ruolo nel Partito d’Azione da cui uscì nel 1946 per fondare con Parri Democrazia Repubblicana essendo entrato in contrasto con la prevalente ideologia radico-socialista del P d’A. Aderì in seguito al Partito Repubblicano e sostenne con energia nel ‘48 la campagna antifrontista poi fu Ministro per il Commercio con l’estero nel Governo centrista di De Gasperi e qui ottenne il suo primo successo politico con l’approvazione del Trattato per la liberalizzazione degli scambi. A partire dal 1953, in accordo con gli “Amici del Mondo” e i Radicali, sostenne l’allargamento della maggioranza ai socialisti e fu Ministro del Bilancio nel primo Governo di centrosinistra dove redasse la “nota aggiuntiva” al bilancio che rappresentò il vero programma economico per i Governi di quella coalizione politica.
Ben presto però quella strada fu abbandonata e le sue proposte disattese e La Malfa iniziò ad accentuare la sua “critica interna” al centrosinistra.
D’altronde, autorevole come era ormai in tutto il Paese, aveva iniziato un pubblico dibattito con gli stessi comunisti e in particolare con Giorgio Amendola.
Fu Vicepresidente del Consiglio nel Governo Moro del 1974. Nelle difficilissime situazioni che seguirono fu assai rigido nella difesa dei valori costituzionali e, in questo, trovò un accordo con Enrico Berlinguer.
Morì improvvisamente nel marzo 1979 essendo Vicepresidente del Governo presieduto da Andreotti.
Nel Partito Repubblicano arrivò a segretario solo nel 1964 avendo dovuto superare lunghi scontri con gli ambienti tradizionali del Partito e particolarmente con l’On. Pacciardi. Dal momento della sua Segreteria la sua leadership nel Partito fu assoluta ma la sua influenza culturale e politica si estese molto al di fuori dei confini del PRI. Al momento della morte la sua figura venne percepita come quella di uno dei fondatori della Repubblica e uno di coloro che ne avevano determinato l’indirizzo e lo sviluppo. Ciò avvenne, appunto, dopo la sua morte perché in vita, Ugo La Malfa, fu un uomo politico assolutamente anomalo nel panorama italiano, sia per le posizioni culturali assai moderne e che privilegiavano la visione economica, sia per la posizione più propriamente politica, molto coerente e slegata da qualsiasi venatura demagogica. Spesso isolato, quasi sempre anticipatore dei tempi, attaccato dalla stampa di sinistra e ignorato da quella di centro, odiato dal “moderatume” ma assai rigido su posizioni filo atlantiche e filo occidentali, La Malfa fu un leader che dovette conquistare giorno per giorno per lunghi anni la propria credibilità e i suoi rari successi.
Per la mia generazione rappresentò un riferimento e una speranza. Quarant’anni fa in una rarissima apparizione alla televisione fece un appello, col suo profondo accento siciliano, a quei giovani di cultura liberale che volessero dare un contributo al rinnovamento del Paese. Non aderimmo in molti ma quelli che bastavano per iniziare una piccola avventura politica, né eroica come lo era stato per le generazioni precedenti, né confusa e mediatica come lo è per quelli che sono venuti dopo.
Seguivamo le teorie di Keynes per un intervento non strutturale ma congiunturale dello Stato nell’economia, credevamo alla formazione di una classe dirigente politica che aveva lo scopo di indirizzare il Paese e non di essere guidata dai sondaggi, pensavamo che il successo elettorale, che non arrise mai a Ugo La Malfa, dovesse essere la conseguenza del successo politico e non viceversa.
E’ passato molto tempo, per quanto mi riguarda le idee non sono cambiate, il bilancio è difficile da fare, molte voci sono negative, forse posso concludere con un aneddoto personale.
Un giorno andai a prendere Ugo La Malfa alla stazione, arrivò, come al solito, da solo con una valigetta in mano. Lo accompagnai all’albergo con la mia macchina e nella conversazione mi disse: “Sono pessimista sul futuro del nostro Paese ma voi siete una generazione più fortunata della mia, siete nati con la libertà e spero che potrete costruire con le vostre stesse mani un destino migliore per i vostri figli”. Non so se le speranze, non le previsioni, di La Malfa si siano realizzate, ad ogni buon conto io non ho fatto figli (almeno mi pare).

Un cordiale ed affettuoso saluto.

Il Segretario del PRI di Milano
Giacomo Properzj


N.B. Giorgio Forattini, che ringraziamo moltissimo, ha voluto illustrare questa lettera con un suo disegno (La Malfa guarda melanconicamente dal cielo il nostro Paese) che riprende le affettuose caricature che faceva a quei tempi. Questo mantiene la piccola tradizione che abbiamo inaugurato con Angelo Barcella di far decorare ogni nostra lettera da amici pittori, sperando che dia luogo ad una conservazione fondata se non sui contenuti almeno sulle forme.
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Questa lettera e' stata inviata a tutti gli iscritti al Partito Repubblicano Italiano della Sezione Carlo Cattaneo di MILANO.

nuvolarossa
27-02-03, 23:42
Lunedì 3 marzo h. 21.00 Milano
Aula Magna-Biblioteca di via Senato
Via Senato 14

Ciclo di incontri dedicato ai protagonisti della Repubblica Italiana:
"Ugo La Malfa"

Interverranno:
Antonio Del Pennino Senatore
Gerardo Bianco Deputato
Prof. Arturo Colombo Docente universitario-Storico

Modera:
Vincenzo La Russa


http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI164.JPG (http://www.pri.it)

nuvolarossa
26-03-03, 19:36
Lo scenario internazionale nel 24° anniversario della scomparsa di Ugo La Malfa

A poco più di un mese dal centenario della nascita, il Partito repubblicano ricorda oggi il 24° anniversario della scomparsa di Ugo La Malfa, sullo sfondo di uno scenario internazionale completamente diverso rispetto alla fine degli anni '70, quando la pace del mondo, diviso in due blocchi contrapposti, si reggeva su quello che era chiamato l' "equilibrio del terrore".

Fu in quello scenario che La Malfa, uomo dell'Occidente, non si stancò di dialogare con il Partito comunista italiano, il più forte partito comunista dell'Occidente, per convincerlo sulla necessità di accettare le regole dell'economia di mercato, le sole che avrebbero permesso alle classi lavoratrici di godere dei benefici della "società d'abbondanza" propria di un moderno paese industriale avanzato.

Un dialogo che per il segretario nazionale del PRI non avrebbe mai dovuto compromettere il fermo ancoraggio dell'Italia alle sue scelte occidentali in politica estera e di difesa. E' in questo senso che egli definiva la politica estera "il contenitore della politica interna": lo spazio pubblico entro cui realizzare in una prospettiva di sviluppo la politica dei redditi, forma "ante litteram" di quel "patto per l'Italia" su cui sono caduti per mano brigatista D'Antona e Biagi.

Un sottile filo rosso, quello dell'eversione armata, che Ugo La Malfa individuò già prima del sequestro e dell'uccisione di Aldo Moro, il quale, insieme con l'esponente repubblicano, intravide nella "democrazia compiuta", il solo sbocco per fare del Partito comunista, "pur nella distinzione dei ruoli", l'interlocutore essenziale per realizzare quella pace sociale ferocemente avversata dal "partito armato".

Un dialogo che Ugo La Malfa tenne vivo anche nel momento di quella rottura consumatasi con l'ingresso dell'Italia nel Sistema monetario europeo, allorché in Parlamento il Partito comunista votò contro, mentre il Partito socialista, da poco guidato da Bettino Craxi, si distinse con l'astensione.

Esempio emblematico, quello di Ugo La Malfa, di una coerenza adamantina espressa nella ferma determinazione di tenere l'Italia aggrappata alle Alpi contro quelle che egli chiamava le "derive mediterranee". Derive che oggi si colorano di quel pacifismo a senso unico venato di antiamericanismo viscerale di cui La Malfa aveva e avrebbe orrore.

Roma, 26 marzo 2003
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tratto dal sito
http://www.pri.it/immagini/da%20inserire%20pri/logosinistra.jpg (http://www.pri.it)

nuvolarossa
28-03-03, 13:14
Comitato Nazionale per le celebrazioni del
Centenario della nascita di
Ugo La Malfa

PRIMO ANNUNCIO

Ricorre quest’anno il Centenario della nascita di Ugo La Malfa che nacque a Palermo il 16 maggio 1903.

La Fondazione Ugo La Malfa e l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana hanno promosso l’istituzione del Comitato Nazionale per le celebrazioni del Centenario della nascita dello statista posto sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e istituito con Decreto del Ministro per i Beni e le Attività culturali.

L’apertura ufficiale delle celebrazioni avrà luogo nei giorni 15 e 16 maggio prossimi a Palermo


La segreteria del Comitato è a disposizione per ogni ulteriore informazione.

Si consiglia di procedere tempestivamente per eventuali prenotazioni alberghiere.
Per tali esigenze ci si può rivolgere all’agenzia Eurocongressi al numero 091/302655

Roma, 27 marzo 2003

Comitato Nazionale per le celebrazioni del
Centenario della nascita di Ugo La Malfa
Via S. Anna n. 13 – 00186 ROMA
Tel. 06/68301567, fax 06/68211476,
e-mail centenariougolamalfa@libero.it

nuvolarossa
28-03-03, 13:20
Centenario della nascita di
Ugo La Malfa
Apertura ufficiale delle celebrazioni
Palermo 15 e 16 maggio 2003

Promosso da
Fondazione Ugo La Malfa
Istituto della Enciclopedia Italiana
Roma, 26 marzo 2003

Programma

Giovedì 15 maggio 2003, ore 16.00
Rettorato dell’Università di Palermo
Sala Magna, Palazzo Steri
Convegno economico
“La Sicilia nell’Europa dell’euro:
una piattaforma strategica”

Venerdì 16 maggio 2003, ore 9.30
Rettorato dell’Università di Palermo
Sala Magna, Palazzo Steri
Convegno storico
“La Sicilia di Ugo La Malfa.
Società, cultura e politica a Palermo all’inizio del ‘900”

Venerdì 16 maggio 2003, ore 18.30
Teatro ………
Celebrazione ufficiale
Presidente del Senato, professor Marcello Pera
“L’eredità di Ugo La Malfa”

Venerdì 16 maggio 2003, ore 20.30
Vin d’honneur
Teatro …….

Venerdì 16 maggio 2003, ore 21.30
Teatro ‘al Massimo’
Rappresentazione teatrale
“Ugo La Malfa
Il sogno della Repubblica”
Atto unico in dieci quadri

La Sicilia nell’Europa dell’euro:
una piattaforma strategica
Convegno economico

Giovedì, 15 maggio 2003, ore16.00
Sal Magna, Palazzo Steri
Rettorato dell’Università di Palermo

Saluto del Rettore dell’Università di Palermo, Giuseppe Silvestri
Saluto del Presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro
Saluto del Presidente della Fondazione Banco di Sicilia, Salvatore Butera

Relazioni

Paolo Savona, Presidente Fondazione Ugo La Malfa
Nord e Sud nell’Europa dell’euro

Carlo Dominici, Università di Palermo
L’esperienza dei programmi di sviluppo della Sicilia

Antonio D’Amato, Presidente della Confindustria
Il sistema industriale: condizioni per lo sviluppo

Interventi

Francesco Rosario Averna, Vice Presidente per il Mezzogiorno, Confindustria

Sabino Cassese, Presidente Banco di Sicilia (da confermare)

Giancarlo Cerutti, Vice Presidente per l’internazionalizzazione, Confindustria

Riccardo Gallo, Presidente Istituto Promozione Industriale

Marina Noè, Assessore all’Industria, Regione Sicilia (da confermare)

Beniamino Quintieri, Presidente Istituto per il Commercio con l’Estero

Conclusioni

Giorgio La Malfa, Presidente della Commissione Finanze, Camera dei Deputati
Giulio Tremonti, Ministro dell’Economia e delle Finanze
Moderatore, Guido Gentili, Direttore “Sole 24 Ore”

La Sicilia di Ugo La Malfa.
Società, cultura e politica a Palermo all’inizio del ‘900
Convegno storico

Venerdì 16 maggio 2003, ore 9.30
Sala Magna, Palazzo Steri
Rettorato dell’Università di Palermo

Saluto del prof. Francesco Paolo Casavola, Presidente dell’Istituto della Enciclopedia Italiana

Relazioni

Prof. Piero Craveri, Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa”, Napoli
……………………………… (titolo da definire)

Prof. Paolo Soddu, Università del Piemonte Orientale
Gli anni giovanili di Ugo La Malfa

Prof. Antonio Jannazzo, Università di Palermo
Vittorio Emanuele Orlando e l’eredità di Crispi: liberali e democratici a Palermo

Prof. Salvatore La Francesca, Università di Palermo
L’economia a Palermo

Prof. Liliana Sammarco, Università di Palermo
“Borghesia”, finanza e impresa nella Palermo dell’Art Nouveau

Prof. Salvo Zarcone, Università di Palermo
Immagini della Palermo del primo ‘900

Ore 14.30
Buffet

Celebrazione ufficiale

Venerdì, 16 maggio 2003, ore 18.30
Teatro ……….

Presiedono il prof. Francesco Paolo Casavola e il prof. Paolo Savona

Saluto del Presidente della Regione Sicilia, on. Salvatore Cuffaro
Saluto del Sindaco di Palermo, dott. Guido Cammarana
Saluto del Rettore dell’Università, Prof. Giuseppe Silvestri

Saluto del Segretario Nazionale PRI, on. Francesco Nucara

Discorso del Presidente del Senato
sen. prof. Marcello Pera

“L’eredità di Ugo La Malfa”

ore 20.30
Vin d’honneur

ore 21.30
Teatro ‘al Massimo’
Rappresentazione teatrale
Ugo La Malfa
Il sogno della Repubblica
Atto unico in dieci quadri
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nuvolarossa
10-04-03, 18:27
Centenario della nascita di Ugo La Malfa
Apertura ufficiale delle celebrazioni
Palermo 15 e 16 maggio 2003


Promosso da
Fondazione Ugo La Malfa
Istituto della Enciclopedia Italiana

Roma, 10 aprile 2003
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Programma

Giovedì 15 maggio 2003, ore 16.00
Rettorato dell’Università di Palermo
Sala Magna, Palazzo Steri
Convegno economico
“La Sicilia nell’Europa dell’euro:
una piattaforma strategica”

Venerdì 16 maggio 2003, ore 9.30
Rettorato dell’Università di Palermo
Sala Magna, Palazzo Steri
Convegno storico
“La Sicilia di Ugo La Malfa.
Società, cultura e politica a Palermo all’inizio del ‘900”

Venerdì 16 maggio 2003, ore 18.00
Sala del Duca di Montalto, Palazzo dei Normanni
Celebrazione ufficiale
Presidente del Senato, professor Marcello Pera
“L’eredità di Ugo La Malfa”

Venerdì 16 maggio 2003, ore 21.30
Teatro ‘al Massimo’
Rappresentazione teatrale
“Ugo La Malfa
Il sogno della Repubblica”
Atto unico in dieci quadri
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La Sicilia nell’Europa dell’euro:
una piattaforma strategica
Convegno economico

Giovedì 15 maggio 2003, ore16.00
Sala Magna, Palazzo Steri
Rettorato dell’Università di Palermo

Saluto del Rettore dell’Università di Palermo, Giuseppe Silvestri
Saluto del Presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro
Saluto del Presidente della Fondazione Banco di Sicilia, Salvatore Butera

Relazioni

Paolo Savona, Presidente Fondazione Ugo La Malfa
Nord e Sud nell’Europa dell’euro

Carlo Dominici, Università di Palermo
L’esperienza dei programmi di sviluppo della Sicilia

Antonio D’Amato, Presidente della Confindustria
Il sistema industriale: condizioni per lo sviluppo
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Coffee break
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Interventi

Francesco Rosario Averna, Vice Presidente per il Mezzogiorno, Confindustria

Giancarlo Cerutti, Vice Presidente per l’internazionalizzazione, Confindustria

Riccardo Gallo, Presidente Istituto Promozione Industriale

Marina Noè, Assessore all’Industria, Regione Sicilia

Beniamino Quintieri, Presidente Istituto per il Commercio con l’Estero
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Conclusioni
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Giorgio La Malfa, Presidente della Commissione Finanze, Camera dei Deputati

Giulio Tremonti, Ministro dell’Economia e delle Finanze

Moderatore, Guido Gentili, Direttore “Sole 24 Ore”
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La Sicilia di Ugo La Malfa.
Società, cultura e politica a Palermo all’inizio del ‘900
Convegno storico

Venerdì 16 maggio 2003, ore 9.30
Sala Magna, Palazzo Steri
Rettorato dell’Università di Palermo

Saluto del Presidente dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, prof. Francesco Paolo Casavola
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Relazioni
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Prof. Piero Craveri, Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa”, Napoli
La battaglia democratica di Ugo La Malfa

Prof. Paolo Soddu, Università del Piemonte Orientale
La formazione di Ugo La Malfa

Prof. Antonio Jannazzo, Università di Palermo
Vittorio Emanuele Orlando e l’eredità di Crispi: liberali e democratici a Palermo

Prof. Salvatore La Francesca, Università di Palermo
L’economia a Palermo

Prof. Liliana Sammarco, Università di Palermo
“Borghesia”, finanza e impresa nella Palermo dell’Art Nouveau

Prof. Salvo Zarcone, Università di Palermo
Immagini letterarie di Palermo agli inizi del Novecento
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Celebrazione ufficiale

Venerdì, 16 maggio 2003, ore 18.00
Sala del Duca di Montalto, Palazzo dei Normanni

Presiedono il prof. Francesco Paolo Casavola e il prof. Paolo Savona

Saluto del Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, on. Guido Lo Porto
Saluto del Presidente della Regione Sicilia, on. Salvatore Cuffaro
Saluto del Sindaco di Palermo, on. Diego Cammarata
Saluto del Rettore dell’Università, Prof. Giuseppe Silvestri
Saluto del Segretario Nazionale PRI, on. Francesco Nucara
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Discorso del Presidente del Senato
sen. prof. Marcello Pera

“L’eredità di Ugo La Malfa”

ore 21.30
Teatro ‘al Massimo’
Rappresentazione teatrale

Ugo La Malfa
Il sogno della Repubblica
Atto unico in dieci quadri

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nuvolarossa
16-04-03, 22:23
http://www.ansa.it/mainimages/logoansa.gif
Centenario nascita Ugo La Malfa: celebrazioni a Palermo

Previsti per 15 e 16 maggio due giorni di convegni e dibattiti

Palermo si prepara a celebrare il centenario della nascita di Ugo La Malfa, che nacque nel capoluogo siciliano il 16 maggio del 1903. Le celebrazioni saranno articolate in due giornate di convegni e dibattiti, il 15 e 16 maggio. Un discorso ufficiale su ''L' eredita' di Ugo La Malfa'' sara' tenuto dal Presidente del Senato Marcello Pera, venerdi' 16 maggio alle ore 17 nella sede dell' Ars a Palazzo dei Normanni. La prima giornale delle celebrazioni sara', invece, dedicato ad un convegno sul tema: 'La Sicilia nell' Europa dell' euro: una piattaforma strategica'. Il dibattito sara' aperto dalla relazione del professor Paolo Savona, cui seguiranno gli interventi del professor Carlo Dominici e del presidente di Confindustria Antonio D' Amato, e si concludera' con un discorso del Ministro dell' Economia Giulio Tremonti. Il 16 mattina, si terra' un convegno storico su ''La Sicilia di Ugo La Malfa. Societa', cultura e politica nella Palermo degli inizi del '900''. In serata, al Teatro ''al Massimo'' andra' in scena la rappresentazione teatrale ''Ugo La Malfa. Il sogno della Repubblica''. Le manifestazioni di Palermo sono organizzate dal Comitato per il Centenario della nascita di Ugo La Malfa, promosso dalla Fondazione Ugo La Malfa e dall' Istituto dell' Enciclopedia Italiana, per diffondere la conoscenza e il significato dell' opera dello statista repubblicano. Il Comitato ha il compito di curare la pubblicazione degli scritti di Ugo La Malfa, di organizzare convegni, bandire borse di studio per i giovani. Il Centenario della nascita di Ugo La Malfa non e' soltanto un' occasione per ricordare uno dei protagonisti della lotta politica contro il fascismo e della ricostruzione democratica dell' Italia; e' anche la riproposizione di una passione civile, di un pensiero e di un impegno politico nutriti di ideali che mantengono la loro piena validita' nell' Italia di oggi. Negli stessi giorni delle celebrazioni del Centenario, gli 'Annali' della Fondazione La Malfa pubblicheranno un consistente numero di appunti 'riservati', finora inediti, lasciati da Ugo La Malfa fra le sue carte.

nuvolarossa
17-04-03, 16:09
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI217.gif

nuvolarossa
01-05-03, 11:12
http://www.lastampa.it/common/_imgNG/nordovest.gif
LA MALFA Poetica del bigliettino


«CARO La Malfa - scrive Giorgio Napolitano dopo che Aldo Moro, nel marzo 1977, ha pronunciato il suo celebre discorso sulla Lockheed - è questo l'uomo di cui mi parlavi sere fa? Ahimè...». Scrive La Malfa a Moro, due mesi dopo: «Mi risulta che nell'ambito del Tuo partito si preparano progetti sulla partecipazione operaia e sul controllo degli investimenti. Dopo l'esperienza che abbiamo fatta in questi anni (...), avanzare progetti senza pensarci su mille volte, può significare dare il colpo definitivo al sistema economico». Risponde Moro, rassicurante: «Ho parlato con l'Anselmi la quale, mi assicura che, per ogni decisione in materia d'investimenti, attenderà una, già prevista, risoluzione comunitaria, alla quale intende attenersi». Sfoghi, consigli, giudizi, perfidie. La Malfa scriveva, riceveva, conservava in busta chiusa. Al segretario del psi Francesco De Martino, nel gennaio 1976 invia in anticipo una nota della Voce repubblicana molto critica nei confronti del Psi e in particolare di Giacomo Mancini. «I nostri due partiti sono in contrasto - si legge nella nota al vecchio compagno del Partito d'Azione - Ma (...) ho grande rispetto, oltre che affetto per Te, e nessun contrasto diminuirà questo sentimento». [TITF]La sfuriata a Evangelisti

E' il febbraio del 1978 quando Franco Evangelisti, l'indimenticabile braccio destro di Andreotti, si rivolge a La Malfa che gli ha presumibilmente impartito una delle sue leggendarie sfuriate: «Sono certo di quanto ho scritto e spero che tu rabbonito - da galantuomo - me ne possa dare atto. Credimi non ho meritato il tuo trattamento e sono veramente dispiaciuto». Nel marzo del 1979, ormai agli sgoccioli della solidarietà nazionale, con una lunga lettera Bruno Visentini spiega le ragioni per cui si rifiuta di entrare in un governo che La Malfa, tra mille difficoltà, in quei giorni, si sta sforzando di far nascere. Le sue poche righe di risposta sono più che taglienti: «Caro Visentini, ho ricevuto la tua lettera e ne sono rimasto sbalordito, pur essendo abituato a tutto o quasi tutto. Penso che tu abbia perduto una grande occasione per servire, come si può e nei limiti in cui si può, il Paese ed il Partito». Nove giorni dopo, il 24 marzo, La Malfa è colpito da emorragia cerebrale e il 26 muore. Colpisce, di quel biglietto a Visentini - di cui in un altro, successivo appunto si legge che «confermò il suo rifiuto piangendo (così disse Biasini a me) per i rapporti che ormai si sarebbero creati fra me e lui» -, ecco, colpisce anche il fatto che La Malfa abbia scritto «Partito» con la maiuscola. Perché al dunque hanno senz'altro un che di nobile, nel fluire della storia, questi fulminei scambi che a tratti possono sembrare quasi i «capricci» della Prima Repubblica. Alla fine, sfogliando il XVII e ultimo volume degli Annali della Fondazione Ugo Malfa in uscita per il centenario della nascita , viene da chiedersi: ma non si telefonavano? Perché avevano bisogno, i protagonisti di quella stagione, di lasciare tracce? Ma non ha spiegazioni, in fondo, la poetica del bigliettino. E' così e basta. Nel tempo odierno delle apparenze e degli esibizionismi, le 67 buste riservate e ora messe utilmente a disposizione di storici, studiosi, giornalisti e appassionati danno conto meglio di tanti altri materiali dell'ordito di complicatissimi rapporti che esisteva allora. E di tutta una politica che si svolgeva con sorprendente immediatezza dietro le quinte. Tra i documenti pubblicati negli anni del centrosinistra e dell'unità nazionale ci sono anche appunti, verbali, memorandum, resoconti di incontri o telefonate e anche testi anonimi di incerta provenienza che comunque La Malfa metteva da parte in un contenitore conservato a casa. C'è una nota, per dire, in cui si dà conto di incontri tra Craxi e i socialdemocratici tedeschi per stabilire finanziamenti al Psi; e perfino un appunto trovato in una base delle Br, con una monografia dell' Istituto Affari Internazionali e un elenco di «persone che potrebbero costituire oggetto di attacco da parte delle Br» (tra queste Giorgio La Malfa, definito «figlio di suo padre»). Nell'introduzione al volume degli Annali, scrive Paolo Soddu, storico e futuro biografo di La Malfa, che il contenuto delle buste «non può non deludere i cacciatori di scoop e di pettegolezzi e coloro che prediligono osservare dal buco della serratura». Ed è vero: le rivelazioni sono poche e sostanzialmente confermano ciò che più o meno si sapeva. Come si deduce da un appunto dopo un colloquio con Umberto Agnelli, allora senatore della Dc, La Malfa riteneva del tutto inadeguato Andreotti a gestire l'accordo con il Pci. Riteneva più adatto Moro. Questi, in un colloquio un anno prima del rapimento, gli manifestò i suoi dubbi su chi potesse stare «dietro ai movimenti degli studenti. L'Urss - è Moro che parla - potrebbe avere interesse a creare difficoltà al Pci e allontanare la possibilità di intese con la Dc». Ma anche per questo Moro «considera un errore un pregiudizialistico rifiuto opposto ai comunisti». Eppure in seguito è La Malfa, pur ritenendo centrale la questione comunista, a chiudere la partita con il Pci. Per l'adesione allo Sme la Dc tentenna e lui chiaramente la strattona. Al governatore della Banca d'Italia Baffi, che è ostile a quel passo, dice che il problema è «prevalentemente politico e non tecnico». Anche questo si sapeva, ma non in termini così netti. Il valore di questa carte sta in effetti nei frammenti, nel reticolo in cui faticosamente maturano le scelte, nella descrizione dell'atmosfera, spesso confidenziale, in cui si svolgono gli avvenimenti. [TITF]Berlinguer era moscio

Nel codice, insomma, che regolava quella politica lì. Esempio:«Stasera, 4 settembre 1975, ore 19, ho avuto un incontro al gruppo repubblicano con Berlinguer presente Tatò (...) L'ho trovato piuttosto moscio». Tutt'altro che moscio il segretario comunista appare tre anni dopo a un ricevimento offerto in onore del ministro degli Esteri dell'Urss, Gromiko. E' Andreotti a raccontare a La Malfa che Berlinguer, pure presente, non venne chiamato o fu fatto aspettare fuori del salottino in cui il dignitario sovietico riceveva gli ospiti di riguardo. E tanto si seccò che a un certo punto «aprì la porta e piuttosto alterato in viso annunciò al compagno Gromiko che egli aveva fretta e si congedava». Non mancano ovviamente gli inside, alcuni maliziosi, altri a loro modo preveggenti. Nell'aprile del 1976, ad esempio, si dà già parecchio da fare il giovane direttore del Tempo, Gianni Letta, nel ruolo di ambasciatore di Fanfani presso l'edera. Risaltano implicite notazioni di stile. Signorile prega di tenere segreto il colloquio «che poi è stato annunciato da Repubblica, non certo per indiscrezione mia». Malagodi è convinto che l'artefice occulto dell'elezione di Pertini al Quirinale sia Andreotti. Il segretario del psdi Pietro Longo non si spiega «l'odio di Saragat verso di me» e rivela che nel 1979 l'ex Capo dello Stato e fondatore della socialdemocrazia italiana era convinto di ricevere l'incarico, «si era montato la testa, aveva riunito i familiari e si credeva già presidente». In realtà si capisce che è proprio La Malfa ad affondare l'ipotesi Saragat, probabilmente via Maccanico e di sicuro attraverso Zaccagnini, cui «avevo indicato di resistere, perché Saragat avrebbe fatto pazzie». [TITF]Socialisti subalterni

Molti i nemici. Tra questi, due personaggi allora in vista, poi caduti in disgrazia e oggi non solo in via di riabilitazione morale, ma di rivalutazione storica. Uno è Giovanni Leone. La Malfa è risoluto: deve andarsene il prima possibile dal Quirinale. Ma non trama: affronta la questione a viso aperto e nell'aprile del 1976 organizza una missione segreta del banchiere repubblicano Tom Carini presso il Segretario generale della Presidenza, Picella. Tra le carte c'è anche il rapporto di Carini: l'esito è negativo. Ma il leader repubblicano, invita Carini a riferire ancora una volta a Picella, che «pur considerando chiusa la vicenda ritiene un errore grave e gravido di conseguenze non aver accettato il suo suggerimento». L'altro nemico è chiaramente Bettino Craxi. Al Psi La Malfa assegna fin dalla metà degli anni settanta un compito puramente subalterno. Con qualche brutalità scrive a De Martino che «l'unica soluzione possibile è quella della fusione con il Pci». Immaginarsi le reazioni del nuovo - ed energico - segretario eletto al Midas. Sin dall'inizio, il Psi craxiano appare agli occhi di La Malfa «un partito di disturbo». Eppure, a distanza di anni, egli non era un filo-comunista con velleità anti-occidentali, anzi. E tanto meno era un docile servitore dei cattolici. La Malfa era La Malfa. Una figura che saldava un certo Risorgimento a una certa avveduta e forse sapiente modernità. Ma complessa, dopo tutto, era la Prima Repubblica. Tanto più complessa e sfuggente, si direbbe, quanto più la si cerchi di ingabbiare negli schemi luccicanti e semplificati del presente.

Filippo Ceccarelli

nuvolarossa
01-05-03, 11:20
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Show in teatro
Il giovane Ugo visto da Oriana
L’IRA fredda, la passione, il gusto per la catastrofe evocata, il disprezzo tutto siciliano per l'avversario: «Miserabbele!» diceva, la testa leggermente piegata sulla spalla. Ugo La Malfa e lo spettacolo della politica ante litteram. Pochi altri protagonisti, nella vicenda contemporanea, hanno avuto la presenza scenica, l'energia teatrale e il successo di pubblico, in fondo, del leader repubblicano. E infatti Alighiero Noschese lo imitava con gioia; Giorgio Forattini lo disegnava come una tartaruga; e perfino il celebre duo radiofonico Arbore & Boncompagni infarcivano una trasmissione di enorme ascolto come Alto gradimento con un inconfondibile tormentone lamalfiano: «Finiremo tutti a pascolare!». Tra le varie iniziative del centenario promosso dalla Fondazione Ugo La Malfa e dall'Istituto della Enciclopedia Italiana (a Palermo il 15 e 16 maggio), tra convegni storici ed economici è prevista anche un rappresentazione teatrale sulla figura di La Malfa negli anni che dalla giovinezza, attraverso l'antifascismo, lo portano al compimento del «sogno della Repubblica». L’idea è di avvicinare il pubblico dei giovani al personaggio e a quella fase della storia italiana. Sei sono gli attori che reciteranno testi di La Malfa: brani di discorsi, lettere, interviste. Scenografia semplice, con pedane mobili che evocano un’aula parlamentare. Musiche di Bartok, Sciostakovic, canzoni partigiane. Si affacciano nel copione personaggi come Giovanni Amendola (che «scoprì» il giovane La Malfa), Enrico Cuccia (è ricordata la missione segreta del banchiere a Lisbona, nel 1942, per far conoscere agli alleati un documento clandestino del Pd’A), Allen Dulles, Fenoaltea, Volterra (con cui il futuro leader repubblicano va avventurosamente a recuperare nella campagna romana una ricetrasmittente, paracadutata dagli alleati, che si scopre poi essere un pacco di dinamite). Dieci i quadri scenici che il regista milanese Paolo Castagna ha allestito secondo un modulo epico-tragico d’intonazione brechtiana. Un coro scandisce i principali eventi, alternandosi con proiezioni e voci registrate. L’inizio, affidato a un ricordo di Oriana Fallaci, è particolarmente suggestivo: «Lui parlava con quella voce ironica, fredda, un po’ gutturale, da siciliano che non si è mai liberato delle “b” raddoppiate, e la mia memoria rotolava al giorno in cui lo avevo conosciuto. A un’assemblea del Partito d’Azione, un giorno, giunse quest’uomo magro e sprezzante e afflitto da un paio di occhialiche sembravano nati con lui. Attraversò nervosa,mmente la sala, sedette al tavolo del direttivo, e lì rimase a fissarci con pupille remote che ruotavano dietro le lenti, una smorfia amara che gli piegava le lbbra, scontente all’ingiù. Faceva pensare, ecco, a una locusta: sai, quegli insetti verdi, eleganti, che saltano in scatti improvvisi e poi si bloccano di colpo a incuterti una misteriosa paura. O tristezza? D’un tratto chiese la parola. Avvicinò il microfono al volto triangolare, asimmetrico, e, invece di dire “compagni”, mitragliò una risatina, dolorosa. Sinistra. “Eh, eh! Eh, eh, eh!”. Mi turbò. Domandai: “Chi è?”». Il tutto in scena la sera del 16 nel cortile, bellissimo, di Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea Regionale Siciliana.

f. cec.

kid
05-05-03, 09:44
mi ha colpito ma non troppo che La Malfa scrivesse partito con la P maiuscola rivolgendosi al pri e a Visentini.
Il biglietto a Visentini sembra anche l'epitaffio per il professore e per coloro che hanno lasciato il partito, o peggio, hanno cercato di venderlo.

Österreicher
05-05-03, 15:05
CENT’ANNI FA NASCEVA UGO LA MALFA, PADRE DELL’ "ALTERNATIVA LAICA"
Mandato da Il Legno Storto Lunedì, 05 May 2003, 13:36 uur.
L’idea-guida dello statista siciliano fu costruire una forza liberal-democratica

Giancristiano Desiderio - Libero 5 maggio 2003

Giovanni Spadolini ricordando Ugo La Malfa a cinque anni dalla morte scrisse che la democrazia italiana “conserva un grande debito con lo statista repubblicano”.
Il giudizio del primo presidente del Consiglio laico della Repubblica è più vero oggi di quanto non lo fosse ieri. Quale fu l'idea-guida di Ugo La Malfa? Costruire una forza liberal-democratica per esprimere un'idea laica dell'Italia. Questa ispirazione amendoliana lo portò ad essere antifascista sotto il fascismo e anticomunista nel dopoguerra.
L'eredità di Ugo La Malfa a cento anni dalla nascita (le celebrazioni ci saranno il 15 e 16 maggio a Palermo dove nacque il 16 maggio del 1903) è ben indicata dal titolo di un suo articolo apparso su "II Mondo" di Mario Pannunzio nel 1954: l'alternativa laica. Il presidente del Senato, Marcello Pera, che terrà il 16 maggio a Palazzo dei Normanni il discorso ufficiale su "L'eredità di Ugo La Malfa", avrà modo di delineare la figura del leader repubblicano che riuscì ad esercitare un'influenza determinante in momenti fondamentali della storia nazionale: dal centrismo degasperiano al centrosinistra agli anni dell'emergenza. Eppure, si farebbe un torto all'intelligenza politica di La Malfa e alla sua eredità se, inseguendo la sua biografia politica, si lasciasse in ombra la sua lezione.
Fu Giovanni Amendola ad iniziare La Malfa alla politica. “La prima volta che lo vidi”, ha raccontato La Malfa, “mi fece un'enorme impressione. Era un uomo di statura alta, dal viso severissimo, sembrava un pastore protestante”..
Amendola, capo dell'opposizione aventiniana a Mussolini, aveva già fondato "II Mondo” e l'Unione Democratica Nazionale. Il leader antifascista morì nel 1926, ma la sua influenza su La Malfa fu determinante.
Nel passaggio dal Fascismo alla Repubblica, prima con il partito d'Azione, poi con Democrazia quindi con il partito repubblicano, cercherà di mettere insieme una forza laica non comunista e non condizionata dalla ideologia marxista, una forza da collocare alla sinistra della Dc ma non troppo lontano dalla stessa Dc.
Era la lezione di Amendola. La Malfa cercò di portare dalla sua parte Pietro Nenni. Ci riuscì nel 1944, quando il Pd'A tolse la fiducia al governo Bonomi. Ma quando cominciò a soffiare il "vento del nord" Nenni non ebbe la forza di resistere al richiamo della rivoluzione.
Ben diverso è stato l'atteggiamento di La Malfa nei confronti del "vento rivoluzionario"e della de-magogia anticapitalista e anti-atlantica. La sua visione non ideologizzata del capitalismo moderno la maturò senz'altro sotto la guida di Gino Luzzatto alla Ca' Foscari, ma anche e soprattutto con l'esperienza vissuta alla "Commerciale" di Milano con Raffaele Mattioli).
Nella vita di La Malfa c'è un episodio che ha un rilievo quasi simbolico: il contrasto politico che lo divise da Giorgio Amendola. Il figlio maggiore di Giovanni lasciò la parte liberale e democratica per passare a quella comunista. Per La Malfa fu un trauma che lo spinse a tradurre la questione comunista in termini politici: come salvare la società liberale senza mortificarla in un'austerità forzata che ne avrebbe spento l'intima vitalità spingendola fra le braccia dell'illusione comunista.
Il progetto dell'alternativa laica di La Malfa diventa cosi un modello politico che s'ispira alle esperienze del new deal rooseveltiano e al laburismo inglese.
La Malfa aveva individuato i due nodi centrali della società italiana prima del miracolo economico: disoccupazione e contrasto di vita fra l'Italia delle aree depresse e l'Italia delle aree sviluppate. In quel suo articolo del 1954 su "II Mondo" La Malfa marcava la differenza tra il paleoliberalismo di una borghesia italiana anarchica e irresponsabile incapace di autodisciplina e il neoliberalismo di quelle società dove “il trapasso da vecchie concezioni economiche e sociali, da luoghi comuni tradizionali a nuove concezioni” era stato segnato dalla “politica del risparmio forzato e dell’austerità, accettata dalla collettività tutta ai fini della soluzione del problema del pieno impiego e della sicurezza sociale”.
Il leader repubblicano chiamava la classe dirigente italiana a lavorare per battere “il comunismo sul terreno di esperienze che il comunismo non conosce”.
Il suo sforzo per la creazione di “una grande formazione di sinistra laica” aveva la sua ragion d'essere nell'esistenza del pericolo comunista.
Oggi viviamo altri tempi.
Eppure, è evidente l'attualità della lezione di La Malfa proprio nella constatazione che anche dopo la fine del comunismo non c'è in Italia “una grande formazione di sinistra laica” che mandi per sempre in soffitta la senilità ideologica marxista.

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Ogni commento degli amici repubblicani è gradito sul Legno Storto :) : http://www.legnostorto.com/node.php?id=4022

nuvolarossa
05-05-03, 18:00
http://www.romacivica.net/anpiroma/antifascismo/lamalfa_ugo.jpg
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kid
08-05-03, 13:26
oma, 8 mag. - (Adnkronos) - A cento anni dalla nascita di Ugo
La Malfa la presidenza del Consiglio dei ministri ha promosso la
pubblicazione dei suoi scritti dal '53 al '58. Il volume raccoglie
articoli, saggi, discorsi, informa una nota di palazzo Chigi, ''dove
si ritrovano i motivi fondamentali del pensiero e dell'azione
politica'' dello statista, ''sempre tesi all'inserimento dell'Italia
nel filone dello sviluppo delle moderne democrazie europee e
occidentali''.

''Erano quelli gli anni cruciali del dopoguerra -si legge
ancora nel comunicato- in cui la politica centrista si apriva verso
sinistra, sulla scena internazionale si delineava l'inizio della
crisi del blocco sovietico, a Roma si firmavano i trattati del
Mercato comune europeo''. La Malfa ''sceglieva i suoi interlocutori
tra tutti i partiti dell'arco costituzionale e insisteva sui temi
della politica europea, della laicita' dello Stato, della mediazione
degli interessi sociali del riequilibrio tra Nord e Sud.

Il volume, edito dal Poligrafico dello Stato, ''ripercorre
l'attivita' di La Malfa con una notevole quantita' di documenti che
in quegli anni scriveva per numerose testate, tra cui 'La Voce
Repubblicana', organo del suo partito, 'Il Mondo' di Mario Pannunzio,
'Il Mercurio', 'Il Punto, 'Nord e Sud'. E' gia' allora La Malfa
delineava, ''con straordinaria lungimiranza, gli scenari dei
cambiamenti della politica nazionale ed internazionale''. Il libro, a
cura di Giancarlo Tartaglia e con l'introduzione di Piero Craveri,
segue quello pubblicato nel 1998 e che riguarda il periodo tra il
1925-1953.

nuvolarossa
09-05-03, 21:03
INFORMAZIONI LOGISTICHE

Si consiglia di procedere tempestivamente per eventuali prenotazioni alberghiere in quanto a Palermo non c'è disponibilità. Per tali esigenze ci si può rivolgere all'agenzia Eurocongressi al numero 091/302655.

******

E' stata stipulata una convenzione con l'Holiday Inn di Palermo:
1) Camera doppia uso singola Euro 90,00
2) Camera doppia/matrimoniale Euro 115,00

Trattamento di pernottamento e prima colazione

Comunicare con il Sig. Matteo Sferrino, assistente di Direzione, al n° 091/6983111

GLI INTERESSATI AL MOMENTO DELLA PRENOTAZIONE DOVRANNO FARE RIFERIMENTO ALLA CONVENZIONE CON IL PRI.
tratto dal sito web del
http://www.pri.it/immagini/titsx.gif (http://www.pri.it)

nuvolarossa
10-05-03, 11:34
2 giorni di convegni Il 16 maggio ricorre il centenario di La Malfa

Il 16 maggio ricorre il centenario della nascita di Ugo La Malfa, avvenuta a Palermo. La sua città natale prevede due giornate di convegni e dibattiti, il 15 e 16 maggio, che a conclusione vedranno l'intervento del presidente del Senato, Marcello Pera, alle 17 a Palazzo dei Normanni. Il programma completo delle giornate di Palermo prevede per il 15 un convegno su «La Sicilia nell'Europa dell'euro: una piattaforma strategica», cui parteciperanno, tra gli altri, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti e il presidente di Confindustria, Antonio D'Amato. A conclusione della due giorni, nella serata del 16, verrà presentato, in forma di oratorio laico, «Ugo La Malfa, il sogno della Repubblica», lettere, testimonianze, scritti per la regia di Paolo Castagna. Le manifestazioni di Palermo sono organizzate dal Comitato per il Centenario della nascita di Ugo La Malfa, promosso dalla Fondazione Ugo La Malfa e dall'Istituto dell'Enciclopedia italiana per diffondere la conoscenza e il significato dell'opera dello statista repubblicano. Negli stessi giorni delle celebrazioni del Centenario, gli «Annali» della Fondazione La Malfa pubblicheranno un consistente numero

nuvolarossa
11-05-03, 11:11
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INEDITI Nell’anniversario della nascita affiorano in lettere e appunti riservati i complessi rapporti con Gronchi e Moro, Fanfani e Nenni

La Malfa, cent’anni di inquietudine

di STEFANO FOLLI

Ha scritto Arthur Schlesinger, il noto storico americano che fu il braccio destro di John Kennedy: «Se la coalizione di centrosinistra fosse riuscita (in Italia, ndr) , l’alleanza tra i cattolici progressisti e i socialisti democratici avrebbe potuto offrire un modello ad altre nazioni, alla Germania dopo Adenauer, alla Francia dopo De Gaulle e perfino alla Spagna dopo Franco. Il consolidamento del centrosinistra sarebbe stata anche la miglior garanzia al tentativo comunista di ridar vita ai fronti popolari». Queste erano le speranze con cui si guardava a Roma, nella Washington kennediana del ’61-62. Il biennio fu decisivo per gettare le basi del primo governo «organico», come si diceva allora, di centrosinistra. Sarebbe nato solo nel novembre del ’63, guidato da Aldo Moro. Prima di quella data l’incontro tra la Dc di Fanfani e Moro e i socialisti di Nenni e Lombardi fu lento, contraddittorio, contrastato. La svolta era nelle cose, almeno dal governo Fanfani del marzo ’62 (Dc, Psdi, Pri e l’appoggio esterno del Psi): ma il modo di arrivarci non era affatto scontato.
Il ruolo cruciale svolto in quegli anni da Ugo La Malfa emerge oggi con ricchezza di dettagli dalla pubblicazione (negli Annali della Fondazione che porta il nome dello statista repubblicano) degli appunti inediti e delle lettere che si riferiscono a quel cruciale periodo della vita italiana. La Malfa scriveva tutto, i colloqui e i pensieri, nel suo stile nervoso e frammentario, senza pretese stilistiche. Grazie al lavoro del curatore Paolo Soddu, se ne ricava un quadro vivace e talvolta imprevisto.
Ci sono tutti, protagonisti e comprimari della svolta. A partire dalla caduta del governo Tambroni. Simpatie e antipatie sono sempre scandite e chi ha conosciuto La Malfa non se ne sorprende. Tra le antipatie, Giovanni Gronchi, allora presidente della Repubblica e quasi nemico personale. Dopo un colloquio del novembre ’60, si legge: «Argomenti futili su cui si fonda il suo perenne velleitarismo. Ha detto che lui non tiene alla rielezione (per chi ci crede), che Segni sarebbe il candidato, ecc. ecc. Colloquio inconclusivo in cui gli ho tolto ogni speranza».
Ben altro tono dopo un colloquio con Fanfani, interlocutore privilegiato di quegli anni: «Gli ho detto che noi dobbiamo fortemente premere da sinistra. E che egli deve stare attento a quello che fa la sua destra». Ma è «interessantissimo», annota La Malfa, il rapporto con Moro. Il quale «teme l’azione della destra e di Tambroni. Teme che la Chiesa, che si sta adattando alla situazione gradualmente, possa reagire, teme una scissione a destra e l’iniziativa di Gronchi. Gli ho detto che i pericoli e i rischi vi sono da tutte le parti. Ma il rischio di rompere con i socialisti è molto più serio del rischio di rottura a destra. (...) D’altra parte, o si affronta la destra o si è risucchiati prima o poi dalla destra (...). Ho ricordato anche a Moro l’atteggiamento di Enrico Mattei» (dicembre ’60).
L’apertura a sinistra è un momento nobile della politica, di forte idealità, e si coglie l’entusiasmo di La Malfa, la sua volontà di fare presto prima che la situazione si logori. Ma il progetto deve misurarsi con le ambizioni degli uomini. Annota nel luglio del ’61: «Ho riferito a Nenni che, secondo una dichiarazione di Bernabei, nel colloquio di Gronchi con Saragat, avvenuto di recente, Gronchi avrebbe spinto Saragat a fare la crisi in ottobre, per togliere l’iniziativa a me, promettendogli l’appoggio per la candidatura alla presidenza della Repubblica».
Nella lunga partita a scacchi entra la politica estera. L’11 dicembre ’61 La Malfa scrive a Fanfani, presidente del Consiglio, e gli dà un consiglio: «La conclusione, che appare negativa, dei colloqui De Gaulle-Adenauer ai fini del negoziato con la Russia, forse varrebbe una nuova cauta riaffermazione della vicinanza della posizione italiana a quella degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, non a quella di De Gaulle». Il gollismo gli appare del tutto negativo, la smentita all’«organizzazione sovranazionale» a cui «gli europeisti seri hanno finora aspirato». D’altra parte, sottolinea, «dovendo accettare l’Europa delle patrie, è meglio avere un’Europa delle patrie con l’Inghilterra, la cui politica internazionale è più seria e avveduta, che senza l’Inghilterra».
Nel febbraio ’62, in pieno semestre bianco, le manovre e i diversivi che facevano leva sulla minaccia di elezioni anticipate (soprattutto a opera di Gronchi), sono superati. Tra un mese nascerà il nuovo governo Fanfani. Il centrosinistra sembra a portata di mano, ma gli ostacoli sono ancora numerosi. «Mi ha cercato Nenni per dirmi che la sua impressione era buona e che De Martino gli aveva consigliato di vedere Saragat per il programma. (...) Ho fatto presente che si poteva impegnare Saragat per il programma, ma bisognava dargli come contropartita delle assicurazioni sulla presidenza (della Repubblica, ndr) . Sul programma Nenni chiedeva un impegno per le nazionalizzazioni e per le regioni». La Malfa è d’accordo e si spende da par suo per aiutare i socialisti a fare l’ultimo salto.
Ma presto comincerà l’era delle disillusioni. Già nel maggio del ’63, quindi prima del centrosinistra organico, La Malfa annota: «Colloqui con Nenni e Lombardi. Ho detto chiaramente che la situazione economica e monetaria vuole provvedimenti immediati. Ho chiesto se erano disposti a fare i sacrifici necessari per tale situazione». Nel giugno, colloquio con Fernando Santi e altro allarme: «Ho spiegato che il Psi si trovava di fronte a una drammatica alternativa... Stessero comunque attenti alla politica di programmazione economica». Affiorano i toni accorati e profetici, tipicamente lamalfiani. A Francesco Compagna dice: «Con De Gasperi il centrismo si è logorato in 7-8 anni; con Fanfani e Moro il centrosinistra si sarebbe logorato in meno di due anni». Una previsione fin troppo lucida: La Malfa vede in anticipo i guasti del «non governo». Anni dopo ne parlerà in un famoso libro-intervista scritto con Alberto Ronchey.

nuvolarossa
11-05-03, 11:17
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Il centenario della nascita di Ugo La Malfa è al centro del programma di celebrazioni a Palermo, giovedì e venerdì prossimi, organizzato dalla Fondazione omonima Le celebrazioni culmineranno il 16 pomeriggio con il discorso ufficiale tenuto dal presidente del Senato, Marcello Pera, dedicato all’eredità del leader repubblicano. Sono previsti seminari e tavole rotonde, con il concorso dell’università di Palermo, sui vari temi dell’azione lamalfiana In conclusione, uno spettacolo teatrale in cui verranno letti scritti e testimonianze

nuvolarossa
11-05-03, 11:24
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DAI TACCUINI PRIVATI

Quello scontro con il Psi sulla nazionalizzazione dell’elettricità

Pubblichiamo alcuni appunti inediti scritti da Ugo La Malfa nel periodo tra l’11 e il 16 febbraio 1962

«Mercoledì 14 si è iniziata la discussione sul problema dell’energia elettrica (l’ipotesi di nazionalizzazione, ndr). Tremelloni ha cominciato a esporre le linee generali... Io ho sostenuto che bisognava distinguere il fatto del trasferimento di proprietà, dai problemi relativi all’organizzazione dell’azienda. (...) Era il punto importante con riguardo ai socialisti. Ed era anche punto importante la nazionalizzazione, perché dopo tante discussioni era un atto di autorità del potere politico rispetto al potere economico. Dopo questo atto, nella pianificazione il potere politico avrebbe potuto contare sulla collaborazione delle classi economiche.
(...) E’ intervenuto Fanfani per dire che egli non poteva dichiarare la nazionalizzazione e anticipare i criteri di espropriazione all’atto della dichiarazione del governo. Questo gli sembrava un rischio parlamentare troppo forte. Della stessa idea si manifestavano Moro, Gava, Gui. (...) Si è sospeso per riprendere alle 5... Fanfani portò una formula, che mi disse era stata concordata con Menichella, al quale non avevo potuto telefonare in tempo. La formula chiedeva tre mesi di tempo per studiare il problema, senza pregiudizio per un’eventuale soluzione di nazionalizzazione. Ho detto a Fanfani di vedere se i socialisti l’avrebbero accettata.
(...) Venerdì 16 è stata la giornata cruciale. (...) Alle 18 alla Camilluccia, Fanfani non si presentava. Si presentava circa un’ora più tardi piuttosto scuro in volto. Si era incontrato con Lombardi e aveva potuto misurare le difficoltà. Prendendomi da parte, mi aveva detto che io avevo messo su i socialisti, ciò che mi ha urtato abbastanza. (...) Prima della conclusione, ho sollevato il problema delle tre obiezioni sollevate dai socialisti. Mi sono scusato dell’insistenza, ma ritenevo che senza un accordo preventivo saremmo andati all’insuccesso. (...) Sono rimasto preoccupatissimo e circa alla mezzanotte, quando gli altri, finito il pranzo, si sono messi a discutere di portafogli, ho detto che andavo a parlare con Pietro Nenni e ho abbandonato la riunione.
(...) Mentre la stampa si accingeva ad annunciare l’accordo, tutto mi pareva in alto mare. Dopo l’ultimo passo presso Nenni, ho telefonato a Lombardi che ormai lo scontro era diretto e che nulla avrei potuto più fare, rilevando soltanto che ormai appariva un accordo di tre e la resistenza socialista. In mancanza di un accordo, i socialisti si sarebbero trovati isolati, salvo la mia testimonianza che nel momento in cui si annunciava l’accordo tre questioni importanti erano ancora in sospeso».

Österreicher
12-05-03, 23:50
Davide Giacalone su Il Legno Storto

Le celebrazioni per Ugo La Malfa

Ugo La Malfa è nato nel 1903, ricorrendo il centenario sono imminenti le celebrazioni, organizzate dalla fondazione che porta il suo nome. Già diversi quotidiani hanno anticipato il ricordo. Celebrazioni più che giuste, ed occasione per ricordare un uomo cui l’Italia deve molto. Moltissimo. Per chi lo ha conosciuto ed amato, però, vi è qualche cosa di scomodo nel pensare che possa essere celebrato.
Fu, totalmente e sempre, un uomo politico. Ogni suo pensiero, ogni sua azione vivevano nella battaglia politica. Ciascuna sua pagina merita di essere riletta (letta, nella maggioranza dei casi) e meditata, ma nessuna sua pagina si presta ad un uso esclusivo e detemporalizzato. Un esercizio del genere può essere tentato solo da chi non lo comprese e non lo comprende.
La semplificazione giornalistica lo dipinse come un pessimista, egli fu l’esatto contrario. Ugo La Malfa credeva nel dovere, delle forze e degli uomini politici, di compiere ogni sforzo per sanare le piaghe e superare le tare che la storia d’Italia ci lasciava (ed ancora ci lascia) in eredità. Fu sempre convinto che quel risultato poteva essere conseguito, che dipendeva dalla forza morale e dalle convinzioni politiche dei protagonisti, fu, quindi, un ottimista: mai rassegnato, mai pago, mai domo. Non per questo smarrì il senso della realtà, ed il severo giudizio che le forze politiche più forti meritavano.
Ci sono due cose che la sua memoria non merita. Non merita il tentativo di strattonarlo da una parte o dall’altra, di un mondo politico che non si potrebbe immaginare a lui più estraneo. Non merita di essere ridotto a tabernacolo, da venerare con acritica devozione. Irrise i repubblicani (lui, che veniva dall’esperienza amendoliana, dal Partito d’Azione, dalla Concentrazione con Ferruccio Parri) che accendevano lumini sotto l’effige di Mazzini o di Cattaneo.
Uomo di solidissima cultura, pensatore appassionato e sofferente per le sorti della Repubblica, escluse in maniera decisa che la ricerca culturale, in politica, potesse vivere compiacendosi di se stessa, della sua presunta altezza e purezza. La politica era l’opposto: la capacità di far vivere i principi e la cultura nella concretezza, e nella contraddittorietà, del quotidiano, del conflitto fra idee ed interessi diversi. Laico, fino in fondo, sapeva che il giusto ed il bene sono asintoti cui tendere, non verità da far adottare agli altri.
Strana, la sorte dei laici in un paese cattolico: mentre gli altri affermano l’esistenza di dogmi, salvo poi discostarsene nella vita e nelle scelte politiche (e personali), indulgentemente perdonandosi perché, si sa, il mondo è imperfetto, il laico sostiene le proprie convinzioni con forza e determinazione, talora in modo caparbio, proprio perché sa che dalla coerenza discende la ricerca di un mondo migliore. L’adattabilità, la malleabilità morale dei dogmatici fa sembrare arcigni e granitici i laici coerenti. Ugo La Malfa fu, in tal senso, un esempio sommo: una morale ferrea, scevra da ogni moralismo.
Ecco, a me pare che ricordarne questa o quella battaglia, questo o quell’aspetto della vita di statista, sia assai riduttivo. In quest’Italia devastata dal moralismo senza morale, in questa politica che non ha tradito, ma più direttamente dimenticato la cultura, la passione, la coerenza, la figura di Ugo La Malfa è ancora, e per me sempre, una guida imprescindibile. Ad un patto, però, che si abbia il suo coraggio del nuovo, della sfida, delle idee che vivono fuori e sopra gli schieramenti, tendendo ad imporsi, e non ad accodarsi.

Davide Giacalone giac@rmnet.it

nuvolarossa
13-05-03, 11:53
RICORDO NEL CENTENARIO DELLA NASCITA
Ugo La Malfa uno statista «scomodo»

Che senso ha ricordare oggi, a cent'anni dalla nascita, la figura di Ugo La Malfa?
Molti oggi paiono dimenticare che gran parte della storia della prima repubblica, specialmente nei suoi primi vent'anni, è stata contrassegnata dalla modernizzazione dell'Italia e dal suo ingresso nel novero dei paesi economicamente sviluppati. E di questa storia, Ugo La Malfa, anche se sorretto da un partito numericamente esiguo, insieme ai De Gasperi, ai Vanoni, ai Moro e a tanti altri, è stato un protagonista.

Nel dibattito parlamentare del 1949 per l'adesione al Patto atlantico, quando una parte della democrazia, e delle gerarchie cattoliche, era tentata da una qualche forma di salazarismo neutralista, l'apporto del Partito repubblicano di Carlo Sforza e Ugo La Malfa è stato decisivo. Così la legge per la liberalizzazione degli scambi, voluta da La Malfa, allora ministro per il commercio con l'estero nel penultimo dicastero De Gasperi, e attuata nonostante l'opposizione di gran parte del mondo imprenditoriale restio a misurarsi in un mercato aperto, ha segnato l'avvio di quello che poi è stato definito il miracolo economico. Negli anni settanta fu la pervicacia di La Malfa, consapevole che l'anomalia italiana poteva essere corretta solo con un forte aggancio alle economie del Nord Europa, a consentire all'Italia l'ingresso nel Sistema monetario europeo.

Purtroppo molte altre intuizioni dello statista repubblicano non trovarono ascolto immediato nel quadro politico contemporaneo. Al tempo dell'accordo Lama-Agnelli sul punto di contingenza unico, fu l'unico politico italiano ad attaccare senza mezze parole, con un fondo de La Voce Repubblicana, il presidente di Confindustria per le conseguenze negative, puntualmente poi dimostrate dai fatti, che quell'accordo avrebbe avuto. L'appellativo di Cassandra, che gli fu affibbiato, non era altro che l'omaggio della cattiva coscienza collettiva verso chi, con estremo rigore intellettuale, denunciava la china su cui scivolava il paese.

Nel 1964 La Malfa, ministro del bilancio, attraverso la Nota Aggiuntiva, un documento più citato che letto, enunciò le linee guida per una programmazione economica che doveva indirizzare le risorse del paese verso il superamento delle differenze sociali, economiche e culturali che attraversavano l'Italia. In primo luogo la realizzazione di grandi infrastrutture pubbliche, ferrovie, strade, ospedali, scuole ecc. Ma sia la sinistra sindacale, che non comprese come attraverso la politica dei redditi, da antagonista diventava forza di governo, sia la sinistra politica, da quella democristiana a quella socialista, che nella programmazione economica vedevano e accentuavano solo gli aspetti dirigistici, si opposero. Ed è stato necessario arrivare agli anni '90 perché, con il governo Ciampi, si potessero attuare almeno alcuni elementi della politica dei redditi. Oggi, la filosofia politica che ha ispirato la Nota Aggiuntiva, rimane, mutatis mutandis, ancora un riferimento per un moderno riformismo che voglia governare lo sviluppo economico in un quadro di socialità e di libertà economica (vedi Anthony Giddens). E, seppure in modo molto limitato, alcuni di quegli elementi sono oggi presenti nel Patto per l'Italia di Marco Biagi.

Nel discorso politico di La Malfa, un momento particolare è da assegnare al rapporto con il Partito comunista. Nelle scelte politiche concrete, sia in politica estera che in politica economica, vi è sempre stata una forte divergenza fra il Pri lamalfiano e il Pci di Togliatti e Berlinguer. Di qui la necessità di aprire un dibattito sul modello di sviluppo, se quello sovietico o quello delle grandi democrazie occidentali, con gli esponenti più aperti del comunismo italiano: Giorgio Amendola e il Pietro Ingrao di allora. La stessa enfasi con cui La Malfa salutò la dichiarazione di Berlinguer sulla fine della spinta propulsiva della rivoluzione di ottobre, va vista più come la speranza di una apertura al mondo occidentale dell'establishment comunista che come il riconoscimento di un vero e proprio strappo da Mosca.

Cocente fu perciò la sua delusione, quando agli inizi del 1979, designato da Pertini, dopo la caduta del governo di solidarietà nazionale, come presidente del consiglio incaricato (dopo Parri nel 1945, il primo laico nella storia repubblicana), ebbe da Berlinguer un netto rifiuto alla proposta di un coinvolgimento programmatico da realizzarsi attraverso periodiche consultazioni. Nel quadro politico di allora era il massimo che poteva essere concesso. Amareggiato scrisse che il segretario comunista «non poteva certo preferire la presenza di un indipendente ai trasporti piuttosto che una consultazione al massimo livello».

Di lì a pochi giorni si spegneva, colpito da ictus cerebrale, mentre era intento alla stesura del programma economico del governo Andreotti, a cui Pertini aveva dato l'incarico dopo la rinuncia di La Malfa.

Mi sia permesso di chiudere questo breve ricordo con una nota retorica. A volte non guasta, specialmente in tempi di troppo disinvolto pragmatismo. Una volta disse che nell'inverno del 1943, a Roma, aveva due cappotti, e uno lo diede all'amico Leo Valiani che andava al Nord a fare la Resistenza. Gli uomini che, come ha scritto Spadolini, «fecero l'Italia», anche se con un solo cappotto, probabilmente, possono ancora dirci qualcosa.

