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Visualizza Versione Completa : Il PENSIERO MAZZINIANO



nuvolarossa
09-07-02, 18:56
http://www.nuvolarossa.org/modules/xgallery/cache/albums/01-Album-di-Enzo/LOGOFORUM03BIG.sized.gif
http://www.casentinomusica.net/Spartiti/Midi/D/Dalla%20Lucio%20Balla%20balla%20ballerino.mid
E' da pochi giorni disponibile presso le librerie Feltrinelli l'ultimo numero del "Pensiero mazziniano", la rivista trimestrale dell'Associazione Mazziniana Italiana diretta da Sauro Mattarelli. Il numero si apre con articoli di Maurizio Viroli, Roberto Balzani e Sauro Mattarelli in ricordo di Giulio Cavazza, il Presidente onorario dell'AMI recentemente scomparso.
Tra i principali temi affrontati gli "Scenari di guerra e le ipotesi di pace", con interventi di AntonLuigi Aiazzi, Paolo Bagnoli, Gabriele Martelli, Andrea Chiti-Batelli e con un'intervista ad Aldo G. Ricci sulla Repubblica. Di grande interesse la sezione sull'impegno femminile, a cura di Gabriella Argnani, contenente un'intervista a Joan Tronto, e un saggio di July Mostow.
Sul piano strettamente culturale da segnalare un dialogo con Tarquinio Maiorino, Giuseppe Marchetti Tricamo, Piero Giordana sull'Inno di Mameli, un ampio saggio di Michel Ostenc su "Mazzini, Lamennais e il Centre démocratique européen (1836-1848)", un'intervista alla scrittrice Sabrina Gioda e un intervento di Mario Bevilacqua su Victor Hugo nel bicentenario della nascita.
Ampio spazio viene dedicato alle recensioni e alle segnalazioni librarie, attraverso cui si delinea un vero e proprio percorso culturale, mentre tra le lettere spicca una puntualizzazione dell'On. Stefano Servadei relativamente al dibattito apertosi attorno al libro "La Romagna" di Roberto Balzani.


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Mazziniani in SARDEGNA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=73060
Associazione Mazziniana Italiana
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=2011
Bicentenario nascita Giuseppe Mazzini (1805-1872)
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=133506
Mazziniani in PIEMONTE
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=15575
Mazziniani nel VENETO
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=4105
Mazziniani in SICILIA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=29799
Il Risorgimento ..... e dintorni
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=2302
Mazziniani in EMILIA e ROMAGNA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=11850
Discussione su Mazzini e il Repubblicanesimo - consensi - immagine - visibilita'
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=21596
Socialismo Mazziniano....per rafforzare il P.R.I ... dal Pensiero all'Azione ...
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=5260
Un 20 Settembre di 132 anni fa...."la breccia di Porta Pia"
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=25441
Mazziniani nel LAZIO
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=15218
Mazziniani in Lombardia
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=3144
Mazziniani in Friuli e nella Venezia Giulia
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=11489
Mazzini e Garibaldi
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=27459
Aurelio SAFFI...triunviro della Repubblica Romana ... con MAZZINI e ARMELLINI
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=5485
Influenza del Pensiero Mazziniano sull'Azionismo
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=62791
Mazzini in Chiesa ... e nella vita di tutti i giorni
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=7109
Chi onora Mazzini / Garibaldi / Oberdan etc etc ... in ricordo dei nostri Eroi
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=14893
Pisa & Domus Mazziniana
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=111677
Mazziniani in CALABRIA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=18657
Itinerari storico turistici : Le colline del Risorgimento
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=3072
Il "fallimento" del Risorgimento....Montecitorio 14 novembre 2002
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=32035
Garibaldi e Anita, benedette nozze
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=17719
Mazzini batte Marx
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=5382
Mazzini, osannato dai nemici della Chiesa
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=42789
Mazziniani nelle MARCHE
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=15577
Mazziniani in UMBRIA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=145041
Mazziniani in ABRUZZO
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=145000
Mazziniani in TOSCANA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=11487
Divagazioni su Mazzini ...
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=43038
Mazziniani in Campania
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=15010
Un pericoloso terrorista internazionale ... (Giuseppe Mazzini)
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=39360
Mazziniani in LIGURIA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=13432
Il PENSIERO MAZZINIANO
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=16664
Mazziniani nel MOLISE
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=129605
Mazziniani in PUGLIA
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=11493
Mazziniani in Basilicata
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=51126

nuvolarossa
09-07-02, 18:58
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PENSIERO01.JPG

La copertina dell'ultimo numero

Alberich
09-07-02, 19:10
l'ultima volta che sono andato a cercarlo mi è stato risposto che non lo ricevevano dal '98, spero di essere più fortunato, stavolta.

nuvolarossa
09-07-02, 19:14
E' molto piu' comodo riceverlo in abbonamento......non si perde un numero.

Giriamo comunque la segnalazione, relativa alla Libreria Feltrinelli in Milano, agli amici dirigenti dell'A.M.I. che leggono questo Forum, in modo che possano eliminare l'inconveniente messo in evidenza.

nuvolarossa
11-07-02, 17:51
Il Segr. Agg.to Org.vo A.M.I.
Nicola Poggiolini
ci informa che a Milano, presso le librerie Feltrinelli, arrivano regolarmente ed ininterrottamente le copie del Pensiero Mazziniano, sulla base delle richieste che sono precisamente:

n° 2 copie in Via Manzoni, 12
n° 2 copie in Santa Tecla, 5
n° 3 copie in C.so Buenos Aires, 20

Queste stesse copie vanno subiro a ruba, naturalmente e sarebbe opportuno, per chi lo desidera, prenotare la sua copia.

Nello specifico l'amico Alberich, potra' inviare la sua richiesta direttamente all'AMI Nazionale, indicando il suo indirizzo, e la Segreteria Organizzativa provvedera' ad inviargli la copia che desidera.

Alberich
11-07-02, 18:00
ti ringrazio tantissimo. avrò trovato dei commessi poco esperti. appena ho tempo provvederò.
grazie ancora

nuvolarossa
24-09-02, 04:32
Il n.3 del 2002,
del PENSIERO MAZZINIANO,
e' consultabile, in molti
suoi articoli, sulla rete.....
cliccare qua sopra
http://www.domusmazziniana.it/ami/r2.gif
(http://utenti.lycos.it/tigulliorepubblicano/pm.htm)

agaragar
24-09-02, 05:23
il pensiero mazziniano...è imbarazzante...

sempre poco diffuso perchè se la gente lo conoscesse,
si renderebbe conto di che trombone fosse 'sto mazzini,
buttiglione al confronto suo sembrerebbe un laico...

Anita
24-09-02, 08:57
ti rassomiglio alla famosa "mosca merdaiola" che prima si posa a banchettare e poi disperde con le zampette sui vari Forum i rimasugli del suo banchetto!
Dovresti sostituire il Braccio di ferro, impavido difensore di donzelle, con l'immagine di una tze-tze, molto piu' somigliante al tuo personaggio!

agaragar
24-09-02, 10:37
Originally posted by Anita
ti rassomiglio alla famosa "mosca merdaiola" che prima si posa a banchettare e poi disperde con le zampette sui vari Forum i rimasugli del suo banchetto!
Dovresti sostituire il Braccio di ferro, impavido difensore di donzelle, con l'immagine di una tze-tze, molto piu' somigliante al tuo persobaggio!
che ti devo dire?
anche quello da "repubblicano" è uno stipendio...

ma qualcuno potrebbe dire:
"vile, tu uccidi un uomo morto".


___________________
l'ano della repubblica.

Anita
24-09-02, 10:46
Devi metterci maggiore impegno nelle battute, perche' come cabarettista mi sembri alquanto scarso.
Come ragionamenti politici conseguenti il voto e' quattro.

nuvolarossa
17-01-03, 00:14
http://www.ilriformista.it/images/logo_m.gif
-------------------------------------------------------------------
Cosi' il quotidiano "Il Riformista" ha visto Maurizio Viroli, Presidente della Associazione Mazziniana Italiana.

Ogni tanto, una stella attraversa il firmamento dell'etere e ti abbaglia con la sua luce, lasciando una macchia indelebile nella retina, una memoria di sé che ti accompagnerà per sempre. Ci è successo l'altra sera osservando Maurizio Viroli.
Del suo maestro Bobbio ha la profondità dell'analisi, arricchita da un buon senso alla Catalano, da un lirismo alla Marzullo, da un uso della pausa alla Gassman, da una chioma alla Mrs. Doubtfire e da quel delizioso incespicare sull'italiano un po' così che abbiamo noi che siamo stati a Princeton. L'insieme ne fa un incrocio di specie mediatiche assolutamente perfetto per il piccolo schermo. Attraverso il quale si può pronunciare financo una frase così: «La democrazia non è il diritto di parlare... (pausa) ma il dovere di ascoltare», senza essere presi a pernacchie.

nuvolarossa
31-01-03, 20:13
Il numero 4/2002 del “Pensiero mazziniano”

Il n. 4/2002 del “Pensiero mazziniano”,
rivista trimestrale dell’Associazione Mazziniana Italiana, in vendita presso le librerie Feltrinelli,
si apre con un editoriale di Barbara Spinelli sul problema del rapporto fra Occidente e resto del mondo e sulle conseguenti guerre combattute o incombenti.

Notevole anche il dibattito sul tema “Dispotismo, tirannia e menzona nell’esercizio del potere”, con interventi di Maurizio Viroli, Sauro Mattarelli, Pietro Caruso, Enzo Pesante, Michele Ainis.

Cosimo Ceccuti e Paolo Romano Coppini hanno invece discusso il recente libro di Paolo Bagnoli La politica della libertà: Giuseppe Montanelli e il Risorgimento, mentre Salvatore Cingari, Massimo Montanari e Rossano Pancaldi si sono soffermati su “Benedetto Croce filosofo dell’Italia civile”.

Nella sezione curata da Thomas Casadei e riservata alle “sfide globali” si segnalano gli interventi di Josè Molina (sulle violenze nei confronti di uno dei tanti popoli “dimenticati”, i Mapuche) e di Alessio Sfienti (sulle risposte del repubblicanesimo ai problemi legati alla globalizzazione); oltre a un bel dialogo tra Giuseppe Moscati e Mario Martini sulle figure di Mazzini, Capitini e Gandhi.

Ampio e stimolante lo spazio riservato alla “questione Romagna”, affrontata attraverso la pubblicazione di una pagina della “Gatta rossa”, il libro di Sauro Mattarelli recentemente uscito in libreria e con un ampio saggio dal titolo “La Romagna è una vera regione?”, opera del prof. Franco Cavazza, docente dell’Università di Bologna, che affronta l’argomento dal punto di vista storico, geografico e linguistico.

Sempre di grande interesse la sezione dedicata alle recensioni e alle segnalazioni librarie e agli interventi su temi “brucianti”, come la scuola o la discussione di Claudio Giusti, Sul rapporto pena di morte 2002 di “Nessuno tocchi Caino” .

nuvolarossa
09-02-03, 16:51
MODALITA' PER IL TESSERAMENTO 2003

SOCI ISOLATI -
Sono invitati a rinnovare la tessera sociale per l'anno 2003 versando l'importo (quota minima € 26) nel c.c. postale 25634403, intestato a " IL PENSIERO MAZZINIANO" - c/o A.M.I. - Via Don G.Verita', 33 - 47015 MODIGLIANA (FC).

SOCI DELLE SEZIONI A.M.I. - Sono invitati a rinnovare la tessera sociale per l'anno 2003

MODALITA' VALIDE PER IL 2003
versamento dell' importo nel c.c. postale 25634403, intestato a " IL PENSIERO MAZZINIANO" - c/o A.M.I. - Via Don G.Verita', 33 - 47015 MODIGLIANA (FC).

