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Visualizza Versione Completa : Sogno di mezz'estate



Spirit
04-07-02, 02:42
Mi aggiro per una stradina di Genova, è sera, il tempo inizia a incupirsi, ma la solitudine non può che gioirne. Il passo è lento, contemplativo, perché un anziano mi disse che non si può girar per i caruggi senza ascoltarne i fantasmi. Entro in un bar, bevo qualcosa, leggo il giornale, con le solite asmatiche notizie di politica e cronaca. A un certo punto l’oste accende la televisione. Quei suoni iniziano a disturbarmi, come i balletti o i monologhi che animano la nostra mente smarrita in quel cubo di circuiti e finzioni. E’ meglio ascoltar fantasmi, penso, mentre me ne esco. Mi volto sulla destra, vedo uno straccivendolo, un signore anziano, di quelli che raccontan storie dal sapore troppo antico per esser vere. Do un occhiata alla sua merce: qualche vecchia rivista, due suppellettili, una raccolta di cartoline e di santini, da cornice a delle barchette in legno. Lo sguardo mi cade però su un tessuto ripiegato, bianco, in cui si intravede una linea rossa. Guardo con più attenzione, e anche verticalmente sembra profilarsi inequivocabilemente... Sto per chieder conferma, ma vengo anticipato: “Xi, l’è la bandi-a du San Giorgiu”. Stupito, vorrei chiedere dove l’ha presa, ma di nuovo la risposta giunge prima della domanda: “Fu unna delle urtime issè da a Repubblica de Zena, primma che i Savoia”..” Conosco la storia, grazie”, dissi. Rimirai la stoffa, pregiata e di ottima fattura, faccio per estrarre il portafoglio, disposto a qualsiasi cifra per acquistarla, in quanto non ne ho mai posseduta una, senza chiedermi se la storia raccontatami sia autentica oppure no. “Tienila, è tua” mi dice il vecchio. “Grazie, ma quanto devo?”. “Ninte, t’appparten cumme u passou, me pa che nixun lu aggia ancua accatò.”. Ringrazio, e me ne vado. Che strano, penso: un commerciante genovese che ragala merce a uno sconosciuto. Sono proprio cambiati i tempi. Nel frattempo inizia a piovere: le lacrime del cielo battono sul selciato della città, io scendo verso il porto antico, li incontrerò qualche amico. Passeggio più rapidamente, infatti qualche lampo squarcia il cielo, e il grigio ricopre le ferite della modernità, rendendole se possibile ancor più acute.
Un fulmine, forse due, a pochi metri. Un bagliore incredibile, uno shock acuto, la vista si appanna. Perdo i sensi. Chissà quanto tempo scorre, e chissà dove sono quando mi risveglio. Attorno a me c’è solo una collina, dispersa da qualche parte sopra Genova. Vicino, un rustico abbastanza mal ridotto, col tetto squartato e i calcinacci a dipingere il cortiglietto ritagliato fra le erbacce. Mi sorprendo nel dedurlo che è abitato da qualche abito steso di fuori. Ha smesso anche di piovere. Non vedo altra soluzione che entrare. Busso, e mi sorprendo nel rivedermi in mano la bandiera poco prima regalatami dall’anziano mercante. Mi apre un vecchio, arcigno e diffidente, chiedendomi cosa vado cercando. “Vorrei solo sapere dove sono, e come mai son finito qui”. Il vecchio mi guarda, vede anche la bandiera, e mi fa segno d’entrare. “Dimmi in pitin, giuanotto. Ti te cerchi guai????” … “No, rispondo, è solo che è successa una cosa molto strana…Ero al porto, mi è esploso un fulmine vicino, e mi son risvegliato fra queste colline”. “ Curran brutti tempi….”. “Già, rispondo”. Noto che in casa sua non ha alcun segno di modernità, né televisore, né radio, né cucina gas, né luce elettrica. “Vive solo, lei?”, mi permetto di chiedere….. “Curran brutti tempi, te l’ho ditu, di sti giurni u l’è meggiu sta suli”. “Ti te parli stranu, né?” . “Strano?”, rispondo, “non capisco”…… “Xi, te parli stranu… E te vesti anche in modu stranu, mah, sti zueni”…... “1849”, continua fattosi serio, “una datta che Zena nu dimenticheià tantu facilmente”. “Già”, rispondo, “conosco la storia”. “Quale storia??”, mi risponde l’anziano. “il 1849, il sacco di Genova condotto da La Marmora, stupri, saccheggi, rovine, Vittorio Emanuele che scriverà una lettera di congratulazioni al generale definendo i genovesi vile razza infetta…Nel 2002 purtroppo in pochi sanno queste cose, anche a Genova, lei invece…”…. “Quel re, gran figgiu de na……, ma dimmi in pitin…..2002?” “Si, 2002, perché, in che anno siamo”…….” Senti figgeu, ti me piggi pe u deretan?? Semmu in tu 1849”……… “1849?” chiedo allibito…… “Xi!!! T’è mattu ti”…… Gli racconto tutto quello che m’è successo durante la giornata, mentre l’anziano signore si fa cupo e pensieroso…. “ Quella bandie-a a l’è unna delle ultime salvè della Repubblica???” “Si, gli rispondo, così m’è stato detto”. “Me fre se vulea fa seppelli con a sua bandie-a de San Giorgio , u lea da mexima stoffa da-a tua, e l’ea issè xu u palassu de u duca, ma i piemunteixi gh’an levou anche questu… Venni cun mi”….. Mi condusse li vicino, dov’era situato un cimitero e mi mostrò la tomba del fratello: Giovan Battista Serri, 1770- 1849….. Rimirai la tomba, appena abbozzata in fretta, ma densa di fiori e affetto……Io posai la bandiera sul quel prato,istintivamente, riconsegnandola a chi la sognò, a chi la chiese fino all’ultimo, come una poesia destinata ad accompagnar l’ultimo gemito di libertà, mentre ricominciava a piovere……Pensavo infatti all’anziano signore che mi consegnò la bandiera, chissà se…..La testa mi scoppiava, ogni logica fuggiva, e con sé quell’orizzonte di collina, quella casa…..La testa inziò a farsi pesante, riaprii gli occhi, ed ero al molo, circondato da persone che cercavan di prestarmi soccorso….Mi sentivo un bernoccolo, e la mia bandiera era sparita….. “La bandiera”….Chiesi, istintivamente. “Quale bandiera, ragazzo?” Mi risposero. “Ti senti bene? Sei sicuro”. “Si”, dissi mentre mi alzavo e riprendevo il mio cammino. Frugai in tasca….un biglietto: “ Grazie ”.