Vittorio Bertolini

Presidente Associazione Mazziniana Italiana
Sezione di Parma

nuvolarossa
15-05-03, 11:16
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Ugo La Malfa, la politica come rigore morale

L'ultima volta che apparve in pubblico deambulava da un capo all'altro del Transatlantico di Montecitorio, appeso a un braccio di Giovanni Spadolini. La folla di deputati e giornalisti si apriva al passaggio della strana coppia - rubicondo l'uno, donchisciottesco “cavaliere dalla triste figura” l'altro - senza che alcuno osasse prendersi la libertà di abbordarla. Non solo Ugo La Malfa non era quel che si dice un mostro di cordialità, ma aveva appena dovuto rinunciare all'incarico di formare il governo, e non l'aveva presa bene.
Quell'andirivieni per il Transatlantico era dunque una piccola sceneggiata pensata per esibire, a chiusura dell'incidente, una immagine di noncuranza, smentita dal gesto della mano nascosta dietro la schiena con cui Spadolini sollecitava un giornalista amico perché si avvicinasse. Era uno di quei momenti in cui un tratto di gentilezza sdrammatizzante può essere d'aiuto a una persona depressa, per quanto illustre.
Quando, non molti giorni dopo, il 26 marzo 1979, La Malfa morì, a quel giornalista scappò detta qualche banale considerazione sull'errore di prendersela tanto per un traguardo mancato, ostaggi come siamo di una sorte fuggitiva. Ma Spadolini non era d'accordo. «Se gli fosse riuscito di formare il governo - disse - La Malfa non sarebbe morto». Quale che fosse il mistero dell'esaurimento di quella carica vitale, fatto sta che nella morte del leader repubblicano sembrò di udire i rintocchi dell'agonia della Repubblica. Mai vista una pubblica cerimonia funebre così carica di presagi funesti come quella per l'addio a La Malfa davanti al palazzo di Montecitorio. Nemmeno quella seguita all'assassinio di Moro, l'anno precedente.
In quell'occasione, La Malfa aveva invocato la pena di morte per i terroristi. L'uscita aveva fatto sensazione, e si era preferito rimuoverla mettendola in conto alla sua natura passionale di siciliano. Ma più che un'eruzione di sicilianità si era trattato di uno dei soprassalti di rigore morale ricorrenti nell'uomo. Un carattere come il suo non poteva avere dubbi sulla risposta da dare alla guerra mossa alla Repubblica. Non avrebbe mai concepito, per combattere le Br, il ricorso a una “legislazione premiale”, con l'offerta al terrorista pentito di uscirne senza pagare per il sangue versato. Di lì a poco, proprio il colpo di spugna si sarebbe rivelato l'arma vincente contro il terrorismo rosso.
È solo un esempio di come il rigore morale sia stato, per La Malfa, l'elemento costitutivo della sua grandezza umana e della sua debolezza politica. Tutta la sua carriera è stata un susseguirsi di fughe dalla realtà del mondo qual è, nel sogno del mondo quale dovrebbe essere. Così, alla fine della guerra aveva stentato a rendersi conto che la contrapposizione tra gli unici due imperi superstiti, America e Unione Sovietica, era nell'ordine delle cose e che in Italia ne risultava di conseguenza la fine della consociazione di governo modellata sui Comitati di liberazione nazionale. I partiti di democrazia laica avevano immaginato di ricavarsi un ruolo di ago della bilancia tra i grandi partiti di massa, cattolico e comunista, ma l'unico posto per loro era a fianco della Dc.
Certo, il peso specifico dei laici, nella combinazione, era destinato a rimanere assai modesto. Un po' come andare in barca con l'elefante. Ciò che non impedì mai a La Malfa di sforzarsi di prenderne il timone. Ed effettivamente qualche volta gli è riuscito di dare la rotta, grazie all'influenza che derivava dall'antico rapporto di fiducia con i vertici dell'economia produttiva e finanziaria. Purtroppo, come sempre capita, i colpi di timone che più si ricordano non sono quelli riusciti meglio. Come, per esempio, l'impennata contro l'introduzione della televisione a colori, o la pressione per l'apertura a sinistra, con relativa nazionalizzazione dell'energia elettrica.
Errori sempre da La Malfa onestamente riconosciuti, con tanto di autocritica. «Quando si accerteranno le responsabilità - diceva - questa classe dirigente uscirà distrutta». Il suo errore più grosso, sarebbe stato l'ingresso del Pci nel governo, ma la forza delle circostanze glielo evitò.
Berlinguer aveva appena proclamato a Mosca, nelle celebrazioni 1977 dell'Ottobre rosso, la diversità del Pci dal Pcus, che già La Malfa dichiarava «maturo il tempo per una maggiore partecipazione del Pci alle responsabilità di governo». L'incarico di formare il governo, gliene avrebbe dato l'opportunità, se Craxi non avesse concorso a silurarlo, risparmiandogli la delusione di vedere il Pci impegnato contro lo schieramento degli euromissili americani che chiuse la partita della guerra fredda.
La Malfa non avrebbe tollerato infrazioni al codice della solidarietà occidentale. L'angoscia della retrocessione dell'Italia nel caos levantino del Mediterraneo, che ha accompagnato come un'ombra il suo percorso politico, non ammetteva cedimenti nella forza dell'aggancio con le liberaldemocrazie anglosassoni. C'è un bel filo di continuità che lega il primo La Malfa, quello della scommessa vincente sulla liberalizzazione degli scambi commerciali, all'ultima sua battaglia per l'adesione immediata al sistema monetario europeo. Quanto basta ad assicurargli il posto che occupa nel Pantheon della Repubblica.

di Franco Cangini

nuvolarossa
15-05-03, 11:18
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L'intransigente alfiere dell'Italia della ragione

Siciliano, figlio di un modesto «servitore dello Stato», Ugo La Malfa fu un patriota schietto, nutrito di un patriottismo dalle vibrazioni risorgimentali che ricorda il primo partito d'azione, quello della tradizione post-mazziniana e post-garibaldina.
È, il suo, un patriottismo di stampo risorgimentale moderno. La Malfa conosce a fondo i drammi del Mezzogiorno e la complessità dei problemi economici, politici, sociali irrisolti, e li esamina e denuncia con la lucidità e il rigore di analisi propri di un Giustino Fortunato. Un meridionalismo — tema centrale del suo impegno politico e civile — che guarda tuttavia a Nord, contro ogni tentazione «terzomondista».
Italia ed Europa. Come per Mazzini e per Cattaneo e l'intera sinistra democratica risorgimentale i due obiettivi appaiono fra loro inscindibili: perseguibili solo attraverso il rigore, l'onestà, il sacrificio a prezzo della impopolarità; contro ogni forma di corruzione, i facili assistenzialismi, le rivendicazioni corporative, le clientele parassitarie, gli sprechi e gli abusi. In una visione dinamica e coerente delle riforme economiche e sociali, sul modello dell'Occidente più progredito. Le sue previsioni pessimistiche lo accostavano alle «profezie» di Cassandra, la figlia di Priamo che annunciava il futuro senza essere creduta: ma come per Cassandra i fatti gli avrebbero dato ragione. Anche per questo, al di là degli schieramenti e interessi di parte, Ugo La Malfa è considerato una delle più alte coscienze critiche dell'Italia repubblicana.
Come due suoi illustri coetanei, Piero Gobetti e Carlo Rosselli, lo statista siciliano ha lasciato una traccia indelebile nella storia del nostro paese. Gobetti ha riscattato la parola «liberalismo», Rosselli la parola «socialismo», La Malfa la parola «democrazia». Non condivise del tutto l'impostazione di «Giustizia e libertà», pur accogliendone numerosi punti programmatici. La sua collocazione di fronte alla dittatura fu a fianco di Giovanni Amendola, nel raggruppamento antifascista dell'Unione democratica nazionale. Democratico riformatore, fino dagli anni Venti, credente in quel «partito della democrazia» che Luigi Salvatorelli disegnerà nella «Nuova Europa» come il quarto partito italiano, dopo cattolici, comunisti e socialisti.
Laico inveterato, La Malfa vide la continuità del Risorgimento nella laicità dello Stato, contro ogni forma di dogmatismo e di intolleranza. Leader nel dopoguerra del partito d'azione, poi del movimento di democrazia repubblicana, quindi del partito repubblicano italiano, agì nella costante ricerca dell'«altra Italia», l'Italia civile e della ragione, sogno e obiettivo dell'intera vita.

di Cosimo Ceccuti

nuvolarossa
15-05-03, 11:22
Il Pri va a Palermo a celebrare La Malfa

RAVENNA - Grandi celebrazioni, oggi e domani, per il centenario della nascita di Ugo La Malfa, per iniziativa del Pri e sotto l'Alto patrocinio del presidente della Repubblica. Una delegazione ravennate sarà a Palermo, dove lo statista era nato il 16 maggio 1903. Sarà composta da Giannantonio Mingozzi, Alberto Gamberini, Bruno De Modena, Matteo Tonini, Luisa Babini e Giancarlo Cimatti.
«Ravenna e i repubblicani romagnoli sono legati alla memoria dell'indimenticabile statista da un rapporto di affetto e riconoscenza che negli anni non si è mai appannato e mantiene un significato attualissimo», commenta Giannantonio Mingozzi. Parlamentare di Ravenna dal 1958 al 1978, Ugo La Malfa proprio in questa città anticipò i contenuti della sua 'nota aggiuntiva' del 1962. Storico poi il confronto con Pietro Ingrao che si svolse nel dicembre 1965 al cinema Mariani e nel quale La Malfa aprì la 'polemica economica a sinistra', che proseguì con il dibattito con Amendola e con la battaglia per 'quell'altra idea dell'Italia' di impronta laico-europeista.

nuvolarossa
15-05-03, 11:24
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UGO LA MALFA nasce a Palermo il 16

UGO LA MALFA nasce a Palermo il 16 maggio del 1903. Studia all'università Ca' Foscari e, militante nei liberaldemocratici di Giovanni Amendola, si distingue per il suo antifascismo, che nel 1928 gli costa la condanna a tre mesi di carcere. Nel 1933 Raffaele Mattioli lo chiama all'Ufficio Studi della Comit, a Milano. Nel 1941 è tra i fondatori del Partito d'Azione e partecipa all'attività clandestina contro il regime.. Nel dopoguerra aderisce al partito repubblicano (di cui fu segretario dal 1965 e presidente dal 1975) e comincia la sua esperienza di governo: ministro per il Commercio estero con De Gasperi, ministro delle Finanze nel primo governo di centrosinistra, vicepresidente del Consiglio nel governo Moro del 1974. Morì nel marzo 1979, quando era vicepresidente e ministro del governo Andreotti.

nuvolarossa
15-05-03, 18:08
RICORDANDO UGO LA MALFA

Intervento di Widmer Valbonesi, segretario regionale P.R.I.

16 maggio 1903 - 16 maggio 2003: Cento anni fa nasceva Ugo La Malfa. I repubblicani tutti lo ricorderanno con grande affetto e commozione a Palermo sua città natale, ma Ugo La Malfa non appartiene solo alla memoria dei repubblicani o degli azionisti di cui fu uno dei fondatori e dei massimi dirigenti, egli appartiene alla causa della democrazia e della Repubblica Italiana fin da quando giovanissimo fu arrestato perché antifascista.
La Malfa appartiene alla cultura europea perché ha sempre pensato all'Europa politica come alla possibilità di legare la democrazia italiana alle grandi democrazie industriali, interpreti di una comunità di valori di democrazia e di progresso civile.
Un'Europa alleata con gli Usa e non contrapposta, come ci ricordano le polemiche con la sinistra ideologica anticapitalistica e con il generale De Gaulle, e che lo avrebbero visto protagonista anche oggi, nel sostenere la necessità di questa alleanza contro il terrorismo nazionale ed internazionale e lo sviluppo della democrazia nel mondo.
Fin dagli anni venti, la formazione prima e l¹eredità del pensiero di Giovanni Amendola, in Ugo La Malfa si intrecciano con lo sviluppo delle democrazie occidentali, dal new deal di Roosevelt e dopo la seconda guerra mondiale con il "revisionismo" ideologico e riformatore delle forze della sinistra democratica europea: dal laburismo alle socialdemocrazie tedesche e scandinave.
Tutta la sua vita politica è caratterizzata dal tentativo di costruire in Italia una sinistra moderna, non ideologica in grado di utilizzare le opportunità di ricchezza offerte dal sistema capitalistico, strumento neutro, che una cultura di governo moderna poteva indirizzare verso l'interesse generale e verso la risoluzione degli squilibri territoriali e sociali.
Di qui le ragioni di una polemica economica a sinistra, di qui la politica di programmazione e la politica dei redditi, allora combattute ed oggi diventate patrimonio dell'intero paese, anche se a volte contraddette dall'atteggiamento reale delle forze politiche e sociali, sempre propense a difendere le categorie più forti o ad inseguire pratiche clientelari e corporative.
La professionalità e il merito, la produttività del sistema paese, la lotta agli sprechi e al parassitismo, la condanna e la lotta ai centri occulti e mafiosi, la questione morale combattuta contro le manovre speculative di Sindona, la concezione della laicità dello Stato contro le tentazioni confessionali, la pregiudiziale antifascista e per la Repubblica, l'amore per la giustizia e le garanzie di libertà pluralistiche come condizione per la riproduzione dei meccanismi democratici e di coesistenza di valori comuni repubblicani, fanno dell'azione politica di Ugo La Malfa una lezione di impegno politico-programmatico della sinistra democratica italiana, ancora oggi vittima delle proprie fobìe ideologiche, anticapitalistiche e assistenziali che gli impediscono l'acquisizione di una cultura di governo veramente riformatrice.
La Malfa aveva, nella sua concezione di funzione di responsabilità verso l'interesse generale che ogni individuo, di qualsiasi ceto, deve avere verso il proprio Paese e verso la comunità internazionale, una continuità col pensiero di Giuseppe Mazzini e la concezione del dovere come condizione per preservare i valori e la convivenza civile nel rispetto del pluralismo e della libertà.
Ecco perché i repubblicani lo ricordano come un maestro politico, di dirittura morale inossidabile e lo indicano ai giovani come un riferimento di quell'Italia democratica, liberal-democratica repubblicana, laica che potrebbe costituire la normalità con le democrazie occidentali e la ragione di un vero impegno politico per la risoluzione dei problemi veri della gente e non solo un'occasione per la conquista o la contestazione del potere.

Widmer Valbonesi

Segretario Regionale PRI
Emilia e Romagna

Texwiller (POL)
15-05-03, 19:48
Per Nuvolarossa

Ti segnalo una pagina intera all'interno di Europa di oggi su Ugo La Malfa (fra l'altro articolo di Battaglia)
La puoi scaricare penso domani su internet.
Ciao.
Tex Willer

nuvolarossa
15-05-03, 20:54
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI217.gif

Österreicher
15-05-03, 22:45
Venerdì 16 maggio 2003, ore 9,30
Rettorato dell'Università di Palermo, Palazzo Steri, Sala Magna - convegno storico -
La Sicilia di Ugo La Malfa - società, cultura e politica nella Palermo degli inizi del '900 -

Saluto apertura:
Francesco Paolo Casavola Presidente dell'Istituto della Enciclopedia Italiana

relazioni:
Piero Craveri Istituto Universitario "Suor Orsola Benincasa" di Napoli
La battaglia democratica di Ugo La Malfa

Paolo Soddu Università del Piemonte Orientale
La formazione di Ugo La Malfa

Antonio Jannazzo Università di Palermo
Vittorio Emanuele Orlando e l'eredità di Crispi: liberali e democratici a Palermo

Salvatore La Francesca Università di Palermo
L'economia a Palermo

Liliana Sammarco Università di Palermo
Borghesia, finanza e impresa nella Palermo dell'Art Nouveau

Salvo Zarcone Università di Palermo
Immagini letterarie agli inizi del Novecento

la_pergola2000
15-05-03, 22:58
J have a dream:
Al ritorno i partecipanti dalla manifestazione per il centenario della nascita di Ugo La Malfa, hanno fatto pace e, sempre nel sogno, il PRI ha una sola corrente.
I sogni talvolta si avverano.

nuvolarossa
16-05-03, 10:54
http://www.corriere.it/images/newlogo.gif
Per i cento anni dalla nascita iniziative della Fondazione (vicina al Polo) e dell’associazione degli Amici

Anniversario di La Malfa, l’eredità «contesa» del leader Pri

ROMA - Si avvicina la data dell’anniversario della nascita di Ugo La Malfa ed è già derby tra fondazioni e associazioni che si rifanno allo storico leader repubblicano. Due i soggetti in campo: la Fondazione Ugo La Malfa e la nascitura Associazione Amici di Ugo La Malfa. La prima è presieduta dall’economista Paolo Savona, è nata da circa un anno e non è altro che la trasformazione in fondazione dell’Istituto Ugo La Malfa, a lungo guidato dallo scomparso presidente di Mediobanca Francesco Cingano. Collaborano attivamente con la fondazione i figli di Ugo, Luisa e Giorgio. In occasione del centenario della nascita del leader del Pri, Savona e gli altri si sono mobilitati e hanno messo su un comitato nazionale per le celebrazioni con tanto di riconoscimento ministeriale. Apre la lista del comitato l’ex capo dello Stato Francesco Cossiga. Le manifestazioni previste dureranno addirittura un anno: si è iniziato ieri a Palermo con un convegno - sui legami tra La Malfa e la Sicilia - che si concluderà oggi alla presenza di Silvio Berlusconi e Marcello Pera e si proseguirà con un seminario di politica economica (nel prossimo autunno a Milano), una mostra multimediale itinerante e un altro convegno, di taglio squisitamente politico, che si terrà nella primavera del 2004 a Roma. Oggi a Palermo sarà rappresentato anche uno spettacolo teatrale fatto di lettere, testimonianze e scritti di Ugo La Malfa. È intenzione della Fondazione portarlo in giro per le piazze d’Italia nei prossimi mesi. Vuoi per la presenza a Palermo del premier Berlusconi, vuoi perché il Pri di Giorgio La Malfa fa parte organicamente della maggioranza di governo, nella vulgata politica romana l’attività della Fondazione viene inquadrata direttamente nel centrodestra.

E il resto della diaspora repubblicana, quelli che oggi non si riconoscono nelle scelte fatte dal Pri di Giorgio La Malfa, come celebreranno il loro vecchio leader? Parteciperanno, come gli altri, alla cerimonia ufficiale che si terrà martedì 20 maggio alla Camera con breve intervento di Pier Ferdinando Casini, relazione dello storico Piero Craveri e presenza del capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi. Ma i repubblicani della diaspora avranno a disposizione anche la nuova Associazione Amici di Ugo La Malfa, che sta nascendo in questi giorni per iniziativa di due ex ministri (Antonio Maccanico ed Enzo Bianco) e di un giornalista che ha militato nel Pri, Enrico Cisnetto.
L’Associazione ha già raccolto l’adesione di altri ex esponenti repubblicani come Giorgio Bogi (Ds), Oscar Mammì e Giuseppe Ayala, Vittorio Ripa di Meana e Fabio Roversi Monaco, Luigi Compagna (oggi iscritto all’Udc) e Guglielmo Castagnetti (parlamentare di Forza Italia).
Gli Amici di Ugo La Malfa puntano ad organizzare un convegno sul tema «Cosa direbbe La Malfa dell’Italia di oggi» e comunque hanno intenzione di muoversi con logica da associazione politica vera e propria e non da mero centro studi. Per ora tra la Fondazione e l’Associazione non c’è stato alcun elemento di frizione o polemica, ma sono in molti ad essere convinti che quando si passerà a discutere di merito emergeranno analisi e letture assai differenti. Non è un caso che ieri su Europa , il quotidiano della Margherita (il partito in cui militano Maccanico e Bianco), un altro ex ministro del Pri, Adolfo Battaglia, abbia già dato fuoco alle polveri scrivendo che «Ugo La Malfa parla ancora alla sinistra, che deve ascoltarlo se vuole battere Berlusconi». Quel Cavaliere alleato del Pri di oggi.

Dario Di Vico

nuvolarossa
16-05-03, 10:57
Oggi a Palazzo Steri la commemorazione presente il premier Berlusconi

La Malfa, attualità delle sue idee
Il discorso sarà tenuto dal presidente Pera. Intervista al prof. Savona

Marco Sassano

PALERMO – Con due giorni di dibattiti e di confronto si commemora a Palazzo Steri, a Palermo, il centenario della nascita di Ugo La Malfa. Il discorso ufficiale sarà tenuto oggi dal presidente del Senato, Marcello Pera, presente il premier Silvio Berlusconi. Al prof. Paolo Savona, presidente della Fondazione dedicata al leader repubblicano, abbiamo chiesto di parlare dell'attualità della sua figura. La storia, i modi, i toni, la politica di Ugo La Malfa: un abisso con ciò che ci circonda.
- Lei, professore, cosa ne pensa? «Certo, l'Italia è molto cambiata. Ma dobbiamo subito ricordare che questi padri fondatori della Repubblica ci hanno lasciato una condizione di benessere che avrà mille difetti, ma è incomparabile con quanto essi stessi avevano ereditato dall'Italia prebellica. Ci hanno anche lasciato un sistema democratico che ci disturberà in termini di chiassosità e rumorosità, ma che in fondo funziona e che mi pare abbastanza solido, non soggetto a derive antidemocratiche». -
Ugo La Malfa e i personaggi del mondo cattolico, socialista e comunista che stavano con lui sul proscenio avevano un alto livello intellettuale e morale. Ritiene che vi sia stato un decadimento? «Il mondo è cambiato. Ho riflettuto sui nostri padri con Giorgio La Malfa di cui sono stato compagno in un'università particolare, il MIT, negli Stati Uniti. Giorgio mi ha detto che quando il padre è scomparso hanno trovato intonse, in cantina, le bottiglie di vino e liquori che riceveva in omaggio. Rifletteva sui modi di vita del padre e della madre ricordandomi che erano assolutamente spartani. In questo ho ritrovato anche mio padre che, non per snobbismo, aveva fastidio a indossare un capo di vestiario nuovo e che pretendeva dai figli costumi e stili di vita rigorosi. Da qui veniva la costruzione politica che Ugo La Malfa aveva suggerito al paese».
Cosa voleva, in sostanza? «La programmazione delle risorse sorretta da una politica dei redditi accettata su basi volontaristiche: la cosiddetta programmazione democratica. La Malfa aveva coniato due parabole. La prima era quella dei fratelli meridionali: se non si fosse accettata la programmazione politica dei redditi uno o più dei fratelli meridionali sarebbero rimasti permanentemente disoccupati e questo lo considerava ingiusto sul piano democratico perchè democrazia è parità di diritti per tutti i cittadini».
Non le pare che si sia andati proprio in questa direzione? «Sì, purtroppo. Affidandosi solamente alle forze spontanee del mercato è avvenuto quello che La Malfa non voleva accadesse. Il paese non ha riflettuto sufficientemente sui contenuti della democrazia».
E la seconda parabola? «E' quella dei soprammobili. Lui diceva che spingere i consumi privati spontanei sarebbe stato pericoloso. Per questo arrivò a suggerire di non introdurre la televisione a colori. Per La Malfa tutto questo voleva dire che ci si preoccupava dell'acquisto dei soprammobili prima ancora di aver costruito la casa e di averla arredata con i mobili indispensabili».
Era una visione simile anche a quella di personaggi come Riccardo Lombardi nel Partito Socialista e Aldo Moro nella Democrazia Cristiana ? «No. Anche se sul piano della rettitudine morale erano molto simili, la visione era profondamente diversa. Mentre La Malfa aveva le sue radici nella concezione liberale della unicità dei punti di partenza, Lombardi aveva una visione più estrema e riteneva fondamentali i vantaggi e gli svantaggi con cui gli individui nascevano. Per questo propugnava l'unicità dei punti di arrivo».
Nel nostro paese quale di queste visioni si è realizzata ? «Quella intermedia che definerei socialdemocratica senza specifico riferimento al partito che aveva preso quel nome».
E con Aldo Moro? «E' stato un interlocutore importante nella comune volontà di stabilire un solido assetto politico. In sostanza volevano cooptare i comunisti italiani che avevano dimostrato, dalla partecipazione alle guerra di Liberazione al comportamento tenuto di fronte all'attacco allo Stato delle Brigate Rosse, la fermezza dei loro convincimenti democratici. La Malfa trovò in Moro un potente alleato nell'operare perchè i comunisti italiani fossero integrati non solo nell'arco costituzionale, dove già c'erano, ma anche in quello democratico. ».
Con gli anni Ottanta cambia radicalmente il modo di fare politica in Italia. Cosa rimane delle visioni di La Malfa e degli altri grandi personaggi della sua epoca? «Quando arriva Reagan alla presidenza nel gennaio del 1980 si ripristinano le regole del mercato. Il tutto si riversa in Europa con forza e consente all'Italia stessa di correggere i disastri degli Anni Settanta, leggi pensionistiche e sanitarie in testa. E' una marcia indietro che l'Italia, però, non fa per quanto riguarda il bilancio dello Stato: il disavanzo pubblico passa dal 60 al 120%. E La Malfa disse: «Io non ho più una risposta ai problemi del paese». Da noi la svolta arriverà solo con Maastricht negli anni Novanta. Ormai è l'Europa che decide».

nuvolarossa
16-05-03, 11:00
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Per lui Milano era la sola città di respiro europeo

Corre oggi il primo centenario della nascita di Ugo La Malfa, nato a Palermo il 16 maggio del 1903.
Arrivò a Milano solo negli anni '30 per impiegarsi all'Ufficio Studi della Banca Commerciale. Era ancora giovane, sposato da poco e con due figli, abitava in periferia ed era tenuto d'occhio dalla polizia fascista. Lasciò il capoluogo lombardo nel '43, per partecipare alla Resistenza e fondare il Partito d'Azione. Da quel momento, nominato ministro, abitò sempre a Roma ma Milano gli rimase nel cuore perché vi aveva gli amici più cari e perché riteneva che questa città fosse quella che manteneva, più di tutte le altre, un'andatura ed un respiro europei.
Ugo La Malfa era, nell'ultimo governo De Gasperi, ministro del Commercio Estero dove attuò la liberalizzazione degli scambi. Si trattava di aprire alle merci e alla produzione industriale italiana i mercati esteri e La Malfa pensava, come poi puntualmente avvenne, che questo sarebbe stato un grande incentivo per la nostra industria e che a Milano il mondo industriale finanziario lo avrebbe apprezzato particolarmente.
Si candidò capolista per il Partito Repubblicano nelle elezioni del 1953. Lo appoggiava un ristretto gruppo di professori di scuola media e di avvocati, tutti di ispirazione mazziniana. La campagna elettorale fu faticosa e concitata, La Malfa non riuscì neanche ad avvicinare gli ambienti commerciali ed industriali che avrebbero dovuto dargli i voti. Al termine del comizio finale in piazza Duomo svenne per la fatica e lo stress. Per fortuna i contadini e i mezzadri romagnoli, allora del tutto estranei ai processi di sviluppo industriale, lo rielessero nel loro collegio.
Da allora La Malfa venne poco nella nostra città e, quando vi veniva, si tuffava nell'ufficio di Adolfo Tino alla Mediobanca. Con gli anni la situazione si modificò, il Partito Repubblicano crebbe nei consensi elettorali e la personalità di Ugo emerse anche a Milano in tutta la sua importanza ma i tempi erano diventati oscuri, il Paese era travolto da una mezza guerra civile.
L'ultima volta che La Malfa venne a Milano, nel febbraio del 1979, un mese prima di morire, la sala del vecchio cinema Odeon era stipata di folla tra cui si distinguevano gran parte degli esponenti del mondo industriale e finanziario che contava. Alla fine del comizio mentre risonavano ancora gli applausi qualcuno chiese a La Malfa:«È contento onorevole? Oggi sono venuti tutti». Ugo La Malfa non rispose ma lo si udì mormorare, quasi un presagio, «troppo tardi».

Giacomo Properzj
Ex presidente della Provincia di Milano

nuvolarossa
16-05-03, 11:03
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I CENT’ANNI DALLA NASCITA

Ugo La Malfa europeo e meridionale

Ricorre domani il centenario della nascita di Ugo La Malfa: a Napoli alle 17, alla Fondazione Banco di Nappoi (via Tribunali 213) la ricorrenza sarà celebrata con una conferenza di Adolfo Battaglia su «Europeismo e meridionalismo nel pensiero di Ugo La Malfa».
Pietro Soldi
Nella breve e bruciante esperienza del Partito d’azione, la figura politica e morale di Ugo La Malfa si manifesta già nella sua maturità, con gli spiccati attributi che faranno del futuro leader repubblicano una personalità inconfondibile della storia italiana della seconda metà del ’900. Tra il 1942 e il 1946, La Malfa quarantenne diventa leader indiscusso dell’ala liberale (la definisce «amendoliana-crociana») del partito, la stessa a cui aderiscono intellettuali come Omodeo, De Ruggiero, Salvatorelli, attestata su una linea di riformismo europeo, «ferrata di realismo» e non meno di una formidabile carica etico-politica, come si vede anche nella tenace battaglia per il trapasso istituzionale dalla monarchia alla repubblica. Ancora nei suoi tardi anni La Malfa ribadirà che la scomparsa del Partito d’azione nell’immediato dopoguerra, cagionata dal prevalere nel partito del dottrinarismo socialistico e non privo di punte giacobine, ha segnato tutto il corso successivo delle cose italiane: un Paese incapace di darsi un governo modernizzatore di lungo respiro, stretto nella morsa di «sottoculture politiche» massimalistiche o populistiche, che impediscono ai riformatori democratici di battere il «non governo» dello schieramento moderato-conservatore e, quindi, di concentrare le risorse disponibili nella programmazione dello sviluppo, il solo metodo adeguato per risolvere i grandi problemi storici italiani: la disoccupazione e il dualismo tra Nord e Sud.
I maggiori interpreti del pensiero lamalfiano ne sottolineano il carattere complesso, i molti fili che lo legano ai filoni culturali di matrice sia liberale che democratica. Alla base c’è uno spirito schiettamente risorgimentale, ancorato all’idea che il Risorgimento è stato per l’Italia una rivoluzione «moderna» che, riallacciandola ai valori etico-politici e alla struttura economico-sociale dell’Occidente, l’ha posta in una condizione di progresso. Valgono per La Malfa le lezioni dello storicismo, da Croce («quello che tutti gli dobbiamo, è sempre molto», dice di lui) a Omodeo, lo storico che nell’impresa risorgimentale vede operare in bella sinergia «il realismo liberale di Cavour e l’idealismo democratico di Mazzini». E c’è anche l’eco di Giustino Fortunato, per il quale il Risorgimento «ci unì all’Europa e ci strappò all’Africa».
Ma la Malfa è un democratico che ha una dolorosa coscienza dei grandi problemi irrisolti dell’Italia unita, tra cui la grave depressione meridionale. Il drammatico ritardo italiano impone la ricerca di un «metodo di azione politica idoneo a riformare questo tipo di società, senza contestarne le qualità fondamentali».

nuvolarossa
16-05-03, 11:05
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Ugo, Cassandra a dispetto

Giovanni Ciancimino

PALERMO - La storia del passato per guardare al futuro: luogo comune. La storia del passato per verificare il presente: è la chiave di lettura del convegno di apertura delle due giornate dedicate al centenario dalla nascita di Ugo La Malfa. Un protagonista che ha lasciato segni indelebili nella storia politica italiana dalla fine della guerra a quasi tutti gli anni Settanta. «Noi speriamo – sono parole del figlio Giorgio – che le manifestazioni celebrative portino non soltanto a ricordare una delle figure storiche della vita politica italiana del Novecento, ma anche a riaffermare la centralità del problema meridionale in un'Italia che voglia davvero essere pienamente parte dell'Europa e dell'Occidente».
Silvia Di Bertolomei: Ugo La Malfa «era l'espressione cristallina, di un rigore morale e di una cultura dalle forti radice storiche, che nulla concedevano all'improvvisazione e al pressappochismo».
Ecco, tracciata in breve sintesi la figura dell'uomo e del politico, i più giovani potranno capire come, leggendo le parole di Ugo La Malfa ed avendo la percezione che fossero dettate da sincere valutazioni, purtroppo il tempo nel Mezzogiorno si sia fermato. E potranno trarre anche una buona lezione sulla funzione delle parti sociali nei rapporti con le istituzioni e sulla loro responsabilità di fronte al Paese. Milano, 17 dicembre 1951: «Un sindacato moderno non agita le masse, ma le organizza, non organizza scioperi che raramente, ma studia statistiche, indici di costi e di prezzi, indici di produzione e di scambi, e li tratta. Un sindacato moderno non fa politica di categoria, ma inquadra le esigenze di ogni categoria nelle esigenze generali del mondo del lavoro... Un sindacalismo moderno che accetta le istituzioni democratiche, opera per linee interne e non fa politica di categoria, ma politica di difesa del mondo del lavoro, nella giusta difesa degli interessi collettivi del Paese». Cosa avrebbe potuto dire di più e di diverso, oggi Ugo La Malfa?
“La Voce Republicana”, organo ufficiale del Pri: «Quando oggi si parla di carenza di investimenti, allarmante disoccupazione, emarginazione dei giovani, emarginazione del Mezzogiorno, si dimentica di confessare che questi aspetti sono frutto congiunto della ininterrotta prevalenza del potere sindacale e della parallela debolezza del potere politico, malsicuro ed in perenne posizione compromissoria nella difesa degli interessi del Paese, rispetto ad interessi settoriali. E la debolezza è stata tanta che il sindacato si è attribuito il compito di intervenire in campi e in decisioni che appartengono all'esclusiva responsabilità del potere politico. Il potere politico deve prendere tutte le sue responsabilità e deve indicare al sindacato il limite della sua azione e non da esso farsi continuamente dettare quello che deve fare ai fini della tutela degli interessi generali del Paese». È il 22 ottobre del 1978: 25 anni dopo, non è cambiato nulla.
«C'era nel Mezzogiorno la disoccupazione, l'emigrazione. E c'erano i problemi della riforma e dei servizi sociali, dei trasporti pubblici, della scuola, della sanità. Questi problemi li abbiamo anche adesso. Questi erano i problemi degli anni Sessanta. Se leggete le finalità sono quelli che ci ripetiamo da diciotto anni: occupazione, Mezzogiorno, riforme». Era il 17 giugno del 1978 quando La Malfa si duoleva del fatto che diciotto anni erano passati invano. I problemi restavano gli stessi: insoluti. Ne sono passati altri 25: tutto immutato.
Ugo la Malfa veniva considerato un catastrofista. Possiamo solo immaginare come la critica lo sopranominerebbe oggi: Cassandra. Sempre a dispetto.

nuvolarossa
16-05-03, 18:31
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CONVEGNO NEL CENTENARIO DI UGO LA MALFA

Piano da 280 miliardi per il rilancio del Sud

corispondente da PALERMO

E' il centenario della nascita di Ugo La Malfa l'occasione per fare il punto a Palermo sulla situazione e le prospettive del Mezzogiorno. Con l'unione economica e monetaria europea, il Sud «si è trovato a fronteggiare gli effetti della cessazione dell'assistenza pubblica in condizioni di dipendenza della sua economia dal bilancio pubblico», ha osservato Paolo Savona, presidente della Fondazione Ugo La Malfa, secondo il quale «la nuova sfida per il Mezzogiorno è la capacità di realizzare le opere infrastrutturali di cui necessita per creare le condizioni ambientali necessarie per riavviare lo sviluppo». Per questo, ha detto Savona, «sarebbe necessario mettere a punto un piano decennale di investimenti infrastrutturali nell'ordine di 280 miliardi di euro». Le grandi infrastrutture, ha detto Savona, sarebbero motore della ripresa e comporterebbero nuova occupazione per 690 mila unità e una crescita dell'11,7 per cento del pil del Sud, che oggi è di circa 300 miliardi di euro: sarebbe abbastanza, ha concluso Savona, perché «cambi il volto dell'economia meridionale e con esso anche quello dell'intera Unione Europea«. Il convegno promosso dal comitato per le celebrazioni lamalfiane si concluderà oggi pomeriggio con uno spettacolo tratto dagli scritti dello statista, alla presenza del presidente del Senato, Marcello Pera, e del premier Silvio Berlusconi. Il convegno è anche l'occasione per il vicepresidente di Confindustria, Francesco Rosario Averna, di chiedere al governo di aumentare le dotazioni per il credito di imposta nelle regioni meridionali del Paese. «Gli effetti della stagnazione si sono prolungati - ha detto Averna - e per questo oggi più che mai servono iniziative politico-economiche destinate a rilanciare lo sviluppo». Che nel Sud Italia passa, a detta degli industriali, attraverso due binari: infrastrutture e politica di attrazione di nuovi investimenti. Qualcosa il governo ha fatto, riconosce Averna, ma ancora certamente non basta: «Le decisioni del Cipe - ha detto - rappresentano una prima concreta attuazione di impegni sottoscritti nel Patto per l'Italia, e avviano esperienze innovative per la promozione e l'attrazione di investimenti nel Mezzogiorno». « situazione economica del Sud è in grave peggioramento - ribadisce - In questo momento è necessario non deludere le legittime aspettative dei numerosi imprenditori che, confidando in queste agevolazioni, hanno investito o stanno programmando investimenti nel Sud. E' urgente pertanto procedere alla copertura integrale dei crediti d'imposta nell'arco del prossimo triennio e all'aumento dei fondi disponibili per il bando in corso della Legge 488».

Lirio Abbate

nuvolarossa
17-05-03, 11:31
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Il presidente del Consiglio a Palermo.
«Fu La Malfa a far nascere in me l'interesse per l'emittenza privata nel 1973»

Berlusconi: «Sono sempre moderato»

Lillo Miceli

PALERMO - «Sono sempre moderato, moderatissimo», il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, sia pure con il sorriso sulle labbra riesce a malapena a nascondere il disappunto per la decisione del Tribunale di Milano di stralciare la sua posizione nel processo sulla cessione della Sme. Il premier, arrivato a Palermo nel pomeriggio di ieri per partecipare alle manifestazioni per il centenario dalla nascita del leader del Pri, Ugo La Malfa, ribadisce i concetti espressi qualche ora prima nella Capitale. Ovvero, «non sono io che devo abbassare i toni perché se ce qualcuno che deve essere indignato sono proprio io».
La commemorazione dello statista repubblicano, comunque, è un'occasione troppo ghiotta per non tornare sui temi che gli stanno più a cuore. Gli spunti offertogli dagli scritti di Ugo La Malfa, diligentemente studiati, sono preziosi per tornare a parlare di giustizia e scampato pericolo del comunismo, di libertà d'informazione e di economia. «Ugo La Malfa è stato uno protagonisti della scelta che, nell'aprile del 1948, consentì al nostro Paese di conquistare la libertà e la democrazia. La Malfa, Pacciardi, De Gasperi e Saragat furono lungimiranti. Dobbiamo a loro se l'Italia è cresciuta nella libertà e nel benessere». Cioè la scelta di aderire al Patto atlantico, evitando il pericolo del blocco sovietico, quindi il comunismo. «La difesa dei cittadini, la lotta agli sprechi saranno ben presenti nell'impegno della maggioranza a svolgere il suo programma di governo».
Sull'altro tema scottante, la giustizia, secondo Berlusconi, «La Malfa era convinto del primato della politica sui corpi sociali ed ebbe il coraggio di affermarlo nei confronti della magistratura. Una magistratura impegnata già nel 1974 in un primo tentativo di confondere il finanziamento della politica con le tangenti, e di travolgere il Parlamento in un momento delicatissimo per la tenuta delle istituzioni democratiche già sottoposte ad avvisaglie dell'attacco terroristico. La Malfa lo fece con la diretta assunzione di responsabilità, poi assolutamente mancata nella classe politica vent'anni dopo. Aveva il coraggio di essere impopolare oggi per non essere antipopolare domani».
Ugo La Malfa, un politico ostico, deciso, che non esitava a mettere in crisi i governi che sosteneva con il suo Pri e dei quali spesso egli stesso era ministro. Sarebbe stato proprio lo statista repubblicano a fare nascere in Silvio Berlusconi il germe dell'interesse per l'emittenza privata. «Era il 1973, ero un giovane imprenditore impegnato nella costruzione di “Milano 2”. Un giorno - ricorda Berlusconi - lessi su un giornale che La Malfa decise di ritirare la fiducia al governo Andreotti in polemica con il ministro delle Poste e Telecomunicazioni, Giovanni Gioia, perché aveva già sottoscritto un accordo per la diffusione della televisione via cavo. La Malfa, invece, pensava che ormai i tempi fossero maturi per dare vita ad un sistema che integrasse imprenditoria ed informazione. Mi convinsi che quello era il futuro e poco dopo creai Telemilano».
Ma in Ugo La Malfa, ancora oggi, Silvio Berlusconi trova ispirazione sulla politica internazionale, per la modernizzazione delle infrastrutture, la riforma delle pensioni. «Per lui, il problema non era lo scontro di classe, ma la lotta fra ceti produttivi e parassiti. La Malfa, ministro del Tesoro del governo Rumor, portò fino alle dimissioni il suo no ad una riforma delle pensioni che non poneva fine agli sperperi con le false pensioni d'invalidità. Lo sappiamo bene, la riforma delle pensioni è un nodo ancora oggi irrisolto».
In politica estera, Berlusconi si è definito addirittura «lamalfiano»: «Mi ispirerò a lui durante la presidenza italiana dell'Unione europea che non mise mai in discussione la collocazione occidentale del nostro Paese, anche a costo di polemizzare, come fece nel 1963, con la Francia di De Gaulle, che voleva spezzare l'Alleanza atlantica e creare un nucleo di Paesi europei che trattassero da soli con la Russia. Uno schema ricorrente che ricorda da vicino alcune tentazioni odierne. L'unità spirituale frantumata del blocco occidentale da ricomporre, l'idea forza della democrazia occidentale da affermare, il convincimento che la nostra Europa e l'altra Europa al di là dell'Atlantico formano una comunità con un unico destino, sono parole e concetti che abbiamo nel cuore e ai quali ci ispireremo quando dovremo presiedere il Consiglio europeo».
E per rendere la Sicilia più vicina all'Europa, per il presidente del Consiglio dei ministri è necessario costruire il Ponte sullo Stretto di Messina: «In questa sede mi piace pensare che la costruzione di questa importante infrastruttura, avrà anche il senso di un omaggio a lui ed alla sua opera politica».
Sono intervenuti anche il presidente della Regione, Totò Cuffaro, ed il sindaco di Palermo, Diego Cammarata.

nuvolarossa
17-05-03, 11:41
La Gazzetta del Sud
Berlusconi celebra lo statista siciliano nel centenario della nascita, presente Pera

Esempio per tutti le idee di La Malfa

La fedeltà al Patto atlantico nella visione dell'allargamento della democrazia al Pci

PALERMO – Il premier Silvio Berlusconi riconosce a Ugo La Malfa tanti meriti, in particolare, la convinzione «del primato della politica nei confronti della magistratura». Magistratura «impegnata già nel 1974 in un primo tentativo di confondere il finanziamento della politica e le tangenti e di travolgere il Parlamento in un momento delicatissimo per la tenuta delle istituzioni democratiche, già sottoposte a prime avvisaglie di attacco terroristico». Berlusconi, giunto ieri pomeriggio a Palermo per partecipare alla cerimonia del centenario della nascita di Ugo La Malfa, è stato accolto dal presidente della Regione, dal sindaco e dal presidente del Senato Marcello Pera che ha tenuto la prolusione. Un intervento a tutto campo quello di Berlusconi che ha parlato anche di sviluppo di riscatto dell'Isola e in questo ambito di grandi infrastrutture e quindi del Ponte: «Il Ponte sullo Stretto serve a realizzare una Sicilia europea ed è un omaggio reso a Ugo La Malfa e alla sua fede occidentale». Così il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha concluso il suo intervento che ha tratteggiato i momenti di rilievo dell'impegno europeo del leader republicano. «La collocazione occidentale, nordatlantica, europea dell'Italia non furono mai messe da lui in discussione; furono approdo senza ritorno, anche a costo di polemizzare, come fece nel '63, con la Francia di De Gaulle, che voleva spezzare l'Alleanza atlantica e creare un nucleo di Paesi europei che trattassero da soli con la Russia». «Schema ricorrente - ironizza il premier ricordando a Palermo lo statista repubblicano - che ricorda da vicino alcune tentazioni odierne». Berlusconi assicura che le linee guida della politica estera di Ugo La Malfa (così come il suo modo di concepire le libertà economiche, la difesa dei cittadini, la lotta agli sprechi e lo sviluppo del Paese) saranno sempre «ben presenti nell'impegno della maggioranza a svolgere il suo programma di governo». Soprattutto in politica estera, il premier si dice convintamente lamalfiano. «L'unità spirituale frantumata del blocco occidentale da ricomporre - elenca - l'idea forza della democrazia occidentale da affermare, il convincimento che la nostra Europa e l'altra Europa al di là dell'Atlantico formano una comunità con un unico destino sono parole e concetti che abbiamo nel cuore e ai quali ci ispireremo quando dovremo presiedere il Consiglio europeo». Il presidente del Senato Pera ricorda il «La Malfa schierato per l'allargamento della democrazia, anche quando all'opposizione c'era un Partito comunista legato all'Unione sovietica. Non si stancò mai di confrontarsi, di esercitare il suo pedagogico ruolo di pungolo e di cercare intese - ha aggiunto - secondo l'unica formula allora forse possibile, quella della coptazione delle opposizioni all'interno del sistema consociativo». Per Pera «la cifra dell'uomo e del politico sta qui. Nell'intransigenza, nell'austerità, nella solitudine, nella determinazione. Si tratta di un'eredità e di un metro di confronto - ha detto il presidente del Senato - di inestimabile valore. Oggi lo scenario è cambiato. E' tramontato il vecchio capitalismo, si è imposto un nuovo sistema politico con nuove forze e nuovi leader, si è affermata la democrazia dell'alternanza». «Ma la sfida della modernizzazione - ha continuato Pera - dell'efficienza, del Mezzogiorno, dell'Europa, dell'occidente, della corretta dialettica politica, del rispetto delle istituzioni, che La Malfa accettò, in parte vinse in parte perse, è ancora una sfida per noi, anche nel nuovo scenario». Secondo Pera «bisogna imitare la sua grande energia morale e politica e proseguire la sua volontà riformatrice». Il presidente della Regione Cuffaro ha poi accennato alla dimensione europeista di La Malfa collegando la sua intuizione con la definizione della Carta costituzionale europea. Il contributo che la Sicilia intende dare è quello di un «popolo pronto all'accoglienza, aperto alla solidarietà, sensibile al bisogno, predisposto all'integrazione, ma anche orgoglioso della propria identità e rispettoso di quella degli altri». Il presidente della Regione ha fatto riferimeno allo spirito di un"federalismo solidale» e al rilancio di un dialogo nel Mediterraneo in grado di affrontare congiuntamente alcune delle grandi sfide internazionali. A Villa Niscemi la conclusione della visita del presidente del Consiglio, che dopo avere assistito allo spettacolo «Ugo La Malfa. Il sogno della Repubblica», nel cortile Maqueda di palazzo dei Normanni, è stato a cena nella residenza del sindaco di Palermo. Invitati anche i parlamentari siciliani della Casa delle Libertà, candidati alle amministrative e rappresentanti locali di Forza Italia. Con Berlusconi anche il sottosegretario Gianni Letta e il portavoce, Paolo Bonaiuti. Non è mancata la polemica da parte dei Verdi. Alfonso Pecoraro Scanio, replicando al premier ha detto che «Berlusconi non sa più a cosa appigliarsi per difendere un progetto come il Ponte, tanto faraonico quanto dannoso - dice Pecoraro Scanio - ci risparmi le strumentalizzazioni di personalità come Ugo La Malfa e lasci stare chi non c' è più. La vera modernizzazione della Sicilia - ha concluso Pecoraro - è portare l' acqua a tutti, far funzionare strade, porti e aeroporti. Risanare il territorio. Il Ponte è una truffa ai danni dei siciliani e calabresi».

nuvolarossa
17-05-03, 11:45
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L'Italia spartana di Ugo La Malfa

Al professore Paolo Savona, presidente della Fondazione dedicata a Ugo La Malfa, abbiamo chiesto di parlare dell'attualità della figura del grande leader repubblicano.
La storia, i modi, i toni, la politica di Ugo La Malfa: un abisso con ciò che ci circonda. Lei, professore, cosa ne pensa?
«Certo, l'Italia è molto cambiata. Ma dobbiamo ricordare che questi padri fondatori della Repubblica ci hanno lasciato una condizione di benessere che avrà mille difetti, ma è incomparabile con quanto avevano ereditato dall'Italia prebellica. Ci hanno anche lasciato un sistema democratico che ci disturberà in termini di chiassosità e rumorosità, ma che in fondo funziona e che mi pare abbastanza solido, non soggetto a derive antidemocratiche».
Ugo La Malfa e i personaggi del mondo cattolico, socialista e comunista con lui sul proscenio avevano un alto livello intellettuale e morale. Ritiene che vi sia stato un decadimento?
«Il mondo è cambiato. Ho riflettuto sui nostri padri con Giorgio La Malfa di cui sono stato compagno in un'università particolare, il MIT, negli Stati Uniti. Giorgio mi ha detto che quando il padre è scomparso hanno trovato intonse, in cantina, le bottiglie di vino e liquori che riceveva in omaggio. Rifletteva sui modi di vita del padre e della madre ricordandomi che erano assolutamente spartani. In questo ho ritrovato anche mio padre che, non per snobbismo, aveva fastidio a indossare un capo di vestiario nuovo e che pretendeva dai figli costumi e stili di vita rigorosi. Da qui veniva la costruzione politica che Ugo La Malfa aveva suggerito al paese».
Cosa voleva, in sostanza?
«La programmazione delle risorse sorretta da una politica dei redditi accettata su basi volontaristiche: la cosiddetta programmazione democratica. La Malfa aveva coniato due parabole. La prima era quella dei fratelli meridionali: se non si fosse accettata la programmazione politica dei redditi uno o più dei fratelli meridionali sarebbero rimasti disoccupati e questo lo considerava ingiusto sul piano democratico perché democrazia è parità di diritti per tutti i cittadini».
Non le pare che si sia andati in questa direzione?
«Sì, purtroppo. Affidandosi solamente alle forze spontanee del mercato è avvenuto quel che La Malfa non voleva accadesse».
La seconda parabola?
«E' quella dei soprammobili. Lui diceva che spingere i consumi privati spontanei sarebbe stato pericoloso. Per questo arrivò a suggerire di non introdurre la tv a colori. Per La Malfa tutto questo voleva dire che ci si preoccupava dell'acquisto dei soprammobili prima ancora di aver costruito la casa e di averla arredata con i mobili indispensabili. Queste convinzioni non erano unicamente sue: le ritrovavo in buona parte della sua generazione».
Era una visione simile a quella di personaggi come Riccardo Lombardi nel Psi e Aldo Moro nella Dc?
«No. Anche se sul piano della rettitudine morale erano molto simili. Mentre La Malfa aveva le sue radici nella concezione liberale della unicità dei punti di partenza, Lombardi aveva una visione più estrema e riteneva fondamentali i vantaggi e gli svantaggi con cui gli individui nascevano. Perciò propugnava l'unicità dei punti di arrivo».
In Italia quale di queste visioni si è realizzata?
«Quella intermedia che definerei socialdemocratica senza specifico riferimento al partito che aveva quel nome. Era in parte anche quella di La Malfa: lo Stato doveva intervenire per correggere, non per determinare l'unicità dei punti di partenza. Il fatto che lui sostenesse il mercato portò a scelte politiche di grande importanza come la firma del Trattato di Roma sulla Comunità europea. Per lui il mercato garantiva la competizione e quindi l'emergere del merito. Allo Stato spettava correggere i punti di partenza, ma non pretendere l'unicità dei punti di arrivo».
E con Moro?
«E' stato un interlocutore importante nella comune volontà di stabilire un solido assetto politico. In sostanza volevano cooptare i comunisti italiani che avevano dimostrato, dalla partecipazione alle guerra di Liberazione al comportamento tenuto di fronte all'attacco allo Stato delle Brigate Rosse, la fermezza dei loro convincimenti democratici. La Malfa trovò in Moro un potente alleato nell'operare perché i comunisti italiani fossero integrati non solo nell'arco costituzionale, ma anche in quello democratico. Il che significava che non erano un pericolo per il paese. Un passo di straordinaria importanza».

di Marco Sassano

nuvolarossa
17-05-03, 19:24
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«Il ponte sullo Stretto sarà un omaggio a Ugo La Malfa»

PALERMO — «In questa Sicilia che Ugo La Malfa vedeva già europea, mi piace pensare che il Ponte sullo Stretto sarà anche un omaggio a lui e alla sua opera politica». Lo ha detto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, concludendo il suo intervento a Palermo per il centenario della nascita di Ugo La Malfa. Presente anche Marcello Pera. Per il presidente del Senato bisogna «proseguire la volontà riformatrice di Ugo La Malfa e imitare la sua grande energia morale e politica». «La Malfa - ha detto Pera - fu sempre schierato per l’allargamento della democrazia, anche quando all’opposizione c’era un partito comunista legato all’Urss. La Malfa non si stancò mai di confrontarsi, di esercitare il suo pedagogico ruolo di pungolo e di cercare intese, secondo l’unica formula allora forse possibile, quella della cooptazione delle opposizioni all'interno del sistema consociativo».

nuvolarossa
18-05-03, 12:30
http://www.lasicilia.it/giornale/grafica/multimedia.gif
Pera: «Attuali alcune sfide di Ugo La Malfa»
La commemorazione.
Il presidente del Senato a Palermo rivisita la figura dello statista repubblicano

Giovanni Ciancimino

Palermo. Il pensiero e l'azione politica di Ugo La Malfa erano profondamente radicati nella realtà che lo vide protagonista, in condizioni socio-economiche diverse da quella odierna. Come ha ricordato il presidente del Senato, Pera: «La Malfa, che pure poteva presentare un rendiconto del 1961 assai felice, con una crescita del Pil oltre l'8 per cento e con un'espansione degli investimenti che sfiorava il 23 per cento, non aveva mancato di osservare: “Questo è uno sviluppo che, però, dobbiamo ordinare attraverso la programmazione, per risolvere alcuni fondamentali problemi del Paese”».
Allora, si era in piena espansione economica, nella fase della ricostruzione delle rovine belliche. Oggi il Pil, come abbiamo visto in questi giorni, viaggia sul -0,1 per cento. Allora l'Italia guardava a se stessa, mentre l'Europa era in fasce. Oggi la crisi del Continente unito investe i Paesi membri. Italia compresa. Allora, La Malfa puntava le sue carte sulla programmazione. Oggi siamo vincolati dagli accordi di programma a livello europeo.
Il presidente del Senato ha ricordato che La Malfa nel '66 avrebbe preferito «concedere all'operaio della Fiat la scuola piuttosto che la “600”». E già, fin dalla fine degli anni Settanta, come ha ricordato Pera, «gli italiani avevano sia le “600” che gli ospedali e le scuole». Figurarsi oggi.
Semmai, il pensiero e l'azione politica di Ugo La Malfa, come ha sottolineato Pera, vanno ereditati per l'intransigenza, l'austerità e la dirittura morale che li ispiravano. Di qui l'attualità della sua «sfida per la modernizzazione, l'efficienza, il Mezzogiorno, l'Europa, l'Occidente, la corretta dialettica politica, il rispetto delle istituzioni, che La Malfa accettò. In parte vinse e in parte perse». «E' ancora - ha ammonito Pera - una sfida per noi, anche nel nuovo scenario».
Sempre su questo tema, conversando con i giornalisti, la seconda carica dello Stato ha ancora ribadito, con riferimento alle accese polemiche di questi giorni tra i poli: «Il contesto in cui è vissuto e ha operato La Malfa è diverso dal momento attuale. Ma molte delle sue tesi mantengono la loro validità, come quella della correttezza dei rapporti tra le forze politiche e dell'impegno di tutti ad assumersi le sfide dello sviluppo con la maggiore collaborazione possibile e perseguendo nella più alta moralità la volontà riformatrice».
In ogni caso, si tenga in debito conto che, seppure si tratti «di un eredità e di un metro di confronto inestimabili, oggi lo scenario è cambiato. E' tramontato il vecchio capitalismo; si è imposto un nuovo sistema politico con nuove forze e nuovi capi; si è affermata la democrazia dell'alternanza».
Anche nel discorso del presidente della Regione, Cuffaro, il percorso politico di La Malfa viene attualizzato «in relazione alle sfide del Mezzogiorno e della Sicilia», ma non in riferimento all'impegno odierno di costruire «una società sempre più multi-etnica e multi-culturale, rispettando le diversità di lingua, di religione, di tradizioni, di costumi». Problemi inesistenti quando operava Ugo La Malfa.

nuvolarossa
19-05-03, 15:25
Miserabbili!

Mentre a Palermo la Fondazione La Malfa, il Partito Repubblicano, le più alte cariche dello Stato, L'Università, storici illustri e un pubblico numeroso celebravano il centenario della nascita di Ugo La Malfa, a Roma il quotidiano dei catto-comunisti, organo dello squallore di sinistra e di quattro transfughi ex-repubblicani, titolava "Giù le mani da Ugo La Malfa". Cialtroni così non meritano risposta. Ugo La Malfa li avrebbe definiti miserabbili!

Roma, 19 maggio 2003
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tratto dalla rubrica
http://www.pri.it/archiviodiavoletto.htm

nuvolarossa
19-05-03, 15:31
Roma - Martedì 20 maggio 2003 h. 16.00

Camera dei Deputati
Palazzo Montecitorio, Sala della Lupa

Su invito del Presidente della Camera dei Deputati
Pier Ferdinando Casini

la figura e l'opera di Ugo La Malfa

saranno ricordate dal professor Piero Craveri

sarà presente il
Presidente della Repubblica
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tratto da --->
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI205.gif (http://www.pri.it)

kid
19-05-03, 16:01
quel diavolo di un corsivista ha sbagliato bersaglio.

L'articolo dell'Unità non era affatto male.
Giù le mani lo diceva a Berlusconi, che comunque non ce le ha messe.
"Siamo tutti lamalfiani" è diverso che dire "siamo noi gli eredi di La Malfa".
Questo ce lo dissero i ds e Cascella che ha scritto l'articolo secondo me lo ha rivolto indirettamente ai suoi che La Malfa ora se lo trovano dopo averlo bistrattato dall'altra parte.
Del resto cosa ha scritto Battaglia che la sinistra deve ascoltare La Malfa per battere Berlusconi, cioè ancora non lo ha ascoltato?
Dopo sei anni di alleanza?
E che aspetta?

nuvolarossa
20-05-03, 16:06
http://ilmattino.caltanet.it/img/logomat2.gif
Ricordare La Malfa

Senza queste scelte fondamentali nessuno può assicurare la tenuta dello Stato democratico e la Repubblica difficilmente svolgere quello che è il primo dei suoi compiti, cioè il garantire l'unità della nazione. La Malfa nella sua azione politica volse la sua attenzione sempre e solo a questo tipo di scelte. Sapeva quando per un politico l'impopolarità è un dovere per l'ufficio che si ricopre e non si trasse mai indietro. Così molte delle cose che fece gli sono state riconosciute nel ventennio che seguì la sua morte, piuttosto che in vita.
Leader di una forza di minoranza, come il partito repubblicano, seppe sempre tenerlo in una posizione centrale rispetto al corso degli avvenimenti. Fu agli inizi con De Gasperi, durante la prima legislatura che, giova ricordarlo, fu la più proficua di scelte politiche e di riforme, rispetto a quelle che seguirono, dal Patto Atlantico all'avvio della costruzione europea, dalla politica liberista di Einaudi e Menichella, al rilancio del sistema di economia mista, dalla riforma agraria alla politica del Mezzogiorno, di cui La Malfa fu uno dei più moderni assertori. Per parte sua vi contribuì, come ministro del commercio con l'estero, attuando la liberalizzazione degli scambi che iniziò ad aprire il nostro sistema produttivo al mercato internazionale, contribuendo a quel grande balzo in avanti che il nostro paese fece negli anni '50.
Fu poi protagonista della formazione del centro-sinistra, ma ne vide subito i limiti. Riteneva che l'Italia dovesse proseguire nel suo sviluppo, non sedersi sui risultati positivi appena conseguiti. Fu così un critico lucido delle degenerazioni del nostro sistema politico-istituzionale, che ancora intralciano sotto molti aspetti la nostra vita pubblica. Su due insistette in modo particolare, il debito pubblico, che dal 1972 prese a formarsi per il crescente discostarsi della spesa pubblica dalle entrate fiscali, e la politica dei redditi, che sarebbe stata adottata poi solo nel 1993, consentendoci l'ingresso nell'euro. Dedicò alla soluzione dei molteplici problemi che determinavano la crisi degli anni '70 tutte le sue energie, tutto sperimentando al fine di conseguire gli obbiettivi necessari. Affiancò Moro nell'apertura ai comunisti. Dopo la morte di questi, le rotture che l'accompagnarono, compreso il dissenso col PCI sull'ingresso dell'Italia nel serpente monetario europeo e l'incipiente rafforzamento della difesa missilistica europea, di contro al dispiegamento degli SS20 sovietici, fu lui a dover constare la reversibilità anche di quella formula, non riuscendo a formare il governo di unità nazionale per cui Pertini l'aveva incaricato.
L'attività intellettuale e politica di La Malfa fu tutto un correre in avanti, là dove la più lenta percezione dei problemi da parte del sistema politico non vedeva. Così molti dei canoni della sua politica sono ancora il viatico di oggi. Si è persa invece la sua capacità di antivedere, rispetto a cui rimane un esempio, speriamo non irrepetibile.

Piero Craveri

kid
20-05-03, 17:50
Il centenario alla camera con i Ds rappresentati da Bogi, Battaglia, Passigli e Manzella.
La Margherita da Bianco e Maccanico.
Bel modo di festeggiare il centenario di un leader repubblicano.
Fallito il tentativo di liquidare il Pri.
Non abbiamo fatto la fine dei nipotini di Togliatti.
Poi sapete com'è: le interpretazioni di La Malfa, cosa avrebbe fatto La Malfa e che so che altro.
Il punto è che c'è il sangue di La Malfa compatto della famiglia da un parte e poi ci sono le interpretazioni.
Io sto con il sangue di La Malfa ed il resto sono chiacchiere.
A meno che mi trovino un fratello di Giorgio che ci dica si il Pri va chiuso, bisogna aderire ad una formazione politica più vasta.
Tutta la vita di La Malfa si è svolta nel Pri.
Ed il Pri per lui era il punto di riferimento fondamentale per la vita democratica.
Chi ha lasciato il partito ha chiuso con La Malfa.

nuvolarossa
20-05-03, 23:07
per vedere in RealPlayer tutta la
cerimonia ... clicca ... sopra questa frase ..click... (http://audio-5.radioradicale.it/ramgen/s7.2.2/uni_roberta_0_20030520181707.rm?start)


Ugo La Malfa: Commemorazione nei cent'anni dalla nascita (con Casini, Craveri e Giorgio La Malfa)

Roma, 20 maggio 2003 - Il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, con l'aiuto dello storico Pietro Craveri, ha commemorato oggi nella Sala della Lupa, alla presenza fra gli altri del capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi e del presidente del Senato Marcello Pera, Ugo La Malfa, nel centenario della sua nascita. «Un democratico, senza altri aggettivi» - ha detto Casini. «Ricordarlo non è soltanto il doveroso tributo alla memoria di uno dei padri della Repubblica. E' soprattutto l'occasione per riannodare le fila della vicenda storica nazionale». Il leader storico del Pri, che prima militò nell'Unione democratica nazionale e poi nel partito d'Azione, «ha contribuito a determinare le scelte decisive dell'Italia repubblicana» testimoniando «la nobiltà della politica come passione civile e come impulso alla trasformazione della società, saldando una profonda ispirazione etica e un impietoso realismo». Dopo un quarto di secolo, - ha concluso Casini - «in un quadro politico pur così profondamente modificato, ritroviamo intatta l'attualità non solo della sua ispirazione ideale, ma anche delle sue indicazioni programmatiche».

per vedere in RealPlayer tutta la
cerimonia ... clicca ... sopra questa frase ..click... (http://audio-5.radioradicale.it/ramgen/s7.2.2/uni_roberta_0_20030520181707.rm?start)

kid
21-05-03, 12:06
cari amici, grazie all'attività della Fondazione La Malfa siamo riusciti a celebrare un ricordo degno di un leader politico a cui siamo molto legati e che rischiava di non avere più una casa dove essere ospitato e ricordato. La Fondazione ha fatto due giorni di manifestazioni a Palermo, ha coordinato la commemorazione ufficiale proposta da Casini, ha allestito uno spettacolo teatrale itinerante che girerà per tutto l'anno in Italia. Soprattutto ha pubblicato, grazie al sostegno della presidenza del Consiglio, i testi di La Malfa inediti che vanno dal '56 al '58 e che sono di particolare valore, insieme ai biglietti, in altro volume. Queste due pubblicazioni hanno consentito alla stampa nazionale di avere un riguardo ulteriore per la figura politica di Ugo, potendo vagliare scritti ancora non adeguatamente conosciuti.
Doveva ripartire la voce per il centenario, ma è stato scelto di fare un numero prova e di rinviare al due giugno la pubblicazione a regime. La scelta è stata dettata non dal cuore ma dalla possibilità di una maggiore preparazione. Comunque c'è una storica testata repubblicana che non è ancora morta e che ha ricordato La Malfa. Per lo meno non lo lasciamo alle pagine di Rinascita o di Europa, dove sono apparse le commemorazioni di Duva e Battaglia. L'Unità a mio giudizio si è comportata bene, evitando di affidare ad un rinnegato del Pri la commemorazione di un uomo politico che ha fatto del pri la sua esistenza. Così abbiamo letto Cascella che è un ottimo giornalista, un uomo cresciuto nel Pci che sa valutare cosa rappresenti effettivamente Ugo La Malfa con equilibrio. Il "Giù le mani da Ugo La Malfa" dell'Unità, si rivolge a tutti coloro che se ne volevano vestire per ritagliarsi una qualche quota personale negli assestamenti della seconda repubblica. Forse i ds oggi l'hanno capito o stanno per capirlo, che solo l'esistenza del pri impedisce questo massacro della memoria e della storia che non si ricostruisce a proprio gradimento. Vi invio l'articolo che la voce repubblicana ha richiesto all'esponente della Dn del partito Riccardo Bruno sull'argomento.

kid
21-05-03, 12:09
di Riccardo Bruno sul rapporto Pri Ugo La Malfa.

Marzo 1979: rispondendo con un breve biglietto ad una lettera di Bruno Visentini, Ugo La Malfa, scrive la parola “partito”, il partito repubblicano italiano, con la P maiuscola.
Il documento è uno degli inediti che viene pubblicato, nel centenario della scomparsa dello Statista, dalla Fondazione a lui dedicata. Il biglietto in questione, fra tanti altri appunti degni di nota, mette in luce le convulsioni in cui si logorava la formula di solidarietà nazionale, ma offre anche una percezione immediata del rapporto strettissimo che legava La Malfa ed il Pri.
Era la fine della solidarietà nazionale. In quella tormentata stagione, Visentini, con una lunga lettera, spiegava la sua indisponibilità ad entrare del governo che lo stesso La Malfa cercava di far nascere. La Malfa risponde a Visentini amaramente: “Hai perso un’occasione per servire il Paese ed il Partito”.
Le due “P” maiuscole fanno anche pensare che gli interessi del Paese e del Partito appaiono nella visione di La Malfa congiunti ed imprescindibili.
Non ci dimentichiamo mai che la forte passionalità e forse anche la leggendaria umoralità, di La Malfa, erano sempre contenute, in maniera saldamente razionale, nella forma politica. Il Partito, la Patria, le Istituzioni, sono una risposta mediata allo scetticismo intellettuale che egli sembrava provare nei confronti delle tante debolezze della natura umana.
Non bisogna stupirsene perché il fondamento etico della coscienza di un laico riposa su costruzioni dell’ intelletto tali da consentire la convivenza civile, stabilirne l’identità, e difenderla.
I moti della vita politica e le scelte che la determinano, in La Malfa devono dunque trovare un punto di riferimento fermo, una stella polare, altrimenti si riducono a particolarismi e si assoggettano alle mere esigenze personali di coloro che li alimentano.
La fine dell’800 e l’inizio del secolo scorso aveva vissuto una grave crisi dei partiti il cui esito sfociò drammaticamente nel totalitarismo degli anni ’20 e ‘30.
Ugo La Malfa appare come un erede indiretto del pensiero di Kelsen, che non riteneva concepibile l’esistenza della democrazia senza la presenza dei partiti, per quanti difetti essi potessero avere. Il legame tra La Malfa ed il suo partito, quello repubblicano è saldissimo, tanto più saldo e radicato per il fatto che egli approda al Pri, dopo il travaglio e la dissoluzione delle file azioniste.
Ripercorrendo la vicenda storica di Ugo La Malfa, la sua figura politica appare inscritta nell’alveo del governo repubblicano ed è di esempio per tutti coloro che vogliono trarre ispirazione da un eccezionale servitore dello Stato democratico.
In questo senso è bene che guardino a lui coloro che provengono da esperienze ideali e politiche diverse e confrontino il loro patrimonio con quello che La Malfa rappresentava. Ma solo attraverso il Pri si caratterizza la piena identità politica di La Malfa e non c’è altro partito che possa rappresentarne integralmente la memoria e l’eredità. Un’eventuale scomparsa del partito repubblicano, l’esaurimento della sua funzione storica, avrebbe comportato una sconfitta insormontabile per l’opera di La Malfa, così come la scomparsa del Pci ha significato la sconfitta storica di Togliatti. Coloro che hanno voluto mantenere vivo il partito repubblicano in questi anni di trasformazioni profonde e si sono battuti per assicurargli una continuità, hanno anche cercato una risposta ad un problema di eredità politica più complessivo.
Ugo La Malfa, più di altri leader importanti della tradizione repubblicana, può essere ricordato come un sostenitore della modernizzazione economica, dell’integrazione europea, e dei vincoli occidentali dell’Italia. Quindi gli può essere attribuita un’attualità e una forza che lo collocano ben oltre i limiti della semplice struttura partitica. Ma la nostra esigenza non è solo quella di ricordare La Malfa. I repubblicani dopo La Malfa si sono chiesti come possano mantenere i suoi tratti essenziali e caratteristici nel dibattito politico italiano perché non tutti hanno avuto a disposizione un patrimonio di tale vivacità e ricchezza intellettuale da investire nel nostro tempo..
Basta sfogliare gli inediti pubblicati dalla Fondazione La Malfa, e gettare l’occhio su un appunto, un discorso, un fondo della voce, ci si accorge subito di una riflessione politica originalissima. Ma questa elaborazione così eccezionale, incapace di una sola battuta banale, pronta a cogliere e rendere percepibile quello che spesso non si riesce nemmeno a d immaginare, l’ abbiamo respirata nell’aria troppo a lungo per poter pensare di vivere domani in una casa in cui essa sia mancata del tutto.
Poi, nulla vogliamo togliere al tentativo di chi, in altre forze politiche, ha voluto offrire un suo spontaneo tributo al ricordo del nostro leader più amato. Ma a ben pensarci, questo ha più a che fare, se vogliamo essere benevoli, con la casistica della vita sentimentale, piuttosto che con la battaglia politica.

nuvolarossa
21-05-03, 18:20
Il ricordo.
Dagli anni del fascismo a quelli della ricostruzione del dopoguerra

La lezione di La Malfa

Un uomo politico lungimirante che seppe precorrere i tempi

di Valeriano Ghisleri

A cent’anni dalla nascita, Palermo 16 maggio 1903, l’Italia democratica paga il suo debito riparatore a Ugo La Malfa, insigne statista e, nel contempo, un uomo scomodo, qualche volta anche solo e frainteso. Lo chiamavano ‘Cassandra’ perché prevedeva, spesso a ragione, sventure finanziarie e chiedeva perciò adeguati tagli al bilancio, strette di cinghia, sacrifici, lacrime. Adesso, studiosi, storici e politici lo ricorderanno con una serie di solenni celebrazioni da Palermo a Roma. I miei incontri con La Malfa? Molti e, indimenticabili. Lo conobbi a Bergamo, nell’immediato dopoguerra, al Teatro Duse. Il giornale per il quale lavoravo mi aveva mandato per un servizio. La Malfa parlò davanti a una platea semideserta. A cose finite, qualche raro applauso, qualche stretta di mano da una parte dei... quattro gatti che l’avevano ascoltato.

Con lui, solo, mi recai alla stazione ferroviaria: voleva ripartire subito per Milano. Poi, dietro alle mie insistenze, decise di rimandare la partenza per un paio d’ore. Consumammo un rapido pasto al ristorante piemontese, vicinissimo all’Eco di Bergamo e alla stazione. Durante il pranzo il lieto conversare con La Malfa cadde «sulla straordinaria attualità del pensiero di Arcangelo Ghisleri», in particolare per quanto concerneva il federalismo. Mi rammentò che Ernesto Rossi, il famoso antifascista, giornalista, autore de ‘I padroni del vapore’, collaboratore del settimanale ‘Il Mondo’ diretto da Mario Pannunzio, appena uscito dal carcere, gli diceva: «... Ugo, se non avessimo incontrato Arcangelo saremmo diventati tutti fascisti...».Mentre risiedevo a Livorno, nella sede del Partito Repubblicano, nel corso di una riunione giunse Ugo La Malfa il quale dopo avermi abbracciato mi disse che condivideva ‘toto corde’ un mio breve scritto pubblicato su ‘La Voce Repubblicana’ di Roma. Altro incontro con La Malfa a Firenze, anno 1966, in occasione del Congresso Nazionale del Partito Repubblicano Italiano. Ugo La Malfa in compagnia di Alberto Sensini, responsabile della redazione romana de Il Corriere della Sera . Con Sensini ero in rapporti di cordialità e, quando mi vide, lo disse a La Malfa, già con seri problemi agli occhi. La Malfa mi chiamò: «Ghisleri, degnati di avvicinarti a questo avanzo di galera». I lavori del congresso riprendevano alle ore 16. Andammo a pranzo in una modesta trattoria di via del Proconsole, alle Mozzacce. La Malfa mi ricordò i tempi in cui lavorava con Giovanni Gentile alla Treccani. Mi disse che Gentile aveva una specie di venerazione per Arcangelo Ghisleri, per la sua statura morale, perché precorse i tempi: in tutte le questioni che agitavano la politica italiana, Ghisleri c’era sempre, magari di traverso, com’era nel suo temperamento di uomo scomodo alle maggioranze... La Malfa mi accennò anche ad uno scambio di lettere intercorse tra mio nonno e il grande filosofo. Gentile era al corrente delle precarie condizioni economiche in cui viveva il mio congiunto. Voleva aiutarlo, silenziosamente, senza chiedergli una contropartita. Non ho mai visto queste lettere, so con certezza che sono conservate alla raccolta civica del ‘Museo Risorgimento’ di Milano e alla ‘Domus Mazziniana’ di Pisa. Ghisleri muore nel 1938, in sorveglianza speciale perché irriducibile antifascista. La Malfa mi disse che l’assassinio di Gentile, gennaio 1944 a Firenze, ad opera dei G.a.p. (gruppi armati partigiani) è stato un delitto che ha disonorato la Resistenza italiana, una colpa indelebile, senza attenuanti. Randolfo Pacciardi, con il quale ero in rapporti di amicizia intima, mi voleva deputato nella circoscrizione Livorno-Pisa-Massa Carrara, e, per la mia rinuncia alla candidatura, mi ricoprì di affettuosi insulti per aver fatto perdere voti al P.r.i.; mi disse che «l’assassinio di Gentile era stato un delitto contro l’Italia». Chi non ricorda la battaglia di La Malfa ingaggiata con i socialisti contro la nazionalizzazione dell’energia elettrica? Una vita intensa, vissuta tra speranze, dubbi e grandi intuizioni. Riformista quando non era di moda esserlo, europeista quando sembrava una cosa un po’ strana, filoamericano quando era una cosa quasi sconveniente. La Malfa all’improvviso, il 26 marzo 1979, mentre era vicepresidente del Consiglio e Ministro del Bilancio. Modesto, quasi spartano, a Roma abitava in una casa semplice e disadorna. Conservo l’emozionante editoriale di Indro Montanelli su Il Giornale: «Forza, Ugo!» pubblicato poche ore prima della morte.

nuvolarossa
21-05-03, 23:48
Ugo La Malfa

di Antonio Del Pennino

Poche personalità hanno influito sui processi politici del primo trentennio di vita repubblicana come Ugo La Malfa.

Pur rappresentando una forza di assoluta minoranza, La Malfa fu il punto di riferimento di un più vasto mondo laico, riformatore e liberale sul quale esercitò una grande autorità morale.

Fu lui stesso a rivendicare orgogliosamente questo ruolo al Congresso del PRI di Roma del 1965, che segnò la sua assunzione formale della guida del partito, quando ricordò ai repubblicani che nella sua coscienza c'erano sì la battaglia di Ghisleri, Mazzini e Cattaneo, ma c'erano anche quelle di Salvemini, Amendola e Gobetti.

Ma La Malfa era perfettamente consapevole che, pur interpretando una grande tradizione politico-culturale, nel dopoguerra questa scuola di pensiero doveva fare i conti con i grandi partiti di massa, la DC e il PCI, anche se egli li considerava inadeguati a dare una risposta moderna ai problemi della società italiana.

La grande influenza che egli esercitò dipese proprio dalla sua capacità di indicare soluzioni per sciogliere i nodi di fondo che condizionavano lo sviluppo del Paese, e al contempo dal fatto che non perse mai di vista il problema di come garantire gli equilibri politici complessivi in un sistema fragile, in cui mancava la piena adesione di tutti i partiti ai principi fondamentali di uno Stato liberaldemocratico.

Le grandi scelte di schieramento che lo hanno avuto protagonista, dal centrismo al centrosinistra, alla solidarietà nazionale e alla rottura e al superamento della stessa, furono da lui viste come momenti attraverso i quali garantire il consolidamento dello Stato democratico non meno che come strumento per impostare una politica economica adeguata per una moderna società industriale.

La garanzia dell'equilibrio democratico complessivo, peraltro, era per La Malfa strettamente legata alle scelte di politica estera. Ed anche le condizioni dello sviluppo dipendevano, nella sua visione, dalla sicura collocazione occidentale del Paese.

La scelta per la collaborazione con la Democrazia Cristiana nei governi centristi, fatta superando le resistenze "isolazioniste" di alcuni settori tradizionali del PRI, fu proprio ispirata alla consapevolezza che solo la collocazione europea ed atlantica e gli aiuti del Piano Marshall potevano avviare il Paese sulla strada della ricostruzione post-bellica.

La battaglia per il centrosinistra fu dovuta, oltre che all'esigenza di allargare i consensi alle istituzioni democratiche che la svolta autonomista del PSI e i suoi nuovi orientamenti di politica estera consentivano, anche dalla necessità di avviare con la programmazione una politica dei redditi, da lui proposta nella famosa Nota Aggiuntiva che presentò come Ministro del Bilancio del primo Governo di centrosinistra.

L'adesione alla politica di solidarietà nazionale nacque nella speranza di utilizzare la vocazione berlingueriana all'austerità per impostare una politica di rigore nella spesa pubblica, a fronte delle tendenze corporative e clientelari che erano emerse nell'ultima fase del centrosinistra, ma anche per il mutato atteggiamento del PCI nei confronti dell'Alleanza Atlantica. E la rottura della solidarietà nazionale fu di fatto provocata da lui, quando impose l'immediata adesione al SME contro l'opposizione del Partito Comunista Italiano.

Collocazione atlantica ed europea del Paese, rafforzamento delle istituzioni democratiche e loro difesa dagli attacchi terroristici, politica economica di rigore e di sviluppo hanno rappresentato, dunque, le costanti che hanno contrassegnato la lunga battaglia politica di Ugo La Malfa.

nuvolarossa
21-05-03, 23:50
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Ugo La Malfa/Siddi: informazione e parlamento pilastri democrazia

Presidente FNSI in un messaggio a Pier Ferdinando Casini

''Parlamento ed informazione sono le gambe su cui cammina la democrazia, di cui sono pilastri essenziali''. E' un passaggio del messaggio che il presidente della Fnsi Franco Siddi ha inviato al presidente della Camera Pier Ferdinando Casini in occasione della cerimonia a Montecitorio per il centenario di Ugo La Malfa. Siddi, che per impegni sindacali non potra' essere presente alla commemorazione, sottolinea che ''il rigore intellettuale e morale, la capacita' di comprendere e rispettare le diversita' di Ugo La Malfa, entro una coerente visione della democrazia e della liberta' dell'uomo e del cittadino rappresentano una lezione di alto valore che vive''. Partendo da questo esempio, ''e' importante - ha affermato il presidente della Fnsi - che le nostre Istituzioni abbiano a cuore le nostre memorie e sappiano attingere con intelligenza, anche in tempi di politica difficile, alle radici del pluralismo culturale e politico della nostra democrazia''.

nuvolarossa
21-05-03, 23:53
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Ugo La Malfa: Casini ricorda il "Democratico senza aggettivi"

Fu uomo di partito, ma mai uomo di parte

Ricordare Ugo La Malfa, a cento anni dalla sua nascita, "non è solo il doveroso tributo alla memoria di uno dei padri della Repubblica", ma è anche l'occasione "per riannodare le fila della vicenda storica nazionale" nell'ottica di una personalità che ha testimoniato "la nobiltà della politica come passione civile e come impulso alla trasformazione della società". Pier Ferdinando Casini indugia tra esperienza passata e potenzialità futura della Repubblica nel corso della commemorazione del centenario della nascita di La Malfa e, in una sala della Lupa gremita di personalità (tra queste, su tutte, il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi) ne stigmatizza la "lungimiranza e la modernità" del pensiero. "Democratico senza aggettivi", lo definisce il presidente della Camera, sottolineando che La Malfa fu, "per tutta la vita, fedele all'intuizione amendoliana di dare una casa politica ai ceti medi che avevano a cuore l'integrazione nazionale delle masse" nella prospettiva "dell'avanzamento morale e materiale della collettività". Fu "uomo di partito - spiega Casini - ma mai uomo di parte. Fu ben consapevole anche delle difficoltà della vita di partito, come dimostrò quando si assunse immediatamente - in prima persona ed a testa alta - ogni addebito circa il finanziamento illecito dei partiti, dando una prova non trascurabile di assunzione di responsabilità ferma e serena". Fece cioè "i conti con il costo della politica" senza mai "sacrificare le sue idee" nè scendendo "a compromessi di sorta".

"Ispirazione etica e impietoso realismo" furono saldate da La Malfa nei suoi comportamenti e decisioni politiche. Due componenti, ha spiegato ancora Casini, che "lo hanno condotto sempre a rivendicare il primato di una politica delle formule e delle cose", in cui cioè, "la logica degli schieramenti fosse sempre funzionale alla logica dei contenuti".

nuvolarossa
21-05-03, 23:54
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Ugo La Malfa/Casini: riannodare fila vicenda storica nazionale

"Democratico, senza altri aggettivi" – Commemorazione con Ciampi e Pera

''Un democratico, senza altri aggettivi''. Il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini commemora nella Sala della Lupa -alla presenza fra gli altri del capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi e del presidente del Senato Marcello Pera- la figura di Ugo La Malfa, nel centenario della sua nascita. ''Ricordarlo -sottolinea subito Casini- non e' soltanto il doveroso tributo alla memoria di uno dei padri della Repubblica. E' soprattutto l'occasione per riannodare le fila della vicenda storica nazionale''.

Ugo La Malfa ''fu uomo di partito, sostenitore della democrazia dei partiti. Ma mai uomo di parte'', ricorda ancora Casini, non dimenticando di osservare che ''fu ben consapevole anche delle difficolta' della vita di partito, come dimostro' quando si assunse immediatamente, in prima persona e a testa alta, ogni addebito circa il finanziamento illecito dei partiti, dando una prova non trascurabile di assunzione di responsabilita' ferma e serena'', che ''nasceva dalla limpida coscienza di aver dovuto fare i conti con il costo della politica ma di non aver mai sacrificato le sue idee ne' accettato compromissioni di sorta''. Il leader storico del Pri, che prima milito' nell'Unione democratica nazionale e poi nel partito d'Azione, ''ha contribuito a determinare le scelte decisive dell'Italia repubblicana'' testimoniando ''la nobilta' della politica come passione civile e come impulso alla trasformazione della societa', saldando una profonda ispirazione etica e un impietoso realismo. Queste due componenti -spiega Casini- lo hanno condotto sempre a rivendicare il primato di una politica al tempo stesso delle formule e delle cose, in cui cioe' la logica degli schieramenti fosse sempre funzionale alla logica dei contenuti''.

Il capitalismo, per La Malfa, era un mezzo piu' che un fine: ''il problema -osserva il presidente della Camera- era la ricerca di un nesso tra sviluppo civile e sviluppo economico. Politica ed economia si intrecciano indissolubilmente nel pensiero e nell'azione di Ugo La Malfa'', che ''concepiva il governo della cosa pubblica come una responsabilita' indivisibile di tutta la classe politica''. E ''in ogni stagione storica, in ogni formula politica'', dal centrismo al centrosinistra fino alla solidarieta' nazionale, ''il punto fermo era costituito dall'ancoraggio euro-atlantico''. La sua ''morte sul campo'', ricorda ancora Casini, ''parve concedergli una popolarita' e una considerazione di cui la pubblica opinione gli era stata in vita alquanto avara''. Dopo un quarto di secolo, ''in un quadro politico pur cosi' profondamente modificato, ritroviamo intatta l'attualita' non solo della sua ispirazione ideale, ma anche delle sue indicazioni programmatiche. Ugo La Malfa -conclude il presidente della Camera- e' e sara' sempre, per tutta la classe politica, un luminoso esempio di rigore e di coerenza, di passione e di concretezza, che lo preservavano dalle facili tentazioni della popolarita' e dalle lusinghe del potere per il potere''.
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nuvolarossa
22-05-03, 23:48
Discorso pronunciato dal segretario nazionale del Pri Francesco Nucara alla celebrazione del centenario della nascita di Ugo La Malfa


Palermo/Palazzo dei Normanni 16 maggio 2003

L’eredità di Ugo La Malfa

Signori e Signore, Autorità,

come potete immaginare, è un onore per me partecipare al ricordo di Ugo La Malfa nel Centenario della sua nascita. Vi parlo in qualità di Segretario Nazionale del Partito di cui La Malfa incarnò in maniera totale lo spirito e la ragion d’essere, ma vi parlo anche come Francesco Nucara, giacché il ricordo del politico La Malfa si fonde nel mio pensiero col ricordo personale dell’uomo La Malfa, in un unico sentimento carico di ammirazione, riconoscenza e fedeltà.

In una lettera a Indro Montanelli del 7 ottobre 1978, La Malfa scriveva: "Sono nato in Sicilia, cioè in una delle terre depresse di quel Mezzogiorno del quale quasi ogni giorno questa democrazia continua a parlare senza pressoché nulla concludere. E di quella depressione ho vissuto da giovane tutti i drammatici aspetti, i sacrifici, le sofferenze, gli sforzi di sopravvivenza che essa comporta. Una condizione che, dal punto di vista intellettuale e morale, prima che materiale, mi avrebbe potuto portare a prendere una posizione politica estrema. Invece scelsi di lottare per la democrazia".

In queste parole trovo racchiusa non solo l’essenza dell'incomparabile personalità politica di Ugo La Malfa, sempre tesa all’interpretazione realistica, prima che ideologica, della situazione a lui contemporanea; ma anche l'onestà intellettuale di un uomo che reagì con estrema intelligenza e con grande forza di carattere all'esperienza di mortificazione che il sottosviluppo ha inflitto a tanti meridionali. Era un siciliano che andava fiero delle proprie origini ma che aborriva ogni pericolosa vocazione mediterranea e terzomondista, poiché convinto che l'unica possibilità di riscatto per l'Italia era guardare al modello delle grandi democrazie occidentali. Un siciliano europeo, possiamo definirlo a ragione, che tanto ha fatto per risollevare il Meridione dalla sua cronica depressione.

Nelle diverse battaglie che impegnarono Ugo La Malfa si può individuare una costante che lo rende non solo personaggio politico di raro spessore, ma uno dei pilastri fondanti della storia del nostro paese: in ogni momento e in ogni fase del suo percorso politico, egli aveva ben presenti gli interessi dell’Italia e la necessità della sua partecipazione al processo di integrazione europea e della sua collocazione a pieno titolo tra le democrazie occidentali. Straordinariamente adattabili alla realtà attuale del Partito Repubblicano sono le parole che La Malfa pronunciò al XXXIII Congresso Nazionale, nel giugno del 1978: "C’è stato un filo invisibile, un modo di vedere i problemi di fondo della nostra società, di capire che cosa bisogna fare quando una crisi è arrivata dove è arrivata la crisi italiana. È chiaro che bisogna fare un grande appello, direi al patriottismo di tutti i partiti, al senso di devozione alla ragione suprema del Paese. Perché, amici repubblicani, non abbiamo proposto uno schieramento a prescindere dai contenuti che vogliamo dare a una politica. Sempre ci è stata presente la sorte del Paese, non il PCI e il Partito Socialista o il PRI, ma le forze politiche che devono dedicarsi a salvare il Paese".

Questa è la grande consegna che Ugo La Malfa ci ha affidato, e che noi intendiamo portare avanti con coerenza e tenacia. E in questa consegna risulta evidente il prezioso esempio di un politico ricco di profondi ideali ma allo stesso tempo sempre pronto a sperimentare, a non accontentarsi dei risultati ottenuti, perseguendo con sana curiosità e con orgoglio, una concezione della politica come sistema aperto, spinto da un moto perpetuo, alla ricerca continua di equilibri validi e adeguati alle esigenze materiali del proprio paese.

Cercare di immaginare quale sarebbe stata l'opinione di Ugo La Malfa riguardo ad alcune delle questioni che hanno impegnato il dibattito politico dei tempi più recenti è inevitabile, poiché stiamo parlando di un grande maestro di politica sempre presente nei nostri pensieri, e, se da un lato si potrebbe giudicare come mera speculazione, ci accorgiamo che si tratta di un esercizio tutt'affatto sterile, coma la polemica sull'infruttuosa dicotomia pacifismo/americanismo.

Il suo laicismo intenso e ragionato lo distingueva anche nel suo atteggiamento rispetto alla nobile tradizione di cui il Partito Repubblicano pur rappresentava il proseguimento, e che veniva spesso ritenuta una delle ragioni che permettevano al PRI di avere voce in capitolo all'interno della scena politica italiana, nonostante le dimensioni assai modeste rispetto a quelle dei partiti di massa.

A ventiquattro anni di distanza dalla sua scomparsa, nel rileggere gli scritti e nel ricordare il pensiero politico di Ugo La Malfa, notiamo l’incredibile attualità di molte sue considerazioni e possiamo affermare con certezza che tutti i suoi insegnamenti mantengono intatta la loro forza, quella forza che ha consentito al Partito Repubblicano, che di Ugo La Malfa custodisce l’eredità politica e morale, di sopravvivere a sconvolgimenti epocali come quelli che hanno segnato la scena italiana nell’ultimo ventennio.

Molti degli obiettivi per i quali La Malfa si è battuto, a volte in solitudine, ma senza mai perdere la grinta e la determinazione che facevano di lui un vero paladino di cause giuste ed essenziali al miglioramento sociale ed economico dell’Italia, si confermano tutt’oggi validi. L’antico sogno repubblicano di un’Italia integrata in un sistema europeo organico si sta lentamente realizzando. Altre, tra le battaglie lamalfiane, sono ancora da portare a termine, nonostante sia passato tanto tempo: pensiamo al progetto di uno sviluppo omogeneo e diffuso, al problema della piena occupazione, alla maturazione di una società profondamente laica e al risultato cui tutti questi traguardi avrebbero portato, ovvero il sogno ultimo di Ugo La Malfa: la costruzione di una democrazia che abbia davvero tutte le caratteristiche per esser degna di essere definita tale.

Quando vidi per la prima volta Ugo La Malfa avevo ventitrè anni, mi folgorò la sua fermezza, la sua convinzione nella battaglia repubblicana. Fu in occasione di un dibattito al teatro Eliseo di Roma, con Riccardo Lombardi, Guido Calogero e altri. Ricordo l'asciuttezza, la linearità e l'estrema comprensibilità del suo linguaggio, un linguaggio che aderiva completamente ai contenuti che enunciava, che non lasciava spazio alcuno alle divagazioni demagogiche o ai vizi della retorica politica.

Due sono i principali motivi che mi hanno unito e mi uniscono tuttora a lui. Da un lato le comuni radici meridionali, con il bagaglio culturale e d’esperienza che esse comportano (e anche per questo sono particolarmente felice che questa celebrazione avvenga a Palermo, città natale di La Malfa e città rappresentativa, suo malgrado, di un Mezzogiorno ancora gravato da problemi di sviluppo).

Dall’altro lato, mi unisce a Ugo La Malfa la ferma convinzione che il pragmatismo e la concretezza d’azione siano l’unica soluzione per migliorare lo stato delle cose nel nostro paese. Lontano dagli ideologismi e dall’ottusità di aprioristiche prese di posizione, il pensiero e l’azione – questo è uno dei grandi insegnamenti che Ugo La Malfa ci ha lasciato – devono procedere di pari passo, legati da una salda coerenza, senza mai perdere di vista gli obiettivi concreti delle battaglie che si intraprendono.

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nuvolarossa
22-05-03, 23:59
Intervento del Presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini

(Camera dei Deputati-Sala della Lupa, Roma 20 maggio 2003)

Desidero in primo luogo ringraziare il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che ci onora della Sua presenza. Rivolgo un cordiale saluto al Presidente del Senato, Marcello Pera, ai rappresentanti del Governo e della Corte Costituzionale ed alle altre autorità convenute.

Un particolare pensiero rivolgo al figlio di Ugo La Malfa, Giorgio, nostro collega in Parlamento ed a lungo protagonista della vita politica del nostro Paese nel solco della tradizione repubblicana.

Ricordare presso la Camera dei deputati Ugo La Malfa a cento anni dalla nascita non è soltanto il doveroso tributo alla memoria di uno dei padri della Repubblica, protagonista nell’Aula di Montecitorio per sette legislature dopo aver fatto parte sia della Consulta nazionale che dell’Assemblea costituente.

E’ soprattutto l’occasione per riannodare le fila della vicenda storica nazionale, nell’ottica di una personalità che ha contribuito a determinare le scelte decisive dell’Italia repubblicana ed ha testimoniato la nobiltà della politica come passione civile e come impulso alla trasformazione della società.

L’alto senso della responsabilità dei "reggitori dello Stato" nei confronti dei cittadini – da ultimo riaffermato drammaticamente il giorno del sequestro Moro – si univa in lui alla consapevolezza, ma anche alla fiducia, nelle grandi potenzialità della politica per la modernizzazione del Paese e per il progresso individuale e collettivo.

Sulla scia di Giovanni Amendola, ma anche di Benedetto Croce e di Gaetano Salvemini, Ugo La Malfa ha saputo saldare forse più di ogni altro esponente della generazione dell’antifascismo una profonda ispirazione etica ed un impietoso realismo. Queste due componenti lo hanno condotto sempre a rivendicare il primato di una politica al tempo stesso delle formule e delle cose, in cui cioè la logica degli schieramenti fosse sempre funzionale alla logica dei contenuti.

La sua vocazione alla politica non nacque, infatti, all’interno di un’opzione ideologica oppure classista, ma dalla personale esperienza dell’arretratezza di un Paese che - a sessant’anni dall’unificazione - non era ancora diventato una patria comune, dall’urgenza della lotta per la libertà di contro alla dittatura mussoliniana, dall’aspirazione a fare dell’Italia una nazione europea come sola alternativa per la fuoriuscita dal sottosviluppo.

Democratico senza altri aggettivi, per tutta la vita La Malfa fu fedele all’intuizione amendoliana - purtroppo tardiva nei confronti dell’incipiente regime fascista, ma non per questo meno feconda - di dare una casa politica ai ceti medi che avevano a cuore l’integrazione nazionale delle masse, nella prospettiva dell’avanzamento morale e materiale della collettività.

Fu quindi uomo di partito, ed anzi sostenitore della democrazia dei partiti, ma mai uomo di parte. Fu ben consapevole anche delle difficoltà della vita di partito, come dimostrò quando si assunse immediatamente - in prima persona ed a testa alta - ogni addebito circa il finanziamento illecito dei partiti, dando una prova non trascurabile di assunzione di responsabilità ferma e serena. Essa nasceva dalla limpida coscienza di aver dovuto fare i conti con il costo della politica, ma di non aver mai sacrificato le sue idee né accettato compromissioni di sorta.

La sua casa politica La Malfa aveva dapprima cercato di realizzarla nel Partito d’Azione, alla caduta del fascismo, ma il tentativo era fallito nonostante il coraggio e la generosità del suo impegno, condiviso con il fraterno amico Adolfo Tino, a causa dell’esplosione delle contraddizioni tra le diverse anime di quella formazione.

Seppe invece innestarla, assieme ad Oronzo Reale, Michele Cifarelli e Bruno Visentini, al tronco mazziniano e cattaneano del Partito repubblicano, cui aderì all’indomani dell’elezione alla Costituente ed a cui successivamente condusse anche buona parte degli amici del "Mondo" di Mario Pannunzio, a cominciare da Francesco Compagna per finire con Giovanni Spadolini.

Del Partito repubblicano divenne presto esponente di spicco e poi leader indiscusso, mettendone a frutto la natura interclassista riconosciuta dallo stesso Togliatti e facendone la "coscienza critica" della vita politica italiana per circa un trentennio.

Il problema dell’Italia in generale, e del suo Mezzogiorno in particolare, era infatti lucidamente presente a La Malfa. Era il problema della ricerca di un nesso tra sviluppo civile e sviluppo economico, per instaurare un circolo virtuoso tra accumulazione e redistribuzione della ricchezza che sostituisse il circolo vizioso tra clientelismo politico e rendita parassitaria.

L’approfondimento della dimensione economica, passando anche attraverso la conoscenza del new deal roosveltiano, gli aveva conferito del resto una strumentazione di analisi della realtà italiana ed un bagaglio di soluzioni teoriche che lo resero sempre un politico sui generis, che pure non nutriva alcuna indulgenza verso la formula del governo dei tecnici.

Nella sua visione della politica economica - che non concesse mai spazio né alle suggestioni di stampo sovietico oppure jugoslavo né alle illusioni della terza via - il capitalismo assumeva comunque la natura di mezzo e non di fine. Il sistema collaudato di produzione della ricchezza in virtù della libera intrapresa avrebbe infatti consentito la realizzazione della democrazia, e cioè dell'"ordinamento in cui le genti attraverso l’opera dello Stato trovano via di miglioramento e di progresso".

Politica ed economia si intrecciano quindi indissolubilmente nel pensiero e nell’azione di Ugo La Malfa nelle diverse fasi storiche dell’Italia repubblicana, che egli visse sempre come uomo delle istituzioni, indipendentemente dal fatto che fosse o meno membro della compagine ministeriale: egli concepiva il governo della cosa pubblica come una responsabilità indivisibile di tutta la classe politica.

La stagione del centrismo gli consentì di ricollocare l’Italia nell’economia internazionale con la liberalizzazione degli scambi - grazie alla fiducia di De Gasperi e nonostante le resistenze del mondo industriale, aduso al protezionismo di Stato - nonché di partecipare alla definizione della politica meridionalistica e dell’intervento straordinario che avrebbe dovuto finalmente "inserire il Mezzogiorno nell’Occidente".

La svolta del centro-sinistra, di cui fu tenace assertore, era vissuta da La Malfa innanzitutto come il quadro politico che, acquisendo la componente socialista e riequilibrando a sinistra l’asse di governo, avrebbe potuto avviare il metodo della programmazione economica sulla base del coinvolgimento delle parti sociali. Era la chiave per consolidare i risultati degli anni del "boom", correggendone insieme le distorsioni ed allargandone la sfera dei beneficiari.

La politica di solidarietà nazionale – con l’apertura ai comunisti sulla base del riconoscimento dell’ineluttabilità del compromesso storico – avrebbe dovuto salvare il Paese dall’emergenza dell’inflazione a due cifre, cui si accompagnava la minaccia terroristica. Si trattava di creare le condizioni per la stipula di un patto sociale cui affidare la sospirata politica dei redditi, che il centro-sinistra si era dimostrato incapace di realizzare.

In ogni stagione storica, in ogni formula politica che La Malfa ebbe instancabilmente a tessere, dialogando direttamente - a dispetto della ridotta forza numerica del suo partito - con interlocutori che erano di volta in volta Nenni o Saragat, Fanfani o Moro, Amendola o Berlinguer, il punto fermo era però sempre costituito dall’ancoraggio euro-atlantico.

Sin dal marzo del 1949 egli aveva sostenuto alla Camera l’adesione alla NATO come strumento necessario per partecipare alla nascita dell’Europa unita. Egli sentiva fortemente la necessità di "aggrappare l’Italia alle Alpi" per scontare il "peccato originale" dell’arretratezza del Paese ed inserirlo pienamente nel campo dell’Occidente democratico.

Tale preoccupazione si accentuò ovviamente nella crisi degli anni Settanta. In quegli anni sembrò a La Malfa che stessero venendo meno le fondamenta stesse dello Stato repubblicano democratico che la sua generazione aveva costruito dalle macerie del fascismo e della guerra mondiale. L’intervista sul non-governo, rilasciata ad Alberto Ronchey nel 1977, si chiude all’insegna dell’amarezza: "Ora osservo che non c’è quell’Italia che avevamo in mente".

Ancor più accorato è il tono del suo discorso al 33° Congresso del PRI, nel giugno 1978, all’indomani del delitto Moro: "Se dovesse accadere qualche cosa di grosso che mettesse in forse l’avvenire del nostro Paese, che lo sprofondasse in una maggiore crisi, che mettesse in forse la sua libertà ed indipendenza internazionale – a questo ho sempre guardato e per questo non voglio un partito staliniano nel mio Paese – ebbene, se in quel momento io avrò un briciolo di forza, lo metterò al servizio del mio Paese e del PRI".

La Malfa tenne fede a quell’impegno solenne ed in quello che fu l’ultimo anno della sua vita non si risparmiò, gettandosi nuovamente nella mischia politica in prima persona.

Fu determinante nell’elezione di Sandro Pertini alla Presidenza della Repubblica e poi nell’imporre l’immediato ingresso dell’Italia nel Sistema monetario europeo, per assicurare al suo Paese l’estrema garanzia della stabilità politica ed economica. Si spese quindi con entusiasmo sia da Presidente del Consiglio incaricato sia da Vicepresidente del Consiglio, sino al giorno della sua fine, il 26 marzo 1979, nel tentativo dapprima di raccogliere i cocci della politica di unità nazionale e quindi di traghettare il sistema politico verso nuovi equilibri.

La sua morte sul campo – l’amico Leo Valiani lo commemorò nella gremitissima piazza di Montecitorio – parve concedergli sinanco una popolarità ed una considerazione di cui la pubblica opinione gli era stata in vita alquanto avara.

A ventiquattro anni di distanza, in un quadro politico pur così profondamente modificato, ritroviamo intatta l’attualità non solo della sua ispirazione ideale, ma anche delle sue indicazioni programmatiche.

Alcune di esse hanno solo successivamente avuto applicazione - a conferma della modernità delle sue vedute - e sono diventate patrimonio comune della vita pubblica. Mi riferisco al liberoscambismo, alla politica dei redditi, alla distinzione tra la sfera della politica e quella dell’amministrazione, al nesso tra vita civile e vita produttiva nel Mezzogiorno, ma anche alla moneta unica europea ed alla salda collocazione occidentale del Paese.

Ugo La Malfa è poi e sarà sempre per tutta la classe politica un luminoso esempio di rigore e di coerenza, ed al tempo stesso di passione e di concretezza. L’anti-retorica innata nella sua sicilianità si univa ad una profonda e lungimirante consapevolezza della funzione direttiva della politica, che lo preservava dalle facili tentazioni della popolarità e dalle lusinghe del potere per il potere.

Amava infatti ripetere di essere alla ricerca non del consenso dell’oggi o del domani, ma di quello del dopodomani. E’ questa la cifra del suo "amore secolare" per l’Italia.

tratto dal sito dell’Edera
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nuvolarossa
23-05-03, 00:05
Discorso pronunciato dal Presidente del Senato Marcello Pera alla celebrazione del centenario della nascita di Ugo La Malfa

Palermo, 16 maggio 2003

"Quell'Italia che avevamo in mente"

La lezione di Ugo La Malfa

1. Il bilancio di se stesso

Gli episodi e gli incontri decisivi che caratterizzarono la vita di Ugo La Malfa li sintetizzò lui stesso ad Alberto Ronchey in un libro-intervista del 1977 (Intervista sul non governo). Disse La Malfa:

Rivivo la mia vita come guardando un lungo film. La giovinezza difficile in un'isola deserta. L’evasione verso il Nord, Ca’ Foscari, l’antifascismo e il fascismo a Venezia. L’incontro a Roma con Giovanni Amendola. L’Enciclopedia Treccani e il gruppo degli antifascisti. L’amicizia con Cattani, Fenoaltea, Gallo Granchelli, la casa di Ruini e gli incontri con De Ruggiero, Luigi Russo, Valgimigli. Il trasferimento a Milano e casa Mattioli, la fraterna amicizia con Adolfo Tino e poi, nella Comit, con Enrico Cuccia e Corrado Franzi. L’amicizia e la frequentazione continua di Ferruccio Parri, dei Damiani, di Bruno Quarta e di Morandi, della famiglia Bauer, di Ada Rossi. I viaggi a Roma, Napoli e Parrella. Uno straordinario viaggio con Mattioli, da Milano, attraverso Torino distrutta dai bombardamenti fino a Dogliani per vedere Einaudi. La costituzione del Partito d’Azione, l’uscita clandestina del primo numero dell’ "Italia libera" a Milano, Albertelli alle Fosse Ardeatine. La lotta contro la monarchia nel CLN. Il governo Parri e la scissione del Partito d’Azione. La milizia nel Partito repubblicano. I governi De Gasperi e le visite al "Mondo", il ricordo di Mario Pannunzio, la battaglia per il centro-sinistra e le delusioni. La crisi, i comunisti e il compromesso storico.

E poi, a chiusura, il bilancio: Alla fine una grande amarezza. Ora osservo che non c’è quell’Italia che avevamo in mente.

Una frase lapidaria che ne ricorda un’altra altrettanto lapidaria pronunciata da Giovanni Amendola - il più importante, forse, tra i padri spirituali e politici di Ugo La Malfa - all’epoca di Giolitti: "Questa Italia non ci piace".

Per ricordarlo come merita, dobbiamo partire da qui. Perché tanta amarezza in Ugo La Malfa? Perché neppure a lui, che pure ne era stato uno degli artefici e protagonisti, verso la fine della sua esistenza quell’Italia non piaceva? E questa Italia di oggi invece ci piace? È quella che avevano in mente e che ancora abbiamo in mente noi laici, repubblicani, liberisti, riformatori, occidentali, atlantici? E se non lo è, o non lo è pienamente, che cosa manca ancora? Perché a questo soprattutto serve la vita dei grandi uomini come La Malfa: ad essere metro di misura di ciò che loro hanno pensato e preparato e noi abbiamo realizzato.

Dico subito che a me il bilancio che La Malfa fece di se stesso sembra per alcuni aspetti importanti ingiusto e anche ingeneroso. Vi si riflettono due caratteristiche dell’uomo, l’intellettuale competente, e la persona moralmente rigorosa. Dal punto di vista dell’intellettuale competente soprattutto in questioni economiche e finanziarie com’era lui, non c’è dubbio che quanto realizzato fin verso la fine degli anni ‘70 non poteva essere del tutto soddisfacente. Quasi mai, del resto, ad un intellettuale autentico il reale sembra razionale. Ugualmente, dal punto di vista della persona dallo spiccato rigore morale, c’è ragione di pensare che la vita politica di quei tempi non potesse considerarsi esemplare. E anche qui, del resto, c’è da osservare che quasi mai ad un uomo rigoroso il reale sembra morale.

Il bilancio di La Malfa continua comunque ad essere ingeneroso soprattutto per quanto riguarda se stesso, non solo il suo impegno ma anche le realizzazioni che, grazie a quell’impegno, egli riuscì ad ottenere. Vedo tre voci in questo bilancio della sua vita, nessuna da segnare col rosso, anche se qualcuna da annotare a conferma della sua amarezza. Mi riferisco al periodo del dopoguerra e al centrismo, all’epoca del centro-sinistra, alla fase finale del compromesso storico.

2. L’occidentalizzazione dell’Italia

Dopo la giovanile esperienza nell’Unione Democratica Nazionale di Giovanni Amendola e quella nel Partito d'Azione, Ugo La Malfa fu l’unico, fra i "cavalli di razza" della diaspora azionista, a divenire leader autorevole di un partito nazionale, ancorché minoritario per struttura e direi anche per vocazione e deliberazione, per circa un ventennio. Il trapianto delle idee lamalfiane nel corpo ormai senescente del Pri erede di Mazzini e Cattaneo _ un residuo archeologico del Risorgimento democratico, sopravvissuto solo grazie ad alcuni forti radicamenti regionali _ si compì nel corso degli anni Cinquanta, non senza accesi contrasti.

È vero che il Pri, fra il 1945 e il 1946, aveva compiuto una scelta fondamentale, accantonando l’idea di una Repubblica intransigente, dalle tinte forti e radicali, a favore di una Repubblica "casa comune" di tutti gli italiani. E però, proprio questa scelta sollevava una delicata questione d’identità. I repubblicani storici, infatti, non avevano mai ragionato in termini di pura forma repubblicana: per loro, il governo del popolo non si esauriva nelle tipiche istituzioni democratiche e repubblicane, ma era uno strumento di sviluppo, di giustizia sociale, di trasformazione delle coscienze.

La Malfa portò la soluzione a questo problema di identità che era anche un problema di sopravvivenza. Egli mise in soffitta gli strumenti dell’arsenale ideologico post-risorgimentale - la Repubblica "etica", per l’appunto, o lo slogan "capitale e lavoro nelle stesse mani" -, e nel tentativo di gettare i fondamenti di una politica repubblicana in un’Italia che ormai aveva abbandonato l’ideologia repubblicana, si concentrò soprattutto su due obiettivi, che costituirono il suo costante quadro di riferimento: il libero mercato con la liberalizzazione degli scambi, accompagnata però da una notevole presenza dello Stato, e la democrazia politica. Il suo progetto dell’immediato dopoguerra, quando collaborò ai governi centristi di De Gasperi e si dissociò dai suoi compagni del Partito d’Azione, può forse essere riassunto nei "sette punti" che egli stesso aveva steso assieme ad Adolfo Tino per il primo numero di Italia libera del 1942. Così come furono riassunti dal biografo di La Malfa Sergio Telmon, essi erano:

1) Regime democratico e repubblicano.
2) Decentramento, regioni, intervento statale per le aree depresse.
3) Nazionalizzazione dei complessi monopolistici o di rilevante interesse collettivo.
4)Riforma agraria articolata.
5) Responsabilità e partecipazione dei sindacati nel processo economico.
6) Piena libertà di credenze e di culto, e separazione del potere civile da quello religioso.
7) Federazione europea di liberi paesi democratici nel quadro di una piú vasta collaborazione mondiale.

Essenziale, e pregiudiziale, per questo progetto, era una politica estera filo-occidentale, cioè atlantica e filoamericana. "Se l’America facesse davvero una politica imperialistica _ disse La Malfa intervenendo sul Patto Atlantico alla Camera il 14 marzo 1949 _ non consentirebbe la costituzione di un’unità europea, ma avrebbe tutto l’interesse di tenere questi Paesi in stato di disgregazione, di vederli vassalli, esercitando la propria influenza su ognuno di essi". Perciò il Pri fu il più consapevole alleato di De Gasperi nel comprendere la posta in gioco e, nel contempo, nell’evitare che l’emergenza anticomunista conducesse, per reazione o necessità, ad uno spostamento a destra della Dc e dell’intero baricentro della politica italiana.

Certo, fra il neo-liberalismo democratico di La Malfa e le idee dei "cavalli di razza" emergenti nella Dc, esistevano profonde differenze e divergenze. Con Gronchi, Dossetti e la sinistra democristiana, sulla politica estera e sociale. Con altri, su altri punti. Uomini come Fanfani avevano chiaro il ruolo del partito politico di massa e la necessità, per la Dc, di identificarsi con alcuni grandi "bacini elettorali" di riferimento, il pubblico impiego, i coltivatori diretti, così come analogamente il Pci con gli operai, i braccianti, i mezzadri. A La Malfa questo aspetto non interessava. Egli pensava al Pri come alla pattuglia di punta della modernizzazione del paese, e mirava a formare una cultura di governo liberal-democratica compiuta, coerente e consapevole.

Finché De Gasperi restò alla guida del governo, la convivenza fra le due "anime", laica e cattolica, fu possibile, e lo stesso statista siciliano definì la fase dal ‘49 al ‘53 _ quella della liberalizzazione degli scambi, del Patto Atlantico, della riforma Vanoni, della Cassa del Mezzogiorno _ come "la più costruttiva" all’interno della stagione centrista.

Con il 1953 le cose cambiarono. La sconfitta elettorale del maggioritario, che avrebbe dovuto contribuire a saldare l’alleanza vincitrice del 18 aprile 1948, ma anche gli strascichi polemici dell’applicazione della riforma agraria, che avevano messo a nudo la distanza fra l’impostazione modernizzatrice di La Malfa e gli obiettivi più politico-sociali della Dc, condussero ad una revisione del giudizio sul centrismo. Venuto meno De Gasperi, La Malfa vedeva consolidarsi una linea più conservatrice all’interno del mondo moderato italiano; e ciò mentre cresceva una "domanda" di governo da parte di una società civile ormai incamminata verso il "miracolo" economico.

3. La modernizzazione mancata

Il punto nodale, per lo statista siciliano, era sempre lo stesso: come garantire democrazia e modernizzazione? La sua risposta era: non con ipotesi d’improbabili palingenesi sociali, sostenute da altrettanto improbabili "riforme di struttura", che, come sosteneva ancora Riccardo Lombardi, avrebbero di per sé portato alla rivoluzione. La Malfa, piuttosto, vedeva concretamente una serie di interventi mirati, di sostegni alla produzione favoriti dal governo, corroborati da una politica di moderazione salariale perseguita dal sindacato. Le partecipazioni statali in questa prospettiva non erano concepite (come poi avvenne) come una "amministrazione ordinaria", bensì come un "organo politico", con "una segreteria tecnica e con l’Iri _ l’Iri di Menichella _ considerata quasi come un ministero". Sono parole sue, che rimandano ad un’interpretazione del ruolo pubblico più politico-tecnocratico che esplicitamente statalista.

Il paese doveva tornare a respirare e, per farlo, occorreva _ questa volta sì, mazzinianamente _ una nuova alleanza fra ceti produttivi che lo Stato doveva trovare il modo di garantire. Un’alleanza etico-politica, dal forte impulso morale: "per me la storia è fatta di energie morali", confessò La Malfa ad Alberto Ronchey.

Questo impulso morale prepotente sarebbe tornato a stimolarlo nel corso dei "mitici" anni Sessanta. Dalla seconda metà degli anni Cinquanta al 1963, la componente lamalfiana era stata esposta su due fronti. Da un lato, fuori dal governo, aveva intessuto un dialogo via via sempre più stretto con i socialisti di Nenni e Lombardi, con i socialdemocratici, le anime più avanzate della Dc e i gruppi intellettuali di area laica gravitanti intorno al radicalismo. Dall’altro, aveva ingaggiato una lotta furibonda all’interno del partito per spingere verso la sponda del centro-sinistra un movimento ancora in buona parte legato all’antisocialismo delle "radiose giornate" del maggio 1915. Anche questa battaglia politica si nutriva, però, come sempre in La Malfa, di un’acuta percezione delle condizioni economiche del paese.

In quel periodo, egli, con pochi altri (Saraceno, Sylos Labini, Fuà), si era reso conto che all’Italia si presentava l’opportunità storica di sciogliere forse per sempre il grande nodo irrisolto della nazione post-risorgimentale: lo squilibrio fra il Nord e il Mezzogiorno. Occorreva, per far questo, imporre un orientamento preciso al mercato interno, indirizzando verso i consumi collettivi _ infrastrutture, servizi, ecc. _ una quota rilevante del surplus che, attraverso i salari, fluiva invece verso il consumo privato delle famiglie. Ancora una volta, lo strumento adottato per far sentire la pressione dell’élite di governo era tipicamente intellettuale e tecnocratico _ la celeberrima Nota aggiuntiva del 1962. Ministro del Bilancio in quel governo Fanfani che toccò il vertice della politica riformatrice del periodo _ la nazionalizzazione delle industrie elettriche, l’imposta cedolare di acconto, la costituzione della Commissione per la programmazione _, La Malfa, che pure poteva presentare un rendiconto del ‘61 assai felice, con una crescita del Pil oltre l’8% e un’espansione degli investimenti che sfiorava il 23%, non aveva mancato di osservare: "Questo è uno sviluppo che però dobbiamo ordinare attraverso la programmazione, per risolvere alcuni fondamentali problemi del paese". In un intervento parlamentare del 1966, avrebbe semplificato questo programma, affermando che egli avrebbe preferito concedere all’operaio della Fiat la scuola piuttosto che la "600".

In realtà, tanto il mondo dell’impresa _ sempre più orientato alla produzione di beni di consumo di massa _, quanto il mondo sindacale _ tutt’altro che incline alla moderazione salariale e comunque dominato dal refrain delle "riforme di struttura" _, lasciarono cadere l’opportunità offerta dal neo-liberalismo democratico di La Malfa. Peggio. A pochi anni di distanza dalla Nota aggiuntiva, lo spirito "leggero" ed efficientistico della programmazione, recepito dal centro-sinistra di Fanfani antecedente alle elezioni del ‘63, quello senza socialisti nella maggioranza, aveva lasciato il campo alla pesante intromissione dello Stato nell’economia, all’ipertrofia burocratica, al potenziamento delle protezioni a favore delle corporazioni meglio rappresentate. Lo spirito modernizzatore del centro-sinistra si era spento a pochi mesi dall’entrata dei socialisti nel governo.

Dal punto di vista delle concrete opportunità di trasformazione della società italiana, l’itinerario di Ugo La Malfa si ferma qui. All’inizio degli anni Cinquanta una grande occasione _ quella iniziata con la liberalizzazione degli scambi _ era stata colta; dieci anni dopo, con il fallimento della programmazione, un’altra grande occasione _ quella della "politica dei redditi" _ era stata perduta. "Ho detto a Chinchino _ egli annotò dopo un incontro con Francesco Compagna il 12 giugno 1963 _ che con De Gasperi il centrismo si è logorato in sette-otto anni; con Fanfani e Moro il centro-sinistra si sarebbe logorato in meno di due anni".

4. Gli anni del non-governo

Il séguito _ e siamo alla terza voce principale del bilancio consegnato da La Malfa a Ronchey _ dà sostegno alla sua amarezza finale.

Dopo che la "grande trasformazione" e il ‘68 avevano reso evidenti i mutamenti di identità collettiva a tutti i livelli, e mentre i governi di centro-sinistra vivevano in condizioni precarie, La Malfa cercò di tessere con il Pci di Berlinguer quel nucleo vitale di programma comune che aveva rappresentato l’asse del centro-sinistra di un decennio prima. Tra i grandi Padri della Patria sopravvissuti, egli fu il primo a dichiarare che il "compromesso storico" era "ormai ineluttabile". Come cemento, egli pensò ancora una volta alla forza morale _ la "austerità", il "rigore" _, da contrapporre alla debolezza politica, alla decadenza economica, al terrorismo rosso e nero. Con la Dc di Aldo Moro e il Pci di Enrico Berlinguer, egli pensò forse alla riedizione di un’alleanza ciellenistica, stavolta non più in chiave antifascista ma costruttivistica.

Qui però fallì. Con Moro, verso il quale La Malfa ebbe un rapporto di stima e di amicizia, i programmi comuni non poterono superare una certa soglia: la costruzione della grande macchina statale gestita dai partiti di massa impediva, ormai, quelle operazioni razionali ma radicali che La Malfa auspicava da tempo. Con Berlinguer, pesava ancora la questione internazionale e la perdurante identità comunista. Con Craxi, il quale sfuggiva a molti schemi tradizionali del socialismo italiano e forse anche a quelli interpretativi di La Malfa, le incomprensioni superarono le convergenze.

Ma non era solo una questione di alleanze politiche. Né l’eterno conflitto fra l’intellettuale e tecnocrate illuminista con venature giacobine e i partiti di massa. In realtà, il sogno lamalfiano di una modernizzazione prudente ed austera, ma sostanziale, si scontrava con un’opinione pubblica passata rapidamente dalla penuria cronica del mondo contadino ad un diffuso consumismo. La Malfa questa tendenza non l’apprezzava e forse non la capiva. La stessa battaglia contro la Tv a colori, in qualche modo, riassume bene il suo regressivo isolamento all’interno di un mondo che non era più il suo. Alla fine degli anni ‘70, a quanto pareva, gli italiani avevano sia le "600" che gli ospedali e le scuole, e comunque volevano sia le une che le altre.

A soddisfare questi nuovi bisogni, il compromesso storico non poteva bastare. Esso si basava su un presupposto sbagliato che La Malfa non colse: la diarchia fra i due colossi politici, entrambi ugualmente interessati ad estendere e consolidare le egemonie sulle rispettive aree sociali e la loro occupazione delle istituzioni, dell’economia pubblica, della società economica e civile, non era un fattore di modernità, ma di stasi. E se nella diarchia, l’un soggetto, la Dc, almeno accettava la società così com’era, senza pensare ad una sua catarsi, l’altro soggetto, il Pci, aspirava ancora alla palingenesi. "Rimane del tutto legittimo, per un partito che è portatore di nuovi valori sociali e ideali _ scrisse un alto dirigente del Pci nel 1976 _, perseguire la via di un’egemonia fondata sul consenso e che punti non a un ricorrente altalenarsi di governi progressisti e conservatori, ma all’obiettivo storico della trasformazione della società".

Pensare di stimolare e guidare una diarchia politica e sociale siffatta _ consociata e pigra, strabica e miope _ era un sogno prometeico impossibile a realizzarsi e, ove si fosse realizzato, era anche un disegno di dubbia utilità per la democrazia, specialmente in assenza di opposizioni giudicate "costituzionali". La Malfa stesso dovette comprendere quanto fosse arduo il suo progetto, quando nel dicembre del 1978, si lanciò nella sua ultima battaglia politica, contro il Pci e anche gran parte del Psi, a favore dell’adesione dell’Italia al Sistema monetario europeo. Ma, alla fine, nel vecchio La Malfa l’amarezza e la delusione non potevano che prevalere.

5. La cifra dell’uomo e del politico

Non possiamo però chiudere qui. La vita di un uomo, specialmente di un grande statista, non può essere trattata con la contabilità della partita doppia. Poiché tutta la storia è contemporanea, dobbiamo pensare a quanto di contemporaneo c’è nell’insegnamento di La Malfa e perciò dobbiamo tornare alle nostre questioni iniziali. Quale metro di misura egli ci ha lasciato per valutare e per operare in questa nostra Italia?

Intanto, un pensiero rigorosamente laico. Non è solo una questione di fede, la laicità. È una questione di rispetto delle istituzioni e dell’autonomia della sfera politica.

Quindi, un pensiero rigorosamente riformista, ispirato a progetti grandi e talvolta grandiosi fino al limite del peccato illuministico degli esperimenti sociali e politici su larga scala. La Malfa operò nel contesto di un capitalismo e di una democrazia assai diverso dal nostro, il capitalismo delle grandi famiglie e la democrazia della consociazione e della partitocrazia. Ne accettò le regole tacite. Quella realtà però non era per lui razionale e anche di fronte alle resistenze dei fatti egli ritenne suo dovere battersi affinché il razionale prevalesse sul reale.

Infine, un pensiero rigorosamente democratico. La Malfa fu sempre schierato per l’allargamento della democrazia, anche quando all’opposizione c’era un partito comunista legato all’Unione Sovietica. Non si stancò mai di confrontarsi, di esercitare il suo pedagogico ruolo di pungolo e di cercare intese, secondo l’unica formula allora forse possibile, quella della cooptazione delle opposizioni all’interno del sistema consociativo.

La cifra dell’uomo e del politico sta qui. Nell’intransigenza, nell’austerità, nella solitudine, nella determinazione. Si tratta di un’eredità e di un metro di confronto di inestimabile valore. Oggi lo scenario è cambiato. È tramontato il vecchio capitalismo, si è imposto un nuovo sistema politico con nuove forze e nuovi leader, si è affermata la democrazia dell’alternanza. Ma la sfida della modernizzazione, dell’efficienza, del Mezzogiorno, dell’Europa, dell’Occidente, della corretta dialettica politica, del rispetto delle istituzioni, che La Malfa accettò, in parte vinse e in parte perse, è ancora una sfida per noi, anche nel nuovo scenario. Ho citato all’inizio Giovanni Amendola. Nel commemorarlo, La Malfa scrisse:

Giovanni Amendola fallì. Ma appunto perché fallì, appunto perché non poté contrapporre che una enorme forza morale ad avvenimenti terribili, noi non dobbiamo fallire. La lotta è sempre quella.

Credo che La Malfa avrebbe gradito questo epitaffio per se stesso. Per imitare la sua grande energia morale e politica e proseguire la sua volontà riformatrice, questo appello dobbiamo raccoglierlo anche noi.

tratto dal sito web del
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Giuseppe Gizzi
23-05-03, 09:12
Scusa Nuvola, visto che io non lo so fare, perchè non inserisci pure l'appello a pagamento che è apparso sul "Corriere della Sera" ieri. Grazie. Anche perchè certe firme sotto quell'appello mi sorprendono molto.

Garibaldi
23-05-03, 11:12
sono curioso di vedere cosa ha scritto l'on.le Bogi !!!

nuvolarossa
23-05-03, 12:55
Giuseppe Gizzi,
non ho trovato la pagina web con l'articolo.
Se hai l'url della pagina ... mandamelo, che inserisco il pezzo ... gratuitamente.

Garibaldi,
non mi sembra che tra gli autori dell'articolo ci sia il tuo amico on.le Bogi.

kid
23-05-03, 13:29
tant'è che ne risente l'italiano.

la_pergola2000
23-05-03, 15:48
sugli interventi degli ex repubblicani in riguardo ad un pensiero che riguardi le loro attuali posizioni.
Perchè di questo si tratta, parlando con i se vogliono giustificare la loro attuale collocazione politica.
Sarebbe interessante sottolineare i passaggi dove si parla che cosa avrebbe fatto Ugo La Malfa ora, sia nell'Intervento sull'Unità sia in quello a pagamento nel Corriere.
Usando i se si può giustificare tutto e tutti, bell'esempio di realpolitik.
Se Napoleone non avesse attaccato a Waterloo, se Mac Arthur avesse usato una altro animale al posto del tacchino, che salti avrebbe fatto nella conquista della Melanesia, se Togliatti non avesse fermato i suoi nel '48 cosa sarebbe successo? e se Bartali non avesse vinto il giro di Francia?
E' un modo sordido di celebrare una persona perchè in quel modo si vuole giustificare la propria collocazione politica.
Erano persone che già stimavo poco, ora li stimo ancor meno.
A proposito qualcuno spieghi la vita politica e le opere di un tal Duva.

echiesa
23-05-03, 16:06
Ultimamente trovo scomposte le reazioni della Segreteria Nazionale sulle manifestazioni in ricordo di Ugo la Malfa. L'articolo dell'Unità non era assolutamente male, concordo con Calvin.
Ieri poi è uscito il fondo a pagamento di alcuni ex iscritti al PRI, l'avevo letto di sfuggita alle 7 del mattino e non è che mi sembrasse offensivo. Poi ho visto la presa di posizione del Partito e l'ho riletto. Non mi è sembrato nulla di particolare, od almeno tale da provocare reazioni di fuoco. C'era la firma di tantissime persone che a Ugo La Malfa non furono vicine, furono di più.
Non vedo il motivo di tanto astio: se lo sono fatto e se lo sono pagato, stop.
Forse per il PRI di ora Ugo La Malfa può essere ricordato solo da Berlusconi ( P.zza di Trastevere, un figlio di La Malfa urlava dal palco contro Berlusconi che diceva che fra i fondatori di F.I. c'era Ugo La Malfa: le urla si sentivano anche senza microfono) e Pera??
saluti
echiesa:fru

FRANCO (POL)
23-05-03, 19:34
Forse dovresti sapere dei tentativi fatti nei mesi scorsi per affondare le manifestazoni di Palermo e imbastire una manifestazione ufficiale in Parlamento con oratori non repubblicani.

echiesa
23-05-03, 19:50
Perchè, Pera, Casini, Berlusconi sono repubblicani???
Quando fanno le commemorazioni di Moro parla solo Castagnetti o Buttiglione???
Quando commemorano Togliatti ci va solo Fassino???
saluti
echiesa:fru

nuvolarossa
23-05-03, 20:06
Precisazione del sen. Guglielmo Castagnetti sulla celebrazione della nascita di Ugo La Malfa

Preg.mo Direttore,

con riferimento all’articolo del sig. Dario Di Vico sulle celebrazioni del centenario della nascita di Ugo La Malfa desidero precisare che la mia adesione all’Associazione Amici di Ugo La Malfa è stata data come testimonianza del ricordo e dell’ammirazione per la sua azione politica e per il suo insegnamento, in un’ottica del tutto avulsa dalle diverse scelte politiche e di schieramento che ognuno di noi ha fatto.

Ovviamente per mia convinzione personale e come senatore di Forza Italia, non attribuisco a questa mia adesione nessun possibile significato di contrapposizione alla Fondazione che porta il nome di Ugo La Malfa e men che meno contenuti polemici o anche solo di differenziazione rispetto alla coalizione della Casa delle Libertà, al Presidente Berlusconi e al Partito Repubblicano Italiano che di questa coalizione fa parte.

Cordialmente

Guglielmo Castagnetti
Senatore di Forza Italia
---------
tratto dal sito
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nuvolarossa
23-05-03, 20:07
Nota della Segreteria Cittadina del PRI di Milano sul documento degli ex repubblicani

"Un gruppo di fuoriusciti repubblicani, uniti nella firma ancorché divisi nelle idee e nella militanza politica, hanno pubblicato ieri a pagamento, sul Corriere, una comunicazione che rappresentava il tentativo di impadronirsi delle spoglie di Ugo La Malfa. Lo scarno commento politico che sovrastava la sfilata autografica, viziato per altro da qualche errore di stampa, era poco significativo e denotava la difficoltà di trovare una piattaforma comune a tutti i firmatari. Questi ultimi, antichi colonnelli lamalfiani (o loro vedove) non si erano sempre distinti, in passato, per essere usciti dalla trincea prima del capo ma anzi per aver spesso atteso, nell’uscire, che questi fosse già a contatto con le file nemiche.