ABBONAMENTO ANNUO ITALIA € 26
SOSTENITORE € 36
BENEMERITO € 56
ABBONAMENTO ANNUO EUROPA
E BACINO MEDITERRANEO € 34,50
ABBONAMENTO ANNUO ALTRI PAESI € 40

ambaalagi1
10-02-03, 11:27
Nuvolarassa il lavoro che fai è encomiabile. Ti ringrazio

nuvolarossa
10-02-03, 18:39
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI78.gif
a Ambaalagi1 sulle pagine del Forum dei Repubblicani Italiani

nuvolarossa
26-04-03, 00:06
Il n. 1/2003 del “Pensiero mazziniano”, rivista trimestrale dell’Associazione Mazziniana Italiana, in vendita presso le librerie Feltrinelli, si apre con le relazioni del presidente nazionale Maurizo Viroli, del vice presidente Roberto Balzani e del direttore, Sauro Mattarelli, che costituiscono altrettanti documenti di lavoro in vista del XXIII Congresso Nazionale dell’AMI che si svolgerà ad Ancona nel giugno prossimo.
L’editoriale è stato invece affidato alla penna di Claudio Magris, con un articolo sul XXV aprile, festa di tutti gli italiani.
Notevole lo spazio riservato all’analisi delle questioni europee e occidentali e della difesa della Repubblica e della Costituzione, con scritti di Michel Ostenc, Andrea Chiti Batelli, Renzo Brunetti, Michele Ainis, Nicola Tranfaglia, Gianfrancesco Zanetti, Michelangelo Bovero.
La rivista riporta anche, in anteprima, alcuni capitoli, redatti da Marina Tesoro e Fulvio Conti, che fanno parte del volume Almanacco per la repubblica, ( cura di Maurizio Ridolfi) di imminente uscita per i tipi di Bruno Mondatori.
Di grande interesse anche i saggi che appaiono nella sezione dedicata alle “sfide globali”, a cura di Thomas Casadei, con interventi di Salvatore Cingari (sul carattere “flessibile” dell’epoca post-moderna), Flavio Milandri (su oppressione e informazione), Alessio Sfienti (società civile e repubblicanesimo).

http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI226.GIF

nuvolarossa
07-12-03, 11:27
il n. 4/2003 del
Pensiero Mazziniano
e' in visione ...
cliccare su questa frase. (http://www.domusmazziniana.it/ami/pm/tre4/sommario.htm)

nuvolarossa
08-01-04, 23:31
È in libreria il n. 4/2004 del “Pensiero mazziniano”, rivista trimestrale dell’Associazione Mazziniana Italiana. In questo fascicolo, di 256 pagine, si evidenzia un’ampia sezione monografica (“Incontri sull’Europa”), curata dal direttore Sauro Mattarelli e da Thomas Casadei dell’Università di Modena-Reggio Emilia, con interventi di Maurizio Viroli, Guido Montani, Massimo La Torre, Francesco Benvenuti, Vincenzo Randazzo, Marita Rampazi e Mario Barnabè.
Seguono numerosi saggi, tra cui quelli di Paolo Bagnoli, sul Problema della classe dirigente e il rinnovamento della politica, Salvatore Cingari, su Carattere degli italiani e liberalismo democratico, Sandro Bonella su Ugo La Malfa: storia di un testamento ideale.
In tema di “sfide globali” annotiamo gli scritti di Emidio Diodato, Giovanni Tonella e Pietro Caruso. Nella sezione culturale spicca un’ampia intervista a Dante Bolognesi, che prende lo spunto dal suo ultimo libro Uomini e terre di Romagna. Saggi di storia rurale (Ed. Il Ponte Vecchio) e un saggio di Emilio Costa, che introduce un testo inedito di Ferdinando Martini: il primo editorialista a descrivere le reazioni alla notizia della morte di Giuseppe Mazzini.

http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PM403.jpg (http://utenti.lycos.it/nuvolarossa44/modules/news/)

nuvolarossa
05-07-04, 19:44
Il Pensiero Mazziniano n° 1/2004 è attualmente in stampa, e dal 12/7 sarà messo in spedizione.
Dalla lettura delle prime pagine si capira il motivo del ritardo ... dovuto alle dimissioni da Direttore Responsabile di Sauro Mattarelli.
Si anticipa che la cadenza passera' da trimestrale a quadrimestrale in quanto successivamente (a settembre) sarà accompagnato da un supplemento "Azione Mazziniana" che riporterà le cronache dell'AMI e le lettere al Direttore.

.... come ricordo con piacere gli anni di Direzione dell'amico Piergiovanni Permoli
che era riuscito a coniugare lo stile giornalistico ... con le capacita' letterarie ... l'eclettismo culturale ... e la profonda umanita' mazziniana ....

http://www.nuvolarossa.org/modules/news/

nuvolarossa
10-07-04, 00:37
Cari lettori,
questo è l’ultimo numero del “Pensiero mazziniano” che esce a mia direzione.
Sono giunto alla non facile decisione dopo aver constatato che all’interno dell’Associazione Mazziniana Italiana si è aperta una nuova fase, importante e delicata, che non può vedermi protagonista. Cercherò di spiegarvi brevemente perché.
Quando, circa sette anni fa, Giulio Cavazza mi chiamò alla guida della nostra rivista, chiedendomi di subentrare a un amico stimato come Piergiovanni Permoli, pose, come unica condizione, l’impegno a difendere, con le unghie e coi denti, l’indipendenza intellettuale. Mi conosceva bene, per quello che avevo fino ad allora scritto, per i comportamenti politici, le posizioni culturali, le battaglie compiute in vari campi e mi chiese soltanto di essere me stesso. Difficile rifiutare un’offerta simile, preziosa, rara, anticonformista; anche se l’impegno comportava notevoli sacrifici. Impostai il lavoro avendo presenti alcuni obiettivi ben chiari: inserire il mazzinianesimo nel fertile alveo del repubblicanesimo (o neorepubblicanesimo), aprirlo al confronto con gli altri grandi filoni culturali nazionali e internazionali, affrontare, direttamente o indirettamente, attraverso analisi severe, alcuni temi contemporanei cruciali: le “sfide globali”, i problemi della pace e dello sviluppo, il ruolo e la connotazione della civiltà “occidentale” nell’ambito planetario. Il tutto attraverso gli itinerari, ardui ed affascinanti, legati alla costruzione europea e alle battaglie “interne”, storiche, riguardanti la difesa della Costituzione, il miglioramento della scuola pubblica, la definizione di un compito per il mondo laico di fronte alle questioni etiche e istituzionali, la rilettura del federalismo “cattaneano” (interno ed esterno) contrapposto sia ai ripieghi opportunistici di marchio confederalista, che, soprattutto, alle logiche separatiste. Battaglie ovvie per i mazziniani: si trattava, semplicemente, di vivificare una lunga e inequivocabile storia di appartenenza alla sinistra democratica e antifascista; di unire, attraverso l’impegno intellettuale, il passato al presente. Non una rivoluzione, ma un compito, neppure troppo difficile, a condizione che l’Associazione (e la rivista), attraverso il fertile dibattito sulle “scelte tattiche”, naturale per spiriti liberi come sono i mazziniani, trovasse una sostanziale unità di intenti sui grandi obiettivi strategici.
Non sta a me trarre bilanci, ma in questi anni, sia con l’ultima gestione Cavazza, sia con la presidenza Viroli-Balzani, l’AMI è riuscita a esprimere una chiara ed apprezzata politica culturale. La rivista ha favorito incontri a cui hanno partecipato disinteressatamente intellettuali italiani e stranieri a fianco dei sempre validi apporti degli iscritti, a cui si sono progressivamente uniti i contributi di giovani studiosi che, nel frattempo, avevano avuto modo di avvicinarsi ai nostri percorsi. Giornali, riviste italiane e straniere, radio, televisioni, seppur non senza qualche diffidenza, hanno dovuto riprendere i nostri studi, le nostre osservazioni; i lettori sono più che raddoppiati, attratti da una nuova via del dialogo a tutto campo: lontana anni luce dalle logiche della “comunicazione” massificata, esercitata attraverso lo strapotere dei media. Un rifugio contro la noia delle notizie edulcorate per non dispiacere ai potenti, addomesticate, se non proprio direttamente controllate.
Si era nel contempo presentata la necessità di una risposta “strutturale”, capace di adeguare l’organizzazione al rapido evolversi degli eventi: occorreva migliorare la diffusione, imprimere maggiore cura editoriale, profondere un impegno redazionale più assiduo, garantire un allargamento della partecipazione al dibattito. Era per questo che, nel 2003, il congresso di Ancona prima e la direzione nazionale dell’AMI poi, deliberarono misure atte a vivificare la distribuzione e decisero di affiancare alla rivista un foglio “snello” che consentisse una migliore diffusione, un maggior coinvolgimento dei lettori, più tempestività di fronte all’incalzare degli avvenimenti. Questo organo di stampa uscirà, spero, fra poco.
L’AMI sembrava così poter felicemente racchiudere, col nucleo del mazzinianesimo puro, anche l’anima di un repubblicanesimo che, nell’agone della battaglia politica italiana, a livello partitico, conosceva, intanto, la diaspora più grave della sua storia. Un piccolo partito dalla tradizione storica chiarissima e pressoché immacolata, stava infatti incredibilmente disperdendo, in pochi lustri, un immenso patrimonio etico-culturale.
Non so fino a che punto l’onda lunga della triste deriva del Partito repubblicano abbia investito l’Associazione mazziniana italiana. Di certo, da qualche tempo, hanno fatto capolino “logiche” che sono prerogativa della peggior partitocrazia e di un diffuso malcostume politico: sospetti, veti, equilibrismi, polemiche, strumentalizzazioni di infima lega, giochi sottobanco si sono progressivamente intensificati, sia in sede congressuale, sia in vista degli appuntamenti elettorali o in occasione di semplici ricorrenze. Nessuno è ingenuo. L’età contemporanea ci ha abituati a confrontarci con “certi strumenti”: sicuramente da biasimare, ma, tutto sommato, comprensibili quando in palio c’è il potere “che conta”. In questo caso ci troveremmo però di fronte solo a gratuita ansia distruttiva, derivata forse da una aridità intellettuale che ci si illude di placare occupando spazi che possono invece sopravvivere solo grazie alla salvaguardia di un comportamento corretto, di una autentica pratica di civiltà, di studi seri e impegnativi. Nicchie come l’AMI continuano ad esistere perché in esse molti vedono un’oasi, un rifugio, un riferimento ideale.
Il compito, per i dirigenti dell’AMI (uomini che non svolgono attività politica come prima professione), si è fatto perciò ora difficilissimo. La democrazia è un fiore fragile e delicato e basta poco per fermare un processo: una serie di veti incrociati, l’uso improprio delle strutture, qualche ostacolo posto al momento giusto. Il “ritiro sull’Aventino” del Presidente d’onore e le recenti dimissioni (ora appena ritirate) del Presidente effettivo non sono che gli aspetti più appariscenti di questo profondo disagio. L’Associazione sembra adesso di fronte a un trivio: seguire la sorte del Partito repubblicano e dividersi; stringersi attorno a un minimo comune denominatore e cercare di mantenere “l’unità nonostante tutto”, ritagliandosi un ruolo “archivistico” di difesa della propria purezza e della propria storia. Oppure, ancora, accettare con disinvoltura la realtà, dotarsi di una struttura “a mosaico” e farsi semplice contenitore delle diverse “anime”.
Nessuna di queste strade potrà vedermi alla guida della rivista perché, ovviamente, nessuna consente de facto di perseguire gli obiettivi iniziali di fondo che ho cercato sommariamente di descrivere e che giustificano il mio impegno. Il recentissimo fallimento del progetto editoriale sopra menzionato, seppur dovuto a motivi “tecnici” (che però esistevano anche al momento in cui il progetto stesso fu elaborato e che nessuno, finora, aveva sollevato), costituisce una prima conferma pratica di questa analisi. La scelta di autoridurci al rango di una qualsiasi, onorata, “Fondazione di studi” o di un “luogo” in cui convergano “politiche” di segno svariato, anche contrapposto, può ora essere salvifica per l’Associazione, intesa come struttura. Non so, invece, se si riuscirà a salvare in questo modo lo “spirito del mazzinianesimo”, ovvero l’imperativo che impone di avere chiara almeno la “meta ultima”e che detta quindi anche i percorsi, i quali possono sì, naturalmente, essere diversi, ma non opposti o contraddittori. Non c’è sicuramente bisogno che il direttore del giornale che si rifà a Mazzini spieghi l’importanza basilare della coerenza tra il pensiero enunciato e le azioni prodotte.
Siamo dunque di fronte a una fase difficile per il superamento della quale non posso che contribuire, paradossalmente, con queste dimissioni prodotte come doveroso atto concreto di intima e logica coerenza. Atto certo doloroso, a meno di un anno dal bicenteneario mazziniano; ma, in tutta evidenza, atto non drammatico; atto semplice e serenamente dovuto, se le premesse sopra esposte sono corrette. Potrei, naturalmente, avere sbagliato analisi; ma allora, a maggior ragione, che se ne farebbe l’AMI di un direttore del suo periodico capace di errori così grossolani?
Prima di questa scelta ho dialogato per settimane, per mesi, con tanti amici. Quasi nessuno mi ha suggerito di seguire ciò che ritenevo intimamente giusto. Molti mi hanno parlato di tempi sbagliati, come se ci fossero tempi in cui i princìpi valgono ed altri in cui non valgono; alcuni hanno addotto esigenze “di struttura”, come se proprio Mazzini non ci avesse insegnato a non fare mai dipendere i nostri ideali dalle strutture o dagli interessi contingenti; altri ancora mi hanno parlato della solitudine, del disorientamento, in cui lascerei i lettori, specialmente i numerosi giovani che si sono avvicinati in questi ultimi anni. Proprio a loro ho pensato con maggiore preoccupazione e a tratti con angoscia; ma quale lezione offrirei proponendomi come uomo adatto per tutte le stagioni? Quale pedagogia civile? Basterebbe il risalto delle celebrazioni del bicentenario? Il bagliore ingannevole di qualche luce riflessa? O non sarebbero questi “effetti speciali” proprio il peggior atto di accusa? Il segno inequivocabile dell’omologazione, della accettazione della logica ambigua dei “poteri forti”? Scelgo dunque, in solitudine, di servire questi giovani continuando a svolgere il mio compito di mazziniano di base. Studierò, scriverò ancora, parlerò volentieri a chi mi vorrà ascoltare. Aiuterò disinteressatamente il mio successore nelle passaggio delle consegne, con la coscienza che egli si assume un compito non facile, ma sicuramente alto e di grande dignità civile, che io, in questa fase, non posso più svolgere.

