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Visualizza Versione Completa : Ne ho uccisi centinaia e sono contento"



Der Wehrwolf
06-07-02, 11:45
Un partigiano racconta gli eccidi di fine guerra: "Nessun rimorso, il comunismo è una religione"

STEFANO ZURLO nostro inviato a Bertinoro (Forli)
I fascisti, i tedeschi, e tutti gli altri uomini, popolano le sue notti. Danzano come fantasmi intorno al suo letto. Ma non lo inquietano. Anzi, lo rassicurano e gli conciliano il sonno del giusto. "Provo a contare tutti quelli che ho ucciso con le mie mani, ma non riesco a ricordarmeli tutti e allora mi addormento tranquillo". Dice proprio così Umberto Fusaroli Casadei, romagnolo sanguigno, classe 1926, avvocato e partigiano permanente che non ha mai messo via il moschetto. "Per primi ho abbattuto due tedeschi il 30 aprile 44 a Bertinoro, il mio paese, e ho continuato a regolare i conti con i mostri anche dopo la fine del conflitto". Esecuzioni sommarie nella sua terra, una puntata a Schio nella terribile notte del 6 luglio 1945, 3 ferite sul capo, 6 anni in carcere per due delitti - due fra i tanti commessi - poi la partecipazione ai gap di Feltrinelli, altri omicidi non meglio specificati in Europa fino agli anni Sessanta e ancora, in un periodo più vicino, la lotta in Mozambico a fianco dei rivoluzionari del Frelimo contro gli odiati portoghesi.
[...]
E lei non si commosse mai? Mai un momento di esitazione?
"Mai. Nemmeno davanti alle donne".
Le donne?
"A Schio morirono molte donne" e nel dirlo questa volta un'ombra di turbamento attraversa gli occhi.
A Schio? Lei partecipò all'eccidio che avvenne nel carcere della città veneta la notte fra il 6 e il 17 luglio 1945?
"Certo che ci partecipai".
Quella notte furono trucidate 53 persone. Gli alleati imbastirono un primo processo, altri imputati furono condannati dalla Corte d'assise di Milano, il suo nome non risulta.
"C'ero". E si autodenuncia?
"No, rivendico quel che ho fatto". Fusaroli Casadei si alza di nuovo, va al computer, lo accende, stampa alcuni fogli, pescandoli dalle chilometriche memorie, un migliaio di pagine, scritte negli anni della pensione e affidate per la pubblicazione - probabilmente l'anno prossimo - alla Bietti. "Ecco, questo è il resoconto delle gesta di Rumba, il mio nome di battaglia, scritto in terza persona "A Schio Rumba aveva conosciuto un comandante di brigata, ex garibaldino di Spagna, ...dal quale... ricevette la proposta di partecipare all'eliminazione di tutti quei repubblichini". Per la verità, la Corte d'assise di Milano scrive che quello "fu uno dei più orrendi misfatti dei dopoguerra italiano". E aggiunge: "Fra i prigionieri, solo 27 erano iscritti al Partito fascista repubblicano, gli altri erano in maggior parte ex fascisti ante luglio, '43 e, nella restante maggior parte, persone estranee alla politica".
"Illazioni di giudici fascisti".
No, è il testo della sentenza del 13 novembre 1952. Non solo. La corte aggiunge: "Non è vero che il delitto sia stato ideato e voluto per dare soddisfazione alla popolazione di Schio che voleva vendicati i morti di Mauthausen. Secondo i giudici, si trattò di una rappresaglia per vendicare il potere perduto".
"Illazioni. Io fui invitato da quel comandante partigiano...".
Il nome?
"Aveva i gradi di colonnello, indossava la sahariana, ricopriva un incarico istituzionale in città. Mi disse che si dovevano vendicare i morti di Mauthausen e questo mi bastò".
Vada avanti.
"Lasciai il compagno Piastrina a custodia del camion, fuori mano, e raggiunsi il carcere. Portavo una giacca con i gradi da colonnello, prestatami dal comandante che era rimasto altrove, per precostituirsi un alibi. Per rendermi meno riconoscibile mi ero oscurato la faccia con una speciale tinta usata dagli inglesi della Popski Private Army nelle operazioni notturne. Indossavo inoltre un copricapo e un fazzoletto rosso al viso".
Poi?
"Mi accorsi che gli altri erano già entrati, in anticipo sui tempi stabiliti. Così penetrai all'interno: c'era il caos. Partigiani che vagavano senza sapere bene cosa fare, i prigionieri radunati in uno stanzone. Occorreva accelerare i tempi, c'era il rischio che qualcuno desse l'allarme. Allora mi rivolsi a quelle persone ammassate: "C'è qualche prigioniero comune?"
Nessuno rispose. Diedi l'ordine di aprire il fuoco. Svuotai tre caricatori sparando con uno Sten in una babele di urla, strepiti, lacrime. I proiettili saettavano da tutte le parti, rimbalzavano sul pavimento, tornavano indietro. Fui colpito più volte di rimbalzo alle gambe, senza altro danno che leggere striature rossastre, larghe come una moneta d'argento del tempo. La permanenza si faceva troppo pericolosa e altri partigiani entravano sparando raffiche all'impazzata. Era saltata la luce, non si distinguevano nemmeno più le vittime da noi che le colpivamo.[...]".
[...]
Da IL GIORNALE - "La Storia" - Domenica 13 maggio 2001

Totila
06-07-02, 21:47
eheh...Il vegliardo conti pure le vittime...Tanto fra poco raggiungerà i suoi kompagni nel Paradiso (sovietico)...Ma prima di arrivarci, dovrà passare fra le anime di coloro che ha assassinato...E allora, sai le risate...:cool: