Pitone
06-07-02, 19:58
La carta vincente di Silvio? L’anticomunismo
Sorpresa: chi vota per lui non bada ai programmi, ma teme ancora il ”pericolo rosso”
di FEDERICA RE DAVID
ROMA - “Forza Italia, il nuovo che non c’è". Così, il professor Pieriorgio Corbetta, direttore dell’Istituto Cattaneo, titola il suo saggio pubblicato sull’ultimo numero del Mulino, a oltre un anno dalla vittoria del centrodestra. Usando i dati di una ricerca del gruppo Itanes (Italian National Election Studies, gruppo di cui fa parte una folta schiera di prestigiosi studiosi e politologi), Corbetta giunge a tre principali conclusioni: 1) almeno la metà di coloro che hanno scelto la Casa delle libertà lo ha fatto senza condividerne i programmi in tema di tasse, sanità e imprese; 2) individualismo particolaristico e avversione alla politica sono assai maggiori fra gli elettori del centrodestra che fra quelli del centrosinistra; 3) circa il 40% di coloro che hanno scelto Forza Italia è stato mosso più da un sentimento di ostilità verso «i comunisti» che da una reale attrazione verso il partito del Cavaliere.
Dunque, «Berlusconi è tutt’altro che naif quando, in campagna elettorale, accusa l’antagonista di turno, sia egli Prodi o Rutelli, di essere una "maschera" del comunista D’Alema; oppure quando sottintende che i governi della Prima repubblica siano stati egemonizzati dal Partito comunista o che (in alternativa) i vecchi partiti siano stati distrutti da una congiura delle "toghe rosse". In realtà, questi richiami toccano una corda sensibilissima della cultura politica nazionale, tutt’altro che superata a dieci anni dalla fine dell’Unione Sovietica». E se le cose stanno così, la sinistra «non ha perso perché il programma di Berlusconi era più attuale o moderno del suo, ma per ragioni antiche e profonde»: il suo problema più urgente oggi non è la scelta di un nuovo leader, quanto un radicale mutamento dell’atteggiamento di fondo. Riflettendo su due errori fondamentali: quello, già fatto, di demonizzare Berlusconi e quello, che sta facendo, di inseguirlo. Perché «Berlusconi ha vinto in quanto è riuscito a catturare il massimo non della nuova, ma della vecchia domanda che viene dalla gente».
Il primo quadro che il direttore dell’Istituto Cattaneo trae dai dati della ricerca Itanes è socioculturale: come si vede nelle tabelle, l’elettorato della Casa delle libertà ha, rispetto a quello dell’Ulivo, quote prevalenti di anziani, casalinghe, disoccupati, persone che non si interessano di politica o non ne sono affatto informate, persone che non leggono mai i giornali o non hanno letto un libro nell’ultimo anno; l’elettorato dell’Ulivo vanta invece le quote prevalenti di laureati-diplomati e abitanti delle grandi città. E tutte queste differenze si accentuano in termini numerici se si analizza il confronto fra l’elettorato in generale dell’Ulivo e quello solo di Forza Italia. Insomma, secondo Corbetta, chi ha scelto il centrodestra, e in particolare Berlusconi, ha una sua precisa connotazione nella «perifericità: generazionale, sociale, geografica, culturale e politica». Ed è un primo indizio per «smentire l’interpretazione secondo cui il consenso di cui gode il Cavaliere sarebbe l’espressione "dell’Italia ricca, forte e vitale"». Anzi: «si tratta di quell’Italia silenziosa, appartata, apolitica che nei decenni scorsi costituiva uno degli ingredienti della forza elettorale dei grandi partiti di massa, e soprattutto della Dc». Tanto che, «ben il 50% di coloro che hanno indicato nella Dc il partito prevalente nelle proprie scelte fino al ’92, ha votato nelle ultime elezioni Forza Italia».
Il secondo quadro entra più direttamente nella questione del programma di governo, per dimostrare che «almeno la metà di chi ha votato per il centrodestra, lo ha scelto senza condividere quell’ispirazione di fondo di carattere liberista che rappresenta l’aspetto più nuovo della proposta berlusconiana». Il tutto in base ai pareri espressi dagli intervistati su tre affermazioni che sintetizzano quella proposta: «Occorre diminuire le tasse anche se questo può provocare una riduzione dei servizi pubblici»; «La sanità dovrebbe essere affidata ai privati»; «Le imprese dovrebbero essere lasciate più libere di assumere e licenziare». Il risultato, esposto anch’esso nelle tabelle, è «sorprendente»: sommando le varie sfumature di giudizio, «il 43% di coloro che hanno votato per la Casa delle libertà non condivide il fatto che le tasse debbano essere diminuite; il 58% non condivide le aperture alla privatizzazione sulla sanità; il 40% dissente dalla proposta di dare meno vincoli alle imprese». Unificando poi le domande per vedere in quanti hanno risposto a tutte e tre in armonia con le posizioni ufficiali dei partiti prescelti, viene fuori che «questi “elettori convinti" sono solo il 22-23% di coloro che hanno scelto la Casa delle libertà o Forza Italia, mentre per l’Ulivo si sale al 51%».
