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Visualizza Versione Completa : Cosa scrivono i cessi asociali sulla Legge Bossi



Der Wehrwolf
13-07-02, 12:25
Albanesi (Cnca): ''La nuova legge non è razzista. E’ colonialista e feroce''

31/05/2002 17.31.16 ROMA – “Non è una legge razzista, ma colonialista”: è il commento di don Vinicio Albanesi, presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza, riguardo al disegno di legge sull’immigrazione Bossi-Fini in via di approvazione alla Camera. A margine della conferenza stampa di presentazione dei “Libri neri” sulle politiche sociali, una nuova collana in uscita dopo l’estate e curata dal Coordinamento, il presidente del Cnca è stato esplicito: “Le impronti digitali e la regolarizzazione di colf e badanti sono soltanto dettagli”. In sintesi, la nuova normativa “non colloca l’Italia nell’Unione europea e neppure nel Mediterraneo: è una legge di piccolo respiro, che prevede l’ingresso nel nostro Paese solo se si è produttori di reddito, di valore aggiunto”. In questo senso “le impronte servono a non far entrare chi non produce, così come gli asili aziendali sono previsti solo per chi lavora, non per tutti”. Una politica “feroce”, secondo don Albanesi, “perché non tiene conto dei fenomeni migratori e non dà effetti: resterà alto il numero di clandestini e di lavoratori in nero, che così non perderanno i contributi maturati nei mesi di lavoro al momento del ritorno al luogo di provenienza”. E le eventuali prossime “sanatorie” non riusciranno ad estirpare “il lavoro sommerso”: in Calabria, ad esempio, regione in cui la disoccupazione femminile supera il 59%, “è attestato un alto numero di badanti. La carenza dei servizi da una parte e gli standard di qualità molto elevati, con spese ingenti, fanno optare per le donne straniere che ‘costano’ di meno”. Anche le restrizioni in ambito dei ricongiungimenti familiari sono stigmatizzate da don Albanesi: “Siamo peggio che allo zoo, dove si pensa a dare un compagno o una compagna agli animali in cattività; invece per gli uomini non si bada a queste cose, come se un africano o un albanese che lavora in Italia non avesse diritto ad avere la famiglia accanto a sé”. Inoltre quella sull’immigrazione è una legge “che non prevede quali investimenti fare nei Paesi di origine per attenuare la pressione migratoria: è vergognoso non prevedere progetti di questo tipo in un testo normativo”, ha denunciato il presidente del Cnca, ricordando che l’Italia è diventata “un’isola virtuale in cui si entra a determinate condizioni, senza tenere presente che abbiamo 3mila chilometri di costa e non si possono impedire in ogni modo gli sbarchi”.

Fonte: http://www.redattoresociale.it

Der Wehrwolf
13-07-02, 12:26
Siamo tutti immigrati!

Inviamo le nostre impronte digitali al Ministero degli Interni - dichiarazione di Tom Benetollo, presidente nazionale Arci


Alla norma che introduce l'obbligo per gli stranieri e gli immigrati che chiedono o rinnovano il permesso di soggiorno di farsi rilevare le impronte digitali, rispondiamo sommergendo il ministro degli Interni di impronte digitali.
Lanciamo la settimana delle impronte. Per una settimana inviamo tutti le nostre impronte (per fax, per e-mail, per posta), perché ci sentiamo tutti immigrati.
Partiamo subito con questa campagna di denuncia e di disturbo. Può essere un modo efficace per dare una prima risposta alle norme discriminatorie e razziste del ddl Bossi-Fini approvate in questi giorni alla Camera.

Der Wehrwolf
13-07-02, 12:28
Pollice verso

di LUIGI PINTOR - Il Manifesto

Non ci sono aggettivi per qualificare la legge Bossi-Fini che marca gli extracomunitari come capre. Bestiale, schifosa, feroce, schiavista, razzista, fascista? Che esagerazione, che parole improprie, generiche, roboanti e vuote. Mi riesce più facile chiamare semplicemente razzisti e fascisti i suoi autori, così possono querelarmi. Ma che dico, gli faccio un piacere. Riflettete sul fatto che per redigere questa legge si sono accoppiati. L'uno è un secessionista che non odia solo gli africani e i terroni ma anche il tricolore e la patria. L'altro è un nazionalista mussoliniano. Tra loro dovrebbero scannarsi e fino a qualche tempo fa si definivano reciprocamente col termine porcilaio. Cos'è che li unisce? In generale il potere, naturalmente, ma in questo caso l'inciviltà.