Una annotazione a latere. Questi anni di vera comunicazione con i lettori sono stati esaltanti e li serbo come un patrimonio personale preziosissimo. Molti di voi hanno saputo prendermi pazientemente per mano e insegnarmi molte cose, giorno dopo giorno. Per questo motivo desidero ringraziare di cuore tutti ad uno ad uno e sarebbe un imperdonabile errore scrivere adesso dei nomi, fossero anche quelli delle più alte cariche della nostra associazione, da cui, peraltro, ho sempre avuto, fino all’ultimo, attestati di stima e considerazione. Un ricordo speciale però va rivolto ad uomini che non ci sono più e che hanno contribuito a segnare in maniera così nobile la storia dei mazziniani del secondo dopoguerra. È in omaggio all’amicizia verso persone indimenticabili come Tramarollo, Parmentola, Cavazza, Aiazzi, che rivolgo un pensiero grato alla redazione: attiva e capace di appassionare i giovani, di parlare con loro, di accoglierne la voce. Nell’ultimo progetto editoriale (non andato in porto) erano stati coinvolti molti ragazzi e ragazze che già collaboravano intensamente e disinteressatamente con la rivista. Abbraccio, per tutti, Thomas Casadei, che avevo individuato come ottimo capo redattore, per l’intelligenza, la competenza, la puntualità, la passione, la cultura. Su forze come queste dovrà investire il mazzinianesimo del futuro, il repubblicanesimo, l’Europa civile che abbia ancora la voglia e la forza di impegnarsi, che senta il dovere di partecipare alla costruzione di un mondo migliore.

Sauro Mattarelli

nuvolarossa
10-07-04, 00:39
Nel momento in cui è stata reso noto il testo della lettera con cui Sauro Mattarelli, direttore del “Pensiero mazziniano”, ha rassegnato le dimissioni dal suo incarico, abbiamo ricevuto diverse reazioni. In questa sede pubblichiamo due interventi, chiaramente indipendenti l’uno dall’altro: una proposta di Roberto Balzani, e una Lettera di Maurizio Viroli, con cui del Presidente e il Presidente d’Onore dell’AMI esprimono, per i nostri lettori, le loro valutazioni.