Allora, se non sono stati i programmi, cosa ha spinto quella grossa fetta di “elettori incoerenti" a rivolgersi a Berlusconi? «Antistatalismo e anticomunismo», risponde Corbetta. E vediamo perché. Innanzitutto (e anche questo è evidenziato nelle tabelle) risulta che fra chi ha votato per la Casa delle libertà il tasso di sfiducia nei confronti delle istituzioni, e in generale del prossimo, è molto più elevato che in chi ha scelto l’Ulivo. E «l’avversione per la politica, come la diffidenza verso tutto ciò che è pubblico e l’ostilità contro tutte le burocrazie, si salda facilmente con l’anticomunismo. Anche se non siamo più nel ’48 e realisticamente non ci sono beni o libertà personali e religiose da difendere, i comunisti continuano a essere visti da una certa parte come «quelli che traggono vantaggi dalle cariche pubbliche, che campano a spese dello stato invece di lavorare». E la dimostrazione sta nei risultati di un’inchiesta dell’Ispo di Renato Mannheimer, che Corbetta utilizza per testimoniare come spesso il voto per Forza Italia sia piuttosto un voto contro: contro i Ds, cioè gli ex comunisti, appunto. Gli intervistati (tutti elettori del Cavaliere) a cui è stato chiesto di esprimere un giudizio sui partiti con un voto da 1 a 10, si sono divisi in due categorie. Il 60% ha, con più o meno convinzione, promosso FI e bocciato i Ds. Gli altri hanno sostanzialmente bocciato entrambi (anche se in alcuni casi FI ha sfiorato la sufficienza), ma con un giudizio talmente negativo verso i Ds da spingerli a scegliere comunque quello che ritenevano l’avversario maggiormente in grado di contrastarli: il partito di Berlusconi. «Se ne conclude - dice Corbetta - che il motore del loro comportamento elettorale è uno solo
Sorpresa: chi vota per lui non bada ai programmi, ma teme ancora il ”pericolo rosso”
di FEDERICA RE DAVID
ROMA - “Forza Italia, il nuovo che non c’è". Così, il professor Pieriorgio Corbetta, direttore dell’Istituto Cattaneo, titola il suo saggio pubblicato sull’ultimo numero del Mulino, a oltre un anno dalla vittoria del centrodestra. Usando i dati di una ricerca del gruppo Itanes (Italian National Election Studies, gruppo di cui fa parte una folta schiera di prestigiosi studiosi e politologi), Corbetta giunge a tre principali conclusioni: 1) almeno la metà di coloro che hanno scelto la Casa delle libertà lo ha fatto senza condividerne i programmi in tema di tasse, sanità e imprese; 2) individualismo particolaristico e avversione alla politica sono assai maggiori fra gli elettori del centrodestra che fra quelli del centrosinistra; 3) circa il 40% di coloro che hanno scelto Forza Italia è stato mosso più da un sentimento di ostilità verso «i comunisti» che da una reale attrazione verso il partito del Cavaliere.
Dunque, «Berlusconi è tutt’altro che naif quando, in campagna elettorale, accusa l’antagonista di turno, sia egli Prodi o Rutelli, di essere una "maschera" del comunista D’Alema; oppure quando sottintende che i governi della Prima repubblica siano stati egemonizzati dal Partito comunista o che (in alternativa) i vecchi partiti siano stati distrutti da una congiura delle "toghe rosse". In realtà, questi richiami toccano una corda sensibilissima della cultura politica nazionale, tutt’altro che superata a dieci anni dalla fine dell’Unione Sovietica». E se le cose stanno così, la sinistra «non ha perso perché il programma di Berlusconi era più attuale o moderno del suo, ma per ragioni antiche e profonde»: il suo problema più urgente oggi non è la scelta di un nuovo leader, quanto un radicale mutamento dell’atteggiamento di fondo. Riflettendo su due errori fondamentali: quello, già fatto, di demonizzare Berlusconi e quello, che sta facendo, di inseguirlo. Perché «Berlusconi ha vinto in quanto è riuscito a catturare il massimo non della nuova, ma della vecchia domanda che viene dalla gente».
