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Der Wehrwolf
14-07-02, 12:50
Il libro nero del capitalismo



Chissà se il Cavalier Berlusconi avrà letto questo libro? Pensiamo di no, visto che non fa parte della cultura "azzurra" confrontarsi con teorie che vadano contro, o peggio, smentiscano le sue convinzioni. Vi ricordate quando fu pubblicato in Italia "Il libro nero del comunismo" (opera degnissima ed importante, nessuno lo nega)? Il Silvio da Arcore pubblicizzò quel volume come fosse la Bibbia, lo distribuì gratuitamente ai delegati di Forza Italia come il Pci faceva con i manuali leninisti per la scuola quadri, lo citò in qualsiasi occasione pubblica si trovasse coinvolto. Anche se stava parlando di agricoltura biologica, citava i 100 milioni di morti del comunismo.
Tutto vero, nulla da ridire. Altrettanto ardore pubblicistico e divulgativo lo gradiremmo però adesso anche per Il libro nero del capitalismo (Autori vari, Marco Tropea Editore, 34.000 lire), monumentale volume da poco pubblicato in Italia nel più totale silenzio mediatico e intellettuale.Tradotto da Massimo Cavaglione, il libro fu pubblicato nel 1998 in Francia dove ottenne un buon successo di vendita e ottime recensioni. Composto da 32 capitoli, redatti da intellettuali, economisti, filosofi, storici e sindacalisti francesi, il libro non si propone di essere un volume omnicomprensivo, poichè "i crimini del capitalismo costituiscono un argomento disgraziatamente inesauribile. Per lo meno allo stato attuale". Piuttosto si tratta di una narrazione per nulla romanzata dei crimini perpetrati dal capitalismo selvaggio e incontrollato dalle sue origini all’attuale processo di mondializzazione. Perchè un libro di questo genere? Per molti motivi ovviamente, ma uno in particolare appare più importante degli altri: dare voce e dignità storico-economica al pensiero dissenziente nei confronti del capitalismo. Un’eresia che, come nella miglior tradizione capitalistica, non è stata proibita, ma bensì costretta in un regime di quasi clandestinità. Questa la libertà di espressione della quale si compiacciono i sostenitori del nostro sistema liberale. Questa un prima fondamentale ragione per la necessità di questo libro.
CUI PRODEST. La trattazione del tema parte da un assunto semplice quanto opinabile: "La principale virtù del capitalismo risiede nella sua efficienza economica". Ma a beneficio di chi? E a quale prezzo? Nell’introduzione al libro Maurice Cury comincia esaminando i Paesi occidentali, ovvero la vetrina del capitalismo mentre il resto del mondo ne costituisce piuttosto il retrobottega. Dopo il grande periodo di espansione nel XIX secolo, l’evoluzione così come si è determinata nel corso degli ultimi decenni ha portato alla quasi sparizione della piccola proprietà contadina, divorata dalle grandi aziende agricole e ha prodotto tra le altre conseguenze l’inquinamento, la distruzione del paesaggio e il degrado della qualità dei prodotti. Ha portato alla spartizione quasi completa del piccolo commercio al dettaglio, soprattutto a favore della grande distribuzione e degli ipermercati. Ha favorito inoltre la concentrazione delle industrie in grandi aziende, prima nazionali e poi sovranazionali, con proporzioni tali da superare la talvolta la capacità finanziaria di intere nazioni. Queste aziende fanno la legge (o pretendono di farla), prendendo provvedimenti al di sopra degli Stati per rafforzare il loro potere già privo di controlli. La United Fruit, ad esempio, è "proprietaria" di diversi stati dell’America Latina. "I dirigenti capitalisti - obietta Cury - potevano temere che la spartizione della piccola proprietà contadina, dell’artigianato e della piccola borghesia industriale e commerciale facesse ingrossare le file del proletariato. Ma il "modernismo" ha fugato i loro timori, con l’automazione, la miniaturizzazione, l’informatica. Dopo lo spopolamento dei campi, stiamo assistendo a quello di fabbriche e uffici. Siccome il capitalismo non sa e non vuole condividere profitto e lavoro, arriviamo ineluttabilmente alla disoccupazione e al suo strascico di disastri sociali".