È difficile presentarsi agli amici dell’Ami, di fatto per la prima volta, con le dimissioni del direttore del PM sul tavolo e con una lettera di commiato sulla rivista. È doppiamente difficile poi, per me, che sono legato a Sauro da una amicizia che dura un quarto di secolo e che, posso tranquillamente scriverlo, mi trovo a essere presidente dell’Associazione proprio in virtù delle affettuose pressioni di cari amici come lui.
Che cosa succede nell’Ami? La situazione è davvero così compromessa, al punto da giustificare il venir meno di un perno importante del “sistema” di Ancona, e cioè Sauro Mattarelli? Francamente, credo di aver frequentato con una certa assiduità, in questi mesi, l’Ami periferica, recandomi dove sono stato invitato: ho trovato sale piene, da Napoli a Massa, a Milano, alle Marche, a tante altre realtà grandi e piccole (per non parlare della “solita” Romagna), e, dovunque, una diffusa volontà di rappresentare una cultura minoritaria ma dignitosa, democratica e civile. E un minimo comune denominatore, questo sì: la storia, il pensiero, il messaggio di Giuseppe Mazzini.
Può darsi che Mazzini sia un pezzo d’antiquariato, e che, di conseguenza, confrontarsi con lui, a distanza di 170 anni, rappresenti un esercizio sterile e improduttivo. Lo concedo, naturalmente. Coloro che non sono direttamente interessati a Mazzini, e nonostante questo stanno nell’Ami, hanno sbagliato casa. Perché, per gli affiliati all’Ami, Mazzini viene prima di tutto: del neorepubblicanesimo, delle sfide globali del mondo, dei partiti e dei movimenti che alla tradizione laica fanno riferimento.
Aggiungo, però, che – a mio modo di vedere – il ritorno a Mazzini non è affatto in contrasto con la visione “aperta” che Sauro ha perseguito in questi anni col PM, sull’onda della vague neorepubblicana di Maurizio Viroli. Ho sempre trovato estremamente stimolante il lavoro di Sauro e, come egli ben sa, l’ho sempre difeso, perché sono persuaso che, di queste sollecitazioni intellettuali, l’Ami abbia bisogno, e soprattutto nel momento in cui intende intercettare una quota di opinione pubblica giovanile. Sauro, del resto, non è mai stato censurato. Nessuno l’ha mai limitato nelle scelte editoriali. Nessuno, nel Congresso e in Direzione nazionale, l’ha mai criticato. Dico questo, perché non vorrei che taluni accenti del suo commiato suonassero come reazione a presunte prevaricazioni e a “blocchi” imposti alla sua libertà di direttore. Le sue valutazioni, da rispettare dalla prima all’ultima riga, rappresentano un disagio prima di tutto personale, l’interruzione di un momento magico che, per Sauro, consisteva in un equilibrio fragile e quasi miracoloso fra uomini molto diversi per carattere, formazione, inclinazioni.
C’è un punto, secondo me, intorno al quale ruota la difficile coagulazione di un assetto stabile dell’Ami dal punto di vista dell’identità. E questo punto, lo dico chiaramente, ha un aspetto, più che una sostanza, politica. L’aspetto è quello della collocazione dell’Ami: a sinistra? Al centro? Da nessuna parte? Esiste, indubbiamente, una parte di amici che ritengono i temi del mazzinianesimo e del neorepubblicanesimo come funzionali, o comunque collaterali, ad espressioni della politica partitica attuale. Il problema, per questi amici, è quello di identificare un nucleo di valori basici (diciamo, in senso lato, “dottrinari”) che, non già per scelta esplicita, ma come deriva naturale, rendano l’Ami un’organizzazione militante nella contemporaneità. Si tratterebbe, allora, di sintetizzare questo credo e di stabilire una sorta di vincolo ideologico “forte” fra il socio e la struttura. Il prodotto di questo ragionamento è un partito surrettizio, un cripto-partito.
Ora, penso di avere alle spalle una vita sufficientemente lunga nell’Ami per sapere che, a partire dall’epoca dei nostri “padri fondatori”, questa linea è stata sempre considerata dai presidenti e dalle Direzioni che si sono succedute nel tempo come assai pericolosa.
Se c’è un rischio latente, nell’approssimarsi del bicentenario, è proprio – per l’ennesima volta – l’uso politico-partitico del mazzinianesimo. Che è, poi, la ragione vera della mancata “nazionalizzazione” o “universalizzazione” di Mazzini, ad oltre 130 anni dalla sua scomparsa: Mazzini, in altre parole, non è ancora un padre della patria accettato da tutti (come dovrebbe e come auspica, ne sono sicuro, anche il Presidente Ciampi), perché è sempre finito schiacciato su singole parti politiche, che lo hanno usato senza troppi problemi. Spesso attribuendogli significati opposti. Basti pensare al 1943-1945, quando Mazzini divenne un emblema della Repubblica sociale di Mussolini per giustificare un improbabile “conversione” in senso “neorepubblicano” del fascismo (oltre che per tacciare la monarchia di tradimento), e, nello stesso tempo, la radice morale del Partito d’Azione, che dal Risorgimento democratico traeva addirittura il proprio nome, quasi una sorta di rivendicazione filologica della matrice originaria. E come non aggiungere che l’Ami nacque proprio allora per preservare un’identità mazziniana “pura”, al di là delle diverse declinazioni emerse nel corso della guerra civile?
Il discorso è lungo, complesso e credo meriti di essere sondato a fondo. Abbiamo il dovere, come mazziniani, di restituire criticamente le diverse interpretazioni di Mazzini nel XX secolo. E di chiederci, poi: “perché?” Perché Mazzini, più di Garibaldi?
Dicevo poco fa: questione nell’aspetto - più che nella sostanza - politica, quella che oggi ci affatica, e che sembra talvolta creare dissensi insuperabili fra noi. Aspetto, giacché la sostanza, quella vera, è culturale. E sta tutta dentro la storia del mazzinianesimo.
Mazzini è davvero il punto d’intersezione di più piani e di più urgenze. C’è l’urgenza “nazionale”, la costruzione – anche nella penisola italiana - dello stato-nazione “all’occidentale”. Mazzini inventa il discorso pubblico nazionale, lo rende socialmente disponibile, definisce il perimetro di questa inedita dimensione della socialità. È naturale che chiunque, a vario titolo, s’identifichi, nel corso del XIX e del XX secolo, con la questione della nazionalità, ma anche del nazionalismo (come ricordava Roberto Vivarelli in un bel contraddittorio con Alessandro Galante Garrone apparso sulla “Rivista storica italiana” un ventennio or sono) debba fare i conti con questo precursore. Non c’è dubbio che il nodo stato-nazione sia uno dei grimaldelli per “universalizzare”, nel nostro paese, la figura di Mazzini: con tutti i distinguo e i pericoli che l’esplosivo magma nazionale - una sorta di buco nero capace attrarre un’immensa energia ed un immenso potere – porta con sé, e che sono tutti enumerati lì, sulle colonne di piombo della “Roma del Popolo”, quasi a chiosa e a monito per le generazioni venture. “Nazionalità”, “nazionalismo”: Mazzini, nel 1871, è già in grado di discernere con esattezza le virtù e i rischi immanenti nel “blocco” di interessi materiali che si va solidificando intorno al nucleo, ancora allo stato liquido, dell’idea nazionale.
Viene poi l’urgenza repubblicana, o democratica, o – meglio ancora – del “governo sociale” (come ci ricorda Salvo Mastellone): l’esigenza, cioè, di stabilire un quadro di istituzioni e di leggi per assicurare la libertà e l’eguaglianza dei cittadini. In questo consiste, forse, il punto di contatto più forte con la teoria neorepubblicana americana. La cornice di norme (“poche e caute”, secondo il monito di Mazzini del 1849) che definisce il confine formale della repubblica appare inutile, se non è vivificata da una passione civile dal basso, attraverso lo strumento associativo, quello che già Gaetano Salvemini aveva brillantemente definito il “precursore collettivo”. Attenzione, però. La “passione civile” non si esaurisce in una pura “retorica democratica”, in una ritualizzazione dell’identità repubblicana, della quale pure noi stessi siamo spesso protagonisti, nel momento in cui operiamo – su scala locale – la manutenzione della tradizione risorgimentale. La “passione civile” non è solo una teoria accademica, un discorso pubblico, un libro ben scritto, un convegno partecipato. La “passione civile” è azione, giacché in questo consiste la peculiarità del ragionamento mazziniano. E questo trapasso dal pensiero all’azione, nel quale finisce per essere impossibile distinguere l’una dall’altro, come si deposita sul fondo della vita reale? Come si vede? Come si misura? La risposta sta ancora in Mazzini: attraverso la dimensione associativa.
L’associazione, in altre parole, cambia ciascuno di noi quando, su obiettivi pur limitati, mette in gioco la nostra disponibilità a riconoscerci nella fraternità, a rispecchiarci nell’altro, a collaborare. La selezione fra chi ci crede e chi non ci crede è immediata. Si capisce subito, allora, nel momento in cui bisogna mettere sul piatto, gratuitamente, un pezzo di noi, se il legame sociale è più forte dell’orgoglio individuale, o dell’uso strumentale dell’associazione. Quali possono essere gli obiettivi dell’azione sociale? La difesa civile della legalità, a partire da quella costituzionale (un tema tipicamente mazziniano); la scuola come elemento di coesione del tessuto democratico nazionale; l’integrazione dei più deboli e dei più marginali dentro la sociabilità repubblicana. Sembrano idee grandi, ma possono essere declinate in tante piccole iniziative: come già succede, da Cosenza a Gallarate. Dove il lavoro comune conta più delle risorse (sempre molto modeste) che si hanno a disposizione.
E c’è, infine, un’ultima urgenza, quella più tipica e più peculiare del mazzinianesimo: la dimensione religiosa. Attualissima. Il tema della fratellanza e quella del dialogo inter-religioso, riscoperto dalla Chiesa post-conciliare, non sono una novità. Mazzini, lo sappiamo tutti, individuava nella “religione”, intesa come sedimentazione delle massime universali portate come contributo dalle varie religioni positive alla vicenda collettiva, il terreno propizio alla riconciliazione della “famiglia” umana, il contesto all’interno del quale si sarebbe più facilmente passati dalla frantumazione egoistica delle fedi, dei poteri, delle civiltà, alla ricomposizione finale della specie. Per questo, egli definiva il suo movimento un partito religioso, a differenza degli altri, politici, destinati a perire. Se noi non comprendiamo il senso di questo discorso culturale, non potremo mai rispondere correttamente alla domanda: “da che parte sta Mazzini?”.
E rieccoci al punto. Se questo è il nostro “archivio” polveroso, la risposta sta fra queste carte, non altrove. “Dove andare” ce lo dicono loro. Anzitutto, ci dicono che – in occasione del bicentenario – non possiamo rinchiudere Mazzini nella gabbia frantumata del repubblicanesimo politico contemporaneo. Mazzini è colui che rende possibile pensare lo stato-nazione in Italia. Ma il nation building non è un processo locale: è il grande processo che trasforma la “periferia” europea nel centro del mondo, fra XIX e XX secolo. Quindi: il Risorgimento, che va a cominciare realmente solo nel 1831, con la Giovine Italia, come contributo all’occidentalizzazione del nostro paese. E poi, la Giovine Europa, premessa ad una dinamica unitaria, più larga e più vasta, fondata sui popoli. E, infine, l’Alleanza repubblica universale, per andare oltre, alle origini della koinè occidentale di cui oggi percepiamo, insieme, la potenza e la fragilità. Non è poco. Su questo terreno, credo, deve giocarsi il rapporto con le scuole, per radicare (finalmente) una memoria corretta e condivisa dell’Apostolo. È il cerchio più largo creato dal sasso mazziniano caduto nell’acqua (un po’ stagnante) della nostra patria.
C’è, poi, il bisogno, percepito da tutti noi, di reagire allo sfaldamento morale della nostra società. Al quale non si può opporre, come purtroppo capita spesso anche a noi di recitare, un sermone moralistico, un bel pistolotto retorico, così tipico del trombonismo degli epigoni di Mazzini. Un dire separato dal fare, un pensiero scollegato dall’azione. E badate che il moralismo non è solo quello ottocentesco: moralistico è pure il vaniloquio sui massimi sistemi, l’appello ai buoni sentimenti, l’enunciazione dei problemi del mondo di fronte ai quali non ci si può non indignare, la prosopopea accademica. Roba melensa e nociva, per noi e soprattutto per gli altri, a partire dai giovani. Noi non dobbiamo persuadere nessuno, né prendere i voti di nessuno. Dobbiamo testimoniare semplicemente quello che siamo: una minoranza che sfida il luogo comune, la strumentalizzazione quotidiana degli esseri umani, il conformismo, in nome di una dignitosa, semplice, fresca fraternità. E quindi agiamo: andando nelle scuole, raccogliendo il disagio degli insegnanti per la difficoltà di formare i giovani. E però, poi, cercando pure di dare risposte, indicando ai genitori che cosa chiedere e cosa scegliere nella grande fiera dei “progetti” che si prepara nei nostri istituti. E quindi agiamo: contattando i lavoratori immigrati, invitandoli – come faceva Mazzini in Inghilterra con gli italiani! – a piccole occasioni di ritrovo, per spiegare loro la virtù dell’associazione e, di conseguenza, il modo civile per chiedere qualcosa alla comunità. E quindi agiamo: tenendo viva – come fanno egregiamente gli amici di Livorno – i segni locali del Risorgimento, creando percorsi fra i nomi delle strade, fra le lapidi dei cimiteri, fra i monumenti. E quindi agiamo: affrontando anche questioni di attualità, senza dubbio, ma con un metodo anticonformistico, che spiazzi l’interlocutore, che provochi riflessioni, che metta in moto in chi ci ascolta il ragionamento autonomo e la passione civile. Sono d’accordo con Sauro. Non basta fare dibattiti a più voci, rendere l’Ami una sorta di “Porta a porta” ambulante. Non abbiamo bisogno di questo. Però ciò significa che le sezioni, prima, devono discutere, i soci devono dibattere per poter rispondere preventivamente – insomma – alla domanda delle domande: “affrontando pubblicamente questo problema, sono davvero convinto di portare un sovrappiù di idee, un punto di vista che, anche se non condiviso, faccia tuttavia crescere chi mi ascolta?”. Se la risposta è “sì”, fatelo: siete mazziniani.
E poi bisogna cercare di vivere la realtà dell’associazione. Ritrovarsi, anche in occasioni piacevoli, per testimoniare che la fraternità non è solo sulla carta, ma è una dinamica della nostra vita di relazione. Non sempre ci si riesce, d’accordo. Ma bisogna tentare.
E la politica? – potrebbe chiedere qualche lettore malizioso. Ma perché, scusate, io di che ho parlato fino adesso? Non è politica rendere Mazzini “patrimonio nazionale”? Non è politica cercare di difendere – attraverso il metodo associativo – pezzi importanti della nostra Repubblica? Non è politica testimoniare nei fatti - in un mondo di isolati, di distratti, di egoisti – che ha senso far risuonare ancora la parola fratelli? Può darsi che tutto questo non sia sufficiente, che non cambieremo il mondo, o che il nostro impegno sarà vano, perché “altri” sono i problemi. Può darsi. Ed io rispetto profondamente coloro che, non credendoci più, mollano la presa, per rinchiudersi in se stessi o per cercare altre strutture più confacenti ai loro bisogni del momento.
Ma noi abbiamo il dovere, come mazziniani, di percorrere la nostra strada e di rendere evidente la irriducibilità della proposta mazziniana a schieramenti, ideologie, schematismi, gabbie mentali, gruppi di potere, partiti, ecc. Perché il nostro problema, vedete, non è quello di sapere se l’Ami debba essere favorevole, agnostica o contraria al governo Berlusconi. Il nostro problema – che resterebbe tale anche sotto un ministero di sinistra - è costruire un’Umanità fatta di donne e di uomini consapevoli, liberi, che si riconoscano come fratelli. Un obiettivo talmente smisurato da giustificare, per definirlo, un sola, grande parola: religione. Come voleva Giuseppe Mazzini, in fondo.

Roberto Balzani

nuvolarossa
10-07-04, 00:40
Caro Sauro,
Ho letto la tua lettera di dimissioni da Direttore del Pensiero Mazziniano e il tuo commiato. L’una e l’altro sono documenti nobilissimi, dettati, nel più limpido spirito mazziniano, alla priorità dell’ideale su tutto.
Condivido la tua analisi dello stato dell’AMI dopo il Congresso di Ancona: un’associazione oramai collaterale al PRI, senza identità ideale, semplice coacervo di posizioni fra loro inconciliabili.
Tu ed io volevamo un’AMI completamente diversa: autonoma perché oltre ai partiti politici, con una forte identità ideale caratterizzata dall’impegno di andare con Mazzini oltre Mazzini e dialogare con le migliori tendenze della cultura repubblicana e democratica internazionale e nazionale, per essere educatori di valori repubblicani.
In questa prospettiva tu, con l’aiuto di ottimi giovani che hai saputo spronare al lavoro, hai realizzato fascicoli splendidi del Pensiero Mazziniano che hanno posto la nostra rivista al livello delle più apprezzate riviste di cultura politica. Insieme a tanti altri amici abbiamo promosso la straordinaria manifestazione in Campidoglio ‘Per la dignità della Repubblica e per la difesa della Costituzione Repubblicana’, il Convegno di Ravenna su ‘Liberalismo, Socialismo e Repubblicanesimo’, al quale hanno partecipato i migliori nomi della cultura italiana, e tante altre iniziative che ricordo ancora con viva commozione per l’entusiasmo e la passione che avevano saputo far nascere.