Di essi, oggi, si può dire che siano troppi per le ambizioni che dimostrano verso gli incarichi politici, troppo pochi per suscitare un vero consenso popolare, troppo vecchi per arrischiare una battaglia."

Venerdì, 23 maggio 2003
tratto dal sito web del
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nuvolarossa
23-05-03, 20:40
Ugo La Malfa: un patrimonio dell'Italia

A proposito del comunicato pubblicato a pagamento su due grandi quotidiani a firma di ex repubblicani che rivendicano l'eredità politica e culturale di Ugo La Malfa, vogliamo rilevare che per quanto attiene al confronto aperto a suo tempo dal leader repubblicano con la sinistra italiana, le componenti di quella sinistra - come si riconosce nello stesso comunicato - non recepirono il senso europeo di quelle proposte, rimanendo ferme ai loro vecchi dogmi. Senza riandare alle battaglie dei comunisti contro le scelte atlantiche sostenute, invece, con determinazione da Ugo La Malfa, vogliamo ricordare lo scarso sostegno riservato nel 1979 dagli esponenti dello stesso partito al suo tentativo di formare - su incarico di Pertini - un Governo e la dura opposizione del PCI all'ingresso dell'Italia nello Sme, che rimane una delle battaglie più significative del leader repubblicano, prima della sua morte.

Gli stessi firmatari tralasciano però di dire che anche oggi la sinistra, compreso l'Ulivo di "lotta e di governo", non ha saputo fare propria la grande lezione di Ugo La Malfa, rimanendo ancora indietro di trent'anni rispetto alle riforme necessarie a governare le trasformazioni della società.

Nello stesso documento è sottolineato che "per cinquant'anni è stata isolata in Italia un'intera posizione politica e culturale" che La Malfa esprimeva. Soltanto che quando la crisi della prima Repubblica divenne acuta e il PRI, che della cultura laica e liberal-democratica era uno degli interpreti più accreditati, rischiava di scomparire, molti di quei firmatari non esitarono non solo ad abbandonare il partito nel quale avevano militato per molti anni, ma fecero di tutto e di più per decretarne la fine. Oggi partecipano al ricordo di Ugo La Malfa soltanto per evitare che la sua lezione possa interessare e coinvolgere lo schieramento politico di centro - destra al quale si contrappongono con ogni mezzo, anche a costo di forzare la stessa battaglia di Ugo La Malfa che fu una battaglia di contenuti che superò, ieri come oggi, gli stessi confini degli schieramenti. Così scriveva infatti Ugo La Malfa nella sua relazione al Congresso nazionale del 1978 "c'è stato un filo invisibile, un modo di vedere i problemi di fondo della nostra società, di capire che cosa bisogna fare quando una crisi è arrivata dove è arrivata la crisi italiana. E chiaro che bisogna fare un grande appello, direi al patriottismo di tutti i partiti, al senso di devozione, alla ragione suprema del Paese".
tratto dal sito web del
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La Malfa si rivolse a tutte le forze politiche, per cui cercare di circoscriverne l'azione o addirittura delimitarne l'utilizzazione ad una sola parte dello schieramento è una maniera per snaturare e ridimensionare la sua grande lezione politica, civile e culturale che rimane un patrimonio per l'Italia.

Roma, 22 maggio 2003

echiesa
23-05-03, 21:12
Bhe, l'unica cosa che si può dire e che La Malfa non cercò mai, e dico mai, abboccamenti con l'MSI e con la destra, sennò si travisa tutto il suo pensiero.
Altrimenti era uscito di senno La malfa Giorgio a Roma quella volta???Possibile??!!!
Secondo me ci facciamo ridere dietro, fare polemiche su un comunicato firmato da gente come Galasso , cito solo lui, od Annita Garibaldi ( non è iscritta al PRI e responsabile pure di qualcosa??), tralascio alcuni altri sui quali si potrebbero aprire polemiche.
Essere in polemica con giorgio la malfa non vuole dire non poter portare rispetto al Padre e dimostrarlo.Quanta gente vuole bene a mio padre e di me pensa sia una testa di..... In mezzo a quei nomi ne ho visto qualcuno che definire non repubblicani, via, rispetto ad alcune new entry che hanno girato otto partiti prima di approdare da noi in attesa di altri tempi, via.......
saluti
echiesa:fru

FRANCO (POL)
24-05-03, 04:10
Caro echiesa credo che ci troveremmo tutti d'accordo se il pensiero e l'azione di Ugo La Malfa fossero d'esempio al maggior numero di cittadini: nessuno vuole imporre il copyright sull'opera e l'uomo; che il verbo repubblicano si diffonda in ogni dove!!!

Vorrei ricordarti alcune cose: Berlusconi e Pera hanno parlato in qualità di Presidente del Consiglio e Presidente del Senato: se ci fosse una maggioranza di centrosinistra avrebbero parlato in qualità di capo del governo e di seconda carica dello Stato esponenti di centrosinistra: Ugo La Malfa appartiene all'Italia.
La manifestazione tenuta alla camera dei deputati ha visto esposta dal prof. Craveri, iscritto al pri, la relazione principale: credo che aver chiesto e preteso che fosse un'esponente del PRI ha tenere la relazione sia il minimo: arroganza repubblichina!!!!!
L'avviso pubblicato è del tutto legittimo, quello che lascia perplessi è il fatto che si è scelto di pubblicarlo nella stessa pagina e nelle stesse dimensioni di un analogo avviso fatto dalla fondazione Ugo La Malfa qualche giorno prima sul Corsera: curiosa coincidenza!
Così abbiamo appreso da un articolo sempre del Corsera della nascita di un'associazione di Amici di Ugo La Malfa promossa dal gionalista Enrico Cisnetto. Sorta tanto improvvisamente che alcuni aderenti si sono sentiti in obbligo di pubblicare la smentita di ogni adesione. Non si conoscono finalità e programmi di eventuali iniziative da svolgere nel futuro; non sarà che era necessario fare sapere che in contemporanea alle manifestazioni promosse da persone compromesse con il regime esistevano un nucleo duro e puro, incorruttibile, che teneva fede agli ideali di Ugo La Malfa?
Esistono due Anite Garibaldi e quella che ha firmato l'appello non è iscritta al pri.
Non c'è niente di più scorretto che far parlare i morti per giustificare i comportamenti dei vivi.

echiesa
24-05-03, 08:46
Sul fatto che abbia parlato Craveri nessun problema, ci mancherebbe altro, chi dice nulla.Nessuna arroganza, non è questo il motivo del contendere.
Il motivo del contendere sono le reazioni alla pubblicazione di quell'annuncio a pagamento sul Corriere: continuo a ripetere, non ci vedo nessun scandalo. Parlatene, ricordatelo questo grande uomo che tanto ha dato al nostro paese. Ma ne nascessero di associazioni per il ricordo e lo studio del suo pensiero e della sua vita.E vedo che anche tu su questo più o meno concordi.

Ovviamente per mia convinzione personale e come senatore di Forza Italia, non attribuisco a questa mia adesione nessun possibile significato di contrapposizione alla Fondazione che porta il nome di Ugo La Malfa e men che meno contenuti polemici o anche solo di differenziazione rispetto alla coalizione della Casa delle Libertà, al Presidente Berlusconi e al Partito Repubblicano Italiano che di questa coalizione fa parte.

Ecco, questo passo è discutibile: perchè Castagnetti ci tiene a far sapere che non intende differenziarsi dalla Casa della Libertà e dal Presidente Berlsuconi?? Che centra con la Fondazione La Malfa??E poi Castagnetti che centra con il PRI??? E' uguale a Bogi od a Bianco. ma qui stranamente ci tiene a fare sapere che Fondazione= Casa della Libertà=Presidente Berlusconi. Che storia è questa???I morti non devono serivre per giustificare o per promuovere, nè da una parte nè dall'altra.
saluti
echiesa:fru

Garibaldi
24-05-03, 11:11
esimio FRANCO !!
sara' impossibile sfangarla con il nostro paperinik !!!!
le teste di marmo dei carraresi sono servite di stampo a quelle sarde !!!!
Pero' non ti crucciare perche' il nostro fratello apuano e' animato solo da spirito di servizio e di amore per il partito repubblicano !!!
Lo vorrebbe puro come l'acqua di fonte !!!!
E come dargli torto ????

nuvolarossa
25-05-03, 14:12
Ugo La Malfa a 100 anni dalla nascita

Il 16 maggio di 100 anni fa nasceva a Palermo Ugo La Malfa. Fin dal 1924 si oppose al fascismo, aderendo all’Unione nazionale di Giovanni Amendola e, successivamente, al movimento "Giustizia e Libertà". Economista, lavorò molti anni nell’ufficio studi del Banco di Sicilia e della Banca Commerciale Italiana. Nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d’Azione rappresentandolo, dal 1943 al 1945, nel Comitato di Liberazione Nazionale. Nel 1946 fu eletto alla Costituente e, a partire dal 1948, fu sempre eletto in tutte le legislature.
Dopo la scissione del Partito d’Azione, fu tra i fondatori, con Parri, del Movimento democratico repubblicano che confluì, successivamente, nel Partito repubblicano italiano di cui fu segretario politico a partire dal 1965 e presidente a partire dal 1975.
Ministro dei Trasporti al governo Parri, resse il Ministero del commercio con l’estero nel primo Governo De Gasperi e, tra il 1951 1953, inaugurò la politica italiana di liberalizzazione degli scambi, fondamentale per la nascita delle prime strutture europee.
Fin dall’inizio degli anni Sessanta fu tra i fautori delle esperienze di centro-sinistra, mantenendo tuttavia sempre un posizione critica all’interno della coalizione dei partiti alleati, auspicando un rigoroso contenimento della spesa pubblica e dei consumi (da commisurare, secondo il suo pensiero, comunque sempre alle risorse disponibili).
Ministro del Bilancio nel governo Fanfani dal 1962 al 1963 e ministro del Tesoro nel governo Rumor (1973-1974), fu vicepresidente del Consiglio nel quarto gabinetto Moro (1974-76). Durante gli anni Settanta sostenne l’esigenza di coinvolgere il Partito Comunista Italiano nella direzione politica dell’Italia.
Numerose le sue opere: saggi, articoli, libri. Proverbiali le sue appassionate battaglie politiche, condotte fino all’ultimo anno di vita (1979). Si è sempre battuto per la costruzione dell’Europa, nella fedeltà verso il Patto atlantico.

http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI211.gif (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

la_pergola2000
25-05-03, 14:37
Sono d'accordo con echiesa e garibaldi, rimane però il fatto che questi neoUgoLamalfiani approfittano dell'occasione per farsi sentire.
A proposito di Rai Cisnetto è stato intervistato a tarda notte nello spazio della lettura dei giornali, mentre non è stato intevistato nessun organizzatore delle manifestazioni su Ugo La Malfa, salvo una intervista dovuta al figlio Giorgio. la Rai non si smentisce mai, sembra che essere repubblicani per la Rai sia una colpa e chi è repubblicano abbia la sars e quindi da evitare.
ciao e buona domenica a tutti.

nuvolarossa
27-05-03, 18:50
"Anche mio padre starebbe con Berlusconi"

La Malfa, presidente del Pri: non avrebbe mai approvato questa sinistra antiamericana

di Giancarlo Perna

Pur essendo il cognome simbolo del repubblicanesimo italiano, i La Malfa sono una dinastia. Se dici La Malfa, ti chiedono: "Padre o figlio?". Se stai zitto, è lo stesso. Pensi a Giorgio e ricordi Ugo. Evochi Ugo e ti si sovrappone il broncio del figlio Giorgio. La Malfa I e II. E’ successo solo coi Savoia.

"Complimenti vivissimi", dico a Giorgio La Malfa di cui sono ospite nello studio di presidente della commissione Finanze di Montecitorio. il presidente del Pri è fresco reduce dalle celebrazioni per il centenario della nascita del padre e ancora in abito scuro da cerimonia.

"Dov’è il trucco?", chiede La Malfa che non si fida tanto di me, anche se diffida meno di un tempo.

"Parlo seriamente. In genere, se fanno lo stesso mestiere, o i figli oscurano i padri, tipo Carlomagno e papà Pipino, o sono i padri a sovrastare i figli, caso Segni. Voi siete invece un binomio equilibrato. Suo padre giganteggia, ma lei la sua parte l'ha fatta. Il testimone che le ha lasciato, lei lo ha tenuto" dico.

"Ha ragione di parlare di me al passato. Mi sento fuori dalla battaglia politica. Non sono più un protagonista. Mi appaga essere riuscito a tenere in vita il Pri. Scassato, ma c'è. Ho garantito il simbolo dell'Edera all'Italia che verrà", dice con foga. "Coraggio. A 63 anni si è solo dei ragazzi con esperienza. Ma perché si è dato tanto da fare per un partitino?", dico. Era una domanda qualsiasi, ma scatena La Malfa per venti minuti.

Riassumo lo straripamento. Il primo maestro di suo padre negli anni '20 fu Giovanni Amendola, poi ucciso a bastonate dai fascisti. Erano insieme nell'Unione Democratica Nazionale, antifascista, antimonarchica, liberale. Di questo nocciolo liberale - dice il figlio - Ugo La Malfa si è sempre sentito il portabandiera dopo che l'Unione si sciolse e per il resto dei suoi giorni. Ebbe un trauma quando i figli di Amendola aderirono al Pci clandestino, scegliendo il campo opposto. "Sono rimasto solo", disse Ugo. Durante la guerra entrò nel Partito d'Azione che aveva due anime, quella liberale della gente come lui e una socialista. Il Pd'Az non riuscì a conciliarle e sparì nel dopoguerra. Fu allora che Ugo fondò il Pri per tenere in vita i suoi principi.

"Ecco perché ho combattuto duro per conservare l'Edera. Specie negli anni ‘90 quando la rivoluzione giudiziaria travolgeva tutto. L'ho fatto anche a costo di umiliazioni", dice.

"Non mi sembra tipo da inghiottirle", dice, conoscendo La Malfa jr come spicciativo.

"Dopo un periodo di neutralità tra Ulivo e Polo, nel '95 schierai il Pri col centro sinistra. Lo feci per diversi motivi. Uno sugli altri: la speranza di riacciuffare la diaspora repubblicana. Nella confusione, alcuni erano finiti addirittura nei Ds", dice.

E le pecorelle smarrite?

"Risposero picche. Antonio Maccanico e Bruno Visentini dissero: "Il Pri non ha più senso, ci vogliono prospettive più ampie". Né ottenni di più con Giorgio Bogi e Steli De Carolis, già sistemati nei Ds. Comunque, fatto il passo, andai a trovare Massimo D'Alema che dei Ds era segretario".

Per sottomettersi?, chiedo.

"La sede era ancora le Botteghe Oscure. Entrai da lui e dissi: "Hai accolto con freddezza l'ingresso del Pri nell'Ulivo. Ma la sinistra non può essere fatta solo da Ds, cattolici e socialisti. I laici vi servono". Rispose: "Mi servono così tanto che quando il tuo prof. Visentini è venuto in questa stanza e mi ha chiesto la tessera ds, gli ho risposto: Professore, lei mi è più utile fuori". Nella sua voce c'era tutto il disprezzo possibile. Ho replicato: "In questa stanza io non entrerò più. né vivo né morto"".

E con lo screanzato non ha mai più parlato, dico.

"Purtroppo un'altra volta. Alle elezioni del '96, i due senatori eletti nelle liste del Pri si iscrissero subito al gruppo Ds. Incontrando D'Alema gli dissi. "Il Pri è tuo alleato. Perché ti prendi i suoi transfughi?". "Perché dovrei aiutare un morto?", rispose lui col solito tono".

Urpa, che iena. Ma sarà vero che Visentini, il Gran borghese, come lo lodava Eugenio Scalfari, volesse la tessera ds?. mi stupisco. "Temo di sì. Visentini non era un politico, ma un tecnocrate. Un politico deve sapere andare controcorrente e negli anni '90 era più facile allinearsi coi Ds. Prenda il caso mio...", dice.

Si allineò anche lei, saltò su.

"Le ho spiegato perché. Ho tenuto il Pri a sinistra finché l'Italia non è entrata nell'Euro. L'Ulivo di Romano Prodi dava più garanzie di Silvio Berlusconi che all'epoca criticava pesantemente l'Ue. Non era una scelta di schieramento, ma di programma. (Comunque, ho poi guidato il Pri verso il Polo", dice.

Il controcorrente di cui parlava prima.

"Non so se sia giusto stare con Berlusconi, ma ci vuole coraggio. Perché le nostre storie sono diverse e perché Berlusconi spacca in due il Paese. E io ho il fardello di mio padre", dice.

Bene, ma andiamo con ordine. Suo padre approverebbe?

"Era un'idealista realistico. Ha sempre collocato il Pri al fianco della Dc. Dialogava col Pci, ma in politica estera era occidentale. Non avrebbe potuto stare con questa sinistra antiamericana. Mai avrebbe detto che l'Ue è quella franco-tedesca. Diceva: "Se per fare l'Europa, dobbiamo lasciare l'Inghilterra, non vale la pena". Starebbe da questa parte anche per l'economia, se il governo attuerà il suo programma.

Non lo fa?

"Entrare nell'euro era necessario. Ma il rischio che non sia un buon affare, è fortissimo. L'Italia può diventare la periferia dell'Ue. Ci vuole la politica promessa da Berlusconi: investimenti pubblici e sgravi fiscali. Ma non l'ha realizzata, né vedo i sintomi".

Torniamo a Ugo. Che eredità lascia?

"Quella di una passione politica integrale, disinteressata al potere, attentissima ai problemi del Paese. Dalle celebrazioni del centenario, esce l'immagine di un combattente straordinario dai 22 anni alla morte".

A lei che resta?

"L'insegnamento di continuare fermamente la battaglia liberale del Pri".

Negli anni'60, suo padre fu tra gli statalizzatori dell'energia elettrica. Dirigismo puro.

"Tentò di irizzare, anziché nazionalizzare. Ma era il prezzo che il Psi imponeva per entrare nel centrosinistra e rompere col Pci. Morto De Gasperi che ammirava, mio padre diffidava dei successori, Fanfani ecc. Capì che il centrisrno era agli sgoccioli e voleva allargare l'area di governo".

Un liberale non flirta coi Pci come fece lui negli anni '70. Scrisse Montanelli: "Un pazzo va in giro per l'Italia, dice di chiamarsi La Malfa e vuole l'apertura ai comunisti". Gli voleva bene, ma era deluso.

"La Malfa non parlò mai di "compromesso storico". Preferiva "solidarietà nazionale" per combattere terrorismo e inflazione. Una necessità, non una formula".

Montanelli era suo grande amico?

"Si. Ma tre erano i più stretti. Adolfo Tino, con lui nel Pd'Az".

Lo zio di Maccanico.

"Sì e la ragione per cui io per Maccanico ho avuto un particolare affetto, non ricambiato. Per dargli un seggio a Milano, ho fatto grosse battaglie di cui mi pento. Oggi ricambio i suoi scarsi sentimenti".

Gli altri due?

"Enrico Cuccia e Raffaele Mattioli. Ha avuto anche un rapporto crescente con Aldo Moro".

Chiese la pena di morte per i suoi rapitori.

"La minaccia. Lo capì Donat Cattin col quale pure faceva liti tremende. Gli dava del peronista. Donat chiese in una lettera ai maggiorenti Dc di ascoltare La Malfa. Non si potevano liberare i terroristi in prigione, né corrompere le Br con danaro. L'unica era processare quelli in galera e minacciarli di morte. Minacciare, questo voleva La Malfa".

Che durezza.

"Uomini politici che affrontavano la realtà. Lo stampo è perduto".

L'avversario che più gli stava sullo stomaco?

"Bettino Craxi. Provava fastidio fisico".

E con Visentini, il futuro aspirante ds?

"Rapporti tempestosi. Negli anni '70, richiesto da Agnelli, Visentini stava per accettare la presidenza della Confindustria, ma voleva ugualmente candidarsi al Parlamento, gli disse mio padre. Visentini si piegò rinunciando alla Confindustria. Ma restò la ruggine. Come poi si vide".

Cioè?

"Poco prima di morire il 26 marzo'79, mio padre divenne vicepresidente del governo Andreotti, Dc, Pri, Psdi. Chiese a Visentini di assumere il Bilancio. Con una lettera chilometrica, Visentini declinò. Il ministero gli pareva inadeguato ai suoi meriti, il governo condannato a vita breve. Dietro c'era forse lo zampino di Scalfari: Visentini collaborava a Repubblica, ostile al governo. La replica di mio padre fu di due righe: "Sono sbalordito, pur essendo abituato a tutto o quasi. Hai perduto una grande occasione per servire il Paese"".

Vero che suo padre fu finanziato dai servizi per sconfiggere in congresso Randolfo Pacciardi, contrario al centro sinistra anni '60?

"Pacciardi, che ne avrebbe avuto interesse, non disse mai che La Malfa si era rivolto ai servizi. Ma indica l'asprezza dello scontro. Non si riappacificarono. Lo feci io. Pacciardi rientrò nel Pri e pronunciai io la sua orazione funebre".

Tra le stranezze di suo padre il testardo rifiuto di introdurre la tv a colori in Italia. Alla faccia del mercato.

"Voleva dirottare i risparmi alle infrastrutture piuttosto che alle amenità. Ancora oggi in Sicilia, su 1500 chilometri di ferrovia, solo la metà è elettrificata e 1350 sono a binario unico. Il problema non è il ponte sullo Stretto, ma quello che trovi ai lati. Per i 300 chilometri di strada tra Ragusa a Cosenza, ci ho messo cinque ore e venti. Col ponte ci avrei messo cinque ore e dieci".

nuvolarossa
30-05-03, 18:57
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NEL CENTENARIO DELLA NASCITA

Un ricordo di Ugo La Malfa

In occasione delle celebrazioni del centenario della nascita di Ugo La Malfa, che dureranno per tutto il 2003, il Pri di Brescia vuole qui iniziare a ricordare la figura dello statista scomparso nel 1979. Ugo La Malfa nel primo dopoguerra aderisce al Pri provenendo dal partito d’Azione, sarà tra i padri fondatori della Repubblica italiana. La difficile scelta centrista con la Dc di De Gasperi contribuirà a gettare le basi per lo sviluppo industriale e civile del Paese ancorandolo al mondo occidentale e anglosassone. Sarà la sua determinazione di guardare oltre le Alpi a segnare le vicende politiche di La Malfa e dell’Italia. In quest’ottica negli anni 50 Ugo La Malfa liberalizza gli scambi commerciali aprendo il nostro Paese alla concorrenza straniera attirandosi feroci critiche degli imprenditori. È la premessa del boom economico. È grande artefice dell’ingresso dell’Italia nello Sme, prima mossa per una futura moneta unica, ancora nonostante resistenze di gran parte del mondo politico. Nei primi anni 60 scrive di suo pugno la famosa nota aggiuntiva al Bilancio in cui formula la proposta di politica dei redditi raccolta dal mondo politico sindacale finalmente nel ’92 in piena emergenza economica. Indica con analisi lucidissime cosa deve fare un Paese squilibrato fra nord e sud come l’Italia per una reale ridistribuzione delle risorse. Già negli anni della grande crescita economica segnala le prime crepe del sistema Italia: parassitismo e cattiva gestione nella pubblica amministrazione. La Malfa è promotore e protagonista del centrosinistra con l’apertura ai socialisti. Anche in questo passaggio è lungimirante, prevedendo l’inasprirsi dello scontro sociale ritiene giusto cooptare nella maggioranza un partito di matrice popolare e di sinistra per evitare gravi lacerazioni nel Paese. Alla fine degli anni 60 e per buona parte degli anni 70 soffre lo scontro tra le parti sociali, accentuato dalla crisi economica e aggravato dal terrorismo. Sono gli anni in cui La Malfa viene definito «Cassandra». In realtà il leader repubblicano comprende per primo che il Paese sta entrando in una spirale di violenza e depressione senza precedenti. I repubblicani ricordano bene l’immagine della pistola sugli spaghetti copertina di un noto settimanale tedesco e l’istantanea del ragazzo incappucciato che spara ad altezza uomo. Alla fine degli anni 70 compare un suo articolo sulla Voce Repubblicana intitolato «Il paese può salvarsi ma occorre uno sforzo di coraggio e di cultura». Ugo La Malfa avvia la strategia che porterà al coinvolgimento nella maggioranza del Pci. Il leader repubblicano è intimamente convinto che per superare crisi economica e terrorismo è indispensabile il contributo dell’intero Paese e quindi il coinvolgimento del maggior partito dell’opposizione. La posizione comporta delle lacerazioni tali all’interno del mondo laico al punto che Montanelli dice: «C’è un pazzo che si aggira per l’Italia il suo nome è Ugo La Malfa». Poi la possibilità di formare il primo governo a conduzione laica. Ugo La Malfa incaricato da Pertini viene stoppato dal Pci. In tale occasione i comunisti non comprendono la svolta storica, possibile, di un presidente del Consiglio laico, dopo decenni di monopolio Dc. È sempre il nostro leader come ministro a bloccare la scalata di Sindona permettendo di indagare sugli intrecci di interessi tra politica e mondo degli affari che portano all’omicidio Ambrosoli. Storica l’amicizia tra La Malfa e Cuccia, il quale aveva come referente privilegiato nel mondo politico il leader Pri. Un asse che probabilmente contribuì a difendere le poche grandi aziende private italiane negli anni dello strapotere economico dei grandi gruppi di Stato. I repubblicani di Brescia credono che la storia e la vita di Ugo La Malfa siano un patrimonio del Pri ma anche dell’intero Paese che probabilmente ha nei suoi confronti un debito sicuramente di riconoscenza ma anche di memoria.

SERGIO SAVOLDI - STEFANO VITALE

della sezione Mazzini di Brescia

nuvolarossa
28-09-03, 11:18
Nel segno di Ugo La Malfa

Nel numero precedente abbiamo dato rilievo al centesimo anniversario della scomparsa di Ugo La Malfa. Abbiamo ricevuto alcuni interventi di iscritti o abbonati sulla figura di questo statista che ha segnato la storia italiana e quella repubblicana. Si tratta di opinioni che, in alcune espressioni o riferimenti (come l’impietoso giudizio di Celletti su Aldo Moro), non sempre sono condivise dalla redazione; si tratta quindi di commemorazioni, libere considerazioni di persone che hanno ricoperto e ricoprono ruoli diversi nella società: un manager (Gianni Celletti), il segretario del PRI dell’Emilia Romagna (Widmer Valbonesi), un ingegnere (Vittorio Bertolini), presidente della sezione di Parma dell’Associazione Mazziniana Italiana. Le proponiamo come testimonianza “diretta” del fascino che ancora esercita il personaggio anche sui Mazziniani italiani.

tratto dal sito web del
PENSIERO MAZZINIANO (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
28-09-03, 11:20
Il 16 maggio del 1903 nasceva, a Palermo, Ugo La Malfa. In un Paese nel quale ad ogni modesto sottosegretario si dà la qualifica di statista, fino a definire “grande statista” anche Aldo Moro, la cui visione dello Stato era paragonabile a quella di una comunità cattolica “allargata”, egli fu veramente “statista”, forse l’unico politico che avesse il senso economico della gestione della cosa pubblica, ancor più di De Gasperi, che non nascose mai il suo non buono rapporto con i numeri, affermando di fare più affidamento sul suo intuito, che era grande in verità, come quando diffidava i cattolici dal dover entrare nei Consigli di amministrazione delle Banche. È, questa, una digressione che serve anch’essa a capire il La Malfa uomo, protagonista sfortunato di quasi quarant’anni della nostra Storia: dal Governo Parri del ’45 sino alla sua morte, avvenuta improvvisamente nel 1979.
Sono “politicamente” debitore a La Malfa della mia iniziale formazione culturale, avendo da lui ricevuto tutti gli stimoli necessari alla conoscenza delle scuole economiche e dei modelli sociali. Io ho ricevuto da lui una parte di quello che lui disse di aver appreso quando entrò nell’Ufficio Studi della Comit (solo dopo la caduta del fascismo si saprà che quella era la migliore scuola liberale), voluto dal suo padre-padrone (tollerato dal regime, come del resto lo era stato Beneduce) Raffaele Mattioli. Fondamentali, ai fini della mia iniziazione, furono per me i suoi insegnamenti. Negli anni ‘59/60 l’incontravo, qualche volta, nel disadorno ufficio della “Voce Repubblicana”, a Roma, oltre che in occasione dei suoi frequenti viaggi in Romagna. Ero segretario dei giovani repubblicani della provincia di Ravenna e il mio ruolo mi permetteva un rapporto privilegiato, soprattutto perché la nostra Federazione era schierata quasi totalmente nella sua battaglia per far nascere un Governo coi Socialisti.
Negli anni, un po’ alla volta il mio entusiasmo si affievolì: crollarono i grandi miti della mia giovinezza, compreso quello di La Malfa, pur rimanendo intatta la mia stima nei suoi confronti. Colpa dell’età e colpa anche delle mie nuove esperienze in campo imprenditoriale. Ricordo, ad esempio, la delusione traumatica che subii già al mio primo ingenuo contatto sindacale come “controparte” (inizio anni Sessanta), allorché fui ferocemente contestato da quei lavoratori i cui “diritti” credevo di dover difendere ad oltranza, ritenendo assolti tutti i “doveri”, ma tenendo conto, responsabilmente, che sarebbero stati necessari interventi graduali.
Il mio pensiero economico, pur non rinnegando mai Keynes e il successo del New Deal rooseveltiano, assunse connotazioni diverse, distaccandosi dalla sinistra democratica per assumere posizioni più nette verso il liberalismo. Credo di aver “percorso”, forse, la stessa evoluzione di suo figlio Giorgio, allievo e amico dell’autorevole Premio Nobel Franco Modigliani col quale condivise, nella prestigiosa Università di Harward, un non breve periodo della sua formazione culturale.
Se, però, nel 1976 mi trovai in netto disaccordo con la sua “scelta ineluttabile” del compromesso storico, sono convinto che ciò avvenne perché non poteva esserci in me, che non avevo la stoffa del politico, nessuna apertura nei confronti del Pci, mentre La Malfa, giudicando il momento, soprattutto economico, estremamente preoccupante (e ne aveva ragione) riteneva il ritorno a una sorte di governo del Cln uno stratagemma per uscire dalla crisi, riconoscendo ai comunisti di Enrico Berlinguer valori morali che purtroppo nei partiti del centro sinistra erano da tempo scomparsi (con Tangentopoli si scoprirà che forse non erano mai esistiti, ma che non aveva neppure il Pci).
Il La Malfa politico, quello meno coerente con il mio Sistema di Valori che lui aveva contribuito a farmi formare, si rese conto che per fare politica e contare ci volevano finanziamenti, anche sostanziosi, che poi dovevano servire a conquistare voti. Per questo accettò, pur controvoglia, entrate non del tutto “limpide” e accordi con personaggi “chiacchierati”. Qualcuno ha voluto mettere in discussione la genuinità del suo intervento moralizzatore, che fu anche un raro caso di competenza professionale, allorché, quale Ministro del Tesoro, rifiutò a Michele Sindona l’aumento di capitale sociale della sua società finanziaria, la Finambro, sostenendo che la sua decisione fosse stata influenzata da un diniego del finanziere siciliano a concedergli, un anno prima, un modesto finanziamento in occasione di una campagna elettorale. Al di là dell’umano desiderio di rivalsa (Sindona aveva “distribuito” soldi a tutti tranne che al Pri!), non v’è alcun dubbio che sarebbe prevalso comunque quel non comune senso dello Stato che La Malfa aveva dimostrato in più occasioni: quell’aumento di capitale sociale, che avrebbe permesso al losco finanziere siciliano di continuare le sue illecite attività (i soldi sarebbero serviti per coprire un “buco” della Franklin Bank, per il quale le Autorità americane gli avevano intimato un perentorio aut aut), per sovvenzionare illegalmente le imprese elettorali della Dc, soprattutto quelle del suo amico dichiarato Giulio Andreotti, non sarebbe stato concesso.
La Malfa fu coerente fino in fondo col suo sogno dell’Altra Italia, e in questo, forse, fu utopista, perché, pur pessimista ad oltranza (lo chiamavano la Cassandra, e purtroppo egli aveva il “dono” della bella vergine troiana condannata dagli dei a predire il vero e a non essere creduta!) volle sempre sperare nella capacità degli Italiani di riscattarsi. Malgrado che a tutte le elezioni raccogliesse “quattro voti”, egli pensava che anche gli altri “poveri” di un’Italia derelitta fossero in grado, come lui aveva fatto, di evolversi. Credette di dover interpretare il ruolo ieratico e apostolico che fu di Giuseppe Mazzini, e come lui fallì. A posteriori, la ricerca di alcuni compromessi, come quello di portare i comunisti al governo, risulterà sbagliata. Il Pci, all’epoca, non era riconvertibile: ancora oggi, rifondato nel Ds, stenta a ritrovare credibilmente un suo ruolo.
Per comprendere la profondità del pensiero, e dei sentimenti, di Ugo La Malfa bisogna leggere quella mirabile Intervista sul non governo rilasciata nel 1977 ad Alberto Ronchey. È il suo testamento spirituale, che la rara maestria professionale dell’intervistatore ha permesso di tradurre in un’esemplare lezione di etica della gestione economica dello Stato, dando, finalmente, agli abusati termini cari alla demagogia politica: “democrazia”, “capitalismo” ecc., il loro vero significato semantico.
Non fui, però, fedele sino in fondo all’uomo che tanto ha contribuito alla mia formazione culturale e alla creazione del mio Sistema di Valori. Il mio rifiuto a seguire La Malfa non fu, certo, chiaroveggenza, ma dovuto, piuttosto, a quel ruolo nella società civile che via via andavo a coprire con sempre maggiore autorevolezza. Da imprenditore non capivo, infatti, la necessità di quel tipo di alleanza con i comunisti che La Malfa proponeva. Anzi, per me rappresentava una sorta di tradimento ai miei ideali giovanili. Qualche anno dopo, 1981, quando La Malfa era morto, Enrico Berlinguer non ebbe dubbi nello schierarsi a fianco del Sindacato nel sostenere i presunti diritti dei lavoratori che avevano occupato lo Stabilimento Fiat di Torino, facendo né più e né meno quello che avrebbe potuto fare tanti anni addietro Palmiro Togliatti.
D’altronde, ora ne sono convinto, fu già un pesante compromesso quello degli anni Sessanta coi socialisti, per farli entrare nella maggioranza: la nazionalizzazione dell’Energia elettrica. Io non immaginavo come sarebbe finita, ma penso che lui lo sapesse e che lo ritenesse un pedaggio al progetto di “allargare” l’area democratica, come si affermava a quei tempi per dire che bisognava fare entrare il Psi di Nenni al Governo assieme ai democristiani, ai socialdemocratici e ai repubblicani.
Oggi, le mie idee sarebbero diverse, proprio perché i socialisti al Governo tradirono subito quello che doveva essere il loro ruolo peculiare di moralizzatori della cosa pubblica. Inizialmente, però, eravamo (quasi) tutti convinti, perché Ugo La Malfa ci aveva convinto, che il Centrosinistra avrebbe segnato l’inizio di una gestione dello Stato veramente democratica e, soprattutto, laica. Ci furono, in seguito, anche altre motivazioni che mi fecero “allontanare” dalla sua “dottrina”, come l’incontro, “finalmente”, con José Ortega Y Gasset. Avevo sentito parlare per la prima volta del grande filosofo spagnolo nel 1958, o forse del 1959, e fu Randolfo Pacciardi, (eravamo all’Hotel Mare Pineta di Milano Marittima), l’avversario “storico” di La Malfa, a citarmi una famosissima e scioccante, per me a quei tempi, affermazione: ”destra e sinistra sono termini da imbecille”. Negli anni Settanta lessi, per caso, un’intervista di Ortega rilasciata l’anno prima della sua morte (1958) che mi stimolò ad approfondirne la conoscenza.
Per onestà intellettuale debbo registrare anche un’altra “contrarietà” con il pensiero di Ugo La Malfa. Egli ci aveva convinti che De Gaulle avesse approfittato dell’eterna crisi algerina per impossessarsi, in Francia, del potere e che fosse diventato un vero e proprio dittatore. Quando nel 1969 il generale francese, forse l’uomo di maggior spicco del Ventesimo secolo, si dimise spontaneamente da Presidente della Repubblica, dopo che aveva posto la sua fiducia sull’esito positivo di un referendum, neanche di grande importanza, e questa fiducia gli era stata negata dal popolo, cominciai a pensare che La Malfa avesse, volutamente, strumentalizzata l’ascesa di De Gaulle al potere, solo perché questi aveva proposto –ed era stata democraticamente accettata– una revisione costituzionale per poter governare. Da parecchi anni, infatti, in Francia i governi restavano in carica non più di qualche mese. E’ probabile –successivamente anche questo l’ho pensato- che questa sua campagna denigratoria antigollista fosse solo tattica, rivolta, cioè, contro Randolfo Pacciardi, che perse la sua battaglia politica entro il Pri e nel Paese.
La Malfa, indubbiamente, si dimostrò un politico di razza, perché il suo avversario possedeva una “storia” e un curriculum che lo rendevano più amato soprattutto alla base del partito. Eroe pluridecorato, comandante del battaglione Garibaldi nella guerra di Spagna, personaggio prestigioso e credibile soprattutto alla diplomazia degli Usa (aveva retto con grande autorevolezza e competenza il Ministero della Difesa per cinque delicati anni nei quali l’Italia, che la guerra l’aveva persa, doveva dimostrare di essere degna della fiducia accordatale dalle forze alleate), Pacciardi richiamava, in effetti, le caratteristiche di De Gaulle, e pure lui proponeva una Repubblica presidenziale, che certamente non aveva come obiettivo il “recupero democratico” del Psi. Nel ’53 era fallita la cosiddetta “legge truffa”, che prevedeva un premio a quella coalizione che avesse raggiunto il 50% +1 dei voti. La Malfa, che pur condivideva quella legge, prese lo spunto dal non raggiungimento del quorum per pensare a una diversa coalizione governativa, appunto con i socialisti e senza i liberali. Dei comunisti, Togliatti ancora vivente, neppure si osava parlare, anzi, la tesi di La Malfa era proprio di frenarne l’avanzata con Governi che operassero riforme di struttura.
Tutto questo ricordo di La Malfa, i cui meriti politici e di uomo di Stato sono stati decisamente superiori ai suoi errori, in gran parte conseguenza proprio dell’immenso amore che nutriva per il suo Paese, che voleva vedere riscattato dal sottosviluppo, e della smisurata passione politica che mai l’abbandonò e che alimentò sempre con grande determinazione, forse a volte anche con un pizzico di presuntuosa cocciutaggine, pregio-difetto non estraneo alla sua origine siciliana.

Gianni Celletti

tratto dal sito web del
PENSIERO MAZZINIANO (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
29-09-03, 14:23
Programma delle celebrazioni
del Centenario della nascita di Ugo la Malfa

Il Comitato Nazionale ha il piacere di comunicarle le date delle prossime manifestazioni.

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Roma, lunedì 13 ottobre, ore 11.00, Istituto Italo Latinoamericano, Largo Cairoli 3.

Cerimonia di emissione del francobollo commemorativo di Ugo la Malfa. Interverranno: Giulio Andreotti, Nicola Bono, Enzo Cardi, Giorgio La Malfa.

Bologna, sabato 8 novembre, ore 10.00 nella Sala del Consiglio Comunale, Piazza Maggiore.

Convegno sul tema “La figura politica di Ugo La Malfa”. Interverranno Giorgio Guazzaloca, Roberto Balzani, Luciano Cafagna, Emanuele Macaluso, Fabio Roversi Monaco, Angelo Varni. L’incontro sarà concluso dal Presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini.

Rappresentazione teatrale “Ugo La Malfa. Il sogno della Repubblica”, ore 17.00 Aula absidale di Santa Lucia, Università di Bologna.

Milano, lunedì 17 novembre 2003, ore 17.00, Piccolo Teatro di Milano, Via Rovello 2.

Convegno sul tema “La cerchia milanese di Ugo La Malfa”. Interverranno Gabriele Albertini, Giuseppe Guzzetti, Enzo Grilli, Giorgio La Malfa, Guido Montanari, Francesca Pino, Paolo Savona, Pietro Trimarchi.

Rappresentazione teatrale“Ugo La Malfa. Il sogno della Repubblica”, ore 19.00, Piccolo Teatro di Milano, Via Rovello 2.
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La segreteria del Comitato è a disposizione per ogni ulteriore informazione al numero 06/68301567 o via e-mail centenariougolamalfa@libero.it

Roma, 29 settembre 2003

nuvolarossa
30-09-03, 15:21
Ricordando Ugo La Malfa

Anni fa nasceva Ugo La Malfa. I repubblicani tutti lo hanno ricordato con grande affetto e commozione a Palermo sua città natale; ma Ugo La Malfa non appartiene solo alla memoria dei repubblicani o degli azionisti di cui fu uno dei fondatori e dei massimi dirigenti, egli appartiene alla causa della democrazia e della Repubblica Italiana fin da quando giovanissimo fu arrestato perché antifascista.
La Malfa appartiene alla cultura europea perché ha sempre pensato all’Europa politica come alla possibilità di legare la democrazia italiana alle grandi democrazie industriali, interpreti di una comunità di valori di democrazia e di progresso civile.
Un’Europa alleata con gli Usa e non contrapposta, come ci ricordano le polemiche con la sinistra ideologica anticapitalistica e con il generale De Gaulle, e che lo avrebbero visto protagonista anche oggi, nel sostenere la necessità di questa alleanza contro il terrorismo nazionale ed internazionale e lo sviluppo della democrazia nel mondo.
Fin dagli anni venti, la formazione prima e l’eredità del pensiero di Giovanni Amendola, in Ugo La Malfa si intrecciano con lo sviluppo delle democrazie occidentali, dal new deal di Roosevelt e dopo la seconda guerra mondiale con il “revisionismo” ideologico e riformatore delle forze della sinistra democratica europea: dal laburismo alle socialdemocrazie tedesche e scandinave.
Tutta la sua vita politica è caratterizzata dal tentativo di costruire in Italia una sinistra moderna, non ideologica in grado di utilizzare le opportunità di ricchezza offerte dal sistema capitalistico, strumento neutro, che una cultura di governo moderna poteva indirizzare verso l¹interesse generale e verso la risoluzione degli squilibri territoriali e sociali.
Di qui le ragioni di una polemica economica a sinistra, di qui la politica di programmazione e la politica dei redditi, allora combattute ed oggi diventate patrimonio dell’intero paese, anche se a volte contraddette dall’atteggiamento reale delle forze politiche e sociali, sempre propense a difendere le categorie più forti o ad inseguire pratiche clientelari e corporative.
La professionalità e il merito, la produttività del sistema paese, la lotta agli sprechi e al parassitismo, la condanna e la lotta ai centri occulti e mafiosi, la questione morale combattuta contro le manovre speculative di Sindona, la concezione della laicità dello Stato contro le tentazioni confessionali, la pregiudiziale antifascista e per la Repubblica, l’amore per la giustizia e le garanzie di libertà pluralistiche come condizione per la riproduzione dei meccanismi democratici e di coesistenza di valori comuni repubblicani, fanno dell’azione politica di Ugo La Malfa una lezione di impegno politico-programmatico della sinistra democratica italiana, ancora oggi vittima delle proprie fobìe ideologiche, anticapitalistiche e assistenziali che gli impediscono l’acquisizione di una cultura di governo veramente riformatrice.
La Malfa aveva, nella sua concezione di funzione di responsabilità verso l’interesse generale che ogni individuo, di qualsiasi ceto, deve avere verso il proprio Paese e verso la comunità internazionale, una continuità col pensiero di Giuseppe Mazzini e la concezione del dovere come condizione per preservare i valori e la convivenza civile nel rispetto del pluralismo e della libertà.
Ecco perché i repubblicani lo ricordano come un maestro politico, di dirittura morale inossidabile e lo indicano ai giovani come un riferimento di quell’Italia democratica, liberal-democratica repubblicana, laica che potrebbe costituire la normalità con le democrazie occidentali e la ragione di un vero impegno politico per la risoluzione dei problemi veri della gente e non solo un’occasione per la conquista o la contestazione del potere.

Widmer Valbonesi


tratto dal sito web del
PENSIERO MAZZINIANO (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
06-10-03, 14:47
Roma, 13 Ottobre 2003, 0re 11,00
presso Istituto Italo - Latinoamericano
Piazza Cairoli, 3
Cerimonia di emissione del Francobollo Commemorativo di Ugo La Malfa in occasione del Centenario della Nascita
interverranno:
Giulio Andreotti, Nicolo Bono, Enzo Cardi, Giorgio La Malfa, e Maurizio Gasparri (ministro delle Comunicazioni)

per informazioni presso la Segreteria del Comitato:
tel. 06 68301567
centenariougolamalfa@libero.it
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http://www.fondazionelamalfa.org/centenario/galleria/filatelia/photo/01.jpg

Data di emissione 13 ottobre 2003
Valore euro 0,62
Tiratura tre milioni e cinquecentomila esemplari
Vignetta raffigura, in primo piano a destra, l’immagine dello statista Ugo La Malfa e, sullo sfondo, una prospettiva dell’interno della Camera dei Deputati.
Completano il francobollo la leggenda “UGO LA MALFA 1903 - 1979”, la scritta “ITALIA” ed il valore “€ 0,62”
Bozzetto a cura del Centro Filatelico dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato
Stampa Officina Carte Valori dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, in rotocalcografia
Colori cinque più inchiostro interferenziale trasparente-oro.
Carta bianca patinata neutra, non fluorescente, non filigranata
Formato carta mm 30 x 40
Formato stampa mm 26 x 36
Dentellatura 13 ¼ x 13
Foglio cinquanta esemplari, valore “€ 31,00”
Caratteristiche dell´etichetta
L’etichetta, stampata con il sistema autoadesivo, è di formato mm 40 x 14, reca in negativo le scritte “postaprioritaria” e “Priority Mail” su campitura di colore bleu ed è raccolta su un foglio a parte.Essa presenta la fustellatura al vivo (senza margini bianchi) in tutti e quattro i lati.Il foglio, di formato cm 20,1 x 30,5, contiene 76 esemplari, fustellati e sfridati a simulazione di dentellatura 11, recanti tracciature orizzontali e verticali del supporto siliconato per il distacco facilitato di ciascuna etichetta dal proprio supporto.Esso presenta una fascia lungo il lato destro su cui è riportato un numero progressivo
Carta bianca, patinata neutra, autoadesiva non fluorescente
Grammatura 90 gr/mq
Supporto carta bianca, tipo Kraft monosiliconata da 60 gr/mq
Adesivo tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 gr/mq (secco)
Stampa Officina Carte Valori dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, tipografica di colore bleu

http://www.fondazionelamalfa.org/centenario/galleria/filatelia/photo/03.jpg
annullo per primo
giorno di emissione

nuvolarossa
13-10-03, 22:58
Centenario della nascita/Emissione francobollo commemorativo

Ugo La Malfa simbolo della storia d'Italia

Le poste italiane hanno emesso un francobollo commemorativo del centenario della nascita di Ugo La Malfa.

Giorgio La Malfa, presidente della Fondazione La Malfa, il segretario del Pri Francesco Nucara, il senatore a vita Giulio Andreotti ed il ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri, lo hanno presentato a Roma nei locali dell'istituto italo - latinoamericano.

Ugo La Malfa è così stato riconosciuto come un simbolo rappresentativo del comune patrimonio della Repubblica italiana, ben oltre la sua identità di partito. Parliamo di un padre della patria ed anche di un modello per la vita istituzionale del Paese. Come ha ricordato Andreotti, La Malfa possedeva una formazione economica superiore a quella della maggioranza delle personalità politiche che rientrarono in Italia dopo il fascismo, che avevano una propensione per le materie umanistiche ed erano perciò poco disposte a leggere i fenomeni di tipo finanziario e industriale con cui l'Italia avrebbe dovuto confrontarsi nel dopoguerra. E questo spiega bene la difficoltà di comprensione e di interazione dell'azione di La Malfa presso i suoi alleati. Tant'è che nella battaglia per l'ingresso del nostro Paese nel sistema monetario europeo La Malfa si trovò fondamentalmente isolato, fino a quando lo stesso Andreotti si convinse delle sue ragioni e le sostenne. E' stato il figlio Giorgio a rammentare in proposito l'abbraccio con cui il leader repubblicano strinse l'influente esponente democristiano, dopo che questi alla Camera annunziò il suo voto favorevole allo Sme. E La Malfa, uomo del Sud,. non era molto incline a pubbliche effusioni. Ma in quel caso si impedì una deriva negativa per il Paese: il Pri e la Dc si trovarono uniti nell'impedirla.

E' stata però anche importante la testimonianza del ministro Gasparri, il quale ha spiegato come La Malfa influenzò anche il dibattito nella destra, con la Nato prima e la fermezza contro il terrorismo in seguito. Se aggiungiamo il confronto che egli seppe tenere con il Partito comunista, abbiamo il quadro completo e complesso della sua lunga esperienza politica ed istituzionale. Ad essa tutte le tradizioni ideali del Paese possano guardare come un punto di riferimento. E questa per noi è una ragione di orgoglio profondo.

Roma, 13 ottobre 2003


tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
24-10-03, 14:43
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg

nuvolarossa
24-10-03, 14:43
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI369.JPG

nuvolarossa
24-10-03, 14:49
Gli amici forumisti sono invitati ... e nel caso che decidano di partecipare alle manifestazioni sono pregati di dare preventiva informazione via email a:
centenariougolamalfa@libero.it

nuvolarossa
07-11-03, 12:24
Dibattito a Bologna sulla figura politica di Ugo La Malfa

BOLOGNA – Domani a Bologna si terrà un dibattito sulla figura politica di ugo La Malfa. Nel dibattito, aperto da un saluto del sindaco Guazzaloca e presieduto dal prof. Fabio Roversi Monaco, vi sarà una relazione del prof. Roberto Balzani. Nel dibattito interverranno Emanuele Macaluso, Luciano Cafagna e Angelo Varni. Il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini svolgerà l'intervento conclusivo. Il 17 novembre a Milano si svolgerà un convegno nel quale verranno ricordate le figure principali di quella che si puù chiamare la “cerchia milanese di Ugo La Malfa”. Le relazioni riguarderanno oltre Ugo La Malfa economista, Raffaele Mattioli, Adolfo Tino ed Enrico Cuccia. Al termine di ambedue i dibattiti verrà riproposta la rappresentazione teatrale «Ugo La Malfa. Il sogno della Repubblica», tratta da lettere, testimonianze, scritti di Ugo La Malfa, già messa in scena a Palermo in occasione dell'apertura delle celebrazioni del centenario della nascita del grande uomo politico italiano.

nuvolarossa
07-11-03, 12:37
Domani il convegno per ricordare il leader repubblicano Ugo La Malfa

BOLOGNA — Domani, sabato, in occasione dei cento anni dalla nascita di Ugo La Malfa, Bologna ricorderà con un convegno la figura dello statista ed economista repubblicano, nato a Palermo ma eletto in parlamento sin dal 1948 proprio nella regione Emilia Romagna. A celebrare il leader repubblicano, ci saranno il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, il sindaco Guazzaloca, lo storico Angelo Varni, Emanuele Macaluso, Luciano Cafagna e Roversi Monaco, oltre al figlio Giorgio.

nuvolarossa
07-11-03, 19:07
http://www.italiacina.org/approfondimenti/imago/tibet/lamalfa/lamalfa9.jpg

foto di Franca Angelini scattate nel 1977 della prima delegazione ufficiale di Stato a visitare il Tibet dal 1949.
La delegazione italiana, guidata dal Ministro degli Esteri Ugo La Malfa, era introdotta da Marco Francisci, Ambasciatore d'Italia in Cina, e da sua moglie Franca Angelini.

http://www.italiacina.org/approfondimenti/imago/tibet/lamalfa/lamalfa7.jpg (http://nuvolarossa.ilcannocchiale.it/)

nuvolarossa
08-11-03, 12:23
Ugo La Malfa, un italiano fedele alla libertà

Cade quest'anno il centenario della nascita di mio padre, Ugo La Malfa. Egli aveva studiato a Ca' Foscari all'inizio degli anni venti, avendo come maestri, tra gli altri, il grande storico dell'economia Gino Luzzatto e il giurista Silvio Trentin, ambedue antifascisti. Attraverso quest'ultimo egli venne in contatto con Giovanni Amendola che aveva costituito l'Unione Democratica Nazionale, un movimento politico che nelle elezioni del 1925 riuscì ad eleggere alcuni deputati. Amendola, bastonato dai fascisti, morì poco dopo e il suo movimento si sciolse. Ma mio padre rimase legato all'idea di una forza democratico-liberale di sinistra come quella che Amendola aveva concepito e ne arricchì i contenuti attraverso l'esperienza di lavoro nell'Ufficio Studi della Banca Commerciale allora guidata da Raffaele Mattioli che gli consentì di entrare in contatto con il pensiero economico moderno di John Maynard Keynes e con l'idea e i programmi del New Deal di Franklin Delano Roosevelt.
Nel 1942 egli fu fra i fondatori del Partito d'Azione che ebbe un ruolo rilevante nella Resistenza. Come rappresentante del Partito d'Azione nel CLN mio padre ebbe un ruolo cruciale nel passaggio dalla monarchia alla Repubblica, anche perché in questa battaglia dovette fronteggiare non solo le forze conservatrici, ma anche il Partito Comunista di Palmiro Togliatti che, rientrato in Italia dalla Russia, aveva di colpo abbandonato la pregiudiziale repubblicana per schierarsi con la monarchia. Ma il Partito d'Azione entrò in crisi ben presto, diviso fra chi lo considerava una delle forze socialiste della sinistra e chi, come mio padre, Ferruccio Parri ed altri, ne voleva fare una forza integralmente democratica, autonoma, collocata in modo indipendente dalla destra come dalla sinistra. Quando nel 1946 il Partito d'Azione si ruppe, mio padre entrò nel Partito Repubblicano che aveva mantenuto, specialmente in Romagna, nelle Marche, nel Lazio la sua antica tradizione di partito popolare e innestò su questo nobile tronco la moderna visione economica e politica che era venuto sviluppando. Come leader del PRI egli fu sempre alleato della Democrazia Cristiana, anche se mantenne la propria autonomia.
Verso l'Europa
Mio padre ebbe sempre presente il problema del Partito Comunista. Egli aveva dovuto constatare amaramente che di fronte all'avanzata del fascismo molti degli eredi della tradizione liberale avevano ritenuto che solo il Partito Comunista avrebbe potuto combattere la dittatura. Egli scrisse che per lui il momento più difficile del ventennio fu quando, dopo la morte del padre, i figli di Giovanni Amendola si iscrissero al Partito Comunista. Egli, in un certo senso, mantenne quella fedeltà a Giovanni Amendola ed alle sue idee che i figli avevano perduto. Con il PCI tenne sempre aperto il dialogo: fra le sue carte abbiamo trovato un biglietto di Togliatti inviatogli nel 1951 quando mio padre venne nominato ministro che dice "Ed ora con chi discuterò?" e la risposta di mio padre: "E te ne lamenti?" Con Ingrao nel 1967 ebbe un dibattito a Ravenna avviando un confronto di idee fra partiti diversi di cui allora non vi era alcuna consuetudine. Ma fu sempre fermissimo: non cercò una conciliazione fra sé ed il PCI: cercò di farne evolvere le posizioni in senso occidentale. Fu irremovibile in politica estera in favore dell'Europa (la delusione amara verso Berlinguer venne quando il PCI nel 1978 si schierò contro lo SME) ma ancor più dell'Occidente; in politica economica, difendendo l'equilibrio fra l'economia privata e l'intervento pubblico; chiese al sindacato di collaborare responsabilmente alla politica economica nazionale. Fu contro la demagogia sociale che spesso trovava in Parlamento uno schieramento comune dell'estrema destra e dell'estrema sinistra.
Per questa complessità di posizioni mio padre, che pure godette, specialmente retrospettivamente, di grande considerazione, non riuscì mai a sfondare elettoralmente. Indro Montanelli scrisse, con affetto, che in fondo desiderava così, perché un partito troppo forte lo avrebbe condizionato. Non è così: egli avrebbe voluto, come chiunque faccia politica, godere di un consenso e di un seguito più ampio, ma non fu disposto a transigere sulle prorie idee e i propri valori per ottenere il consenso. Per questo restò una posizione di minoranza. Ma per questo è stato ed è giusto mantenere il simbolo, la libertà di giudizio, il senso di indipendenza di quella storia.

di Giorgio La Malfa

nuvolarossa
09-11-03, 14:23
Casini: «Abbiamo ancora tanto da imparare dalla Prima Repubblica»

Il Presidente della Camera Pier Ferdinando Casini rivaluta la «cosidetta prima Repubblica» , ricordando «l’etica del dovere e della responsabilità, il senso dello stato e delle istituzioni» che ebbero molti protagonisti di quella stagione fra i quali Ugo La Malfa.
Casini, concludendo a Bologna un convegno dedicato alla figura politica dello statista repubblicano nel centenario della nascita, ha aggiunto: «Guardando alla sua vita, alla sua storia, alla grandezza di una pagina, quella italiana, della cosidetta prima Repubblica che troppo spesso è stata liquidata con giudizi superficiali, noi protagonisti dell’oggi abbiamo ancora tanto da imparare dai protagonisti di ieri e dal loro grande senso dello stato».
Il presidente della Camera ha osservato anche che se l’Italia riuscì a superare la crisi degli anni '70 con la minaccia terroristica, «lo si deve alla fermezza di uomini come La Malfa, Leo Valiani, Sandro Pertini, Enrico Berlinguer, Benigno Zaccagnini che anche a caro prezzo seppero recuperare il clima della Costituente e difendere la democrazia italiana: il loro impegno assoluto ed incondizionato resta ancora oggi un esempio al quale tutti noi dobbiamo fare riferimento».
In precedenza Casini aveva voluto rimarcare altri aspetti dell’azione politica di La Malfa, la sua visione dei partiti, ai quali toccava il compito di porre i problemi alla collettività, dividendosi «eventualmente sulle soluzioni» ed anche la sua denuncia della «dilagante partitocrazia e la sottomissione dell’amministrazione alla politica».
In platea e sul palco degli oratori ad ascoltare Casini c’erano vecchi esponenti del Pri come l' ex segretario Oddo Biasini, Emanuele Macaluso (Ds), e rappresentanti del Governo come il sottosegretario Filippo Berselli (An) e Gianluigi Magri (Udc).
«Ieri come oggi - ha continuato Casini - non sempre in politica i voti si contano solo, ma si pesano anche». E ha aggiunto: «La Malfa è stato una dimostrazione eloquente».
Il presidente della Camera ha anche sottolineato la «profonda fiducia di La Malfa nell’indispensabile funzione dei partiti politici per la mediazione delle istanze della società. Benché a capo di una piccola formazione, egli aveva dialogato da pari a pari con le forze maggiori, incalzandole sul terreno delle riforme». La Malfa, «da laico» aveva messo a fuoco il ruolo centrale della Dc, ma aprendo allo stesso tempo la strada al confronto con i comunisti «nella consapevolezza dell’esigenza di allargare le basi di legittimazione delle istituzioni». «Egli apprezzava il valore dei partiti, proprio perché ne aveva visto la soppressione al tempo del fascismo, ma - ha proseguito Casini - ne contestava fermamente l’indulgenza a seguire i mutevoli orientamenti della pubblica opinione al solo fine della ricerca di una facile visibilità».

nuvolarossa
09-11-03, 15:02
DA MONTECITORIO

Casini rivaluta la prima Repubblica «Liquidata con giudizi superficiali»

La «cosiddetta Prima Repubblica» non è tutta da buttar via, anzi. «Troppo spesso è stata liquidata con giudizi superficiali», ha detto ieri a Bologna il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, durante un convegno dedicato a Ugo la Malfa: «Guardando alla sua vita, alla sua storia, pensiamo alla grandezza di una pagina come quella italiana. Noi protagonisti dell’oggi abbiamo ancora tanto da imparare dai protagonisti di ieri e dal loro grande senso dello Stato». Il presidente della Camera ha spiegato che se l’Italia riuscì a superare la crisi degli anni Settanta e la minaccia del terrorismo «lo si deve alla fermezza di uomini come La Malfa, Leo Valiani, Sandro Pertini, Enrico Berlinguer o Benigno Zaccagnini che anche a caro prezzo seppero recuperare il clima della Costituente e difendere la democrazia italiana: il loro impegno assoluto e incondizionato resta ancora oggi un esempio al quale tutti noi dobbiamo fare riferimento».
Proprio un uomo come Ugo La Malfa, che aveva saputo denunciare prima di tutti la «dilagante partitocrazia e la sottomissione dell’amministrazione alla politica», è un riferimento esemplare: «L’etica del dovere e della responsabilità, il senso dello Stato e delle istituzioni, il coraggio dell’impopolarità, lo sguardo lungimirante, la concretezza dei problemi e delle soluzioni, l’anteposizione dell’interesse generale a quelli particolari, la coerenza e l’antiretorica: sono le qualità che rendono La Malfa un esempio per tutti coloro che aspirino a partecipare, in qualunque posizione, alla vita pubblica».
E non è questione di percentuali elettorali: «Benché a capo di una piccola formazione, egli aveva dialogato da pari a pari con le forze maggiori, incalzandole sul terreno delle riforme». Uno spirito che «vale oggi come ieri», ha concluso Casini: «Non sempre in politica i voti si contano solo, pesano anche, e La Malfa ne è stato una dimostrazione eloquente».

nuvolarossa
11-11-03, 14:40
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI376.gif Ricordo di Ugo La Malfa Gli amici e i luoghi di Milano

La vita a Milano di Ugo La Malfa, con una rievocazione dell’ambiente in cui lo statista siciliano ha vissuto e delle persone che ha frequentato. I suoi amici e la sua azione politica. Se ne discute domani a Palazzo Marino, dove viene presentata un’iniziativa dal titolo «La cerchia milanese di Ugo La Malfa». A illustrare l’evento, in occasione del centenario della nascita, sono l’onorevole Giorgio La Malfa e il sindaco Gabriele Albertini. La manifestazione si terrà poi lunedì al Piccolo Teatro di via Rovello. Sarà presentato un inedito carteggio. (http://nuvolarossa.ilcannocchiale.it/)

nuvolarossa
16-11-03, 02:03
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI376.gif Canosa dedica una strada ad Ugo La Malfa

CANOSA - L'attuale via dei Pini si chiamerà «via on.le Ugo La Malfa -Statista». Per la cerimonia ufficiale di intitolazione si sta aspettando l'autorizzazione della Prefettura di Bari, richiesta a seguito della delibera, adottata di recente dalla giunta municipale. Quella che si svolgerà a Canosa è una delle tantissime manifestazioni che stanno avendo luogo sull'intero territorio nazionale, in occasione della ricorrenza del centenario della nascita dell'illustre statista repubblicano.
Fra le tante iniziative, che si stanno svolgendo sotto l'alto patronato della Presidenza della Repubblica e con il patrocinio della presidenza del Consiglio dei Ministri, l'emissione di Poste Italiane di un francobollo commemorativo. «La storia personale di Ugo La Malfa - ha sottolineato il segretario sezionale del Pri, Roberto Di Scisciola - testimonia, più delle nostre parole, che egli è stato ben più di un politico. E' stato in primo luogo un intellettuale raffinato, con un'idea alta della politica e della cultura; un economista d'avanguardia con un'idea altrettanto alta di quel che l'Italia era ed avrebbe dovuto rappresentare nel mondo». «La nostra città - ha ricordato il presidente della locale sezione Pri, Nicola Marcovecchio - è stata più volte visitata da La Malfa, soprattutto in occasione delle roventi campagne elettorali che hanno sempre avuto, da oltre cinquant'anni, come risultato l'elezione di nostri rappresentanti in consiglio».
Nato a Palermo il 16 maggio 1903, Ugo La Malfa a soli 21 anni entrò nell'Unione nazionale di Giovanni Amendola, fucina di antifascisti, e poi approdò al movimento «Giustizia e Libertà», per giungere nel 1942 al Partito d'Azione, nella cui lista venne aletto per partecipare ai lavori dell'Assemblea Coastituente. Eletto in Parlamento nel 1948 fu sempre riconfermato per il Pri sino alla morte improvvisa che lo colse nel 1979.

