Il Patriota
11-07-02, 13:07
Proposta in consiglio comunale a Milano dopo l’apertura alle segnalazioni turistiche «bilingui». Protesta l’opposizione
MILANO - In arrivo in tutta Italia le segnalazioni stradali anche in dialetto. Il pressing della Lega, scesa in piazza con le fiaccole nel nome di «Bèrghem», traducesi Bergamo, dopo un primo niet del ministro alle Infrastrutture, Pietro Lunardi, al «bilinguismo», deliberato dalla città orobica, ha trovato ascolto. Il gruppo Lega Nord della Camera ha presentato un emendamento al decreto sul codice della strada, accettato dal governo, che lo impegna a riconoscere agli enti locali maggiore discrezionalità nell’uso dei dialetti locali sui cartelli turistici. Il ministro ha dunque aperto più di uno spiraglio sull’innovazione rivoluzionaria. Così, girando in macchina per lo stivale, in Liguria troveremo presto il cartello «Zena»; il nostro arrivo nella città di San Marco sarà salutato dalla scritta di benvenuto a «Venexia». Per «Bèrghem-Bergamo» già fatto. Sarà così anche a «Bresa-Brescia» o «Franpul», Forlimpopoli? E leggeremo «Palemmo» in Sicilia?
Il dilagare dei cartelli in dialetto in paesi e città è partito in sordina agli albori della Lega con la benedizione di Bossi, nel Milanese e nella Bergamasca. Nella fase nascente del movimento, i difensori duri e puri dell’idioma locale, diventato vessillo contro il centralismo, hanno cominciato storpiando sui cartelli i nomi ufficiali con le bombolette spray. Poi il Carroccio, arrivato a dignità amministrativa nella zona d’elezione, da Varese a Lecco a Bergamo, nei comuni pionieri ha cominciato ad alzare ufficialmente il secondo cartello. Siamo nel 1996 e la battaglia per le lingue locali si fa pittoresca.
Il primo a cominciare dicono sia stato Cesare Monti, sindaco di Lazzate (Milano). Primato conteso da Dalmine e da Trescore Balneario (entrambe nel Bergamasco). Aperta la strada, i cartelli «proibiti» prolificano al Nord. Da Varese a Treviso se ne contano quasi un centinaio.E il contagio dilaga mentre le polemiche si fanno roventi. A Milano la proposta di prevedere cartelli in dialetto meneghino per i luoghi storici della città fatta dal consigliere comunale Matteo Salvini scatena l’indignazione delle sinistre. Si replica che ci sono già cartelli scritti in giapponese. Daniele Belotti consigliere regionale lombardo della Lega esulta, invece, per l’apertura mostrata dal ministro sul bilinguismo: «È una grande vittoria delle lingue locali, un primo passo in difesa delle nostre radici». Anche Franco Colleoni, segretario della Lega di Bergamo, parla di punto di partenza «che non si esaurisce in uno scontro fine a se stesso, finalmente ci presentiamo con nome e cognome».
«Le lingue locali non si difendono per le strade - scuote il capo Franco Brevini, docente universitario e studioso di letteratura dialettale - Un conto è la tutela delle lingue minori presenti in Italia, tredici varietà alloglotte, dal romancio, all’albanese, alla lingua dei Walser della Val Sesia o al catalano di Alghero, e un conto, con tutto il rispetto per i dialetti, creare una babele linguistica. La toponomastica ha una funzione essenzialmente pratica e deve essere comprensibile da tutti. Per salvare il dialetto non c’è bisogno di una sua santificazione indiscriminata». Insomma se la lingua è un modo per sentirsi «a casa» secondo il professore non saranno i cartelli stradali a garantircelo
MILANO - In arrivo in tutta Italia le segnalazioni stradali anche in dialetto. Il pressing della Lega, scesa in piazza con le fiaccole nel nome di «Bèrghem», traducesi Bergamo, dopo un primo niet del ministro alle Infrastrutture, Pietro Lunardi, al «bilinguismo», deliberato dalla città orobica, ha trovato ascolto. Il gruppo Lega Nord della Camera ha presentato un emendamento al decreto sul codice della strada, accettato dal governo, che lo impegna a riconoscere agli enti locali maggiore discrezionalità nell’uso dei dialetti locali sui cartelli turistici. Il ministro ha dunque aperto più di uno spiraglio sull’innovazione rivoluzionaria. Così, girando in macchina per lo stivale, in Liguria troveremo presto il cartello «Zena»; il nostro arrivo nella città di San Marco sarà salutato dalla scritta di benvenuto a «Venexia». Per «Bèrghem-Bergamo» già fatto. Sarà così anche a «Bresa-Brescia» o «Franpul», Forlimpopoli? E leggeremo «Palemmo» in Sicilia?
Il dilagare dei cartelli in dialetto in paesi e città è partito in sordina agli albori della Lega con la benedizione di Bossi, nel Milanese e nella Bergamasca. Nella fase nascente del movimento, i difensori duri e puri dell’idioma locale, diventato vessillo contro il centralismo, hanno cominciato storpiando sui cartelli i nomi ufficiali con le bombolette spray. Poi il Carroccio, arrivato a dignità amministrativa nella zona d’elezione, da Varese a Lecco a Bergamo, nei comuni pionieri ha cominciato ad alzare ufficialmente il secondo cartello. Siamo nel 1996 e la battaglia per le lingue locali si fa pittoresca.
Il primo a cominciare dicono sia stato Cesare Monti, sindaco di Lazzate (Milano). Primato conteso da Dalmine e da Trescore Balneario (entrambe nel Bergamasco). Aperta la strada, i cartelli «proibiti» prolificano al Nord. Da Varese a Treviso se ne contano quasi un centinaio.E il contagio dilaga mentre le polemiche si fanno roventi. A Milano la proposta di prevedere cartelli in dialetto meneghino per i luoghi storici della città fatta dal consigliere comunale Matteo Salvini scatena l’indignazione delle sinistre. Si replica che ci sono già cartelli scritti in giapponese. Daniele Belotti consigliere regionale lombardo della Lega esulta, invece, per l’apertura mostrata dal ministro sul bilinguismo: «È una grande vittoria delle lingue locali, un primo passo in difesa delle nostre radici». Anche Franco Colleoni, segretario della Lega di Bergamo, parla di punto di partenza «che non si esaurisce in uno scontro fine a se stesso, finalmente ci presentiamo con nome e cognome».
«Le lingue locali non si difendono per le strade - scuote il capo Franco Brevini, docente universitario e studioso di letteratura dialettale - Un conto è la tutela delle lingue minori presenti in Italia, tredici varietà alloglotte, dal romancio, all’albanese, alla lingua dei Walser della Val Sesia o al catalano di Alghero, e un conto, con tutto il rispetto per i dialetti, creare una babele linguistica. La toponomastica ha una funzione essenzialmente pratica e deve essere comprensibile da tutti. Per salvare il dialetto non c’è bisogno di una sua santificazione indiscriminata». Insomma se la lingua è un modo per sentirsi «a casa» secondo il professore non saranno i cartelli stradali a garantircelo