Che cosa volete che sia, prendere le impronte digitali a chi chiede un permesso di soggiorno per vivere pulendo le latrine dell'uomo bianco? Non è come mettergli una croce gialla sulla schiena e neppure un timbro indelebile sul braccio, gli extracomunitari si riconoscono a occhio nudo dal colore e dall'odore. E' solo un avvertimento, un avviso di garanzia al delinquente presunto.

E riprendere le impronte a chi rinnova il permesso di soggiorno cos'è, una misura di sicurezza supplementare nel caso che la scheda del sospetto recidivo sia andata perduta in questura? Un'umiliazione a futura memoria? Onde non si illuda di essere un lavoratore regolarmente sfruttato e quindi un cittadino o magari una persona ma tenga bene a mente di essere un ostaggio? Quando non servirà più verrà cacciato via, questo è lo spirito della legge, come diceva Montesquieu.

La nostra emigrazione, su cui abbiamo versato tante lacrime, fu una pacchia. Ha sputato sangue, è vero, e non molto tempo fa c'erano ancora non so in quale paese civile locali proibiti agli italiani. Però ora andiamo a trovare con orgoglio pomposo i nostri discendenti che popolano le americhe, alle quali abbiamo regalato anche sindaci e gangster rinomati e soprattutto manovali e cuochi. E' che avevamo la stessa pelle, lo stesso colore, fu questa la fortuna.

L'ala cristiana della maggioranza berlusconiana (di nuovo inqualificabile) che ha votato questa legge vuole farsela perdonare in politica e nel confessionale con una sanatoria. Speriamo che ci riesca, anche l'ipocrisia è una virtù. Ma sbaglio, non è una maggioranza (con o senza aggettivi) che ha votato questa legge bensì una minoranza: l'opposizione era a ranghi ridotti. E perché no, visto che l'idea delle impronte digitali fu sua, quando al posto di Berlusconi governavamo noi?

Hanno ragione Scajola e Rutelli, universalizziamo l'impronta digitale. E' un bel simbolo e la parola d'ordine «o tutti o nessuno» è egualitaria e ci convince. Un regime totalitario serio in questo si distingue da una democrazia posticcia, nell'essere categorico. Forse pigiando il pollice sul tampone ci renderemo meglio conto dell'aria che tira. Bossi e Fini possono essere esentati, li conosciamo già e la loro improntitudine non sta nei polpastrelli.

Der Wehrwolf
13-07-02, 12:28
Appello di Magistratura democratica, Associazione studi giuridici sull'immigrazione, Arci, Gruppo Abele


La Camera dei deputati, in sede di discussione del disegno di legge Bossi-Fini, ha approvato un emendamento che prevede il prelievo delle impronte digitali per tutti i cittadini extracomunitari che chiedono il permesso di soggiorno o il suo rinnovo. A nessuno può sfuggire la gravità della disposizione, del tutto ingiustificata e odiosa: ingiustificata perché già oggi è previsto per chi, italiano o straniero, «non è in grado o rifiuta di provare la propria identità» la sottoposizione a rilievi segnaletici e dattiloscopici (artt. 4 e 144 Testo unico di pubblica sicurezza); odiosa perché viola in maniera clamorosa il principio di eguaglianza, fondamento dello Stato di diritto e di ogni sistema democratico dalla Rivoluzione francese in poi. Destinatari della nuova disposizione non sono i «clandestini» ma coloro che, a qualunque titolo, entrano legalmente in Italia. La nuova disposizione ha, dunque, come sola ragion d'essere la creazione di una immagine dello straniero come soggetto pericoloso e potenzialmente delinquente. Questo è razzismo e intacca i principi stessi della civile convivenza. Siamo ben consapevoli degli orientamenti politici dominanti, ma non ci rassegniamo. La «questione immigrazione» è la vera «questione democratica» degli anni a venire. E una diversa politica sul punto è possibile e realistica. La prospettiva dell'invasione viene spesso agitata quando si parla di immigrazione; e a questa rappresentazione apocalittica corrispondono proposte politiche che, pretendendo di offrire soluzioni definitive, lasciano irrisolti i problemi reali connessi all'immigrazione, alimentano le paure degli italiani e producono profonde ingiustizie sul piano del rispetto dei diritti fondamentali dei migranti. I dati smentiscono chi parla di invasione: non solo le cifre degli ingressi e dei soggiorni - regolari e irregolari - sono, nel nostro Paese, sostanzialmente costanti negli ultimi anni, ma, quel che più conta, si presentano percentualmente inferiori a quelli della maggior parte dei Paesi occidentali. È vero, invece, che tutto il pianeta è coinvolto in un processo di redistribuzione complessiva della popolazione: si tratta di un processo - prodotto da cause profonde, non contingenti - che non può essere affrontato ricorrendo alle logiche dell'emergenza, né, tanto meno, adottando mistificatori proclami sull'immigrazione zero. I fenomeni migratori vanno, invece, governati; e possono essere governati con strumenti che coniughino, in una prospettiva di gradualità e integrazione, giustizia ed effettività. Per queste ragioni e a questo fine, rivolgiamo un appello per una proposta politica ispirata alle linee-guida di seguito esposte.