DISASTRI SOCIALI. Quanto più numerosi sono i disoccupati, tanto minori sono le indennità di disoccupazione e tanto meno durano. Quanto meno numerosi sono i lavoratori, tanto più si prevede di ridurre le pensioni. Sembra logico e lo è nella logica ultra-liberista. Ma Cury porta anche un altro dato alla sua tesi: "Quasi venti milioni di disoccupati in Europa, ecco il bilancio positivo del capitalismo! E il peggio deve ancora venire. Le grandi imprese europee e statunitensi, i cui utili sono ormai stati così cospicui, annunciano licenziamenti in massa. Occorre "razionalizzare" la produzione: lo impone la concorrenza! Ci si rallegra per l’aumento degli investimenti stranieri in Francia. Oltre ai pericoli per l’indipendenza nazionale, possiamo domandarci se non sia la diminuzione dei salari a incoraggiare gli investitori di capitali". Una risposta, questa, ai cantori del liberalismo (come il francese Alain Madelin) che esaltano il Regno Unito e gli Usa quali campioni di successo economico e della lotta contro la disoccupazione. "L’abbattimento delle protezioni sociali, la precarietà dell’occupazione, i bassi salari e il taglio delle indennità ai disoccupati (che così spariscono dalle statistiche, evitando imbarazzi consuntivi) saranno forse l’ideale del signor Madelin, ma non credo proprio che siano l’ideale dei lavoratori del suo paese".
STRAPOTERE USA. L’esempio degli Usa, il paradiso del capitalismo, è eclatante se visto dal buco della serratura dei più deboli. Trenta milioni di abitanti (più del 10 per cento della popolazione) vivono sotto la soglia di povertà. La supremazia degli Usa nel mondo, la propagazione uniformatrice del loro modello di vita e della loro cultura, possono di fatto soddisfare soltanto le menti servili. L’Europa farebbe bene a stare all’erta e a reagire, finché ne ha la possibilità economica. Ma le occorrerebbe anche una volontà politica. "Per favorire gli investimenti produttivi, nell’industria o nei servizi, il capitalismo - argomenta Cury - dichiara di volerli rendere concorrenziali rispetto agli investimenti finanziari e speculativi a breve termine. In che modo? Tassando questi ultimi? Niente affatto, abbassando i salari e gli oneri sociali! È anche un modo per rendere concorrenziale l’Occidente con il Terzo mondo. Del resto nel Regno Unito hanno cominciato a far lavorare i bambini. Infatti, questo Paese, per molti aspetti vassallo degli Usa, non ha ratificato il trattato che vieta il lavoro minorile".
IMMIGRAZIONE E COLONIALISMO. Quali le conseguenze dirette di questa spirale perversa, anche in termini collaterali di immigrazione selvaggia? Preso nel circolo infernale della concorrenza, il Terzo mondo dovrà abbassare ancora i costi e affondare ulteriormente i suoi abitanti nella miseria. Poi sarà nuovamente il turno dell’Occidente, e così via finché il mondo intero sarà nelle mani di pochi grandi gruppi sovranazionali, a maggioranza statunitense, e non si avrà quasi più bisogno dei lavoratori, ma solo di un’élite di tecnici. "Allora - chiosa Cury - per il capitalismo il problema sarà quello di trovare i consumatori, al di fuori di quest’elite e di quella degli azionisti, e sarà anche quello di tenere a bada la delinquenza che la miseria avrà portato". Le devastazioni compiute in un secolo e mezzo dal colonialismo e dal neocolonialismo non si possono calcolare, così come non si possono stimare i milioni di morti che gli sono imputabili. Ne sono consapevoli tutti i grandi paesi europei e gli Usa. Schiavitù, repressioni spietate, torture, appropriazioni, furto di terre e di risorse naturali da parte delle grandi compagnie occidentali, statunitensi o multinazionali, o dei potenti locali al loro soldo; creazione o smembramento artificiale di paesi, imposizione di dittature; monocoltura in sostituzione delle colture alimentari tradizionali; distruzione dei modelli di vita e delle civiltà ancestrali; deforestazione e desertificazione, disagi ecologi, carestia; cacciata delle popolazioni verso le megalopoli, dove sono in agguato la disoccupazione e la miseria. Ecco i costi del capitalismo che mai potremo quantificare, a cui si aggiungono quelli drammaticamente quantificabili dell’attualità. Dice Cury: "Le strutture di cui si è dotata la comunità internazionale per regolare lo sviluppo delle industrie e del commercio sono interamente nelle mani e al servizio del capitalismo: la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l’Organizzazione mondiale del commercio e ora l’Accordo multilaterale sugli investimenti. Questi organismi sono serviti solo a indebitare i paesi del Terzo mondo e a imporre loro il credo liberale. Hanno permesso lo sviluppo di sfacciate fortune locali, ma non hanno fatto crescere la miseria delle popolazioni".