L’AMI attuale promuove il 9 febbraio con Nucara, e partecipa a manifestazioni di stampo nazionalista. Di fronte alla mia indignazione, e di molti altri amici, il Presidente Balzani ha risposto che le nostre sono ‘drammatizzazioni’ e ‘pruderie’: non parliamo proprio la stessa lingua. A questo aggiungi, ad eccezione di alcune sezioni, il silenzio sul 25 Aprile, i comportamenti degni di un “teatrino della politica” e hai un quadro desolante, come tu hai descritto in modo impeccabile.

Mentre chiudo la lettera apprendo di un'altra irregolarità del Presidente Balzani, talmente enorme da risultare incredibile. Egli si è infatti presentato al Comitato Nazionale per le Celebrazioni Mazziniane portandosi seco Scioscioli, e nominandolo sul campo rappresentante dell’AMI, mentre il Congresso di Ancona affida esplicitamente a me tale delega per le grandi manifestazioni! A questo aggiungi poi che in un Comitato di quel genere sei nominato dal Ministero. La presenza di Scioscioli era dunque indebita e come tale è stata denunciata pubblicamente, con evidente vergogna dell’AMI.

Di fronte a violazioni così evidenti dei deliberati di Ancona chiedo formalmente la convocazione di un Congresso Straordinario davanti al quale possa deporre la carica di Presidente d’Onore.
Tu scrivi giustamente che non sei uomo per tutte le stagioni. La penso esattamente come te.
Mi auguro che le nostre decisioni stimolino l’AMI e siano di sprone ai tanti, tantissimi ottimi e degni amici, a operare per fermare questo triste declino della nostra Associazione. A te, e a tutti loro, va il mio sentito affetto.

Maurizio Viroli

nuvolarossa
10-07-04, 00:43
Ai lettori che, legittimamente preoccupati per la ritardata pubblicazione di questo primo numero del PM e per gli spunti, anche aspri e critici, che qui trovano negli interventi di Sauro Mattarelli, Maurizio Viroli e Roberto Balzani, diamo una notizia importante.
L’Esecutivo ha promosso un incontro – che è avvenuto il 7 giugno u.s. – tra di autori di tali interventi, i quali hanno discusso in modo informale e franco la situazione, in previsione dei prossimi appuntamenti dell’Associazione. Essi hanno convenuto sul fatto che un chiarimento nell’Ami sia opportuno e necessario, per dare certezza ai tanti amici delle sezioni e adeguata visibilità al nostro sodalizio, in conformità con l’esito unitario del Congresso di Ancona.
Hanno ribadito, tutti, l’opportunità di riportare la discussione all’interno della nostra Associazione, al di fuori da qualsiasi strumentalizzazione politico-partitica. In questa prospettiva hanno convenuto su alcune idee, che costituiranno oggetto di riflessione degli organi nazionali:
a. Per prima cosa, si prende atto dell’irriversibilità delle dimissioni dell’amico Mattarelli, il quale, pur disponibile a partecipare alla vita della stampa Ami, ritiene di dover continuare in altre forme il progetto avviato con il PM. La rivista di cultura politica cui guarda l’amico Mattarelli dovrebbe non dipendere più formalmente dall’Ami, ed il PM – con altro Direttore - dovrebbe essere viceversa espressione di temi di alto impegno universale proprio del pensiero di Mazzini e dei temi politico-culturali propri dell’Associazione.
b. In secondo luogo, gli amici hanno convenuto sull’opportunità di tenere in autunno un’assemblea dell’Ami, alla quale il vertice nazionale dovrebbe portare un progetto sulla struttura e sull’attività dell’Associazione possibilmente unitario, da elaborarsi nel corso dell’estate.
c. Nel caso in cui, come è auspicabile, tale progetto sia il frutto di un’elaborazione comune e di un accordo generale, l’amico Balzani ha proposto che sia l’amico Viroli ad esporlo all’Assemblea, a nome di tutti.
Tali impegni, ne siamo certi, pur non negando la diversità di punti di vista esistenti nell’Ami, fanno tuttavia giustizia di tante inutili ed assurde illazioni sul presunto asservimento del vertice nazionale a questo o a quel potentato politico, e sull’impossibilità di un rapporti aperti fra gli uomini che dirigono l’Associazione. E’ importante che i Mazziniani pensino al proprio futuro in totale autonomia, attraverso un confronto franco e leale. Non mancano le energie, né le volontà, né gli strumenti per farlo.

nuvolarossa
10-07-04, 00:44
E’ sempre triste il momento in cui un amico, al quale ci lega un sodalizio che dura ininterrotto da tantissimi anni, decide di attenuare il suo impegno diretto nell’Associazione, rinunciando – come nel caso di Sauro Mattarelli – alla guida della nostra testata.
Sauro ha firmato la rivista come direttore dal 2° numero del 1997: sostituì, allora, Piergiovanni Permoli, altro direttore di grande esperienza giornalistica. Il buon rapporto tanto con Permoli, quanto con il presidente Cavazza, che riteneva (a ragione) la stampa una delle finalità prioritaria dell’organizzazione nazionale dell’Ami, consentirono a Sauro di gestire il trapasso senza sobbalzi e senza brusche rotture di continuità. E’ vero, però, che, con il trascorrere del tempo – e, in particolare, a partire dal 2000 – la personalità del direttore ha impresso al PM un carattere nuovo e inconfondibile. La rivista si è aperta al dibattito intellettuale e accademico presente non solo nel nostro paese, ma in Occidente. Sono state avvicinate forze giovani e nuove, che hanno reso vitale e, in parte, autonoma dalla Direzione dell’Ami una rivista espressione tradizionale del gruppo dirigente mazziniano.
Sauro, d’altra parte, grazie al suo carattere gentile, alla sua intelligenza e alla sua naturale affabilità, ha saputo porsi come autorevole trait d’union fra l’Ami “strutturata” e il laboratorio che andava costruendo intorno alla sua redazione: e di questo sforzo, condotto sempre con grande signorilità e con grande pazienza, dobbiamo essergli tutti grati.
Ora, a prescindere dai giudizi di ordine politico o più generale che egli esprime nel commiato, va ribadito con forza che i vincoli personali di amicizia con il vertice e la Direzione dell’Ami non sono venuti mai meno; e che, anzi, il “nostro” Direttore non cesserà di cooperare, sia pure da diversa posizione, con l’Associazione e con la sua stampa. L’intero mondo della Mazziniana comprende come – venuta a cadere in questo momento (per ragioni “tecniche”, non disgiunte dalla natura di Onlus del nostro sodalizio) la possibilità di pubblicare il PM con un editore di prestigio nazionale -, si sia aperto in Sauro un dilemma: confermare la natura della rivista quale si presentava, o tentare di proseguire questo percorso in forme più idonee alle aspettative sue e del suo gruppo di giovani brillanti, anche a costo di allentare, almeno formalmente, il vincolo con l’Ami. Egli, certamente sollecitato dal dibattito di questi ultimi mesi, e di cui pure questo numero reca testimonianza, ha preferito imboccare la seconda strada, nonostante i ripetuti tentativi di dissuaderlo da parte del vertice dell’Ami.
Crediamo che, per questo, non debba essere biasimato. Egli è un intellettuale serio e onesto, che ha sicuramente ben ponderato la sua scelta. Nessuno di noi può impedirgli di pensare ad un'altra esperienza editoriale, che rimarrebbe comunque vicina al nostro ambiente. Noi possiamo solo ringraziarlo di quanto ha fatto per noi e dell’impegno che ha profuso in questi anni: esempio di non facile fusione fra una matrice mazziniana e repubblicana vissuta fin dall’infanzia ed un bisogno culturale di “andare oltre”, di aprirsi e di confrontarsi col mondo in trasformazione che, d’altra parte, ha segnato in profondità la più recente stagione dell’Ami.
Quello che confermiamo ai nostri lettori è, comunque, la continuità di questo impegno, al di là delle scelte personali e di sensibilità di Sauro Mattarelli. A lui, oggi, rivolgiamo di nuovo un grande ringraziamento, stringendolo in un abbraccio affettuoso

L’Associazione Mazziniana Italiana

nuvolarossa
26-11-04, 01:23
Un lavoro che continua

La ripresa delle pubblicazioni del PM, sotto la direzione di Pietro Caruso, fa seguito all’uscita recente di AM – frutto dell’impegno di Claudio Desideri con la collaborazione di Caruso - e s’iscrive nello sforzo, che l’AMI sta compiendo, di rilanciare la propria attività in vista del Bicentenario. Si tratta di un passaggio importante e necessario, perché i nostri soci sono legati alla struttura nazionale in primo luogo grazie alla stampa, che, al nostro interno, è ancora veicolo privilegiato di dibattito e di circolazione delle idee. Attraverso AM e PM, inoltre, rimbalzeranno nella varie sezioni i temi discussi in Direzione nazionale, e sarà possibile, di conseguenza, diffondere più di quanto finora siano riusciti a fare la nostra cultura politica.
Ma il PM, in particolare, non è destinato solo a registrare l’eco del pensiero dell’Associazione. Grazie ad esso, continueranno ad entrare nell’Associazione sollecitazioni e contributi esterni: alcuni omogenei al nostro punto di vista, altri francamente eterodossi. Li accoglieremo tutti con interesse e curiosità, convinti come siamo che il mazzinianesimo sia una scuola di laicità, fondata sullo scambio franco di opinioni e sul miglioramento di noi stessi mercé l’educazione, senza pregiudizi. D’altronde, poiché crediamo che “la fede è santa, l’eresia è sacra”, non potremmo comportarci altrimenti.
Il lavoro che ci attende si muove anche in un’altra direzione: la progressiva intensificazione della qualità della proposta mazziniana. Fino ad oggi, abbiamo in genere sottovalutato le modalità attraverso cui diffondevamo le nostre idee: oscillavamo fra il contesto storico-erudito e quello politico-militante, fra l’agenzia di formazione patriottica e il serbatoio d’identità politica. Ora, proviamo a leggere Mazzini come un geniale innovatore della comunicazione nello spazio pubblico. Proviamo a misurare la modernità del suo “discorso” in termini di concetti, di propaganda, di trasformazione della mentalità. Ne esce il profilo di un intellettuale che, in un primo tempo, disarticola le relazioni inter-personali della sua epoca (religiose, letterarie, filosofiche), per poi riarticolarle, rimontarle secondo due priorità nuove: la creazione di un “luogo” democratico in cui i rapporti fra gli individui possano essere paritari, e la costruzione dello Stato-nazione. Lo Stato-nazione non sarebbe stato neppure pensabile senza una mentalità diversa da quella che circolava nell’Italia della Restaurazione: Mazzini consente la gestazione di questa mentalità. Per farlo, non ha paura di usare termini provenienti da lessici diversi, di contaminare il suo “discorso pubblico” con registri alti e bassi, popolari e sofisticati. Usa parole che tutti possono comprendere (“dogma”, o “santità”, ad esempio), rischiando di passare magari per un mistico, ma in realtà provvedendo ad offrirne una declinazione secolarizzata, un nuovo significato per una nuova sfera della comunicazione.
Dire “dogma” all’interno di una concezione gerarchica della vita e della relazioni fra gli esseri umani ha un senso; dire “dogma” in un contesto egualitario e paritario, ne ha un altro. Gli esempi che potrebbe essere offerti a sostegno di questa lettura sono innumerevoli, e, nell’anno del Bicentenario, saranno indagati di sicuro. Per il momento, mi limito a trarre alcune considerazioni pratiche e “sociali” da quanto appena detto.
Il mazzinianesimo è una scuola di democrazia, è democrazia in azione, non solo perché sostiene certe idee, ma anche per il modo con cui le argomenta. Voglio dire che, per essere autenticamente fedeli all’impostazione del nostro Maestro, dobbiamo avere il coraggio di rivedere le forme di comunicazione che usiamo fra noi e con gli altri. Dobbiamo avere il coraggio di depurare il nostro ragionamento da generalizzazioni, figure retoriche, banalizzazioni, per mettere in luce la superficie autentica delle cose e dei pensieri. Dobbiamo, in altre parole, essere portatori di uno sguardo non convenzionale, non omologato, non superficiale sulla realtà.
Per far questo, occorre un grande lavoro. Su di noi come singoli, in primo luogo; e poi a livello collettivo. La sopravvivenza del mazzinianesimo nel XXI secolo dipende dalla sua capacità di rifondare, come nel XIX secolo, un “discorso pubblico” che spinga gli esseri umani a interagire fra loro in modo democratico, e a battersi per un futuro che forse, oggi, non chiameremmo più con ostentata sicurezza “progresso”, ma certo modello di convivenza collettiva, sì. L’aggregazione della nostra specie per macro-organizzazioni sociali, le uniche in grado di affrontare taluni macro-problemi planetari (allocazione delle risorse, inquinamento, ecc.), testimonia la correttezza dell’interpretazione aggregativa di Giuseppe Mazzini: il passaggio dalla piccola comunità allo Stato-nazione, e dallo Stato-nazione all’Umanità, attraverso forme di democrazia più vaste ed articolate (gli Stati Uniti d’Europa fin dagli anni Trenta-Quaranta dell’Ottocento; la comunità euro-atlantica, negli anni Sessanta). Si trattava, in Mazzini, di un’intuizione, non già di un progetto definito: spetta a noi, in qualche modo, raccogliere questa sfida e trovare le parole giuste per spiegarla e portarla avanti.
Io non credo, francamente, che per far questo noi abbiamo bisogno di una retorica; credo, invece, che abbiamo bisogno di un linguaggio comune, che ristrutturi il nostro modo di pensare, oggi inevitabilmente infiltrato da stereotipi “venduti” come pseudo-spiegazioni dalle strategie della comunicazione di massa.
Se ci dedicheremo a questi temi, gli scontri sulla politica contingente, che pure di tanto in tanto riaffiorano come un fiume carsico interno all’AMI, si affievoliranno progressivamente, per lasciare il posto a quelle peculiarità mazziniane, a quelle specificità mazziniane che, ancor oggi, rendono l’Apostolo sfuggente, inafferrabile e inclassificabile. Un intellettuale refrattario a qualsiasi etichetta. Un creatore di discorso politico: come tale, il capostipite di una “famiglia”. La nostra.

