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Der Wehrwolf
04-07-02, 17:13
Un interessante studio edito da Priuli & Verlucca sugli antichi
sistemi di irrigazione in Padania
di Massimo Centini

Ci sono libri che aprono orizzonti del tutto inattesi per il lettore e lo studioso della cultura contadina: il recente lavoro di Gianni Bodini “Antichi sistemi di irrigazione nell’arco alpino” (Priuli & Verlucca, editori) è uno di questi. Si tratta di uno studio arricchito con molte fotografie che ci consente di comprendere quanti sforzi abbiano fatto gli uomini della montagna per sfruttare al massimo le risorse idriche. Spesso le tecnologie adottate si avvalevano di mezzi e metodo di antica origine, rimasti invariati per molto tempo.
Agli aspetti eminentemente tecnici vanno relazionati quelli simbolici e anche sacrali, a cui l’acqua è sempre sta in qualche modo legata. Alle sorgenti, alle fonti, nella maggioranza dei casi, erano riconosciute potenzialità benefiche, diventate, come è ben noto, una costante anche in seno al cristianesimo. Secondo un modello abbastanza diffuso, le origini della fonte in qualche modo soprannaturale e vincolata alla dimensione del sacro condivisa dal gruppo in cui quell’acqua occupava un ruolo simbolico importante, vennero quasi sempre alimentate da un substrato già affermato nell’area: così si diceva che l’acqua fosse scaturita da una roccia toccata da un santo (tradizione biblica), o dalla pietra su cui era caduto il sangue di un martire cristiano (tradizione pagana).
Paradossalmente, le dee dell’acqua erano protettrici contro la siccità e contro le alluvioni: un esempio molto interessante, che dimostra l’articolata struttura del culto sorto da una diramazione delle pratiche connesse alla fecondità.
L’analisi dei vari sistemi di irrigazione ci consente anche di soffermarci sui temi connessi alla realizzazione vera e propria dei complessi per convogliare l’acqua destinata ai campi e agli animali. Entra così in gioco un argomento a cui spesso non si presta la dovuta attenzione: la cultura materiale. Infatti, l’oggetto di fatto è la parola del linguaggio quotidiano del lavoro e pertanto, come le parole, è provvisto di un proprio patrimonio di conoscenze che si possono anche esprimere con sottili sfumature, brevi accenni, rimandi a culture esterne, altre, evocate quasi sempre con oggettive motivazioni.
Infatti, va tenuto conto che la civiltà materiale costituisce un articolato complesso, non riducibile solo alla tecnica: ci sono in essa elementi sociali e culturali che vanno al di là del solo fatto pratico e applicativo, assumendo anche un ruolo simbolico adagiato sul carattere utilitario principale.
Gli studiosi dei sistemi di irrigazione, ma il discorso è identico anche per altri settori, si chiedono che senso possa avere servirsi del livello tecnico posseduto da una società per valutarne la cultura materiale. Tecnica e prodotto sono effettivamente così legati? Se il capitale tecnico è identico per tutti i gruppi sociali, allora può avere un senso rifiutare la tecnica come unico referente della cultura materiale e appare quindi importante considerare altre variabili, altre condizionanti.
In sintesi, la cultura materiale richiama l’attenzione sugli aspetti non simbolici delle attività produttive umane, privilegiando i prodotti, gli utensili e la tecnica. Secondo alcuni, lo studio della cultura materiale porrebbe soprattutto l’accento sulle masse, a scapito dell’individualità, dedicandosi in primis ai fatti ciclici, consuetudinari e tradizionali. Ad osservare il bel libro di Bodini, ci si rende però conto che è soprattutto l’individualità e la genialità dei singoli ad essere posta in rilievo. Infatti ogni sistema riflette la straordinaria capacità dell’uomo della montagna a sfruttare anche le più piccole opportunità che la natura offre per cercare di far convivere natura e umane necessità.
Gianni Bodini, “Antichi sistemi di irrigazione nell’arco alpino”, Priuli & Verlucca, pp. 80, euro 17,50. Info 0125 239929.