AUTOMAZIONE. Un altro inquietante aspetto dell’egemonia capitalistica è che tra qualche decennio il capitalismo internazionale non avrà quasi più bisogno di manodopera. I laboratori statunitensi studiano le colture "in vitro" che distruggeranno definitivamente il Terzo mondo agricolo. Secondo questa logica, i lavoratori di tutto il mondo non finiranno per spartirsi i beni, ma la disoccupazione. Servizi assistenziali, quali l’istruzione, la sanità, l’ambiente, la cultura, la mutua assistenza, non saranno più assicurati a chi ne ha realmente diritto perché non genereranno profitti e non interesseranno il settore privato. Resteranno a carico degli stati o delle comunità locali, cui il liberalismo vuole togliere ogni potere e ogni mezzo economico.
LE STRATEGIE. Ma passiamo ora ad un’analisi più approfondita dei mezzi e delle strategie capitalistiche per imporre la propria legge sul mondo. "Quali sono i mezzi di espansione e di accumulazione del capitalismo? La guerra (o la protezione, sull’esempio della mafia), la repressione, la spoliazione, lo sfruttamento, l’usura, la corruzione, la propaganda. La guerra contro i paesi ribelli che non rispettano gli interessi occidentali. Quello una volta che fu appannaggio del Regno Unito e della Francia, in Africa e in Asia (gli ultimi soprassalti del colonialismo delle Indie, nel Madagascar, in Indocina, in Algeria, hanno fatto milioni di morti), è oggi appannaggio degli Usa, il paese che pretende di comandare il mondo. Gli Usa, proprio per questo, non hanno smesso di praticare una politica di eccesso di armamenti (che pure vietano agli altri). Abbiamo visto in azione questo imperialismo in tutti gli interventi diretti o indiretti degli Usa in America Latina, e particolarmente in America centrale (Nicaragua, Guatemala, Salvador, Honduras, Grenada), in Asia, in Vietnam, in Indonesia, a Timor (genocidio più esteso, in proporzione, di quello dei khmer rossi in Cambogia - circa due terzi della popolazione - e perpetrato con l’indifferenza se non con la complicità dell’Occidente), nella guerra del Golfo ecc".
MILLE GUERRE SENZA MITRAGLIATORI. Ma la guerra non si fa soltanto con le armi, può assumere forme inedite: per esempio, la guerra può anche prendere la forma delle sanzioni contro altri stati indocili (Cuba, Libia, Iraq), tanto onerose per le popolazioni (parecchie centinaia di migliaia, addirittura milioni di morti in Iraq). La spoliazione è la causa evidente del ricorso alla forza. Se si vuole svaligiare una casa in presenza dei suoi abitanti, è meglio possedere un’arma. Le pratiche del capitalismo sono simili a quelle della mafia, ecco perché quest’ultima prolifera così bene nel suo humus. Come la mafia, il capitalismo protegge i dirigenti docili che lasciano sfruttare spudoratamente il proprio paese dai grandi gruppi statunitensi o sovranazionali. In tal modo, quando non le introduce esso stesso, consolida le dittature. "Le sue armi sono indifferentemente la democrazia o la dittatura - dice Cury - il commercio o il gangsterismo, l’intimidazione o l’omicidio. Così la Cia è probabilmente da considerarsi la più grande organizzazione criminale su scala mondiale".
L’USURA LEGALE. Altra pratica mafiosa è l’usura: come la mafia presta denaro al commerciante che non potrà mai liberarsi del suo debito e finirà per perdere la sua bottega (o la vita), così si inducono i paesi a investire, spesso artificiosamente, e ad acquistare armi per la lotto contro gli stati avversari. Essi dovranno poi rimborsare gli interessi accumulati dal debito e i creditori diventeranno facilmente i padroni della loro economia. Le economie occidentali sottopongono il Terzo mondo alle peggiori forme di sfruttamento: La schiavitù: e, al loro stesso interno, l’asservimento degli immigrati clandestini. La corruzione: le multinazionali dispongono di tale forma di influenza, anche finanziaria e politica, sul complesso dei dirigenti pubblici o privati che soffoca ogni resistenza. La propaganda: per imporre il suo credo e giustificare l’eccesso di armamenti, gli atti delittuosi e i crimini sanguinosi, il capitalismo invoca sempre concetti generali quali difesa della democrazia e della libertà mentre il più delle volte non difende altro che gli interessi di una classe possidente, che vuole impadronirsi di materie prime, dettar legge sulla produzione di petrolio o controllare luoghi strategici.