Roberto Balzani

http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA/PALOMMANOTTE.mid

nuvolarossa
26-11-04, 01:25
Ritorno al futuro

Ha ancora un senso rappresentare la cultura politica mazziniana in questi tempi? E’ davvero necessario continuare a dare vita, attraverso una trafila interpretata da donne e uomini, idee ed azioni collegate ad una scuola di pensiero che ha conosciuto l’amarezza dell’esilio, le tragedie e le incompiutezze dei grandi disegni storici, ma anche il raggiungimento di alcuni degli obiettivi fondanti la comunità democratica italiana ed europea? Sì, perché il trascorrere dei decenni non rende atrofizzate le ragioni che mossero Giuseppe Mazzini quasi due secoli fa a raccogliere, insieme ad una schiera di idealisti coraggiosi, i grandi messaggi universali delle rivoluzioni americana e francese, per cercare di costruire una nazione-comunità attraverso una grande iniziativa educativa capace di trasformare la “ragione politica” in missione connotata di moralità laica.
La vitalità del “pensiero mazziniano” consiste, proprio perché ha conosciuto il dolore delle sconfitte, in un finalismo etico illuminato dai principì della religione umana, la stessa che è il “motore segreto” della storia vissuta per la prima volta dal popolo, nella sua consapevolezza.
Antico e moderno mazzinianesimo si dividono i compiti, fra memoria e attualità, ma sono legati in modo indissolubile dalla forza delle idee messe alla prova. Non vivono, semplicemente, nell’empireo delle dispute teoriche anche quelle più raffinate, ma misurano la loro realtà nei cambiamenti piccoli e grandi che riescono a realizzarsi. Sarebbe davvero poco edificante, anzi stupido, che il “mazzinianesimo” dell’oggi si restringesse come abito convenzionale di una singola forza politica, in un piccolo consenso del breve ciclo di accadimenti elettorali. La capacità dei “mazziniani”, attraverso la loro rivista, i periodici da essi ispirati, i libri, le pubblicazioni, i discorsi, i congressi, i convegni, le riunioni, deve essere se mai quella di continuare ad essere il primo laboratorio del “pensiero laico” nelle sue diverse articolazioni ed espressioni. Una moderna laicità, sempre ispirata dalla regola del dubbio, ma ancorata alle certezze del suo metodo di ricerca e all’etica dei suoi comportamenti. Quella serietà e quel rigore che spesso vengono scambiate per una sorta di “pauperismo”, se non culto della minoranza. Invece sono il segno più tangibile che esiste un’idea dell’Italia, dell’Europa e del Mondo che non si accontenta dello scorrere del tempo e di una cinica gestione del Potere. Il mazzinianesimo sogna e crea, in continuazione, mattone, dopo mattone, un edificio abitato da tutti, condiviso, attorno ad una certa idea della famiglia, della comunità, dello stato, della patria domestica e di quella universale. Il moderno mazzinianesimo è, insieme, la testimonianza di un nobile passato e la speranza di un grande avvenire. E’ un ritorno al futuro nel quale c’è bisogno di ciascuno. Non esiste piccolo comune italiano che non abbia nel suo album di famiglia un patriota risorgimentale, non vi è certo mancanza di esempi nella Resistenza e nella più lontana lotta antifascista che non mostri le figure di questa idea “altra” rispetto alla convenzione, al senso comune, ai mali oscuri che da Dante in poi rappresentano i “talloni d’Achille” dell’Italia, ma anche specchi deformanti della democrazia. Tutte le famiglie culturali e politiche di ispirazione repubblicana, laica, liberale, socialista sono orfane, anche perché, inutile negarlo, non sono state indenni da brutture, cecità, divisioni, errori. Lo “spaesamento” dura da troppo tempo per non minare le basi del patto su cui è nata la Repubblica e si è fondata la Costituzione. Siamo dalla parte di coloro che vogliono rinnovare, ma senza perdere lo spirito dei padri fondatori del Primo e del Secondo Risorgimento. Sappiamo perfettamente che questo intendimento non è condiviso da tutte le culture politiche che hanno attraversato il Paese e che oggi sono dominanti. Il nostro compito è continuare ad alimentare la sorgente. Non siamo fra coloro che non sanno scegliere, se pure la ragionevolezza ispira le nostre azioni. Senza le minoranze attive e colte ispirate da Mazzini, Cattaneo, Garibaldi, Salvemini, Rosselli, Gobetti, Calamandrei, Bobbio, Galante Garrone, Calogero, La Malfa, Spadolini, Spinelli questa Italia e questa Europea sarebbero peggiori. Il “mazzinianesimo” non è un “partito”, ma una fonte che ispira partiti e movimenti, sezioni e circoli, individui di ogni ceto sociale, di tutte le nazioni, di qualsiasi etnia e convinzione religiosa. E’ la grande scuola della “democrazia in azione”. Niente di più, niente di meno vogliamo offrire in questi tempi. “Il Pensiero Mazziniano” continua con questo spirito.

Pietro Caruso

nuvolarossa
03-01-05, 20:00
Ciampi e l’eredità mazziniana/Un patrimonio che molti hanno voluto dimenticare

Valori indispensabili alla ricchezza della nazione

Siamo profondamente grati al Capo dello Stato per aver ricordato nel suo messaggio di fine anno, in occasione del bicentenario della nascita, il pensiero di Giuseppe Mazzini, che a nostro giudizio, e non certo da oggi, riteniamo indispensabile per la formazione e l’ispirazione delle forze politiche che hanno la responsabilità di governare il Paese.

Il fatto che la cultura marxista e quella cattolica, maggioritarie in Italia, abbiano contribuito a marginalizzare, quando non a screditare, l’opera del loro principale avversario, non ha certo impedito ad un cultore del Risorgimento, come Carlo Azeglio Ciampi, di strappare il velo di omertà che è stato calato per anni sull’apostolo repubblicano, riconoscendolo di fronte alla nazione intera come un autentico padre della Patria.

Il Capo dello Stato ha ragione e vorremmo solo aggiungere, da parte nostra, che le virtù politiche e morali di Mazzini, non solo sono alla base dell’Italia unitaria, ma rappresentano anche un punto di riferimento inalienabile per il pensiero e l’azione dei liberali in tutta l’Europa.

Nell’anno in cui ricorre il bicentenario della nascita, Ciampi ci ha ricordato che Mazzini va riscoperto e che della sua lezione non si può fare a meno. Era tempo che da un presidente della Repubblica provenisse questo messaggio. Sarà inevitabile che l’opinione pubblica e le energie intellettuali del Paese si misurino con esso con la debita cura. In parte già lo stanno facendo. Ad esempio, Angelo d’Orsi, sulla "Stampa", ha scritto che "non v’è bisogno di enfatizzare, né è il caso di accogliere in toto il discorso politico di questo padre del Risorgimento Italiano, ma non v’è dubbio che oggi sta venendo in piena luce il significato profondo di una possibile attualità (e forse necessità) di Mazzini".

Senza voler entrare ora in che cosa andrebbe respinto del pensiero di Mazzini - conoscendo D’Orsi, preferiamo sorvolare - ci accontentiamo del riconoscimento dell’attualità e di una necessità, che noi consideriamo certa - non ipotetica - di chi è stato capace di coniugare l’interesse particolare con quello generale, la dottrina rivoluzionaria con la libertà.

E’ vero che a fronte del movimento fascista e delle simpatie che negli ambienti fascisti si coltivavano verso Mazzini, alcuni antifascisti, Gobetti ad esempio, preferirono abbandonarlo collocandolo fra i vinti della storia. Ma così persero la loro battaglia, non la vinsero. Perché gettare Mazzini, come fece il giovane Gobetti, per preferire Marx, significò accentuare le asprezze ideologiche del secolo passato, fino a trascinarle sul piano politico dello scontro fisico, alla soppressione del soggetto più debole, fosse esso il proletariato, o la stessa repubblica democratica.

Mentre sul piano ideale, cercare di difendere gli interessi generali in astratto, a costo di sacrificare milioni di singoli individui, o quelli particolari in concreto, come presupponeva la dottrina marxista nella sua deriva giacobina, produsse il solo risultato di impedire e di ostacolare una diffusione del benessere, facendo dello Stato e delle sue leggi, l’architrave della negazione del diritto dei cittadini in quanto tali. In altre parole, non si poteva combattere una dittatura appoggiandosi ad un teorico della dittatura, anche se di segno opposto. qual era Karl Marx.

Non essere stati in grado di decifrare questo problema, e di difendere conseguentemente la forma repubblicana dello Stato nella sua eccezione democratica, come proponeva Mazzini, è stata la ragione dei disastri che si sono succeduti nella storia europea a cavallo delle due guerre e dei guasti successivi che hanno ritardato e compromesso lo sviluppo del nostro Paese.