a) Assicurare alla disciplina su ingressi e soggiorno dei migranti la necessaria flessibilità. Le politiche di sostanziale chiusura seguite nel nostro Paese non hanno limitato gli ingressi, ma hanno semplicemente prodotto clandestinità; in particolare, la regola-cardine del sistema che subordina l'ingresso regolare dei migranti all'incontro a distanza, a livello planetario, tra domanda ed offerta di lavoro non funziona: anche le ragioni dell'impresa escludono la praticabilità di assunzioni di stranieri al buio. Si devono, allora, valorizzare quegli istituti - quali il cd. sponsor ed il ricongiungimento familiare - che, facendo leva sulla catena migratoria e sul legame familiare, assicurano la necessaria elasticità alla disciplina degli ingressi, agevolando, al tempo stesso, l'integrazione degli immigrati. Più in generale, è necessario introdurre, nell'ambito delle quote, meccanismi di ingresso per la ricerca di lavoro, i soli in grado di associare le ragioni del mercato del lavoro a quelle che stanno alla base dei flussi migratori. D'altra parte, legare strettamente il soggiorno dello straniero al mantenimento del posto di lavoro significa spingere la condizione dei migranti verso una dimensione sostanzialmente servile, precludendo, oltre tutto, l'ulteriore sviluppo di percorsi di integrazione già avviati, anche nel mondo del lavoro. Recidere questo legame significa spezzare l'alternativa secca allontanamento/clandestinizzazione nella quale vengono a trovarsi gli immigrati che hanno perso il posto di lavoro, significa superare quel divieto di disoccupazione che, al giorno d'oggi, sembra valere solo per gli stranieri.

b) Favorire l'emersione della clandestinità e i comportamenti virtuosi. Nell'attuale sistema, mentre la strada che porta il migrante dalla condizione di regolare a quella di irregolare è facilmente percorribile, agevolata dalla precarietà del soggiorno e dalla vischiosità delle procedure di rinnovo dei titoli abilitativi, il passaggio dalla condizione di irregolare a quella di regolare è assolutamente precluso. Anche questa caratteristica del sistema produce clandestinità e, allo stesso tempo, non spinge i migranti irregolari verso l'assunzione di comportamenti virtuosi. È necessario allora introdurre meccanismi di regolarizzazione individuali e permanenti fondati sul decorso del tempo - che in tutti i rami dell'ordinamento giuridico adempie alla sua naturale funzione di saldare il diritto al fatto - e su indici di integrazione, quali, ad esempio, la mancata commissione di reati e il raggiungimento ex post delle condizioni che avrebbero consentito l'ingresso regolare.

c) Assegnare all'espulsione il ruolo di extrema ratio nel governo dell'irregolarità. L'immigrazione non si può governare con le espulsioni: come insegna l'esperienza di questi anni, prevedere l'espulsione come sanzione per qualsiasi forma di irregolarità significa condannare il sistema nel suo complesso alla ineffettività, allargare a dismisura il divario tra allontanamenti decretati ed allontanamenti eseguiti, attribuire uno spazio abnorme alla discrezionalità dell'autorità di polizia, chiamata a definire in concreto lo status di regolarità/irregolarità dello straniero sulla base delle cd. regole del disordine. La misura dell'espulsione va, dunque, riservata alle ipotesi di irregolarità più gravi: ridotta - anche grazie ai meccanismi sopra indicati - l'area della irregolarità ed assegnato all'espulsione un ruolo di extrema ratio nella sua gestione, potranno essere ridimensionate quelle torsioni sul piano delle garanzie costituzionali dei migranti che oggi condizionano pesantemente il sistema (in punto, ad esempio, di tutela giurisdizionale contro i provvedimenti di allontanamento), rendendo, oltre tutto, strutturalmente instabile una normativa esposta a continui aggiustamenti legislativi e a profonde rivisitazioni giurisprudenziali. Coniugare, su questo terreno, effettività e giustizia significa restituire ai diritti fondamentali dei migranti quella sacralità messa duramente a repentaglio da istituti quali la detenzione amministrativa.

***Magistratura democratica, Associazione studi giuridici sull'immigrazione, Arci, Gruppo Abele