Antonio Bufano
(http://nuvolarossa.ilcannocchiale.it/)

nuvolarossa
16-11-03, 02:34
La Milano dello statista

Una giornata per Ugo La Malfa. Dopo Palermo e Bologna, anche Milano celebrerà lunedì 17 al Piccolo Teatro il centenario della nascita dello statista, nato nel capoluogo siciliano il 16 maggio 1903. Nella nostra città, ricorda il figlio Giorgio, La Malfa trascorse «gli anni più importanti della sua formazione politica e culturale». Anni di fondamentali incontri: chiamato nel 1934 da Raffaele Mattioli all'Ufficio studi della Banca Commerciale, ufficio del quale divenne direttore nel 1938, a Milano il giovane La Malfa fu ricevuto dall'allora condirettore centrale della Comit Giovanni Malagodi.
La casa di Mattioli rappresentò il centro di contatti decisivi con numerosi antifascisti. E i rapporti tra il gruppo milanese e gli antifascisti italiani rifugiati all'estero erano tenuti da Enrico Cuccia. Altro importante nome di quegli anni - non a caso la celebrazione ha per tema "La cerchia milanese di Ugo La Malfa" -, è quello di Adolfo Tino, che con lui scrisse, tra l'altro, l'articolo di fondo del primo numero dell"Italia libera", uscito clandestinamente alla fine del 1942. Il fecondo periodo milanese si concluse nel 1945, quando Ugo La Malfa fu nominato ministro dei Trasporti nel gabinetto Parri. Il programma delle celebrazioni, impostate su due momenti, è stato ieri illustrato a Palazzo Marino dall'assessore alla Cultura, Salvatore Carrubba, e dallo stesso Giorgio La Malfa, presente il sindaco Gabriele Albertini. Alla Sala Grassi di via Rovello, alle 17.30 si terrà il convegno "La cerchia milanese", presieduto da Paolo Savona, presidente del Comitato nazionale per le celebrazioni del Centenario. I "ritratti" di Ugo La Malfa, Enrico Cuccia, Raffaele Mattioli e Adolfo Tino saranno tracciati, rispettivamente, da Enzo Grilli, Giorgio La Malfa, Francesca Pino e Guido Montanari, Pietro Trimarchi. Alle 20.30, lo spettacolo "Ugo La Malfa, il sogno della Repubblica", con testi e musiche, scene e canzoni - raccolti da Paolo Castagna - che ripercorrono il cammino umano e l'impegno politico dello statista. In scena, i giovani Sara Bertelà, Pierluigi Cicchetti, Margherita Di Rauso, Cristian Maria Giammarini, Marta Richeldi, Matteo Zanotti e i musicisti Giulio Luciani, Alessio Mancini, Giuseppe Mulè e Luigi Vitali, tutti guidati dalla regia di Paolo Castagna.

di Piero Lotito

nuvolarossa
18-11-03, 14:04
Rievocato a Milano il sodalizio della Comit da cui uscì una generazione di laici antifascisti

La Malfa, sette idee di libertà e il «postino» chiamato Cuccia

MILANO - L’arrivo alla Comit «cambiò completamente la mia vita». Per Ugo La Malfa quei nove anni milanesi tra l’incontro con Raffaele Mattioli - il «banchiere umanista» che lo assunse nel ’34 alla Banca Commerciale - e la fuga verso Bergamo del maggio del 1943, braccato dalla polizia fascista, furono veramente «decisivi». Non solo per la sua formazione economica e politica, in quell’ufficio studi e in quella «cerchia milanese» dove il futuro politico azionista e repubblicano ebbe la rara opportunità di non perdere i contatti con la teoria e la pratica economica angloamericana. La teoria keynesiana vedeva infatti la luce proprio nel ’36, e in quelli che furono gli anni di maggior consenso del regime non era per nulla scontato potervi accedere, così come era un privilegio poter leggere quotidiani come il «Times» e il «Financial Times».
Ma a Milano, in Piazza della Scala e all’ombra del salotto di Mattioli, era all’opera anche qualcosa di più. A maturare non erano solo idee per l’Italia libera, il tentativo di coniugare una chiara scelta democratica, capitalistica e di mercato con una programmazione statale efficiente. C’era anche una «pratica cospirativa» antifascista in piena regola, dove a rischiare erano le persone che quella «cerchia» componevano.
Non è un mistero che in via Bigli, a casa del banchiere Mattioli, si parlava «liberamente» e in una direzione ben precisa. Tanto che il «più caro amico» di La Malfa, l’avvocato avellinese Adolfo Tino, un giorno prese l’iniziativa di un «solenne incenerimento» di un articolo di giornale con le foto del Fuhrer. E che il primo numero di «Italia libera» - quello dei sette punti scritti da La Malfa e Tino, e portati segretamente a Lisbona da Enrico Cuccia nella fodera della giacca - per diversi giorni stazionò in una cassaforte della Comit. Lo stesso Cuccia confessò più tardi che alla frontiera tra Vichy e la Spagna se la vide parecchio brutta. L’Ovra (la polizia politica fascista che forse infiltrò anche un informatore nell’ufficio studi Comit) arrivò a sospettare che il secondo e il terzo numero della rivista fossero stati stampati proprio all’interno della banca.
L’aneddotica potrebbe continuare, e a nutrirla ci hanno pensato ieri i relatori (Paolo Savona, Enzo Grilli, Giorgio La Malfa, Pietro Trimarchi, Francesca Pino e Guido Montanari) che all’interno delle manifestazioni per il centenario della nascita di La Malfa si sono soffermati sul microcosmo milanese. Un convegno affollato di banchieri e imprenditori (Bazoli, Passera, Salvatori, De Benedetti, Romiti, Palenzona), al quale ha fatto capolino, in fondo alla sala del Piccolo Teatro di Milano, anche il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. In prima fila giovani e «vecchi» di Mediobanca, la creatura di Mattioli e Cuccia. E alla prima apparizione in pubblico dopo le sofferte dimissioni dello scorso aprile anche l’ex «delfino» di Enrico Cuccia, Vincenzo Maranghi.

Stefano Agnoli

la_pergola2000
05-12-03, 15:41
anche a Fano si celebra il Centenario della Nascita di Ugo La Malfa:

L U N E D I 8 DICEMBRE 2003 ORE 10
SALA DEL CONSIGLIO COMUNALE

CELEBRAZIONE CENTENARIO
DELLA NASCITA DI UGO LA MALFA

PARLERANNO:

BERARDI - FRANCHINI - BONETTI

LA CITTADINANZA è INVITATA A PARTECIPARE.

nuvolarossa
11-01-04, 14:01
Il Pri ricorda il suo leader

RAVENNA - Almeno per un giorno l’Edera lascia da parte le divisioni interne che hanno portato il partito a fare scelte diverse a livello nazionale e locale, e si ritrova unita nel ricordo di Ugo La Malfa(nella foto)Il leader storico del Pri, per vent’anni parlamentare dei repubblicani della Romagna, verrà celebrato a Ravenna nella ricorrenza del centenario della nascita, il prossimo 8 febbraio.In particolare il Partito repubblicano di Ravenna in collaborazione con la Fondazione Ugo La Malfa e con l’apposito comitato nazionale dedica quest’anno l’anniversario della Repubblica Romana come si legge in una nota, “all’indimenticabile protagonista di tante battaglie laiche e mazziniane, addirittura dedicandogli uno spettacolo teatrale ed un convegno”. Quindi la domenica dell’8 febbraio sarà tutta dedicata alle celebrazioni ravennati. In mattinata, al ridotto del teatro Alighieri, dopo un’introduzione musicale con gli inni repubblicani, aprirà i lavori del convegno il segretario provinciale del Pri, Paolo Gambi. Poi seguiranno gli interventi dello storico Domenico Berardi, del consigliere regionale Luisa Babini e dei rappresentanti delle istituzioni. La mattinata si concluderà con una tavola rotonda dal titolo: “Nel ricordo di Ugo La Malfa, nuovi traguardi dell’economia ravennate”. In questo caso i lavori saranno aperti dal vicesindaco Giannantonio Mingozzi e sono previsti gli interventi del presidente del gruppo Cassa di Risparmio di Ravenna, Antonio Patuelli, dell’amministratore delegato della Pir, Emilio Ottolenghi, dell’economista Paolo Savona, del presidente della giunta regionale, Vasco Errani e infine di Giorgio La Malfa, figlio del leader, presidente nazionale del Pri e della Commissione Finanze della Camera dei deputati. Seguirà alle 13 il pranzo repubblicano alla Casa del Popolo.Nel pomeriggio infine, alle 16, al Rasi, è in programma lo spettacolo teatrale “Ugo La Malfa, il sogno della Repubblica”, oratorio laico con la regia di Paolo Castagna, con musiche, lettere e testimonianze su Ugo La Malfa.La giornata si concluderà alle 17,30 con il ringraziamento a tutti gli ospiti del segretario comunale del Pri di Ravenna, Giancarlo Cimatti.

Texwiller (POL)
12-01-04, 15:24
E' la prima notizia positiva dell'anno.
Molto positiva.
Tex Willer

nuvolarossa
16-01-04, 12:48
Ugo La Malfa: storia di un testamento ideale

Singolare destino, quello di Ugo La Malfa. L'elettorato non ha mai concesso più di un magro tre e rotti per cento al suo Partito repubblicano. Eppure, quando muore nel marzo del 1979, Roma - la Roma disincantata e cinica di Ennio Flaiano - si ferma per i suoi funerali. A migliaia fanno ala al corteo aperto dalle bande romagnole che suonano il "Va' pensiero" e il "Requiem" di Verdi, si assiepano a piazza Montecitorio per ascoltare l'orazione funebre di Leo Valiani, sfilano nella camera ardente allestita a palazzo Chigi. L'Italia rende omaggio a uno dei grandi personaggi della vita democratica, gli tributa rispetto, merce rara in un Paese sensibile agli spiriti opachi del qualunquismo, alle piccole pulsioni degli interessi immediati. La Malfa è una figura severa, erede e testimone della tradizione risorgimentale, dell'antifascismo, della passione azionista, protagonista laico e repubblicano della lotta politica nell'intero arco del dopoguerra. È stato naturalmente - e consapevolmente - uomo di minoranza, persino con una punta di civetteria, leader dell'"Italia della ragione" avrebbe detto Giovanni Spadolini. E tuttavia, nel momento della sua scomparsa, gli italiani rispondono con sorprendente intensità alla dichiarazione tante volte ripetuta da un uomo così lontano da ogni suggestione retorica: "amo questo Paese di un amore disperato".
Certo, La Malfa è stato un personaggio difficile, come difficile è stato il suo pensiero e anomala la sua azione rispetto alle tradizioni, alle abitudini, ai comportamenti delle culture politiche dominanti (lui le definisce "sottoculture"). A cominciare dalla qualità del suo antifascismo. È diventato antifascista militante a Venezia, negli anni dell'università di Ca' Foscari: i suoi maestri sono Gino Luzzato e Silvio Trentin, poi Giovanni Amendola con la sua Unione democratica nazionale, nelle cui fila fa il suo debutto politico. È un antifascismo, prima ancora che politico, culturale ed etico. Nasce da una valutazione angosciata dei limiti provinciali, del trasformismo, della debolezza morale di tanta parte della borghesia italiana, dai ceti dominanti a quella piccola borghesia che costituisce la base di massa del consenso alla dittatura.
Questa natura etica del suo antifascismo, nutrita negli anni dell'Ice e dell'Ufficio studi della Banca commerciale di Raffaele Mattioli dall'incontro con la cultura economico-politica progressista anglosassone (il laburismo inglese, Keynes, il New Deal di F.D. Roosevelt), gli impedisce di seguire il cammino ideologicamente più "facile" dei tanti giovani della sua generazione - anche fra i suoi amici - che entrano nel partito comunista. La Malfa è e resterà sempre uomo di sinistra, ma di una sinistra diversa e lontana dalle impostazioni marxiste e dal solidarismo del cattolicesimo sociale. È proprio questa "diversità", questa allergia al populismo, a spiegare perché il suo antifascismo non conoscerà indulgenze postume, non si trasformerà mai in ritualità celebrativa ma resterà un dato permanente della sua cultura e della sua azione politica, fino all'estremo limite della vita.
Si è detto fino alla noia del pessimismo di Ugo La Malfa. In realtà La Malfa appare pessimista perché conosce e denuncia senza indulgenze le debolezze strutturali e storiche della società italiana. Giudica fragile la democrazia italiana, debole la coesione della società civile, teme che il fallimento sempre possibile dei partiti democratici apra la strada al ritorno di quella che Giustino Fortunato ha chiamato la "vecchia Italia". Anche questo è un sentimento che lo accompagnerà sino alla fine. Ma il luogo comune del suo pessimismo è smentito dall'ansia di azione mai disgiunta dal confronto culturale, dalla battaglia delle idee, e della concezione altissima che egli ha della politica, dei doveri e delle responsabilità della classe politica. Assegna ai partiti una funzione di collante del tessuto democratico, una sorta di missione "pedagogica" nei confronti degli egoismi, dei particolarismi, delle spinte centrifughe che si manifestano nella società. Mazzinianamente, vuole "educare" gli italiani. Questo timore della deriva di destra spiega molte delle sue scelte, a partire dalla fase fra il 1943 e il 1948, fra la caduta del fascismo e la vittoria democristiana del 18 aprile.

In quegli anni, gli anni dei governi del Comitato di liberazione nazionale, è fra i leader del partito d'Azione, e fa di tutto per convincere i socialisti di Pietro Nenni ad abbandonare il patto d'unità d'azione con il PCI e a contribuire all'edificazione di una solida terza forza laica e riformista, capace di condizionare da sinistra la democrazia cristiana e di gettare semi di revisionismo fra i comunisti. Non ci riesce. La sinistra, fra le esitazioni subalterne di Nenni, i tatticismi di Togliatti e le velleità estremiste di tante parte della "base", va incontro alla sconfitta elettorale del 18 aprile del 1948. La DC ottiene la maggioranza assoluta. Si affievoliscono le speranze di rinnovamento della società italiana che hanno accompagnato la Resistenza. È nata la Repubblica, è stata approvata la Costituzione, ma la sinistra - legata nella sua grande maggioranza all'Unione Sovietica e al mito di Stalin - si relega all'opposizione. Nasce la "democrazia bloccata", mentre sull'Europa cala la guerra fredda.

La crisi dell'unità antifascista si traduce fra l'altro - emblematicamente - nella dissoluzione
del partito d'Azione. La Malfa, uomo della sinistra occidentale, entra nel partito repubblicano. Comincia una nuova fase della sua battaglia politica. Come portare avanti le idee riformatrici in un quadro così contraddittorio?. La Malfa è stato con Adolfo Tino l'autore dei "Sette punti" programmatici dell'azionismo: 1) regime democratico e repubblicano, 2) decentramento, regioni, intervento statale per le aree depresse; 3) nazionalizzazione dei complessi monopolistici o di rilevante interesse collettivo; 4) riforma agraria articolata; 5) responsabilità e partecipazione dei sindacati nel processo economico; 6) piena libertà di credenza e di culto e separazione del potere civile da quello religioso; 7) federazione europea di liberi paesi democratici nel quadro di una più vasta collaborazione mondiale.
Ma ora questo programma di democrazia avanzata, ben più avanzata -sul piano delle cose- delle strettoie ideologiche della sinistra marxista, deve fare i conti con una democrazia cristiana nel cui ambito agiscono forze, a cominciare dal "partito romano" dei Comitati civici e della Chiesa di Pio XII, che spingono per una soluzione clerico-conservatrice della vicenda italiana. La situazione è critica, altissimo il rischio di derive insurrezionali perdenti - basti pensare a quanto accade nell'estate del '48 all'indomani dell'attentato a Togliatti - e, sull'altro versante, di involuzioni autoritarie. C'è chi parla apertamente di ipotesi salazariste, con l'autorevole avallo d'Oltretevere.
La fermezza di De Gasperi e il senso di responsabilità democratica del PCI e del suo segretario evitano il peggio. La DC degasperiana - "un partito di centro che guarda a sinistra" - rinuncia a governare da sola e chiama alla collaborazione i socialdemocratici, i liberali, i repubblicani per bilanciare il peso della destra e del "partito romano". Nasce il centrismo, una formula che caratterizzerà gli anni della ricostruzione e del consolidamento della Repubblica, introducendo elementi di dialettica e di dinamicità democratica in un sistema altrimenti bloccato.
La Malfa vive numerose esperienze di governo nella coalizione centrista. La sua è, già dall'inizio, una politica dei contenuti, "per portare l'Italia a superare le Alpi e a non sprofondare nel Mediterraneo". Basti ricordare il contributo dato alla riforma agraria, alle nuove politiche per il Sud e all'istituzione della Cassa per il Mezzogiorno: "Mezzogiorno nell'Occidente" è il titolo esemplare del suo articolo per il primo numero di "Nord e Sud", la rivista di Francesco "Chinchino" Compagna. E soprattutto la liberalizzazione degli scambi, da lui fortemente voluta contro i residui delle bardature protezionistiche, e in chiave di convinto europeismo: una battaglia condotta contro la durissima opposizione della maggioranza della Confindustria e contro la destra ancora legata a suggestioni autarchiche. Pochi gli appoggi, fra cui quelli di Ezio Vanoni e di Donato Menichella, e alla fine quello, determinante, di De Gasperi. La liberalizzazione passa, e sarà una delle precondizioni del nascente "miracolo italiano", del protagonismo dell'Italia nella costruzione del Mercato comune europeo.

Per tutta la vita, La Malfa giocherà un duplice ruolo, sempre sul crinale delle grandi decisioni e delle grandi scelte. Sarà uomo di governo, il politico dei contenuti riformatori destinato a scontrarsi con le pulsioni conservatrici della destra e con le incomprensioni e le diffidenze della sinistra ideologica. E nello stesso tempo sarà politico integrale, attento alle evoluzioni degli equilibri fra le forze politiche, protagonista attivo del consolidamento e dell'allargamento del consenso politico e sociale intorno alle istituzioni democratiche e repubblicane. Per La Malfa sono due facce della stessa medaglia.
All'indomani delle elezioni del 1953, con la crisi del centrismo degasperiano le difficoltà e le contraddizioni della giovane democrazia italiana si fanno più aspre. Le riforme hanno aperto la strada alle energie economiche e sociali del Paese, lo sviluppo si accelera, si avvia il processo che in pochi anni porterà l'Italia ancora povera e arretrata del primo dopoguerra verso la condizione di una società industriale avanzata. Ma il sistema politico rischia di avvitarsi. Le destre neofasciste e monarchiche si rafforzano, con alcuni successi clamorosi nelle elezioni amministrative. Una parte della democrazia cristiana torna a considerare possibili alleanze con quella destra. Sull'altro versante, i segnali autonomisti del partito socialista di Pietro Nenni - che pure cominciano a manifestarsi - sono ancora ambigui. È la stagione dei governi volatili, delle contrattazioni sottobanco con le destre monarchiche e missine, del consolidamento della degenerazione correntizia nella democrazia cristiana, una stagione che culminerà con il tentativo apertamente reazionario del governo Tambroni nell'estate del 1960.
La caduta di Tambroni e la sconfitta della destra consentono di sperimentare nuovi equilibri politici, resi possibili anche dalla vittoria di J.F. Kennedy e dei democratici nelle presidenziali americane e dall'ascesa al papato di Giovanni XXIII. La lunga battaglia per il centro sinistra arriva a una conclusione positiva. La Malfa è fra i protagonisti, come è stato fra i protagonisti negli anni della preparazione.
Che cosa significa per La Malfa un governo di centro sinistra? Le aperture e le riforme della fase precedente hanno favorito e prodotto uno sviluppo straordinario, economico e non solo economico, della società italiana. Il Paese dimostra una capacità creativa - dall'industria al cinema, al design, alla moda - che le strettoie precedenti hanno compresso. Si presenta l'occasione storica per incanalare e consolidare una crescita per tanta parte spontanea e disordinata e per affrontare con successo squilibri secolari ("l'Italia sarà quel che sarà il suo Mezzogiorno"), e per superare, con la costruzione europea e il legame con l'Occidente più avanzato, emarginazioni provinciali e tentazioni mediterranee e terzomondiste.
Con quali strumenti? Per un riformatore moderno come La Malfa, l'obbiettivo non può che essere quello di consolidare i fattori dello sviluppo, eliminando le sacche di arretratezza del sistema produttivo, destinando gli investimenti dai consumi privati ai consumi pubblici, chiamando al tavolo della concertazione sulle grandi scelte di politica economica le forze imprenditoriali e sociali.
Nasce così la Nota aggiuntiva del ministro del Bilancio nel 1962. La proposta è quella della programmazione, sostenuta dalla politica dei redditi. Programmazione intesa come essenziale ruolo di indirizzo dello Stato - un ruolo diverso dallo statalismo gestionale di matrice marxista o cattolico-sociale - nella determinazione dei fattori dello sviluppo in chiave di interesse generale. E politica dei redditi come coinvolgimento dei sindacati dei lavoratori nelle scelte di destinazione degli investimenti e di redistribuzione della ricchezza prodotta.

Nella Nota aggiuntiva c'è tutto La Malfa. È evidente l'eco dei "Sette punti" programmatici della breve stagione azionista. È evidente il legame con le culture politiche ed economiche più avanzate dell'Europa e dell'Occidente. La Malfa non ama le ideologie, ma le sue idee sono chiare. Ai socialismi della sinistra contrappone la considerazione apparentemente disadorna che il capitalismo costituisce il più efficiente meccanismo di produzione della ricchezza mai sperimentato, e che senza produzione di ricchezza una politica di sinistra non è possibile. Al "liberismo protetto" della destra risponde con la programmazione e con la politica dei redditi, affidando allo Stato e alla politica un ruolo centrale volto insieme a preservare le condizioni perché il meccanismo di sviluppo non si inceppi e perché le risorse prodotte siano destinate a fini di interesse generale. Nel caso italiano, l'obbiettivo è quello di superare gli squilibri storici e territoriali, di consolidare lo sviluppo, di fare dell'Italia un paese avanzato, sull'esempio delle grandi democrazie dell'Occidente. A ben vedere, per La Malfa - che pure è l'esponente politico che più spesso e con maggiore competenza parla di questioni economiche - l'economia è uno strumento, delicato, sicuramente decisivo. Ma pur sempre uno strumento: che deve essere utilizzato per ciò che veramente conta e che dà nerbo etico all'impegno politico, e cioè la crescita culturale, civile, morale dell'Italia.
Le proposte della Nota aggiuntiva - programmazione e politica dei redditi - si scontrano con il rigetto della destra economica e con l'incomprensione e la diffidenza della sinistra sindacale e politica. La Malfa diventa oggetto di attacchi concentrici, mentre la formula di centro sinistra - che ha suscitato tante speranze - si impantana nelle difficoltà. I socialisti sono dilaniati dalle tensioni interne - si arriverà alla scissione del Psiup e al fallimento dell'unificazione fra Psi e Psdi - e cercano di allentarle accentuando il linguaggio massimalista, mentre comincia a diffondersi la pratica del sottogoverno e dell'occupazione dello Stato. I democristiani, preoccupati dell'emorragia elettorale a destra, e poi da manovre torbide che fanno temere tentativi golpisti, frenano le spinte riformiste. L'efficacia del centro sinistra, che pure produce risultati importanti nella modernizzazione dei costumi e nello sviluppo delle libertà individuali - si pensi all'introduzione del divorzio- , riduce di molto la sua portata.

La Malfa continua la sua battaglia, ma ora si impegna direttamente nel partito repubblicano. Ne diventa segretario, vincendo nel congresso sulla destra di Randolfo Pacciardi. Si apre la straordinaria vicenda del PRI lamalfiano (che continuerà - per tanti aspetti - nella successiva stagione della segreteria di Giovanni Spadolini), di una forza politica che riesce a giocare per molti anni un ruolo infinitamente superiore alla sua forza elettorale, capace di attirare nelle sue fila uomini di altissimo prestigio culturale, imprenditoriale, civile, di essere partito d'élite e contemporaneamente di profondo insediamento popolare nelle Romagne, nelle Marche, nel Carrarino, a Roma e nei Castelli romani. Il PRI raccoglie consensi importanti nel mondo imprenditoriale e nello stesso tempo ha un radicamento significativo nel sindacato e nel movimento cooperativo. La Malfa ne è il leader indiscusso e indiscutibile e come sempre guarda lontano. Siamo in pieno centro sinistra e il PRI partecipa ai governi facendo valere le sue idee e il suo ruolo. Ma La Malfa inaugura la sua segreteria cercando a sinistra nuovi interlocutori nel PCI. È la stagione dei grandi dibattiti con Amendola e Ingrao.
Il rapporto di La Malfa con il partito comunista e con i suoi uomini migliori - con alcuni di essi ha legami di antica amicizia personale - ha caratteristiche tutte particolari e significative. La Malfa è uomo dell'Occidente e della sinistra occidentale senza esitazioni e senza ambiguità. Considera l'alleanza atlantica e il legame con gli Stati Uniti "rooseveltiani" un pilastro irrinunciabile della collocazione internazionale dell'Italia; altrettanto convinti sono il suo europeismo federalista - memorabili le sue polemiche contro "L'Europa delle patrie e contro l' "Europa dall'Atlantico agli Urali" del generale de Gaulle - e il suo sostegno alla causa dello stato d'Israele. In più occasioni, sarà proprio lui a richiamare gli alleati del centro sinistra, tentati da giri di valzer e da suggestioni terzomondiste, al rispetto integrale degli obblighi delle alleanze e a un'interpretazione rigorosa dei doveri della collocazione internazionale dell'Italia. Verso l'Unione Sovietica, pur riconoscendosi nella politica di distensione, ha l'atteggiamento di chi ha compiuto, con le sue scelte di politica estera, una scelta di civiltà.
Eppure, lo stesso La Malfa cerca il dialogo e il confronto con i comunisti, nonostante essi siano ancora in quegli anni per tanti aspetti legati all'URSS, contrari alla Comunità europea, terzomondisti e filo-arabi. Perché? Le ragioni sono molteplici e complesse, nascono dalle motivazioni profonde del suo impegno politico. La Malfa ritiene che l'allargamento della base popolare di consenso intorno alle istituzioni democratiche sia una delle priorità assolute della politica. È una convinzione che viene da lontano, dalla lettura delle insufficienze del processo risorgimentale e dell'Italia liberale, una lettura confermata dall'analisi della degenerazione fascista e dei caratteri minoritari dell'antifascismo attivo e della Resistenza. Per consolidare la Repubblica, i ceti sociali rappresentati e organizzati dal PCI sono indispensabili. Del resto, i caratteri del partito comunista italiano non sono quelli rozzamente filo-sovietici e anticapitalisti di altri PC europei, come il contemporaneo PC francese di Georges Marchais. Togliatti ha edificato il più forte partito comunista dell'Occidente non solo sul mito della Rivoluzione di ottobre e del socialismo dell'URSS, ma anche su basi che sono profondamente nazionali, sulla cultura di Antonio Gramsci e dell'italo-marxismo di derivazione crociana. La Malfa coglie in pieno le potenzialità positive delle "ambiguità" del partito comunista, quelle ambiguità che hanno consentito al PCI di partecipare a pieno titolo alla stesura della Costituzione e di comportarsi da forza di opposizione responsabile nelle fasi più delicate della vicenda politica.
La Malfa è severo nel denunciare gli strumentalismi e i rischi della "via italiana al socialismo", non cede di un millimetro sulle grandi questioni della politica estera e della politica economica. Ma non è "anticomunista": per meglio dire, è anticomunista intransigente " in radice", ma non perde e non perderà mai la speranza nel processo di revisione interna al PCI, nella capacità di quella forza politica - che rappresenta tanta parte degli italiani - di trasformarsi in una moderna forza di sinistra europea e occidentale. Considera suo dovere, come leader della sinistra democratica, incalzare il PCI sulle cose, sui contenuti, senza complessi per l'evidente disparità di forza e di consenso elettorale, nella profonda convinzione della superiorità delle idee. Avverte l'esigenza etica e politica di impegnarsi fino in fondo per superare le condizioni di "democrazia bloccata" della democrazia italiana. La Malfa è un grande tattico e lo dimostra in tante occasioni. Ma per lui la "questione comunista" è una grande questione strategica.
Inoltre La Malfa ha stima di molti dirigenti comunisti, da Togliatti a Berlinguer. Ne apprezza il disinteresse, la dedizione alle ragioni della politica, l'onestà personale e il rigore morale. Mentre nei confronti dei socialisti conserverà sempre non poche diffidenze: giudica poco consistente e spesso velleitaria la loro cultura politica, contrasta la loro propensione al massimalismo e alla pratica di occupazione del potere, la spregiudicatezza nei rapporti fra politica ed economia, la costante divisione in personalismi correntizi. Ha buoni rapporti con Nenni, ma non una grande valutazione delle sue capacità politiche. Sarà diffidente e ostile verso Bettino Craxi, così diverso da lui e dai suoi valori, persino con qualche ingenerosità. Ha rapporti di reciproca stima, per ragioni diverse, con socialisti "anomali" come Riccardo Lombardi e Sandro Pertini.
Con la sinistra, insomma, La Malfa discute, polemizza, si scontra. Ma è sempre a sinistra che cerca il confronto, è quello il suo terreno, che comprende anche gli uomini migliori della democrazia cristiana, da Fanfani a Aldo Moro. Con la destra, invece, La Malfa non discute: la combatte perché ne capisce la pericolosità, tanto più grave quanto più precari sono la tenuta e il prestigio dei partiti democratici, la loro capacità di guida della società civile.

Il PRI partecipa, a fasi alterne, ai governi di centro sinistra nella lunga fase di immobilismo che arriva alla metà degli anni Settanta: ne diventa, si dice, la coscienza critica. Cominciano intanto a manifestarsi- nella stagnazione della politica e dei governi che si succedono, cadono e nascono per lotte di corrente nella democrazia cristiana - fenomeni nuovi e inquietanti. Avventurismi finanziari dai retroscena oscuri, episodi di nascente terrorismo alimentati dalla destra estrema e dalle degenerazioni del Sessantotto, crisi economica e inflazionistica provocata dalla crescita vertiginosa del prezzo del petrolio dopo la guerra del Kippur. La Malfa vive con angoscia questi inquietanti segnali di crisi. È protagonista vittorioso della battaglia contro Sindona e contro la rete delle complicità palesi e occulte che lo sostengono, si batte con intransigenza per una lotta dura al terrorismo di ogni colore e perché essa veda il concorso di tutte le forze democratiche, politiche e sociali. È alfiere - con Enrico Berlinguer - della politica di austerità come premessa di una nuova politica economica e come freno al pansindacalismo e alla fuga dalle responsabilità dei ceti imprenditoriali.
La "questione morale" diventa motivo centrale, fra gli altri, del suo impegno politico. La Malfa vede crescere la corruzione, le compromissioni fra politica ed economia, la crescente occupazione dello Stato, la degenerazione del sistema delle partecipazioni statali, che pure negli anni cinquanta e sessanta ha costituito uno dei pilastri dello sviluppo italiano. Per un politico di razza come lui, la risposta alla questione morale non può limitarsi alla testimonianza: deve essere trovata - appunto - nella politica.
L'occasione si presenta con il governo Moro - La Malfa, fra l'autunno del '74 e i primi mesi del '76. Quel governo dimostra subito, con i fatti, di essere "diverso" dai tanti di centro sinistra che lo hanno preceduto, mentre fra La Malfa e Moro si consolida un rapporto profondo di stima e di fiducia, dopo la diffidenza provocata in precedenza dalle tentazioni mediterranee manifestate dallo statista pugliese. È diverso sul piano dei contenuti, e della coerenza con cui quei contenuti vengono perseguiti. Ma è diverso anche per le prospettive politiche che apre: il bipartito DC - PRI costituisce la premessa necessaria e consapevole per l'avvio della stagione della solidarietà nazionale, per l'inclusione del PCI nell'area di governo.
La Malfa si porrà con assoluta convinzione come garante attivo dell'intesa di governo con il PCI, garante verso i ceti imprenditoriali e borghesi all'interno e verso gli alleati occidentali all'esterno. La soluzione della solidarietà nazionale gli pare "ineluttabile" per superare i tanti fattori di crisi che si sono accumulati e che rischiano di diventare devastanti. Una risposta all'emergenza economica, sociale e civile che ha investito il Paese, un invito drammatico alla responsabilità comune delle forze che hanno dato vita, dal governo o dall'opposizione, allo Stato democratico, alla Costituzione, alle fondamenta della Repubblica.
Una scelta politica coraggiosa, per molti versi estrema, volta a sperimentare la via difficile del superamento dell'anomalia italiana restando all'interno del sistema dei partiti democratici nato dall' antifascismo. Ancora una volta La Malfa vede lucidamente, "nelle cose", il senso reale della scelta, molto più chiaramente dei fumi ideologici che avvolgono intanto la teoria del cosiddetto compromesso storico, dell'incontro cioè - trent'anni dopo - fra cattolici e comunisti.
I governi di solidarietà nazionale hanno successo, segnano punti importanti nelle questioni economiche e nel ripristino dell'autorità dello Stato. Ma su di essi si abbatte la tragedia del rapimento e dell'uccisione di Aldo Moro ad opera delle brigate rosse. La Malfa pronuncia alla Camera uno dei discorsi più memorabili, replicando a qualcuno che ha chiesto maggiore protezione per i parlamentari: " Nessuno può proteggere noi; e forse noi abbiamo bisogno di essere protetti? I reggitori dello Stato non hanno bisogno di essere protetti. Noi abbiamo troppo rischiato per irridere a questa minaccia; ma se nessuno può proteggere noi, noi con le nostre leggi, possiamo proteggere tutti e questo è il nostro dovere di legislatori". Gradualmente, però, i comunisti si ritraggono dalle loro responsabilità, rallentano il processo di revisione interna, dicono no al Sistema monetario europeo. Hanno paura di una emorragia elettorale a sinistra. Mentre nella DC riprendono vigore le forze ostili all'apertura verso il PCI e i socialisti di Bettino Craxi si schierano per il ritorno alla formula del vecchio centro sinistra. La situazione italiana si irrigidisce.
L'estremo tentativo di mantenere vivo lo spirito della solidarietà nazionale, l'incarico di governo che Pertini dà proprio a La Malfa, fallisce per l'aperta ostilità dei socialisti e per il miope "non possumus" del PCI. Siamo nel febbraio del 1979. "Qui si scioglie l'Italia", commenta il presidente del Consiglio incaricato, nel momento in cui rinuncia all'incarico. Un mese dopo un ictus lo colpisce: La Malfa muore, dopo una breve agonia. Difficile immaginare un epilogo più emblematico proprio nel momento in cui si esaurisce la spinta propulsiva dei partiti che hanno innervato la vita democratica della Repubblica. La Malfa fa appena in tempo a vederlo. La fine della sua vita coincide con la conclusione di una fase lunga - e per tanti aspetti straordinaria - della vicenda italiana.
Il Paese ha conosciuto una crescita senza precedenti, guidata da una democrazia forse anomala ma solida nei suoi assi portanti. Adesso il processo di allargamento dell'area democratica e di governo che ha consentito la dinamicità delle coalizioni centriste, del centro sinistra, della solidarietà nazionale si inceppa definitivamente. Gli anni successivi saranno di ristagno politico, il pentapartito una formula di necessità, appena illuminata nei diciotto mesi dei governi di Giovanni Spadolini - la sconfitta del terrorismo, lo scioglimento della P2, il raffreddamento delle tensioni inflazionistiche - dallo stile e dal prestigio personale del presidente del Consiglio. I dieci, dodici anni del pentapartito saranno dominati dallo scontro di potere fra democristiani e socialisti, dall'occupazione sistematica e proterva del sottogoverno, dall'espansione incontrollata e clientelare della spesa pubblica, dalla corruzione crescente, pubblica e privata. Il sistema va incontro al disastro, un disastro che si produrrà nei primi anni Novanta molto più per le mutate condizioni internazionali, per la mancanza di tensione etica della politica, per l'incapacità dei partiti di autoriformarsi che per l'azione della magistratura. "Mani pulite" - una stagione con tante ombre e qualche luce - è stata l'effetto e non la causa della crisi e poi della caduta della politica.
La Malfa non ha visto tutto questo, come non ha visto il "dopo". Ma quel suo "qui si scioglie l'Italia" pronunciato nel momento in cui si esauriva la spinta propulsiva della "prima Repubblica", appare singolarmente e amaramente profetico.

La lunga fase di transizione, aperta nei primi anni Novanta, non si è ancora conclusa. Il percorso è incerto. La dissoluzione dei partiti, che - non bisogna dimenticarlo - rappresentavano le grandi correnti del pensiero politico democratico italiano ed europeo, ha dato spazio a formazioni anomale, senza riscontri in altre democrazie e a personaggi sideralmente lontani dai valori, dalle convinzioni etiche, dall'idea stessa di una politica sempre innervata dalla cultura e dal disinteresse della ragione che sono stati di Ugo La Malfa e di altri come lui. Mentre, sull'altro versante, si assiste all'incapacità di fare fino in fondo i conti con la propria storia, di liberarsi dalle divisioni ricorrenti, di rinnovare con coraggio il proprio personale politico.
Il pessimismo spinge a dire che l'analisi sconsolata di Giustino Fortunato sull' irriducibilità, sul perenne ritorno della "vecchia Italia" resta valida anche oggi, che La Malfa ha avuto ragione a condizionare ogni momento della sua politica alla consapevolezza del rischio di una deriva di destra, di una destra diversa da quella europea, e che l'Italia si sta veramente "sciogliendo", come del resto qualche nuovo arrivato apertamente propone. Ma se si vuole essere lamalfianamente ottimisti - non sembri un paradosso, tutta la vita di La Malfa è stata un esempio di ottimismo del dovere e della responsabilità -, si può valutare che la società italiana è cresciuta, che gli eventi di questi anni siano il portato un po’ caotico di ogni fase di transizione, che ci sia spazio per un'iniziativa politica volta nel tempo alla "normalizzazione" in chiave europea della democrazia italiana. Che insomma valga la pena di battersi perché il bipolarismo rissoso, lo scontro frontale, gli estremismi cedano il passo alla reciproca legittimazione degli schieramenti e perché l'alternanza al governo non sia vissuta, dall'altra parte, come un rischio per la democrazia.
Certo, bipolarismo e alternanza non fanno parte dei cromosomi dell'Italia unitaria, a partire dal "connubio" fra Cavour e Rattazzi nel Parlamento subalpino. Certo, linguaggio e comportamenti di molte forze politiche fanno pensare a quanto grandi siano i rischi di emergenza democratica. Ma se si ama questo Paese - magari di un "amore disperato" - non si può cedere alla rassegnazione o alla tentazione dello scontro frontale permanente. Occorrono fermezza e pazienza, duttilità, capacità di elaborazione ideale e di convincente proposta politica ed elettorale, per conquistare il consenso di quei settori centrali della società civile che sono più sensibili ai richiami della ragione e la cui scelta, in tutte le democrazie dell'alternanza, è decisiva per determinare la vittoria dell'uno o dell'altro schieramento. Occorre appoggiare con convinzione e con gratitudine l'azione di chi - come il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi - svolge opera di "pedagogia civile", assolvendo ad un'altissima funzione istituzionale, in qualche modo anche in supplenza di ciò che in altri tempi facevano gli uomini migliori della politica. Occorre infine non disperdere il patrimonio culturale, etico - politico, dell'Italia laica. Un'Italia sempre di minoranza, ma a cui si deve, per tanta parte, la crescita della Nazione, dal Risorgimento alla Repubblica.
Naturalmente, sarebbe ozioso chiedersi "da che parte starebbe" oggi Ugo La Malfa. Che La Malfa sia stato uomo del suo tempo è una constatazione persino un po’ sciocca, un'ovvietà, come è un'ovvietà dire che la storia non si fa con i "se". Ma sarebbe ozioso soprattutto perché tutta la sua vita indica "da che parte starebbe". Si può dire senza retorica che starebbe dalla parte dell'Italia.

Sandro Bonella

tratto da il
Pensiero Mazziniano
http://www.domusmazziniana.it/ami/r1.gifhttp://www.domusmazziniana.it/ami/r2.gif (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

nuvolarossa
28-01-04, 20:17
L'8 febbraio: Ravenna celebra Ugo La Malfa

(Sesto Potere) - Ravenna - 28 gennaio 2004 - Ugo La Malfa, per 20 anni parlamentare repubblicano della Romagna e leader storico dei repubblicani, verrà celebrato a Ravenna in occasione del Centenario della nascita il prossimo 8 febbraio. Il PRI di Ravenna, in collaborazione con la Fondazione Ugo La Malfa e con l'apposito Comitato nazionale dedica quest'anno l'anniversario della Repubblica Romana proprio all'indimenticabile protagonista di tante battaglie laiche e mazziniane, addirittura dedicandogli uno spettacolo teatrale ed un convegno. Infatti domenica 8 febbraio sarà tutto dedicato alle celebrazioni ravennati. In mattinata al ridotto del Teatro Alighieri, dopo un'introduzione musicale con gli inni repubblicani , aprirà i lavori il segretario provinciale Paolo Gambi, poi interverranno lo storico Domenico Berardi, il consigliere regionale Luisa Babini e le istituzioni; si svolgerà poi una tavola rotonda dal titolo "Nel ricordo di Ugo La Malfa i nuovi traguardi dell'economia ravennate", aperta dal Vice Sindaco Giannantonio Mingozzi e con gli interventi di Antonio Patuelli (Presidente del gruppo Cassa di Risparmio) Emilio Ottolenghi (Amministratore Delegato PIR) l'economista Paolo Savona, Vasco Errani Presidente della Regione e infine Giorgio La Malfa, Presidente PRI e Presidente della Commissione Finanze della Camera dei Deputati. Seguirà alle 13,00 il pranzo repubblicano alla Casa del Popolo. Nel pomeriggio, alle 16,00 al Teatro Rasi lo spettacolo teatrale "Ugo La Malfa, il sogno della Repubblica" oratorio laico con la regia di Paolo Castagna, con musiche lettere e testimonianze su Ugo La Malfa. Alle 17,30 la giornata si concluderà con il ringraziamento a tutti gli ospiti del Segretario Comunale Giancarlo Cimatti. (Sesto Potere)

nuvolarossa
29-01-04, 20:51
Sabato 7 febbraio 2004

Forlì/Centenario della Nascita di Ugo La Malfa: convegno e rappresentazione teatrale

La Romagna celebra il centenario della nascita di Ugo La Malfa con un convegno e con la rappresentazione teatrale di un testo tratto dai suoi scritti, in scena a Forlì e a Ravenna. Dopo le celebrazioni nazionali tenute a Palermo e a Bologna, la figura di Ugo La Malfa torna ad essere al centro dell'attenzione non solo per un dovuto omaggio ad uno dei padri della Repubblica italiana ma per il recupero di un pensiero politico oggi come ieri di grande forza e modernità. Le celebrazioni forlivesi, organizzate dal Comitato per il Centenario e dall'associazione Res Publica, si tengono sabato 7 febbraio nell'Aula Magna "G. Mazzini" dell'Università di Forlì, in corso della Repubblica 88/a.

Il programma della giornata, presieduta dal segretario nazionale PRI, on. Francesco Nucara, si aprirà alle ore 15,30 con l'esecuzione degli Inni, seguita dall'introduzione di Mariaconcetta Schitinelli, presidente dell'Associazione Res Publica, e dagli indirizzi di saluto del Sindaco Franco Rusticali e del presidente della Provincia Piero Gallina.

La celebrazione ufficiale sarà quindi affidata a Widmer Valbonesi, segretario regionale del Pri Emilia-Romagna, il quale aprirà un confronto sul tema "Ugo La Malfa, deputato della Romagna Europea; attualità del suo pensiero". A coordinare il dibattito sarà Giancarlo Mazzuca, direttore del Resto del Carlino, mentre partecipano in veste di relatori i docenti universitari Roberto Balzani ed Angelo Panebianco, affiancati dal preside della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Bologna Gilberto Capano. Le conclusioni saranno quindi affidate a Giorgio La Malfa, presidente nazionale del Pri. Dopo un buffet offerto a tutti gli intervenuti, alle ore 19,10 si terrà la rappresentazione teatrale "Ugo La Malfa. Il sogno della Repubblica", oratorio laico diretto da Paolo Castagna che raccoglie lettere, testimonianze e scritti di Ugo La Malfa.

nuvolarossa
30-01-04, 19:22
A Forlì un convegno e uno spettacolo teatrale per i 100 anni dalla nascita di Ugo La Malfa

(Sesto Potere) - Forlì - 30 gennaio 2004 - Forlì celebra i cento anni dalla nascita di Ugo La Malfa con un convegno e uno spettacolo teatrale che si terranno sabato 7 febbraio nell¹Aula Magna dell¹Università di Forlì, promossi dal Comitato per il Centenario, l¹Unione Cooperativa Giuseppe Mazzini di Forlì e l¹associazione Res Publica di Forlì. A questa importante manifestazione partecipano tra gli altri, in veste di relatori, il segretario nazionale del PRI Francesco Nucara e il presidente nazionale del PRI Giorgio La Malfa, i docenti universitari Roberto Balzani, Gilberto Capano e Angelo Panebianco, mentre a coordinare il dibattito sarà Giancarlo Mazzuca. A concludere la giornata sarà una rappresentazione teatrale a cura di Paolo Castagna.

nuvolarossa
09-02-04, 13:11
DISCORSO CELEBRATIVO NEL CENTENARIO
DELLA NASCITA DI UGO LA MALFA
DI WIDMER VALBONESI (FORLI’-7/02/2004)

Autorità, cittadini ,amiche e amici repubblicani,
consentitemi di portarvi il saluto e l’augurio di buon lavoro dell’On. Oddo Biasini, che mi ha telefonato ,con commozione, per ringraziarci tutti dell’invito rivoltogli a presenziare alla manifestazione e per comunicarmi l’impossibilità di farlo per motivi di salute, ma di considerarlo presente col cuore e con la mente. All ‘ amico Oddo va il nostro saluto ed augurio di pronto ristabilimento e la gratitudine per l’esempio di serietà e di attaccamento al PRI che rappresenta per tutti noi.

E’ con grande commozione che oggi ,a nome di tutti i repubblicani dell’Emilia-Romagna, mi appresto a ricordare il centenario della nascita di Ugo La Malfa.
Voglio ringraziare l'Associazione Res Publica e tutti coloro, istituzioni e non, che hanno contribuito alla realizzazione di questa giornata.
Domani a Ravenna e lunedì a Cesena proseguiranno le celebrazioni in onore di un grande maestro,di un parlamentare romagnolo(1948-1968) che aveva respiro europeo, di un grande repubblicano, di uno statista che si è battuto tutta la vita per cambiare la condizione del Paese. Il suo sogno di fare dell’Italia , Paese povero e mal governato,un Paese moderno, bene amministrato, inserito nell’Occidente e nell’Europa, per molti aspetti è rimasto un sogno, una passione. Ma quel giorno in cui la televisione diffuse le immagini del suo funerale non lo piansero solo i repubblicani italiani o i molti repubblicani dell’Emilia-Romagna che accorsero a Roma ; l’intera nazione ,che molte volte lo aveva misconosciuto, lo pianse –come scrisse Eugenio Scalfari.
Questo incontro non vuole suscitare emozioni rituali e rimpianti . Vogliamo ,oggi, ricordare ai giovani che non lo hanno conosciuto , al Paese , diffidente e deluso dalla politica intesa come continua sfida per la conquista del potere, come chiusura nei particolarismi, nei localismi, nella mancanza di una cultura di governo dell’interesse generale, a coloro che non hanno consapevolezza che i valori dell’Occidente rappresentano la possibilità di mantenere i livelli di civiltà democratica del nostro Paese: a tutti questi vogliamo ricordare l’analisi di Ugo La Malfa , le sue indicazioni ,ancora modernissime, perché il perseguimento dell’Altra Italia , quella da lui sognata ed inseguita , diventi un obiettivo concreto, un progetto , un modello per la classe dirigente democratica di oggi.
Gli aspetti salienti della sua vita sono noti: (li potete leggere nella nota biografica distribuita)
e sono sintetizzabili nel discorso che fece al congresso del 1978 dove in una polemica con il mazziniano Tramarollo ripercorse le tappe del suo impegno politico e del modo concreto di far coincidere il pensiero e l’azione .
Non solo l’intransigenza dei principi, ma anche l’azione concreta per raggiungerli facendoli vivere nel confronto con la società e nel dibattito politico.
Una vita vissuta da protagonista, interprete di quell’Italia di minoranza che aveva radici nella cultura risorgimentale, passando attraverso Mazzini, Gobetti , Croce , Salvemini, e che La Malfa poi raffinò in un pensiero moderno nella conoscenza del New Deal, di Keynes e soprattutto della scuola italiana di scienze della finanze di De Viti De Marco e, dopo la seconda guerra mondiale, con il “revisionismo”ideologico e riformatore delle forze di sinistra europea: dal laburismo alle socialdemocrazie tedesche e scandinave.
LA PREGIUDIZIALE REPUBBLICANA
Molte volte , il ruolo di ammodernamento operato da La Malfa nella tradizione del PRI è stato interpretato come se le battaglie economiche prevalenti che egli svolgeva negassero la continuità coi valori risorgimentali e del repubblicanesimo classico, legato indissolubilmente al pensiero di Mazzini e di Cattaneo. Non era così, molti ignoravano che il merito della nascita della Repubblica Italiana era da ascriversi in gran parte alla determinazione ,all’intransigenza e alla lungimiranza del pensiero e dell’azione di Ugo La Malfa .La pregiudiziale repubblicana posta dal Partito d’Azione non fu solo la rivendicazione storica del risorgimento, come ad esempio faceva il PRI ,ma anche la valutazione storica della situazione italiana.
E La Malfa si trovò contro non solo i moderati come Benedetto Croce e molti dei suoi amici liberali, ma anche i comunisti e i socialisti pronti al compromesso monarchico.
La tesi di La Malfa era che la monarchia se nel Risorgimento ,come soleva dire Garibaldi, aveva unito gli italiani, nella fase che avrebbe seguito la sconfitta militare e la caduta del fascismo, per il ruolo negativo e complice che aveva giocato, avrebbe costituito un elemento di divisione del Paese. Dopo la guerra e la Resistenza, il problema della monarchia avrebbe impedito alle forze democratiche e della sinistra, uscite vincitrici, di partecipare alla gestione dello Stato, governando o stando costruttivamente all’opposizione ,e quindi il problema si sarebbe riproposto in un clima di tensione e di rottura fra gli italiani, mentre la soluzione repubblicana all’inizio della ripresa democratica sarebbe diventata un elemento di unione. Come poi in effetti fu.
Un altro elemento decisivo per La Malfa fu il fatto che il credito che gli Aventiniani e Giovanni Amendola avevano riposto sulla monarchia come garante dello Statuto e delle libertà che esso sanciva, fu tradito, perché la monarchia non si oppose al fascismo e quindi era inaffidabile.
Qualcuno, dei suoi amici laici disponibile al compromesso, si trincerava dietro alla considerazione che la monarchia aveva avuto il ruolo di difesa della laicità dello stato nel periodo risorgimentale quando lo stato liberale e l’Unità d’Italia si erano formati contro il potere temporale e contro il potere clericale.
In effetti la monarchia non solo non poteva essere la garante dell’affermazione dello stato laico, ma addirittura poteva diventare il collante di pericolose rivincite antirisorgimentali.


I due partiti , Pri e P.d’A. svolsero la battaglia repubblicana con il medesimo fine , ma sotto due angolazioni diverse. La determinazione con cui La Malfa e il Partito d’Azione sostennero questa pregiudiziale repubblicana in seno al CLN furono determinanti. La Malfa sosteneva che in mancanza di garanzie di andare verso la Repubblica bisognava stare fuori dal governo e non dare nessun appoggio politico e lo sostenne anche dopo la svolta di Salerno quando nell’Italia meridionale liberata ,la monarchia contò sull’appoggio di Togliatti e di cinque dei partiti del CLN. Soltanto il Partito D’Azione rimase fuori e i due azionisti che parteciparono al governo Badoglio furono espulsi.
Fu comunque la posizione intransigente di La Malfa e del P.D’A.. a tenere aperta la questione istituzionale e fu la determinazione con cui questo ruolo fu svolto che consentì poi l’accordo di Roma dell’8 giugno 1944, che fu creazione di Ugo La Malfa e che aprì la svolta verso la Repubblica. .
Ecco perché la battaglia istituzionale della Repubblica vide in La Malfa il principale protagonista e gli storici quando vorranno farlo dovranno riconoscere questa verità e la continuità risorgimentale che i protagonisti di quel periodo, a cominciare da Sandro Pertini Presidente della Repubblica, riconobbero, vegliando il grande padre della Repubblica che stava morendo, colpito da un ictus nel marzo del 1979.
DEMOCRAZIA E GIUSTIZIA SOCIALE
La Malfa ottenuta la Repubblica non si fermò alla constatazione che la forma repubblicana avrebbe di per se risolto i problemi del paese ; e sapeva che il governo del popolo non era uno strumento automatico di sviluppo, di giustizia sociale, di trasformazione delle coscienze .
Indro Montanelli una volta scrisse “l’Italia più bella , più giusta,più moderna,più efficiente e lucente,io l’ho conosciuta e vissuta nelle proiezioni che me ne faceva Ugo La Malfa sotto i bombardamenti di Milano nel 1944 , e fino ai tempi della Costituente, poi cominciò il suo grande lutto sull’idolo infranto”.
Il 2 giugno del 1946 il popolo strappò la Repubblica , ma la DC e il mondo più vasto che politicamente la Dc rappresentava, ottenne l’egemonia sulla Repubblica.Si era avverato quello che oltre un secolo e mezzo fa Giuseppe Mazzini in Fede ed Avvenire aveva magistralmente profetizzato:”quel popolo che non s’è mosso per fede , ma per semplice reazione verso gli abusi della monarchia ne serberà gli antecedenti, la tradizione, l’educazione: avrete forma repubblicana e sostanza monarchica, la questione d’ordinamento politico cancellerà la vera suprema questione morale e sociale”.
La Malfa avverte subito questo pericolo e capisce la situazione del Paese diviso ideologicamente, con forze politiche e sociali tese ad egemonizzare lo sviluppo della società e che per mantenere intatto il loro potere non pensano mai all’interesse generale; vede, lucidamente, le difficoltà in cui il Paese si dibatte e le azioni di trasformazione politica e sociale che occorre mettere in atto per avviare, l'Italia, stabilmente, verso obiettivi di rinnovamento e di giustizia sociale.
Egli capisce subito che la collocazione internazionale del PCI,filosovietica, lo avrebbe tenuto fuori dal gioco democratico e che la DC andava condizionata ,quindi, dalle forze di democrazia laica e socialiste non marxiste.
Quando nel 1945 La Malfa esortava Nenni ad una politica autonoma che accompagnasse la conversione di altri ceti verso la società democratica egli sapeva che l’alleanza fra il partito socialista , il partito repubblicano e il Partito d’Azione avrebbe potuto essere il fulcro di una democrazia di sinistra.Il 2 giugno del 1946 queste tre forze ottennero 146 seggi contro i 106 del PCI e i 207 della DC.
Quale potere contrattuale queste forze avrebbero avuto nei confronti della Dc appare evidente ; invece, quando 18 anni dopo i socialisti arrivarono al governo di centro sinistra il rapporto non era più di tre a quattro, ma di uno a tre e il Pci si era rafforzato a sinistra con la politica del fronte popolare.
Il centrismo è a quel punto l’equilibrio che la situazione consente; la liberalizzazione degli scambi portata avanti da La Malfa contro l’ostilità di Confindustria e dei sindacati, diedero respiro europeo ad un’ Italia uscita distrutta dalla guerra e la tolsero dalle secche di una visione autarchica e nazionalista in cui sinistra ideologica e destra corporativa la stavano confinando.
La Malfa,pur in presenza di un miracolo economico , non rinuncia a confrontarsi con le forze politiche per cambiare il quadro politico e con le forze sociali , per condizionare le trasformazioni del meccanismo di sviluppo spontaneo proponendo la cultura di governo delle società industriali avanzate poi concretizzatasi nella proposta di “Nota Aggiuntiva” del primo governo di centro sinistra.
E non rinuncia nemmeno all’idea politica di rendere compiuta la democrazia italiana cercando attraverso il ragionamento sui meccanismi dello sviluppo economico di rendere partecipi delle scelte fondamentali dello sviluppo le grandi masse popolari ed imprenditoriali, esercitando nei confronti delle ingiustizie e degli sprechi dello stato assistenziale la sua polemica di uomo controcorrente, che si muove in senso opposto alla maggior parte degli italiani.

Disse di lui ancora Montanelli “era un politico che non amava il potere, un generale che più del comando amava la strategia ; da qui l’accusa di una certa alterigia intellettuale. “Questo”potente”che disdegnava i pennacchi e i galloni, che non volle mai una scorta, né una macchina con autista,, né un posto riservato in aereo e in treno , di cui essendo quasi cieco
avrebbe avuto assoluto bisogno,non sapeva nascondere la sua impazienza per i “peones” della politica,aveva per la popolarità e i media un aristocratico disprezzo…..non fu mai un procacciatore di voti, un protagonista delle lotte di potere, ma per trent’anni la politica italiana non ebbe un suggeritore più onnipresente ed efficace di lui, sebbene la parte a cui più teneva e in cui si sentiva a suo agio fosse quella del profeta inascoltato e solitario.”
Io credo non fosse così: La Malfa era un intransigente, ma non era né un sognatore né un aristocratico. Il suo punto di vista amava metterlo a confronto con gli altri e sapeva esercitare un fascino vero, non solo per noi giovani ma persino sugli uomini di cultura, gli intellettuali, che voleva non “organici “ma autonomi, il suo dialogo con la cultura liberal-democratica è stato incessante basti pensare alla sua presenza nel Mondo di Pannunzio o a quell’insuperabile convegno “Democrazia e cultura”, che bisognerebbe riproporre oggi nel suo nome.
In tempi in cui la sinistra sosteneva l’intellettuale organico alle strategie del partito o in cui la pratica di molti intellettuali era quella di essere asserviti al potere, egli sosteneva l’autonomia degli uomini di cultura e degli scienziati e li spronava non tanto ad essere generici ripetitori di valori ideali, ma a studiare e farsi carico dei problemi più gravi del paese, trovare idee che smitizzassero le ideologie e le portassero sul terreno più concreto della ragione .
E che non fosse un aristocratico lo dimostra il fatto che tutta la sua azione politica e di governo, pur nell ‘analisi sulla grandezza delle trasformazioni della società e del meccanismo di sviluppo, pur nel pensare all’Italia inserita nell’economia e nei valori europei e occidentali ,pur frequentando i grandi della finanza , egli ha sempre come riferimento costante la condizione dei deboli, dei miseri , delle zone sottosviluppate e dei disoccupati,l’operaio sacrificato dai parassitismi, il cittadino che non ha servizi efficienti, il giovane che il clientelismo e il parassitismo escludono dal posto di lavoro o rendono debitore e quindi legato alla logica del voto di scambio;tutto questo insieme alla cultura di governo dell’interesse generale come necessità di risoluzione dei problemi.
.
E’ vero che La Malfa concepì il p.d.’a.come il partito dei “ceti medi” e sosteneva che, attraverso l’ancoraggio alla democrazia ed il coinvolgimento dei ceti medi in una politica di riformismo strutturale, passasse la soluzione del problema politico italiano in senso democratico e progressista.
Ma la maturazione del concetto di democrazia integrale, acquisita nella militanza nel PRI e la coerenza coi valori pluralistici della Costituzione , lo portarono a cambiare opinione: infatti, nel 1970 in un dibattito svolto a Firenze con i giovani della rivista Controcorrente, quando qualcuno gli fece notare che la sua era una posizione classista, e che criticare il classismo del proletariato dei comunisti contrapponendogli un classismo della borghesia seppur illuminata, era contraddittorio rispetto all’affermarsi della cultura dell’interesse generale che egli propugnava , La Malfa rispose così “osservo che c’è un evoluzione della maniera con cui noi vediamo ormai tale problema ,non accettiamo, infatti, più la concezione classista che sta alla base della classificazione delle forze politiche. Quando nel P.d’A. mi riferivo formalmente ai ceti medi , accettavo un ‘impostazione classista e non me ne accorgevo. Secondo me , tale impostazione va respinta perché è puramente ideologica. Mi pare che il problema non sia di trovare le forze in quella o questa classe a sostegno del proprio programma politico , altrimenti non usciamo dalla crisi in cui ci troviamo.Il problema è di trovare nella coscienza del cittadino l’adesione a un metodo di azione politica riformatrice il più coerente possibile ai fini dell’interesse generale che si vogliono raggiungere”.
FUNZIONE DI RESPONSABILITA’- NON POTERE
Questo è un punto cruciale dell’analisi e del contenuto politico del pensiero di Ugo La Malfa: la consapevolezza che la società democratica, per rimanere tale, per garantire la libertà e la giustizia sociale deve trovare nella coscienza dei cittadini quelle virtù morali che preservano il senso comune e la solidarietà , quel senso del dovere di mazziniana memoria che riecheggia nelle sue parole quando dice - anche qui l'eredità e la tensione morale risorgimentale sono evidenti - ”Una delle esigenze fondamentali della società moderna non è soltanto la globalità della visione dei problemi , ma la sostituzione di nozione di responsabilità individuale o collegiale a quella di potere.Non vi deve essere potere politico o economico o culturale o morale, ma responsabilità politica, economica ,culturale e morale. L’imprenditore non è padrone della fabbrica ma vi esercita una funzione, come ve la esercitano gli operai.Il professore non è il padrone dell’Università ma vi esercita una funzione come ve la esercitano gli studenti.Una forza di sinistra deve vedere così i problemi di libertà, di autonomia, di partecipazione al compito decisionale delle società moderne.
Essa deve spezzare l’autoritarismo e il potere personale ad ogni livello e convertirli in un esercizio di funzione, momento costitutivo di una visione generale dei problemi,
e sa utilizzare dello spirito imprenditoriale ,non burocratizzato, della borghesia e del capitalismo l’aspetto positivo e respingere l’aspetto negativo ed asociale.”
CAPITALISMO STRUMENTO NEUTRO
E La Malfa spiega magistralmente- Nell’intervista sul capitalismo- con Ronchey il suo pensiero, dove contesta la definizione che i sistemi capitalisti e socialisti si distinguano solo dalla proprietà dei mezzi di produzione, sostenendo la tesi che il capitalismo è uno strumento neutro. Egli dice :”Quando noi poniamo il problema del rapporto fra potere di consumo nelle società industriali e potere di consumo nelle altre società, il meccanismo capitalistico è neutro rispetto a questo problema, ma non è un meccanismo che produce ricchezza a non finire. E’ un meccanismo che produce ricchezza da distribuire …”:- poi aggiunge- “ è superata la teoria marxista secondo cui le forze politiche e sindacali sarebbero sovrastrutture e tutto dipenderebbe dalla struttura capitalistica.
In democrazia, attraverso l’azione delle forze politiche , l’azione di governo e l’azione delle forze sindacali si possono mandare impulsi al sistema capitalistico.”
In sostanza, La Malfa afferma che attraverso la programmazione , la politica dei redditi e un concetto moderno di autonomia si possono governare in modo redistributivo le ricchezze accumulate dal meccanismo di sviluppo capitalistico verso consumi sociali , verso la risoluzione degli squilibri , verso una migliore giustizia sociale .Invece se prevale l’impostazione ideologica che considera il sistema capitalistico come il male assoluto, allora gli impulsi saranno contraddittori , i consumi saranno individuali e verticali e la redistribuzione non ci sarà, perché si sarà indebolito il meccanismo stesso nella sua capacità di produrre ricchezza.
E’ la concezione moderna del governo di società avanzate e di una sinistra democratica riformatrice ,di cui dibatte con Ingrao, Giorgio Amendola e Foa.
Oggi tutti parlano di politica dei redditi e di concertazione, ma permane una concezione di difesa corporativa ,che non si ispira alla cultura dell’interesse generale e molte volte diventa oggetto di strumentalizzazione politica ai fini della conquista del potere, non ai fini della soluzione dei problemi del Paese, e questo dimostra che la lezione di Ugo La Malfa è ancora poco seguita .
Ma la Malfa non si occupò solo di economia, trattò anche con grande attenzione i problemi istituzionali : nel dibattito sulla riforma della Costituzione nel 1971, intervenne con un saggio di cui voglio leggere alcuni passi, perchè quasi profeticamente analizzò ciò che sarebbe successo a voler modificare l'assetto istituzionale senza i necessari accorgimenti di maturazione politica.
Egli scrisse: “L’ordimento costituzionale,l'assetto istituzionale di un Paese non cade dal cielo, non è un fatto arbitrario, ma una creazione storica,una elaborazione delle forze politiche:sono cioè le forze politiche che creano gli ordinamenti e sono esse che le possono fare bene o male funzionare, se bene o male ne interpretano lo spirito e il significato.
E ancora:
“la Repubblica italiana, nata dalla Resistenza,è stata creata con alcune caratteristiche istituzionali essenziali, che ,o sono mantenute ferme e preservate insieme, o saranno travolte.
Esse sono: pluralismo sociale e politico,che dà diritto di rappresentanza a tutte le correnti storiche,ideologiche e culturali della vita unitaria ed è il fondamento della libertà di associazione e di organizzazione in sindacati;conseguente proporzionalismo elettorale, democrazia parlamentare, e cioè del governo espressione del Parlamento, di fronte al quale è responsabile; autonomismo, come principio della organizzazione politica amministrativa territoriale;infine carattere rigido della Costituzione che pone la norma costituzionale a un livello più alto rispetto alle altre fonti normative. “
E poi un monito: “o le forze democratiche dell'Italia postfascista saranno capaci di avvalersi di questo ordinamento ,oppure si riveleranno incapaci e creeranno in tal caso una situazione di ingovernabilità, di crisi, di marasma che avrà come esito sicuro,la loro disfatta assieme al crollo istituzionale.
Ed è perfettamente arbitrario o pura esercitazione di fantasia sforzarsi di immaginare che cosa possa prenderne il posto:la Repubblica Presidenziale,il bipartitismo o la pura e semplice tirannide di stile mediterraneo”.
Difendendo poi il sistema elettorale proporzionale, egli afferma che le alternative come i collegi uninominali non sono attuabili nella condizione politica del Paese.
Dice La Malfa:”Il sistema uninominale è certamente più idoneo a costituire maggioranze più solidali, a semplificare gli schieramenti politici spingendoli rapidamente verso il bipartitismo, ma il suo presupposto è che le forze politiche sulla scena abbiano il carattere, la configurazione, come si suol dire, di grandi partiti <di servizio democratico> nei quali il collante ideologico sia molto tenue.Condizione necessaria, ma non sufficiente, perchè ciò si verifichi sul piano politico è una società molto omogenea, fortemente equilibrata e stabilizzata nel suo sviluppo.. ....Quanto si sia lontani in Italia da una condizione di omogeneità sociale e di caratterizzazione non ideologica dei partiti politici è fin troppo evidente- conclude La Malfa- e ammonisce:”In questa situazione l'abbandono della proporzionale non sarebbe un segno di maturazione democratica, di evoluzione positiva del sistema politico,bensì un segno inverso, di involuzione, di impoverimento della dialettica politica, che sarebbe ridotta a scontro irriducibile e perpetuo fra le due forze ideologiche maggiori.”
Quando Ugo La Malfa, sosteneva queste cose eravamo nel 1971 e quanto profetiche ,purtroppo, si siano dimostrate le sue analisi è sotto gli occhi di tutti: oggi il bipolarismo è prigioniero delle forze estreme, ideologiche ,i maggiori partiti spingono verso l'ideologizzazione e la demonizzazione dell'avversario e l'unica preoccupazione è la lotta per la conquista del potere; non certo il cercare soluzioni ai problemi degli squilibri territoriali e sociali o dello sviluppo, come dovrebbe essere compito della politica e dei partiti intesi come servizio democratico, e quindi sfide di buon governo.Ma anche di fronte alle discutibili leggi cosiddette federaliste di oggi La Malfa avrebbe sicuramente dissentito.Contestando il modo con cui si intesero le Regioni e il proliferare di enti senza mai eliminarne alcuno, sostenne : “Spezzato il tessuto unitario dell'organizzazione statale costituito dall' autoritarismo dei rapporti gerarchici, non si è compreso che era necessario elaborare una nuova fase coesiva democratica unitaria, non sulla permanenza del massimo possibile di competenze centrali, ma sulla instaurazione di una rete di rapporti di tipo nuovo tra Stato e Regioni, della creazione di un sistema di reciproche integrazioni che avesse come riferimento costante e come metodo fermo la programmazione globale”.
Un modo moderno di intendere l'autonomia locale, cioè quella di concorrere alla definizione e realizzazione delle scelte globali delle linee di sviluppo del Paese.
Quindi un 'autonomia che unisce, non la vecchia contrapposizione stato- periferia, che riecheggia nelle impostazioni odierne e che rischiano di essere disgregatrici dell'unità del Paese.
A noi non interessa sapere come si sarebbe schierato La Malfa nell’evoluzione del sistema politico. Sappiamo che come sempre sarebbe stato dalla parte dei deboli, dell'Europa e dei valori dell'Occidente; e che sicuramente sarebbe stato la coscienza critica del Paese.
Egli sapeva, come noi sappiamo, che di fronte a tutto ciò che avviene sono prevalenti le responsabilità della classe dirigente,politica e non politica,di governo e di opposizione, economica , finanziaria e intellettuale e che solo con un forte pragmatismo innervato di valori , solo col rigore e la coerenza nel far corrispondere questi alla realtà dell'azione politica il Paese poteva e può modernizzarsi e svilupparsi nella democrazia.
Egli andava molte volte controcorrente,e per questo non si arrendeva allo scetticismo, alla sfiducia nella politica, alla fuga dall'impegno, alla chiusura di ognuno nel proprio” particulare”, faceva appello a virtù non scomparse del tutto nella coscienza degli italiani e sollecitava la riscoperta dei fondamenti morali e delle regole della convivenza civile; egli sapeva che solo dall'impegno delle forze vive della società e dalle coscienze democratiche poteva esserci quell' avvenire , quell'Altra Italia sognata e perseguita, ma ancora non realizzata.
Ricordandolo e assumendo l'impegno a portare avanti l'attualità del suo pensiero,studiando l'evoluzione della società e proponendo ai giovani la sua lezione , siamo certi di fare ciò che egli avrebbe voluto per il bene del nostro Paese.