E’ stato anche merito di Ciampi, se, questa battaglia per la Repubblica e lo sviluppo della democrazia non è andata persa. Anzi, questo è l’anno buono per riaprirla.

tratto da
http://www.pri.it

kid
05-01-05, 13:20
sulla Voce Repubblicana una risposta alla lettera di Viroli alla Stampa di ieri:

Di Riccardo Bruno

Il professor Viroli, illustre studioso in quel di Princeton, scrive sulla "Stampa" che "senza nessuna forzatura apolegetica possiamo legittimamente considerare il 25 aprile del 1945 il compimento del sogno mazziniano: l'Italia tornava unita ed indipendente e un anno dopo cacciava il monarca che aveva aperto la strada al fascismo e diventava finalmente una repubblica democratica". Ora, sinceramente, qualche dubbio in merito bisognerebbe averlo. Intanto sui rapporti fra monarchia e fascismo, rapporti molto complessi per essere ridotti alla semplice formula usata da Viroli; e poi perché saremmo curiosi di sapere se nella Repubblica sognata da Mazzini, gli eredi di Marx, al quale egli si oppose con tutto il suo vigore, ed il partito cattolico, che certo non era l'ideale politico del religiosissimo laico, dovessero avere da soli il 70 e passa percento dei consensi elettorali, tanti da dare un'impronta, ammettiamolo, molto poco mazziniana alla Repubblica sognata da Mazzini. Per cui, il professor Viroli non ce ne voglia, ma la Repubblica di Mazzini resta quella rappresentata, e ahinoi, non per caso semimisconosciuta, dalla Repubblica romana del 1849, per il breve tempo che resistette alle armate francesi. Parliamo, se vogliamo, di quella, e lasciamo perdere quelle sognate. E' meglio.
Ma anche se la Repubblica di Mazzini non è quella della Carta Costituzionale del 1948, quella Repubblica è certamente la nostra, quelle delle forze antifasciste, che si riunirono a Liberazione avvenuta, per stilare una costituzione in cui la democrazia italiana ha vissuto a lungo e dignitosamente. Il torto orrendo dell'attuale maggioranza è per Viroli l'averla riscritta. In verità noi abbiamo già detto che questa è un'inesattezza, perché l'attuale maggioranza non ha modificato la Costituzione "antifascista" del '48, ma semmai quella "ulivista" del 2001. Perché forse il professor Viroli da Princeton non se ne è accorto, ma la prima modifica alla carta costituzionale, nel pieno potere della maggioranza di allora, avvenne nella passata legislatura, non in quella in corso. Ed in effetti, chi rappresentava nel Paese l'eredità mazziniana, ma soprattutto l'eredità democratica dell'antifascismo, fu contrario a quella scelta e rimase isolato ed inascoltato. Ora il centrodestra avrebbe potuto ripristinare la vecchia Carta Costituzionale, anche alla luce delle palesi contraddizioni che il nuovo testo creava, in particolare sul titolo V, dove la legislazione concorrente fra Regioni e Stato era tale da disarticolare il disegno unitario fino a produrre la paralisi istituzionale. Mazzini, non per caso, era avversario del federalismo. La nostra impressione è che il centrodestra non ha proceduto in questa direzione per il timore di apparire come un conservatore a fronte di chi coraggiosamente aveva aperto la questione della riforma della Costituzione. E ha fatto uno sbaglio. Ma certo l'intervento sul titolo V della nuova Costituzione, non della vecchia, affida per lo meno la priorità all'interesse nazionale, interesse mazziniano, che il centrosinistra aveva scordato. Viroli ha ragione invece nel sostenere che la fine del bicameralismo ed il premierato sono modifiche pesanti e da valutare nella loro messa in atto, ma non concernono in alcun campo il pensiero Mazziniano, ma solo quello dei padri costituenti e soprattutto, per ciò che concerne il premierato, vanno incontro ad un medesimo desiderio dell'opposizione. Per cui, per esser più puntuali nel giudizio, il rischio della nuova Repubblica è quello di non essere mazziniana, esattamente come non lo era la prima. Il dovere dei mazziniani dovrebbe essere quello di unirsi per far valere le loro ragioni e difenderle, visto che poco sono stati - tanto nella vecchia, quanto nella nuova Repubblica - ascoltati.

nuvolarossa
19-02-06, 23:24
Nell’anno del Bicentenario scommettiamo sui giovani

http://www.webandcad.it/AMI/PM/2005_2.jpg

La prima volta che è comparsa la mia firma sul “Pensiero Mazziniano”, nel 1998, vissi momenti di sincera emozione. Ho sempre detto che per me l’AMI è stata una casa, la palestra in cui ho compiuto la prima parte del mio cammino umano e professionale, dopo il drammatico – (sembra un paradosso, ma non lo è) – momento della laurea. Nell’incertezza con la quale i laureati affrontano il loro futuro e la difficile scelta tra passione e stipendio – ammesso che oggi esista ancora lo stipendio sicuro – l’AMI può rappresentare, come è stato per me, un riferimento culturale per esprimere le proprie capacità e per migliorare al fianco di alcuni dei più importanti nomi della cultura italiana. Ho sempre sostenuto che per l’AMI l’anno del bicentenario mazziniano avrebbe dovuto rappresentare non un punto di arrivo, ma la base per costruire ed impostare un futuro solido, capace di garantire continuità ed innovazione. Le sfide che ci attendono sono storiografiche, per una rivalutazione ed un recupero dell’immagine di Mazzini nella memoria collettiva del paese, e civili, principalmente legate, almeno in questa fase, alla difesa della costituzione e della laicità dello stato.
Da questa prima parte di bicentenario sono arrivati segnali confortanti. Pietro Caruso, nello scorso numero del “Pensiero” ha dedicato un articolo alla miriade di iniziative che l’associazione ha messo in piedi od in cantiere per celebrare degnamente la nascita di Giuseppe Mazzini. Di alcune di queste iniziative ho avuto l’onore di essere stato testimone e testimonial, ma allo stesso modo ho sentito mie anche le manifestazioni cui non ho assistito, ma i cui inviti hanno riempito con un flusso costante ed incoraggiante la cassetta della posta. Non bisogna dimenticare chi siamo: produttori di cultura e vivere sociale, voce laica in un paese che da ormai vent’anni ha abbandonato la passione politica e civile. Ho detto voce e non testimonianza, perché chi testimonia in qualche modo ha rinunciato alle sue battaglie. Noi vogliamo rilanciare. Una sfida che non vuol portare alla nascita di un ‘esercito’ di mazziniani, ma vuole contribuire alla realizzazione di una società migliore. Di questa battaglia, il dialogo con i giovani costituisce uno dei momenti fondamentali.
Non è vero che agli studenti italiani non interessi Mazzini. Nessuno, semplicemente, glielo racconta più. Il bel volume curato da Rolando Innocenti e dalla sezione AMI di Grosseto, Il Pensiero di Mazzini nella scuola a Grosseto, che racchiude i temi vincitori del ‘Premio Amerini’, dimostra come gli studenti delle scuole medie superiori possano e desiderino cimentarsi con argomenti quali la storia patria o l’unità europea. Stesso discorso vale per il “Premio Ghidoni”, manifestazione anch’essa ormai consolidata e radicata nel territorio, laboratorio permanente di riflessione politica e civile. Da queste due esperienze, alle quali si sono aggiunte quest’anno quelle legate al bicentenario, come il concorso forlivese, dovrebbe a mio parere prendere le mosse l’idea di un grande concorso nazionale. È vitale per un’associazione come la nostra mettere mano ad un’iniziativa di questo genere. Per quanto concerne gli studenti universitari, è fondamentale il potenziamento dei “Seminari Giovani”, che vanno completamente ripensati, ispirandoci ai corsi di comunicazione politica di Rimini-Riccione, o all’effetto trainante avuto cinque anni fa dall’esperienza di Cervia. L’AMI deve valorizzare il patrimonio organizzativo e culturale che possiede, utilizzando anche personalità esterne all’associazione.
Programmare per il 2006 un seminario su “Giornalismo e trasmissione della memoria storica”, cercando di coinvolgere personalità come Paolo Mieli ed altri giornalisti delle pagine culturali dei maggiori quotidiani nazionali, o i documentaristi dell’Istituto Luce, ad esempio, allargherebbe sicuramente l’interesse verso la nostra associazione ad un pubblico di giovani non necessariamente mazziniano ma non per questo disinteressato ad una collaborazione con l’associazione. Padova poi ha fatto, un bellissimo regalo all’AMI, e di ciò gli saremo sempre molto grati. C’era proprio bisogno della mostra sulla vita e l’esperienza politica di Giuseppe Mazzini. Mostra che col consenso degli amici padovani, dovrebbe girare in lungo e in largo la penisola, facendo da degna cornice alle iniziative preparate dalle sezioni locali.
Abbiamo bisogno di penne, cervelli, energie. Andiamole a cercare. Da offrire non abbiamo solo ‘lacrime e sangue’, ma la libertà di esprimersi ed essere creativi.
Oggi, credetemi, non è poco.

Michele Finelli

nuvolarossa
15-12-07, 10:53
http://www.nuvolarossa.org/modules/xgallery/cache/albums/01-Album-di-Enzo/LOGOFORUM03BIG.sized.gif
http://www.casentinomusica.net/Spartiti/Midi/D/Dalla%20Lucio%20Balla%20balla%20ballerino.mid

