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Der Wehrwolf
12-07-02, 13:56
La favola che i sessantottini siano stati quanto di meglio espresso
dalla società italiana nel dopoguerra
Quante bugie sugli anni di piombo

di Raimondo Gatto

Il Tg4 di Emilio Fede, alias Mediaset, alias, Berlusconi e company, ha trasmesso lo scorso lunedì 8 luglio un servizio sulla morte dell’anarchico Valpreda, infarcito di rifritture vetero-marxiste, nostalgiche memorie di quello che fu un cupo periodo della storia italiana. Tutte le falsità e i luoghi comuni inventati dalla propaganda dell’ex Pci sono stati riproposti come verità inconfutabili rendendo un ottimo servizio alla sinistra, che, dal terrore scatenato attraverso il ’68, trovò gli spazi politici per piazzare i suoi uomini ai vertici dello Stato. Servizi segreti deviati, strategia della tensione, estremismo nero verniciato di rosso, trame golpiste di colonnelli inesistenti, Pinelli, il commissario Calabresi... tutto l’armamentario di Potere Operaio, Lotta Continua, Psiup, è stato riesumato per essere sbandierato come realtà indiscussa, dal teleschermo che si vanta di essere il meglio dell’informazione moderata. Sui fatti avvenuti dal ’67 al ’75 personalmente, non ricordo nessuna “caccia all’anarchico”, rammento invece sedicenti operai della Cgil, all’ingresso dell’autostrada Torino-Milano, prendere a calci le auto di quelli che non offrivano 500 lire di “pedaggio”. Ricordo le scuole di Torino occupare, con la polizia a guardia degli istituti, obbligata dai prefetti a legnare chi intendeva entrare per seguire le lezioni. Ricordo gli “occupanti” e i gruppi di studio che si “auto-istruivano” talmente bene con le studentesse da riempire le aule di preservativi. Ricordo i cortei di protesta che erano reclamizzati ampiamente il giorno precedente da la Stampa; ma cos’altro fu il ’68 se non una montatura mediatica, pilotata da persuasori occulti per distruggere ciò che di buono era sopravvissuto nella società italiana? Ripenso ai vecchi agenti di Ps mandati allo sbaraglio senza nessuna protezione, sputacchiati da un gruppo di giovani tra cui spiccava il nipote di un noto ministro democristiano; chi aveva il coraggio di arrestare quei teppisti, figli di avvocati, procuratori, parlamentari e industrialotti, che tutto rappresentavano, tranne il popolo? Ricordo un conoscente, operaio della Fiat profugo fiumano, persona buona e pacifica, che fu picchiato più volte sul posto di lavoro dai compagni esaltati; ho impresse nella memoria le lacrime della moglie che lo supplicava di non tornare in fabbrica. Ricordo i tristi sabati di Roma dove mi recavo spesso; negozi chiusi, gente terrorizzata, mamme in fuga con le carrozzine, autobus in fiamme abbandonati sulla strada... e poi le notti deserte della capitale con le famiglie chiuse in casa. Furono troppi i morti, le P 38, le bottiglie molotov, i docenti sequestrati, gli agotatori passati dalle Acli al terrorismo, troppi i discorsi inneggianti al sangue e all’odio per credere seriamente che tutto ciò sia stata una montatura dei servizi segreti. E il caso Valpreda? Sin dall’inizio ebbi la netta sensazione che siccome l’indiziato per la bomba di Piazza Fontana era un anarchico, in qualche modo si doveva rigirare la frittata e far ricadere la colpa sul terrorismo di destra; in un periodo dove il comunismo e l’anarchia di moda dovevano concludersi con la rivoluzione proletaria, bisognava impedire che atti inconsulti potessero rallentarla. Fu così che Valpreda, il giorno dopo l’arresto fu adottato dagli avvocati del Partito Comunista; la sinistra si scoprì garantista, e riuscì a far invalidare la testimonianza del tassista Rolandi, iscritto al Pci, che morì di crepacuore dopo qualche anno; chi ricorda la “legge Valpreda” dal 14 novembre 1972, fatta su misura per liberare l’anarchico? Come siano realmente andate le cose non lo posso sapere, ma credo non fosse necessaria una laurea in legge per capire che la pena di morte nel ’68 era stata comminata ai borghesi, ai fascisti, ai professori, ai poliziotti, ai preti e a tutti coloro che non volevano allinearsi alla moda dell’eskimo e delle spranghe. Sono convinto che molti sessantottini fossero in buona fede, trascinati da agitatori prezzolati o da pazzi esaltati; per molti fu un colossale gioco, un’infatuazione giovanile che si stemperò con la maturità e il progredire della ragione, ma sarebbe anche ora, dopo aver compreso le ragioni di chi fu coinvolto in questa moda, di ricordare i motivi di chi rimase vittima.
Gli ex sessantottini si costituiscano in associazioni per combattenti e reduci, ma per favore la smettano di far credere al popolo che i loro pruriti giovanili siano stati quanto di meglio ha espresso la società italiana nel dopoguerra. Quando poi alla presenza inquietante di questi personaggi nelle reti televisive Mediaset, sarebbero fatti di Berlusconi se non avessero un’influenza nefasta sui telespettatori che ordinariamente votano per il suo partito. Liberi i giornalisti Mediaset di fare e disfare, informare e disinformare; liberi noi di giudicare il grado di serietà politica che queste scelte comportano, perché al trasformismo e al doppiogiochismo ci deve essere pure un limite.