Il primo quadro che il direttore dell’Istituto Cattaneo trae dai dati della ricerca Itanes è socioculturale: come si vede nelle tabelle, l’elettorato della Casa delle libertà ha, rispetto a quello dell’Ulivo, quote prevalenti di anziani, casalinghe, disoccupati, persone che non si interessano di politica o non ne sono affatto informate, persone che non leggono mai i giornali o non hanno letto un libro nell’ultimo anno; l’elettorato dell’Ulivo vanta invece le quote prevalenti di laureati-diplomati e abitanti delle grandi città. E tutte queste differenze si accentuano in termini numerici se si analizza il confronto fra l’elettorato in generale dell’Ulivo e quello solo di Forza Italia. Insomma, secondo Corbetta, chi ha scelto il centrodestra, e in particolare Berlusconi, ha una sua precisa connotazione nella «perifericità: generazionale, sociale, geografica, culturale e politica». Ed è un primo indizio per «smentire l’interpretazione secondo cui il consenso di cui gode il Cavaliere sarebbe l’espressione "dell’Italia ricca, forte e vitale"». Anzi: «si tratta di quell’Italia silenziosa, appartata, apolitica che nei decenni scorsi costituiva uno degli ingredienti della forza elettorale dei grandi partiti di massa, e soprattutto della Dc». Tanto che, «ben il 50% di coloro che hanno indicato nella Dc il partito prevalente nelle proprie scelte fino al ’92, ha votato nelle ultime elezioni Forza Italia».
Il secondo quadro entra più direttamente nella questione del programma di governo, per dimostrare che «almeno la metà di chi ha votato per il centrodestra, lo ha scelto senza condividere quell’ispirazione di fondo di carattere liberista che rappresenta l’aspetto più nuovo della proposta berlusconiana». Il tutto in base ai pareri espressi dagli intervistati su tre affermazioni che sintetizzano quella proposta: «Occorre diminuire le tasse anche se questo può provocare una riduzione dei servizi pubblici»; «La sanità dovrebbe essere affidata ai privati»; «Le imprese dovrebbero essere lasciate più libere di assumere e licenziare». Il risultato, esposto anch’esso nelle tabelle, è «sorprendente»: sommando le varie sfumature di giudizio, «il 43% di coloro che hanno votato per la Casa delle libertà non condivide il fatto che le tasse debbano essere diminuite; il 58% non condivide le aperture alla privatizzazione sulla sanità; il 40% dissente dalla proposta di dare meno vincoli alle imprese». Unificando poi le domande per vedere in quanti hanno risposto a tutte e tre in armonia con le posizioni ufficiali dei partiti prescelti, viene fuori che «questi “elettori convinti" sono solo il 22-23% di coloro che hanno scelto la Casa delle libertà o Forza Italia, mentre per l’Ulivo si sale al 51%».
Allora, se non sono stati i programmi, cosa ha spinto quella grossa fetta di “elettori incoerenti" a rivolgersi a Berlusconi? «Antistatalismo e anticomunismo», risponde Corbetta. E vediamo perché. Innanzitutto (e anche questo è evidenziato nelle tabelle) risulta che fra chi ha votato per la Casa delle libertà il tasso di sfiducia nei confronti delle istituzioni, e in generale del prossimo, è molto più elevato che in chi ha scelto l’Ulivo. E «l’avversione per la politica, come la diffidenza verso tutto ciò che è pubblico e l’ostilità contro tutte le burocrazie, si salda facilmente con l’anticomunismo. Anche se non siamo più nel ’48 e realisticamente non ci sono beni o libertà personali e religiose da difendere, i comunisti continuano a essere visti da una certa parte come «quelli che traggono vantaggi dalle cariche pubbliche, che campano a spese dello stato invece di lavorare». E la dimostrazione sta nei risultati di un’inchiesta dell’Ispo di Renato Mannheimer, che Corbetta utilizza per testimoniare come spesso il voto per Forza Italia sia piuttosto un voto contro: contro i Ds, cioè gli ex comunisti, appunto. Gli intervistati (tutti elettori del Cavaliere) a cui è stato chiesto di esprimere un giudizio sui partiti con un voto da 1 a 10, si sono divisi in due categorie. Il 60% ha, con più o meno convinzione, promosso FI e bocciato i Ds. Gli altri hanno sostanzialmente bocciato entrambi (anche se in alcuni casi FI ha sfiorato la sufficienza), ma con un giudizio talmente negativo verso i Ds da spingerli a scegliere comunque quello che ritenevano l’avversario maggiormente in grado di contrastarli: il partito di Berlusconi. «Se ne conclude - dice Corbetta - che il motore del loro comportamento elettorale è uno solo