Widmer Valbonesi

nuvolarossa
09-02-04, 20:46
La Malfa, indimenticabile repubblicano

RAVENNA - Antico e sempre saldissimo è il legame di Ravenna con gli ideali etico-politici repubblicani e con l’uomo che di questi è stato straordinario alfiere per gran parte del Novecento, Ugo La Malfa.E per celebrare il centenario della nascita dell’indimenticato statista, le federazioni provinciale e comunale del Partito repubblicano italiano hanno scelto simbolicamente il 9 febbraio, giorno in cui, nel 1849, fu proclamata la Repubblica Romana.Ed hanno organizzato per la giornata di ieri una serie di iniziative in ricordo di La Malfa che hanno avuto il loro momento clou nel convegno della mattina che si è svolto al ridotto del Teatro Alighieri, affollatissimo di cittadini e autorità.Diviso in una prima parte di saluti e testimonianze e in una successiva tavola rotonda sul tema “Nel ricordo di Ugo La Malfa - I nuovi traguardi dell’economia ravennate e romagnola”, l’incontro ha avuto come ospite d’onore il figlio di La Malfa, Giorgio, presidente del Pri e presidente della commissione Finanze Camera dei deputati. E per un giorno, nel ricordo dello storico leader, sono state dimenticate le “divergenze” interne all’Edera che hanno portato il partito nazionale e quello ravennate a seguire strade diverse: il primo nella Casa delle Libertà; il secondo nelle giunte di centro-sinistra.“A Ravenna e in Romagna - afferma il sindaco Vidmer Mercatali nel portare i saluti della città - più che altrove il sogno di La Malfa si è realizzato, cioè una politica socio-economica liberale e fortemente legata all'Europa”.Sul profondo rapporto del padre del Pri con la Romagna si trovano d’accordo Paolo Gambi, segretario provinciale del Pri, il quale ritiene inoltre La Malfa “colui che introdusse una politica del tutto nuova nei rapporti tra economia, lavoratori e sindacati che oggi è patrimonio comune di tutti”, ma anche Francesco Giangrandi, presidente della Provincia di Ravenna, che lo considera “un pilastro della questione morale in Italia”.Introduce la tavola rotonda Giannantonio Mingozzi, vicesindaco di Ravenna, evidenziando “quanto importante sia stata per la nostra città la concezione di La Malfa di unire sempre alla politica economica anche una forte carica di umanesimo”.Che l’economia ravennate e romagnola siano in uno stato piuttosto buono, almeno a livello nazionale, lo conferma poi la disamina dell’economista Paolo Savona, sebbene “anche a Ravenna, miglior provincia della regione, presto ci si dovrà confrontare con lo scenario chiave europeo, quello di un allungamento notevole della vita, foriero di problemi di politiche sociali, e della globalizzazione dei mercati”.Più legate al pensiero di La Malfa le considerazioni del presidente della Regione Emilia-Romagna, Vasco Errani, che nello statista ritrova “un senso delle istituzioni e una visione della politica, etica e laica, che rappresentano un esempio di come si dovrebbe agire in una sana democrazia” e che ne considera le visioni “profondamente libere, lungimiranti, fuori dai recinti puramente ideologici”.Sarà quindi Giorgio La Malfa a chiudere l’incontro, con parole realistiche e decise. “Siamo stati - incalza il presidente nell’Edera - e siamo una minoranza. Ma c’è un orgoglio delle minoranze che, per fortuna, difenderemo sempre. Le minoranze però non possono avere la stessa cultura dei partiti di massa, ed è per questo che sono convinto che il sistema maggioritario porti ad alleanze spesso incompatibili e che renda deboli i moderati sia di destra che di sinistra”.Nel pomeriggio la figura di La Malfa è stata ricordata in modo insolito al Rasi, con “Ugo La Malfa, il sogno della Repubblica”, oratorio laico ideato da Paolo Castagna.Ravenna - Antico e sempre saldissimo è il legame di Ravenna con gli ideali etico-politici repubblicani e con l’uomo che di questi è stato straordinario alfiere per gran parte del Novecento, Ugo La Malfa.E per celebrare il centenario della nascita dell’indimenticato statista, le federazioni provinciale e comunale del Partito repubblicano italiano hanno scelto simbolicamente il 9 febbraio, giorno in cui, nel 1849, fu proclamata la Repubblica Romana.Ed hanno organizzato per la giornata di ieri una serie di iniziative in ricordo di La Malfa che hanno avuto il loro momento clou nel convegno della mattina che si è svolto al ridotto del Teatro Alighieri, affollatissimo di cittadini e autorità.Diviso in una prima parte di saluti e testimonianze e in una successiva tavola rotonda sul tema “Nel ricordo di Ugo La Malfa - I nuovi traguardi dell’economia ravennate e romagnola”, l’incontro ha avuto come ospite d’onore il figlio di La Malfa, Giorgio, presidente del Pri e presidente della commissione Finanze Camera dei deputati. E per un giorno, nel ricordo dello storico leader, sono state dimenticate le “divergenze” interne all’Edera che hanno portato il partito nazionale e quello ravennate a seguire strade diverse: il primo nella Casa delle Libertà; il secondo nelle giunte di centro-sinistra.“A Ravenna e in Romagna - afferma il sindaco Vidmer Mercatali nel portare i saluti della città - più che altrove il sogno di La Malfa si è realizzato, cioè una politica socio-economica liberale e fortemente legata all'Europa”.Sul profondo rapporto del padre del Pri con la Romagna si trovano d’accordo Paolo Gambi, segretario provinciale del Pri, il quale ritiene inoltre La Malfa “colui che introdusse una politica del tutto nuova nei rapporti tra economia, lavoratori e sindacati che oggi è patrimonio comune di tutti”, ma anche Francesco Giangrandi, presidente della Provincia di Ravenna, che lo considera “un pilastro della questione morale in Italia”.Introduce la tavola rotonda Giannantonio Mingozzi, vicesindaco di Ravenna, evidenziando “quanto importante sia stata per la nostra città la concezione di La Malfa di unire sempre alla politica economica anche una forte carica di umanesimo”.Che l’economia ravennate e romagnola siano in uno stato piuttosto buono, almeno a livello nazionale, lo conferma poi la disamina dell’economista Paolo Savona, sebbene “anche a Ravenna, miglior provincia della regione, presto ci si dovrà confrontare con lo scenario chiave europeo, quello di un allungamento notevole della vita, foriero di problemi di politiche sociali, e della globalizzazione dei mercati”.Più legate al pensiero di La Malfa le considerazioni del presidente della Regione Emilia-Romagna, Vasco Errani, che nello statista ritrova “un senso delle istituzioni e una visione della politica, etica e laica, che rappresentano un esempio di come si dovrebbe agire in una sana democrazia” e che ne considera le visioni “profondamente libere, lungimiranti, fuori dai recinti puramente ideologici”.Sarà quindi Giorgio La Malfa a chiudere l’incontro, con parole realistiche e decise. “Siamo stati - incalza il presidente nell’Edera - e siamo una minoranza. Ma c’è un orgoglio delle minoranze che, per fortuna, difenderemo sempre. Le minoranze però non possono avere la stessa cultura dei partiti di massa, ed è per questo che sono convinto che il sistema maggioritario porti ad alleanze spesso incompatibili e che renda deboli i moderati sia di destra che di sinistra”.Nel pomeriggio la figura di La Malfa è stata ricordata in modo insolito al Rasi, con “Ugo La Malfa, il sogno della Repubblica”, oratorio laico ideato da Paolo Castagna.

Alessandro Fogli

nuvolarossa
09-02-04, 22:21
La Romagna ricorda Ugo La Malfa/Manifestazioni a Ravenna, Forlì e Cesena

Guardare all'Italia da una salda sponda Atlantica

di r. b.

Ugo La Malfa guardava a sinistra? "Si, certo, ma ben saldo nell'alleanza con la Democrazia cristiana". Nel bipolarismo della Prima Repubblica, non ci sono dubbi sul polo al quale appartenesse il leader del Pri. E' la risposta che il figlio Giorgio dà al giornalista della Rai che segue la ricorrenza del centenario della nascita dello statista celebrata a Ravenna. Il segretario del Pri, Francesco Nucara, il giorno prima a Forlì, aveva preferito caratterizzare la figura dello statista repubblicano nella sua epoca, e attenervisi rigorosamente, proprio per evitare ogni possibile illazione su cosa avrebbe fatto o detto un Ugo La Malfa dei nostri tempi. Ma se dobbiamo interpretare il futuro alla luce del passato, come ha chiesto di fare la manifestazione ravennate al ridotto del Teatro Alighieri, organizzata dal vicesindaco Giannantonio Mingozzi, stiamo bene attenti a quello che si sostiene: Ugo La Malfa segna una distanza politica dalla sinistra tradizionale inequivocabile. E il suo essere di sinistra, modernizzazione, progresso, capitalismo, era agli antipodi con quello che in Italia si intendeva comunemente per "sinistra". La Malfa rappresentava un'altra sinistra, con ben pochi proseliti, soprattutto fuori dai confini romagnoli. Il figlio Giorgio ha dedicato molta cura nel ricordare questa particolarità. "Eugenio Scalfari scrisse che la morte di Ugo La Malfa era un dolore per tutta l'Italia, e che con La Malfa moriva lo Stato. Ma l'ultimo articolo che lesse mio padre di Scalfari era una requisitoria che lo descriveva quasi come fosse un mascalzone perché pronto a varare un governo Andreotti". Comunque per Giorgio il giudizio di Scalfari era sbagliato anche nell'epitaffio. Nel senso che in La Malfa non si poteva riconoscere l'Italia, non quella degli scandali, dei bassi compromessi, della spesa facile. Ugo La Malfa rappresentava un'Italia di minoranza, il senso dello Stato, quale avrebbe dovuto essere, ma non certo lo Stato baraccone che era stato costruito.

Poi certo può far piacere tanto rispetto una volta morti, ma non è che ci si dimentica dell'avversione suscitata in vita. Appartenere ad una minoranza comporta la consapevolezza e la responsabilità di dover dire e fare cose che spesso dispiacciono alle maggioranze. Questo segna il confine politico fra La Malfa ed i suoi numerosi estimatori di oggi e fra chi ne ha avuto invece il problema di raccoglierne per davvero l'eredità.

Per questo i repubblicani sono poco o nulla assimilabili in uno schieramento. O, come ha detto Giorgio dopo aver ascoltato marce garibaldine e inni mazziniani, con l'attuale sistema maggioritario "non si riesce a trovar pace nella parte in cui posiamo del letto".

Forse anche per questo sarà bene che i repubblicani di Ravenna e di Forlì tengano conto che l'appartenenza ad una casa politica come questa impone che le alleanze non siano considerate indissolubili e accettate come un dogma, soprattutto in condizioni politiche precarie come le attuali. Giorgio La Malfa sottolinea come sempre di più appare inadeguato un sistema maggioritario a fronte di emergenze che imporrebbero formule di solidarietà nazionale, come il caso Parmalat e Cirio ad esempio, e che pure sono impossibili nello scontro frontale di oggi. Così come marca la distanza dalla maggioranza a cui appartiene sulla riforma costituzionale: "non voteremo una legge che rischia di dividere lo Stato", dice. Ma non ha nessuna nostalgia del centrosinistra, neanche a proposito dell'unità d'Italia. "Sono proprio loro che con la riforma dell'articolo 5 hanno creato alla fine della passata legislatura questa confusione".

Chissà che i repubblicani non farebbero bene ad ascoltare il presidente del partito, preoccupandosi degli sviluppi futuri di un sistema politico che perde colpi, piuttosto che attaccarsi ad una lotta di schieramento che, tutto sommato, può solo rappresentarli per qualche stagione.

nuvolarossa
13-02-04, 02:08
Il segretario nazionale del Pri ha ricordato a Forlì, durante le manifestazioni per il centenario della nascita, la figura di Ugo La Malfa/Dall'esperienza antifascista a fianco di Amendola alla fondazione del Pd'A fino all'adesione all'Edera che considerava "poco partito di opinioni e molto partito di iscritti"

Un uomo politico per il quale l'arte del buon governo era l'impegno fondamentale

Il segretario nazionale del Pri ha ricordato la figura di Ugo La Malfa il giorno 7 febbraio 2004 a Forlì, durante le celebrazioni per il centenario della nascita dello statista siciliano.

di Francesco Nucara

Tra le tante meritevoli iniziative promosse dalla Fondazione che porta il suo nome, nell'ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita di Ugo La Malfa, quelle di questi giorni, a Forlì e Ravenna e Cesena, hanno una significativa rilevanza.

Se Palermo e la Sicilia furono la sua terra d'origine, il luogo della nascita cui rimase per tutta la vita permanentemente legato, sentendosi sempre un uomo del sud, un emigrato che portava nell'altra Italia e in Europa un'ansia di riscatto civile, se Milano costituì la sua più importante scuola di vita, il suo ingresso nel mondo della finanza e dell'economia, la sua finestra privilegiata, (grazie all'ufficio studi della Banca Commerciale) attraverso cui riusciva ad affacciarsi e conoscere le esperienze più avanzate del mondo occidentale, nonostante la soffocante chiusura del fascismo, Ravenna, Forlì, Cesena e la Romagna hanno rappresentato nella vita politica di Ugo La Malfa la realizzazione di un sogno. Il grande sogno del partito di massa della Repubblica.

La Malfa è stato, senza alcun dubbio, una delle figure più alte del pensiero democratico italiano, uno dei grandi padri dello nostro Stato repubblicano. Non a caso il presidente della Camera, Casini, ricordandolo a Bologna, ha detto che egli è ormai patrimonio comune della Repubblica e che appartiene a tutti, ma io dico che appartiene soprattutto ai Repubblicani che sono rimasti nel PRI. Non a caso, in questi anni tormentati e difficili di una transizione che sembra non avere mai fine, nei quali un bipolarismo forzato e spesso incomprensibile, ha lacerato il paese in una contrapposizione di reciproca delegittimazione, tutti i contendenti in campo, a destra come a sinistra, hanno visto e vedono nella lezione di La Malfa un punto di riferimento e di legittimazione.

Ma se questo ci fa indubbiamente piacere e ci ripaga di tante amarezze, non dobbiamo dimenticare che Ugo La Malfa non fu soltanto un pensatore acuto e intelligente, le cui pagine primeggiano in una ideale antologia del pensiero democratico, né fu un isolato studioso di teorie, né tantomeno fu mai un tecnico o un professore "prestato" alla politica. Egli fu, sempre e soltanto, un uomo politico, calato quotidianamente nell'agire politico, convinto che la politica, come arte del buon governo, come somma di conoscenze tecniche e professionali, di capacità intuitive e di tensione morale, fosse l'impegno più importante, quasi sacrale, che si dovesse assolvere in uno Stato democratico.

Questo suo essere sino in fondo un uomo politico nasceva dall'esperienza giovanile che lo aveva segnato profondamente negli anni della giovinezza. L'esperienza dell'Unione Democratica Nazionale di Giovanni Amendola, estremo coraggioso e, purtroppo, inutile tentativo di arginare la catastrofe dello Stato liberale.

Da quella eroica quanto sfortunata esperienza, che fu anche il suo battesimo politico, La Malfa imparò una lezione fondamentale dalla quale non si discosterà per tutto il resto della sua vita. Ovvero che nell'azione politica se si vuole incidere realmente e non limitarsi al ruolo di pura coscienza o semplice testimonianza occorre possedere quello strumento indispensabile che è il partito. La Malfa comprese lucidamente come nella crisi dello Stato liberale un ruolo fondamentale fosse svolto dall'apparire sulla scena politica dei partiti. Le forze liberali, così frantumate e divise in clan personali, che facevano capo a questo o quell'esponente liberale, non erano in grado di fronteggiare la forza dirompente degli organizzati partiti della sinistra e quando, da una costola di questi, nacque il partito fascista e si mosse alla conquista della borghesia nazionale, ne furono definitivamente travolte.

Fu per l'amendoliano La Malfa un'occasione di grande amarezza e ve ne è traccia nelle memorie di Giorgio Amendola, il figlio di Giovanni, che insieme a La Malfa aveva militato nella gioventù dell'Unione Nazionale. Giorgio Amendola narra che al ritorno da un suo viaggio a Parigi, dopo aver incontrato gli esuli della concentrazione antifascista, in gran parte legati alla memoria del padre, si convinse che quel mondo era ormai morto e che l'unico modo per fronteggiare il fascismo fosse quello di aderire al partito comunista. Quando confessò questa decisione agli amici più intimi, La Malfa e Fenoaltea, La Malfa ne rimase profondamente ferito. (…)

L'incapacità del mondo liberale di attrezzarsi con l'unico strumento capace di incidere nella lotta politica, il partito moderno, fu una delle cause della sua dissoluzione e La Malfa lo comprese così bene che quando dalla ormai presumibile disfatta della guerra cominciò a intravedersi lo spiraglio di una possibile liquidazione della dittatura se ne creò uno tutto suo.

Il partito d'azione, una meteora nella vita politica dell'Italia, ma che seppe segnare pagine significative negli anni più cruciali del passaggio dal dispotismo alla democrazia, era una creatura di La Malfa. Convinto che le vecchie sigle partitiche fossero state definitivamente battute dal fascismo e superate dalla storia, che il socialismo, in tutte le sue sfumature, appartenesse al passato, che la imponente forza organizzativa del partito comunista potesse e dovesse essere contrastata sul suo stesso terreno, La Malfa diede vita a Milano insieme a Tino, Vinciguerra, Parri ( non starò qui a ricordare tutti gli altri) ad un soggetto politico del tutto nuovo, quel partito d'azione, che pur richiamandosi nel nome alle esperienze risorgimentali, voleva essere il superamento degli errori dei vecchi partiti democratici antifascisti e costituire, fuori da soffocanti vincoli ideologici, l'asse politico portante della nuova Italia. (…)

Come è noto la stagione dell'azionismo fu breve. Da un lato, la ricostituzione dei tradizionali partiti democratici, il socialista, il liberale, il repubblicano ne limitò lo spazio di azione, dall'altro la vocazione di una gran parte dei suoi nuovi militanti a sentirsi parte integrante del movimento socialista né minò le ragioni stesse della sua esistenza.

Da grande idea democratica a piccola eresia socialista. In questi termini è stata felicemente sintetizzata la sua parabola.

Ma nel momento della sua maggiore vitalità il partito d'azione rappresentò lo strumento con cui La Malfa seppe scrivere pagine decisive per i destini dell'Italia. Basti ricordare il passaggio dal governo Badoglio al governo Bonomi, quando, come ha ricordato più volte lo stesso La Malfa, Togliatti, sostenitore della continuità monarchica, si presentò al tavolo del comitato di liberazione nazionale insieme a Badoglio, convinto della sua riconferma. Quel giorno l'intransigenza lamalfiana, forte della sua rappresentanza partitica, piegò il partito comunista di Togliatti, Badoglio fu costretto a dimettersi, Bonomi assunse la guida del Governo in nome dei partiti antifascisti. (…)

E così, quando il partito d'azione si dissolse inseguendo la chimera del socialismo, La Malfa si pose il problema di come proseguire la sua presenza politica. La scelta fu consequenziale e immediata: il partito repubblicano italiano. Il partito era per lui essenziale, non avrebbe mai potuto immaginare un'azione politica fuori da un partito e senza di esso. (…) Alieno da ogni suggestione socialistica, laico convinto, democratico di respiro europeo e occidentale non ebbe tentennamenti nell'entrare nel partito repubblicano, riconoscendone la continuità con la migliore tradizione democratica risorgimentale.

Quello che non era stato il partito d'azione, fu per lui il partito repubblicano, uno strumento agile di lotta politica, capace di muoversi senza la pesantezza dei grandi partiti (lo definiva il "carrarmato" leggero della politica italiana), ma al tempo stesso con tutta l'autorevolezza di un partito storico e di massa. Sì, proprio di massa, ossia un partito di struttura radicato fortemente nei suoi insediamenti sociali e territoriali, capace di contrastare fieramente l'invadenza comunista. (…)

Ebbene, La Malfa non ebbe mai tentennamenti, ma pur consapevole della sproporzione delle forze, sapeva che la presenza del partito repubblicano sarebbe stata capace di condizionare il gigante democristiano da sempre propenso a facili scivolamenti verso avventure nostalgiche, che l'antidemocratica destra di quegli anni, monarchica e neofascista, rendeva pericolosamente possibili, ma anche capace di contrastare il dilagare di un comunismo autoritario e soffocante, altrettanto antidemocratico e pericoloso.

Vi è, quindi, un rapporto indissolubile tra Ugo La Malfa e il partito repubblicano, testimoniato da tutta la sua presenza politica nell'arco dell'intera vita dell'Italia repubblicana. Ma quanto fosse importante questo legame e, soprattutto, quanto fosse importante per La Malfa lo strumento partito lo dimostra la garbata polemica che egli ebbe nel 1954 dalle colonne della rivista bolognese il Mulino con Gaetano Salvemini, che pur di origini socialiste guardava sempre con attenzione al partito repubblicano. Salvemini in una disamina dei partiti italiani aveva definito il partito repubblicano un partito di opinione. Ebbene, La Malfa gli rispose subito contrastando questo giudizio e sostenendo che il partito repubblicano era un piccolo partito di massa, perché aveva una struttura sociale di massa. "Il partito repubblicano - scrisse La Malfa - è poco partito di opinioni e molto partito di iscritti", "è il più partito degli altri".

Egli guardava alle zone tradizionali del repubblicanesimo, al Lazio, alle Marche e, soprattutto, alla Romagna dove, sono sue parole, "il repubblicanesimo trionfava tra i mezzadri, i braccianti, gli artigiani, i piccoli commercianti, i vignaroli".

Per questo sentiva sempre vivo il rapporto con la Romagna, una regione dove poteva toccare con mano quella presenza repubblicana di massa che, nel suo sogno di un'altra Italia, avrebbe voluto estendere a tutto il paese: una regione che ha sempre saputo ricambiare questo suo amore confermandolo costantemente come suo rappresentante in parlamento.

Proprio perché la sua vicenda politica è inestricabilmente intrecciata alla storia e alla vita del partito repubblicano, in molti si sono chiesti, spesso strumentalmente, da che parte starebbe oggi Ugo La Malfa. Non credo che possa essere questa l'occasione di una discussione di questo tipo, né credo che sarebbe utile.

Ugo La Malfa è stato figlio del suo tempo, ha vissuto gli anni cruciali della lotta al fascismo, della nascita della Repubblica, della genesi della fragile democrazia italiana, come interprete di primo piano, ha voluto e saputo affrontare i temi cruciali della nostra società: le sperequazioni sociali e quelle territoriali; è stato artefice delle grandi scelte politiche, dalla riforma agraria, alla liberalizzazione degli scambi, dalla nascita della Cassa per il Mezzogiorno, alla politica dei redditi e di tutte le svolte della vita politica italiana, dalla scelta per il centrismo degasperiano, all'avvento del centro-sinistra, alla solidarietà nazionale. Tutto questo percorso, di successi e anche di insuccessi, è stato possibile perché aveva alle spalle, e ne era consapevole, il partito repubblicano, il suo piccolo partito di massa.

Quell'Italia oggi non c'è più. Noi abbiamo colto i frutti della politica lamalfiana. Il paese è cresciuto, l'Europa è una realtà non più virtuale né il sogno di utopistiche minoranze illuminate, il comunismo è crollato inesorabilmente e l'occidente con i suoi valori di libertà ha vinto, il perimetro della democrazia si è allargato e l'ha resa più forte e più sicura. Non esiste più un pericolo comunista, né tantomeno un pericolo fascista. Libertà e democrazia sono ormai valori assoluti patrimonio di tutte le forze politiche. Pur con tutte le sue contraddizioni e i suoi nuovi problemi l'Italia di oggi è di gran lunga diversa dall'Italia di ieri, probabilmente è migliore, ma noi la vorremmo ancora e ulteriormente migliore. E' questo il viatico che ci viene dall'insegnamento di Ugo La Malfa, non accontentarsi mai, lavorare sempre per un'altra Italia, scavalcare le Alpi ed essere parte integrante e significativa dell'Occidente.

nuvolarossa
17-02-04, 21:05
Forlì 7 febbraio 2004/Discorso celebrativo nel centenario della nascita di Ugo La Malfa

di Widmer Valbonesi
Segretario regionale Pri
dell'Emilia-Romagna

Autorità, cittadini, amiche e amici repubblicani,

consentitemi di portarvi il saluto e l'augurio di buon lavoro dell'On. Oddo Biasini, che mi ha telefonato ,con commozione, per ringraziarci tutti dell'invito rivoltogli a presenziare alla manifestazione e per comunicarmi l'impossibilità di farlo per motivi di salute, ma di considerarlo presente col cuore e con la mente. All'amico Oddo va il nostro saluto ed augurio di pronto ristabilimento e la gratitudine per l'esempio di serietà e di attaccamento al PRI che rappresenta per tutti noi.

E' con grande commozione che oggi, a nome di tutti i repubblicani dell'Emilia-Romagna, mi appresto a ricordare il centenario della nascita di Ugo La Malfa.

Voglio ringraziare l'Associazione Res Publica e tutti coloro, istituzioni e non, che hanno contribuito alla realizzazione di questa giornata.

Domani a Ravenna e lunedì a Cesena proseguiranno le celebrazioni in onore di un grande maestro,di un parlamentare romagnolo(1948-1968) che aveva respiro europeo, di un grande repubblicano, di uno statista che si è battuto tutta la vita per cambiare la condizione del Paese. Il suo sogno di fare dell'Italia, Paese povero e mal governato, un Paese moderno, bene amministrato, inserito nell'Occidente e nell'Europa, per molti aspetti è rimasto un sogno, una passione. Ma quel giorno in cui la televisione diffuse le immagini del suo funerale non lo piansero solo i repubblicani italiani o i molti repubblicani dell'Emilia-Romagna che accorsero a Roma; l'intera nazione, che molte volte lo aveva misconosciuto, lo pianse _ come scrisse Eugenio Scalfari.

Questo incontro non vuole suscitare emozioni rituali e rimpianti . Vogliamo ,oggi, ricordare ai giovani che non lo hanno conosciuto, al Paese, diffidente e deluso dalla politica intesa come continua sfida per la conquista del potere, come chiusura nei particolarismi, nei localismi, nella mancanza di una cultura di governo dell'interesse generale, a coloro che non hanno consapevolezza che i valori dell'Occidente rappresentano la possibilità di mantenere i livelli di civiltà democratica del nostro Paese: a tutti questi vogliamo ricordare l'analisi di Ugo La Malfa , le sue indicazioni ,ancora modernissime, perché il perseguimento dell'Altra Italia , quella da lui sognata ed inseguita , diventi un obiettivo concreto, un progetto , un modello per la classe dirigente democratica di oggi.

Gli aspetti salienti della sua vita sono noti: (li potete leggere nella nota biografica distribuita) e sono sintetizzabili nel discorso che fece al congresso del 1978 dove in una polemica con il mazziniano Tramarollo ripercorse le tappe del suo impegno politico e del modo concreto di far coincidere il pensiero e l'azione .

Non solo l'intransigenza dei principi, ma anche l'azione concreta per raggiungerli facendoli vivere nel confronto con la società e nel dibattito politico.

Una vita vissuta da protagonista, interprete di quell'Italia di minoranza che aveva radici nella cultura risorgimentale, passando attraverso Mazzini, Gobetti, Croce, Salvemini, e che La Malfa poi raffinò in un pensiero moderno nella conoscenza del New Deal, di Keynes e soprattutto della scuola italiana di scienze della finanze di De Viti De Marco e, dopo la seconda guerra mondiale, con il "revisionismo"ideologico e riformatore delle forze di sinistra europea: dal laburismo alle socialdemocrazie tedesche e scandinave.

LA PREGIUDIZIALE REPUBBLICANA

Molte volte, il ruolo di ammodernamento operato da La Malfa nella tradizione del PRI è stato interpretato come se le battaglie economiche prevalenti che egli svolgeva negassero la continuità coi valori risorgimentali e del repubblicanesimo classico, legato indissolubilmente al pensiero di Mazzini e di Cattaneo. Non era così, molti ignoravano che il merito della nascita della Repubblica Italiana era da ascriversi in gran parte alla determinazione ,all'intransigenza e alla lungimiranza del pensiero e dell'azione di Ugo La Malfa .La pregiudiziale repubblicana posta dal Partito d'Azione non fu solo la rivendicazione storica del risorgimento, come ad esempio faceva il PRI ,ma anche la valutazione storica della situazione italiana.

E La Malfa si trovò contro non solo i moderati come Benedetto Croce e molti dei suoi amici liberali, ma anche i comunisti e i socialisti pronti al compromesso monarchico.

La tesi di La Malfa era che la monarchia se nel Risorgimento ,come soleva dire Garibaldi, aveva unito gli italiani, nella fase che avrebbe seguito la sconfitta militare e la caduta del fascismo, per il ruolo negativo e complice che aveva giocato, avrebbe costituito un elemento di divisione del Paese. Dopo la guerra e la Resistenza, il problema della monarchia avrebbe impedito alle forze democratiche e della sinistra, uscite vincitrici, di partecipare alla gestione dello Stato, governando o stando costruttivamente all'opposizione, e quindi il problema si sarebbe riproposto in un clima di tensione e di rottura fra gli italiani, mentre la soluzione repubblicana all'inizio della ripresa democratica sarebbe diventata un elemento di unione. Come poi in effetti fu.

Un altro elemento decisivo per La Malfa fu il fatto che il credito che gli Aventiniani e Giovanni Amendola avevano riposto sulla monarchia come garante dello Statuto e delle libertà che esso sanciva, fu tradito, perché la monarchia non si oppose al fascismo e quindi era inaffidabile.

Qualcuno, dei suoi amici laici disponibile al compromesso, si trincerava dietro alla considerazione che la monarchia aveva avuto il ruolo di difesa della laicità dello stato nel periodo risorgimentale quando lo stato liberale e l'Unità d'Italia si erano formati contro il potere temporale e contro il potere clericale.

In effetti la monarchia non solo non poteva essere la garante dell'affermazione dello stato laico, ma addirittura poteva diventare il collante di pericolose rivincite antirisorgimentali.

I due partiti , Pri e P.d'A. svolsero la battaglia repubblicana con il medesimo fine , ma sotto due angolazioni diverse. La determinazione con cui La Malfa e il Partito d'Azione sostennero questa pregiudiziale repubblicana in seno al CLN furono determinanti. La Malfa sosteneva che in mancanza di garanzie di andare verso la Repubblica bisognava stare fuori dal governo e non dare nessun appoggio politico e lo sostenne anche dopo la svolta di Salerno quando nell'Italia meridionale liberata ,la monarchia contò sull'appoggio di Togliatti e di cinque dei partiti del CLN. Soltanto il Partito D'Azione rimase fuori e i due azionisti che parteciparono al governo Badoglio furono espulsi.

Fu comunque la posizione intransigente di La Malfa e del P.D'A.. a tenere aperta la questione istituzionale e fu la determinazione con cui questo ruolo fu svolto che consentì poi l'accordo di Roma dell'8 giugno 1944, che fu creazione di Ugo La Malfa e che aprì la svolta verso la Repubblica.

Ecco perché la battaglia istituzionale della Repubblica vide in La Malfa il principale protagonista e gli storici quando vorranno farlo dovranno riconoscere questa verità e la continuità risorgimentale che i protagonisti di quel periodo, a cominciare da Sandro Pertini Presidente della Repubblica, riconobbero, vegliando il grande padre della Repubblica che stava morendo, colpito da un ictus nel marzo del 1979.

DEMOCRAZIA E GIUSTIZIA SOCIALE

La Malfa ottenuta la Repubblica non si fermò alla constatazione che la forma repubblicana avrebbe di per se risolto i problemi del paese; e sapeva che il governo del popolo non era uno strumento automatico di sviluppo, di giustizia sociale, di trasformazione delle coscienze .

Indro Montanelli una volta scrisse "l'Italia più bella , più giusta,più moderna,più efficiente e lucente,io l'ho conosciuta e vissuta nelle proiezioni che me ne faceva Ugo La Malfa sotto i bombardamenti di Milano nel 1944 , e fino ai tempi della Costituente, poi cominciò il suo grande lutto sull'idolo infranto".

Il 2 giugno del 1946 il popolo strappò la Repubblica , ma la DC e il mondo più vasto che politicamente la Dc rappresentava, ottenne l'egemonia sulla Repubblica.Si era avverato quello che oltre un secolo e mezzo fa Giuseppe Mazzini in Fede ed Avvenire aveva magistralmente profetizzato: "quel popolo che non s'è mosso per fede , ma per semplice reazione verso gli abusi della monarchia ne serberà gli antecedenti, la tradizione, l'educazione: avrete forma repubblicana e sostanza monarchica, la questione d'ordinamento politico cancellerà la vera suprema questione morale e sociale".

La Malfa avverte subito questo pericolo e capisce la situazione del Paese diviso ideologicamente, con forze politiche e sociali tese ad egemonizzare lo sviluppo della società e che per mantenere intatto il loro potere non pensano mai all'interesse generale; vede, lucidamente, le difficoltà in cui il Paese si dibatte e le azioni di trasformazione politica e sociale che occorre mettere in atto per avviare, l'Italia, stabilmente, verso obiettivi di rinnovamento e di giustizia sociale.

Egli capisce subito che la collocazione internazionale del PCI,filosovietica, lo avrebbe tenuto fuori dal gioco democratico e che la DC andava condizionata, quindi, dalle forze di democrazia laica e socialiste non marxiste.

Quando nel 1945 La Malfa esortava Nenni ad una politica autonoma che accompagnasse la conversione di altri ceti verso la società democratica egli sapeva che l'alleanza fra il partito socialista , il partito repubblicano e il Partito d'Azione avrebbe potuto essere il fulcro di una democrazia di sinistra.Il 2 giugno del 1946 queste tre forze ottennero 146 seggi contro i 106 del PCI e i 207 della DC.

Quale potere contrattuale queste forze avrebbero avuto nei confronti della Dc appare evidente ; invece, quando 18 anni dopo i socialisti arrivarono al governo di centro sinistra il rapporto non era più di tre a quattro, ma di uno a tre e il Pci si era rafforzato a sinistra con la politica del fronte popolare.

Il centrismo è a quel punto l'equilibrio che la situazione consente; la liberalizzazione degli scambi portata avanti da La Malfa contro l'ostilità di Confindustria e dei sindacati, diedero respiro europeo ad un' Italia uscita distrutta dalla guerra e la tolsero dalle secche di una visione autarchica e nazionalista in cui sinistra ideologica e destra corporativa la stavano confinando.

La Malfa,pur in presenza di un miracolo economico , non rinuncia a confrontarsi con le forze politiche per cambiare il quadro politico e con le forze sociali , per condizionare le trasformazioni del meccanismo di sviluppo spontaneo proponendo la cultura di governo delle società industriali avanzate poi concretizzatasi nella proposta di "Nota Aggiuntiva" del primo governo di centro sinistra.

E non rinuncia nemmeno all'idea politica di rendere compiuta la democrazia italiana cercando attraverso il ragionamento sui meccanismi dello sviluppo economico di rendere partecipi delle scelte fondamentali dello sviluppo le grandi masse popolari ed imprenditoriali, esercitando nei confronti delle ingiustizie e degli sprechi dello stato assistenziale la sua polemica di uomo controcorrente, che si muove in senso opposto alla maggior parte degli italiani.

Disse di lui ancora Montanelli "era un politico che non amava il potere, un generale che più del comando amava la strategia ; da qui l'accusa di una certa alterigia intellettuale. "Questo"potente"che disdegnava i pennacchi e i galloni, che non volle mai una scorta, né una macchina con autista,, né un posto riservato in aereo e in treno , di cui essendo quasi cieco avrebbe avuto assoluto bisogno,non sapeva nascondere la sua impazienza per i "peones" della politica,aveva per la popolarità e i media un aristocratico disprezzo…..non fu mai un procacciatore di voti, un protagonista delle lotte di potere, ma per trent'anni la politica italiana non ebbe un suggeritore più onnipresente ed efficace di lui, sebbene la parte a cui più teneva e in cui si sentiva a suo agio fosse quella del profeta inascoltato e solitario."

Io credo non fosse così: La Malfa era un intransigente, ma non era né un sognatore né un aristocratico. Il suo punto di vista amava metterlo a confronto con gli altri e sapeva esercitare un fascino vero, non solo per noi giovani ma persino sugli uomini di cultura, gli intellettuali, che voleva non "organici "ma autonomi, il suo dialogo con la cultura liberal-democratica è stato incessante basti pensare alla sua presenza nel Mondo di Pannunzio o a quell'insuperabile convegno "Democrazia e cultura", che bisognerebbe riproporre oggi nel suo nome.

In tempi in cui la sinistra sosteneva l'intellettuale organico alle strategie del partito o in cui la pratica di molti intellettuali era quella di essere asserviti al potere, egli sosteneva l'autonomia degli uomini di cultura e degli scienziati e li spronava non tanto ad essere generici ripetitori di valori ideali, ma a studiare e farsi carico dei problemi più gravi del paese, trovare idee che smitizzassero le ideologie e le portassero sul terreno più concreto della ragione .

E che non fosse un aristocratico lo dimostra il fatto che tutta la sua azione politica e di governo, pur nell ‘analisi sulla grandezza delle trasformazioni della società e del meccanismo di sviluppo, pur nel pensare all'Italia inserita nell'economia e nei valori europei e occidentali ,pur frequentando i grandi della finanza , egli ha sempre come riferimento costante la condizione dei deboli, dei miseri , delle zone sottosviluppate e dei disoccupati,l'operaio sacrificato dai parassitismi, il cittadino che non ha servizi efficienti, il giovane che il clientelismo e il parassitismo escludono dal posto di lavoro o rendono debitore e quindi legato alla logica del voto di scambio;tutto questo insieme alla cultura di governo dell'interesse generale come necessità di risoluzione dei problemi.

E' vero che La Malfa concepì il p.d.'a.come il partito dei "ceti medi" e sosteneva che, attraverso l'ancoraggio alla democrazia ed il coinvolgimento dei ceti medi in una politica di riformismo strutturale, passasse la soluzione del problema politico italiano in senso democratico e progressista.

Ma la maturazione del concetto di democrazia integrale, acquisita nella militanza nel PRI e la coerenza coi valori pluralistici della Costituzione , lo portarono a cambiare opinione: infatti, nel 1970 in un dibattito svolto a Firenze con i giovani della rivista Controcorrente, quando qualcuno gli fece notare che la sua era una posizione classista, e che criticare il classismo del proletariato dei comunisti contrapponendogli un classismo della borghesia seppur illuminata, era contraddittorio rispetto all'affermarsi della cultura dell'interesse generale che egli propugnava , La Malfa rispose così "osservo che c'è un evoluzione della maniera con cui noi vediamo ormai tale problema ,non accettiamo, infatti, più la concezione classista che sta alla base della classificazione delle forze politiche. Quando nel P.d'A. mi riferivo formalmente ai ceti medi , accettavo un ‘impostazione classista e non me ne accorgevo. Secondo me , tale impostazione va respinta perché è puramente ideologica. Mi pare che il problema non sia di trovare le forze in quella o questa classe a sostegno del proprio programma politico , altrimenti non usciamo dalla crisi in cui ci troviamo.Il problema è di trovare nella coscienza del cittadino l'adesione a un metodo di azione politica riformatrice il più coerente possibile ai fini dell'interesse generale che si vogliono raggiungere".

FUNZIONE DI RESPONSABILITA'- NON POTERE

Questo è un punto cruciale dell'analisi e del contenuto politico del pensiero di Ugo La Malfa: la consapevolezza che la società democratica, per rimanere tale, per garantire la libertà e la giustizia sociale deve trovare nella coscienza dei cittadini quelle virtù morali che preservano il senso comune e la solidarietà , quel senso del dovere di mazziniana memoria che riecheggia nelle sue parole quando dice - anche qui l'eredità e la tensione morale risorgimentale sono evidenti _ "Una delle esigenze fondamentali della società moderna non è soltanto la globalità della visione dei problemi , ma la sostituzione di nozione di responsabilità individuale o collegiale a quella di potere.Non vi deve essere potere politico o economico o culturale o morale, ma responsabilità politica, economica ,culturale e morale. L'imprenditore non è padrone della fabbrica ma vi esercita una funzione, come ve la esercitano gli operai.Il professore non è il padrone dell'Università ma vi esercita una funzione come ve la esercitano gli studenti.Una forza di sinistra deve vedere così i problemi di libertà, di autonomia, di partecipazione al compito decisionale delle società moderne.

Essa deve spezzare l'autoritarismo e il potere personale ad ogni livello e convertirli in un esercizio di funzione, momento costitutivo di una visione generale dei problemi, e sa utilizzare dello spirito imprenditoriale ,non burocratizzato, della borghesia e del capitalismo l'aspetto positivo e respingere l'aspetto negativo ed asociale."

CAPITALISMO STRUMENTO NEUTRO

E La Malfa spiega magistralmente- Nell'intervista sul capitalismo- con Ronchey il suo pensiero, dove contesta la definizione che i sistemi capitalisti e socialisti si distinguano solo dalla proprietà dei mezzi di produzione, sostenendo la tesi che il capitalismo è uno strumento neutro. Egli dice : "Quando noi poniamo il problema del rapporto fra potere di consumo nelle società industriali e potere di consumo nelle altre società, il meccanismo capitalistico è neutro rispetto a questo problema, ma non è un meccanismo che produce ricchezza a non finire. E' un meccanismo che produce ricchezza da distribuire …": - poi aggiunge - " è superata la teoria marxista secondo cui le forze politiche e sindacali sarebbero sovrastrutture e tutto dipenderebbe dalla struttura capitalistica.

In democrazia, attraverso l'azione delle forze politiche , l'azione di governo e l'azione delle forze sindacali si possono mandare impulsi al sistema capitalistico.

In sostanza, La Malfa afferma che attraverso la programmazione , la politica dei redditi e un concetto moderno di autonomia si possono governare in modo redistributivo le ricchezze accumulate dal meccanismo di sviluppo capitalistico verso consumi sociali , verso la risoluzione degli squilibri , verso una migliore giustizia sociale .Invece se prevale l'impostazione ideologica che considera il sistema capitalistico come il male assoluto, allora gli impulsi saranno contraddittori, i consumi saranno individuali e verticali e la redistribuzione non ci sarà, perché si sarà indebolito il meccanismo stesso nella sua capacità di produrre ricchezza.

E' la concezione moderna del governo di società avanzate e di una sinistra democratica riformatrice, di cui dibatte con Ingrao, Giorgio Amendola e Foa.

Oggi tutti parlano di politica dei redditi e di concertazione, ma permane una concezione di difesa corporativa ,che non si ispira alla cultura dell'interesse generale e molte volte diventa oggetto di strumentalizzazione politica ai fini della conquista del potere, non ai fini della soluzione dei problemi del Paese, e questo dimostra che la lezione di Ugo La Malfa è ancora poco seguita .

Ma la Malfa non si occupò solo di economia, trattò anche con grande attenzione i problemi istituzionali : nel dibattito sulla riforma della Costituzione nel 1971, intervenne con un saggio di cui voglio leggere alcuni passi, perchè quasi profeticamente analizzò ciò che sarebbe successo a voler modificare l'assetto istituzionale senza i necessari accorgimenti di maturazione politica.

Egli scrisse: "L'ordimento costituzionale,l'assetto istituzionale di un Paese non cade dal cielo, non è un fatto arbitrario, ma una creazione storica,una elaborazione delle forze politiche:sono cioè le forze politiche che creano gli ordinamenti e sono esse che le possono fare bene o male funzionare, se bene o male ne interpretano lo spirito e il significato.

E ancora:

"la Repubblica italiana, nata dalla Resistenza,è stata creata con alcune caratteristiche istituzionali essenziali, che, o sono mantenute ferme e preservate insieme, o saranno travolte.

Esse sono: pluralismo sociale e politico,che dà diritto di rappresentanza a tutte le correnti storiche, ideologiche e culturali della vita unitaria ed è il fondamento della libertà di associazione e di organizzazione in sindacati;conseguente proporzionalismo elettorale, democrazia parlamentare, e cioè del governo espressione del Parlamento, di fronte al quale è responsabile; autonomismo, come principio della organizzazione politica amministrativa territoriale;infine carattere rigido della Costituzione che pone la norma costituzionale a un livello più alto rispetto alle altre fonti normative".

E poi un monito: "o le forze democratiche dell'Italia postfascista saranno capaci di avvalersi di questo ordinamento ,oppure si riveleranno incapaci e creeranno in tal caso una situazione di ingovernabilità, di crisi, di marasma che avrà come esito sicuro,la loro disfatta assieme al crollo istituzionale.
Ed è perfettamente arbitrario o pura esercitazione di fantasia sforzarsi di immaginare che cosa possa prenderne il posto:la Repubblica Presidenziale, il bipartitismo o la pura e semplice tirannide di stile mediterraneo".

Difendendo poi il sistema elettorale proporzionale, egli afferma che le alternative come i collegi uninominali non sono attuabili nella condizione politica del Paese.

Dice La Malfa:"Il sistema uninominale è certamente più idoneo a costituire maggioranze più solidali, a semplificare gli schieramenti politici spingendoli rapidamente verso il bipartitismo, ma il suo presupposto è che le forze politiche sulla scena abbiano il carattere, la configurazione, come si suol dire, di grandi partiti "di servizio democratico" nei quali il collante ideologico sia molto tenue.Condizione necessaria, ma non sufficiente, perchè ciò si verifichi sul piano politico è una società molto omogenea, fortemente equilibrata e stabilizzata nel suo sviluppo.. ....Quanto si sia lontani in Italia da una condizione di omogeneità sociale e di caratterizzazione non ideologica dei partiti politici è fin troppo evidente- conclude La Malfa- e ammonisce:"In questa situazione l'abbandono della proporzionale non sarebbe un segno di maturazione democratica, di evoluzione positiva del sistema politico,bensì un segno inverso, di involuzione, di impoverimento della dialettica politica, che sarebbe ridotta a scontro irriducibile e perpetuo fra le due forze ideologiche maggiori."

Quando Ugo La Malfa, sosteneva queste cose eravamo nel 1971 e quanto profetiche ,purtroppo, si siano dimostrate le sue analisi è sotto gli occhi di tutti: oggi il bipolarismo è prigioniero delle forze estreme, ideologiche ,i maggiori partiti spingono verso l'ideologizzazione e la demonizzazione dell'avversario e l'unica preoccupazione è la lotta per la conquista del potere; non certo il cercare soluzioni ai problemi degli squilibri territoriali e sociali o dello sviluppo, come dovrebbe essere compito della politica e dei partiti intesi come servizio democratico, e quindi sfide di buon governo.Ma anche di fronte alle discutibili leggi cosiddette federaliste di oggi La Malfa avrebbe sicuramente dissentito.Contestando il modo con cui si intesero le Regioni e il proliferare di enti senza mai eliminarne alcuno, sostenne : "Spezzato il tessuto unitario dell'organizzazione statale costituito dall' autoritarismo dei rapporti gerarchici, non si è compreso che era necessario elaborare una nuova fase coesiva democratica unitaria, non sulla permanenza del massimo possibile di competenze centrali, ma sulla instaurazione di una rete di rapporti di tipo nuovo tra Stato e Regioni, della creazione di un sistema di reciproche integrazioni che avesse come riferimento costante e come metodo fermo la programmazione globale".

Un modo moderno di intendere l'autonomia locale, cioè quella di concorrere alla definizione e realizzazione delle scelte globali delle linee di sviluppo del Paese.

Quindi un 'autonomia che unisce, non la vecchia contrapposizione stato- periferia, che riecheggia nelle impostazioni odierne e che rischiano di essere disgregatrici dell'unità del Paese.

A noi non interessa sapere come si sarebbe schierato La Malfa nell'evoluzione del sistema politico. Sappiamo che come sempre sarebbe stato dalla parte dei deboli, dell'Europa e dei valori dell'Occidente; e che sicuramente sarebbe stato la coscienza critica del Paese.

Egli sapeva, come noi sappiamo, che di fronte a tutto ciò che avviene sono prevalenti le responsabilità della classe dirigente,politica e non politica,di governo e di opposizione, economica , finanziaria e intellettuale e che solo con un forte pragmatismo innervato di valori , solo col rigore e la coerenza nel far corrispondere questi alla realtà dell'azione politica il Paese poteva e può modernizzarsi e svilupparsi nella democrazia.

Egli andava molte volte controcorrente,e per questo non si arrendeva allo scetticismo, alla sfiducia nella politica, alla fuga dall'impegno, alla chiusura di ognuno nel proprio" particulare", faceva appello a virtù non scomparse del tutto nella coscienza degli italiani e sollecitava la riscoperta dei fondamenti morali e delle regole della convivenza civile; egli sapeva che solo dall'impegno delle forze vive della società e dalle coscienze democratiche poteva esserci quell' avvenire , quell'Altra Italia sognata e perseguita, ma ancora non realizzata.

Ricordandolo e assumendo l'impegno a portare avanti l'attualità del suo pensiero,studiando l'evoluzione della società e proponendo ai giovani la sua lezione, siamo certi di fare ciò che egli avrebbe voluto per il bene del nostro Paese.

Widmer Valbonesi
Segretario regionale Pri
dell'Emilia-Romagna

nuvolarossa
28-02-04, 20:59
Un convegno per La Malfa, amico di Padova

(ni.co.)

PADOVA - Padova era nel cuore di Ugo La Malfa. Perché nella nostra città non solo aveva studiato, ma anche stretto forti legami di amicizia ad esempio con le famiglie Saccomani e Pezzangora, e con Maurizio Mistri. Ieri il figlio Giorgio (nella foto a destra) ha incontrato il sindaco Giustina Destro a Palazzo Moroni, per concordare una serie di iniziative a 25 anni dalla scomparsa del leader del Partito Repubblicano. Il 26 marzo, quindi, sotto l'alto Patrocinio del presidente della Repubblica e della Presidenza del Consiglio, sarà organizzato un convegno sul tema "Credito e risparmio", a cui interverranno Riccardo Gallo, Fabio Innocenzi, Luigi Rossi Luciani, Paolo Savona e, ovviamente Giorgio La Malfa. Ma potrebbe arrivare anche il ministro Giulio Tremonti, amico personale di Giustina Destro. «È il minimo che possiamo fare per ricordare uno statista di tale levatura - ha commentato il sindaco -. La nostra città, a cui era tanto legato, ha il dovere di tributargli l'omaggio che merita, organizzando un momento d'incontro su un tema che è di grandissima attualità».

Texwiller (POL)
08-03-04, 11:06
Al Centro Culturale
Teatro Guiglia
Via Rismondo 73
Modena

Mercoledì 10 marzo 2004 alle ore 21

con l'organizzazione dell'A.M.I. Sezione Riccardo Mordacci

A cento anni dalla nascita, confronto sul tema:

UGO LA MALFA: Attualità di un progetto di rinnovamento dello Stato e prospettive del riformismo liberale

Presiede Alberto Fuzzi - Segretario Provinciale del PRI

Intervengono:
Dottor Giuliano Barbolini - Sindaco di Modena
Paolo Ballestrazzi - Consigliere Comunale
Prof. Carlo Galli - Docente Università di Bologna

nuvolarossa
11-03-04, 11:42
Padova, 26 marzo 2004, ore 17.30
Musei Civici Eremitani - Sala del Romanino

Convegno:
"I problemi attuali del credito e del risparmio"

Nel prosieguo delle attività volte a ricordare la figura di Ugo La Malfa il Comitato Nazionale organizza a Padova un convegno nel quale verrà ricordata la figura dello statista.

Nella stessa occasione verrà proposto un dibattito sui problemi attuali del credito e del risparmio.

Le recenti vicende della Cirio e della Parmalat mettono in evidenza la necessità di riconsiderare sia le regole di funzionamento delle società quotate, sia i controlli esterni ad esse, sia compiti e ruoli delle diverse autorità di vigilanza sui mercati.

Vale la pena di ricordare che il decreto legge che istituì la Consob, nel 1974, a seguito delle vicende del caso Sindona, porta la firma dell’allora Ministro del Tesoro, Ugo La Malfa.

per informazioni:

segreteria del Comitato Nazionale
tel. 06/68301567

nuvolarossa
26-03-04, 20:51
Un'analisi del pensiero e dell'azione di governo di Ugo La Malfa/Il grande statista è stato ricordato ieri a Padova in occasione del centenario della nascita

L'eredità di un lucido precorritore dei tempi

Si è tenuto il 26 marzo, a Padova, presso la Sala del Romanino, un convegno su "Banche, imprese e tutela del risparmio". L'incontro era compreso nel programma delle celebrazioni per il centenario della nascita di Ugo La Malfa. Riproduciamo di seguito l'intervento di Maurizio Mistri.

di Maurizio Mistri

L'azione politica di Ugo La Malfa è stata il portato di un pensiero coerente, di una analisi lucida dei problemi della società italiana e dei suoi bisogni. I bisogni di una società che durante il fascismo e dopo la fine della guerra esibiva un rilevante deficit di modernità.

All'uscita dalla guerra l'Italia mostrava una economia estremamente debole; il suo ceto politico oscillava tra rivoluzionarismo verbale e pratiche clientelari; il suo ceto imprenditoriale appariva impaurito dalla dimensione delle sfide che accoglievano un'Italia che sarebbe stata chiamata ad entrare nell'area economica e culturale dell'Europa. Le masse popolari ed i partiti che le organizzavano non sentivano come prioritario il problema della modernizzazione del Paese, e disprezzavano, in larga misura, il richiamo al realismo nella politica. Ciò restringeva le possibilità di azione e di manovra di quei riformisti che, formatisi nella opposizione al fascismo, non si sentivano conservatori e non si sentivano attratti dalle sirene di un comunismo dal volto di Stalin.

Penso che a fondamento del pensiero politico di Ugo La Malfa ci sia stata la profonda comprensione dei meccanismi che hanno governato i processi evolutivi che hanno interessato l'economia e la società italiane. Ugo La Malfa è stato studioso attento dei problemi economici e sociali delle moderne società, e lo è stato con un approccio decisamente empirista, basato sulla osservazione dei fatti e la verifica delle ipotesi.

Non c'era alcun ideologismo nelle sue posizioni in materia economica; quell'ideologismo che si ritrovava nelle formule cristallizzate della catechesi marxista; ma anche quell'ideologismo che si ritrovava nelle impostazioni aprioristiche di un liberismo conservatore che escludeva ogni ipotesi di interventi correttivi dello Stato. Ugo La Malfa accettava l'idea che nella economia e nella società ci fossero lotte e conflitti, e ne vedeva le valenze positive purché la politica fosse in grado di governarne le dinamiche.

Dunque la politica è chiamata a trovare regole di contemperamento dei conflitti sociali ed a garantire alle forze evolutive della società adeguate possibilità di espressione. Si tratta di una funzione nobile della politica a cui le forze politiche italiane, per Ugo La Malfa, non dovevano sottrarsi, imparando a costruire programmi realistici e compatibili con le esigenze dell'economia, nella consapevolezza del fatto che non ci può essere sviluppo civile senza sviluppo economico. Nel patrimonio di conoscenze economiche di Ugo La Malfa c'è la lezione keynesiana e quella del New Deal americano. C'è la magistrale lezione metodologica di Carlo Cattaneo, filtrata dal rigoroso meridionalismo di Gaetano Salvemini.

Una lezione secondo cui l'ascesa delle classi economicamente più deboli può essere garantita dalla congiunzione di un quadro di crescita economica e di un sistema di istituzioni aperte. Allora compito della politica è rendere aperta una società chiusa come quella italiana.

L'opzione europeista rappresenta la via maestra per aprire la società italiana, per rammodernarla.

L'europeismo di Ugo La Malfa, non era un "nazionalismo europeo", semmai contrapposto agli Stati Uniti, ma il naturale complemento dell'atlantismo. La spinta all'integrazione europea è stata pensata da poche illuminate coscienze europee, ed è stata garantita dalla iniziativa politica degli USA. Per Ugo La Malfa l'europeismo politico significava la possibilità di offrire agli italiani un modello di funzionamento della democrazia nel quale viene esaltato il senso della responsabilità individuale e della cooperazione collettiva. Un modello al quale non è estranea la lezione del federalismo statunitense. C'era anche l'europeismo economico, quale si è sostanziato nella creazione del MEC e poi nelle diverse tappe del processo di integrazione europea.

L'europeismo economico significava per Ugo La Malfa la creazione di una cornice entro cui potessero dispiegarsi al meglio le forze della creatività economica, contro suggestioni protezionistiche mai sopite e contro suggestioni collettiviste. Europeismo ed atlantismo furono due opzioni fondamentali del pensiero di Ugo La Malfa, due contenuti strategici il cui perseguimento giustificava la costruzione di uno schieramento politico capace di garantirli. Da qui l'alleanza con quelle forze, moderate, che assicuravano la stabilità del quadro generale e da qui la polemica con quella sinistra, allora guidata dal PCI, che era avversa all'integrazione europea ed all'alleanza con gli USA. Nel mentre denunciava il ritardo culturale di una parte della sinistra italiana su temi fondamentali per la vita del Paese, Ugo La Malfa non tralasciava di stimolare la stessa sinistra a farsi europea, a rendersi matura per assumersi ruoli politici significativi nella direzione del paese.

Fu il PSI di Pietro Nenni a cogliere il senso del messaggio di Ugo La Malfa, dopo una stagione drammatica per la sinistra tutta, e ciò contribuì a rafforzare l'ancoraggio dell'Italia all'Europa ed a creare le condizioni per avviare un necessario processo di ammodernamento del Paese.

L'Italia, dal dopoguerra fino agli inizi degli anni sessanta, aveva vissuto un periodo di veloce sviluppo economico; ma lo conobbe a prezzo dell'accentuarsi di squilibri strutturali. Si erano acuite in modo grave le differenze di reddito fra ceti garantiti e ceti non garantiti. Si erano acuite le differenze economiche fra le regioni del Nord, che avevano potuto approfittare dell'aggancio all'Europa, e le regioni del Sud che ne erano rimaste tagliate fuori. Per affrontare la questione degli squilibri settoriali e territoriali Ugo La Malfa propose la "politica dei redditi", che era una strategia per programmare la ripartizione del reddito nazionale al fine di rafforzare i fattori di crescita e di riequilibrio dell'economia. Il grande contributo di Ugo La Malfa a tale materia lo si ebbe con la "Nota aggiuntiva" al bilancio del 1962. Qualcuno, soprattutto a sinistra, volle vedere nella politica dei redditi uno strumento per imbrigliare il Sindacato. Per Ugo La Malfa la politica dei redditi, invece, non poteva che essere uno strumento per corresponsabilizzare le parti sociali e le forze politiche. Questa impostazione era astratta? Sfido a trovarne una più realistica, capace di evitare quegli errori nella gestione della politica economica che hanno portato il nostro paese ad accumulare il debito pubblico più elevato d'Europa.