Riletture di Carlo Rosselli

Oggi in Spagna, domani in Italia, discorso pronunciato alla radio di Barcellona, novembre 1936 da Carlo Rosselli accorso per la libertà insieme ai volenterosi e ai repubblicani di tutte le parti del mondo
… .Compagni, fratelli italiani, ascoltate. Un volontario italiano vi parla dalla radio di Barcellona per portarvi il saluto delle migliaia di antifascisti italiani esuli che si battono nelle file dell’armata rivoluzionaria. Una colonna italiana combatte da tre mesi sul fronte di Aragona. Undici morti, venti feriti, la stima dei compagni spagnoli: ecco la testimonianza del suo sacrificio. Una seconda colonna italiana, formatasi in questi giorni, difende eroicamente Madrid. In tutti i reparti si trovano volontari italiani, uomini che avendo perduto la libertà nella propria terra, cominciano col riconquistarla in Ispagna, fucile alla mano. Giornalmente arrivano volontari italiani: dalla Francia, dal Belgio, dalla Svizzera, dalle lontane Americhe. Dovunque sono comunità italiane, si formano comitati per la Spagna proletaria. Anche dall’Italia oppressa partono i volontari. Nelle nostre file contiamo a decine i compagni che, a prezzo di mille pericoli, hanno varcato clandestinamente la frontiera. Accanto ai veterani dell’antifascismo lottano i giovanissimi che hanno abbandonato l’università, la fabbrica e perfino la caserma. Hanno disertato la guerra borghese per partecipare alla guerra rivoluzionaria. Ascoltate italiani. È un volontario italiano che vi parla dalla radio di Barcellona. Un secolo fa l’Italia schiava taceva e fremeva sotto il tallone dell’Austria, del Borbone, dei Savoia, dei preti. Ogni sforzo di liberazione veniva spietatamente represso. Coloro che non erano in prigione, venivano costretti all’esilio. Ma in esilio non rinunciarono alla lotta. Santarosa in Grecia, Garibaldi in America, Mazzini in Inghilterra, Pisacane in Francia, insieme a tanti altri, non potendo più lottare nel paese, lottarono per la libertà degli altri popoli, dimostrando al mondo che gli italiani erano degni di vivere liberi. Da quei sacrifici, da quegli esempi uscì consacrata la causa italiana. Gli italiani riacquistarono fiducia nelle loro forze. Oggi una nuova tirannia, assai più feroce ed umiliante dell’antica, ci opprime. Non è più lo straniero che domina. Siamo noi che ci siamo lasciati mettere il piede sul collo da una minoranza faziosa, che utilizzando tutte le forze del privilegio tiene in ceppi la classe lavoratrice ed il pensiero italiani. Ogni sforzo sembra vano contro la massiccia armata dittatoriale. Ma noi non perdiamo la fede. Sappiamo che le dittature passano e i popoli restano. La Spagna ce ne fornisce una palpitante riprova. Nessuno parla più di De Rivera.
Nessuno parlerà più di Mussolini. E come nel Risorgimento, nell’epoca più buia, quando quasi nessun osava sperare, dall’estero vennero l’esempio e l’incitamento, così oggi noi siamo convinti che da questo sforzo modesto ma virile dei volontari italiani, troverà alimento domani una possente volontà di riscatto. È con questa speranza segreta che siamo accorsi in Ispagna. Oggi qui, domani in Italia. Fratelli, compagni italiani, ascoltate. È un volontario italiano che vi parla dalla radio di Barcellona. Non prestate fede alle notizie bugiarde della stampa fascista, che dipinge i rivoluzionari spagnoli come orde di pazzi sanguinari alla vigilia della sconfitta. La rivoluzione in Ispagna è trionfante. Penetra ogni giorno di più nel profondo della vita del popolo rinnovando istituti, raddrizzando secolari ingiustizie. Madrid non è caduta e non cadrà. Quando pareva già in procinto di soccombere, una meravigliosa riscossa di popolo arginava la invasione ed iniziava la controffensiva. Il motto della milizia rivoluzionaria che fino ad ora era “No pasarán” è diventato “Pasaremos”, cioè non i fascisti, ma noi, i rivoluzionari, passeremo. La Catalogna, Valencia, tutto il litorale mediterraneo, Bilbao e cento altre città, la zona più ricca, più evoluta e industriosa di Spagna sta solidamente in mano alle forze rivoluzionarie. Un ordine nuovo è nato, basato sulla libertà e la giustizia sociale. Nelle officine non comanda più il padrone, ma la collettività, attraverso i consigli di fabbrica e sindacati. Sui campi non trovate più il salariato costretto ad un estenuante lavoro nell’interesse altrui. Il contadino è padrone della terra che lavora, sotto il controllo dei municipi. Negli uffici gli impiegati, i tecnici non obbediscono più a una gerarchia di figli di papà, ma ad una nuova gerarchia fondata sulle capacità e la libera scelta. Obbediscono, o meglio collaborano, perché nella Spagna rivoluzionaria, e soprattutto nella Catalogna libertaria, le più audaci conquiste sociali si fanno rispettando la personalità dell’uomo e l’autonomia dei gruppi umani. Comunismo, sì, ma libertario. Socializzazione delle grandi industrie e del grande commercio, ma non statolatria: la socializzazione dei mezzi di produzione è concepita come mezzo per liberare l’uomo da tutte le schiavitù. L’esperienza in corso in Ispagna è di straordinario interesse per tutti. Qui, non dittatura, non economia da caserma, non rinnegamento dei valori culturali dell’Oc-cidente, ma conciliazione delle più ardite riforme sociali con la libertà. Non un solo partito che, pretendendosi infallibile, sequestra la rivoluzione su un programma concreto e realista: anarchici, comunisti, socialisti, repubblicani collaborano alla direzione della cosa pubblica, al fronte, nella vita sociale. Quale insegnamento per noi italiani! Fratelli, compagni italiani, ascoltate. Un volontario italiano vi parla dalla radio di Barcellona per recarvi il saluto dei volontari italiani.
Sull’altra sponda del Mediterraneo un mondo nuovo sta nascendo. È la riscossa antifascista che si inizia in Occidente. Dalla Spagna guadagnerà l’Europa. Arriverà innanzitutto in Italia, così vicina alla Spagna per lingua, tradizioni, clima, costumi e tiranni. Arriverà perché la storia non si ferma, il progresso continua, le dittature sono delle parentesi nella vita dei popoli, quasi una sferza per imporre loro, dopo un periodo d’inerzia e di abbandono, di riprendere in mano il loro destino. Fratelli italiani che vivete nella prigione fascista, io vorrei che voi poteste, per un attimo almeno, tuffarvi nell’atmosfera inebriante in cui vive da mesi, nonostante tutte le difficoltà, questo popolo meraviglioso. Vorrei che poteste andare nelle officine per vedere con quale entusiasmo si produce per i compagni combattenti; vorrei che poteste percorrere le campagne e leggere sul viso dei contadini la fierezza di questa dignità nuova e soprattutto percorrere il fronte e parlare con i militi volontari. Il fascismo, non potendosi fidare dei soldati che passano in blocco alle nostre file, deve ricorrere ai mercenari di tutti i colori. Invece, le caserme proletarie brulicano di una folla di giovani reclamanti le armi. Vale più un mese di questa vita, spesa per degli ideali umani, che dieci anni di vegetazione o di falsi miraggi imperiali nell’Italia mussoliniana. E neppure credete alla stampa fascista quando dipinge la Catalogna, in maggioranza sindacalista anarchica, in preda al terrore e al disordine. L’anarchismo catalano è un socialismo costruttivo, sensibile ai problemi di libertà e di cultura. Ogni giorno fornisce prove delle sue qualità realistiche. Le riforme vengono compite con metodo, senza seguire schemi preconcetti e tenendo sempre in conto l’esperienza. La migliore prova ci è data da Barcellona, dove, nonostante le difficoltà della guerra, la vita continua a svolgersi regolarmente e i servizi pubblici funzionano come e meglio di prima. Italiani che ascoltate la radio di Barcellona, attenzione. I volontari italiani combattenti in Ispagna, nell’interesse, per l’ideale di un popolo intero che lotta per la sua libertà, vi chiedono d’impedire che il fascismo prosegua nella sua opera criminale a favore di Franco e dei generali faziosi. Tutti i giorni aeroplani forniti dal fascismo italiano e guidati da aviatori mercenari che disonorano il nostro paese, lanciano bombe contro città inermi, straziando donne e bambini. Tutti i giorni, proiettili italiani costruiti con mani italiane, trasportati da navi italiane, lanciati da cannoni italiani, cadono nelle trincee dei lavoratori. Franco avrebbe già da tempo fallito, se non fosse stato per il possente aiuto fascista. Quale vergogna per gli italiani sapere che il proprio governo, il governo di un popolo che fu un tempo all’avanguardia delle lotte per la libertà, tenta di assassinare la libertà del popolo spagnolo! Che l’Italia proletaria si risvegli. Che la vergogna cessi. Dalle fabbriche, dai porti italiani non debbono più partire le armi omicide. Dove non si possibile il boicottaggio aperto, si ricorra al sabotaggio segreto.
Il popolo italiano non deve diventare il poliziotto d’Europa. Fratelli, compagni italiani, un volontario italiano vi parla dalla radio di Barcellona, in nome di migliaia di combattenti italiani. Qui si combatte, si muore, ma anche si vince per la libertà e l’emancipazione di tutti i popoli. Aiutate, italiani, la rivoluzione spagnola. Impedite al fascismo di appoggiare i generali faziosi e fascisti. Raccogliete denari. E se, per persecuzioni ripetute o per difficoltà insormontabili, non potete nel vostro centro combattere efficacemente la dittatura, accorrete a rinforzare le colonne dei volontari italiani in Spagna. Quanto più presto vincerà la Spagna proletaria, tanto più presto sorgerà per il popolo italiano il tempo della riscossa.

Carlo Rosselli

tratto dal Pensiero Mazziniano n.3 anno 2006
http://www.webandcad.it/AMI/IMMAGINI/2006_1.jpg
al link http://www.webandcad.it/AMI/PM/rosselli.htm

nuvolarossa
15-12-07, 11:03
Un pensiero che serve anche per il futuro

Avere avuto la ventura di vivere il bicentenario di un grande uomo di pensiero e di azione è una legittima soddisfazione per coloro che vogliono continuare il culto della memoria e il desiderio del ricordo. Del resto la missione che fu scelta nel 1946 da chi diede vita al primo numero di questa rivista aveva il medesimo scopo, anche se era ancora lontana dai fasti recenti, dal riconoscimento, quasi unanime, di Mazzini come padre fondatore della nuova nazione, nata dalle macerie della seconda guerra mondiale, dalla Resistenza e dal referendum istituzionale che scelse la repubblica. Mazzini per quasi cinquanta anni nell’Italia moderna ha avuto, o quasi, un solo partito di esplicito riferimento, ma è stato rappresentato sempre da una piccola associazione formata spesso da un’eterogenea platea di testimoni politici e culturali di rilievo che ambivano a rappresentare non tanto o non solo un partito che aveva autonomamente scelto un simbolo della tradizione repubblicana, ma la parte più sensibile della democrazia. La coscienza critica di un Paese. Il “pensiero mazziniano” è di diritto un architrave per la costruzione di un pensiero della modernità, poiché non è solo una cultura politica definita, ma anche uno stile, un costume, un’etica di intensa passione per tutte le problematiche della democrazia. Mazzini realista ma anche romantico non poteva concepire tutte le trasformazioni che gli sarebbero succedute, ma aveva una preveggenza determinata dalla conoscenza delle leggi universali che guidano l’uomo verso la luce. Aveva sfiducia nelle degenerazioni tiranniche intrise negli individui, ma coglieva nella formazione delle comunità regolate dagli statuti, dalle costituzioni, dai diritti e dai doveri quella base di regole con cui affrontare obiettivi più lontani di uguaglianza. Come da anni vanno sostenendo i più accreditati studiosi del pensiero mazziniano lo stesso Marx temeva il genovese come concorrente ben più che come nemico. E del resto chi concepisce la storia soltanto come evoluzione del principio della dialettica non poteva ammettere di trovare nel suo stesso antagonismo una parte del pensiero mazziniano. Invece il bicentenario ha sancito che a Mazzini sono debitori non soltanto i movimenti repubblicani, ma anche quelli socialisti e, non fosse altro per il rispetto dimostrato verso alcune fasi del Risorgimento, alcuni teorici del comunismo. Persino la destra più radicale, nei mesi della disfatta dell’autunno del 1943, in una fase storica in cui doveva mascherare il fallimento di venti anni e il divorzio non consensuale dal potere monarchico usò lo schermo di Mazzini per tentare, inutilmente, di cancellare il proprio violento abuso della storia contro un intero popolo. Oggi il pensiero mazziniano serve per ancorare la tradizione politica italiana ad una solida concezione e pratica della democrazia. Il mazzinianesimo ha uno spazio oggi nel moderno pensiero democratico.
Questo pensiero, sia chiaro, non è di proprietà di una sola forza politica, neppure di quelle che con coraggio e rischio tentano nuove difficili sintesi. Il pensiero mazziniano è fondante per l’edificio di una teoria del governo democratico per il XXI secolo. Lo è perché ha saputo mediare fra istanze rivoluzionarie e misure riformatrici, fra capitale e lavoro, fra l’importanza dell’associazionismo e il rispetto dell’individuo, perché ha valorizzato l’identità nazionale non considerandola sufficiente per definire l’avventura umana nel pianeta. Questa modernità di un vecchio pensatore e della sua scuola di pensiero si lega nel 2007 alla valorizzazione di figure che contribuiscono a riannodare le fila di una trama squisitamente democratica. Ecco perché vale la pena celebrare il bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, rievocare il sacrificio dei fratelli Rosselli settanta anni dopo, approfondire il ruolo di Giosuè Carducci nel centenario della sua morte. Questa parte culturale e storica del mazzinianesimo non è un amore per i sepolcri, ma lo svolgimento di una missione. Dare radici alla democrazia. Riuscire a riempire lo zaino di coloro che stanno partendo per nuove imprese con una ricchezza intellettuale e morale che, del resto è, forse, il più grande lascito di Mazzini.

Pietro Caruso

tratto da http://www.webandcad.it/AMI/PM/pietro_caruso.htm