INDIGNAZIONE AD OROLOGERIA. "Questa propaganda - tuona in chiusura di introduzione Cury - è diffusa da governanti economici e politici, da una stampa e da media asserviti. Assertori del liberalismo, lodatori degli Usa, dico a voi! Non ho udito la vostra voce contro la distruzione del Vietnam, né contro il genocidio indonesiano, né contro le atrocità perpetrare in nome del liberalismo in America Latina; non l’ho udita neppure contro l’appoggio statunitense al colpo di stato di Pinochet, uno dei più sanguinosi della storia, né contro la condanna a morte dei sindacalisti turchi. La vostra indignazione è stata alquanto selettiva: Solidarnos’c’ ma non il Disk, Budapest ma non l’Algeria, Praga ma non Santiago, l’Afghanistan ma non Timor. Non vi ho visto indignarvi quando uccidevano persone che volevano dare il potere al popolo o difendere i poteri. E non vi odo chiedere perdono per la vostra complicità e per il vostro silenzio".
MONDIALIZZAZIONE. Particolarmente interessante e attuale appare poi la definizione di mondializzazione data da Francois Chesnais nel 28° capitolo del libro, intitolato "I morti viventi della mondializzazione".
"È un fatto, ormai nemmeno più contestato dai sostenitori della mondializzazione del capitalismo: l'aggravamento delle disuguaglianze nel tenore di vita nei paesi ricchi e nei paesi poveri (la polarizzazione sociale) e l’adattamento dell’intero pianeta al libero mercato (la modernizzazione) sono la conseguenza di un’organizzazione economica e politica che non riconosce per fondamento morale niente altro che i valori generati dalle necessità di questa mondializzazione. I danni economici e sociali non appaiono quindi come "disfunzioni", ma sono in realtà il prodotto di una ricolonizzazione del mondo per opera delle forze dominanti. Tale processo è fondato su un’utopia omicida, la mondializzazione, le cui prime applicazioni lasciano intravedere un bilancio negativo in tutti gli ambiti per l’avvenire del pianeta. Infatti la stessa crisi ecologica si analizza chiaramente come crisi sociale e come prodotto di un sistema dove l’abbondanza non può essere condivisa. Per assicurare le comodità moderne al 20% dell’umanità - prosegue Chesnais - bisogna già da oggi sottrarre le produzioni cerealicole al mondo povero, abbattere le sue foreste, distruggere i suoi tradizionali modi di vivere, deportare i contadini espropriati o rovinati verso le favelas o i barrios dell’America latina, i quartieri proibiti dell’Asia meridionale, le periferie di Manila, le bidonvilles di Dakar; bisogna organizzare un mercato delle materie prime su quel modello di rapina che ha gettato nell’estrema povertà un miliardo di persone". Legga questo libro, Cavalier Berlusconi: quantomeno per ossequio alla legge sulla "par condicio". Ops, scusi la gaffe.



Mauro Bottarelli, in "La Padania", 26 ottobre 1999

Gundam
14-07-02, 18:29
Oltre a quanto riporti ci sarebbero moltissime implicazioni primarie e secondarie legate al problema capitalismo e mondo occidentale e nel forum forse non è possibile trattare tutti i risvolti.
Facevo una considerazione:
verranno messi in regola 50.000 lavoratori stranieri per soddisfare in buona parte alle necessità dell'industria
50.000 lavoratori X 5 - 6 parenti di ricongiundimento = 250.000 -300.000 persone in più che occupano territorio ecc...
300.000 persone sono il corrispettivo di una discreta città del nord quindi di fatto creiamo per certe esigenze una città in più dal nulla.
Riusciamo ad immaginare in tempi medio lunghi cosa vuol dire oppure continua a prevalere la miopia politico - industriale?:(

Der Wehrwolf
14-07-02, 18:42
L'immigrazione deve essere affrontata per quello che è: uno strumento delle massonerie per annullare in un calderone ogni specificità etnonazionale e tradizionale dei Popoli Alpino_padani, dunque va affrontata , a mio avviso, da un punto di vista puramente etnico.
Purtroppo i Padani non hanno ancora capito che la fabrichetta NON DEVE andare avanti con il lavoro di allogeni..è qualcosa di morale,oggi però la spasmodica ricerca del Dio quattrino porta a queste funeste situazioni
...l'attuale sistema da politico-economico concede troppa importanza all'economia che alla etnia e pertanto ci troveremo fra non molto una Padania abitata da allogeni... che saranno la maggioranza....:(