All'interno del sistema politico italiano Ugo La Malfa non poteva che ritagliarsi il ruolo di ispiratore di processi culturali tesi al rinnovamento della politica, dal momento che alle spalle aveva un piccolo partito. In questo quadro egli era cosciente del fatto che il Sindacato italiano era dominato dalla sinistra e che non si poteva ottenere consenso su di una politica di rigore economico se la sinistra, allora egemonizzata dal PCI, non avesse avviato un serio processo di revisione del proprio metodo di analisi dei meccanismi dell'economia. I ritardi e le contraddizioni che Ugo La Malfa addebitava al PCI non erano di poco conto, sia in materia di politica estera che in materia di politica economica. Tuttavia, la crisi che l'Italia imboccò dopo lo shock petrolifero del 1973/74, e il conseguente doloroso processo di riaggiustamento dell'economia, obbligavano la sinistra ad assumersi responsabilità precise in materia di lotta all'inflazione, di riavvio del processo di integrazione economica dell'Europa, a partire dal Sistema monetario europeo, di riequilibrio dei conti pubblici.

Ho fatto cenno agli squilibri fra le regioni d'Italia. Ugo La Malfa era un uomo del Sud, che conosceva la miseria del suo Mezzogiorno. Conosceva la portata di una miseria che favoriva fenomeni di clientelismo e di corruzione. Egli aveva ben presente che non si potevano riscattare le plebi meridionali se non si favoriva un processo di crescita economica delle regioni del Sud. Una crescita basata sullo sviluppo produttivo, sull'ammodernamento del sistema infrastrutturale, sulla diffusione del sapere scientifico. In tale ottica l'intervento dello Stato doveva essere necessario catalizzatore di energie e non certo dispensatore di risorse finanziarie. Mancava, nel Sud, se non con qualche lodevole eccezione, un ceto imprenditoriale capace di rifiutare le pericolose suggestioni del clientelismo politico. La società civile del Mezzogiorno, che pur c'era, era riuscita ad esprimersi attraverso un nucleo di intellettuali meridionalisti che si richiamavano ad una interpretazione moderna sia del liberalismo che del socialismo democratico. Basti ricordare Francesco Compagna e la scuola meridionalista di "Nord e Sud", nelle cui pagine seppero confrontarsi sia il pensiero liberaldemocratico che quello socialista. Va detto che la tradizione liberale del riformismo meridionale si ritrovò quasi tutta nel PRI di Ugo La Malfa.

Per Ugo La Malfa lo sviluppo delle aree più arretrate dell'Italia doveva essere assicurato da una adeguata crescita del sistema economico a cui doveva seguire una altrettanto adeguata ripartizione del surplus così prodotto. Per ottenere ciò vi doveva essere una gestione rigorosa della finanza pubblica, basata su scelte capaci di privilegiare gli investimenti piuttosto che le spese. A molti questa posizione di Ugo La Malfa appariva quasi etica, e quindi poco politica. Invece era politica perché razionale.

La questione dell'equilibrio dei conti dello Stato si mostrerà, vari anni dopo la morte di Ugo La Malfa, in tutta la sua ampiezza, allorquando l'Italia dovette affrontare il problema dell'ingresso nell'area dell'Euro. L'Italia fu costretta ad entrare nell'area dell'euro perché se non lo avesse fatto sarebbe precipitata in una crisi di tipo sudamericano. Si è trattato di un necessario ancoraggio all'Europa. Ugo La Malfa soleva dire che l'Italia doveva attraversare le Alpi ed entrare in Europa e che doveva evitare di precipitare nel Mediterraneo. Con ciò voleva dire che l'Italia doveva essere un paese sempre più simile ai paesi europei avanzati e non un paese simile a quelli mediorientali. Ebbene l'Italia entrò nell'euro e quella scelta obbligò, ed obbligherà sempre di più, proprio le attuali forze politiche a misurare la compatibilità tra progetti politici e vincoli economici.

Negli anni del pur importante miracolo economico le regole che governavano la vita economica erano lontane dagli standard dei paesi più avanzati. Il sistema fiscale era poco equo, la borsa era asfittica. Il capitalismo italiano era debole ed aveva una forte vocazione clientelare.

Rammodernare il sistema economico italiano era un compito di estrema complessità. Certo è che alla base di un sistema economico che funzioni bene, tra le altre cose, ci deve essere lealtà nei comportamenti e trasparenza nelle informazioni. In mancanza di regole serie di comportamento è facile che scoppino scandali. Il caso Sindona è stato emblematico. Quando scoppiò la vicenda Sindona, Ugo la Malfa aveva responsabilità di governo. Riuscì a resistere a forti pressioni politiche che chiedevano il salvataggio di Sindona. Non solo si oppose a tale salvataggio ma, nel 1974, impose la creazione della Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), con il compito di garantire la trasparenza delle informazioni sulle società quotate in borsa. Anche in ciò Ugo La Malfa fu un precorritore dei tempi e la sua lezione appare attuale, proprio in una fase della nostra vita economica in cui il sistema bancario è esposto a critiche severe per il ruolo che da alcune parti gli si addebita in vicende che tutti conosciamo.

nuvolarossa
08-04-04, 14:05
Il moralista laico Ugo La Malfa

«Se fosse stato accettato l'aumento di capitale molti avrebbero perso molti soldi». Questa proposizione non è stata tratta dall'articolo di un qualche moralista che ha saputo anticipare i casi Cirio e Parmalat. La fonte è l'«Intervista sul non governo» rilasciata da Ugo La Malfa ad Alberto Ronchey nel 1977 e si riferisce al caso Sindona, a seguito del quale l'allora Ministro del Tesoro ha istituito la Consob. Anche se oggi per la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa si presenta la necessità di un adeguamento alle mutate condizioni del mercato finanziario, è innegabile che per trent'anni è stato un'istituto che ha tutelato l'interesse dei risparmiatori, anche nel delicato passaggio verso le nuove forme di investimento offerte dal sistema finanziario. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che trent'anni fa i principali strumenti a disposizione dei risparmiatori non erano né i bond né i derivati, ma i bot e i cct, e d'altra parte anche il sistema bancario è profondamente mutato.
Indubbiamente il crack Cirio e Parmalat e il caso Sindona sono vicende diverse, con risvolti inquietanti per quest'ultimo: ricordiamo gli omicidi dello stesso Sindona e Calvi ma anche dell'avvocato Giuseppe D'Ambrosio, l'«eroe borghese» come è stato definito in un film di qualche anno fa. Ma è altresì certo che lo statista repubblicano ha saputo bloccare le manovre speculative del banchiere siciliano opponendosi alle notevoli pressioni esercitate da una parte del mondo politico e finanziario, con un intreccio che dalla mafia italo-americana portava fino allo Ior presieduto dal prelato americano monsignor Marcinkus. Per la verità Marcinkus è stato poi estromesso e lo Ior ha ritrovato la propria funzione originaria di strumento ha disposizione delle opere di solidarietà promosse dal mondo cattolico. Per quelle strane astuzie della storia, di cui ha parlato Hegel, il laico e agnostico La Malfa ha contribuito alla moralizzazione, e al recupero del prestigio etico, della finanza cattolica.

Comunque, in entrambi i casi, alla base vi è sempre il tentativo di utilizzare gli strumenti finanziari in modo speculativo e non in funzione delle necessità dell'economia produttiva. Sempre in merito al caso Sindona, La Malfa ha aggiunto che era suo dovere «far sì che il processo produttivo non risentisse di restrizioni del credito». Il nodo è sempre lo stesso: impedire le manovre speculative senza danneggiare il sistema delle imprese attraverso vincoli dirigistici che ne impediscano lo sviluppo. L'attuale Ministro del Tesoro Giulio Tremonti, per il disegno di legge sulla tutela del credito e del risparmio, attualmente in discussione al Senato, ha parlato di «metodo repubblicano», intendendo ovviamente che l'interesse delle parti deve arretrare di fronte all'interesse della res pubblica, ma con ciò ha, implicitamente, reso omaggio alla serietà con cui il Pri, sulla scia di La Malfa, ieri e oggi, affronta i problemi del Paese. Giova ricordare, infatti, che l'iniziativa del Ministro Tremonti è stata preceduta, ancor prima che si sviluppasse il crack Parmalat, da un disegno di legge, a firma di Giorgio La Malfa e Bruno Tabacci, che prevede la piena trasparenza per quanto riguarda la partecipazione alla gestione delle banche delle imprese prenditrici di credito.

Ricordare Ugo La Malfa, nel 25esimo anniversario della sua scomparsa, non è il doveroso, ma retorico, omaggio a un prestigioso leader e a un padre della patria, ma la riaffermazione di una linea ininterrotta di impegno civile e politico per ha sempre avuto, ed ha tuttora, come punto di riferimento il bene della Repubblica.

Vittorio Bertolini

nuvolarossa
28-12-04, 01:36
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Discorso di Ugo La Malfa - Milano 2 giugno 1953

Milanesi, a chi somigliate voi? E’ da un secolo che lavorate nelle fabbriche; la vostra coltura zi[sic] è elevata, le vostre qualità si sono affinate. Voi somigliate agli operai svizzeri, agli operai tedeschi, somigliate agli operai belgi e inglesi. Passati 50 chilometri di frontiera troverete gli operai in tuta come voi. Ma sono comunisti gli operai svizzeri? No. Sono comunisti gli operai tedeschi?
No Sono comunisti gli operai inglesi? No. Essi credono nella libertà e nella democrazia. E a quale altra città somiglia Milano, città italiana fra le città italiane: è la prima delle città europee. Milano è come Torino, Milano è come Basilea, come Francoforte, come Amburgo. Milano é come New York, Parigi, come Bruxelles e come Liegi. Questa, cittadina [sic], è la città di Milano, questo è il mondo in cui Milano vive.
Quando voi aprite la vostra Fiera, tutto il progresso civile, tutto il progresso [sic] sociale, tutto il progresso economico si vedono nella vostra Fiera. Milano, cittadini, non è certo Bruxelles, non è certo Varsavia, ma è un centro di grande civiltà. Ed ecco perché Carlo Cattaneo voleva gli Stati Uniti d’Europa; ecco perché noi repubblicani, i partiti di centro, vogliono gli Stati Uniti d’Europa. Questo è il cuore della nostra civiltàe [sic] noi, cittadini, nel difendere questa civiltà democratica, non lediamo nessun popolo. Noi vogliamo gli scambi fra le città occidentali e orientali.
Io stesso, cittadini, ho condotto nel 1948 le trattative con la Russia sovietica, trattative regolate dal Trattato di pace, che aprono gli scambi con la Russia sovietica, scambi che non
potrebbero ledere l’indipendenza della nostra Patria né i rapporti pacifici di popoli. Ma l’on. Togliatti non porterà qui le truppe sovietiche né il pensiero sovietico.
Questa è la differenza ed ecco, cittadini, perché io parlo di civiltà democratica. Noi non abbiamo bisogno di apprendere il dogma da nessuno. Questa città, nel Risorgimento, vide le truppe ungheresi a cui un grande impero voleva legarla; ma Milano si ribellò poiché il cuore e il centro di Milano erano altrove. Lo stesso problema è quello di oggi e sono sicuro, milanesi, che voi vi ribellerete ancora e voi darete alla democrazia ed alla Repubblica, ricordandovi del vostro illustre passato, tutto il vostro appoggio, tutto il vostro consenso.
Ho qui, cittadini di Milano, la circolare segreta del P. C. I. ai suoi attivisti In questa circolare segreta di ben nove pagine ed un allegato si fanno queste affermazioni: che noi, partiti democratici, verremmo su queste piazze a dire che la democrazia è un’utopia; è scritto in questa circolare; che le ingiustizie ci sono sempre state , che i padroni hanno sempre comandato; è inutile accanirsi tanto, le cose andranno sempre nello stesso verso. Cittadini, avete mai sentito in un discorso di un democratico, che kq [sic] libertà e la democrazia sono un utopia? Se potessi farvi leggere questa circolare voi imparereste molte cose.Si dice inoltre: “Nell’U.R.S.S., con la democrazia popolare, i cittadini vivono nel benessere e serenamente. In Italia oggi si processano gli uscieri, i sergenti, i tenenti, gli impiegati per questioni da poco.” Ma ecco la verità dal partito comunista: “gli scioperi a rovescio, le lotte per la salvezza delle fabbriche, i piani di lavoro provinciali e comunali, hanno costretto la democrazia cristiana e i suoi seguaci a fare qualche cosa. Sono gli scioperi, cittadini, che ci hanno costretti a portare avanti l’Italia. ” E poi i repubblicani = perché c’è un capitolo dedicato ai repubblicani = hanno rinnegato la loro tradizione; essi hanno macchiato, col loro comportamento, il nome d’un uomo illustre quale Mazzini.
Ebbene, milanesi, lasciatemi dire la voce della verità. Sapete come chiamava Marx Giuseppe Mazzini un secolo fa? “San Giuseppe, Pietro l’Eremita. La storia fa testo ed abbiamo la lettera di Marx a Engels del 13 settembre 1851: “non si aprono ancora gli occhi ad un bestione”. Lettera di Engels a Marx dello stesso anno: “E’ una cosa eccellente che a quello scaltrito fanatico di Mazzini finalmente gli interessi materiali si mettano una buona volta contro”.
Lettera finalmente di Marx a Engels del 3 marzo 1859: “Il signor Mazzini, mentre come Pietro l’Eremita, tiene sermoni e discorsi in francese, lecca intanto il sedere ai liberi scapisti inglesi che fingono?) così bene la devozione e la fede, l’imbecille!” Ridete, avversari. Ma come fate a scrivere nelle vostre circolari che noi abbiamo tradito Mazzini quando da un secolo voi marxisti usate verso i mazziniani, verso i repubblicani, il linguaggio volgare, gli insulti, le milaccie [sic], che l’on. Togliatti usa contro di noi oggi?
E’ una lotta perenne fra lo spirito dei mazziniani, uno spirito democratico e civile e lo spirito dei marxisti, uno spirito di prepotenza e di orgoglio; è uno spirito di sopraffazione, è uno spirito che vuole seminare la paura e vuole portare la dittatura.
Ci accusano, cittadini, di essere stati al governo con la democrazia cinque anni. Ebbene, cittadini, siamo stati in posti di responsabilità per 5 anni per difendere la libertà. Eravamo quattro partiti nel 1948: il liberale, il democristiano, i repubblicani e i socialisti democratici. Il partito liberale è uscito perché non voleva la riforma agraria; gli amici social democratici sono usciti per delle loro ragioni interne. Noi siamo rimasti. E siamo rimasti essendo il partito del Risorgimento ed avendo lottato contro il potere temporale della Chiesa. Perché siamo rimasti, cittadini? Perché riteniamo, e ve lo diciamo da laici che non abbiamo tradito mai il nostro pensiero, che la democrazia e la libertà in questo Paese si conservano se c’è una collaborazione fra le forze cattoliche e democratiche da una parte e le forze democratiche laiche dall’altra.
Questo è il problema della vita politica italiana; questo è il problema del giusto equilibrio fra le forze cattoliche e laiche. Questo spetta alla vostra coscienza e al vostro giudizio; non spetta a noi illustrare questa situazione.
Siamo stati al governo per cinque anni e ci avete attaccato perché avevamo le poltrone ministeriali; ma noi sappiamo fare i ministri, sappiamo prendere le nostre responsabilità.
Cittadini di Milano, c’é [sic] stato un momento della nostra vita nazionale che fu rappresentato dalla crisi reale. Era la vigilia delle elezioni amministrative di Roma. Si era fatto a Roma il Fronte Popolare. L’on. Nenni e Togliatti si erano uniti sotto la figura invecchiata di Francesco Saverio Nitti. C’era la preoccupazione che il comune di Roma e il Campidoglio cadessero sotto le mani dell’on. Togliatti. Viene la proposta Sturzo: il blocco di tutte le forze anti comuniste. Noi repubblicani abbiamo detto: No.
E’ venuto in casa mia l’on. Nenni; io gli ho detto che la situazione era gravee [sic] che la democrazia correva pericolo. Ho chiesto il suo aiuto ed egli ha dato buone parole. Egli scriveva sui giornali che De Gasperi era un buon democratico ma egli non poteva far nulla e che era stato costretto a fare il fronte coi comunisti.
Milanesi i ministri repubblicani sono andati dall’on. De Gasperi ed hanno presentato le loro dimissioni; hanno detto che avrebbero fatto la battaglia di centro, contro le sinistre e contro le destre monarchiche e fasciste; non ci saremmo mai unti [sic] ai fascisti né ai monarchici complici del fascismo.
E l’on. De Gasperi, ch’è un buon democratico, si è servito delle nostre dimissioni. Abbiamo fatto a Roma la battaglia di centro e l’abbiamo vinta cittadini. E il comune di Roma non è andato né all’on. Togliatti né all’avv. De Marsanich ; è rimasto alla democrazia.
E’ questo il preambolo dell’attuale questione: la legge truffa, cittadini. Legge ruba voto.
Quando con la legge del 48 il deputato repubblicano si eleggeva con 74 mila voti e un deputato comunista con 48 mila, nessuno ha gridato alla legge truffa perché si possono calpestare le minoranze come noi . Legge truffa : ma non vi voglio parlare di questo ma della legge elettorale. Cittadini milanesi: il significato politico della legge elettorale non sta nel premio di maggioranza, sta nelle cifre 50,1% e nella vostra coscienza dove essere scritta in lettere indelebili qual’è il principio della democrazia che ha diritto di governare? Chi prende la maggioranza assoluta dei voti? Noi lo abbiamo respinto.
Ci dicono che abbiamo fatto la legge Acerbo, ma la legge Acerbo dava la maggioranza e il diritto di governo a chi aveva il 25%.
Secondo il principio fondamentale della democrazia io vi dichiaro, comunisti, che se la cooperativa Togliatti-Nenni prende il 50%, più 1 dei voti, nessuno impedirà loro di governare il Paese. Ma se il 50,i% [sic] dei voti li prendiamo noi, abbiamo il diritto di governare e voi sarete minoranza che noi non sopprimeremo.
Sono stato in Russia, comunisti; mi sarebbe piaciuto vedere il comizio d’un deputato repubblicano a Mosca.
Cittadini di Milano, noi abbiamo rispettato le leggi della democrazia. Voi siete liberi di non darci il 50%, e 1 dei voti ; nessuno verrà nelle urne a dirvi di votare per i repubblicani, i liberali, i democratici cristiani e socialisti, nessuno. Ma, cittadini, se si ha il dovere e il diritto di non volere qualche cosa, si ha il dovere però di dire che cosa si vuole al posto della situazione che si combatte.
Se noi non prendiamo la maggioranza assoluta, che cosa avviene? Ecco il problema politico. L’on. De Gasperi non può fare il Governo coi repubblicani, coi socialisti e coi liberali e allora l’on. De
Gasperi chiamerà forse l’on. Togliatti e si farà un governo De Gasperi-Togliatti?NO; non si farà . E forse si farà un governo De Gasperi con l’anguilla Nenni? No, non si farà . Forse anche l’on. De Gasperi sarà travolto? Lavoratori comunisti: avremmo aperto le porte alla monarchia ed al fascismo, avremmo fratturato l’Italia in due, avremmo la guerra civile.
Vedo uomini dalle teste canute e uomini anziani . Vi ricordate del 19=22? Anche allora i gerarchi del massimalismo, i Bombacci e i Serrati facevano occupare le fabbriche, dicevano ai lavoratori che erano padroni d’Italia . Vennero i manganellatori, venne la dittatura e i lavoratori soffrirono per 20 anni per la perdita della libertà.
Cittadini, io ero quasi ragazzo allora ed ho conservato rancore verso i gerarchi rossi massimalisti, verso i Facta. Ho dovuto lottare 20 anni per potere uscire nella libertà . Noi stiamo al Governo per difendere la democrazia e la difenderemo. E noi faremo gli Stati Uniti d’Europa, la grande unità dei popoli europei fra le due grandi potenze: la Russia da una parte e gli Stati Uniti
dall’altra . Vogliamo l’Europa e avremo l’Europa.
Siamo il Governo della fame, della miseria, siamo il Governo di coloro che hanno affamato l’Italia ? Ecco alcune cifre; cittadini..
Nel 1938 il patrimonio nazionale italiano era valutato in 700 miliardi. La guerra ne ha distrutto un terzo: 250 miliardi pari a 10 mila miliardi di lire attuali . Nel 1952 noi abbiamo ricostituito il patrimonio nazionale e lo abbiamo aumentato del 15% . La produzione agricola è aumentata dell’8%, ma la produzione industriale, cittadini, è aumentata del 43%. Voi non vestite,
massaie né date ai vostri uomini camicie di ginestra o maglie di lanital : voi avete vestiti di cotone e di lana: abbiamo abolito l’autarchia.
Il commercio di esportazione è aumentato del 50%; il commercio d ‘importazione del 80% .Noi abbiamo dato un grande respiro all’economia del nostro Paese .
La marina mercantile è stata distrutta dalla guerra e dal fascismo.
L’abbiamo rifatta .Nel 52 era superiore di 52 mila tonnellate all’anteguerra. L’energia elettrica nel 38 era prodotta per 15 miliardi di Kw.0 e nel 52 siamo arrivati a 30 miliardi . Nell’ante guerra non c’era produzione di metano.Oggi produciamo un miliardo e mezzo di metri cubi di metano .
Ultime cifre : Nel 38, in pieno impero, si costruivano in Italia 150 mila vani abitabili ; nel 51 noi abbiamo costruito 660 mila vani; nel 52 ne abbiamo costruite 770 mila.
Cittadini, nel 45 io fui Ministro dei Trasporti: non potevo andare in ferrovia da Roma a Fiumicino ; oggi le ferrovie sono ricostituite.
Abbiamo fatto la riforma agraria, cittadini, abbiamo fatto la politica delle aree depresse , la riforma agraria e dato la terra a 100 mila famiglie di braccianti, l’esproprio di 600 mila ettari di terra .
Avete mai visto il Delta padano? Avete mai visto la Maremma? Il comprensorio della Sile?
[sic] 14 mila ettari di terreno nudo, non una casa, non un albero; in questi 14 mila ettari del feudatario locale del barone (Maracco) villaggi miserabili di contadini, villaggi nudi di miserabili.
Avete letto “Cristo si fermò ad Eboli[”]? Qu[e]sti villaggi senza acqua, senza fognature, senza farmacia; in una stanza abitano persino tre famiglie : pareti piene di mosche. Attorno al villaggio il
palazzotto del signore, quasi una fortezza. I gerarchi della monarchia e del fascismo andarono a fare la partita di calcio all’isola di Capo Rizzuto; andavano in Africa ma dimenticavano gli italiani e i contadini calabresi . La Repubblica è arrivata dove non è arrivato il fascismo e la monarchia.
Vi posso parlare qui del problema delle aree depresse del Mezzogiorno perché, se io vado a Napoli, in quella disgraziata e nobile città, trovo il venditore della pasta asciutta , colui che
(incarna) la miseria del Mezzogiorno. Avrei capito che la Monarchia fosse venuta da dove aveva una tradizione, ma questa monarchia che sfrutta la miseria di Napoli e del Mezzogiorno, questa monarchia non la dovete volere voi. E’ un rigurgito della vita nazionale, un governo di miseria.
Lavoratori comunisti, noi abbiamo voluto la riforma agraria. Il partito comunista ha votato contro: noi abbiamo votato a favore . E’ poca cosa, nella circolare del partito comunista, la riforma agraria . Ma se la riforma agraria avesse dato la terra solo a dieci famiglie di braccianti, un partito di popolo doveva votare per la riforma agraria perché anche un progresso di dieci famiglie è un progresso sociale ed io me ne vanto in nome del partito repubblicano .
Due anni fa un giornale di alcuni agrari fascisti che scriveva contro la riforma agraria, portava per titolo :”La ghigliottina di Segni e La Malfa” .Ed io ho lavorato per la redenzione di alcune terre desolate del mio Paese .Peccato, lavoratori comunisti, peccato che quell’articolo non portasse il titolo”[sic]:”La ghigliottina di Nenni e Togliatti”.
Siamo un partito di popolo, siamo i vecchi mazziniani. Questo partito sui muri di Milano vi ha detto quello che ha voluto nel 48=53 e quello che vuole nel 53=58 .Abbiamo scritto sui muri quello che vogliamo perché non mutiamo , perché non promettiamo paradisi, un progredire nella civiltà; perché il nostro Paese non è un impero , ma un paese civile vicino alla Svizzera ; una grande e civile nazione , una nazione che manda avanti i suoi figli . Questa è la nostra bandiera .
Cittadini, abbiamo anche scritto sui muri di Milano: la bandiera del partito repubblicano è rosa, e rosso vuol dire “amore del popolo[”] , senso di giustizia sociale; siamo gli uomini di Carlo Cattaneo, di Cavallotti, siamo gli uomini della democrazia. La nostra bandiera è rossa sul rosso, è giustizia sociale .Ma nella nostra bandiera rossa sono scritti i nomi di Mazzini, Garibaldi, Cattaneo e dei grandi italiani del Risorgimento , di coloro che hanno fatto l’unità di questo Paese. Cittadini, l’Italia è bagnata di sangue repubblicanoda [sic] i Fratelli Bandiera a Nazario Sauro e Guglielmo Oberdan .
La bandiera del partito comunista porta tre nomi di stranieri:Marx, Lenin e Stalin . Per leggere i “Diritti e doveri” di Giuseppe Mazzini noi dobbiamo conoscere la lingua italiana ; perché i gerarchi del P.C. leggano il libro dei padroni del Cremlino devono tradurre dal russo.
Siamo una vecchia quercia,cittadini. Abbiamo le radici in questo Paese, siamo stati con l’Italia sempre senza odiare nessuno ; saremo con l’Italia sempre e non mai marxisti . Anche i nostri lavoratori, operi comunisti, hanno il viso solcato dalle rughe; anche i nostri contadini, anche le donne repubblicane hanno le loro ristrettezze economiche; noi abbiamo gli artigiani, i piccoli imprenditori, coloro che producono .Ma si tratta di due scuole : Noi educhiamo i repubblicani all’amore della libertà e del progresso e ne facciamo dei liberi cittadini, degli uomini liberi. Il P.C. educa i lavoratori alla dittatura, alla paura,allo schiavismo dello Stato.
Vecchia quercia: Stamattina ho avuto l’onore,cittadini di Milano,in rappresentanza del Governo, di assistere alla sfilata delle forze armate della Repubblica: comportamento fiero, un armamento moderno. Non è un esercito per aggredire, è un esercito per difendere la Patria, quello che serve a noi . Noi spendiamo qualche miliardo per le Forze armate, ma io ero in Russia ed ho visto due sfilate dell’Armata Rossa, potente sfilata, cittadini: ho avuto paura: si [sic] ho avuto paura.
L’on.Togliatti crede che quei pochi miliardi che noi spendiamo per l’esercito sono sottratti ai lavoratori? E quei molti miliardi di rubli che la Russia dedica alle forze armate sono forse dono della divina Provvidenza? I carri armati in Russia cadono dal cielo coi paracadute?
Non vogliamo, [sic] aggredire nessuno . La Repubblica è pacifica , ma difenderemo le nostre frontiere , sempre [sic] come abbiamo sempre fatto .
Io vi saluto. Saluto questa nobile e civile città di Milano e in questo giorno fausto per la Repubblica grido : Viva l’Italia! Viva la Repubblica! Viva la democrazia! viva la libertà! Abbasso la dittatura . E se mi consentite un atto di modestia: Viva IL PARTITO REPUBBLICANO!
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA/LUNAROSSA.MID

kid
28-12-04, 12:12
davvero non lo ricordavo, anche se è il La Malfa più riconoscibile. C'è solo un errore di trascrizione: bandiera rosa.
Speriamo che qualche repubblicano oltre noi ci rifletta un po' su La Malfa.

"E’ una lotta perenne fra lo spirito dei mazziniani, uno spirito democratico e civile e lo spirito dei marxisti, uno spirito di prepotenza e di orgoglio; è uno spirito di sopraffazione, è uno spirito che vuole seminare la paura e vuole portare la dittatura".

nuvolarossa
29-12-04, 15:35
Nota e testo tratti da:
La Malfa - discorsi parlamentari, edito dalla Camera dei Deputati
.................................................. .................................................. .

Camera dei Deputati

Sulla fiducia al I Governo Moro

Seduta del 16 dicembre 1963

Il 5 novembre Giovanni Leone annuncia le dimissioni del suo primo Governo (monocolore DC costituito all'indomani delle elezioni de 28 aprile 1963, dopo la rinuncia di Aldo Moro seguita alla mancata ratifica degli accordi per la costituzione di un governo di centro-sinistra comprendente anche il Partito socialista. La crisi è contraddistinta da una laboriosa fase di consultazioni da parte del Capo dello Stato (il quale convoca al Quirinale anche personalità estranee al mondo politico come il Governatore della Banca d'ltalia, Carli, e il Comandante dell'Arma dei carabinieri, generale De Lorenzo) e si concluderà solo il 4 dicembre con la creazione del primo governo organico di centro-sinistra. La costituzione del governo, che segna la conclusione di una lunga fase di instabilità, suscita contrasti molto aspri all'interno dei partiti della coalizione. Randolfo Pacciardi dichiara di ritenersi libero da ogni disciplina di partito e annuncia che voterà contro il nuovo governo; mentre Lelio Basso preannuncia l'astensione di 25 deputati socialisti. Nell'intervento che segue, La Malfa, dopo aver sottolineato che tali comportamenti colpiscono il sistema politico italiano, fondato sulla presenza dei partiti, dichiara che secondo i repubblicani l'aspetto qualifcante del programma del nuovo governo va ricercato nella piena accettazione del metodo della programmazione, che ha le sue premesse nella politica dei redditi. Sul versante della politica estera, il momento essenziale nella politica di centro sinistra va invece ricercato in una convinta adesione al Patto Atlantico e nella difesa dei principi europeistici minacciati, nella loro realizzazione, dalla Francia gaullista.

La Malfa. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quando si farà la storia di questi ultimi anni, si dovrà dire che nessuna svolta politica, nessun nuovo equilibrio politico sono stati contrastati, avversati, ostacolati passo passo, come quelli che dovranno avere domani la sanzione del voto della Camera. Gli avversari del centro-sinistra hanno ceduto ogni pollice di terreno dopo il più duro dei combattimenti; ahimè, qui e fuori di qui, hanno usato di tutto per arrestare il nuovo corso della politica italiana e giunti, ripeto, alla vigilia della sanzione definitiva, non era difficile prevedere, da parte di una posizione estrema il ricorso al più delicato degli argomenti: quello che mette in questione lo stesso sistema dei partiti, delle regole dei rapporti tra la loro maggioranza e la loro minoranza, la democraticità e la costituzionalità stessa della vita dei partiti.

Non era difficile prevedere, ripeto, onorevole Presidente del Consiglio, quest'ultimo ostacolo e, diciamolo pure, quest'ultima grossa buccia di limone. Ma appunto nel prevedere quest'ultimo ostacolo, che sta— si badi bene—ai limiti tra la democrazia e l'antidemocrazia, qualcuno di noi si era fatto carico di avvertire la sinistra del partito socialista italiano del la delicatezza di quest'ultima battaglia e della responsabilità che essa si sarebbe assunta nell'anticipare o nel condividere una impostazione così arrischiata. Ma se l'atteggiamento della sinistra ci ha sorpreso, debbo dire con franchezza che ci ha molto rammaricato l'atteggiamento della parte opposta, dell'onorevole Scelba e della sua corrente, perché onorevoli col leghi, la battaglia tra coloro che credono nel centro-sinistra e uomini come l'onorevole Scelba è stata sempre asperrima: ma di là da tale asprezza polemica, che del resto caratterizza l'estremo impegno che noi portiamo nelle nostre battaglie, vi era questo sentimento di stima reciproca, che cioè l'onorevole Scelba non avrebbe mai violato le regole che presiedono allo svolgimento della vita democratica. Egli aveva dato sempre prova di questo assoluto rispetto ed è—ripeto—con dolore e con sorpresa (con lo stesso dolore e la stessa sorpresa che un vecchio democratico come Luigi Salvatorelli ha espresso ieri dalle colonne della Stampa) che abbiamo visto invece l'onorevole Scelba subire in certo senso quella che io chiamavo «una posizione estrema», quella cioè che porta la battaglia a quel limite della democrazia e dell'antidemocrazia che si raggiunge quando si tocca il problema della costituzionalità del sistema dei partiti nella vita democratica e parlamentare. Ma poiché, onorevoli colleghi, anche per questa battaglia il partito repubblicano si è trovato di fronte ad un fatto clamoroso di ordine parlamentare; poiché ha dovuto constatare che vi è stata una preordinata volontà di scissione del gruppo parlamentare e prevedibilmente verrà accertato dagli organi responsabili che vi è stata una preordinata volontà di scissione del partito; poiché, d'altra parte, la discussione su questo aspetto del problema da parte della democrazia cristiana e del partito socialista italiano non è stata portata ancora in Parlamento, dove le manifestazioni diventano solenni, impegnative ed irrevocabili; poiché, in definitiva, si tratta ancora, per nostra fortuna, di una discussione nell'ambito interno dei partiti, tenuta quindi fuori del Parlamento; ebbene, tocca alla nostra forza di minoranza, che ha subito già tutte le conseguenze di una frattura parlamentare, richiamare con estrema serietà l'importanza dei principi che presiedono alla vita democratica del nostro paese e alla vita democratica in generale.

Il primo e fondamentale principio, onorevoli colleghi, il più solenne, il principio che noi abbiamo sempre difeso, l'unico che ci dà una posizione di forza nei confronti del partito comunista, è quello della pluralità dei partiti. Non abbiamo altro tema più sicuro e più fermo di questo: la vita democratica ha questa profonda ed inalienabile caratteristica, di essere contraddistinta dall'esistenza pluralistica dei partiti. Ed io parlo, onorevoli colleghi, in primo luogo dei partiti ancor prima del Parlamento, perché voi sapete che il Parlamento è il luogo solenne e costituzionale in cui si incrociano le armi dei partiti. Non è di per sé il Parlamento, senza che in esso si esprima la pluralità dei partiti, indicativo di un sistema democratico. Voi sapete, onorevoli co!leghi, che esistono parlamenti in cui non opera la pluralità dei partiti e noi sappiamo benissimo che quelli non sono parlamenti, o sono parlamenti in senso assai improprio. Non esiste il parlamento del partito unico o del partito autoritario; esiste il parlamento là dove i partiti si esprimono, ripeto, nella loro pluralità. Questa è democrazia parlamentare e soltanto questa: e se noi dovessimo smentire questo fondamento sicuro della libera vita democratica, avremmo dato ragione all'onorevole Togliatti, uomini della destra. E questo va detto, anche se so benissimo che questo appello serve a poco, poiché quando la destra deve giocare le sue estreme carte, ebbene, l'esperienza ci insegna che essa è capace di buttare al macero i principi che regolano la vita democratica.

Il secondo principio è dato dalla disciplina che i partiti assicurano alla vita politica fuori e dentro il Parlamento. È stato questo l'elemento di stabilità in questa seconda vita democratica italiana.

Senza questa disciplina e quindi senza una vera vita parlamentare, noi avremmo corso già da alcuni anni gravi rischi, sebbene un sentimento qualunquista cerchi di gettare discredito sui partiti nell'opinione pubblica. Noi sappiamo, invece, benissimo che alla loro salda struttura ed al loro pluralismo la Repubblica italiana deve la stabilità del suo regime demo cratico. È vero, onorevoli colleghi, che esiste l'articolo 67 della Costituzione, il quale fa del rappresentante parlamentare un rappresentante degli interessi della nazione; e non sarà certo un uomo del partito repubblicano che voglia smentire questo diretto legame tra il parlamentare e gli interessi generali della nazione. Ma, onorevoli colleghi, sarebbe una grande piacevolezza, se non addirittura una facezia, se noi interpretassimo quell'articolo come una possibilità per il parlamentare di esprimersi ogni volta secondo la propria coscienza e di pretendere contemporaneamente di continuare a militare in un gruppo parlamentare ben definito e nel partito che questo gruppo esprime. Se fossimo generosi o soltanto deboli in questo, ebbene, onorevoli colleghi, noi potremmo chiudere le pagine della nostra vita democratica, perché entreremmo nel regno—o nella repubblica, se volete — del caos, dell'anarchia: direi, senza per nulla voler drammatizzare, che entreremmo nel regime dei non governi, cioè dell'impossibilità che il Parlamento democratico esprima qualsiasi maggioranza e qualsiasi governo.

Immaginate, onorevoli colleghi, che il mio amico liberale Goehring (spero di pronunciare bene il suo nome), che è membro autorevole della mia stessa Commissione, si alzi dal suo banco e — per un'ispirazione qualunque—dichiari di condividere le opinioni espresse ieri dall'onorevole Togliatti e poi, in base all'articolo 67 della Costituzione, vada dall'onorevole Malagodi e gli dica: io ho diritto di rimanere nel partito liberale! Immaginate, onorevoli colleghi, quali scambi di posizioni potrebbero avvenire in seno a ogni gruppo parlamentare, quali trasferimenti da sinistra verso destra o da destra verso sinistra, quali rimpolpamenti o delimitazioni di situazioni: ma soprattutto immaginate quale allegro Parlamento potremmo divenire!

Onorevoli colleghi di ogni gruppo, io vi richiamo a questo profondo senso di responsabilità. L'articolo 67 della Costituzione esiste, ed esiste anche come caso di coscienza. Si danno situazioni estreme nelle quali un uomo può obbedire alla propria coscienza personale e politica e non alla disciplina del gruppo e del partito; ma, onorevoli colleghi, bisogna stare attenti che questo caso di coscienza non sorga proprio quando si è in minoranza. Perché l'articolo 67 della Costituzione c'e, ma il principio in esso scolpito esige un previo esame di coscienza da parte del parlamentare che se ne voglia avvalere, e precisamente questa considerazione: se il fatto d'essere in minoranza non crei una predisposizione al caso di coscienza, e non che il caso di coscienza porti ad essere in minoranza. Ecco un problema che abbiamo il dovere di esaminare fino in fondo: stare attenti cioè che il fatto d'essere in minoranza non si converta quasi automaticamente in caso di coscienza. Siamo di fronte (lasciatemelo dire) ad uno dei problemi più difficili e più gravi della vita parlamentare.

D'altra parte, onorevoli colleghi, che cosa hanno fatto i partiti per provocare questo diffuso caso di coscienza in quest'aula? Che cosa c'è di nuovo, d'improvviso nello sviluppo della loro azione politica che debba portare a questa epidemia di casi di coscienza? Ripeto, onorevoli colleghi, che uno dei dati positivi della nostra vita parlamentare del postfascismo è il fatto che i partiti, pur con le loro deficienze (se volete) e con i loro eccessi, hanno saputo assicurare la stabilità del regime parlamentare. Il problema dei partiti può nascere non in sede politica ma in sede di costume. Ma voi sapete che i problemi di costume sono stati anche eredità d'un regime autoritario. E, d'altra parte, se il costume del Parlamento prefascista era alto (e lo dobbiamo riconoscere), tuttavia il gioco dei personalismi, delle frazioni, delle correnti, fu l'elemento determinante della crisi di quel Parlamento e dell'ingresso delle forze autoritarie nello Stato.

Noi non dobbiamo quindi rimproverarci deficienze politiche ma deficienze di costume, che dobbiamo esaminare profondamente ma in altra sede. Qui dobbiamo tener fermo il dato della essenzialità della presenza dei partiti e della loro disciplina come elemento di vita democratica. E non si citino così facilmente esperienze straniere in virtù delle quali il regime parlamentare — a detta di questi critici — sarebbe entrato in crisi anche in Italia e si affaccerebbe all'orizzonte, in sua vece, una specie di regime presidenziale. Dov'è una crisi del genere? In tutti i paesi anglosassoni il regime parlamentare, quale noi lo conosciamo, è pienamente in vigore. Il regime presidenziale americano ha tutt'altro carattere. Di fronte alla forza del presidente come rappresentante del potere esecutivo, vi è la forza primaria del Congresso come sovrano potere legislativo. Noi non abbiamo una crisi del regime parlamentare che non sia una crisi limitata geograficamente a certe zone. Abbiamo avuto la crisi della vicina democrazia francese; ma quella crisi è crisi di frantumazione dei partiti, propria di quel fenomeno degenerativo su cui ho richiamato l'attenzione del Parlamento. E la crisi della democrazia francese fu accentuata dalla presenza esterna di un movimento autoritario. Voglio dire francamente che, a mio giudizio, il generale De Gaulle avrebbe guadagnato grandi meriti storici se avesse concluso la sua attività politica con la liberazione della Francia.

Pajetta. Capita a molti di peggiorare invecchiando.

La Malfa. Vi è una grave crisi del sistema parlamentare nei paesi latini, non nei paesi di altra tradizione politica. Abbiamo avuto così la crisi della Spagna e la crisi del Portogallo. Ed abbiamo tuttora la crisi della Francia, perché questo paese non ha risolto certo i problemi del suo assetto politico permanente con il regime autoritario del generale De Gaulle.

Ebbene, onorevoli colleghi della democrazia cristiana e del partito socia lista, che avete a cuore — prima di giudicare una qualsiasi formula di governo — il fondamento della vita, volete che il nostro paese, dopo tante amare esperienze, si collochi fra il regime presidenziale del generale De Gaulle e il regime di Franco e di Salazar? Vogliamo arrivare a questa degradante esperienza?

Ebbene, lo si dica chiaramente: ché di questo si tratta, di una dissoluzione del sistema dei partiti, che può essere fra gli obiettivi degli assertori di una posizione estrema come mezzo finale per arrestare un processo storico, ma alla quale correnti politiche responsabili non dovrebbero consentire. Da questo ultimo punto di vista, onorevoli colleghi, noi abbiamo dinanzi al mondo e all'occidente una grande responsabilità: quella appunto di non seguire l'esempio di altri paesi latini e di continuare a dare, come abbiamo fatto in questi anni, prova di profonda consapevolezza delle nostre responsabilità democratiche. Ecco perché io spero che quando arriveremo all'ultimo esame di coscienza, alle dichiarazioni di voto, si sappia meditare profondamente sul valore delle alternative che, in questa ora delicata, si prospettano per la nostra vita nazionale.

D'altra parte, onorevoli colleghi, non vi pare strana e assurda, per quanto riguarda la sostanza dei problemi, la situazione politica che attraverso queste manifestazioni di contrasto si è creata fuori di qui e che io spero non si determinerà in Parlamento? Non un'ala estrema ma un'ala

moderata della democrazia cristiana, dopo mesi e mesi di trattative e dopo anni di lotta per il centro-sinistra, scopre in questo momento di non poter dare la sua adesione al Governo perché, si afferma, la democrazia cristiana stessa, nella persona dell'onorevole Moro, ha ceduto a non so quali pressioni di sinistra; nello stesso momento e parallelamente una corrente del partito socialista si irrigidisce perché, a suo avviso, la maggioranza socialista avrebbe ceduto alle pressioni conservatrici e moderate della democrazia cristiana! Le due tesi, onorevoli colleghi, non possono stare insieme; è vera l'una o è vera l'altra, ma tutte e due, vivaddio, sinché gli uomini ragionano politicamente, non possono coesistere ed essere presentate qui!

Pajetta. Ella, onorevole La Malfa, ha rubato l'argomento al collega De Martino.

De Martino. Non lo avrei comunque usato.

La Malfa. Dicendo ciò, onorevole Pajetta, mi pare che ella mi abbia dato ragione...
Come si giustificano posizioni così assurde? Esse (parlo con estrema franchezza) derivano dall'inconscio e inconsapevole riconoscimento che con questo Governo siamo di fronte ad un consolidamento e ad uno sviluppo della politica di centro-sinistra, di fronte ad un fatto che ha una definitività maggiore della stessa esperienza del governo Fanfani. Le forze minoritarie dei due partiti estremi della coalizione credono di esprimere il dissenso su una linea programmatica, ma fondamentalmente riflettono la preoccupazione che la linea politica di centro-sinistra abbia trovato il suo punto conclusivo.

Questo fatto, onorevoli colleghi, mette in dubbio, lasciatemelo dire, la stessa sincerità dell'adesione data a suo tempo al Governo Fanfani. Se oggi dalle due opposte parti si manifestano irrigidimenti che non si verificarono al tempo del quarto ministero Fanfani, è evidente che si sperava che esso venisse meno e che non avesse luogo il consolidamento della situazione, rendendo possibile a noi, onorevole Moro, questa constatazione: che le cose si fanno sempre più difficili, come si sono fatte in questi anni, e si fanno eccezionalmente difficili nell'anticamera immediata della soluzione della crisi, cioè alla vigilia del voto di fiducia.

Noi dobbiamo mettere in luce questo consolidamento e lo sviluppo della formula. Si dice: vi è stato il Governo Fanfani, quasi a porre l'accento su un certo arretramento della situazione. Devo perciò parlare di quel governo, del quale mi sono onorato di far parte. Lasciatemi dire (e ne è qui testimone il mio amico onorevole Oronzo Reale) che quando, circa due anni fa, nel febbraio 1962, nella direzione del mio partito si esaminò il problema del Governo Fanfani, io dichiarai che consideravo quel governo, che usciva in campo aperto come primo esperimento di centro-sinistra, come una fase transitoria, che si doveva chiudere con la costituzione di una maggioranza organica, e che il nuovo governo — per dare l'impressione al paese che si trattasse di maggioranza organica e consolidata — avrebbe dovuto registrare la partecipazione dei segretari dei quattro partiti.

Questa soluzione definitiva dell'apertura Fanfani l'ho prevista all'atto della costituzione di quel Governo. Perciò il processo attraverso cui siamo arrivati a questa maggioranza organica, alla struttura di questo Governo, al suo programma si collega ad alcuni punti fermi posti nel passato. In altri termini (l'ho già detto durante il consiglio nazionale del mio partito) ho sempre considerato l'esperienza Fanfani come quella di un Governo che rompe l'immobilismo uscendo dalle vecchie trincee ed è, quindi, soggetto a tutti i tiri incrociati di artiglieria.

Una voce all'estrema sinistra. Anche alle spalle.

La Malfa. Parleremo anche di questo.

È stato quello un Governo, dicevo, uscito dalle trincee per compiere la prima esplorazione: vengono poi i grandi eserciti con i grandi capitani ad occupare il terreno. Non ho mai avuto del Governo Fanfani un giudizio diverso.

Si è osservato che sul Governo Fanfani si tirava da tutte le parti. Tengo presente sia la fase del disimpegno sia quella che, dopo le elezioni, determinò la caduta del Governo Fanfani, ma tengo anche presente un'altra fase estremamente delicata e difficile che attraversò la politica di centro-sinistra: la elezione del Presidente della Repubblica. Questa terza fase è stata forse la più grave della vita del centro-sinistra e non fu mortale per il senso di responsabilità che manifestarono i partiti della sinistra. Sono stati tre momenti difficili o addirittura negativi dello svolgimento della politica di centro-sinistra, ma sono stati superati per portare appunto alla presente conclusione.

Credo di poter dire che l'aver voluto la caduta del Governo Fanfani all'indomani delle elezioni abbia costituito un elemento di debolezza per i partiti di centro-sinistra e per i loro segretari politici. Non ho mai manifestato la mia perplessità rispetto al momento programmatico (perché il momento programmatico ha rettificato molti punti della debole partenza politica), ma rispetto al punto di partenza politico. Dicevo all'onorevole Rumor (che mi pare sia «doroteo», non so fino a quando) che l'accanimento contro il Governo Fanfani, che aveva una scadenza predeterminata, costituiva una manifestazione politica inutile, quindi nociva; era uno di quegli elementi di degenerazione oserei dire personalistica della nostra vita democratica che costituiscono gli aspetti deteriori della nostra attività. Era un accanimento inutile e nocivo, in quanto il Governo Fanfani sarebbe morto di morte naturale alla vigilia del congresso socialista. Avevo infatti molte volte detto all'onorevole Fanfani, scherzando, che noi eravamo al governo a titolo provvisorio e che avremmo dovuto consegnare le armi, o il bastone di comando (nel caso dell'onorevole Fanfani) alla vigilia del congresso socialista, perché avremmo dovuto mettere quel congresso in condizioni di decidere sulla politica del Governo Fanfani e in generale sulla politica di centro-sinistra, senza che vi fosse l'ipoteca di un governo costituito. Questa era la mia personale posizione, e chi mi conosce sa che l'avrei mantenuta fino in fondo.

La verità è che la crisi che il centro-sinistra ha certamente attraversato durante l'elezione del Presidente della Repubblica, il disimpegno e le vicende postelettorali, si è risolta negli ultimi mesi. La situazione politica si è completamente rinnovata. Credo che sfugga alla percezione degli amici il riconoscimento che vi è stata negli ultimi tempi, una innovazione di rapporti. Con il Governo che nasce adesso, tutti gli equivoci sono stati dissipati: ci troviamo di fronte alla prosecuzione di quella politica che il Governo Fanfani ha impostato per primo, su una formula non definitiva e non organica, e che è merito di quel Governo avere portato avanti, come è suo merito quello di non avere turbato le condizioni che dovevano portare al consolidamento definitivo della formula.

Ma consideriamo il problema non solo dal punto di vista della composizione del Governo, da quello dell'avvicendamento degli uomini al Governo (perché sono gli uomini strumento di una politica, non è mai la politica strumento degli uomini), ma dal punto di vista programmatico, per vedere se ritroviamo le linee coerenti di svolgimento di una politica di centro-sinistra.

Ho già rilevato che il fatto importante, caratterizzante del programma che il nuovo Governo ci presenta, è l'accettazione piena della politica di programmazione economica. Noi non dobbiamo dimenticare che la politica di programmazione economica era per il Governo Fanfani un contestato punto di arrivo. Si desiderava portare alla coscienza del paese il problema della programmazione come espressione di una vita democratica moderata, e, quindi, si parlava di programmazione, ma se ne parlava con contorni indefiniti. Si è dovuto presentare una nota aggiuntiva che fosse la premessa della programmazione medesima; si è dovuto creare la Commissione nazionale di programmazione economica. Ma nel programma del Governo Moro la programmazione ispira il complesso dei provvedimenti a breve o a lungo termine che vi sono compresi ed investe tutte le strutture dello Stato, da quella del Governo a quella del Parlamento.

Onorevoli colleghi comunisti, quando voi parlate di coercizione dell'attività parlamentare vi sbagliate, perché la programmazione non è un sistema di coercizione ma e un sistema di autolimitazione, è il passaggio da una concezione frazionale e sezionale dell'attività parlamentare ad una concezione organica, impegnativa, sia pure come autolimitazione. Deve necessariamente il concetto di programmazione economica investire tutti gli aspetti della vita politica nazionale e sarei meravigliato che le obiezioni a questa concezione globale venissero proprio da quelle forze di sinistra, che l'hanno così costantemente rivendicata.

La programmazione, quindi, investe di sé tutto il programma del Governo, e vorrei che questo avvenisse nella pratica e non solo come di chiarazione di principio.

Si è imputato al precedente Governo di centro-sinistra di non avere saputo dire che cosa fosse la programmazione ed entro quali linee essa dovesse operare. Ma, onorevoli colleghi, il precedente Governo non ha potuto precisare il suo pensiero sul carattere della programmazione per due ordini di considerazioni: perché alla vigilia della battaglia elettorale qualsiasi indicazione si sarebbe prestata ad una speculazione elettoralistica di destra o di sinistra e perché la maturazione di una politica di programmazione e processo necessariamente lento.

Un giornalista ha accusato il ministro del bilancio del Governo Fanfani di inconcludenza per non essere stato in grado di dare, prima delle elezioni, il rapporto della Commissione per la programmazione.

Ma la politica di programmazione richiede anni di lavoro, perché vuole anzitutto l'accertamento serio, obiettivo dei dati fondamentali della situazione economia, dopo di che si può passare alle scelte politiche. E, se qualche cosa di nuovo rilevo nel programma dei quattro partiti è proprio questa consapevole modestia e questa prudente valutazione dei problemi nei loro dati quantitativi e qualitativi.

Quando il rapporto della Commissione nazionale per la programmazione, dove sono rappresentate le varie tendenze, dove sono rappresentate le varie categorie economiche e sociali, quando questo rapporto verrà presentato, allora potrà nascere su basi conoscitive certe un'ulteriore discussione delle forze politiche e, quindi, l'assunzione di nuove responsabilità e di scelte politiche. Noi forse avremo, fra qualche mese, un primo rapporto della Commissione per la programmazione, a cui altri dovranno seguire: attraverso questi rapporti noi arriveremo alla conoscenza piena dei nostri problemi.

D'altra parte, e per ritornare a un concetto già espresso, che la politica di programmazione trascini con sé tutte le forze non nel senso di una coazione ma nel senso di una autolimitazione, lo prova il processo attraverso cui si svolge la vita democratica; lo si può vedere anche dallo stesso atteggiamento che i sindacati operai vanno assumendo verso la nuova politica.

Ho sentito molto parlare in questi ultimi mesi di politica dei redditi, quando sono andato in Inghilterra, mi è stato dimostrato il fallimento che ha ogni politica dei redditi che si voglia stabilire in sede propria e che non sia inserita in un processo di programmazione economica. I sindacati operai inglesi non hanno voluto partecipare alla commissione per la politica dei redditi e partecipano alla commissione per la programmazione economica. Questa è la soluzione esatta, considerare, cioè, la politica dei redditi nel quadro integrante della politica di programmazione economica. Quando noi separiamo i due momenti, commettiamo un errore che cristallizza e irrigidisce le posizioni.

Ho letto in questi giorni su l'Unità i temi che il sindacato metallurgico della C.G.I.L. si propone di discutere al suo prossimo congresso, in materia di programmazione economica. Si accenna a due ipotesi, che sono ambedue di evidente significato innovativo. La prima ipotesi è contenuta in questo brano: "oltre che dai risultati acquisiti le scelte rivendicative potrebbero venire influenzate previa consultazione dei lavoratori soltanto nel caso che fatti straordinari e di stampo conservatore mettessero in pericolo gli interessi generali e permanenti dei lavoratori, fermo restando che sui sacrifici di questi non potrà fondarsi alcuna programmazione eco nomica". La seconda ipotesi: "In una economia programmata, chiaramente definita per obiettivi e strumenti, le scelte rivendicative possono venire commisurate alle contropartite di maggior peso ottenibili nel tempo dalla politica di piano".

Abbiamo dunque due ipotesi, una massima e una minima, ma tutte e due — e da parte di un sindacato aderente alla C.G.I.L. — sono responsabilmente inserite in un contesto politico di programmazione economica; non sono affatto avulse da questa politica. Sia che si parli di momento eccezionale che può essere un momento congiunturale (e ho avvertito sotto la prima ipotesi la concreta considerazione del momento congiunturale presente, colleghi comunisti), sia che il sindacato si inserisca definitivamente e permanentemente nel processo di programmazione. Quindi, come vedete, questo processo autolimitativo colpisce tutti noi, tutte le categorie, le rende consapevoli della loro responsabilità verso il paese.

Se lasciamo il terreno della programmazione generale e veniamo alle riforme di struttura, notiamo che, come nel programma del Governo Fanfani vi era la nazionalizzazione dell'energia elettrica, così in questo vi sono la legge urbanistica, la legge sulla municipalizzazione delle aree che non ha minore importanza, e avrà forse un effetto maggiore, di quanto non abbia avuto la stessa nazionalizzazione dell'energia elettrica.

La riforma urbanistica nel suo congegno, che non è massimalistico, per ché prima della piena attuazione prevede un periodo di tempo che consenta al libero mercato di adattarsi alla situazione che si va creando, ha questo effetto immediato, come ho già detto altre volte: di rovesciare la curva del prezzo delle aree. In tutti questi anni tale curva è stata ascendente. All'annunzio solo di una legge urbanistica, noi rovesciamo la curva del prezzo delle aree e quindi compiamo una grande opera di perequazione del mercato che avrà una importanza fondamentale per lo sviluppo equilibrato della nostra economia.

E vi è in questo programma, come in quello del Governo Fanfani, il problema della riforma di struttura dell'agricoltura, i problemi della riforma agraria, la riforma delle società per azioni.

Ma vorrei ricordare ai colleghi della sinistra un concetto fondamentale, dal quale non si può prescindere quando si considerano le riforme di struttura.

Una delle caratteristiche fondamentali delle riforme di struttura è che i loro effetti positivi si manifestano a lungo termine, mentre gli effetti negativi si manifestano a breve termine. Quando si pongono in fase di attuazione riforme di struttura (e nessuno ne può parlare con estrema conoscenza di causa, come me), bisogna tener presenti gli effetti a lungo termine e non accumulare quelli a breve termine, per non togliere importanza e valore alle riforme, le quali hanno tanto più valore e tanto più carattere positivo quanto più i loro effetti a breve termine non vengono cumulati. Questo è un dato di azione politica fondamentale per tutti.

Quando il partito comunista nei suoi appelli programmatici non parla solo di lavoratori, ma di ceti medi, di produttori, di intraprenditori medi o piccoli, quando fa questo, ed in quanto faccia questo, come non ho ragione di dubitare, con sincerità di impegno, che cosa vuol dire con questi appelli? Vuol dire che tiene presente la condizione obiettiva del mercato nell'economia nazionale, in cui vi sono operatori privati, piccoli e medi; vuol dire che tiene presenti le condizioni di questo vasto mondo, che non è solo il mondo del lavoro, e quindi prende un atteggiamento gradualistico che è la sola maniera con cui, in un sistema di libera economia quale ancora è la nostra, si può tenere conto degli effetti che hanno le riforme. E se il partito comunista ha o esprime questo senso della gradualità dell'azione riformatrice, perché non dobbiamo esprimerlo anche noi, che accettiamo come fondamentale principio democratico la gradualità di questa azione?

Ripeto, le riforme di struttura in tanto hanno maggiore efficacia in quanto i loro effetti negativi non si cumulino a breve tempo e si sappiano collocare nel tempo i loro effetti positivi. Perciò non potete voi, lo dico con piena serenità, criticare il programma del Governo Moro rispetto a quello del Governo Fanfani accusandolo di non avere una visione delle riforme strutturali, perché esso ha lo stesso ordine di riforme che aveva il programma del Governo Fanfani e insiste sulla necessità di questa graduazione come già faceva il Governo Fanfani.

Ma a questo punto, abbandonando la programmazione e le riforme di struttura, veniamo al fatto congiunturale, che è oggetto di aspre contese, di aspre accuse, di violente polemiche da qualche anno a questa parte.

Personalmente ho avuto un triste destino perché sono venuto per molti anni in questa Camera a ricordare che il periodo delle vacche grasse in economia non è permanente e che nelle economie libere esistono, sebbene limitati, i cicli economici. Ho ricordato che se non si fosse approfittato, nei tempi del ciclo ascendente dello sviluppo economico, di quelle condizioni per compiere alcune riforme fondamentali, probabilmente saremmo arrivati tardi a rettificare il processo del nostro sviluppo. Mi si consenta di autocitarmi. In un discorso pronunciato alla Camera il 23 febbraio 1956, e più volte ripetuto, affermavo: In una economia squilibrata e dualistica come quella italiana, è l'alta congiuntura che ci dà i mezzi migliori per l'intervento e il riequilibramento. Se questa alta con giuntura non è impedita dal concentrare i suoi effetti solo nelle zone sovrasviluppate, perché le zone sovrasviluppate spontaneamente attirano i maggiori investimenti, i maggiori capitali e le concentrazioni di ricchezza, ne soffrono le zone sottosviluppate. Il potere politico deve tempestivamente correggere questa spontaneità. Ripeto per la ennesima volta che in questo campo non Si devono perdere anni preziosi. Noi ne abbiamo perduti anche troppi, per cui il periodo dell'alta congiuntura può avere rappresentato una ennesima distorsione che sarà molto difficile correggere. D'altronde — concludevo — se per disgrazia dovesse seguire un periodo di bassa congiuntura i nostri problemi diventerebbero quasi insolubili.

Un anno dopo, con riguardo all'apprezzamento che all'estero si faceva della nostra economia, io ripetevo in questa Camera: Noi ci presentiamo con un viso ben truccato, ma non facciamo sì che tolto il trucco all'estero scoprano le numerose rughe che solcano il nostro volto. Ebbene, il processo di sviluppo, il cosiddetto miracolo economico, è stato da me visto alcuni anni fa con questa continua apprensione, che noi toccassimo il culmine di questo processo di sviluppo con tutti gli elementi degenerativi che esso contiene senza che avessimo fatto nulla tempestivamente per correggerlo.

La sorte ha voluto che la modificazione del ciclo sia avvenuta durante il Governo di centro-sinistra, ed io confesso un errore di previsione; l'ho già dichiarato. Nel prevedere lo sviluppo della politica di centro-sinistra, io pensavo che ancora potessimo contare su due anni di ciclo ascendente e che il passaggio ad una nuova situazione avvenisse dopo un tempo in cui noi potessimo operare; e in questa previsione ho personalmente collocato la nazionalizzazione dell'energia elettrica e dentro il quadro di questa previsione ho assunto responsabilità in questo campo. Chi dice che il ministro del bilancio ha sbagliato le sue previsioni è nel vero. Ma, onorevole Malagodi, se abbiamo sbagliato le nostre previsioni (come ci rimprovera la stampa di opposizione), se è vero questo, è anche vero che la modificazione del ciclo, onorevole Malagodi, non è stata prodotta da noi. La modificazione del ciclo era un frutto automatico del modo come si è sviluppato il ciclo medesimo. Voi potete discutere se i nostri provvedimenti hanno o no aggravato la situazione, ma non potete darci la responsabilità primaria della modificazione del ciclo. Certo se il Governo di centro-sinistra si fosse costituito qualche anno più tardi, avrebbe ereditato la situazione quale nel suo sviluppo spontaneo sarebbe stata. Vi dirò di più: che questo sia vero e che la politica di centro-sinistra vi entri con le sue responsabilità entro limiti ben determinati, responsabilità d'al tra parte che assumiamo in pieno, è confermato dal fatto che lo stesso svolgimento del ciclo si è avuto in Francia. Ma vi è un dato più recente che, onorevole Moro, ci consola: il dato della Svizzera. Giorni fa su 24 Ore ho letto una corrispondenza dalla repubblica elvetica che riportava nientepopodimeno la circolare della Associazione delle banche e delle casse di risparmio svizzere. In questa circolare di una organizzazione privata si pongono in luce i dati che alterano la situazione economica svizzera, i fatti che producono il cosiddetto surriscaldamento del ciclo svizzero. E voi, onorevoli colleghi, non ci direte che in Svizzera vi sia stato un governo di centro-sinistra che abbia prodotto questi effetti.

Ma in questa circolare si trovano alcune affermazioni di un estremo interesse, perché pare che i banchieri in Svizzera, pur essendo banchieri, la pensino come gli uomini del centro-sinistra italiano (Commenti). In questa circolare le banche, ricordando che vi e un processo di svalutazione monetaria del franco, ricordando il processo degenerativo del ciclo — insomma tutte quelle cose che qui si imputano ai governi di centro-sinistra — affermano che tra i provvedimenti da prendere vanno posti i seguenti: le costruzioni di lusso di ogni genere, di competenza sia degli enti pubblici sia dei privati, e specialmente le piscine, le piste per il pattinaggio, i campi sportivi, le case e gli chalèts per vacanze, le ville di lusso, le seconde abitazioni, non devono formare oggetto di alcun investimento diretto o indiretto (questo l'abbiamo detto anche noi ma noi siamo dei sovvertitori, come sapete); gli acquisti di aree fabbricabili non devono costituire ragione di mutuo quando l'acquisto sia stato fatto con evidenti scopi speculativi; i crediti speculativi già ricordati sugli immobili e sui terreni fabbricabili non devono essere prorogati o rinnovati a lunga scadenza. I comuni che procedano a costruzioni o all'acquisto di aree per costruzioni del genere di quelle indicate, non devono neppure essi beneficiare di finanziamenti diretti o indiretti. Il totale dei crediti accordati per le costruzioni o con ipoteche sugli immobili non deve superare il 65 per cento del costo controllato dell'immobile; questa percentuale deve essere ridotta al 50 per cento per costruzioni a fini artigianali e al 40 per cento per costruzioni industriali. Gli istituti di credito si impegnano ad osservare una appropriata cautela per tutte le altre operazioni di credito e in particolare per i crediti per consumi e operazioni di borsa, in quanto non si tratti di operazioni di credito a breve scadenza di natura commerciale. Ultimo punto: gli istituti finanziari si impegnano anche a non utilizzare i fondi nuovi provenienti dall'estero per operazioni di credito in Svizzera, ma a conservarli liquidi in cassa (giusta punizione per quei personaggi che conosciamo...), o a piazzarli su un conto di giro presso la Banca nazionale svizzera.

Quante volte noi abbiamo chiesto questi provvedimenti? Devo dire che saluterei con grande gioia il giorno in cui la nostra associazione delle banche avesse il coraggio di emanare una circolare del genere di quella emanata dall'associazione delle banche svizzere; il giorno in cui essa di mostrasse lo stesso senso di responsabilità nei riguardi della collettività. Invece abbiamo la facilità con cui le nostre banche in questo periodo hanno aiutato ogni sorta di operazioni speculative, la facilità con cui certi presidenti di banche, sulla pelle dell'economia del paese, scrivono sui grandi giornali nazionali.

Ecco, onorevoli colleghi, come vanno precisate le responsabilità. Ma vi dirò di più. Ho affermato molte volte che una delle ragioni dello sviluppo del processo inflazionistico nel nostro paese è derivata da un fatto fondamentale, spontaneo: dall'accumulazione di investimenti in aree ristrette e dall'imponente processo di spostamento di mano d'opera che tale accumulazione ha determinato. Questo concetto ho ribadito quando ero ministro e quando non lo ero più, in qualunque occasione, e non ho mai visto, da certe parti, uno scritto, un commento che esaminasse questo aspetto del problema. Ebbene, ho qui dinanzi agli occhi una relazione di una grande banca inglese, la Lloyd Bank londinese, redatta dal commissario addetto alla programmazione per le aree del nord-est dell'Inghilterra. Ebbene, in questo scritto si dice che un elemento fondamentale del processo di inflazione della economia inglese, uno dei pericoli che possono nascere dalla situazione è il concentramento degli investimenti, il concentramento di manodopera nelle grandi aree di sviluppo economico, come l'area di Londra. Ecco, quindi, un articolo che mette in luce proprio quell'aspetto del problema, da noi trascurato anche per porre a carico del Governo di centro-sinistra tutto quanto di sfavorevole sta avvenendo nel nostro sistema economico. Ma è evidente, onorevole Malagodi, che quando concentrate investimenti in aree ristrette, avete l'aumento dei fitti, l'affollamento dei mezzi di comunicazione e la tensione salariale.

Perché in questo articolo della banca inglese ciò è stato messo in evidenza? Perché si dice che dove la manodopera si rarefà, lì vi è una tensione di salari. Signori liberisti, quando i salari, con la esistenza della disoccupazione, sono tenuti bassi, allora la legge della libera concorrenza va bene, ma quando si crea una situazione di penuria di manodopera deve intervenire il Governo perché la legge della libera concorrenza non abbia più corso (Commenti al centro).

Badini Confalonieri. Quando mai?

La Malfa. Non protestate. Dimostrate che la concentrazione degli investimenti non produce un effetto inflazionistico. Aspetterò che me lo dimostriate. Io ho fatto questo rilievo anche nell'assemblea della Confindustria e non ho avuto alcuna risposta. La risposta, lasciatemi dire, un po' demagogica è che tutto è piovuto dal Governo di centro-sinistra e non dalla reale situazione del nostro paese.

E ora evidente che prendiamo in eredità questa situazione con l'aggravamento prodotto sul mercato finanziario dalla nazionalizzazione dell'energia elettrica. Questo provvedimento in effetti ha aggravato le condizioni del mercato finanziario, ma non è un fatto primario, bensì aggiuntivo. Ed allora dividiamoci le responsabilità e ciascuno si prenda le sue. Noi ereditiamo una situazione congiunturale difficile con questi problemi insoluti che si sono accumulati.

Riccardo Lombardi. Onorevole La Malfa, se non fosse stata fatta la nazionalizzazione dell'industria elettrica, il mercato avrebbe subito la pressione per il finanziamento necessario?

La Malfa. Io sto parlando degli effetti psicologici derivati dalla campagna che è stata condotta. È chiaro che quando si ha una riforma di struttura si hanno effetti negativi immediati di cui bisogna tener conto.

La congiuntura, quindi, onorevoli colleghi, va vista perché vi è un presupposto immediato nell'azione di Governo e bisogna affrontarla nel quadro di una politica di lungo termine, bisogna affrontarla per poter fare quell'opera di correzione necessaria per avere uno sviluppo più equilibrato. Da questo punto di vista, onorevole Moro, noi avevamo proposto nel nostro programma che si affrontasse questo problema della concentrazione degli investimenti nel paese come strumento per combattere una congiuntura sfavorevole. Noi avevamo proposto la creazione di quattro aree di incentivazione: in una prima area ad alta concentrazione industriale la autorizzazione per creare nuovi impianti industriali, un'altra area di libero avviamento e due aree ad incentivazione maggiore o minore secondo la situazione economica di queste aree.

Questo problema nel programma di Governo è stato considerato, ma blandamente. Ho invece l'impressione, onorevole Presidente del Consiglio (e tutto quello che leggo in questi giorni rafforza in me questa impressione, perché anche le banche svizzere danno molta importanza alla concentrazione di manodopera), che il nuovo Governo debba affrontarlo seriamente, nel quadro di una politica di programmazione, come uno degli squilibri ed una delle fonti maggiori del processo inflazionistico, che ha luogo nel nostro paese.

Onorevole Presidente del Consiglio, dopo i problemi della politica economica e finanziaria, noi diamo molta importanza ai problemi di politica estera. Noi abbiamo una ben precisa posizione al riguardo. Se il mondo orientale comunista è diviso, onorevoli colleghi, il mondo occidentale, riconosciamolo è altrettanto diviso, non solo perché una nazione di vecchia tradizione democratica ha ritenuto di darsi un regime autoritario, ma perché il passaggio di una grande nazione democratica al regime autoritario, come sempre avviene in questi casi, ha accentuato la presenza nazionalistica di un paese ed ha rappresentato, lasciatemelo dire un elemento di disordine nella situazione internazionale. Questa pretesa che hanno i regimi presidenziali, come oggi con una parola più decente si chiamano, di assicurare la stabilità delle situazioni (quando poi non assicurano un bel niente, giacché la situazione francese è critica come prima, peggio di prima) è una pretesa che viene pagata sul terreno internazionale. Ebbene, è chiaro che, con l'autorità ed il prestigio che la Francia ha, la presenza di questa situazione autoritaria influisce su tutto il mondo occidentale. È inutile che vi dica come nella tragica fine di un grande presidente americano noi sentiamo la mano, la pressione di forze sovversive di destra e sentiamo che in Italia ed in Germania soprattutto, da parte delle forze di destra si guarda al gollismo con nostalgia.

Ora, la nostra posizione, onorevoli colleghi, è a questo riguardo limpida e chiara. Abbiamo ora, come partito democratico, come partecipi di un Governo di centro-sinistra, il dovere di difendere quella che giustamente è stata chiamata la coscienza democratica del mondo occidentale. Senza alcun riguardo o debolezza, noi dobbiamo assumere posizioni ben precise. E se abbiamo accettato la forza atomica multilaterale, come siamo disposti ad accettare qualsiasi congegno collettivo che sia sottoscritto da tutti i paesi che abbiano aspirazione democratica, questo noi facciamo perché costituisce una remora allo sviluppo del nazionalismo occidentale europeo ed una garanzia di pace e di distensione. Non chiedete troppo, perché il chiedere troppo apre la via alle singole avventure nazionalistiche.

È una linea semplice e precisa quella che noi riteniamo il Governo debba difendere. Il precedente Governo ha dato un'indicazione a questo riguardo. Onorevole Togliatti, quando io ho udito parlare della Germania come ella ne ha parlato venerdì, ho avuto l'impressione che non vi fosse da parte sua una serena valutazione del problema. C'è in corso una grande lotta in Germania, ma non è vero che la posizione dell'attuale governo sia la posizione degli Strauss o quella del vecchio cancelliere Adenauer che con la vecchiaia ha perduto molte idee (Commenti). C'è una lotta in Germania e bisogna riconoscere il valore di questa lotta e noi non dobbiamo prenderci la libertà di indebolire quello schieramento tedesco che vuol stabilire una netta linea di distinzione con il nazionalismo francese. Noi non possiamo prenderci questa libertà, onorevoli colleghi, e non possiamo spingere sulla questione dell'armamento al punto da finire con l'aprire le porte al nazionalismo europeo, che è sempre un pericolo immanente.

Onorevole Presidente del Consiglio, la politica estera costituisce per il centro-sinistra quasi un impegno superiore a quello assunto in politica interna: ed io devo constatare con molto piacere che in prima linea la resistenza serena ed equilibrata al gollismo venga oggi dalla Germania, quando siamo stati invece noi a dare un'indicazione che precedeva la stessa crisi di orientamento della politica tedesca. Bisogna dunque riprendere una posizione d avanguardia in questo campo, con chiarezza e con serenità, lontani da volontà di rottura ma senza acquiescenze.

Direi all'onorevole Saragat, se fosse presente, che la maniera con cui la diplomazia italiana e la burocrazia della Farnesina sono state colte dal discorso del 14 gennaio del generale De Gaulle è una maniera che non fa onore ad una diplomazia e ad una burocrazia diplomatica avvedute. Bisognava prevedere il punto d'arrivo del generale De Gaulle, che era nell'orbita dei fatti, e bisognava predisporre gli strumenti diplomatici tempestivi per una difesa.

Ecco perché in questo settore la nostra presenza da questi banchi si farà sentire in ogni momento.

Certamente molte cose sono in discussione in questo momento: la N.A.T.O., il M.E.C.; ma quel che veramente è paradossale, onorevoli colleghi della destra, è (se potessimo sorridere su tale argomento, questo ci farebbe sorridere) che l'elemento disintegratore dell'alleanza atlantica,

del mercato comune come unità europea, come unità realmente democratica viene proprio, nel campo occidentale, da una grande nazione amica, da una grande nazione di tradizione democratica ora minata da un regime di destra. Non viene certo da noi che abbiamo il senso della nostra responsabilità internazionale e sappiamo su quale terreno vada condotta la battaglia, con quale fermezza di propositi e con quale senso dei limiti: ciò che spiega la validità della politica di centro-sinistra anche sul grande terreno della competizione internazionale.

Si accetti dunque la forza atomica multilaterale come espressione di un interesse democratico collettivo o si accetti un altro congegno tecnico, l'importante è che sia accettato da tutti, che l'Italia non si trovi in una posizione sua singolare priva di alcun valore.

Del resto l'onorevole Togliatti ha avuto torto, non solo nel non vedere la grande battaglia in corso in Germania, ma nel non vedere che cosa e avvenuto in materia di armamento. Quando fu proposta la C.E.D., fu proposta appunto perché si temeva che, non realizzando un controllo e un ordinamento collettivo degli armamenti, la Germania si potesse aprire la sua via singolarmente, il che avrebbe aggravato la condizione generale internazionale .

Ecco i termini della nostra posizione in politica estera che non hanno nulla di equivoco e di ambivalente, sono termini precisi come in politica interna.

Il terzo argomento riguarda quello che nel programma repubblicano ha avuto un grande sviluppo, mentre minore gli è stato assegnato nel programma dei quattro partiti: la condizione dello Stato e degli enti pubblici, direi la condizione morale di tutta la nostra struttura pubblica e politica. Qui noi, onorevole Presidente del Consiglio, non facciamo scandalismo, non ne sappiamo fare. Ma ci fa torto chi crede che noi non siamo sensibili a questo aspetto del problema. Come partito risorgimentale d'una grande tradizione democratica, siamo presenti in prima linea. Noi crediamo all'autorità dello Stato, alle sue istituzioni, all'altezza morale della vita pubblica; e a ciò dedicheremo in prevalenza la nostra attività in questa legislatura. Voi, signori del Governo, da oggi in poi ci sentirete presenti su questo problema. Dobbiamo dire però che da questo punto di vista la situazione non è molto allegra. Dopo qualche mese di esperienza al Governo, ho avuto occasione di dire ad alcuni amici (e non ho alcuna remora a ripeterlo qui) che in Italia i governi regnano e non governano, che noi abbiamo molti corpi costituiti che si sono sviluppati modernamente (industrie private, industrie pubbliche, enti pubblici), corpi che hanno una presenza organizzativa enorme; e mentre questi corpi urante il miracolo economico crescevano, lo Stato diminuiva, languiva e si debilitava

La coscienza della maestà dello Stato è la coscienza che fa viva una democrazia. Vorrei ricordare che, nel periodo di partecipazione al Governo Fanfani, non ho partecipato, per circa sette-otto mesi alle sedute del

Comitato per il credito per una questione di autorità, di presenza, di decisione autorevole dello Stato. È inutile che io riferisca l'episodio che mi ha indotto a non partecipare a quelle sedute.

Pajetta. Ce lo racconti!

La Malfa. Il fatto in sé non importa. Né quella mia assenza dal Comitato per il credito può significare che io mi sottragga alle responsabilità delle decisioni prese come ministro del bilancio. Riterrei un disonore se non nutrissi piena solidarietà con i miei colleghi nella conduzione della politica economica finanziaria del Governo Fanfani. E sebbene oggi io legga che il Ministero del bilancio è un ministero di prestigio e che i ministeri che decidono sono quelli del tesoro e delle finanze (mentre il contrario si affermava fino a ieri), devo dire che il Ministero del bilancio è sì un ministero`di prestigio, ma un ministero che assume e condivide tutte le responsabilità del Governo. E dico questo perché il problema del rispetto dell'autorità dello Stato è un problema fondamentale della nostra vita pubblica, e si collega a quello dei controlli che devono funzionare, al fatto che in sede politica si risponde di tutto quello che si ha il dovere di controllare.

Non è vero che si risponda in sede di generica solidarietà politica; si risponde quando si ha poteri e responsabilità di controllo. Io non rispondo della maniera con cui il mio amico onorevole Pastore, di cui condivido in pieno le impostazioni politiche, amministra la Cassa per il mezzogiorno; e non rispondo perché non ho alcun mezzo per rispondere di quella amministrazione. Si risponde di una amministrazione in quanto si hanno i mezzi e le leggi che attuano i controlli e incombono doveri che rendono responsabili questi controlli. Il partito repubblicano ha dato su questo punto indicazioni precise e credo che la Commissione bilancio sia solidale con me nel volere che da oggi in poi funzionino tutti i controlli. La Commissione bilancio ha scoperto, in una delle sue ultime sedute, che la relazione della Corte dei conti giaceva intonsa e polverosa negli archivi della Camera: non era parte viva dell'istruttoria che le Commissioni parlamentari e il Parlamento devono compiere per ciascun atto amministrativo; non era parte viva dell'istruttoria che si deve compiere sugli enti pubblici controllati dallo Stato a termini dell'articolo 100 della Costituzione. Ebbene, io credo che la Commissione bilancio, da oggi in poi, sarà da questo punto di vista un cerbero nell'utilizzazione funzionale di tutti i rilievi della Corte dei conti, la quale dovrà diventare organo istruttorio a servizio del Parlamento per il controllo della attività amministrativa dello Stato e degli enti cui esso contribuisce.

Vorrei dire ora un'ultima parola all'onorevole Togliatti. A conclusione del suo discorso, egli ci ha lanciato una sfida, ci ha invitato a dimostrare la nostra capacità di realizzare un mondo più giusto. Ma da molto tempo noi lanciamo una sfida all'onorevole Togliatti, e questa sfida atti

va è appunto il senso del centro-sinistra. Noi non ci rattrapiamo nella nostra area, non siamo in fase difensiva, non vi temiamo, colleghi comunisti, fino al punto di farci sempre più piccoli e sempre più paurosi.

Noi sappiamo che nel mondo moderno le forze e i regimi autoritari di destra sono rottami del passato. Il mondo moderno è contraddistinto da questa grande competizione fra democrazia e comunismo. Ora quest'ultimo rappresenta il fatto storico delle aree sottosviluppate e sarebbe dar prova di faziosità non riconoscere la concretezza di azione del comunismo nei paesi arretrati: quando mi si parla di libertà per popoli i quali per secoli hanno conosciuto la tirannide, evidentemente si fa di una storia amara e sanguinosa un fatto astratto o un espediente polemico. Il comunismo è un fatto delle aree sottosviluppate e appunto in considerazione di ciò la Cina rivendica nei confronti dell'Unione Sovietica, che ha fatto ormai grandi progressi, la funzione di campione della lotta politica.

Ma il vostro problema, colleghi comunisti, è quello della vostra presenza nelle aree che non sono sottosviluppate e che si avviano a nuove strutture sociali. Ora tutte le volte che sento, come ho avvertito in questa discussione sul sistema dei partiti, l'odore del sottosviluppo, se non sociale politico e morale, dico a questi uomini di destra, così facili nelle loro esaltazioni, che essi creano l'humus per l'inserimento storico del partito comunista nella vita politica e sociale del nostro paese.

Capua. Sta di fatto che i voti comunisti, con il centro-sinistra, sono aumentati.

Amendola Giorgio. I nostri voti aumentano sempre, in ogni condizione (Commenti).

La Malfa. La vostra posizione, colleghi liberali, è contraddittoria: o è vero che i socialisti e i comunisti costituiscono un'unica entità, e allora dovete dire che il partito comunista è diminuito, non aumentato; o voi ritenete che socialisti e comunisti non rappresentino un'unica entità e allora dovete riconoscere che il pericolo comunista è diminuito, perché al Governo vi è l'onorevole Nenni, non l'onorevole Togliatti (Commenti). Non giocate, colleghi liberali, con queste cose, perché sapete benissimo che il processo in atto è molto diverso da come credete (o cercate di far credere alla povera gente) (Proteste).

Il vostro grande problema, colleghi comunisti, è dunque quello di trovare il modo di inserirvi nello sviluppo di una società articolata. Questo è il problema del partito comunista in occidente.

Io seguo i vostri scritti ed i vostri sforzi, ma voi non riuscite a risolvere questo problema. Nel discorso pronunciato dall'onorevole Togliatti al comitato centrale per l'organizzazione del partito vi è un tentativo sottilissimo di risolverlo. Si parla di molteplicità dei partiti che tendono al socialismo e si ammette questa molteplicità. Ma una società articolata in cui il concetto di classe si rompe in mille rivoli, presenta diversi problemi che non siano la tipica, tradizionale maniera di veder il socialismo. Il problema che dovete affrontare è quello di una società articolata, e voi, colleghi comunisti, non l'avete fatto e vi girate sempre intorno.

Se non porteremo avanti questa nostra società, nella sua articolazione moderna, che è frutto di tecnica, di ricerca scientifica, di scuola; se dietro alla bandiera del centro-sinistra vi sarà l'immobilismo, il non avere l'impegno morale, prima che politico, di cambiare le cose, voi potreste rimanere ancorati a quel concetto, poiché gli schemi tradizionali permangono. Ma se questo non avverrà, voi dovrete approfondire il vostro esame di coscienza.

Noi marciamo sulla linea lungo la quale si sviluppa la grande civiltà occidentale. Voi avete riconosciuto questa linea di sviluppo in occasione della morte di un giovane presidente, che ha superato le sue frontiere perché Kennedy ha rappresentato tutti noi in questa ansia morale verso il futuro. Voi, colleghi comunisti, avete riconosciuto questa nostra forza morale e questa nostra capacità di andare avanti oltre le frontiere quando avete dato (e approvo questo atteggiamento) un grande riconoscimento a quel presidente. Avete sentito che il nostro mondo non è quello del capitalismo, del neocapitalismo o del paleocapitalismo (in Italia siamo più vicini al paleo che non al neocapitalismo), avete riconosciuto questa forza morale, questo slancio che è fondamento della distensione internazionale e della pace. Avete riconosciuto in altra occasione la profonda capacità di rinnovamento del movimento cattolico nel mondo, espressa attraverso l'opera del grande Papa Giovanni XXIII. Noi non siamo così faziosi da non riconoscere le forze morali, da qualunque parte vengano, che rinnovano il corso della storia e aprono ai popoli nuove vie di progresso, di distensione e di pace.

Onorevole Moro, nel suo discorso vi e quest'ansia morale verso il futuro. Ecco perché i non numerosi repubblicani che siedono in questa Camera voteranno la fiducia al Governo (Applausi — Congratulazioni).



Seduta pomeridiana del 17 dicembre 1963



Ugo La Malfa interviene nuovamente per dichiarazione di voto. Annunciando il voto favorevole dei deputati repubblicani afferma, in polemica con Lelio Basso, il quale aveva preannunciato l'astensione di un gruppo socialista dissidente che di lì a poco avrebbe costituito il PSIUP, che l'obiettivo del governo di centro-sinistra non è la "cattura del partito socialista a fini di conservazione, ma è la ricerca di una vasta alleanza di forze capaci di rinnovare le strutture dello Stato.



La Malfa. Sono mortificato, onorevoli colleghi, di dover prendere ancora la parola, quasi a titolo personale. Devo confessarvi che il discorso dell'amico e collega Basso e la dichiarazione dell'onorevole Ferri, mettendo in evidenza in questa Camera il profondo travaglio di un grande e nobile partito storico della democrazia italiana, hanno creato in me un caso di coscienza (Commenti).

Una voce al centro. Anch'ella si astiene, onorevole La Malfa?

La Malfa. Voterò a favore, onorevoli colleghi; ma sento il dovere di esporre un caso di coscienza per così dire mio personale e di dare corpo forse, ad una tensione morale di tutta l'Assemblea che le esuberanze del collega Pajetta, qualche volta simpatiche e altre volte meno, hanno rotto. Onorevoli colleghi socialisti, collega Basso soprattutto, bisogna che ella ricordi che il primo arresto lo abbiamo subito insieme, nel 1928 (Commenti). Militavamo nei gruppi giovanili del Quarto Stato di Milano e di Pietre di Genova; abbiamo vissuto insieme tutto il periodo clandestino, avendo in comune un'ansia profonda di rinnovamento del vecchio Stato e delle antiquate strutture della società italiana. E poiché noi repubblicani, gruppo di esigua minoranza, siamo stati in questi anni responsabili dell inizio della battaglia per il centro-sinistra, mi sentirei colpevole se questa battaglia avesse avuto come obiettivo, in qualsiasi momento, la cattura del partito socialista in un sistema. Se avessi nutrito un simile proposito, avrei sentito veramente di mancare a quella che è stata, lasciatemelo dire, la parte più nobile e più alta della nostra vita, che è stata la resistenza clandestina contro il fascismo, la battaglia della Resistenza.

Collega Basso, pur non avendo mai militato nelle forze socialiste, ma nelle forze azioniste e repubblicane, noi abbiamo sentito profondamente (i colleghi che militano oggi in altre formazioni politiche lo sanno) il problema del rinnovamento del nostro Stato. E chi sa quale impegno abbiamo portato nella battaglia repubblicana che abbiamo condotto tagliando tuttl i ponti dietro di noi, sa anche che da quel momento abbiamo voluto iniziare il rinnovamento delle strutture. Il che vuol dire, amico Basso, che noi ci siamo sempre posti il problema di non portare le forze democratiche — ieri gli azionisti e i repubblicani, oggi azionisti, repubblicani e cattolici — nell'ambito di un vecchio sistema, di un vecchio Stato, di una vecchia struttura economica e sociale.

Fu quello il significato della battaglia repubblicana che conducemmo sempre senza alcun tatticismo: anche quando i tatticismi tendevano ad essersi imposti dal gioco delle forze democratiche. Questa battaglia noi l'abbiamo continuata. L'onorevole Gaetano Martino ricordava l'autarchia e il protezionismo. Ma noi, prima del mercato comune europeo, abbiamo aperto il mercato per combattere il monopolio, l'autarchia e il protezionismo allignati proprio sotto l'egida del partito liberale prefascista. Perché noi conosciamo la storia del nostro paese, né ce la lasciamo contrabbandare.

Cottone. La conosce molto male, invece: oppure non l'ha capita.

La Malfa. Conosciamo le tariffe protezionistiche di Giolitti. E non appellatevi a Luigi Einaudi, che restò un liberale isolato nella battaglia protezionistica del partito liberale (Applausi).

Abbiamo condotto la battaglia del Mezzogiorno, come quella della programmazione, interpretandole come strumenti di rinnovamento delle strutture dello Stato. Per molti anni noi abbiamo polemizzato con i democristiani - non con voi, colleghi socialisti - proprio perché volevamo porre alla democrazia cristiana il problema della creazione di uno Stato più moderno e più aperto.

Collega Basso, non si può fare appello a Giovanni XXIII (ed è strano che nello spazio di due giorni si faccia un simile appello da parte di due laici, quali siamo l'onorevole Basso ed io) senza sentire che la presenza di quel grande Papa ha influito sulla capacità e sulla volontà di rinnovamento del movimento cattolico nel mondo. Del resto fra i miei più cari amici annovero i giovani della «sinistra di base» che sono entrati in Parlamento in questa legislatura: e ho considerato questa corrente come la più alta manifestazione democratica del movimento cattolico in posizione avanzata.

Ciò mi ha portato anche a vedere nell'onorevole Moro, non già un uomo che mirasse a catturare il partito socialista, ma un uomo che nel suo profondo travaglio, onorevole Martino, cercava di interpretare il corso della nuova storia del popolo italiano. Ci possiamo sbagliare, onorevole Basso; ma ci sentiremmo disonorati se in questa battaglia, che è durata dieci anni, avessimo obbedito allo scopo machiavellico di catturare un partito per inserirlo entro lo schema di una vecchia struttura statuale e sociale.

Ho citato questo passato, perché il passato degli uomini e delle forze politiche in cui militano ha qualche valore per giudicare della sincerità dei loro sentimenti. Voi potete essere diffidenti, ma il travaglio dei vostri colleghi che partecipano a questo processo di sviluppo democratico deve essere compreso nel senso che esso ha; perché noi tutti abbiamo avvertito che per dare nuovo impulso alla nostra vita economica e sociale e per rinnovare le strutture era necessario questo concorso, era, necessario questo apporto.

Avrei finito, onorevole Pajetta; ma voglio dire ancora che io non faccio questione se voi guadagnate voti in Romagna o in Sicilia. Io ho posto un altro problema: quello delle aree sottosviluppate in cui voi avete realizzato il vostro regime politico; un problema, quindi, diverso da quello del guadagnare voti. Ho posto, cioè, il problema di come voi vi atteggereste in una società democratica articolata.

Io so benissimo che voi comunisti avete questo travaglio interno, anche se ostentate un'estrema sicurezza. Ma, come esiste un profondo travaglio nelle forze democratiche, che voi avete modo di controllare apertamente (perché tutto è stato chiaro in questa lunga battaglia per il centro-sinistra e voi potete controllare questo travaglio aperto, questo faticoso accostamento ad una visione più democratica della nostra società), noi vorremmo poter controllare il vostro travaglio, senza spavalderia; vorremmo poter vedere, nel fondo del vostro animo, se veramente i valori di libertà hanno nella vostra coscienza il peso e il posto che hanno nella nostra (Vivi applausi a sinistra — Molte congratulazioni).

nuvolarossa
17-03-05, 14:48
TRECCANI: UGO LA MALFA ENTRA TRA GLI ITALIANI ILLUSTRI

Roma, 17 mar. - (Adnkronos) - Lo storico leader repubblicano Ugo La Malfa (1903-1979), tra i fondatori del Partito d'Azione, fa il suo ingresso tra gli italiani illustri segnalati dalla Treccani. ''Il vertiginoso aumento della spesa pubblica, lo stravolgimento della dinamica salariale, la diffusione di una cultura contraria all'impresa, il continuo aumento della presa dei partiti sullo Stato, il populismo dilagante costituirono i temi costanti dei suoi interventi, i piu' importanti dei quali sono documenti fondamentali della vita politica e della storia italiana''. Con queste parole si apre la biografia di La Malfa redatta dallo storico Roberto Pertici e inserita nel nuovo volume volume, il 63/esimo della serie, del Dizionario Biografico degli Italiani edito dall'Istituto Treccani (Labroca-Laterza). (Sin-Xio/Rs/Adnkronos)

nuvolarossa
17-05-05, 11:07
CENTENARIO DELLA NASCITA DI UGO LA MALFA
FONDAZIONE UGO LA MALFA
RAI EDUCATIONAL

UGO LA MALFA

“UN PROTAGONISTA FUORI DAL CORO”

Ugo La Malfa attraverso le immagini, i documenti, le testimonianze

nella trasmissione “LA STORIA SIAMO NOI”
a cura di Giovanni Minoli

VENERDI’ 20 MAGGIO, ORE 24
SABATO 21 MAGGIO, ORE 8
RAITRE

Nell'ambito della galleria dei grandi personaggi del mondo politico italiano, Giovanni Minoli ricostruisce la storia di un protagonista dell'Italia repubblicana, la vicenda di una voce fuori dal coro: un pessimista, un uomo scomodo, una coscienza critica per un Paese inquieto. Quella di La Malfa è la storia di un uomo poco seguito in vita, che con la sua morte ha lasciato un grande vuoto nella vita politica ed economica italiana.

nuvolarossa
20-08-05, 12:19
Un torneo ciclistico per ricordare Ugo La Malfa

Ravenna - Lo sport ricorda un protagonista della vita politica nazionale legato da grande affetto a Ravenna e alla Romagna. Si svolgerà infatti domani a partire dalle 14,30 il ventisettesimo trofeo ciclistico Ugo La Malfa che conta già più di un centinaio di iscritti provenienti da varie regioni italiane.La “classica” ravennate è promossa sotto l’egida del Coni, della Fci, del Pedale Azzurro - Rinascita e dal Pri, con le varie sezioni presenti sul percorso che toccherà oltre San Michele, Villanova di Ravenna e Godo. Si tratta di una gara ciclistica in linea riservata alla categoria Juniores; tra i promotori i vicesindaco di Ravenna, Giannantonio Mingozzi che premierà i partecipanti e ricorderà la figura dell’esponente repubblicano.“Ugo La Malfa - sottolinea Mingozzi - fu uno dei protagonisti della vita politica di Ravenna e della Romagna guidando il partito repubblicano in momenti difficili da cui nacque però l’insieme di sezioni e di passione politica che caratterizza ancora oggi il Pri. È un onore quindi - prosegue il vicesindaco - ricordare tutti gli anni con una delle più tradizionali corse ciclistiche e la sua figura e l’eredità che ci ha lasciato”.Il percorso prevede dieci giri per un totale di 117 chilometri di un circuito che vede la partenza e l’arrivo a San Michele davanti alla sezione del Pri. La manifestazione gode del patrocinio di Comune e Provincia, e vedrà la presenza anche dei massimi esponenti della Federazione ciclistica regionale.

nuvolarossa
25-05-06, 21:26
I nostri valori
Un tavolo permanente fra tutti i repubblicani ovunque essi si trovino

di Giancarlo Tartaglia

La conseguenza più negativa delle ultime elezioni politiche non è tanto la vittoria ai punti di una similmaggioranza sgangherata, che pure già inizia a produrre i primi consistenti danni con le dichiarazioni a ruota libera di quel centinaio di ministri e sottosegretari che formano il governo Prodi, quanto la constatazione che sulla base dei numeri, ancorché contestati, nessuno schieramento può dire di aver vinto veramente le elezioni. La divisione dell'elettorato al cinquanta per cento tra centro-sinistra e centro-destra, infatti, oltre a rendere fisiologicamente instabile qualsiasi governo di parte finisce per produrre sul sistema politico un effetto ancora più devastante che è quello di congelarlo per un tempo indefinito e indefinibile.

Siamo sempre stati critici nei confronti di questa cosiddetta Seconda Repubblica che, introducendo con un colpo di mano giudiziario-mediatico il sistema bipolare, ha di fatto spaccato il Paese e distrutto quelle forze che della Prima Repubblica ne erano state l'asse portante e che ne avevano garantito la stabilità politica e creato le condizioni per lo sviluppo economico. Così come abbiamo sempre sostenuto che occorresse fuoriuscire al più presto dalle maglie strette di un meccanismo estraneo alla storia, alla cultura e alla stessa struttura sociale del nostro Paese e ridare spazio e voce a quella molteplicità di culture politiche, che, pur aggiornate rispetto ai problemi che oggi si pongono ad una società immersa in un mondo ineluttabilmente globalizzato, ne rappresentano il substrato sedimentato e il collante vero, rispetto a sigle e formule artificiali, usa e getta, costruite a tavolino negli studi dei pubblicitari e destinate a riempire, come prodotti commerciali, lo spazio effimero di una breve stagione.

http://www.pri.it/immagini/ugo.jpg

Il sistema bipolare italiano, lungi dal creare quella semplificazione che i suoi fautori hanno sempre propagandato, ha ingenerato soltanto una grande confusione, rendendo estremamente difficile comprendere quali siano i reali obiettivi degli schieramenti contendenti, sommatorie di istanze eterogenee. In questa confusione l'elettore è stato costretto a scegliere più sulla base del grado di simpatia o di antipatia che ispiravano i leaders antagonisti che non sulla base dei contenuti programmatici, che altro non erano che indigesti frullati di contraddizioni.

Ai tanti elogiatori del sistema bipolare di stampo americano (che poi, guarda caso, sono anche coloro che vedono negli Stati Uniti la fonte di tutti mali del mondo), abbiamo ricordato che un sistema bipolare funziona ad una sola condizione: che entrambi i soggetti convergano verso il centro, come accade appunto negli Stati Uniti. In questo caso si garantisce la stabilità. Il bipolarismo italiano, al contrario, è un bipolarismo strabico nel quale i due soggetti, anziché tendere al centro, divergono verso le rispettive estreme e il risultato, certo non esaltante, è sotto gli occhi di tutti dopo un decennio di sperimentazione.

Proprio per questo speravamo che con le elezioni, la sconfitta di uno schieramento ne avrebbe messo in crisi i presupposti, trascinando inevitabilmente nel processo di scomposizione anche lo schieramento opposto, avviando un nuovo processo di ricomposizione degli schieramenti e delle forze politiche sulla base di quelle omogeneità storico-culturali che si sono volute negare e archiviare troppo frettolosamente. Non si comprende perché, per esempio, in tutto il resto d'Europa parole come liberalismo e socialismo continuino ad avere un significato ed un senso ben preciso, mentre in Italia pare non abbiano più diritto di cittadinanza se non come generico patrimonio comune, per cui tutti, da destra a sinistra, si definiscono insieme liberali e socialisti.

Ecco perché il risultato elettorale di sostanziale parità francamente non ci aiuta, anzi rischia ancora una volta di congelare gli schieramenti con tutte le loro interne contraddizioni.

Da questa constatazione dobbiamo però partire, se vogliamo dare un senso alla nostra presenza politica come Partito repubblicano, anche approfittando del fatto che, collocati oggi all'opposizione, siamo meno vincolati e più liberi nella nostra azione. Il Partito Repubblicano forse più di altri ha sofferto e soffre per la dolorosa diaspora che lo ha diviso e lacerato in tutti questi anni. Molti repubblicani hanno voluto, con passione e credendoci, schierarsi, a prescindere, nel centro-sinistra nella convinzione che non potesse essere che quella la collocazione del partito; molti altri repubblicani, nell'illusione, dimostratasi fallace, che tutto si rinnovasse, hanno cercato e trovato, a destra o a sinistra, collocazione in formazioni politiche nominalisticamente nuove, scoprendo tardivamente di trovarsi in vecchie case che con una superficiale rinfrescatura di calce si presentavano sul mercato come nuove. Molti repubblicani sono rimasti nel Pri, legati, oltre che ai suoi valori anche ai suoi simboli, alcuni soffrendo, altri tentando di far sentire come fosse possibile la voce del partito e delle sue idee.

Credo, però, che in tutti i repubblicani, dovunque essi siano, prevalga comunque il senso dell'appartenenza ad una cultura politica, sempre minoritaria, ma vissuta e sentita sempre per i suoi valori di libertà come lievito indispensabile alla crescita democratica della società italiana.

Questo valore ci accomuna e questo valore non va disperso. Ritengo perciò che sia ormai maturo il tempo per riflettere su iniziative che possano riprendere quel filo spezzato della nostra storia. Credo anche che debba essere proprio il Pri a fare il primo passo e a prendere l'iniziativa.

Non si tratta di fare un appello a tutti i repubblicani a tornare nella casa comune. Sarebbe sterile e improduttivo per tutti. Penso, piuttosto, alla creazione di un tavolo permanente di confronto tra tutti i repubblicani, dovunque essi siano e militino, per discutere, come è loro costume, sui temi veri e reali del Paese, sulla politica estera, sulla politica economica, sulla politica istituzionale. Un tavolo che non abbia lo scopo di portare nel centro-destra chi ha fatto la scelta del centro-sinistra o viceversa, ma che sia un'occasione di ripresa di un confronto, di un reciproco arricchimento, un'occasione per dimostrare al Paese come si possa discutere nell'interesse generale, in quell'ottica lamalfiana, spero da tutti condivisa, per cui in alcuni momenti storici sia più opportuno parlare dei contenuti piuttosto che degli schieramenti. Oggi è uno di quei momenti.

Roma, 25 maggio 2006

tratto dal sito del Partito Repubblicano
http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
26-03-07, 09:38
Ugo La Malfa, 26 marzo 1979

26 marzo 1979. Moriva Ugo La Malfa. Per noi, allora fra i più giovani, fu un maestro di politica. Ci piaceva anche per quella sua avversione alle celebrazioni rituali. Diceva di aver trovato un partito repubblicano che ancora accendeva lumini sotto all’immagine di Mazzini, non gli faremo il torto di accenderne sotto la sua.
Fu un grande uomo politico, quindi, come s’usava e s’usa nella grande politica, fu un intellettuale, un analista, idealista e pragmatico al tempo stesso, animato da una travolgente passione democratica. Ma prima di tutto fu un combattente politico, totalmente immerso nel suo tempo, dal quale guardava verso il futuro. Per questa ragione trovo sia del tutto arbitrario, nei suoi confronti come con altri, esercitarsi nel giuoco: dove si troverebbe adesso? cosa direbbe adesso? Non siamo autorizzati a praticarlo, e nessuno può seriamente dire se oggi si schierebbe da una parte o dall’altra. Ogni tanto sento che lo citano come padre dell’uno o l’altro schieramento, e penso, sempre arbitrariamente, che li diserederebbe.

http://www.fsfi.it/emissioni/2003/LaMalfa.jpg

Ma prima degli attuali schieramenti, alla loro origine, c’è il biennio giustizialista del 1992-1994, quando la coalizione di partiti di cui anche lui aveva fatto parte, senza avere mai perso le elezioni, avendo sempre preso più voti di quanti oggi non ne prendano sia gli uni che gli altri, fu cancellata dalla schede elettorali. Ecco, per quel che riguarda quel passaggio mi sento di dire che Ugo La Malfa non si sarebbe comportato come nessuno dei tremuli protagonisti di allora.
Posso dirlo perché proprio lui ce ne diede l’esempio. Quando scoppiò lo scandalo dei soldi che i petrolieri avevano dato ai partiti politici, nel mentre correvano voci su quanto avesse preso questo o quello, nel mentre si facevano i nomi dei segretari amministrativi dei partiti e quando nessuno aveva fatto il suo nome, egli pretendeva di andare in procura della Repubblica a dire: quei soldi li ho presi io, vi dico quanti sono e lasciate perdere quelli che si sono trovati in mezzo, perché ne rispondo solo io. Neanche lo ricevettero, perché allora così si pensava fosse giusto. Erano lontani gli anni del “non poteva non sapere” ed il diritto, se proprio non era dritto, non s’era del tutto storto.
Attenzione, però, quella, per La Malfa, non voleva essere un’ammissione di colpa. Lui non confessava, rivendicava. Aveva l’orgoglio dell’autonomia politica, aveva il ribrezzo dell’ipocrisia che voleva la politica distante dal denaro, annettendosi le responsabilità si annetteva il merito di avere fatto politica. Da uomo libero. Non gli serviva coraggio, era sufficiente il sapersi non corruttibile ed il riconoscere che la lotta politica era fatta anche di denari da spendersi.
Non trovò emuli, nel biennio giustizialista, nessuno fu alla sua altezza, nessuno si mosse preventivamente e qualche significativa sincerità giunse solo quando era troppo tardi. In questo, almeno, trova giustificazione il fatto che quel mondo politico fu travolto e distrutto.
Dei grandi del passato si dice spesso che “il suo pensiero è attuale”. L’insegnamento di Ugo La Malfa è parte della nostra vita, quindi per noi contemporaneo, certo, però, fa una certa impressione osservare l’Italia piegata sotto una pressione fiscale enorme, con una spesa pubblica quasi tutta corrente ed un deficit che ha, da tempo, superato il pil. E’ l’avverarsi di quello che La Malfa vide per tempo, che poteva essere evitato e che, invece, complici la politica, il sindacalismo ed il capitalismo familiare e relazionale, è divenuta la triste sorte italiana. Non avrebbe provato alcuna soddisfazione nell’avere avuto ragione, come mai gioì dei fatti che confermavano le sue pessimistiche previsioni. Ma, ora come allora, ne avrebbe tratto la forza della rabbia, la conferma che occorreva fare di più per liberare il Paese dalle culture nemiche del mercato e dagli egoismi nemici della solidarietà. Avrebbe tradotto i tristi presagi in argomenti di lotta politica, perché era uno sfegatato ottimista e non pensò mai che la battaglia fosse persa.
Che ne è di quella cultura politica? L’Italia d’oggi è certamente laica, al punto da spingere la chiesa ad interventi sempre più energici per cercare di riattrarre le coscienze. In politica estera è scomparsa la sudditanza, anche economica, di gran parte della sinistra agli interessi di una potenza militare e politica nemica della libertà e della nostra sicurezza, ed il terzomondismo mediterraneo ha fatto il suo tempo anche in casa cattolica. L’Italia è attaccata alle alpi, come la voleva. In politica economica è stata seppellita l’avversità comunista e religiosa alla proprietà privata ed al capitalismo, al punto, fin troppo esagerato, che molti degli antichi demolitori si son trasformati in adoratori della finanza, che per difetto di cultura scambiano con il mercato. L’Italia d’oggi non è quella che avrebbe voluto, non è quella che vogliamo, ma è certo che lo designa vincitore contro le forze maggioritarie che dominarono la scena.
Se la sinistra desse vita ad un partito democratico che rifugga dalle ideologie, aderisca ai valori politici e democratici dell’occidente, lasci libero il mercato ed usi la spesa pubblica per correggerne le ingiustizie, allora la sinistra scoprirebbe d’essere lamalfiana. Se la destra desse vita ad un partito delle libertà che sappia distinguere le parole della fede dalla passione per le istituzioni, che sappia difendere l’integrità territoriale e politica d’Italia, che coltivi un’etica pubblica che non sia parente del moralismo, scoprirebbe anch’essa d’essere lamalfiana. Ma né l’una né l’altra cosa stanno succedendo. Ancora una volta c’è l’Italia peggiore che conserva se stessa e quella degli interessi diffusi che non trova rappresentanza politica. La scuola lamalfiana conta poco e nulla, da una parte e dall’altra.
Molto dipende dall’inadeguatezza dei continuatori. Dal loro essersi divisi sulle forme lasciandosi sfuggire la sostanza. Dall’avere capovolto l’insegnamento su contenuti e schieramenti. Molto, naturalmente, dipende dal fatto che manca la sua parola. Certo. Ma credo ci sia una ragione ancor più profonda: nell’Italia di oggi la nostra cultura e la nostra scuola politica ancora s’attardano a cercare la rappresentanza e la testimonianza, laddove nulla ci difetta per aspirare alla guida dei processi politici e degli interessi nazionali. Ugo La Malfa ci ha lasciato gli strumenti per coltivare questa ambizione. Nulla ci difetta, se non la nostra pochezza.

Davide Giacalone
www.davidegiacalone.it

trattto da http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/11671
... 882 iscritti alla data odierna ...

nuvolarossa
26-03-07, 13:29
La Malfa 28 anni dopo, una lezione dimenticata

di enrico cisnetto

Domani, 26 marzo, saranno passati 28 anni dalla scomparsa di Ugo La Malfa, uno dei (pochi) grandi statisti che l'Italia repubblicana abbia avuto. Temo che tutto questo tempo sia passato invano, anzi, rispetto agli sforzi che La Malfa fece nel corso di tutta la sua vita per far crescere l'economia e modernizzare il Paese. Penso, per esempio, agli strumenti della politica dei redditi e della programmazione - poi resi desueti dalla fallimentare contrapposizione tra statalisti fuori del tempo e liberisti ideologizzati - con cui l'uomo che per primo aprì l'Italia al libero scambio cercò disperatamente di evitare quel declino iniziato una decina d'anni dopo la sua morte e nel quale siamo ancora immersi. Per quelle sue preoccupazioni fu chiamato Cassandra, ma vide lontano e giusto, purtroppo.
Oggi, immagino, si rivolterà nella tomba a vedere il Paese che amava immensamente vittima della pochezza di una politica che in poche settimane passa con incredibile schizofrenia dall'allarme default alla discussione su "dove metto il tesoretto", dividendosi tra presunti fautori dello sviluppo (diamo il surplus fiscale alle imprese, senza distinzioni) e vigilantes della redistribuzione (tutto a lavoratori, pensionati e famiglie). Due squadre contrapposte che tagliano trasversalmente partiti e coalizioni, ma senza che in esse alcuno adotti quel metodo di approccio pragmatico alla politica economica tipico di Ugo La Malfa. Il quale, se fosse praticato, costringerebbe a tener conto di almeno tre cose. Primo: nel 2006 la spesa totale ha raggiunto la quota record di 50,5% sul pil, e il rapporto deficit-pil è al 2,4% solo perchè al netto delle una-tantum (che valgono un paio di punti).
Dunque non è vero che si possano usare i 10 miliardi di extra gettito al di fuori delle compatibilità di bilancio. Anche perchè sono del tutto aleatori i 5 miliardi che il Tesoro conta di incassare dal Tfr inoptato e perchè sono un'incognita gli sbilanci di Sanità, Ferrovie, Anas e cantieri infrastrutturali vari. Senza contare il costo di eventuali interventi sullo "scalone" della Maroni. Secondo: chi predica la distribuzione a pioggia verso le imprese, dovrebbe avere l'onestà intellettuale di dire che l'aumento del pil dell'1,9% l'anno scorso è stato prodotto senza il tanto evocato taglio del cuneo, che è ancora sulla carta. A dimostrazione che non è riducendo un po' pressione fiscale a tutti che si ritorna alla crescita - la quale è merito di una minoranza di imprese che si sono già ristrutturate in chiave di competizione globale - ma con scelte strategiche di politica industriale. Terzo: chi vuole incentivare i consumi, al di là del fatto che il nostro problema è di qualità dell'offerta e non di quantità di domanda, ci dovrebbe spiegare come mai i tagli all'Irpef e l'aumento delle pensioni minime di Berlusconi non abbiano spostato di una virgola la domanda aggregata. Senza contare che il voltafaccia di Prodi sull'Ici e le preoccupazioni di Padoa Schioppa sull'assalto dei politici al "tesoretto" descrivono un governo che già si muove in termini pre-elettorali.
Per questo, Ugo La Malfa (che domani pomeriggio sarà ricordato a Roma all'Unioncamere) se oggi fosse il ministro dell'Economia impedirebbe questo ridicolo balletto intorno ad un risanamento della finanza pubblica e a una ripresa economica che ancora sono di là da venire.

( www.enricocisnetto.it )

tratto da http://www.lasicilia.it/

nuvolarossa
27-03-07, 20:05
In ricordo di Ugo La Malfa
Il leader repubblicano che volle il suo Paese moderno e occidentale

Nel 28° anniversario della scomparsa, Ugo La Malfa è stato ricordato presso la Sala del Cenacolo, Camera dei deputati, lunedì scorso. Questo è il testo dell'intervento del segretario del Partito repubblicano italiano.

di Francesco Nucara

Oggi ricorre l'anniversario della morte di Ugo La Malfa. Per uno strano destino oggi vi sono altre due ricorrenze che legano Ugo La Malfa a questa data.

Il 26 marzo 1965 si svolgeva a Roma il Congresso del Partito Repubblicano Italiano.

Da quel Congresso, qualche giorno dopo, precisamente l'11 aprile, nacque la segreteria del PRI che lo consacrò indiscusso leader del partito. E sempre il 26 marzo del 1976, a Stoccarda, si diede vita alla Federazione dei Partiti Liberali della Comunità Europea. Posero la loro firma, all'epoca, nove partiti: fu il preludio all'attuale ELDR * Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori. I partiti aderenti oggi sono 55.

E ieri invece si celebrava la ricorrenza, a Berlino, della Firma dei Trattati di Roma, che segnò l'inizio della costruzione dell'Europa.

Quell'Europa che per Ugo La Malfa fu una bussola costante e imprescindibile per la realizzazione di principi di libertà e democrazia di cui l'Italia aveva sofferto l'assenza per un lungo ventennio.

A leggere gli scritti di La Malfa o i suoi discorsi parlamentari si capisce quanto egli tenesse alla realizzazione dell'Europa. Ed giusto parlare di una "sua" concezione dell'Europa. Il democratico La Malfa, il combattente antifascista, il leader del Partito d'Azione, l'intransingente uomo politico sulla realizzazione della Repubblica, non poteva però concepire un'Europa dal profilo gollista. All'Europa confederale di De Gaulle, Ugo La Malfa oppose sempre un'Europa soprannazionale.

E, proprio tra i repubblicani, La Malfa ha suscitato sentimenti di grande affetto e stima, passioni intense ma anche critiche dure, soprattutto dai leader storici.

Si iniziò con Giovanni Conti, che non considerava La Malfa sufficientemente mazziniano; per poi passare a Randolfo Pacciardi che contestò nettamente l'operazione di centro-sinistra. Ma anche tra i repubblicani che arrivarono dopo non sempre furono rose e fiori (Bonea, Bucalossi, e tanti altri), ma, mentre i leader storici portarono a scissioni dolorose nel PRI, per quanto riguarda gli altri, quasi nessuno se ne è accorto.

Non era un uomo facile, Ugo La Malfa.

Egli era il concentrato del sentimento siciliano, della "ragione milanese" e della cultura europea ed occidentale. Queste caratteristiche e la loro adattabilità ai fatti contingenti, contribuirono a renderlo leader assoluto nel PRI e padre della Patria nel Paese.

Altro strano scherzo del destino: il suo ultimo discorso alla Camera dei Deputati è stato tenuto il 13 dicembre 1978 e riguardava l'adesione al Sistema Monetario Europeo.

E nel suo ultimo discorso ai repubblicani (4 febbraio 1979, presso il Teatro Nuovo di Milano) egli sosteneva: "Scopo supremo del PRI è oggi, come nel passato, fare dell'Italia una delle democrazie economiche e sociali più avanzate d'Europa, arrestando il processo di degradazione economica, sociale, civile, che l'ha investita, quasi come una prolungata bufera, negli ultimi dieci anni".

Potremmo, senza tema di smentite, dire che tutta la sua vita è stata dedicata alla crescita civile ed economica dell'Italia e alla realizzazione dell'Europa. L'obiettivo Europa serviva anche per "incatenare" l'Italia alle Alpi, per non farla sprofondare nel Mediterraneo. Un'Italia più europea, un'Italia saldamente legata alla cultura occidentale.

In un incontro con Arturo Colombo, che lo doveva intervistare per "Nuova Antologia", Ugo La Malfa ebbe a dire: "So bene che il processo costruttivo dell'Europa si trova momentaneamente a un punto critico: o si riesce davvero a fare un passo avanti, o si torna indietro, forse irreparabilmente, perché non si può credere, né illudersi, di rimanere oltre in una posizione di stallo, così ibrida, così ambigua".

C'era in corso la battaglia politica per il sistema monetario europeo e il leader repubblicano esprimeva tutta la sua amarezza e il suo scetticismo. Ma, ancora un volta, avrebbe realizzato, da solo o quasi, un'idea in cui aveva fortemente creduto.

Mi preme ricordare le parole pronunciate nel discorso al Congresso del 1965: "Non vogliamo sacrificare la ragione cattolica alla ragione laica, ma mai sacrificheremo la ragione laica alla ragione di Stato cattolica".

Insomma, più attuale di così!

Roma, 27 marzo 2007

tratto da http://www.pri.it

nuvolarossa
27-10-07, 11:22
sito web ... veramente ampio ed esteso ... con la biografia completa di Ugo La Malfa ... ed una selezione fotografica ... clicca qui ... (http://www.fondazionelamalfa.org/centenario/)
http://www.fondazionelamalfa.org/centenario/

FRANCO (POL)
13-11-07, 01:01
CULTURA: A MESTRE 'IL RIFORMISMO E LA CRISI POLITICA'

Mestre (Ve), 12 nov. (Adnkronos/Adnkronos Cultura) - Alla figura di Giorgio Amendola, giovedi' 15 novembre alle 18.00, sara' dedicato il primo dei quattro incontri dedicati ad altrettante figure del panorama politico della Prima Repubblica come Giuseppe Dossetti, Ugo La Malfa e Altiero Spinelli. In programma al Centro Culturale Candiani di Mestre a cura della Fondazione Gianni Pellicani, al primo appuntamento dal titolo ''Il riformismo e la crisi della politica'' parteciperanno Emanuele Macaluso, Mario Pirani e Massimo Cacciari.

Obiettivo della Fondazione Pellicani e' quello di indagare, grazie all'esempio di figure particolarmente significative, il sistema politico democratico come ''un universo aperto, assistito - scrivono i curatori della rassegna - da procedure e garanzie in grado di assicurare un ricambio dei gruppi dirigenti politici attraverso una competizione pubblica e trasparente, che renda funzionali alla vita democratica le ineliminabili e'lites che la lotta politica seleziona''.

Gli incontri proseguiranno giovedi' 6 dicembre con ''Alle radici del cattolicesimo politico. Giuseppe Rossetti''; giovedi' 24 gennaio con ''Il coraggio dell'altra Italia. Ugo La Malfa''; giovedi' 21 febbraio con ''La politica e il sogno europeo. Altiero Spinelli''.

http://www.adnkronos.com/IGN/Cultura/?id=1.0.1544581840

nuvolarossa
13-11-07, 11:06
L'accostare Giorgio Amendola a Ugo La Malfa ed a Spinelli e' intrigante ... e quindi la cosa mi ha incuriosito ... ma sono rimasto basito nel vedere i nomi dei personaggi che si alterneranno a parlare e che con la laicita' di La Malfa e Amendola e con l'europeismo di Spinelli centrano come i cavoli a merenda ...
Non trovi alquanto strano che ... a parlare di Ugo La Malfa ... non ci sia nessuno della Fondazione Ugo La Malfa o perlomeno qualche dirigente Repubblicano che ne ha condiviso anni di vita politica ?
E' questa, senza ombra di dubbio, una delle tante operazioni di marketing fatte, ormai da anni, per ridare verginita' al catto-comunismo errante ... per far convergere e confluire le famose rette parallele andreottiane in quel calderone ex-marxista che sta ribollendo per essere ammannito al Popolo bue ...
Ormai il tentativo di concentrare nel Pantheon del Partito Democratico personaggi illustri di ogni provenienza ... e' un gioco sputtanato da tempo ... manca solo che si impossessino anche della salma di Lenin ... ecco perche' un noto comunista verace ha provveduto a rivendicarla ...

FRANCO (POL)
15-11-07, 03:26
Ma prova a pensare a coloro che volenti o nolenti devono fare i conti con la figura di Ugo La Malfa. Una decina di anni addietro lessi un articolo sull'unità che diceva pressapoco:" Mazzini ha sconfitto Marx". Le buone idee trovano sempre buone gambe su cui camminare; bisogna solo aspettare.

nuvolarossa
15-11-07, 12:27
Nuvolarossa non posso che convenire con te.
Ma prova a pensare a coloro che volenti o nolenti devono fare i conti con la figura di Ugo La Malfa. Una decina di anni addietro lessi un articolo sull'unità che diceva pressapoco:"Mazzini ha sconfitto Marx (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=5382)". Le buone idee trovano sempre buone gambe su cui camminare; bisogna solo aspettare.FRANCO, quello che sta camminando di questi tempi mi sembra che sia il lobbysmo, la sete di potere, la violenza crescente, la perdita di valori sociali, l'assenza del senso dello Stato. I Partiti sono diventati sempre piu' conventicole e congreghe d'affari, comitati spartitori di prebende e vantaggi amicali, gruppi organizzati per la gestione del potere ... le idee che "diventano buone", anche da parte di chi le ha osteggiate se non criminalizzate, sono solo quelle che possono essere funzionali ai propri fini ed alle proprie strategie di sconquasso della Repubblica ...
Ai vertici della stessa non abbiamo i "piu' morali" come sosteneva il nostro Beppino ... ma i piu' intriganti ... i piu' capaci di intessere trame ed intrecci con la parte piu' prosaica della "casta" a scapito di idealismi disinteressati e, soprattutto, a scapito dell'interesse generale ...
I cicli storici si ripetono, come direbbe il Giovambattista Vico, ed ora noi, in questo Paese, siamo in un ciclo in cui non vedo vincenti le "buone idee" ... siamo verso la parte discendente della curva che rappresenta il ciclo ... ed ogni giorno che passa (pur essendo un ottimista) vedo segnali sempre maggiori in questo senso ...

FRANCO (POL)
16-11-07, 04:10
Con la fine della prima repubblica sono stati spazzati via non solo i partiti corrotti ma l'idea stessa di associazione in forma politica. tutto doveva essere nuovo.La seconda repubblica non è stata un scelta consapevole e voluta, è frutto di concitazione coincidenze e molto opportunismo. Non si sono fatti i conti con i limiti della prima e a distanza di soli 15 anni sono molti quelli che auspicano una terza repubblica. Convengo che manca materiale umano: è una società malata governata da vecchi. L'unica ancora di salvezza è l'aggancio all'UE, di cui peraltro sono molto critico.

nuvolarossa
27-03-08, 12:28
.... solo per ricordare che ieri, 26 marzo, era il 29° anniversario della morte di Ugo La Malfa, avvenuta il 26 marzo 1979 ...
Ha scritto Enrico Martelloni su ...
http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/15536

"A ripensare quel grande statista, è da osservare quanto e' distante oggi la politica dalle sue idee che hanno caratterizzato il Partito Repubblicano. Più che in termini temporali, in termini morali e di qualità politica"

IX Febbraio
27-03-08, 16:49
pensavo proprio ieri all'anniversario di Ugo La Malfa anche ricordando il convegno dello scorso anno a lui dedicato organizzato da Cisnetto e Giacalone al quale partecipai con grande interesse...ecco il prossimo anno per il 30esimo anniversario mi piacerebbe che tutti i repubblicani si ritrovassero insieme per lanciare la campagna elettorale per le Europee a sostegno della lista laica e liberaldemocratica legata all'ELDR che dovrà avere per forza il PRI come protagonista...sarebbe il modo migliore per ricordare il grande statista repubblicano...che ne dite?

nuvolarossa
26-06-08, 22:22
La Uil di Forlì è lieta di invitarla alla presentazione del libro

UGO LA MALFA
Il riformista moderno

di Paolo Soddu

Intervengono con l’autore

Prof. Roberto Balzani Docente Storia contemporanea Università di Bologna
Sen. Adriano Musi Presidente MRE
On. Francesco Nucara Segretario Pri
Domenico Proietti Segretario nazionale Uil

Introduce

Luigi Foschi Segretario Uil Forlì

lunedì 30 giugno 2008, ore 9.30 - sala Valco Centro Engal Via Ravegnana 407 Forlì
segreteria convegno: Giulia Vasini tel. 0543 27001 • cspforli@uil.it

tratto da http://www.uil.it/invito-proietti30062008.pdf

nuvolarossa
30-06-08, 18:25
Nella puntata del 7 giugno scorso de Le pagine della politica Gianni Scipione Rossi intervista Paolo Soddu autore del libro "Ugo La Malfa il riformista moderno"

guarda il video ... clicca (http://www.rai.tv/mpplaymedia/0,,RaiParlamento-LepaginedellaPolitica%5E21%5E93038,00.html)

nuvolarossa
30-06-08, 18:49
Ricordando Ugo La Malfa
Il leader che seppe rinnovare la storica tradizione dell'Edera

La Uil non ha dimenticato Ugo La Malfa, nonostante un rapporto notoriamente burrascoso, ma che evidentemente ha segnato generazioni di sindacalisti e indicato una ragione di appartenenza nel mondo del lavoro. Così a Forlì la Uil ha pensato bene di ricordare lo statista repubblicano presentandone la biografia scritta da Paolo Soddu ("Ugo La Malfa, il riformista moderno"), in questi giorni in libreria. E, neanche a dirlo, ecco riuniti allo stesso tavolo esponenti quali il segretario del Pri Francesco Nucara e il presidente dello Mre, Adriano Musi. Stessa cultura di riferimento, medesime idealità di valori, eppure eletti in Parlamento su sponde avverse.

Allora sarà pure che il problema dell'interpretazione dell'eredità di La Malfa è cosa difficile e complessa, come dice Musi, o che i repubblicani hanno sedimentato uno spirito anarcoide, per il quale sono sempre convinti di aver ragione, come chiosa Nucara, ma qualche linea d'azione comune bisognerà pur trovarla, soprattutto se è vero questo sentimento nostalgico per la stagione lamalfiana, per quello che essa dava e chiedeva al paese, e soprattutto per ciò che non è riuscita a compiere.

Il libro di Soddu non ha remore, nella sua minuziosa ricostruzione storiografica, di rappresentare un La Malfa sconfitto non solo nella contingenza politica, ma anche nella prospettiva istituzionale della Repubblica. Basta pensare al fatto che un cultore del parlamentarismo pluralista come lui dovrebbe ora fare i conti con una deriva bipartitica. O, peggio, con elementi presidenzialisti di sapore gollista. Per non parlare ai tempi della cronica insufficienza elettorale dell'Edera, insufficienza che non riuscì mai a portare il Pri oltre il 3% dei consensi.

Proprio nel momento in cui i suoi eredi (o coloro che si ritengono tali) si trovano di fronte la maggiore delle difficoltà, possono pensare di affrontarla divisi e separati fra di loro? Forse il nome di Ugo La Malfa, il suo testamento politico – si è ricordato il congresso di Roma: "io passerò, il Partito repubblicano resta" – meriterebbero qualche ulteriore riflessione. Certo è tale e tanto elevata l'eredità lamalfiana che, se si è convinti di poterne di-sporre appieno, non si hanno poi remore nello sfidare qualsiasi avversario, nemmeno che la zanzara potesse abbattere l'elefante. E non vogliamo discutere di questo, perché se ne è già discusso.

E' vero però che Ugo La Malfa (che, come sottolinea anche questa biografia, non era di origine repubblicana "storica") non scelse di voler condizionare la Dc o il Pci dal loro interno, ma plasmò un piccolo partito che aveva una tensione etica nella sua fede repubblicana tale da potersi coniugare con una visione politica nuova quale la sua. Possibile che proprio questo soggetto così straordinario debba andare distrutto? Nucara su questo è ottimista: in cento anni le scissioni sono state infinite, ma il Pri è sempre andato avanti lo stesso.

tratto da http://www.pri.it/new/30%20Giugno%202008/LaMalfaForlìLibro.htm

nuvolarossa
20-11-08, 13:32
Ugo La Malfa. Il riformista moderno

Autore Soddu Paolo

Editore Carocci (collana Saggi)

In sintesi: Negli oltre trent'anni di vita pubblica, Ugo La Malfa (1903-1979) operò in forze politiche di minoranza: il Partito d'azione prima, il Partito repubblicano poi. Eppure La Malfa riuscì a definire i passaggi strategici dell'Italia democratica e a dettare l'agenda del paese. S'interrogò sulla profonda trasformazione delle economie occidentali dopo la grande crisi, esprimendo una visione interamente laica della politica e traducendola in un progetto per l'Italia di grande tensione verso la modernità europea, nello sforzo di dare al Paese una democrazia solida e adulta, forte delle acquisizioni e delle realizzazioni delle sinistre democratiche occidentali.

leggi tutta la scheda al link http://www.ibs.it/code/9788843041923/soddu-paolo/ugo-malfa-riformista.html

nuvolarossa
18-01-09, 12:55
Fondazione Ugo La Malfa - Circolo ll buongoverno Firenze

Associazione Dante Alighieri
via Gino Capponi, 4 - Firenze
lunedì 2 febbraio 2009 alle ore 18,00
presentazione del volume

Ugo La Malfa Il riformista moderno

di Paolo Soddu - Carocci Editore, Roma 2008

Presiede: Giorgio La Malfa

Intervengono: Luigi Lotti e Paolo Soddu

Conclude: Sandro Bondi, Ministro per i Beni e le Attività culturali

tratto da http://www.fulm.org/SchedaEvento.aspx?ID_Evento=47